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DECIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo secondo volume della serie decima contiene la documentazione relativa al periodo compreso fra la costituzione del terzo governo Bonomi (12 dicembre 1944) e la fine del governo Parri (9 dicembre 1945). Il dato intrinseco che lo caratterizza è l'assunzione, nel dicembre 1944, del ministero degli Esteri da parte di Alcide De Gasperi, che avrebbe mantenuto tale incarico anche dopo la liberazione dell'Italia settentrionale nel nuovo governo costituito il 21 giugno 1945 da Ferruccio Parri, per conservarlo anche dopo l'assunzione della presidenza del Consiglio il 10 dicembre dello stesso anno.

La principale caratteristica esterna della documentazione pubblicata in questo volume viene messa in luce dalla netta cesura esistente fra il periodo precedente la fine di aprile o gli inizi di maggio del 1945 e la seconda parte dell'anno. Prima di quella cesura, l'Italia era stata divisa, come è ben noto, in due parti, l'una « governata» dal regime istituito da Mussolini sotto il dominio germanico, con la Repubblica Sociale Italiana, che alla fine del 1944 controllava soltanto la parte a nord della «linea Gotica», e l'altra retta dai governi dell'Italia «liberata», riconosciuti dagli imminenti vincitori della seconda guerra mondiale, ma ancora sottoposti alla presenza di una Commissione alleata che esercitava un blando ma percettibile controllo sull'azione del governo di Roma. Sino alla riunificazione dei due tronconi dello Stato si pose per la diplomazia del Regno d'Italia il problema di imporre, in alcuni casi, la propria esclusività rispetto alla diplomazia dell'Italia fascista; nella maggioranza dei casi si pose la questione della normalizzazione dei rapporti con i vari paesi di destinazione, pur in assenza di un trattato di pace, che solo nel 1947 avrebbe restituito all'Italia una personalità giuridica internazionale non sottoposta a limitazioni. Finché il governo di Roma dovette fronteggiare i problemi della guerra e quelli della ricomposizione dell'intero paese in una unica entità che superasse, nei limiti del possibile, le divisioni ereditate dal passato, l'impegno della diplomazia italiana, pur tenace nel suo proposito di normalizzazione, rimase paralizzato dalle circostanze. Invece, a partire dal maggio 1945, l'azione del governo di Roma acquistò un andamento più regolare, recuperando, ove possibile, forme e formule della tradizione e della consuetudine diplomatica e cercando di ricostituire il tessuto necessario al pieno ritorno del paese nella comunità internazionale.

Al centro della documentazione pubblicata in questo volume· è il problema del trattato di pace. La decisione presa dai Tre Grandi, durante la conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), di demandare al Consiglio dei ministri degli Esteri il compito di predisporre la stesura schematica dei trattati di pace con le potenze minori del Tripartito (cioè l'Italia, la Finlandia, la Romania, l'Ungheria e la Bulgaria) rese vane subito le speranze italiane di poter partecipare al «negoziato», in virtù o per effetto della dichiarazione di cobelligeranza e della dichiarazione di guerra contro la Germania del 13 ottobre 1943. La diplomazia italiana fu costretta ad assistere dall'esterno allo svolgimento dei negoziati ed a poter far sentire la propria voce solo grazie a contatti bilaterali con i rappresentanti delle potenze dalla cui volontà dipendevano le sorti dell'Italia o, il 18 settembre 1945, direttamente al Consiglio dei ministri degli Esteri quando De Gasperi fu invitato a presentare il punto di vista italiano sulla questione del confine orientale, senza peraltro poter fare seguire alla sua dichiarazione la minima forma di dibattito con i ministri riuniti nella capitale britannica. Infatti i lavori del Consiglio dei ministri degli Esteri ebbero inizio con una prima sessione tenutasi a Londra dall'Il settembre al 2 ottobre 1945 e sin da allora fu evidente che il negoziato era strettamente collegato (né forse poteva essere diversamente) con i problemi generali delle relazioni fra le potenze vincitrici e con l'emergere delle ragioni che avrebbero portato all'aperto esplodere della «guerra fredda». In questo clima tutte le speranze nutrite dal governo e dalla diplomazia italiana sulla possibilità che i vincitori tenessero conto del contributo italiano alla vittoria alleata in Italia, dopo l'armistizio del 3 settembre 1943, si rivelarono presto infondate. I problemi non venivano esaminati nella loro specificità ma come aspetto dei potenziali schieramenti in via di creazione in Europa. Così le speranze, e le promesse, di una pace «giusta» e «generosa», o le attese di una pace «provvisoria» vennero del tutto deluse. Proprio questo è il profilo dominante la documentazione pubblicata nel presente volume. Essa infatti mostra da principio la vastità delle illusioni nutrite da quasi tutti gli uomini politici e i diplomatici italiani (specialmente da Alberto Tarchiani, ambasciatore a Washington) e la graduale trasformazione di queste illusioni in altrettante ragioni di disappunto per il venir meno di formule elaborate lungamente muovendo da presupposti del tutto irrealistici. La documentazione mostra infatti come, sia dal punto di vista territoriale, sia da quello coloniale, sia da quello economico, sia da quello militare, il punto di partenza italiano mirasse a far convergere gran parte delle attese nutrite in Italia su una soluzione per il confine orientale non discosta dalla linea Wilson del 1919; su una soluzione del problema coloniale che tenesse conto delle tradizioni della colonizzazione prefascista; sulla speranza di non dover subire eccessive limitazioni militari o di non dover pagare riparazioni troppo elevate. I documenti di questo volume sono l'eloquente manifestazione del passaggio dalla fiducia in risultati non punitivi a una fase di pessimismo sempre più accentuato. Essi sono, in altre parole, la storia di una delusione. Il solo diplomatico italiano che sfuggì a questa mentalità, forse per indole, forse per educazione o forse per il punto di vista particolare dal quale egli poteva considerare i problemi (l'ambasciata a Mosca) fu Pietro Quaroni, i cui dispacci costituiscono nel loro insieme una cruda lezione di realismo diplomatico e di pragmatismo capace di diagnosi severe ma molto spesso fondate.

Oltre a documentare la posizione italiana durante la prima fase della elaborazione del trattato di pace del 10 febbraio 1947, le fonti pubblicate in questo volume contribuiscono a completare la conoscenza di singoli momenti di crisi: quella provocata dall'occupazione francese della Valle d'Aosta; quella, ben più acuta, provocata dall'occupazione jugoslava di Trieste e dalla difficoltà di ottenere il ritiro dei partigiani di Tito dalla città; quella riguardante il futuro dell'Alto Adige; quella riguardante il problema dei prigionieri di guerra e dei beni italiani detenuti in paesi ex-nemici. Particolare interesse rivestono le fonti relative al tentativo italiano di illustrare agli Alleati l'importanza della restituzione delle colonie prefasciste all'amministrazione italiana. Ciò che risalta con particolare evidenza è il sentimento di continuità che animava la diplomazia e il mondo politico italiano e la difficoltà che entrambi incontrarono nell'adattarsi alle conseguenze di una sconfitta che la cobelligeranza non era stata sufficiente a cancellare e che le dichiarazioni di amicizia bilaterali solo in parte lenivano. È infatti assai singolare notare come esista una sorta di divaricazione tra tali espressioni, i fatti emergenti dai dibattiti del Consiglio dei ministri degli Esteri e le conversazioni bilaterali tenute dai principali ambasciatori italiani (Alberto Tarchiani a Washington; Giuseppe Saragat a Parigi; Niccolò Carandini a Londra; Pietro Quaroni a Mosca) nelle sedi presso le quali essi erano accreditati: conversazioni improntate quasi sempre a un profondo desiderio di ristabilire su basi di perfetta amicizia o di spiccata buona volontà le relazioni di questi paesi con l'Italia, quasi che il problema del trattato di pace dovesse considerarsi come una vicenda dissociata e da dissociare dagli sviluppi futuri di tali relazioni. In fondo, questa è la considerazione che i testi pubblicati nel presente volume propongono alla riflessione di coloro che ne faranno uso scientifico.

2. -La documentazione disponibile sugli argomenti indicati è piuttosto esigua sino all'aprile 1945; dopo la riunificazione essa acquista una ricchezza tale da aver imposto una selezione abbastanza rigorosa dei testi da pubblicare, con sacrificio di telegrammi ripetitivi o riguardanti aspetti troppo analitici, oppure di rapporti riassuntivi rispetto a una puntuale documentazione che viceversa si è ritenuto opportuno di pubblicare. Anche in questo caso va tenuta presente la difficoltà delle comunicazioni fra i rappresentanti nelle capitali straniere e Roma. Talora la corrispondenza risente della necessità di aggirare l'ostacolo di certi controlli o, nel caso macroscopico di Quaroni, delle difficoltà frapposte dal governo sovietico al regolare invio della valigia diplomatica italiana, difficoltà che Quaroni seppe aggirare con abilità ma non senza fatica. 3. -Le carte che vengono pubblicate in questo volume sono state tratte dai seguenti fondi dell'Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri: telegrammi in arrivo e partenza; Archivio riservato della Segreteria Generale 1943-1948; Affari Politici 1931-1945; Carte delle ambasciate a Londra, Madrid, Mosca, Parigi, e Washington.

Oltre ai fondi archivistici sopra indicati, le ricerche sono state naturalmente estese anche ad altri archivi ed in particolare all'Archivio centrale dello Stato (Presidenza del Consiglio, Carte Bonomi) e a quello dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Desidero ringraziare per la collaborazione prestata il sovrintendente dott. Mario Serio e i funzionari dell' ACS, il dirigente dell'Ufficio Storico SME col. Gay e il col. Frattolillo.

È peraltro da sottolineare la mancata consultazione dell'archivio privato del presidente De Gasperi, non essendo pervenuta risposta alcuna alla richiesta della Commissione che, va ricordato, fu proprio da De Gasperi istituita per render noto con larghezza e precisione il materiale documentario relativo alla politica estera italiana.

4. Vari documenti importanti erano già stati pubblicati nelle raccolte ufficiali degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (United States and Italy 1936-1946, Documentary Record, Washington, United States Government Printing Office, 1946; Foreign Relations of the United Sta t es, The Conference of Ber/in ( Potsdam), 1945, voli. 2, Washington, United States Government Printing Office, 1960; Foreign Relations of the United Stafes, 1945, vol. II, Generai: Politica/ and Economie Matters, Washington, United States Government Printing Offiçe, 1967; Foreign Relations of the United States, 1945, vol. III, European Advisory Commission: Austria, Germany, Washington, United States Government Printing Office, 1968; Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, Europe, Washington, United States Government Printing Office, 1968; Documents on British Policy Overseas, serie I, voli. I e Il, London, Her Majesty's Stationary Office, 1984-85) e ricordati o editi in altre pubblicazioni ufficiali inglesi o americane (SIR LLEWELLYN WooDWARD, British Foreign Policy in the Second World War, voli. III-IV, London, Her Majesty's Stationery Office, 1973-76; C.R.S. HARRIS, Allied Military Administration of Italy, 1943-1945, London, Her Majesty's Stationary Office, 1957; HARRY L. CoLES and ALBERT K. WEINBERG, Civil Affairs: Soldiers become Governors, Washington, Department of the Army, 1964), opere delle quali si è tenuto conto nelle ricerche. Del pari conto si è tenuto delle memorie dei protagonisti, in talune delle quali erano pure già stati pubblicati o largamente riassunti documenti, che sono stati comunque riscontrati sugli originali. Ciò vale in particolare per ALBERTO TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, Milano, Mondadori, 1955 e per EGIDIO ORTONA, Anni d'America. La ricostruzione 1944-1951, Bologna, Il Mulino, 1984. Molto del materiale pubblicato è stato già utilizzato in saggi o raccolte di fonti riguardanti il 1945 e la formazione del trattato di pace: da M. Toscano a B. Cialdea agli studiosi delle generazioni più recenti, questa documentazione è stata la fonte per studi che è impossibile citare tutti in questa sede.

5. Nella preparazione di questo volume sono stato aiutato dalla dott. Emma Moscati Ghisalberti per la ricerca archivistica sui fondi ministeriali, la redazione delle note, dell'indice sommario e della tavola metodica e dalla dott. Alessandra Raffa per le ricerche negli archivi esterni e la compilazione delle appendici e dell'indice dei nomi. La revisione redazionale è stata curata dalla dott. Francesca Grispo. Infine alla signora Fiorella Giordano si deve il coordinamento con il Poligrafico per la stampa del volume. A loro va il mio sentito ringraziamento e la mia gratitudine, nella piena consapevolezza che il loro contributo costituisce la premessa fondamentale per il compimento di questo lavoro.

ENNIO DI NOLFO

Numero docum.

lO

Provenienza

e data

Roma 12 dicembre 1944

Roma 15 dicembre

Londra 15 dicembre

Roma 16 dicembre

Mosca 17 dicembre

Londra 19 dicembre

Mosca 20 dicembre

Roma 20 dicembre

Roma 20 dicembre

Roma 20 dicembre

Mosca 21 dicembre

Londra 21 dicembre

Washington 21 dicembre

Washington 21 dicembre


DOCUMENTI
1

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. cc. 200. Roma, 12 dicembre 1944.

You will recall the verbal assurances which you ha ve given to me upon the interpretation and scope of DLL n. 151 of the 25th June, 1944, setting up the Constituent Assembly. Nevertheless you are no doubt aware that widely different interpretations have been placed on this decree in different quarters, and the true effect of Artide l and the functions of the Constituent Assembly have been variously construed.

In view of the concern of the Allies in this matter I should appreciate i t if you would submit for the prior approvai of the Allied Commission any legislation which is proposed to pass dealing with the methods and procedure to be adopted to enable the Italian people to select the regime and constitution of the State and to elect the members of the Constituent Assembly.

2

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 15 dicembre 1944.

Le conversazioni fra noi e i francesi sono giunte a questo punto:

l. La Francia considera nulle e decadute le convenzioni del '96. È peraltro pronta a giungere a una soluzione concordata, invece che unilaterale e violenta: cioè a negoziare con noi una nuova convenzione consolare e di stabilimento per la Tunisia. Tale convenzione dovrebbe tuttavia essere semplicemente basata sul diritto comune: essere cioè una convenzione di stabilimento di tipo assolutamente ordinario. Non si terrebbe dunque affatto conto della speciale struttura, figura, fisionomia della collettività italiana di Tunisi.

2. Negoziare una nuova convenzione importerebbe una lunga sosta. Per accorciare i tempi, la Francia richiederebbe oggi da parte nostra soltanto un impegno scritto a negoziare in un prossimo futuro una nuova convenzione sulla base del diritto comune e, naturalmente, la conseguente presa d'atto della decadenza delle convenzioni del '96.

3. Appena in possesso di tale impegno scritto, non vi sarebbero da parte francese difficoltà a riprendere senz'altro le relazioni diplomatiche e consolari fra Italia e Francia, sia pure con la procedura usata sin qui dai britannici (cioè rappresentanti con rango personale di ambasciatore e senza lettere credenziali). I nostri consolati in Francia potrebbero essere subito quattro: Parigi, Marsiglia, Tolosa, Nancy.

Punto di vista nostro è il seguente. Al sacrificio delle convenzioni del '96 e alla perdita dei conseguenti privilegi e g ranzie che quelle convenzioni assicuravano alla nostra collettività in Tunisia dovrebbe corrispondere un prezzo. Secondo la proposta francese tale prezzo dovrebbe semplicemente essere la ripresa delle relazioni. Noi vorremmo invece agganciarvi, oltre che quella ripresa, almeno un inizio di concreto generale riavvicinamento italo-francese e un qualche impegno nel senso che il governo francese ci desse atto che, dopo il raggiunto accordo per la Tunisia, non ci sono più ragioni di serio contrasto fra i due Paesi; i conti con la Francia possono in conseguenza considerarsi liquidati; il cammino è sgombro per un maggiore progressivo riavvicinamento economico, culturale, politico italo-francese 1 .

3

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 171/44. Londra, 15 dicembre 1944 (per. il 30).

Seguito a telespresso in data 3 corr. n. 102111 2 .

A pochi giorni di distanza dalla riunione organizzata dalla Jugoslav Society in Great Britain, il generale Velebit, capo della missione militare inviata dal maresciallo Tito in questo paese, ha fatto alcune dichiarazioni ai giornalisti che, pur essendo riportate da pochi giornali senza commenti, meritano essere segnalate a codesto ministero.

Il generale ha dichiarato che, mentre è da considerare «prematura» la notizia della nomina del maresciallo Tito a primo ministro e del signor Subasich a ministro degli Esteri, è esatto che si spera poter costituire a Belgrado, alla fine di dicembre, un governo jugoslavo. La Jugoslavia sarà certamente una federazione ma non è

1 Annotazione a margine di Prunas: «Visto dal ministro. E m questo senso il ministro ha intrattenuto Couve 16 dicembre».

2 Vedi serie decima, vol. I, D. 553.

ancora deciso come verrà regolata la questione istituzionale se, cioè, attraverso un plebiscito, un'assemblea costituente o mediante l'applicazione dell'articolo 116 della costituzione in vigore. Per il momento re Pietro non farà ritorno nel paese ma non è stabilito come egli manterrà i contatti con il governo; forse a mezzo di un consiglio di reggenza.

Riferendosi quindi alla sistemazione delle frontiere jugoslave il generale Velebit ha detto che il governo è deciso a chiedere «Trieste e l'Istria, ad oriente dell'Isonzo», e di ritenere che avrebbe l'appoggio degli alleati al riguardo. Il generale ha concluso affermando che gli sloveni pretendono altresì la cessione del distretto di Klagenfurt nell'Austria meridionale.

Allego con l'occasione copia di un articolo apparso nel New Statesman and Nation del 9 corrente intitolato «Trieste or Trst1» che sostiene il punto di vista jugoslavo. A quanto vengo informato il suo autore signor A.J.P. Taylor è un professore dell'università di Oxford 2•

4

L'AIUTANTE DI CAMPO DEL LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO, INFANTE, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

APPUNTO. Roma, 16 dicembre 1944.

Si è ieri presentato nel mio ufficio il comandante Averoff, rappresentante greco nella Commissione Alleata che io non conoscevo.

Egli mi ha dichiarato che la sua visita aveva carattere interamente privato; ma che convinto che in avvenire Grecia e Italia avrebbero come sempre avuto bisogno una dell'altra, sentiva il dovere di prospettarmi il suo punto di vista per evitare che in questo momento le relazioni fra italiani e greci si aggravassero maggiormente.

Con il ritorno dei nostri militari dalla Grecia e dall'Albania, si era iniziata su alcuni giornali una velenosa campagna tendente ad allarmare ed a esasperare l'animo di tutte le famiglie che nei Balcani avevano qualche loro congiunto. Il comandante Averoff riconosceva perfettamente che violenze, sfruttamenti ed atrocità potevano essere state commesse verso italiani da parte della popolazione greca. Ma faceva presente che innumeri testimonianze affermavano che molti italiani erano stati salvati, assistiti, protetti, spesso a rischio della propria vita, dai greci durante questo duro anno di sofferenze. D'altra parte, il comandante Averoff aggiungeva, gli stessi greci hanno subito, per la guerra civile, atrocità e sofferenze, da parte di altri greci. Ciò è stata conseguenza della miseria, delle rovine, della fame nel vero

I Non pubblicato.

2 Sulla questione della frontiera orientale vedi DIEGO DE CASTRO, La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, Lint, 1981.

senso della parola, nelle quali il popolo greco è stato gettato dalla guerra, provocata dall'aggressione italiana.

Gli italiani, in Grecia, che all'atto dell'armistizio non si arresero ai tedeschi, sono stati forse 20-30 mila. Gli altri, circa 150 mila uomini, furono deportati in Germania, e la loro tragica sorte verrà un giorno conosciuta. Quelli rimasti in Grecia hanno vissuto miseramente, come ha vissuto la popolazione greca: 3-4 mila nascosti in Atene, 3-4 mila in città minori, altri sulle montagne, suddivisi nei villaggi per vivere forse talvolta sfruttati, ma in condizioni di poter vivere ed oggi in grado di rimpatriare.

Il comandante Averoff era stato egli tesso per molti mesi imernato da noi nel campo di concentramento di Larissa, prima che io assumessi il comando della Pinerolo. Egli vi aveva sofferto fame, freddo, tutte le umiliazioni del campo di concentramento. Aveva assistito al prelevamento degli ostaggi da parte delle autorità italiane per le fucilazioni; aveva visto i villaggi bruciati e depredati da rastrellamenti e spedizioni punitive compiute da reparti italiani. Trasportato in Italia e liberato dagli Alleati, dopo l'armistizio, egli ora assiste con dolore alle distruzioni ed alle sofferenze del popolo italiano, che espia amaramente le proprie colpe. Ma riterrebbe opportuno, anzi necessario, evitare campagne di stampa che avvelenano gli animi, eccitano l'opinione pubblica e provocano fatali reazioni.

Vi sono ora in Italia truppe greche che combattono con gli Alleati. Queste si sono fortemente risentite degli articoli apparsi sui giornali contro il popolo greco, ed è umano che siano eccitate e sfoghino contro le popolazioni italiane quello che la popolazione greca ha sofferto da reparti italiani.

Ed infine, il comandante A veroff ha concluso, è naturale che ora da parte greca si ricerchino i «criminali di guerra italiani» e si denunzino le atrocità compiute dagli italiani in Grecia, per giustificare il risentimento e le violenze di alcuni greci verso gli italiani.

5

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 17In9. Mosca, 17 dicembre 1944, ore 23,25 (per. ore 14 del 13 gennaio 1945).

Telegrammi di V.E. n. 27 e n. 73 1•

Per quanto concerne lista nostri prigionieri governo sovietico insiste suo punto di vista che in base convenzione internazionale vigente consegna lista è solo ammissibile a titolo reciprocità. Autorità italiane non avendo a suo tempo inviato lista prigionieri sovietici in mano italiani tutti miei sforzi a fine dimostrare:

l) che autorità italiane hanno inviato lista prigionieri sovietici e che hanno cessato di farlo solo a causa di mancanza reciprocità da parte dei sovietici;

1 Vedi serie decima, vol. I, DD. 359 e 534.

2) che il governo democratico italiano sarebbe ben felice agire in base reciprocità ma si trova nell'impossibilità materiale di farlo e che da parte sua ha fatto e fa tutto il possibile per alleviare sorte prigionieri sovietici ancora in Italia e non è quindi giusto chiedergli reciprocità formale o fargli subire responsabilità della politica seguita a questo riguardo dal governo fascista;

3) che questione oggi non è per noi giuridica ma umanitaria: si urtano contro il muro.

Ho potuto ottenere che:

l) richiesta avanzata da codesto ministero per rimpatrio prigionieri anziani ed invalidi fosse appoggiata presso autorità competente;

2) che sia messa sollecitamente allo studio possibilità ampliare considerevolmente servizio notizie prigionieri dal ministero Affari Esteri attualmente da radio Mosca in italiano. Continuo tuttavia insistere presso il governo sovietico pur senza eccessive speranze.

Debbo aggiungere che ogni qualvolta ho sollevato questione dei prigionieri di guerra atteggiamento autorità sovietiche è stato improntato intransigenza quasi aspra di cui non riesco spiegarmi ragione. Rilevo anche che ogni volta da parte sovietica si è ritornato sull'argomento atrocità e spoliazioni compiute da truppe italiane in territorio sovietico. Rapporto commissione inchiesta sovietica sull'argomento sarebbe stato consegnato, su sua richiesta, al conte Sforza e non al governo italiano. Mi risulta d'altra parte in maniera positiva che i prigionieri italiani sono trattati molto bene. ·

6

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 245/94. Londra, 19 dicembre 1944 (per. il 27).

È venuto a vedermi il direttore generale del dipartimento dell'Europa meridionale di questo ministero degli Affari Esteri polacco per intrattenermi sulla questione della normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. Il ministro Siedlewski mi ha detto che il suo governo intendeva rimettersi completamente alle nostre decisioni sulla via da seguire e che pertanto era disposto ad addivenire anche subito alla nomina di un ambasciatore o di un incaricato d'affari a seconda del rappresentante che avrebbe designato il R. governo. Per quel che concerneva il governo polacco siffatti rappresentanti avrebbero potuto procedere anche subito alla presentazione delle credenziali. Senonché l'ambasciatore britannico presso tale governo faceva conoscere proprio ieri al ministro degli Affari Esteri polacco che queste competenti autorità «si attendevano che il rappresentante italiano presso un governo che è ospite di Sua Maestà britannica non avrebbe avuto a Londra una situazione più favorevole di quella riconosciuta al rappresentante italiano presso il governo britannico». Il Foreign Office non intende cioè che si addivenga da parte nostra alla presentazione di credenziali a qualsiasi capo di Stato rifugiato a Londra, prima che a me non sia stato concesso di regolarizzare la mia situazione nei confronti di questo Sovrano.

Giudicherà V.E. la miglior via da seguire. È certo che i polacchi sono impazienti di stringere i vincoli più cordiali e dar prova tangibile della loro buona volontà. Mi domando se per venire loro incontro, pur restando nei limiti desiderati dal Foreign Office, non sarebbe il caso di procedere subito alla designazione di un

R. ambasciatore, rendendo noto ad un tempo che, in attesa che vengano rimosse le difficoltà tecniche che si oppongono alla immediata presentazione delle credenziali il R. governo sarebbe rappresentato presso il governo polacco di Londra da un suo incaricato d'affari a.i. Finché poi non sia possibile a siffatto incaricato d'affari di assumere le sue funzioni, potrebbe continuare questa ambasciata a mantenere i necessari contatti, soprattutto se, come propongo in separata sede, verrà adeguatamente aumentato il numero dei miei collaboratori.

Sullo stato presente della questione polacca riferisco con rapporto a parte 1• A richiesta del ministro Siedlewski prego intanto V.E. di non voler intrattenere sulla faccenda in trattazione codesto rappresentante polacco, che verrà messo al corrente dal suo governo non apena V.E. avrà fatto conoscere qui le sue decisioni che verranno senz'altro accolte.

7

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 179/81. Mosca, 20 dicembre 1944, ore 21,48 (per. ore 16,30 del 13 gennaio 1945).

Telegramma di V.E. 71 2 .

Mi sono interessato questione appena informatone da Bucarest.

Per quanto concerne militari italiani trovati da truppe sovietiche in Rumania e Bulgaria mi è stato assicurato formalmente che tutti coloro che in base risultati inchiesta attualmente in corso sarà constatato essersi dopo armistizio rifiutati collaborare con tedeschi ed essere stati perciò rinchiusi campi concentramento e comunque adibiti lavori forzati saranno restituiti. È stata però attirata sommessa attenzione su difficoltà materiale rimpatrio: governo sovietico non è in grado provvedere mezzi necessari: dovremmo occuparcene noi. Collaborazionisti saranno invece trattati come prigionieri di guerra. Autorità sovietiche contestano però possa trattarsi quantitativo così ingente come quello segnalato da Bova Scoppa.

l Non pubblicato. 2 Vedi serie decima, vol. I, D. 523.

Rilevo intanto: l) autorità sovietiche sono in genere prevenute circa atteggiamento truppe italiane presenti Balcani al momento armistizio. Osservano che parecchi italiani come divisione Garibaldi ed altri che hanno voluto hanno potuto unirsi partigiani e prendere parte attiva lotta contro tedeschi. Data superiorità numerica italiani in rapporto tedeschi in molte località Balcani trovano inspiegabile come essi si siano lasciati così facilmente soverchiare dai tedeschi: sono portate attribuire tradimento volontà collaborazione quello che probabilmente è stato solo frutto confusione. Riterrei molto opportuno che governo italiano prendesse iniziativa chiedendo autorità sovietiche informazioni cft"ca atteggiamento specie comandanti grandi unità per eventuali sanzioni nostre. Ciò nonostante sono sicuro che inchiesta sarà condotta imparzialmente. 2) Autorità sovietiche sono irritate difficoltà che incontrano presso autorità alleate per liberazione rimpatrio prigionieri di guerra e civili sovietici trovati in Italia Francia altrove e nostri soldati si trovano soffrire questa situazione. 3) Autorità sovietiche sono preoccupate dal problema che debbano esse stesse risolvere ricupero l O o 15 milioni prigionieri e civili deportati e mezzi finanziari e materiali che rimpatrio simile massa popolazione richiede. Logicamente essi daranno assoluta precedenza rimpatrio assistenza loro nazionali. Sarebbe molto utile se da parte nostra si volesse chiarire se intendiamo che assistenza nostri militari e civili sia lasciata esclusivamente benevolenza sovietica o se possiamo in tutto o in parte assumercene onere almeno finanziario o stabilire fin da ora se possibile da parte nostra approntare mezzi materiali per rimpatri. Ho intanto avuto assicurazione che inchiesta sarà condotta più rapidamente possibile, che mi saranno date al più presto informazioni esatte circa numero e condizioni italiani e che ordini tassativi sono stati dati perché italiani quali che siano circostanze in cui vengano a cadere nelle mani dei sovietici vengano subito separati dai tedeschi. Per quanto concerne prigionieri e civili italiani in territorio polacco e jugoslavo mi è stato risposto che dobbiamo rivolgerei autorità polacche e jugoslave.

8

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 20 dicembre 1944.

In data 11 settembre 1 , rispondendo ad una lettera di S.E. Visconti Venosta del 15 agosto2 nella quale venivano espresse le preoccupazioni del governo italiano per la situazione che avrebbe potuto crearsi nella Venezia Giulia al momento della

l Vedi serie decima, vol. I, D. 399. 2 !bid., D. 344.

sconfitta tedesca, l'ammiraglio Stone informava esser «attualmente intenzione del Comando Supremo alleato di mantenere sotto governo militare alleato, dopo la liberazione dell'Italia del nord», la provincia tanto della Venezia Giulia che della Venezia Tridentina.

Se la risposta di Stone venne a confermare quanto già per altre vie ci risultava, è anche da tener presente che essa risale all'epoca della visita di Churchill e delle disposizioni di carattere generale che proprio in quei giorni vennero prese per l'occupazione dell'Europa da parte delle Nazioni Unite, in vista di un collasso della Germania, allora atteso a breve scadenza.

Il collasso non ha avuto luogo. Le armate alleate in Italia, che sembravano esser alla vigilia della conquista della valle padana, si trovano appena alle porte di Imola: anzi la tesi strategica recentemente esposta da Alexander è che, anziché una liquidazione del fronte italiano conviene piuttosto, nell'economia generale della guerra a occidente, impegnare il maggior numero di divisioni germaniche in Italia. Di converso i sovietici, che a settembre erano appena in Romania, hanno nel frattempo quasi ultimato la conquista del territorio ungherese e serrano oramai su Bratislava e Vienna.

La «intenzione» annunciata tre mesi or sono da Stone minaccia quindi, nel caso di un crollo tedesco in Croazia, di rimanere sommersa dal fatto compiuto sovietico o, quel che forse sarebbe ancor peggio, da quello partigiano.

In queste circostanze, solo uno sbarco anglo-americano sulle coste istriane potrebbe evitare il peggio. Ma uno sbarco, sopratutto per i maniaci dell'according to pian, deve esser accuratamente preparato. E poi occorrerebbe cercare di ottenere che vi partecipino, almeno a titolo simbolico, delle unità o degli elementi nostri.

Mi permetto sottoporre queste considerazioni a V.E. per il caso si ritenesse di esaminare la possibilità e convenienza di qualche nuovo passo presso le autorità alleate, se non altro per accertare quali siano le loro odierne intenzioni.

N.B. Una nuova lettera diretta il 16 novembre1 dal marchese Visconti Venosta all'ammiraglio Stone per ricordargli la questione, è rimasta a tutt'oggi senza risposta 2•

9

IL CAPO DELL'UFFICIO SESTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 20 dicembre 1944.

Da parte cinese, in occasione della ripresa delle relazioni tra Roma e Chung King, è stato avanzato il desiderio che l'Italia, dando esplicita formale adesione al principio di unità ed integrità della Cina, revochi pubblicamente i riconoscimenti già accordati dal governo fascista all'Impero del Manchukuò (novembre 1937) ed

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 541, la cui traduzione inglese è del 21 novembre 1944. 2 La risposta era invece giunta: vedi ibid., D. 541, nota 5.

al cosidetto governo nazionale cinese di Nanchino (lo luglio 1941)1• Le due questioni sono state attentamente esaminate dal ministero.

È da premettere al riguardo che già nel telegramma diretto dal presidente del Consiglio Bonomi al maresciallo Chang Kai-Shek 2 vi è un esplicito accenno «all'integrità del territorio cinese ed al recupero della piena ed incontrastata sovranità cinese su tutto il territorio nazionale». Con lettera diretta dal sottosegretario agli Affari Esteri al ministro di Cina presso la Santa Sede, in data 8 novembre 1944, 3 si attirava appunto l'attenzione di S.E. Siè «sulla netta e precisa, presa di posizione del governo italiano in merito all'integrità territoriale della Cina» facendo riferimento all'accenno suindicato.

Per quanto concerne la semplice revoca del riconoscimento dato dall'Italia fascista al governo di Nanchino, essa deve in realtà considerarsi già avvenuta in seguito al ripristino delle relazioni col governo di Chung King ed alla nomina colà di un nostro rappresentante diplomatico. Peraltro, qualora da parte cinese si insistesse nel richiedere una nostra dichiarazione formale al riguardo, non parrebbe che vi possano essere ormai ostacoli da parte nostra. La dichiarazione potrebbe essere fatta per iscritto in via diplomatica, o meglio, in occasione di una qualche prossima manifestazione o avvenimento interessante i rapporti italo-cinesi. Poiché gli interessi italiani nella Cina occupata dai giapponesi dovrebbero essere tutelati dagli pseudo rappresentanti diplomatici neofascisti a Tokio ed a Nanchino, questa nostra dichiarazione o manifestazione non dovrebbe avere particolari ripercussioni dannose, salvo forse, purtroppo, nei confronti del nostro personale diplomatico consolare e di qualche connazionale leale al R. governo, internati dai giapponesi e già sottoposti ad un trattamento specialmente duro.

_L~. mwstione __ ;;~.ssum~r~p_b~, _p~rJJ.l~rq,__u_n_ l!-sP.t<tto più complicato, qualora il governo di Chung King richiedesse che nella stessa occasione il R. governo riconfermasse le concrete rinunzie già fatte dall'Italia fascista in favore della Cina di Wang Ching-Wei, circa i propri diritti amministrativi nel quartiere delle legazioni a Pechino (29 marzo 1943); nella concessione internazionale di Shanghai (23 giugno 1943); nella concessione di Tientsin (15 luglio 1944); nonché circa il diritto a tenere guarnigione in Cina (pure 15 luglio 1944). Va tenuto, però, presente che lo stesso regime neofascista, malgrado le ovvie pressioni giapponesi, non avrebbe ancora rinunziato «ai diritti di extraterritorialità in Cina».

Sulla complessa materia dei cosidetti diritti di extra territorialità in Cina, si riferirà ampiamente con una dettagliata relazione: basterebbe qui accennare che tali diritti concernono la giurisdizione consolare e conseguenti speciali immunità godute da cittadini di determinate nazioni in territorio cinese.

È da rilevare, in linea di massima, che, salvo fosse ritenuto indispensabile agire diversamente, potrebbe essere più opportuno dare mandato al R. ambasciatore, che dovrà recarsi in Cina, di procedere a quelle conferme di precedenti rinunzie che si ritenessero sul posto utili ed opportune. L'attuale situazione dell'Italia potrebbe, infatti, rendere consigliabile una speciale ponderatezza: quel che noi possia

l Vedi serie decima, vol. I, D. 511. 2 Ibid., D. 511, nota l p. 589. 3 Non pubblicata.

mo dare oggi alla Cina è così poco che sarebbe preferibile valorizzare opportunamente i nostri concreti atti di rinunzie a favore della Cina, onde ottenere possibilmente quelle contropartite che altre Potenze possono invece agevolmente procurarsi. Date le attuali incognite della situazione cinese, che è ora piuttosto confusa, ove potessimo attendere per concrete rinunzie l'arrivo sul posto del R. ambasciatore, otterremmo anche la certezza di valorizzare adeguatamente quelle rinunzie che l'Italia democratica è disposta a fare in favore di uno stabile governo cinese.

Va, infine, considerato che in una conferenza stampa, tenuta il 5 corrente a Chung King, il portavoce del governo ha dichiarato che soltanto quattro Stati godrebbero presentemente di «speciali diritti» in Cina e cioè l'Olanda, la Svizzera, la Svezia ed il Portogallo. Con l'Olanda si svolgerebbero negoziati a Londra, con le altre tre Nazioni la Cina avrebbe concluso delle stipulazioni, secondo le quali i privilegi da queste goduti cadrebbero automaticamente allorché fossero concluse le trattative con tutte le altre Potenze. Risulterebbe, peraltro, che la dichiarazione su riassunta non sia completa, per quanto concerne gli Stati che non hanno rinunziato ai loro privilegi.

Per quanto concerne, poi, la revoca del riconoscimento accordato dall'Italia all'Impero del Manchukuò, ove si trattasse di una revoca pura e semplice senza un contemporaneo riconoscimento dell'appartenenza della Manciuria alla Cina, non sembra che vi possano essere da parte nostra particolari difficoltà.

Gli interessi italiani in Manciuria sono molto limitati: nel 1940, i nostri connazionali i vi residenti erano appena 41, provenienti quasi tutti dall'U.R.S.S. ed italiani, in massima, solo di passaporto. Come già precedentemente accennato alla protezione degli interessi italiani, si suppone, provvederà d'altronde quella rappresentanza diplomatica ncofascista .

. . .Per ccmtr.o .~çtrepbt!_ Q'!._ considerare prematuro un nostro esplicito riconoscimento dell'appartenenza della Manciuria alla Cina, data l'ancora non chiarita situazione dell'U.R.S.S. nel problema di Estremo Oriente. È possibile che gli eventi della primavera 1945, se non forse addirittura il prossimo incontro a Tre, offriranno maggiori elementi di giudizio, dato la nostra evidente convenienza a non essere coinvolti in questioni, nelle quali, per ora almeno, non abbiamo interessi diretti.

Si ha l'onore di allegare una relazione sulla questione mancese e sulla situazione internazionale del Manchukuò che contiene i necessari elementi di giudizio su questo problema1•

10

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO 356. Roma, 20 dicembre 1944.

Dal complesso delle informazioni che ci pervengono da parte francese sembra doversi dedurre che vi è tendenza, a Parigi, a considerare il regolamento della

l Non pubblicata.

questione degli «statuti tunisini» come condizione «previa» per la normalizzazione dei rapporti diplomatici fra i due Paesi.

Mi si consentano al riguardo alcune osservazioni.

La questione degli statuti tunisini non è stata sollevata da parte nostra; sono stati invece i francesi a dichiarare decaduti detti statuti ed accompagnare la dichiarazione di decadenza con chiarimenti autorevolmente espressi, secondo cui tale decadenza è da considerarsi definitiva e irrevocabile. Nonostante che in un certo momento ci si lasciasse intravedere la possibilità di sostituire le Convenzioni del '96 con una convenzione consolare che tenesse conto della «particolare fisionomia» della nostra colonia in Tunisia, tali propositi concilianti sono poi stati lasciati cadere: 1°) col rifiuto a considerare come basi per una possibile discussione le proposte da noi presentate in via ufficiosa, e 2°) con la dichiarazione che a Parigi si considera la questione come reso/ue.

D'altra parte i francesi sentono di non essere del tutto a posto sulla base della denuncia unilaterale delle convenzioni, e vogliono garantirsi contro la possibilità che la questione possa venire da noi risollevata in prosieguo di tempo. Come noto infatti noi abbiamo sempre sostenuto che la decadenza delle convenzioni del '96 importerebbe il ritorno alle convenzioni anteriormente concluse fra gli Stati italiani e la Tunisia, che garantivano a favore degli italiani nella Reggenza il regime capitolare. Mentre un eventuale richiamo a siffatta tesi, incontrerebbe la irriducibile ostilità francese e non avrebbe per ovvie ragioni alcuna speranza di essere preso in considerazione, è però da tener presente che sul piano giuridico abbiamo tuttora la possibilità di contestare ai francesi il diritto di imporre agli italiani in Tunisia la cittadinanza francese.

I poteri della Francia in Tunisia sono infatti solo quelli di una potenza protettrice, e tali poteri non implicano il diritto di imporre la propria cittadinanza per legge a stranieri residenti, sia pure da più generazioni, nel Beylicato. L'attribuzione della propria cittadinanza a stranieri appartiene infatti, per comune dottrina, alle funzioni tipiche della piena sovranità, e non può quindi effettuarsi su un territorio soggetto a regime di protettorato. L'argomento ha già fatto oggetto di contestazione fra Parigi e Londra nel 1923, e la Corte permanente di giustizia internazionale, investita dal governo britannico, emise un parere di massima nel quale, affermandosi il carattere internazionale della questione, si sanzionava, in sostanza, la tesi suesposta.

È probabilmente in considerazione della nostra possibilità di ricorrere a quell'argomento che i francesi vogliono vedere la nostra firma in calce ad un atto che sanzioni la irrevocabile decadenza degli statuti tunisini attraverso la stipulazione di una cpnvenzione consolare e di stabilimento.

Giova a questo punto ricordare che gli statuti tunisini furono strenuamente difesi da tutti i governi italiani, dal '96 in poi, e che in tale opera di difesa, i governi precedenti al fascismo furono sempre sostenuti dal Paese e dalle Camere: tale considerazione sembra dover essere tenuta presente nell'esaminare la possibilità

o meno di liberamente sottoscrivere, nell'attuale momento eccezionale della vita politica interna del Paese e nelle more del Parlamento, un atto formale quale quello che ci viene ora richiesto.

È vero che abbiamo perduto una guerra e che quanto poteva essere consentito a tutela dei nostri interessi e diritti nel campo internazionale è oggi estremamente più difficile di quanto non lo fosse tra il '96 ed il '39. Tuttavia ogni giorno che passa ci allontana sempre più dalle date più infauste della nostra storia recente, mentre non è da escludersi che negli sviluppi ulteriori del conflitto e delle competizioni internazionali, possano presentarsi per noi possibilità ed occasioni di migliorare la nostra situazione anche sul terreno diplomatico. Si direbbe che tale possibilità, oltre all'argomento giuridico su esposto, viene avvertita anche da parte francese: non si spiegherebbero altrimenti la fretta e le pressioni con le quali il Quai d'Orsay vuole indurci a riconoscere il fatto da esso compiuto in Tunisia imponendoci di sottoscrivere sino da ora condizioni che -a rigore -dovrebbero trovare la loro sede propria al momento della conclusione della pace, e mentre nulla di analogo per le questioni di loro specifico interesse -ci è stato richiesto dagli altri alleati.

Diversa può essere naturalmente la valutazione della questione se il sacrificio che ci viene richiesto potesse essere compensato da una conveniente contropartita. Ma tale contropartita dovrebbe avere un valore concreto e non soltanto formale, quale sarebbe la sola ripresa -con le note condizioni limitative -dei rapporti diplomatici.

Le dichiarazioni del rappresentante francese al Consiglio dell'U.N.R.R.A., i provvedimenti adottati nei confronti degli italiani in Francia e nelle colonie e protettorati francesi, il trattamento che continua a venire fatto ai nostri internati e prigionieri, l'atteggiamento assunto dai francesi nei confronti degli sbandati della 4a armata che vengono considerati prigionieri benché molti di essi abbiano combattuto coi maquis, il trattamento riservato ai patrioti dell'Alta Italia costretti a sconfinare, le riserve che vengono avanzate in merito ai danni che sarebbero stati da noi arrecati, nonché certe allusioni a rivendicazioni di carattere territoriale e coloniale, sono tutti sintomi di uno stato d'animo e di un conseguente partito preso 1 che non appare suscettibile di spontanei mutamenti pel solo fatto che noi dichiariamo formalmente di abbandonare al loro destino i 100.000 italiani della Tunisia.

Un vero e proprio accordo quindi, che impegni formalmente anche la parte francese, dovrebbe raggiungersi nel momento in cui da parte nostra si decidesse di accondiscendere alla richiesta del governo di Parigi per la Tunisia. In tale accordo una concreta contropartita potrebbe ottenersi qualora da parte francese si normalizzassero completamente i rapporti franco-italiani, riconducendo alla normalità la vita economica degli italiani viventi in Francia e nei territori sottoposti al controllo francese e disponendo la liberazione ed il rimpatrio dei militari e dei partigiani italiani, e qualora ci si dichiarasse esplicitamente di non avere alcuna rivendicazione nei nostri confronti: il che risponderebbe del resto al pensiero più volte espresso da autorevoli personalità francesi secondo cui -tolta di mezzo la questione tunisina non vi sarebbero altri problemi di natura politica da regolare tra Francia e Italia.

I Nota del documento: «Tale stato d'animo appare tra l'altro lumeggiato nella intervista accordata dal nuovo ministro degli Esteri francese, Bidault, al Sunday Times, in occasione della visita di Churchill a Parigi. Dopo una diffusa esposizione delle direttive della politica estera francese, l'unico accenno all'Italia appariva racchiuso nella seguente considerazione: 'È essenziale che i nostri amici si rendano conto che la Francia riacquisterà la sua importanza e che di conseguenza essa deve partecipare a tutte le decisioni capitali. La nostra fiducia, ad esempio, non potrebbe accrescersi qualora, senza consultarci, si riconoscesse l'Italia in qualità di quasi-alleato'».

14 Con l'occasione si dovrebbe anche cercare di ottenere per le colonie ed i protettorati francesi una convenzione di stabilimento analoga a quella stipulata tra Italia e Francia nel 1930 ma integrata da opportune garanzie ed agevolazioni che tengano conto delle esigenze proprie della vita coloniale, in modo da consentire agli italiani emigrati o che desiderassero emigrare nei protettorati e colonie francesi, di poter guardare con serena fiducia al proprio avvenire.

Sbarazzato così il terreno da ogni causa e motivo di attrito si potrebbe nel corso degli accordi progettati, abbordare anche l'esame di forme di più elevata collaborazione politica a vantaggio di entrambe le nazioni e a contributo della pacificazione e ricostruzione dell'Europa.

Sembra comunque da tener presente l'opportunità che, ove ci si avviasse a trattare con la Francia sulle basi su accennate, i governi inglese e americano, e quello dell'U.R.S.S., ne venissero tempestivamente informati onde evitare in essi l'impressione che, attraverso accordi diretti con la Francia, si cerchi tanto da parte nostra che da parte francese di voler perseguire una politica contraria agli interessi delle maggiori Potenze Alleate, il che, nelle attuali circostanze, sarebbe per noi di incalcolabile danno 1 .

11

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 178/82-83. Mosca, 21 dicembre 1944, ore 12,40 (per. il 13 gennaio 1945).

Mio telegramma n. 81 2•

Per quanto mi concerne fin dallo scorso settembre ho preso contatto col Comitato polacco liberazione per interessarlo sorte militari e civili italiani in Polonia. Ho parlato in proposito con presidente Rada, presidente Comitato e vari ministri nel corso loro visita Mosca: ho dato loro per diffusione tramite loro agenti Polonia occupata mio proclama indirizzato militari e civili italiani invitandoli prendere contatti con gruppi partigiani polacchi e presentarsi appena possibile autorità polacche. Da parte Comitato liberazione mi è stata data formale assicurazione che autorità polacche si interesseranno militari e civili italiani in cattività tedesca come dei polacchi e che a misura in cui territorio polacco sarà liberato mi daranno informazioni quanto possibile complete su italiani liberati.

Sono sicuro che faranno quanto è loro possibile.

Successivamente mi sono interessato anche presso ambasciatore jugoslavo che come è noto a V.E. rappresenta qui governo Tito. Ambasciatore al suo ritorno da Belgrado mi ha detto che italiani nei territori liberati sono liberi: sono riuniti in

1 Sul tema vedi MARIO TosCANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, II, Origini e vicende della seconda guerra mondiale, Milano, Giuffrè, 1963, pp. 415-419.

2 Vedi D. 7.

brigate sotto comando ufficiali italiani: quelli che ne esprimono desiderio sono aggregati divisione Garibaldi, altri sono organizzati in battaglioni volontari di lavoro, altri infine sono a spasso: ha aggiunto che a quanto gli risulta numero di quelli che si sono dichiarati disposti combattere è piuttosto stato scarso, adesione battaglioni lavoro è invece quasi generale. Mi ha promesso telegrafare Belgrado per aver notizie precise circa numero e condizioni italiani liberati: gli ho suggerito invitare governo jugoslavo procedere al più presto redazione liste nominative esatte italiani liberati e farle pervenire governo italiano. Siamo rimasti d'accordo che se esistono su questo argomento contatti diretti fra governo italiano e governo Tito, cesserò di occuparmene: in caso contrario continueremo tenerci in contatto a questo riguardo.

Per quanto concerne sia Polonia che Jugoslavia osservo:

I) mie possibilità azione sono limitate sfera personale fintantoché ... 1 Roma, e perciò equivoco atteggiamento governo italiano nei riguardi differenti governi due Paesi. Ho naturalmente spiegato, specialmente ai polacchi, difficoltà in cui si trova governo italiano precisando suo atteggiamento. V.E. comprenderà decisione che tutto quello che si può fare da parte nostra sulla via riconoscimento governi Lublino e Tito (mi riferisco ai rapporti nn. 122/6 e 124/8)2 o almeno definitiva autorizzazione trattare non a titolo personale ma in nome governo italiano avrà influenza su trattamento riservato Italia;

2) sarebbe opportuno vedere se ed in quanto sia possibile mettere eventuale accordo in proposito su base reciprocità: ciò ha particolare importanza per polacchi non aderenti governo Londra;

3) governi di Polonia e Jugoslavia si trovano essi stessi di fronte enormi difficoltà per problemi analoghi e soffrono acuta mancanza di risorse: è indispensabile quindi da parte nostra si studi possibilità almeno contribuire assistenza materiale nostri connazionali fino a quando non sia possibile procedere rimpatri; è difficile domandare a chi non ha per se stesso di dare a stranieri;

4) V.E. comprenderà importanza che sotto tutti i rapporti può avere per noi partecipazione attiva italiani liberati a lotta contro tedeschi, specie Jugoslavia, del resto cosa è facilitata da esistenza reparti italiani già costituiti. Se sono esatte le informazioni datemi circa atteggiamento che fa prevedere Jugoslavia, del resto facilmente comprensibile per mancanza di direttive, sarebbe opportuno che da parte nostra si facesse quanto è possibile per modificarlo. Da parte mia potrei contribuirvi, se V.E. è d'accordo, fra l'altro domandando autorizzazione fare a nome governo italiano appello diretto attraverso trasmissione italiana e jugoslava radio Mosca.

Prego V.E. assicurarmi che i telegrammi 79, 80 e 81 3 sono stati ricevuti essendo per ogni mia ulteriore azione indispensabile essere sicuro che V.E. è informata realtà situazione 4 .

l Gruppi indecifrati.

2 Vedi serie decima, vol. I, DD. 408 e 409.

3 Vedi DD. 5 e 7. Il T. 180180 del 17 dicembre, relativo alla corrispondenza dei prigionieri di guerra, non è pubblicato.

4 Prunas accusò ricevuta dei telegrammi indicati con T. 219 del 16 gennaio.

12

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 246/95. Londra, 21 dicembre 1944 (per. il 27).

Il mio primo incontro con quest'ambasciatore di Francia è stato, come prevedevo, molto cordiale.

Massigli non si è peraltro lasciato sfuggire l'occasione per dirmi che produceva cattiva impressione sulla opinione pubblica del suo paese il fatto che la stampa italiana continuava a presentare la situazione dell'Italia come parallela a quella della Francia. Evidentemente non torna gradito il confronto in quanto si direbbe che i francesi, pur lamentando in misura che si dice oltrepassare la sopportazione britannica le proprie miserie e distruzioni, non soltanto si considerano vincitori e quindi anche creditori della riconoscenza degli Alleati e soprattutto britannica, ma, interpretando in misura forse troppo ottimistica le recenti amichevoli espressioni di Churchill in occasione della liberazione dell'Alsazia, si sono lanciati in una serie di iniziative di politica estera che negli ambienti del F oreign Office, abituati a progredire con molta circospezione, potrebbero anche esser sembrate premature.

La Francia tende evidentemente a riprendere senza indugio il suo posto di potenza mondiale di primissimo rango, ciò che, dalle informazioni che mi pervengono, le è stato facilitato dalla rapidità con cui ha avuto luogo la liberazione del suo territorio; ma lo sarà forse ancor più dal fatto che gran parte delle sue industrie sono state ritrovate intatte ed, alcune delle più importanti, ampliate, completamente rimodernate e riorganizzate dai tedeschi, meglio di quanto non fossero prima della guerra.

La spinta verso questa esuberante attività diplomatica, misurata dagli stessi francesi con qualche esitazione, ad onta degli innegabili, rapidi successi conseguiti, è derivata in gran parte dalla brillante immaginazione di quel mondo politico francese, che è servito da una diplomazia ben preparata ed oggi guidato da un uomo che ha saputo indubbiamente guadagnarsi rispetto e fama di una personalità di prim'ordine. Ma le cause immediate che hanno determinato e fatto precipitare una siffatta attività appaiono da qui quanto mai obbiettive e circoscritte. Di carattere interno la prima, dovuta alla necessità di raggiungere una pacificazione degli animi e dei partiti, fomentando in ciascuno la duplice convinzione che il nuovo regime -e non è affatto fuori luogo parlar di regime -pur essendo ritenuto de Gaulle uomo di destra ed anti bolscevico, non aveva e non ha affatto idee preconcette, e non mira se non alla rinascita ed alla sicurezza della Nazione. Una seconda causa che è poi complementare della prima, è quella di assicurare alla Francia questa tanto desiderata e ricercata sicurezza, che non le era stato dato conseguire attraverso il Trattato di Versailles. Questo spiega forse come nulla potesse meglio soddisfare a quest'ordine di esigenza, se non l'alleanza franco-sovietica, presentata come qualche cosa di molto definitivo, quasi pietra miliare nell'orientamento della futura politica estera francese. Giacché, mentre in passato i mezzi della sicurezza ricercati nell'Europa orientale erano stati subordinati alle relazioni con l'Inghilterra, si direbbe che assistiamo ora ad un tentativo di capovolgimento della situazione o, per lo meno, alla creazione di un rapporto di interdipendenza assoluta. Ciò perché si direbbe che nel punto di vista francese, quanto ha guadagnato la Russia nei confronti della Germania e dell'Europa centrale e balcanica, altrettanto abbia perduto l'Inghilterra anche nei confronti dell'America: doppia perdita che non le consentirebbe nel futuro di correre da sola in difesa della Francia e quindi nemmeno di assicurarle l'intervento americano. La Francia, che mostra di avere poca fede nei nuovi sistemi di sicurezza internazionale, cerca quindi di decidere, seguendo le sue esigenze, sulla sorte della Germania e di coinvolgere nei suoi piani per il futuro la politica di quello che promette di essere il più forte sul continente. Di qui l'indifferenza, almeno apparente e forse soltanto provvisoria, per le sue tradizionali amicizie con la Polonia e con la Cecoslovacchia, le quali si gettano alla ricerca di nuovi appoggi, non ultimo quello dell'Italia, che avrà pure qualche cosa da dire nel futuro assetto dell'Europa.

Vien fatto di domandarci quali siano state o quali potranno essere le inevitabili reazioni inglesi di fronte a tanto inusitate prospettive. Questo governo si trova di certo in qualche imbarazzo, di cui si riscontrano sintomi convincenti nelle discussioni parlamentari di questi giorni sulla situazione greca, su quella belga nonché per la posizione alquanto equivoca in cui si è venuto a trovare nei confronti della Polonia. È chiaro che per esso la chiave di questi problemi, tutt'altro che indifferenti all'opinione pubblica locale, ed a quella nordamericana, si trova attualmente a Mosca, almeno finché non possa essere distratto da uno sforzo bellico che la situazione non gli consente davvero di rallentare. Per questo ritengo molto verosimile quanto mi venne riferito, che Londra avesse spinto de Gaulle per compiacere a Mosca ed avesse anche espresso la sua soddisfazione al giungere delle prime notizie sugli accordi quivi raggiunti tanto più che, sempre a quanto mi si riferisce, l'ambasciatore Massigli, nei giorni precedenti alla firma del patto, avrebbe affermato di non aspettarsi nulla di positivo dal convegno. Ma si direbbe ora, a giudicare più che dall'atteggiamento della stampa da quanto ne traspare e dalle voci che corrono per la capitale, che qualche sospetto e qualche preoccupazione si stia affacciando alla mente dei dirigenti della politica britannica. Non sembra infatti che si possa tollerare qui che l'alleanza franco-russa vada al di là di quanto è destinato a soddisfare l'U.R.S.S., mentre si dovrebbe voler evitare che questa possa trarre una sensazione euforica della situazione, sì da farle considerare un indebolimento della posizione della Gran Bretagna in Europa; tanto più che il blocco franco-sovietico sposterebbe un equilibrio tanto faticosamente ricercato in questa guerra nella creazione appunto di due grandi zone d'influenza, che costano all'Inghilterra il sacrificio della Finlandia, degli Stati Baltici, e, in tutto o in parte, dell'Europa orientale e dei Balcani. Se la nuova politica dell'U.R.S.S. dovesse anteporre l'alleanza con la Francia a quella in atto con l'Inghilterra, Mosca segnerebbe un vantaggio così notevole da implicare l'indebolimento irreparabile delle posizioni britanniche nell'Europa occidentale e nel Mediterraneo. A questo punto gli avvenimenti del Belgio e della Grecia vengono interpretati con irrequietezza come segni forieri di situazioni imbrogliate; perché se è vero che non vi si è trovata ancora la mano sovietica, ciò aggrava la situazione, in quanto è facile immaginare l'effetto, in tale stato di cose, di quelle che avrebbero potuto essere le istruzioni di Mosca.

Anche dal di là dell'Atlantico non sono mancate manifestazioni di disappunto, attraverso riserve più o meno esplicite della stampa, per la linea di condotta prescelta da de Gaulle. Ma l'America, che non vuole alleanze bilaterali, vuole ancora meno delle zone d'influenza che rimprovera alla politica inglese, cosicché al tirar delle somme l'Inghilterra deve oggi far fronte all'alleanza franco-sovietica che non può considerare ostile, ma sa poter essere minacciosa, mentre la più sicura e forte alleata le fa chiaramente intendere che esistono dei malintesi e si preparano tempi assai burrascosi per la discussione dei trattati di pace.

La stampa di qui ostenta nei suoi commenti che i nuovi rapporti franco-russi sono destinati ad incastrare perfettamente nel sistema delle relazioni britanniche sia con l'U.R.S.S. che con la Francia; e quella americana che accordi siffatti sono destinati ad integrare quelli piu vasti e più estesi che, come il progetto di Dumbarton Oaks, dovranno creare la futura sicurezza mondiale; ma non mi sembra esagerata l'ipotesi che si faccia buon viso a cattivo giuoco in attesa di correre ai ripari che non si sono per il momento ancora escogitati. Intanto potrà affacciarsi alla mente degli inglesi l'utilità di risolvere il problema italiano prima che non sia troppo tardi, ed indipendentemente dal fatto che la potenza russa, e quella francese potranno essere mantenute sotto controllo finché risentano delle conseguenze della guerra. In seguito, se necessario, l'Inghilterra tornerà a coltivare il sogno di una nuova Germania «democratica», non eccessivamente controllata, né indebolita: ed è forse il timore di questa minaccia motivo non ultimo del precipitoso riavvicinamento franco-sovietico.

Se questa situazione si dovesse prolungare non è da escludere che si possa, in epoca forse non lontana, trame anche noi qualche vantaggio ed il prossimo atteggiamento britannico nei nostri confronti servirà a giudicare solidità e significato da attribuirsi all'amicizia tra la Francia e l'Unione Sovietica, riconsacrata con la recente alleanza.

13

IL SEGRETARIO DELLA MISSIONE ECONOMICO-FINANZIARIA A WASHINGTON, ORTONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 26. Washington, 21 dicembre 1944 (per. il 14 gennaio 1945).

Ho riferito con rapporto a parte 1 sull'andamento delle conversazioni della missione economica presso la Tesoreria.

La missione non ha però mancato di prendere contatto e di iniziare una serie di riunioni con vari altri dipartimenti o uffici statali interessati all'economia e alla situazione italiana. Sono in particolare avvenute riunioni presso la sezione economica dello State Department, presso il Dipartimento del Commercio, presso il Tesoro, sia con l'ufficio che si occupa dell'applicazione del Trading with the Enemy Act, sia con quello incaricato dei provvedimenti concernenti la Black List, e infine presso l' Alien Property Custodian.

l R. 25, pari data, non pubblicato.

Le conversazioni sono ancora in corso con tutti i gruppi suddetti, né SI e ritenuto opportuno affrettare conclusioni nei settori economici, quando le conversazioni finanziarie debbono ancora aver termine. La missione ha infatti ripetutamente sostenuto che la situazione economica italiana e la maggior parte dei provvedimenti che si potevano adottare in relazione ad essa erano strettamente legati alla soluzione che sarebbe stata data al problema finanziario, e ciò tanto più in quanto era fin dall'inizio intenzione della missione far riconoscere nei nostri confronti l'adozione del così detto reciproca! aid. Per questo stesso motivo la missione, pur avendo avuto molti contatti preliminari e personali con membri e dirigenti della Foreign Economie Administration, ha preferito non entrare in una fase concreta di conversazioni ufficiali con tale dipartimento, che, istituito durante il periodo bellico per gli affari economici con l'estero, ha assorbito molte delle funzioni del Department of Commerce, e in quanto tale è istituzionalmente e più direttamente interessato agli aiuti economici all'Italia. Una volta chiarita la portata delle conclusioni delle conversazioni finanziarie, sarà possibile, con maggiore conoscenza di dati, condurre le conversazioni di carattere economico con la Foreign Economie Administration. Riassumerò a brevi tratti quanto a tutt'oggi ha costituito oggetto delle conversazioni con i dipartimenti sopra elencati:

Colla sezione economica del Dipartimento di Stato. Di fronte alle dichiarazioni fatteci da parte americana, che è precisa intenzione del governo statunitense stabilire le basi nel dopoguerra per una concreta collaborazione economica internazionale e in previsione di conferenze internazionali che allo scopo potranno adunarsi, come abbiamo avuto da varie parti sentore, e come è stato esplicitamente dichiarato dall'assistente segretario di Stato Acheson nella relazione che trasmetto qui in allegato 1 , la missione ha chiesto che fin d'ora venga esaminata la possibilità di una partecipazione dell'Italia a tali conferenze. Tralascio le varie argomentazioni che sono state portate dalla missione ad appoggio di tale tesi. Si è al riguardo sostenuto che l'Italia non potrà ricostruire nel dopoguerra la sua economia se non avrà modo di orientarsi di fronte ai problemi che si profileranno nell'ordine economico internazionale. Pur riconoscendo la necessità che nell'attuale contingenza bellica gli scambi italo-americani debbono forzatamente incanalarsi attraverso organi statali, si è chiesto che non vengano creati impedimenti all'iniziativa privata e che venga concesso a privati di recarsi negli Stati Uniti per prendere quei contatti così necessari per un normale ristabilimento degli scambi al momento in cui le vicende belliche lo consentiranno. In relazione a ciò comunico che è stata in questi giorni riammessa la concessione di visa per cittadini italiani che intendono recarsi negli Stati Uniti per «affari connessi con lo sforzo bellico». Si è chiesto inoltre che, per quanto attiene agli acquisti che il governo italiano dovrà compiere in America, venga concessa la possibilità che tali acquisti avvengano con l'intervento di funzionari o rappresentanti italiani. Il Dipartimento di Stato ha, in via preliminare, fatto presente che l'ufficio dell'addetto commerciale, opportunamente composto, potrebbe essere la sede più adatta per raggiungere tale scopo. A tale riguardo se codesto ministero ha concrete proposte da avanzare, che comportino eventualmente una particolare

1 Gli allegati non si pubblicano.

compos1z10ne dell'ufficio dell'addetto commerciale aderente cioè alla situazione attuale e ai problemi in questione, sarò grato di farmi tempestivamente pervenire eventuali indicazioni al riguardo. Si è inoltre cominciata a sollevare la questione dell'opportunità che venga studiato un meccanismo che sveltisca i rapporti tra le due Nazioni nel campo commerciale e per questo si è in attesa di ulteriori colloqui con il Dipartimento.

Presso il Dipartimento del Commercio. La missione non ha mancato di illustrare su quali merci potrebbero impostarsi le esportazioni dall'Italia nell'attuale contingenza e ha inoltre fatto cenno alla, sia pure ridotta, attività industriale nell'Italia liberata, pure affermando che molte delle aziende industriali sono ancora impedite, nella loro attività produttiva, dalle requisizioni di stabili e materie prime e dalle richieste delle autorità militari. Il Dipartimento del Commercio si è riservato di far pervenire alla missione per un'opportuna utilizzazione in Italia, delle note circa le merci a cui gli importatori americani, che -ci è stato affermato -hanno spesso dimostrato il vivo desiderio di riprendere i rapporti con l'Italia, sarebbero più interessati.

Presso il Tesoro: Sezione del Trading with the Enemy Act. La missione ha chiesto precisazioni circa le mitigazioni pubblicamente annunciate, nei riguardi dell'Italia, dal governo statunitense della legge predetta. Accludo a questo riguardo sia due copie (ali. l) del testo della legge (che alla mia partenza mi era stata richiesta anche dalla direzione generale Affari Politici-Uff. IX) e sia copia (ali. 2) della circolare n. 25, del 17 ottobre 1944 relativa a tali mitigazioni. La missione, di fronte alle difficoltà inerenti a una abrogazione totale della legge nei riguardi dell'Italia, che potrà solo avvenire a seguito di una decisione del Congresso, dopo cioè che, con la lenta procedura che caratterizza questi organi legislativi, verrà approvata in sede politica la proposta relativa, non ha mancato di avanzare richieste, da attuarsi sul piano pratico, per ulteriori mitigazioni atte ad avvicinare quanto più possibile alla normalità i rapporti tra i due Paesi, in quanto intralciati dalla legge predetta. Tali proposte concernono la possibilità per ditte italiane e per i complessi bancari, assicurativi, ecc. di aprire negli Stati Uniti uffici di rappresentanza, e per i privati commercianti o cittadini di farsi rappresentare, eventualmente anche con procure, negli Stati Uniti.

Presso il Tesoro: Sezione incaricata della «Proclaimed List of certain Blocked Nationals ». La missione, oltre ad assumere le necessarie informazioni relative ai criteri seguiti nell'iscrizione e nella cancellazione dalle liste stesse di certe ditte o persone, ha anche in tale sede suggerito certe mitigazioni alla prassi vigente. (È da notarsi che per tali provvedimenti non vi è questione di cittadini nemici o non nemici, essendo compresi nelle black lists cittadini anche di paesi neutrali). Si è fatto presente che le autorità americane potrebbero, per la cancellazione o meno dalle liste, basarsi su giudizi di epurazione emessi dai tribunali italiani, evitando quindi la sovrapposizione di giudizi anche da parte loro, che non possono essere formulati con la stessa conoscenza di causa che in argomento può avere la parte italiana.

Presso l'Alien Property Custodian. Si sono accertate le modalità che caratterizzano l'attività e i poteri di tale organismo statunitense. Trasmetto al riguardo (ali. 4) il rapporto annuale dell' Alien Property Custodian che copre il periodo dall'll marzo 1942 al 30 giugno 1943. Come si rileva dal rapporto stesso, i Vesting Orders emanati in tale periodo riguardano solo per il 16% le proprietà italiane: nelle pagine da 33 a 49 vengono riportati dati di dettaglio sulle proprietà stesse. È però da dirsi anche a questo riguardo che la legislazione di guerra americana differisce totalmente da quella italiana, in quanto in base al Vesting Order la proprietà passa automaticamente al governo americano che, quale nuovo proprietario, assume incondizionatamente tutti i diritti relativi. Se una restituzione della proprietà agli ex-nemici può avvenire, ciò potrà essere esclusivamente deciso dal Congresso con un atto legislativo apposito dopo la stipulazione della pace. Anche in questo caso quindi, di fronte alle difficoltà procedurali e legislative, la missione ha cercato di esplorare quali mitigazioni erano o potranno essere messe in atto sul piano pratico nei confronti delle proprietà italiane. Si è al riguardo accertato che per i diritti d'autore, dopo la cobelligeranza, non vengono più emessi Vesting Orders per le nuove produzioni e si è chiesto nel caso di proprietà o imprese vested che, se pure, in base alle limitazioni sopraesposte, non è attuabile la restituzione al proprietario, fino alla nuova legislazione che, con la modifica dei rapporti politici, il Congresso potrà eventualmente emanare, il proprietario stesso venga almeno riammesso all'amministrazione dei suoi beni. Ogni decisione in senso mitigatorio è però subordinata a istruzioni del Dipartimento di Stato, che la missione sta interessando al riguardo. Quanto al problema delle navi, che, a prescindere dalla questione del titolo di proprietà derivante dal vesting è ancora maggiormente complicata dalla non uniforme emanazione dei giudizi da parte delle corti americane in base ai noti precedenti del sequestro effettuato sulle navi stesse, mi riservo di riferire con rapporto successivo, non appena perverranno ulteriori elementi che la missione ha sollecitato.

Questo il quadro dei contatti che la missione ha finora stabilito nel campo strettamente economico, e che sono suscettibili di ulteriori sviluppi, sia in dipendenza delle soluzioni che verranno eventualmente date al problema finanziario e sia in relazione alla definizione di varie questioni tuttora in corso di esame da parte degli organi competenti o in corso di discussione con la missione stessa, a seguito delle proposte da essa formulate.

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IL SEGRETARIO DELLA MISSIONE ECONOMICO-FINANZIARIA A WASHINGTON, ORTONA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 27. Washington, 21 dicembre 1944 (per. il 14 gennaio 1945).

Ricevo in questo momento il tuo telegramma relativo al finanziamento delle nostre sedi in America e di quelle americane in Italia 1• Me ne occupo subito.

1 T. 2646 del 1° dicembre, indirizzato a Babuscio Rizzo per la trasmissione tramite la delegazione apostolica a Washington, non pubblicato.

Ti dirò che sono stato dolentissimo di non aver potuto farti una segnalazione più frequente. A ciò hanno concorso varie circostanze, oltre il «salto» materiale di due settimane di corriere. Non avevo soprattutto materia che potesse essere messa in telegramma che rischiasse di essere letto. Avrei dovuto dirti che le conversazioni procedevano con un ritmo ben inferiore a quello che noi desideravamo, soprattutto per la estrema lentezza con cui questa burocrazia opera e si muove. Gli uffici qui sono affetti da una malattia cronica, una specie di filossera insinuantesi ovunque, che lo slang americano chiama red-tape, e che significa lentezza, riflessione portata all'eccesso, coordinazione tra una miriade di uffici, sezioni, agencies come qui dicono. È una malattia che è oggetto di storielle umoristiche, di satire teatrali, di film allegri. Essa si è certo aggravata in questi ultimi anni per l'immensa macchina governativa e amministrativa che la guerra ha creato; ma oggi va al di là di ogni ragionevole aspettativa e soprattutto non si concilia molto con il nostro desiderio di giungere con una certa rapidità a intravedere quali risultati possiamo sperare per il nostro lavoro qui.

Tutto questo ci spiega perché la Treasury abbia impiegato quasi un mese e mezzo a fornirci i dati che avevamo richiesto e che ci erano necessari per orientarci. Comunque il tempo non è stato speso invano, perché ci è stato possibile in molte riunioni e colloqui esplorativi, illustrare la nostra situazione e ribadire il nostro punto di vista.

D'altra parte, proprio in questo periodo, Washington è stato ed è un posto di osservazione estremamente interessante. Il quarto term di Roosevelt si è iniziato nel momento in cui la situazione europea ha posto sul tappeto i problemi più sçottanti, così che la riorganizzazione degli uffici e soprattutto dello State Department è avvenuta contemporaneamente all'esplodere delle varie questioni, italiana, belga, polacca.

E lo State Department che fino a ieri sembrava lasciarsi un po' passivamente rimorchiare dalla politica inglese, come il ragazzo che è in procinto to become of age (accusa questa che non è stata lesinata a Dunn nelle discussioni al Senato, su cui ho riferito a parte) 1 , deve oggi prendere posizione, con una più piena consapevolezza delle sue responsabilità di fronte agli immani problemi che la guerra pone e che tanto meno diminuiranno nell'immediato dopoguerra. E allora assisti a delle iniziative «spontanee» quali la dichiarazione di Stettinius sulla crisi politica italiana, che ha alquanto sconvolto gli inglesi di qui, e a dei colpi di barra successivi, quali la dichiarazione congiunta anglo-americana a conclusione della crisi stessa, necessari per riportare la situazione a un equilibrio più tipicamente diplomatico.

Quanto poi all'atteggiamento dello State Department sulla crisi italiana, vorrei darti qualche elemento tratto dal mio soggiorno qui. L'iniziativa cui ho sopra accennato è, a mio avviso, il risultato di due fattori concomitanti: il temperamento e l'atteggiamento di Stettinius e la necessità in cui egli si è trovato di interpretare la vox populi che è sorta a seguito delle inframmettenze inglesi nella costituzione del nostro nuovo governo.

Stettinius è un uomo pratico, dinamico, fattivo, diplomatico di nuovo conio e scevro dalle sottigliezze tradizionali (in occasione della sua nomina ha risolto le

1 R. 21 del 19 dicembre, non pubblicato, relativo ai mutamenti nel Dipartimento di Stato.

visite di rito degli ambasciatori convocandoli tutti a un allegro cocktail party alla Blair House). Può anche darsi che egli abbia una certa sensibilità alle cose italiane, per i suoi legami con Myron Taylor -vedi Casa Morgan e Steel Corporation -di cui egli è un po' un pupillo (e, tra l'altro, hanno certo fatto un notevole scalpore le battute di Myron Taylor, in polemica con il congressman in visita in Italia, a un pranzo a Roma, descritte e riportate da tutti i giornali).

Comunque, a lato di questi elementi, ha giocato certo in modo determinante per una presa di posizione nei riguardi della questione italiana, quella che si potrebbe definire !'«esigenza morale», naturalmente scaturita in questa opinione pubblica, profondamente democratica, quale reazione alle interferenze inglesi per la nomina del conte Sforza. Tutti coloro, di qualsiasi categoria sociale o politica, con cui ho parlato in quei giorni, hanno accusato una tale profonda reazione contro l'atteggiamento inglese, manifestando il loro malumore e la loro piena disapprovazione. Lo stesso capo della sezione italiana del Dipartimento di Stato, con cui mi sono trovato due giorni prima delle dichiarazioni di Stettinius, mi ha espresso senza molti ambagi la sua perplessità, !asciandomi capire che il Dipartimento doveva e voleva fare qualche cosa per non essere confuso con la presa di posizione inglese. Era insomma unanime l'impressione che, a prescindere dalle persone, si voleva lasciare agli italiani la libertà di scegliere i propri uomini di governo.

In complesso la crisi, per ciò che attiene alle disposizioni di questo pubblico verso l'Italia, ci ha in un certo senso e da un punto di vista generale giovato. L'Italia è stata on the news per tutti gli scorsi giorni e ciò ha dato incidentalmente l'occasione a molti giornali di illustrare le condizioni del nostro Paese. Avrai a quest'ora già avuto il Life della scorsa settimana. Ti accludo, per il caso che non siano pervenuti al ministero, un articolo di Gene Rea sull' American Mercury del mese di dicembre e alcuni ritagli degli articoli più «tipici» pubblicati da questa stampa, compreso uno, a mio avviso, interessante di Sumner Welles.

Come e in quale misura questi «effetti» della crisi possano indirettamente giocare sul nostro lavoro qui è difficile accertare. Può anche darsi che essa provochi, da parte inglese, delle resistenze a concessioni finanziarie in nostro favore (resistenze facilmente motivabili in base all'armistizio e in relazione alla necessità di una approvazione delle autorità militari), dato che simili concessioni potrebbero eventualmente alimentare simpatie italiane verso gli Stati Uniti a danno della già provata posizione inglese, e costituirebbero un «premio», quando ancora l'espiazione da parte dell'Italia di tutte le colpe del passato non è forse, secondo gli inglesi, ancora compiuta. Comunque con rapporto a parte 1 riferisco in modo più diffuso circa l'andamento delle conversazioni, in complesso posso dirti che l'atmosfera è !ungi dall'essere pesante, ma che il problema è estremamente complesso anche nei suoi dettagli tecnici, per poter fin d'ora formulare delle previsioni ottimistiche.

Ora la questione italiana è rientrata nelle proporzioni originali e nel quadro del più vasto problema generale europeo, su cui la politica americana sta faticosamente elaborando il suo atteggiamento. Pur riservandomi di riferirti in futuro al riguardo, mi pare che venga fin d'ora confusamente profilandosi in questi circoli politici una tendenza a non contrastare nelle varie nazioni europee un libero svi

1 Vedi D. 13.

luppo della loro vita politica e delle correnti che la compongono. Ma questi sono «circoli politici» con le loro professioni di fede e con l'immediatezza delle loro reazioni. Quanto il governo dovrà [fare] per conciliare tali tendenze con certe sue esigenze di politica estera sarà molto in funzione di un nuovo incontro a tre su cui da ·tempo si va parlando.

E a questo riguardo debbo segnalare che, quasi a smentire alcune voci corse nei giorni scorsi secondo cui la salute di Roosevelt andrebbe peggiorando, ma certo a causa della complicata situazione internazionale, il presidente è tornato ieri da Warm Springs dove ha trascorso tre settimane di riposo: egli ha tenuto subito una conferenza stampa, punteggiata dai suoi abituali motti scherzosi, e sottolineata da tutti i giornali che hanno rilevato la vivacità delle risposte e la buona apparenza del presidente.

In tale conferenza stampa a Roosevelt è stato tra l'altro richiesto di indicare se era sempre in progetto l'invio in Italia di La Guardia, quale «consigliere del governo italiano» con un elevato grado militare nomina questa su cui non si è smesso di parlare in tutto il periodo del nostro soggiorno qui. Roosevelt ha risposto laconicamente in francese che la questione era en train.

Forse avrai già visto Lawler 1 , che dovrebbe essere giunto a Roma prima dell'arrivo di questo corriere. È stato richiamato d'urgenza, data la scarsezza di personale nella sottocommissione finanziaria e malgrado tutti i nostri tentativi per trattenerlo qui. Mi rincresce che egli ci abbia lasciato perché si è mostrato di valido aiuto e sinceramente interessato alle nostre cose. Ti pregherei, specialmente nei riguardi di Lawler, di far sì che i dati che trasmetto a parte (in allegato al rapporto

n. 25 2: prospetto amlire e memorandum nostro) vengano tenuti del tutto riservati e che di essi non venga fatta parola con Lawler stesso, attendendo che sia lui a parlarvene o a mostrarveli dato che certamente li porterà con sé in Italia, di tanto ti prego perché non ho fatto parola a nessuno qui a Washington di questi invii tramite il Vaticano e non vorrei che la Segreteria di Stato fosse posta in imbarazzo. Circa Lawler voglio aggiungerti, anche qui in via del tutto riservata specialmente nei suoi riguardi, che da quanto ho potuto sicuramente accertare, egli era molto perplesso, dopo i primi contatti che egli aveva avuto con questi uffici sulle possibilità di un buon sviluppo delle conversazioni e di favorevoli risultati, dato che non aveva trovato all'inizio, negli uffici, quell'interesse alle nostre cose che egli avrebbe desiderato. Ora mi sembra un po' più ottimista. Vedremo se la montagna partorirà ... un topo o qualcosa di più concreto a nostro favore, Lawler ritiene che per esaurire tutto il nostro compito sarà ancora necessario il soggiorno di un mese. Io preferisco non formulare previsioni se non il giorno in cui avremo una qualche precisa risposta alle nostre proposte. Spero che intanto potrà essere giunto il nostro ambasciatore, la cui nomina è qui molto attesa e la cui presenza sarebbe certo di estrema utilità (ho mandato in un rapporto a parte alcuni «pezzi» per suo orientamento).

Non so quando partirà un altro corriere; cercherò il più possibile di tenerti informato, ma se non potrò farlo molto di frequente, non attribuire il mio silenzio a ... pigrizia, ma alle mille difficoltà che qui s'incontrano per comunicare.

I John Lawler, rappresentante americano nella sezione finanziaria della Commissione Alleata. 2 Vedi D. 13, nota l.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3571/1472. Madrid, 22 dicembre 1944, ore 19 (per. ore 12 del 24).

Da Buenos Aires: «271 del 15 dicembre. Telegramma ministeriale n. 70 1 e precedente corrispondenza telegrafica. Corso conversazione confidenziale funzionari questo ministero Affari Esteri manifestato vivissimo apprezzamento atteggiamento

R. governo e fattomi intendere che il governo argentino si ispirerà nostri riguardi criteri comprensione. Confermato inoltre sentimenti solidarietà che anima questo Paese. Rappresentante diplomatico alleato espresso successivamente desiderio che la nostra linea di condotta si adegui maggiormente a quella da loro adottata. In base alle istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 70 ho risposto confermando proposito questa ambasciata stretta collaborazione con rappresentanza stessa e spiegato concrete ragioni che hanno determinato nostro atteggiamento nei riguardi governo argentino. Assicurato inoltre che la R. ambasciata agirà con la discrezione suggerita da delicata situazione locale. Ove nulla osti riuscirebbe comunque utile confermare prima parte telegramma suddetto. Sensi.» 2 .

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 22 dicembre 1944.

A proposito del progetto di accordo fra il governo e il Comitato di liberazione dell'Italia settentrionale, il ministro Hopkinson, a nome dell'ambasciatore Charles, ammalato, m'informa:

l) Il Foreign Office ritiene assolutamente necessario sia incluso nell'accordo stesso il punto secondo, o, una formula equivalente. Dopo le esperienze di Grecia, il Foreign Office è cioè dell'opinione che il Comitato di liberazione debba sin da ora impegnarsi a riconoscere senza riserva il governo di Roma come la sola autorità legittima e come successore del governo che ha, a suo tempo, accettato gli impegni armistiziali. Hopkinson aggiunge che occorre infatti evitare in ogni modo anche la remota possibilità che il Comitato di liberazione possa, a un certo momento e a seconda delle circostanze, costituirsi in governo rivale di quello di Roma e ha particolarmente insistito sul fatto che il governo britannico, se questo punto non

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 298. 2 Per la risposta vedi D. 25.

fosse accettato, sarebbe certamente indotto a riconsiderare l'intero suo atteggiamento nei confronti del Comitato stesso.

2) Come è noto, l'accordo fra il Comando Alleato ed il Comitato stabilisce che sarà versato al Comitato stesso un determinato contributo finanziario mensile. Se ciò potesse facilitare l'azione del governo, si potrebbe forse suggerire che tale contributo invece che dal Comando sia versato direttamente dal presidente del Consiglio. (Il suggerimento proviene dallo stesso Hopkinson).

3) Il Foreign Office preferisce alla formula «Il Comitato rappresenta tutti i partiti antifascisti», quella di «Il Comitato è l'autorità coordinatrice di tutte le attività di resistenza».

ALLEGATO

PROGETTO DI ACCORDO FRA IL GOVERNO ITALIANO E IL C.L.N.A.I.

SEGRETO.

l. The Committee of National Liberation for Northern Italy (C.L.N.A.I.) is recognised by the ltalian Government as the established body representing the anti-fascist parties in enemy occupied Italian territory. The chairman of the C.L.N.A.I. shall be a person acceptable to the ltalian Government.

Or

The Italian Government recognises the Committee of Liberation of Northern ltaly as coordinating authority of ali resistence activities. The Chairman of the C.L.N.A.I. shall be a person acceptable to the Italian Government.

2. The C.L.N.A.I. for its part accepts the ltalian Government recognised by the Allied Governments as the Successor of the Italian Government, which signed the armistice terms and as the sole legitimate authority in that part of ltaly which has now been and may hereafter be handed over to the ltalian Government by the Allied Governments.

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IL CAPO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, DEL BALZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO SEGRETO. Roma, 22 dicembre 1944.

Riferendosi alla conversazione avuta ieri con il segretario generale, il signor Dowling ha rimesso oggi i «suggerimenti» che, in via «assolutamente amichevole e nell'interesse dei buoni rapporti fra i due Paesi», il Dipartimento di Stato desidera

prospettare al governo italiano mentre esso si accinge alla designazione del suo ambasciatore a Washington 1• Sempre a titolo puramente amichevole il signor Dowling ha accennato alla convenienza che la designazione dell'ambasciatore avvenga appena possibile. Si accludono i «suggerimenti» del Dipartimento di Stato nel testo originale, con relativa traduzione.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 23 dicembre 1944.

Il mtmstro Hopkinson mi telefona che il generale Alexander desidera avere previa notizia del progetto conclusivo di accordo fra il governo e il Comitato di liberazione del nord, appena definitivamente redatto e prima che si proceda alla sua firma. Trattandosi di un accordo che potrebbe avere dirette ripercussioni sulla situazione militare presente e avvenire, il generale Alexander ritiene necessario procedere nella materia in stretto contatto col governo. Da ciò la sua richiesta attuale. 2

I I <<suggerimenti» erano i seguenti: <<!. He should support and be supported by the ltalian Govemment, but other things being equa!, he should not be a member of the Government.

2. -He should be convinced of the necessity for Italy's cooperation with the United Nations a t ali times. 3. -He should have a clear record of opposition to Fascism and devotion to Democratic principles. 4. -There will be a special need of tact and discretion in contacts with the public and with his colleagues in the Diplomatic Corps».

2 II documento reca la seguente annotazione di Prunas: <<23 dicembre ore 12. Del Balzo ha telefonato a Hopkinson che il testo è stato direttamente mandato dal presidente Bonomi all'amm. Stone, dove può prendeme visione» Il testo del progetto era il seguente: !<Il governo italiano riconosce il Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia (C.L.N.A.l.) quale organo dei partiti anti-fascisti nel territorio occupato dal nemico. Il governo italiano delega il C.L.N.A.I. a rappresentarlo nella lotta che i patrioti hanno impegnato contro i fascisti e i tedeschi nell'Italia non ancora liberata. Il C.L.N.A.I. accetta di agire a tal fine come delegato e rappresentante del governo italiano, col quale si terrà in collegamento a mezzo del suo presidente. Il C.L.N.A.I. dichiara d'aver firmato il 7 del corrente mese di dicembre un accordo con il comandante supremo alleato della zona di operazioni del Mediterraneo circa i rapporti fra esso e il Comando Supremo alleato per condurre la lotta contro il comune nemico. Il governo italiano dichiara di conoscere questo accordo e di approvarlo». Il testo dell'accordo effettivamente firmato il 26 dicembre ed edito in HARRY L. COLES -ALBERT K. WEINBERG, Civil Affairs: Soldiers become Governors, Washington, Department of the Army, 1964, p. 543, è il seguente:

«1. The Italian Govemment recognises the Committee of National Liberation for Northern ltaly (C.L.N.A.I.) as the organ of the Anti-Fascist parties in the territory occupied by the enemy; 2. The Italian Government designates the C.L.N.A.I. as its representative in the struggle that the patriots have undertaken against the Fascists and Germans in that part of Italy not yet liberated; 3. The

C.L.N.A.I. agrees to act towards this end and the delegates of the ltalian Govemment which is recognised by the Allied Govemments as the successor of the Government which signed the Armistice and is the sole legitimate authority in that part of Italy which has already been or will later on be restored to the ltalian Government by the Allied Military Govemment».

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 24 dicembre 1944.

Il console generale del Belgio mi informa oggi ufficialmente che il suo governo, aderendo alle nostre ripetute richieste e rendendosi pienamente conto della nuova situazione italiana, ha deciso di riprendere le relazioni diplomatiche con l'Italia.

Un ambasciatore del Belgio sarà quanto prima inviato a Roma e un ambasciatore d'Italia sarà molto volentieri accolto a Bruxelles. È desiderio del governo belga che l'ambasciatore che sarà prescelto da parte nostra abbia i seguenti requisiti:

a) non essere stato in Belgio durante gli anni d'occupazione;

b) non aver avuto connessioni politiche col regime fascista;

c) essere possibilmente un ambasciatore di carriera.

Il console generale ignora ancora i particolari dello scambio e se gli ambasciatori saranno accreditati con lettere al capo dello Stato.

20

IL MINISTRO A LISBONA, ROSSI LONGHI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 3785/395. Lisbona, 26 dicembre 1944 (per. /'8 gennaio 1945).

Questo ministro del Venezuela dott. Angarita Arvelo, di ritorno in questi giorni da Caracas, mi ha detto che in gennaio suo governo proponesi chiedere gradimento per ministro a Roma, esprimendomi sua soddisfazione per essere stato primo tramite ripresa rapporti diplomatici tra due Paesi.

Mi ha aggiunto che governo venezuelano, animato da sentimenti di solidarietà latina, profondamente sentiti nei confronti dell'Italia, era ben lieto di aver potuto prendere tale decisione.

Analoghi sentimenti mi hanno del resto manifestato pressoché tutti i rappresentanti diplomatici dei Paesi dell'America latina a Lisbona che sono venuto visitando. In particolar modo ambasciatore Brasile, ministro Argentina e ministro Messico i quali, come del resto stesso ministro del Venezuela mi hanno espresso speranza che quanto prima possibile venga ripresa verso loro rispettivi Paesi nostra emigrazione poiché ciò contribuirà anche ad alleviare situazione economica italiana con reciproco vantaggio.

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 16/5988/15. Roma, 28 dicembre 1944.

Desidero vivamente attirare la sua autorevole e benevola attenzione su alcune gravi notizie che ci sono recentemente giunte, pel tramite dei Comitati di liberazione dell'Italia settentrionale, e che riguardano l'attività antitaliana svolta e in via di svolgimento da parte dei nazisti nelle provincie di Trento e di Bolzano.

Tale attività, e gli atti di intimidazione e di ferocia che l'accompagnano, hanno lo scopo non dichiarato, ma evidente, di cercare di snaturare la fisionomia di quelle provincie al fine di incorporarle nel Reich facendole apparire come regioni non italiane, ma tedesche.

Le regioni suddette sono state infatti comprese in una «zona di operazione delle Prealpi», creata ufficialmente con carattere e finalità esclusivamente militari e tuttavia diretta ad eliminare tutto ciò che è «italiano».

Né un carabiniere, né un agente della polizia italiana è rimasto nell'Alto Adige; le autorità italiane sono state estromesse da ogni ufficio e da ogni ente, e sostituite da commissari germanici la cui attività si esercita nell'allontanare quanti più italiani è possibile.

Arbitri, sopraffazioni e violenze non si contano più; arresti e anche uccisioni vengono compiuti sempre più frequentemente. Le scuole italiane sono state chiuse e i giornali italiani sono stati aboliti. I nomi italiani dei villaggi, delle vie e delle piazze sono stati sostituiti con nomi tedeschi. Decreti appositamente emanati dispongono l'allontamento degli impiegati italiani, mentre continue chiamate alle armi e deportazioni di italiani delle classi dal 1894 al 1926 pel lavoro obbligatorio provvedono ad allontanare notevoli masse di connazionali.

Anche gli elementi appartenenti alle minoranze allogene, che in base agli accordi italo-tedeschi del 1939 avevano optato per l'Italia vengono ora a mezzo di intimidazioni costretti a rinnegare l'opzione allora fatta, e coloro che rifiutano vengono allontanati.

Quest'opera di violenza ha provocato già l'allontanamento da quelle regioni di 30-40 mila persone, ma questa cifra è destinata ad aumentare con ritmo crescente quanto più durerà l'occupazione nazista della regione.

Ho ritenuto opportuno segnalarle quanto precede, caro ammiraglio, affinché gli organi alleati che saranno in un primo tempo chiamati al governo di quelle regioni, subito dopo la loro liberazione, siano messi tempestivamente al corrente, per loro orientamento, dell'azione antitaliana spiegata colà dal nemico, e mi riservo di inviarle, caro ammiraglio, quelle ulteriori informazioni che al riguardo, mi dovessero pervenire 1•

1 Schott rispose il 31 dicembre con L. P/385.04: «The receipt of the information contained in this communication is acknowledged with appreciation and it is being forwarded to the appropriate Allied Authorities for their information».

22

LA SEZIONE POLITICA DELL'A.C. AL MINISTERO DEGLI ESTERI

MEMORANDUM 388/385. Roma, 28 dicembre 1944.

The Norwegian Government have informed the British Ambassador to the Norwegian Government that they have decided to resume direct relations with the Italian Government in the same way as the British Government have done.

The Norwegian Government have suggested the name of M. Jeus Steenberg Bull, at present Norwegian Minister at Stockholm, as Norwegiam envoy to the Italian Government, with the personal rank of Minister.

The Political Section would be glad to know whether the Italian Government agree to this appointment.

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L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. l268n93. Roma, 30 dicembre 1944 (per. il 4 gennaio 1945).

Nel messaggio natalizio di quest'anno il Santo Padre, a differenza da quelli degli anni passati, non ha trattato un tema astratto e teorico, come quello delle condizioni per assicurare la pace, l'ordine e la fraterna convivenza degli uomini. È entrato invece nel campo pratico e concreto, non nel senso che si sia messo a discutere delle rivendicazioni e delle aspirazioni territoriali dell'una e dell'altra parte; ma nel senso che ha voluto mettersi sul piano stesso sul quale si svolgono le tendenze politiche contemporanee, cioè sul piano della democrazia.

Di passaggio il Papa non ha mancato di accennare alla teoria della Chiesa cattolica che «non riprova nessuna delle varie forme di governo, purché adatta per sé a procurare il bene dei cittadini». Ma non ha esitato a scendere sul terreno democratico, anzi addirittura ha lumeggiato le ragioni che, in questo momento giustificano una tale preferenza, giacché oggi le moltitudini, esasperate dai mali della guerra, sono persuase che, «se non fosse mancata la possibilità di sindacare e di correggere l'attività dei pubblici poteri, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che al fine di evitare per l'avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo stesso efficaci garanzie».

Ora è precisamente il regime democratico quello che offre in più larga misura tali garanzie, perché sua caratteristica è la possibilità per il popolo di «esprimere il proprio parere sui doveri e sacrifici che gli vengono imposti e non essere costretto ad obbedire senza essere stato ascoltato».

Il Papa però considera il regime democratico non isolato da tutto il resto dei rapporti e dai fini che regolano l'esistenza dell'umanità ma come connesso con questi, così che l'esercizio e la coscienza del suo potere si mantenga con essi in armonia e trovi in quell'ordine e in quei fini conferma ed appoggio nell'esplicazione della sua attività. Perciò distingue il popolo consapevole della propria dignità e personalità dalla massa amorfa che si lascia muovere dall'esterno a seconda che i suoi appetiti sono lusingati; richiede nei rappresentanti del popolo e nelle assemblee legislative elevatezza intellettuale e morale pari all'altezza del compito che loro incombe; ed esige che lo Stato democratico mai dimentichi che l'autorità che esso gode non è indipendente e libera da ogni vincolo, ma dipende da Dio, fonte prima di ogni autorità e che, in generale «la dignità dell'uomo è la dignità dell'immagine di Dio, e la dignità dello Stato è la dignità della comunità morale voluta da Dio, la dignità dell'autorità pubblica è la dignità della sua partecipazione all'autorità di Dio».

In particolare il Papa mette in guardia contro l'idea che l'autorità dello Stato sia illimitata e che di fronte ad essa non esista appello a superiori leggi ed obblighi morali. Una tale idea porterebbe all'assolutismo di Stato, che è l'antitesi della democrazia.

A questo terreno pratico sul quale il Papa si è messo corrisponde quello delle condizioni della futura pace. Pio XII non scende ad analizzare singole proposte, ma raccoglie l'eco delle tendenze che si sono manifestate nelle più varie occasioni, dalla Carta Atlantica a Dumbarton Oaks, alle ripetute dichiarazioni di uomini politici. Una tale eco gli ha dato l'impressione di molti sconfinamenti che si preparano da quel piano di una pace giusta ed equa che sola potrebbe assicurare giorni tranquilli all'umanità, e perciò le sue raccomandazioni si sono concentrate non solo nell'appoggiare l'idea di istituzioni che rendano impossibile la guerra di aggressione ma anche nell'indicare la condizione fondamentale e indispensabile perché qualsiasi piano di pace possa soddisfare all'aspettazione, quella cioè che essa non consacri definitivamente alcuna ingiustizia. E su questo punto è sceso a definire e dettagliare le possibilità di ingiustizie che si debbono evitare: e l'enumerazione si risolve in una serie di suggerimenti a vantaggio delle nazioni soccombenti e perciò maggiormente esposte alla possibilità di essere sopraffatte nei trattati di pace.

Il Papa, in forma molto discreta, ricorda poi le dichiarazioni di uomini «che hanno trovato accenti generosi per esprimere, insieme con l'affermazione delle proprie esigenze di sicurezza contro ogni futura aggressione, il loro rispetto per i diritti vitali degli altri»: ma dice pure che sarebbe vano l'attendere che questo giudizio venga generalmente accettato dalla pubblica opinione, tanto sono esasperati i popoli dall'odio e dall'incapacità di comprendersi vicendevolmente. Chiude però questa parentesi pessimistica con l'affermare che verrà giorno sicuramente, e forse prima che non si pensi, quando si sentirà che l'unica via di uscita da sì penosa condizione sta nel ritorno ad una universale solidarietà da troppo tempo dimenticata.

Del resto le apprensioni pessimistiche sul prossimo avvenire non mancano nel pensiero del Papa. Più che nel radiomessaggio al mondo, egli le espresse nel discorso ai cardinali in risposta agli auguri. In questo egli insistette, come su di un punto fondamentale, sul fatto che al termine della guerra l'umanità si troverà di fronte a profondi e radicali cambiamenti, tanta è l'inquieta ed irrequieta tendenza del mondo verso il nuovo, in misura senza eguale nella storia. Non solo, ma si pone senz'altro l'angosciosa domanda se ciò avverrà attraverso una graduale evoluzione, oppure attraverso violenti e sanguinosi rivolgimenti.

Ma anche all'infuori del caso specifico del messaggio natalizio, la preoccupazione per ciò che riserva l'avvenire e per i nuovi problemi e cimenti ai quali sarà, in una qualunque ipotesi, esposta la Chiesa, è uno degli argomenti che è maggiormente presente alla mente ed al cuore del Papa; egli si trattiene volentieri su di esso con i suoi più immediati collaboratori; e non è raro il caso di sentirne l'eco nelle conversazioni di questi. Si può dire che, in genere, le riflessioni di quanti si interessano ai grandi problemi della Chiesa nei suoi rapporti con la società, si aggirano continuamente intorno alla ricerca di nuove e più efficaci forme di attività che possano essere esplicate con fiducia, e che le masse possano comprendere ed apprezzare.

E si può aggiungere che, nello studio di questi problemi e dei rapporti con i vari popoli, l'opinione costante e confermata dagli avvenimenti è che il popolo sul quale la Santa Sede, in qualunque caso, potrebbe contare più che su qualunque altro è il popolo italiano.

24

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. l /1097. Roma, 31 dicembre 1944.

Il signor Co uve de Murville mi ha fatto presente verbalmente e per iscritto 1 , che, a suo avviso, sarebbe nell'interesse stesso delle conversazioni itala-francesi tuttora in corso che fosse evitata su di esse ogni ulteriore pubblicità. Nello stesso tempo ha fatto ogni riserva sulle note dichiarazioni già fatte in proposito dal dr. Rossini2.

È stato spiegato al signor Couve de Murville che l'esigenza di un riavvicinamento itala-francese è così viva e diffusa nel paese che è parso opportuno dare al riguardo un qualche apaisement all'opinione pubblica. È stato aggiunto che, del resto, le dichiarazioni stesse e le informazioni pubblicate al riguardo dalla stampa non fanno che dare espressione a propositi di buona volontà e di pacificazione che, come tali, dovrebbero non essere pregiudizievoli.

1 Con L. 582 del 30 dicembre, non pubblicata.

2 Il capo dell'ufficio stampa della presidenza del Consiglio, Rossini, aveva fatto il 27 dicembre ai rappresentanti della stampa estera le seguenti dichiarazioni: «Dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche con il Belgio, che è salutata dal governo italiano con la più profonda soddisfazione e dopo la riattivazione dei servizi della legazione di Romania a Roma e della nostra legazione a Bucarest, il governo italiano si augura che possano essere riprese al più presto le relazioni diplomatiche con la Francia alla quale tanti vincoli di affetto e di tradizioni ci legano: le trattative al riguardo sono del resto bene avviate non essendovi alcun ostacolo relativo a rivendicazioni territoriali ed essendo gli altri problemi ancora in sospeso tali da poter essere facilmente composti dato il nuovo spirito che anima la Nazione italiana».

Comunque, credo anch'io, che nell'attuale fase della questione, sarebbe stato conveniente evitare questa eccessiva pubblicità, che ha infatti provocato la spiacevole messa a punto francese di cui ti accludo copia, e, soprattutto, lasciare per l'avvenire che le cose procedano per il meglio, come mi auguro e spero, senza ulteriori discussioni e commenti pubblici che rischiano di essere controproducenti. Ed in questo senso sarebbe certamente utile indirizzare ed orientare la stampa.

ALLEGATO

COMUNICATO TRASMESSO DALLA RADIO FRANCESE

Dans !es milieux autorisés français on souligne, à propos de l'inforrnation publiée le 27 décembre par des Agences étrangères au sujet du rétablissement des relations franco-italiennes, !es précisions suivantes:

Il est prématuré d'indiquer d'ores et déjà que !es négociations se poursuivent favorablement alors qu'il n'y a eu jusqu'à présent avec !es autorités gouvernementales de Rome que quelques prises de contact officieuses préliminaires, interrompues d'ailleurs par la crise ministérielle.

D'autre part il n'est pas exact de dire qu'au nombre des sujets en discussion figure le statut des Italiens en Tunisie. En effet !es Conventions de 1896 relatives au régime des ressortissants italiens dans la Régence ont été rendues caduques par la déclaration de guerre de l'Italie du 10 juin 1940. Cet état de fait a été forrnellement constaté le 22 juin 1944 par une ordonnance du Gouvernement provisoire de le République Française. Il s'agit donc d'une situation qui n'offre pas matière à discussion. Seules peuvent étre examinées !es conditions d'une future convention d'établissement.

Quant aux questions territoriales il est bien évident qu'elles n'ont pas à étre évoquées au cours de conversations portant sur le rétablissement des relations diplomatiques franco-italiennes et qu'elles ne sauraient ètre éxaminées que lors de l'élaboration du traité de paix.

25

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, MASCIA

T. 111. Roma, Jo gennaio 1945.

Per Buenos Ayres: «l. Suo 271 1 Azione V. E. in questo periodo dovrà essere soprattutto rivolta placare dissidenze, chiarire situazioni, ristabilire concordia fra italiani nel nome della libertà democratica per la quale Italia oggi combatte, con perfetta lealtà, a fianco Nazioni Unite. Sua condotta nei riguardi argentini dovrà essere di assoluta non ingerenza negli affari interni codesto Paese, ciò che potrà

1 Vedi D. 15.

3consentirle, meglio di ogni altro atteggiamento, di tener vivi vincoli di cultura, di lavoro e di sangue che costituiscono un dato concreto ed indistruttibile delle relazioni italo-argentine. Ed entro questi termini e con la premessa fondamentale che nuova Italia intende convivere pacificamente con tutte le Nazioni Unite e neutre, ella potrà ed anzi dovrà collaborare, con lealtà piena ed intera con codeste rappresentanze alleate».

26

L'UFFICIO DI COLLEGAMENTO ALLA SEZIONE POLITICA DELL'A.C.

PROMEMORIA. Roma, 2 gennaio 1945.

On December 22nd, 1944, acting upon instructions of his Govemment, Mr. Teodoro Scortzesco, Counsellor of the Rumanian Legation at the Holy See, has verbally acquainted the Ministry for Foreign Affairs with his appointment as Chargé d'Affaires ad interim of the Rumanian Legation at the Quirinal, adding that a Minister Plenipotentiary will be appointed as soon as his joumey will be made possible.

It is to be pointed out that diplomatic relations between Italy and Rumania are not now beeing reestablished, inasmuch as they had never been broken, but that they are simply being resumed after a period of suspension due to force majeure.

In effect, the Rumanian Govemment have never taken any measure against the Staff of the ltalian Legation in Bucarest nor did they consent that the representative of the so called fascist republican Govemment should present his credentials and should be therefore officially recognized and accredited.

27

IL CAPO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, DEL BALZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO 6/19.

Roma, 2 gennaio 1945.

Si fa riferimento all'appunto n. 6/993 del 10 novembre u.s.'.

Malgrado i ripetuti solleciti non é stato finora possibile ottenere una risposta ufficiale della sezione politica della Commissione Alleata alla lettera del 2 agosto

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 522, nota 3 p. 599.

u.s. 1 con la quale il presidente Bonomi interessava l'ammiraglio Stone al riconoscimento dei patrioti come parte integrante delle nostre forze armate e prospettava un progetto di comunicato in proposito.

In via personale e confidenziale il ministro Hopkinson ha tuttavia dichiarato oggi, che egli ritiene che le autorità militari alleate mantengano al riguardo un atteggiamento negativo, che sarebbe motivato fra l'altro dalla preoccupazione di non creare «precedenti» che potrebbero essere invocati dai tedeschi a favore di loro forze partigiane al momento della definitiva penetrazione alleata in territorio germamco.

28

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, GUGLIELMINETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 29/4. Ankara, 3 gennaio 1945, ore 20,40 (per. ore 16 del 6).

Da Sofia: «N. 17. Telegramma di V. E. n. 32 . Ho presentato oggi a questo ministro degli Affari Esteri nota contenente nostra risposta (trasmessami da Ankara) circa normalizzazione rapporti diplomatici tra Italia e Bulgaria. Ministro mi ha espresso sua profonda soddisfazione, manifestandomi altresì suo compiacimento per il fatto che assieme a rappresentanza rimasta fedele sono stato confermato al mio posto. Mi ha quindi pregato assicurare V. E. che governo bulgaro concorda per invio proprio rappresentante a Roma e che si riserva farci conoscere persona designata non appena siano superate attuali difficoltà tecniche per uscita e viaggio dalla Bulgaria. Infine ministro mi ·ha comunicato oggi stesso sarà pubblicato in Sofia comunicato circa normalizzazione relazioni diplomatiche tra Italia e Bulgaria. Mameli»3 .

29

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL VICE PRESIDENTE DELLA SEZIONE POLITICA DELL'A.C., SCHOTT

L. 3/5. Roma, 3 gennaio 1945.

I must confess that this Ministry has learnt with some surprise that the Generai

H.Q. at Caserta have seen fit not to forward the telegrams with which we notified the Foreign Ministers of the Latin-American Republics of the appointment of the

I Vedi serie decima, vol. I, D. 313. 2 lbid., D. 554, trasmesso da Ankara a Sofia col. n. 3. 3 Il testo del comunicato venne trasmesso da Ankara con T. 43/6 del 5 gennaio, non pubblicato

(T. 18 del 4 gennaio da Sofia).

36 Italian Chargés d' Affaires, as well as the one with which we acquainted the Chinese Govemment with the appointment of Sig. Anzilotti.

It is perfectly obvious that this suspension, that appears to us unwarranted, places us in an extremely unpleasant situation as regards a whole group of Govemments, for reasons which are absolutely foreign to us.

Nor can we consider acceptable, on the other hand, the principle that even the appointment of mere Chargés d'Affaires must be previously approved by the Allies: this would signify a further stiffening of contro! that contrasts sharply to the assurances and promises made to us by the most authoritative sources and persons.

You will certainly perceive that the recent restablishment of diplomatic relations with the United Nations, owing to the difficulties that we encounter in the financing of our missions abroad, to the obstacles raised in the cyphering and courier-service and, lastly, to these late measures, risks remaining solely theoretical and is devoid, in practice, of any precise and extensive significance.

I therefore appeal to your unfailing courtesy, my dear Schott, begging you to draw the Generai Headquarter's most serious attention to the necessity that our diplomatic relations with Foreign Countries be given at last that indipendence and freedom of action in the field of financing and cyphering, couriers and appointments which are fully justified by our firm intention of loyally collaborating with the United Nations 1•

30

L'INCARICATO D'AFFARI DI ROMANIA A ROMA, SCORZESCU, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA2 . Roma, 7 gennaio 1945.

Il est de toute évidence que le gouvemement de la nouvelle Italie libre ne saurait ètre considéré comme héritier du défunt régime fasciste que dans les limites du «bénéfice d'inventaire». En cette qualité ce gouvemement a le droit et le devoir d'ériger un bilan et d'enregistrer les différents traités qui lui ont été légués à «l'actif» ou au «passif».

Parmi ces traités il y a certainement un qui devrait sans aucun doute ètre mis au «passif». C'est en espèce le Traité d'arbitrage du 30 Aoùt 1940, dit aussi «second arbitrage de Vienne», concemant le litige roumano-hongrois.

1 Cfr. il seguente appunto 6!277 del 26 gennaio di Del Balzo per l'Ufficio I del Personale, inviato per conoscenza alla Segreteria Generale: «Il signor Schott, della sezione politica C. A., ha nuovamente ricordato oggi che i telegrammi relativi alla riapertura delle nostre missioni diplomatiche nell'America latina giacciono tuttora fermi presso la Commissione Alleata per tassative istruzioni del Quartier Generale di Caserta, che la sezione politica non é riuscita a far modificare. Il Quartier Generale Alleato ha comunicato telefonicamente stamane che non appena sarà da noi inviata la lista dei componenti le singole missioni, corredata con le relative richieste di M.T.A., si darà a tutte le relative pratiche (inoltro dei telegrammi, organizzazione del viaggio) il più sollecito corso possibJe. Nel fare questa comunicazione il signor Schott ha tenuto a rilevare che, stando così le cose, la celerità dell'invio delle rappresentanze italiane nell'America latina dipende in gran parte dal R. ministero».

2 Analogo promemoria era stato inviato da Camaracescu a Bonomi il 6 novembre 1944.

Cet acte, quoique portant aussi la signature de I'Italie, est au fond une oeuvre exclusivement allemande, ou pour mieux dire national-socialiste.

Un des buts principaux de la politique du Reich dans la vallée du Danube a été celui de soumettre !es deux principaux Etats danubiens à son hégémonie exclusive. En divisant à Vienne la Transylvanie par une ligne de frontière complètement absurde, l' Allemagne a été inspirée par l'intention d'assujetir entièrement autant la Roumanie que la Hongrie.

A la première elle a laissé espérer que si la Roumanie servirait fidèlement et aveuglement le Reich, elle pourrait obtenir une restitution au moins partielle du territoire abandonné. A la seconde l' Allemagne faisait entendre que pour garder sa nouvelle acquisition et peut-ètre mème l'agrandir, elle devrait suivre la politique du Reich sans la moindre reserve.

Les événements ont montré que le but poursuivi par le Reich à travers l'instrument de l'arbitrage a été pleinement atteint. Quoique passionnément opposées l'une à l'autre, la Roumanie et la Hongrie ont tiré pendant presque quatre ans le char du Reich national-socialiste en sacrifiant à celui-ci le meilleur de leur sang et de leurs richesses. Attelés au char allemand par le harnais du traité d'arbitrage de Vienne, !es deux Etats se sont laissés conduire jusqu'à l'épuisement total.

Les résultats nous désignent aussi clairement celui qui doit etre considéré comme le vrai coupable de cet acte d'une politique profondément amorale. Fecit cui prodest. C'est le Reich qui a été le seui à en tirer !es profits politiques, militaires et économiques et c'est à lui seui qu'incombe toute la responsabilité. L'ltalie n'en a tiré aucun avantage et ce n'est certainement pas elle qui en devrait ètre tenue comme la grande responsable.

Si ce jugement s'impose catégoriquement aux personnes initiées en matière de politique étrangère, il en est, tout à fait le contraire qui s'est produit dans l'opinion publique roumaine. Ceci prouve d'ailleurs jusqu'à quel point I'Italie fasciste s'est laissée «jouer» par son partenaire national-socialiste.

La diplomatie et la propagande allemandes ont su en effet répandre et accréditer en Roumanie la version que l'arbitrage de Vienne a été «l'oeuvre exclusive de I'Italie qui avait exercé à Vienne une telle pression sur le Reich, que celui-ci s'est vu contraint de céder et de consentir au tracé absurde de la nouvelle frontière imposée par le comte Ciano».

Si cette version, tellement perfide à l'adresse de l'ltalie, a pu malheureusement se répandre en Roumanie et y trouver une large croyance, c'est que le comte Ciano y a beaucoup contribué par son imprudence. Rentré à Rome il déclarait -et ceci par simple vanité -à qui voulait l'entendre, que l'acte de Vienne était son oeuvre exclusive. N'ayant rien compris du jeu dont il venait d'ètre la victime, le comte Ciano ne cessait de se vanter de cet acte. Il est allé mème j1,1squ'à mobiliser dans ce sens la presse fasciste. Toujours désireuse de présenter n'importe quel événement diplomatique comme un grand succès du fascisme, cette presse-Virginio Gayda en tète -n'a pas manqué d'attribuer à l'Italie le mérite de cette nouvelle amputation de la. Roumanie.

Le résultat de tout ça a été que dans l'opinion publique roumaine s'est formée la conviction profonde que le véritable auteur responsable pour l'arbitrage de Vienne était l'Italie. Cette conviction a été tellement forte qu'elle a rendu impossible la visite du comte Ciano à Bucarest projetée pour le début de I'année li942.

Il importe certainement au gouvemement italien d'aujourd'huì de faire disparaitre cette conviction de l'opinion publique roumaine. La chose serait facile à faire. L'Italie n'aurait qu'à déclarer publiquement qu'elle annulle sa signature sous le second arbitrage de Vienne, comme elle l'a d'ailleurs fait pour le premier (concemant la Tchécoslovaquie). Par cela elle se désolidariserait d'une erreur commise par le régime fasciste et elle présenterait celui-ci comme le vrai responsable. L'Italie nouvelle et libre d'aujourd'hui reprenderait de cette façon en Roumanie tout de suite sa position glorieuse, acquise au temps des luttes pour l'indépendance et l'unité des nations.

Le moment pour une action pareille parait particulièrement bien choisi pour produire sur l'opinion publique roumaine le meilleur et le plus profond des effets. Plus vite elle sera déclenchée, plus grands en seront les résultats.

Toutes les autres conditions existent d'ailleurs dès-à-présent pour la reprise des relations les plus cordiales entre l'Italie d'aujourd'hui et la Roumanie actuelle, affranchies toutes les deux de la tyrannie de la dictature après de si dures épreuves.

Ils existent d'ailleurs des intérèts économiques très importants pour unè reprise d'excellentes relations. La Roumanie peut toujours livrer à l'Italie une grande partie du combustible liquide nécessaire, ainsi que des quantités importantes de produits alimentaires et forestiers. L'industrie italienne pourrait en échange foumir à la Roumanie des articles manufacturés, des produits chimiques et surtout des textiles, très appréciés en Roumanie.

En dehors de tous ces arguments en faveur de l'annulation de l'arbitrage en question il y en a un d'une force toute spéciale. C'est le fait que l'arbitrage contient comme partie intégrante la garantie territoriale que l'Italie accorde à la Roumanie, ensemble avec le Reich allemand. Une pareille garantie, en outre qu'inopérante, est devenue aujourd'hui complètement absurde. L'Italie àntifasciste co-gérante avec le Reich national-socialiste, avec lequel elle se trouve en état de guerre déclaré! Voila une construction politique et juridique qui ne saurait ètre maintenue un seul moment. Il est en effet impossible à concevoir qu'un acte diplomatique puisse encore continuer à exister du moment qu'il constitue un trait d'union et une obligation de solidarité vis à· vis de tiers entre deux Etats qui se sont déclarée la guerre.

Il ne serait peut-ètre pas inutile à rappeler à la fois que le traité en question n'a jamais été reconnu par le gouvemement anglais et que par conséquent son annulation ne pourrait qu'ètre bien vue par les gouvemements alliés, qui ont d'ailleurs-par l'art. 19 de l'armistice entre elles et la Roumanie-expressement annulé l'arbitrage de Vienne du 1940.

Il est possible que le gouvemement italien estime qu'une grande partie des traités signés par l'Italie fasciste sont devenus caducs par le fait mème de la chute de ce régime. Une déclaration spéciale a été toutefois faite à ce sujet, à l'occasion de la reprise des relations diplomatiques avec la Tchécoslovaquie, par le gouvemement italien. Il serait à craindre que le fait de ne pas procéder de façon égale à l'égard de la Roumanie, pourrait donner à l'opinion publique roumaine l'impression défavorable de deux mesures manifestement inégales 1 .

I Annotazione a margine di Prunas: «Zoppi. Il Ministro ha dato a Scorzescu assicurazione che il governo avrebbe agito nel senso richiesto. Preparare una dichiarazione tipo Cecoslovacchia». Vedi D. 37.

31

L'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 160/18. Berna, 8 gennaio 1945, ore 11,58 (per. ore 17 del 12).

Un alto funzionario della legazione svizzera a Berlino, che conosciamo da molti anni e che travasi a Berna di passaggio, mi ha riferito che Hitler, a seguito dell'attentato, è stato seriamente offeso negli organi dell'udito. Non sente quasi più, non può controllare la sua voce ed è per questo che si astiene dall'apparire e dal parlare in pubblico. É invecchiato, abbattuto e senza volontà. Si contendono il potere Himmler e Bormann il cui antagonismo crea notevole malessere nelle organizzazioni del partito. Il morale e lo spirito combattivo del popolo tedesco continuano a mantenersi elevati anche perché si spera in divergenze fra alleati. Situazione materiale in Germania è però estremamente difficile. Mancano materie prime essenziali per lo sforzo bellico, le armi sono costruite con materiale scadente. Secondo il mio informatore sarebbe da ritenere che, soprattutto per queste deficienze di materiale, la Germania non possa resistere ancora più di sei mesi.

32

IL CAPO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 10 gennaio 1945.

Il Comitato di liberazione di Trieste ha recentemente votato un ordine del giorno per l'italianità della Venezia Giulia (ali. 1). L'ordine del giorno suddetto verrà diramato alla stampa a cura di questo ministero.

Risulta che i comunisti di Trieste non erano presenti alla riunione in cui venne votato l'ordine del giorno di cui trattasi e risulta altresì che il loro seggio nel C.L.N. sia «vacante».

Tale astensione potrebbe essere messa in relazione con una informazione peraltro non controllata -e di cui si allega il testo (ali. 2). 1

1 Non pubblicato: intenzione dei comunisti triestini di aderire all'annessione alla Jugoslavia purché la Venezia Giulia sia costituita in repubblica federale autonoma.

ALLEGATO

ORDINE DEL GIORNO DEL C.L.N. DELLA VENEZIA GIULIA

Trieste, 9 dicembre 1944. 1

Il C.L.N. giuliano, che nel particolare momento disciplina la lotta anti-tedesca e anti-fascista nella Venezia Giulia, adunatosi in Trieste nel dicembre 1944 per trattare gli importantissimi problemi nazionali ed economici della regione, unanimemente conviene su quanto segue:

l) I partiti del C.N.L. considerano sacro ed inviolabile il principio dell'unità d'Italia raggiunto in queste terre con il più puro sacrificio di sangue e riconosciuto dalle democrazie occidentali nella precedente guerra di liberazione che chiudeva il ciclo delle guerre del Risorgimento. Essi considerano perciò l'appartenenza della Venezia Giulia all'Italia come un problema in linea di massima risolto e definito nell'interesse della comunità europea.

2) I partiti del C.L.N. decisi di togliere ogni ostacolo alla collaborazione fraterna fra slavi e italiani, si fanno propugnatori di quelle sistemazioni atte a togliere ogni plausibile causa di movimento irredentista fra i popoli slavi e italiani che con giustizia ed equità e senza violare il diritto delle due nazionalità siano la vera e concreta realizzazione delle quattro libertà proclamate dalla carta atlantica, statuto per la nuova Europa che sta sorgendo.

3) I partiti del C.L.N., poiché il problema nazionale della Venezia Giulia e quello economico relativo all'avvenire commerciale di Trieste e Fiume trovano soltanto nella autonomia la loro soluzione definitiva, caldeggeranno nella futura Costituente italiana la più ampia autonomia della regione Giulia secondo il principio democratico e le specifiche esigenze politico-economiche.

4) I partiti del C.L.N. saranno quindi fautori: a) dell'amministrazione autonoma della regione Giulia e dei suoi comuni, dell'amministrazione degli stessi da parte del popolo giuliano stesso, direttamente interessato salvo sempre il principio dell'unità nazionale; b) della parità giuridica culturale ed economica. dei cittadini delle due diverse nazionalità ai quali dovrà essere garantita la conservazione delle peculiarità culturali e di quelle linguistiche attraverso il riconoscimento del diritto sacro all'uso della propria lingua, alla fondazione di un proprio ideale, alla istituzione di associazioni culturali, religiose, sportive ed economiche; c) della cooperazione e della convivenza dei due gruppi etnici in un particolare ordinamento che elimini ogni questione di minoranze e nel quale perciò ogni gruppo sia portato a considerarsi non come minore ma come uguale.

Convinti che nella nuova Europa liberata da ogni pregiudizio nazionalista e imperialistico che devasta il mondo e lo chiude entro gli assurdi ed anti-economici cancelli delle economie autarchiche e dei fraudolenti spazi vitali i popoli abbatteranno ogni ostacolo ai liberi traffici, i partiti del C.L.N. considereranno loro particolare dovere il promuovimento della più pregredita attrezzatura economico-finanziaria di Trieste, centro naturale della regione Giulia e la cui efficienza è condizione essenziale di vita e di prosperità non solo per la popolazione cittadina, ma anche di tutta la regione poverissima di risorse naturali, per trasformarla in un porto veramente franco cioè in un emporio libero a tutte le bandiere e governato, nei riguardi della amministrazione e delle gestioni commerciali, da un ente portuale, nel quale abbiano una congrua partecipazione la municipalità e gli enti pubblici interessati e del quale facciano viva parte le aziende armatoriali industriali e commerciali, cioè tutte le aziende

l Questo ordine del giorno era stato comunicato dallo Stato Maggiore con N. 33323/sp del 23 dicembre. Esso è parzialmente edito in MARIO PACOR, Confine orientale. Questione nazionale e resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 301-302.

utenti nazionali ed estere. Attraverso tale ente ogni popolo interessato all'utenza del porto conseguirà garanzia di libero esercizio della navigazione, dell'industria e del commercio entro l'emporio triestino. E nella civilissima Italia democratica troveranno ospitalità e libertà i commerci di tutte le nazioni per dare all'Europa centrale il più rapido assestamento del dopo guerra.

I partiti del C.L.N. esortano la popolazione della regione Giulia e del suo massimo centro in particolare a prendere vivo interessamento ai suoi destini nazionali ed economici perché solo dal contributo coraggioso e generoso di tutti sarà possibile realizzare, dopo tante amarezze e restrizioni i postulati di giustizia e democrazia cui il popolo ha buon diritto di aspirare.

Detti partiti infine rendono omaggio a tutti i caduti per la causa degli uomini liberi e salutano i partigiani giuliani di nazionalità italiana e slava che, affratellati oggi dalle sofferenze patite e dalla lotta sostenuta in comune combattono contro la barbarie tedesca per tutte le libertà sociali, politiche e nazionali creando così, col sacrificio e col sangue, le basi durature di solidarietà fra le due nazioni.

33

IL SEGRETARIO DELLA MISSIONE ECONOMICO-FINANZIARIA A WASHINGTON, ORTONA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

RISERVATO 33. Washington, IO gennaio 1945 (per. il 27).

A codesto ministero sarà già pervenuta la notizia della pubblicazione alquanto sensazionale da parte del noto giornalista Drew Pearson in data 4 gennaio di un documento segreto emanante dal governo britannico dell'agosto scorso, circa il trattamento da usare all'Italia 1•

Trasmetto ad ogni buon fine il testo dell'articolo (ali. 1) 2 che ha suscitato in questi ambienti politici e diplomatici un notevole scalpore. Il documento è retrospettivo, ma costituisce una significativa e interessante documentazione dell'atteggiamento inglese poco prima dell'incontro di Hyde Park.

L'autore della colonna scandalistica è, come sarà noto a codesto ministero, un influentissimo giornalista associato alla collana dei giornali più letti negli Stati Uniti ed è oggi unanimemente considerato come il più temibile e pervicace critico dello State Department e dell'amministrazione in genere. Ad illustrazione della figura di Drew Pearson, trasmetto anche (ali. 2) un diffuso articolo del Saturday Evening Post del 6 gennaio u.s. dal titolo Pugnacious Pearson. Malgrado il presidente Roosevelt, in una conferenza stampa del settembre scorso, non abbia esitato a qualificare Pearson come chronic liar, molte delle informazioni pubblicate dal Pearson si sono spesso rivelate fondate. Ciò fa sì che negli ambienti governativi egli sia considerato un incorreggibile public enemy e che la sua figura vada sempre più circondandosi di autorità più che di discredito. Ho potuto valutare la sua «pericolosità» quando trovandomi sere fa in un gruppo di persone, tra cui l'attuale sottosegretario allo

1 Cfr. in proposito EGIDIO ORTONA, Anni d'America. La ricostruzione 1944-1951, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 64-66.

2 Gli allegati non si pubblicano.

State Department, Grew, questi, che ha già subito alcuni attacchi da Pearson, richiesto da qualcuno di formulare la sua opinione sul giornalista, ha avuto una reazione violentissima e ha espresso l'augurio che fosse possibile un giorno farlo tacere.

Comunque, per quanto concerne il documento riprodotto, credo non vi possa essere alcun dubbio sulla sua autenticità. Ne fanno implicitamente fede le dichiarazioni che Stettinius è stato costretto a fare la sera stessa della pubblicazione e che qui pure allego nel ritaglio dell'Evening Star (ali. 3). D'altra parte, avendo io avuto già un appuntamento fissato all' Italian Desk dello State Department per quello stesso giorno, ho avuto occasione di parlare esplicitamente della questione con il capo dell'ufficio stesso, che ho trovato notévolmente scosso dalla «fuga» di un documento di tale importanza. Egli non ha per nulla escluso che il documento fosse veridico e ha naturalmente deplorato l'accaduto. Ha però tenuto ad aggiungermi che esso rifletteva <<Una situazione di alcuni mesi fa» e che non rispecchiava «l'attuale stato reale delle cose». Molte altre comunicazioni erano passate tra i due governi nel frattempo e la situazione si era notevolmente modificata.

É comunque meritevole di attenzione il fatto che nelle dichiarazioni fatte alla stampa la sera della pubblicazione, Pearson abbia detto (vedi ali. 3) che l'ambasciatore inglese era già da due giorni al corrente della sua «colonna» Nel regime di piena libertà di stampa che qui vige, è possibile che il governo non sia riuscito a impedire la pubblicazione, ma comunque è pur sempre singolare il fatto che tale documento sia filtrato fuori del segreto dello State Department. Vi è quindi da pensare che, malgrado le deplorazioni ufficiali, la poca benevolenza del sottosegretario Grew, che ho sopra segnalato, la desolazione degli uffici, qualcuno dello State Department stesso abbia fornito il documento e che qualche «corrente» del Dipartimento abbia anche surrettiziamente lasciato che esso andasse per la sua strada.

Che la questione italiana, d'altra parte, abbia costituito motivo di animati scambi di idee tra i governi britannico e americano negli ultimi mesi, non vi è dubbio. Molte sono state le circostanze occasionati che hanno contribuito a tenerla viva, e indubbiamente notevole e vivace è sempre stata la reazione, con cui la stampa ha commentato gli avvenimenti italiani, spesso non esitando a criticare l'inadeguatezza dei provvedimenti presi in Italia dagli Alleati o rilevando la discrepanza di vedute sorta al momento della crisi politica del mese scorso.

Neppure facili debbono essere state le discussioni intervenute a Washington sulla situazione economica e alimentare in Italia con il ministro britannico Law, discussioni che, a quanto mi è stato riferito, hanno subito vari alti e bassi, sia pure, in parte, determinati dalle difficoltà di trasporto marittimo, improvvisamente rivelatesi a causa della cattiva piega delle operazioni militari in Germania. E che d'altra parte la messa a punto della questione italiana tra i due alleati proceda attraverso un faticoso elento lavoro di consultazioni, è stato possibile constatare anche attraverso i, sia pure vaghi e reticenti, accenni fattici, e già da me segnalati in precedenti comunicazioni, in connessione con i lavori della nostra missione qui.

Comunque, oggi la questione italiana nel suo complesso e di conseguenza anche nei suoi aspetti economici, sembra essere oggetto di esame nelle «altissime sfere» alleate e da vari segni può dirsi essere intervenuta da parte britannica una comprensione certo ben diversa da quella che accusa il documento inglese dell'agosto scorso riprodotto da Drew Pearson. Le condizioni economiche del nostro Paese sono ormai note, e la nostra missione qui non ha mancato di illustrarle nel modo più esauriente in ogni possibile ambiente o dipartimento, le distruzioni apportate dalla guerra sono ogni giorno poste in rilievo (è di questi giorni una serie di articoli sul New York Times, relativi alle distruzioni ai monumenti artistici), la situazione della popolazione italiana ha già anche fatto oggetto di dettagliate dichiarazioni della molto ascoltata e influente congresswoman Claire Luce, testè ritornata dall'Italia, ed è certo che sia le sfere ufficiali americane che questa stampa hanno agito in modo tale da indurre anche la parte britannica a una più favorevole considerazione dei nostri problemi.

Vi è certo un insieme di interessi politici a ciò connessi (non è poco il peso degli italo-americani) ma vi è anche un chiaro e sincero complesso di reazioni affettive che contribuiscono a tener viva tale atmosfera di comprensione nei nostri confronti. Ne fa fede un'altra pubblicazione di Drew Pearson apparsa oggi e che qui pure allego (ali. 4), in cui viene riprodotto un altro documento ufficiale: la lettera inviata in data 31 ottobre dal presidente Roosevelt al ministro della Guerra per ordinare sotto--.la sua responsabilità provvedimenti atti a migliorare la situazione alimentare del nostro Paese.

Le prossime settimane, che secondo quanto viene in questi circoli ritenuto, vedranno un nuovo incontro a tre, forse subito dopo l'inizio ufficiale del quarto termine di Roosevelt il 20 gennaio, diranno se e in qual modo sulla situazione italiana, e specialmente sui suoi aspetti economici, è stato raggiunto un accordo dopo la serie dei contatti, certo attivissimi, intervenuti sull'argomento tra Roosevelt, Churchill e i due ministeri degli esteri britannico e americano o se il problema italiano riceverà una soluzione di più ampia portata nello stesso incontro a tre.

É indubbio però che, a prescindere dagli «episodi» cui la situazione italiana ha dato origine, essa si è avvantaggiata dal premere dell'opinione pubblica sul presidente e sul Dipartimento di Stato per una più precisa definizione dell'atteggiamento americano nelle questioni di politica estera in generale, e, in particolare, nelle questioni che si agitano oggi nel travaglio della ricostruzione europea. La crisi intervenuta in occazione delle nomine al Dipartimento di Stato, che ho segnalato con mio rapporto

n. 21 del 19 dicembre 1 , è stata la prima manifestazione apparente di tale pressione. Dopo di essa vi è stato un continuo succedersi di ammonimenti, critiche, esortazioni da parte di tutta la stampa. Nella conversazione cui ebbi occasione di prender parte col sottosegretario Grew a cui ho sopra accennato, Grew lamentava questo insistere di imbarazzanti pressioni e di attacchi, rilevando che, nella mutevolezza dell'attuale situazione politica internazionale, il governo americano non poteva commit themselves tostate a definite policy, ma doveva limitarsi a formulare some principles upon which to base our policies from time to time.

Malgrado ciò è tuttavia da ritenersi che a qualche più preciso impegno e a una più definita chiarificazione dei rapporti con gli alleati sulle varie questioni europee il governo americano vada sensibilmente avviandosi. Troppo è il premere della pubblica opinione sull'argomento (è di questi giorni un acceso battibecco tra Stettinius e il senatore Wheeler sul tema dell'opportunità o meno di imporre unconditional surrenders, è di ieri una riunione alla Casa Bianca dei senatori democratici a seguito della quale il senatore Barkley ha dichiarato che il presidente aveva

l Vedi D. 14, nota l p. 23.

detto di essere «perfettamente consapevole)) delle attuali tendenze in politica estera della pubblica opinione e della stampa). E se anche il presidente ha dichiarato nel suo messaggio al Congresso che gli Stati Uniti non avrebbero esitato a usare tutta la loro influenza per l'adempimento dei principi della Carta Atlantica, se anche egli ha stigmatizzato la così detta power politics e ha annunciato che l'anno testé iniziatosi dovrà vedere l'inizio di una concreta organizzazione per la pace, ciò non è certo bastato ad accontentare i critici più esigenti e quei settori dell'opinione pubblica e del Congresso che da tempo chiedono al governo una più precisa definizione della sua politica estera. Ne fa fede l'ampia dichiarazione di politica estera fatta dal senatore repubblicano Vanderberg, in data di ieri, al Senato, che allego qui unita nel ritaglio del New York Times (ali. 5). Il fatto che Roosevelt si sia limitato a esprimere finora delle «generalità)) induce però a pensare che egli, malgrado le pressioni esterne, abbia voluto evitare un qualsiasi pronunciamento in previsione dell'incontro a tre, dal quale dovrebbe scaturire, secondo le speranze che qui si eprimono, una più sincera collaborazione fra gli alleati e una definizione più precisa del loro atteggiamento in merito alle varie questioni europee, quella italiana compresa, e forse anche, secondo illazioni che da qualche giorno si vanno facendo, la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite e l'istituzione di un Consiglio provvisorio delle Nazioni Unite stesse.

34

IL SEGRETARIO DELLA MISSIONE ECONOMICO-FINANZIARIA A WASHINGTON, ORTONA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 39. Washington, 11 gennaio 1945 (per. il 28).

Approfitto di un corriere della delegazione apostolica per inviare qualche notizia, specialmente in relazione al problema dei prigionieri di guerra.

Non invio nessun rapporto in merito alle nostre conversazioni perché dopo quanto ti ho segnalato alla fine di dicembre 1 , la situazione permane in uno stato fluido e da parte americana non ci è stata ancora fornita alcuna risposta concreta. Sappiamo però perché ci è stato esplicitamente detto, che le nostre proposte sono oggetto di attento esame e sono vagliate in riunioni, credo alquanto numerose, degli uffici americani interessati. Attendiamo di giorno in giorno convocazioni, sia da parte della Tesoreria e, credo, personalmente da Morgenthau, che da parte di altri Dipartimenti. Nel frattempo fin dall'ultima settimana di dicembre, abbiamo avvicinato la Foreign Economie Administration, per illustrare quelli che dovrebbero essere il significato e le modalità del reciproca[ aid da noi già proposto e illustrato nelle varie riunioni alla Tesoreria. Tale lavoro di contatti si è fortunatamente svolto, credo, negli stessi giorni in cui la situazione economica italiana veniva esaminata in

I Vedi DD. 13 e 14.

45 profondità dal F.E.A. insieme cogli esperti inglesi venuti qui con il ministro Law -anche a seguito del rapporto Macmillan. E credo che sia stata una utile coincidenza agli effetti dei risultati finali.

È nostra impressione che la lentezza con cui si è proceduto da parte americana è anche, se non soprattutto, dovuta alla circostanza che la situazione italiana nel suo complesso, secondo la sensazione che noi abbiamo qui, e secondo quanto ho segnalato con rapporto odierno circa l'articolo di Pearson 1 , è attualmente oggetto di un attivo scambio di consultazioni tra americani e inglesi e molto verosimilmente viene oggi trattata on the highest leve/. Ed è indubbio che gli aspetti economici della situazione stessa rappresentano la parte più importante di tali consultazioni. Comunque non trascuriamo occasione nei contatti personali che abbiamo potuto stabilire di ribadire e di illustrare le proposte da noi avanzate. Abbiamo l'impressione che il nostro lavoro sia stato apprezzato da parte americana, e che esso abbia contribuito ad indirizzare certe decisioni avvenire nei nostri riguardi. Questo mi è stato anche esplicitamente dichiarato allo State Department.

Ho avuto anche modo di vedere qualche volta Dunn, assistente segretario di Stato per gli Affari Politici, a cui ho dettagliatamente illustrato le nostre proposte, non mancando di attirare la sua attenzione sulla necessità che lo State Department nella sua valutazione politica ne indirizzasse la soluzione verso un risultato favorevole. E mi è parso che Dunn sia perfettamente conscio della nostra situazione e ben disposto. Sempre allo State Department ho anche ribadito la necessità che, se qualche decisione verrà adottata ciò avvenga con ogni possibile rapidità, per evitare che gli effetti delle decisioni stesse abbiano a manifestarsi troppo tardi perdendo così di efficiacia.

In queste circostanze non mi è ancora possibile formulare alcuna previsione circa l'epoca del ritorno. Non credo però che le risposte che attendiamo debbano ora tardare: si vedrà allora se esse possano considerarsi conclusive o richiedano ancora un certo seguito di consultazioni.

35

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 209/8. Roma, 16 gennaio 1945 2 .

Suoi l e 53• Apprezziamo ragioni da lei esposte nel suo rapporto n. 1224 . Ci rendiamo cioè conto di quelle che sono oggi e più saranno domani esigenze sovietiche in

1 Vedi D. 33.

2 Questo telegramma fu trasmesso alla rappresentanza sovietica a Roma per l'inoltro a Mosca con lettera di Prunas del 20 gennaio, n. 3!90. Un'annotazione di Pqmas del 13 febbraio su questa lettera avverte: «Il signor Martinov mi riporta oggi la nostra lettera e il telegramma accluso, informandomi che per ragioni tecniche non è stato possibile trasmetterlo a Quaroni. Il telegramma ci è stato cioè restituito dopo oltre venti giorni dalla sua consegna».

3 T. 16611 del 1° gennaio e T. 165/5 del 9 gennaio: opportunità di entrare in rapporti col governo provvisorio polacco di Lublino 4 Vedi serie decima, vol. I, D. 408.

regioni dove interessi politici, militari, economici russi dovranno di necessità prevalere.

Tenga peraltro presente che non ci è possibile, né sarebbe del resto conveniente, sinché duri nostra condizione armistiziale, prendere atteggiamento eventualmente contrastante con atteggiamenti politici che sono tuttora quelli dei governi le cui truppe occupano, con tutte conseguenze connesse, nostro territorio.

Le ricordo d'altra parte che ripresa diplomatica con governo polacco Londra fu decisa e attuata due mesi fa, in blocco, insieme e contemporaneamente a quella con tutte le Nazioni Unite. Le ricordo anche che abbiamo sul nostro fronte un corpo di spedizione polacco che si è battuto e si batte valorosamente.

Nostra proposta relativa italìani internati in quelle regioni, oltre che a evidenti e prevalenti scopi umanitari, ubbidiva comunque anche a propositi di contatto, sia pure entro quei limiti che le circostanze ci impongono, almeno per il momento, di non superare.

Si regoli dunque in conseguenza con quel tatto e duttilità che la questione esige, richiedendo di volta in volta istruzioni.

36

L'UFFICIO DI COLLEGAMENTO ALLA SEZIONE POLITICA DELL'A.C.

PROMEMORIA. Roma, 16 gennaio 1945.

Reference is made to Mr. Hopkinson's verbal request concerning the present state of our diplomatic relations with Bulgaria. After the Armistice of September 8th, the Bulgatian Government recognized the Fascist Government and the Italian Legation's staff was interned near Sofia.

Following the armistice between Bulgaria and the United Nations, the staff of the Italian Legation was released but received no official recognition on the part of the Bulgarian Government. The latter, however, at the beginning of December asked to know the intentions of the Italian Government as regards the re-establishment of normal diplomatic relations. The Italian Government stated their willingness to normalize them and confirmed the appointment of the staff who had remained loyal to the Italian Government 1 .

The Bulgarian Government have issued on January 4th an official communiqué stating that norma} diplomatic relations have been re-established with Italy as from January 3rd 2•

l Vedi serie decima, vol. I, DD. 546 e 554. 2 Vedi D. 70.

37

DICHIARAZIONE DEL GOVERNO ITALIANO

Roma, 18 gennaio 1945.

Il governo democratico italiano,

nel riaffermare che la politica estera fascista è stata contraria alla volontà, ai sentimenti, agli interessi permanenti del popolo italiano, e, insieme, dei popoli danubiano-balcanici,

constata in particolare che il lodo arbitrale di Vienna del 30 agosto 1940 fu il risultato dell'asservimento della politica fascista ai disegni di aggressione del nazismo nel bacino danubiano,

dichiara solennemente di considerare nullo e inefficiente il suddetto lodo arbitrale ed ogni altro impegno o atto ad esso conseguente,

e riafferma la sua profonda fede nella necessità dell'amicizia e della collaborazione fra la Nazione italiana e i popoli danubiano-balcanici, nell'interesse reciproco e della rinascita europea 1•

38

COLLOQUIO DEL MINISTRO EGLI ESTERI, DE GASPERI, CON IL RAPPRESENTANTE DALLA FRANCIA NEL COMITATO CONSULTIVO PER L'ITALIA, COUVE DE MURVILLE

PROMEMORIA. Roma, 18 gennaio 1945.

Il signor Couve de Murville consegna al ministro De Gasperi il progetto di scambio di note accluso.

Afferma che esso è stato approvato dopo lunga discussione e con difficoltà dal Consiglio dei ministri francese e che non è quindi che molto difficilmente modificabile2.

I Con T. 260/15 del 19 gennaio vennero date istruzioni a Bova Scoppa di portare ufficialmente a conoscenza del governo rumeno questa dichiarazione. Bova Scoppa rispose con T. 1005/52 del 14 febbraio che il governo rumeno aveva preso atto con soddisfazione e gratitudine della decisione italiana.

2 Il promemoria è stato redatto da Prunas. De Gasperi annotò i seguenti appunti sulla conversazione con Couve de Murville: «Couve: appena ottenuta la risposta, partirà per Parigi onde fissare i modi della ripresa delle relazioni diplomatiche (rappresentanti come a Londra, 3 agenzie consolari). Ho rilevato che giuridicamente ogni questione così resta aperta fino alla pace. Egli ha risposto che in via di fatto si potranno risolvere le questioni degli italiani in Francia e in Tunisia (operai, militari, internati). Ho anche rilevato che la forma di Carandini non gli ha impedito di assumere il protettorato dei prigionieri italiani ecc. Couve ha raccomandato che non si parli nella stampa (cenno a Trieste). Ha smentito che la Francia pensi a territori. Solo già nella prima fase ha fatto cenno al Fezzan».

Aggiunge che, appena avrà la nostra risposta, che si augura affermativa, egli partirà per Parigi per concretare lo scambio delle rispettive rappresentanze diplomatiche (sul modello britannico), e l'apertura di tre nostri uffici consolari a Parigi, Marsiglia, Tolosa.

Il ministro rileva che se il nuovo accordo non potrà entrare in vigore che dopo la firma dei trattati di pace, la questione tunisina resterà pericolosamente aperta fino a una data troppo imprecisa e troppo indefinita.

Couve assicura che, in via di fatto, appena le rispettive rappresentanze riprenderanno la loro attività, molte questioni relative agli italiani sia in Francia che in Tunisia (operai, internati, militari, ecc.) potranno essere avviate ad una equa soluzione. Il ministro rimanda comunque la sua risposta a quando avrà compiuto un esame approfondito delle due note.

Couve accenna all'opportunità che la stampa non si occupi troppo delle trattative e, soprattutto, che non se ne occupi sulla base di informazioni inesatte. Smentisce che la Francia abbia aspirazioni territoriali sull'Italia (precedentemente aveva fatto qualche cenno a revisioni di frontiere nel Fezzan).

ALLEGATO l

LETIRE A ADRESSER PAR LE GOUVERNEMENT ITALIEN

Je vous serais reconnaissant de bien vouloir porter à la connaissance du gouvemement français la communication suivante:

«Le gouvemement provisoire de la République française a expressément constaté, par ordonnance en date du 22 juin 1944, que !es trois conventions du 28 septembre 1896 relatives au régime des ressortissants italiens établis en Tunisie, ont été rendues caduques par la déclaration de guerre de l'italie à la France du 10 juin 1940.

Le gouvemement italien considérant, comme le gouvemement français, que ces conventions ont en effet cessé d'exister, note qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens séjoumant dans la Régence. Aussi souhaiterait-il que le gouvemement français se montràt disposé à négocier une. convention d'établissement basée sur !es principes généraux du droit international en vue de définir les conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie».

ALLEGATO Il

ACCUSE DE RECEPTION DU GOUVERNEMENT FRANçAIS

A la date du ... vous avez bien voulu me prier de porter à la connaissance de mon gouvemement la communication suivante:

«Le gouvernement provisoire de la République française a expressément constaté, par ordonnance en date du 22 juin 1944, que !es trois conventions du 28 septembre 1896 relatives au régime des ressortissants italiens établis en Tunisie, ont été rendues caduques par la déclaration de guerre de l'Italie à la France du IO juin 1940.

Le gouvemement italien considérant, comme le gouvernement français, que ces conventions ont en effect cessé d'exister, note qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens séjournant dans la Régence. Aussi souhaiterait-il que le gouvernement français se montràt disposé à négocier une convention d'établissement basée sur !es principes généraux du droit international en vue de définir !es conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie».

D'ordre de mon gouvernement, j'ai l'honneur d'accuser réception de cette communication. Le gouvernement français a pris note du désir exprimé par le gouvernement italien et est disposé à procéder avec !es autorités ... compétentes à des échanges de vues préliminaires en vue de définir, sur la base des principes généraux du droit international, !es conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie. L'accord qui interviendrait ne saurait bien entendu étre signé qu'après conclusion des traités mettant fin aux hostilités.

39

IL CAPO DELL'UFFICIO OTTAVO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, SOLARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATISSIMO. Roma, 19 gennaio 1945.

Il cap. Cappeccioni-che farà prossimamente ritorno in Albania, ove prenderà subito contatto col gen. Piccini -ha chiesto di possibilmente conoscere -per norma di linguaggio del generale stesso -se il governo italiano non sarebbe eventualmente, e a determinate condizioni, alieno da stringere diretti rapporti con il governo di Enver Hoxha, anche senza un formale riconoscimento.

D'altro canto è stato riferito a questo ministero che alcuni italiani-preoccupati della situazione in Albania nei riguardi dei nostri interessi -intenderebbero agitare sulla stampa la questione del riconoscimento di detto governo di Enver Hoxha, lamentando che ciò non sia stato sinora fatto da parte del governo italiano (un articolo era stato preparato per l'Avanti).

Si fa al riguardo presente quanto segue: l) Il governo di Enver Hoxha controlla, da ormai diversi mesi, la maggior parte del territorio albanese. Quantunque si manifestino contro di esso delle opposizioni, non sembrerebbe che possa per ora prodursi, salvo l'intervento di forze esterne, un movimento che ne provochi la caduta. 2) La situazione dell'ingente numero di cittadini e degli importanti interessi italiani si va facendo sempre più grave e non pare possibile dilazionare la soluzione di alcuni dei problemi ad essi inerenti (mentre per altri problemi sembrerebbe più opportuno rimandare ogni discussione a un periodo più favorevole). 3) Una soluzione, anche provvisoria e parziale, degli urgenti problemi predetti non pare potersi ottenere che a mezzo di contatti diretti col predetto governo di Enver Hoxha, non sembrando che gli Alleati vogliano o possano efficacemente intervenire. 4) È nota infatti l'attitudine estremamente riservata che gli Alleati tengono nei confronti del predetto governo albanese, che non hanno sinora riconosciuto.

In relazione a quanto precede, e tralasciando per ora ogni decisione circa un formale riconoscimento del governo di Enver Hoxha, si prospetta la possibilità di comunicare al generale Piccini, a mezzo del capitano Cappeccioni, che cerchi di intrattenere col governo stesso i migliori rapporti al fine di risolvere, in quanto possibile, le questioni contingenti riguardanti l'assistenza e il rimpatrio degli italiani. Ove in tali contatti il generale Piccini abbia l'opportunità di conoscere le intenzioni del governo predetto circa una ripresa di rapporti con l'Italia, egli, non prendendo peraltro nessun impegno al riguardo, potrebbe riferire sull'argomento a questo ministero.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 305/10 1 . Roma, 21 gennaio 1945 2 .

Alcune espressioni del recente discorso pronunziato dal primo ministro ai Comuni il 18 corr. hanno suscitato dolorosa impressione in tutta l'opinione pubblica italiana e rimostranze e proteste di questa stampa. Specialmente la frase «non abbiamo bisogno dell'Italia» viene interpretata come diretta contro lo sforzo militare che il governo sta facendo e influisce sinistramente sullo spirito pubblico alla vigilia della imminente chiamata alle armi. Anche l'accentuazione della fragilità del governo Bonomi per mancanza di consenso elettorale indebolisce l'efficacia degli sforzi che il governo sta facendo per suscitare energie ricostruttive, o comunque, anche interpretata nel senso di combinazioni politiche future, sembra escludere l'appoggio dell'Inghilterra ad ogni nostra speranza di riabilitazione politica. Noi pensiamo che il testo integrale del discorso potrà forse modificare tali impressioni e che certo il primo ministro, finora così largo verso il nostro Paese e l'attuale governo di comprensione e di incoraggiamento, era lungi dal prevedere le impressioni italiane di dichiarazioni rivolte a diverso indirizzo.

Sento tuttavia il dovere di pregarla di far presente al Foreign Office questa eco dolorosa e involontaria dichiarazioni del primo ministro che almeno nel sunto qui diffuso hanno un tono di scoraggiante inconsueta durezza.

Il governo britannico sa -e lo stesso Churchill lo ha del resto sottolineato quali e quante siano le nostre difficoltà. Sa che il popolo italiano è stanco, logorato dalle distruzioni, minacciato dalla fame, ridotto all'estremo delle sue risorse. Sa anche che, nonostante tutto, noi facciamo in questi giorni un energico sforzo per galvanizzare il Paese e ricondurlo, attraverso sopratutto il richiamo alle armi di dieci classi, al rispetto di se stesso e alla fiducia nell'avvenire, che sono la necessaria premessa di ogni rinascita.

t Minuta autografa. 2 Inviato il 22 gennaio, ore 10,30.

Le parole pronunciate nei nostri riguardi in questo periodo cruciale hanno dunque per noi una importanza estrema, e, sopratutto, quando provengono, ripeto, da un uomo che ha l'autorità e il prestigio di Churchill, verso cui il popolo italiano guarda -e giustamente -con fiducia vivissima.

Ella vorrà segnalare queste nostre preoccupazioni al Foreign Office dando, ripeto, al suo discorso, il tono e la forma che meglio corrispondono alla lealissima amicizia che ci muove ad esprimerle 1•

41

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 471130 bis. Londra, 24 gennaio 1945 2 (per. ore 10 del 27).

Non appena ho avuto conoscenza frase discorso primo ministro riprodotta nel mio telegramma stampa 0173 ne ho chiesto esatto significato a questo Foreign Office facendo presente che si prestava erronea interpretazione e conseguente penosa impressione in Italia. Comunicato di questa mattina (mio telegramma stampa 023) 4 non solo fornisce desiderato chiarimento, ma aggiunge incoraggiante precisazione per il futuro. Ancora una volta permettomi raccomandare venga tenuta presente convenienza persuadere nostra stampa astenersi precipitosi ed inopportuni apprezzamenti che deviando opinione pubblica otrebbero pregiudicare normali sviluppi situazione. Vedrò domani signor Eden e riservomi riferire sul nostro colloquio 5 .

ALLEGATO

STATEMENT ISSUED FROM N. IO DOWNING STREET 23rd JANUARY, 1945

Attention is drawn to the misquotation of a passage in the Prime Minister's speech of January 18th to which, wrested from its context, wrongful publicity has been given in Italy and elsewhere.

The Prime Minister is quoted as saying «we do not need Italy» whereas what he actually said was «let me say once and for ali that we have no politica! combinations in Europe or elsewhere in respect of which we need Italy as a party. We need Italy no more than we need Spain because we have no designs which require the support of such powers.

l Per la risposta vedi D. 41.

2 Inviato il 25 gennaio.

3 T. 360/017 del 19 gennaio, non pubblicato.

4 T. 474/023 del 24 gennaio con il quale Carandini aveva trasmesso il comunicato che si pubblica in allegato.

5 Vedi D. 43.

These words were called for by, and relate to, the suggestion which had been widely made that Great Britain was embarking on a system of power politics in Europe and especially in the Mediterranean. They in no way supersede or modify the Prime Minister's other statement last August about Italy quoted below nor do they imply that Italy now or in the future should be excluded from an honourable role in the European politica! system.

The following are the passages referred to:

l. On leaving the shores of Italy after a profoundly interesting and instructive visit, I should like to send a few words of encouragement and hope to the italian people. I was most deeply touched by the extraordinary kindness which I was welcomed in ali the villages and small towns through which I have driven in traversing the entire front. There is no doubt that in the zone of armies the relations of Italians with British American and other allies are of the most friendly and cooperative character. The same is true of all the rest of the liberated territories. Of course, owing to hard conditions of war, the disorganisation caused by the demolitions of the enemy, the shortage of shipping and transport, much hardship may arise in particular places. I have given directions to the British Representatives in the various intemational bodies concemed to do their utmost in harmony with their colleagues to meet these difficulties and I am sure these efforts will be warmly supported by our allies. At the end of the war in Europe which may not be so far as was formerly expected, there is one gift which will certainly be given to Italy when norma! conditions are restored -the priceless gift of freedom.

2. Hard work, strong resolves, high inspiration and above ali true unity will all be needed if Italy is to nourish her people and resume her piace among the leading powers of Europe. Politica! excitement and clashes of many parties will not achieve these simple joys and rights which the mass of people so desire. There was an English statesman many years ago -the great commoner, as he was called, who made a famous exhortation to the classes and bitter factions of the Britishg Isles when he exclaimed: «Beone people». Seventy years later, this was the theme which Mazzini preached and an ideai which Garibaldi accomplished. Italy must recapture the ideals of freedom which inspired the Risorgimento. May this thought rest you through your troubles and may your many friends both in England and across the ocean see their hopes rewarded.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 373/13. Roma, 25 gennaio 1945, ore 10,30.

Mio telegramma n. l O 1•

La prego far sapere al primo ministro che apprezziamo molto che egli abbia voluto, modificando erronee interpretazioni, darci la versione esatta delle frasi relative all'Italia contenute nelle sue recenti dichiarazioni ai Comuni2, e, sopratutto, abbia in questa occasione voluto riconfermare le sue parole incoraggianti dello scorso agosto 3 .

1 Vedi D. 40. 2 Vedi D. 41, Allegato. 3 Vedi serie decima, vol. I, D. 365.

43

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 555/33. Londra, 26 gennaio 1945 1•

Mio telegramma 30 2•

l. Ho avuto colloquio con Eden. Egli mi ha consentito esprimermi tutta franchezza rafforzando mio fermo convincimento sue leali amichevoli disposizioni nostro riguardo. Circa reazione ultimo discorso Churchill, Eden si duole tendenze stampa italiana a malevole interpretazioni mentre mi ha fatto osservare che comunicato speciale Downing Street, è migliore prova quale conto governo inglese tiene opinione pubblica italiana. Di fronte espressioni mio rammarico per seguito non benevole espressioni verso Italia contenute discorsi Churchill, Eden [stesso] quasi in coincidenza con inizio mia difficile missione, Eden ha avuto parole incoraggiamento ispirate evidente sincerità fornendo spiegazioni persuasive a chi conosca Io stato di questa opinione pubblica e le riflesse difficoltà parlamentari di cui questo governo deve tener conto. Posso assicurare V.E. che queste mie affermazioni non sono dettate facile ottimismo ma ponderato apprezzamento esigenze nazionali e internazionali che influenzano oggi politica inglese nostri riguardi. Opinione inglese si orienta verso crescente comprensione nostri riguardi ma, nel nostro stesso interesse, azione governo non può precedere ma dovrà seguire con cautela questa favorevole evoluzione. Occorre opinione pubblica italiana si renda conto questa delicata situazione e sia incoraggiata da stampa responsabile verso fiducia in prossimi favorevoli sviluppi sui quali sento poter fare personalmente ragionevole affidamento. Concludendo argomentazione su questo punto ho fatto presente al signor Eden come si renda a mio parere necessario concretare affermate buone disposizioni in pubblico adeguate espressioni riconoscimento riscossa italiana rompendo penoso silenzio mantenuto su operazioni patrioti, esercito, flotta, aviazione e resistenza popolazioni civili. Eden ha dimostrato di intendere tale necessità pur senza darmi alcun preciso affidamento.

2. -Secondo istruzioni impartitemi da V.E. in Consiglio dei ministri ho poi prospettato ad Eden questione esercito affermando opportunità pratica e necessità morale riunire divisioni ora operanti isolate in un unico corpo italiano nucleo futuro esercito nazionale. Gli ho fatto presente umiliante trattamento patrioti, ostacoli frapposti loro inquadramento unità esercito, prospettandogli danni immediati e pericoli futuri tale politica che consideriamo imprudente. Eden, fatta riserva per eventuali difficoltà carattere militare esulanti sua competenza, mi ha detto essere politicamente favorevole ambedue richieste e svolgerà sua influenza nel senso desiderato. 3. -Ho consegnato traduzione ordine del giorno Comitato liberazione nazionale e appello capi Nazioni Unite per intensificazione sforzo bellico, richiamando così sua attenzione su generosa espressione volontà popolare. Ho l'impressione che questione potrà essere trattata prossimo incontro tre capi. 4. -Ho·anche prospettato al signor Eden necessità abbinare assunzione protezione prigionieri di guerra con esame per modifica loro status giuridico e denominazione, segnalando favorevoli ripercussioni morali fra i prigionieri ed in Italia. Si è riservato studiare questa possibilità senza escluderla. Per quanto si riferisce alla comunicazione alla nostra stampa dell'avvenuto trapasso della protezione dei prigionieri mi riservo ulteriori comunicazioni secondo accordi in corso con il Foreign Office. In complesso il colloquio è stato soddisfacente e tale da incoraggiare qualche moderata ma concreta speranza per il prossimo avvenire.

1 Inviato il 27 gennaio giunse indecifrabile. N fu chiesta ripetizione che pervenne il IO febbraio. 2 Vedi D. 41.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA RISERVAT0 1 . Roma, 26 gennaio 1945.

l. Non sembra dubbio che le circostanze ci impongano la cancellazione di ciò che da parte francese si continua ad interpretare, oggi come ieri, in termini di «ipoteca italiana sulla Tunisia». È cioè perfettamente logico attendersi che i nodi posti con l'aggressione del giugno 1940 contro la Francia e con la disfatta, giungano ineluttabilmente al pettine. È doloroso certamente, ma sarebbe insieme inutile e pregiudizievole, tentare di sfuggire alla resa dei conti. Si ricorda del resto che le convenzioni del 1896 sono state denunciate dalla Francia sino dal settembre 1918 e da allora sono state applicate solo in forza di tacita riconduzione trimestrale da parte francese. Si ricorda altresì che la questione è già stata definitivamente compromessa dal fascismo con gli accordi Mussolini-Laval del gennaio 1935, i quali, pur non essendo stati ratificati, hanno tuttavia significato e valore indicativi non equivoci. Tali accordi prevedevano infatti che la Convenzione del 1896 e i documenti annessi sarebbero rimasti in vigore sino al 28 marzo 1945 e che si rientrasse, dopo, sia pure progressivamente, entro i precisi binari del diritto comune. Tentare oggi di comunque sottrarsi a codesta resa dei conti, importerebbe di necessità una Francia ostile e nemica, ed anzi, ostilissima e nemicissima, in questo che sarà il più delicato e difficile periodo della nostra vita nazionale ed internazionale ed in un momento in cui essa e non noi, è indubbiamente avviata verso il progressivo e presumibilmente rapido recupero del suo rango di grande potenza. Circondati da aperte o

I Questo promemoria è stato redatto in base ad appunti del 23 e 25 gennaio della direzione generale degli Affari Politici, della direzione generale degli Italiani all'Estero e del Contenzioso Diplomatico.

larvate ostilità, senza simpatie internazionali, col Paese sconvolto, con un'autorità centrale ancor fragile, con enormi problemi di esistenza da risolvere, le nostre carte nel gioco di una eventuale resistenza sembrano dunque pressoché nulle.

2. È bene comunque sottolineare che la questione tunisina non rientra affatto nel novero delle rivendicazioni fasciste, bensì è un annoso problema fra Italia e Francia, in cui molte delle esigenze nostre erano e restano ben fondate in fatto e in diritto. È bene cioè tener presente quel che il nostro sacrificio esattamente significhi e comporti. La Francia potrebbe certamente tentare di imporci, come Potenza vincitrice, il riconoscimento della decadenza delle concessioni tunisine, nell'eventuale trattato di pace. Preferisce invece ottenere lo stesso risultato attraverso la stipulazione di un atto apparentemente consensuale, quale lo scambio di lettere propostoci, e, come forma di pressione per indurci a sottoscrivervi, subordina la ripresa delle relazioni diplomatiche e consolari alla nostra accettazione di tale atto. La Francia ottiene in tal modo i seguenti vantaggi:

a) si assicura, ad ogni utile fine futuro, il nostro consenso formale alla decadenza delle convenzioni del 1896;

b) attraverso la formula proposta e difficilmente modificabile, secondo cui «aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens ecc.», ci mette nell'impossibilità di far più ricorso a quelle valide argomentazioni giuridiche sulle quali avevamo sinora basato la difesa dei privilegi degli italiani in Tunisia;

c) sconta quindi sin da ora un indubbio successo politico e diplomatico, risolvendo a suo favore una delle più annose e spinose questioni della sua politica coloniale e mediterranea. Ciò spiega l'evidente interesse che da parte francese si annette a concretare lo scambio di lettere propostoci, nel momento (che non è dato a noi prescegliere), in cui il suo ricupero internazionale è in rapido progresso e la nostra situazione resta invece di subordinati e di subalterni, chiusi come siamo entro i ceppi dell'armistizio e l'equivoco della cobelligeranza.

È bene altresì ricordare che la bellissima collettività italiana che ha costruito la Tunisia quasi integralmente col paziente lavoro di generazioni, si trova oggi -e cioè senza la copertura delle convenzioni del '96 -nelle seguenti condizioni: la quasi totalità delle proprietà italiane è stata posta sotto sequestro; i professionisti italiani, salvo pochissime eccezioni, sono stati sospesi dall'esercizio delle loro attività (a parecchi medici sono stati persino requisiti gli apparecchi e strumenti clinici, sanitari, radiografici, ecc.) a quasi tutti i commercianti italiani sono state tolte le patenti; uffici appartenenti ad italiani sono stati requisiti su larghissima scala; i connazionali appartenenti alle classi di leva corrispondenti a quelle francesi chiamate sotto le armi sono stati sottoposti al lavoro obbligatorio; quasi 2000 connazionali, scelti specialmente fra quelli economicamente e professionalmente più in vista, sono stati internati in due campi di concentramento situati nell'interno sud-tunisino e sottoposti a un trattamento che viene descritto come estremamente duro; è stato creato un consorzio per rilevare le proprietà agricole, grandi e piccole, che gli italiani, con sistemi vari, sono costretti a svendere; oltre 500 italiani, in base a valutazioni che ci sono ignote, sono stati compresi nelle liste dei cosiddetti «nemici della Nazione» e sottoposti a misure estremamente gravi, quali la proscrizione, la confisca dei beni, ecc. Tali misure, e il modo con cui vengono attuate, conducono quindi alla rovina la maggior parte degli italiani di Tunisia, cui è stato infatti tolto, con le buone o con le cattive, il frutto del loro sempre penoso lavoro e di quello dei loro padri e sono così risospinti nella condizione di nullatenenti. La vendita delle piccole proprietà agricole trasforma poi rapidamente in semplici braccianti salariati proprio quei coloni italiani che hanno creato dal nulla la Tunisia e la sua prosperità.

3. Non sembra tuttavia dubbio che, nonostante tutto, occorra piegare la testa. In quanto è matematicamente certo che da parte francese la cancellazione sic et simpliciter dell'ipoteca italiana sulla Tunisia, attraverso la riconosciuta decadenza delle convenzioni del '96 è condizione sine qua non e premessa fondamentale di ogni possibile riavvicinamento fra i due Paesi. Ciò mi è stato invariabilmente e categoricamente ripetuto da tutti i francesi responsabili con cui ho avuto occasione di entrare in contatto da oltre un anno, quali lo stesso generale de Gaulle, e l'ex commissario per gli Affari esteri Massigli ed è confermato da tutte le dichiarazioni ufficiali e ufficiose fatte da parte francese in proposito. Riterrei per conseguenza necessario accettare in massima lo scambio di lettere propostoci, per ragioni di superiore moralità prima di ogni altra cosa e cioè in nome dell'aggressione perpetrata dal fascismo e pur con qualche modifica non sostanziale che riassumo:

a) Il governo italiano dichiarando, secondo la formulazione propostaci che le convenzioni tunisine hanno cessato di esistere per il fatto dello stato di guerra, verrebbe ad ammettere il principio tuttora assai controverso in diritto internazionale, che lo stato di guerra annulla ipso jure anche le convenzioni aventi per oggetto materia di diritto privato o concernenti interessi privati. La prassi internazionale non permette infatti di affermare che esista un principio sicuro sugli effetti dello stato di guerra rispetto all'efficacia dei trattati in vigore fra i belligeranti. Nella dottrina e nella giurisprudenza è cioè controverso se lo stato di guerra produca l'estinzione o soltanto la sospensione, e per quali tipi di convenzioni esso abbia l'uno o l'altro effetto o ne abbia alcuno. Le convenzioni del '96 con la Tunisia sono di diverso contenuto: un trattato di commercio, una convenzione consolare e di stabilimento ed un trattato di estradizione. La diversità della materia che forma oggetto delle tre convenzioni renderebbe più grave una dichiarazione come quella proposta, con la quale si ammetterebbe l'estinzione in via generale per effetto dello stato di guerra. La questione non ha evidentemente valore semplicemente teorico, ma anche pratico in quanto una eventuale nostra ammissione in quel senso in un documento ufficiale di portata internazionale potrebbe anche avere conseguenze di serio rilievo sul complesso delle convenzioni italo-francesi vigenti al IO giugno 1940, non solo ma verrebbe a creare un pericoloso precedente invocabile da ogni altro Stato (e sono, com'è noto, moltissimi) coi quali siamo stati in guerra. Converrebbe quindi proporre ai francesi, in vista di codeste generali considerazioni e non per specifiche ragioni attinenti alla questione, una modifica al testo propostoci, fondendo il primo periodo del testo con la prima parte del secondo e precisamente: «Le gouvernement italien a pris connaissance de l'ordonnance du gouvernement provi

soire de la République Française en date du 22 juin 1944. En constatant que désormais !es textes conventionnels cités dans !adite ordonnance ne déterminent plus le régime des italiens séjournant en Tunisie, ecc. »

b) Con la modifica precedente («En constatant que désormais !es textes conventionnels cités dans !adite ordonnance», invece che la formulazione propostaci «aucun texte conventionnel ne détermine désormais,. ecc.») si eviterebbe altresì che il governo italiano prenda posizione, per quel che oggi può valere, su un punto particolarmente delicato. È, infatti, rimasta sempre aperta la questione se il protocollo Mancini del 1884 sia stato interamente assorbito ed abrogato dalla convenzione del 1896. In particolare, il detto protocollo è l'atto col quale l'Italia ha dato il suo consenso a che, sospendendosi l'esercizio della giurisdizione dei tribunali consolari italiani, la giurisdizione esercitata da questi tribunali venisse trasferita ai tribunali francesi istituiti in Tunisia. Lo stato di guerra fra l'Italia e la Francia non ha modificato né la condizione giuridica della Tunisia né la posizione giuridica della Francia rispetto alla Tunisia. Esso, quindi, non ha fatto cadere la base convenzionale su cui si fonda la competenza dei tribunali francesi in Tunisia nei riguardi dei cittadini italiani.

c) Circa infine l'ultima frase del progetto di risposta francese, secondo cui la nuova convenzione da stipularsi non verrebbe firmata se non «dopo la conclusione dei trattati che metteranno fine alle ostilità» è da osservarsi che non è dato ancora conoscere se vi saranno o meno trattati di pace nel senso formale e tradizionale della parola. Può cioè darsi, come del resto è stato affermato da fonti e persone autorevoli, che si addiverrà a successive regolamentazioni delle singole questioni da risolvere. Non è d'altra parte improbabile che nuove formule giuridico-politiche si sostituiscano a quelle tradizionalmente applicate nei conflitti del passato (ad esempio, la cobelligeranza italiana). D'altra parte, conoscendo i modi e i mezzi della diplomazia del Quai d'Orsay, le condizioni in discorso potrebbero altresì nascondere il pericolo che subordinare la firma della nuova convenzione alla conclusione dei trattati di pace (posto che a questi si addivenga come nel passato) significhi subordinarla per avventura a nuove condizioni, nuove remore, nuovi sacrifici che potrebbero venirci richiesti per concludere i trattati stessi. Per le considerazioni su esposte converrebbe adottare una formula meno rigida di quella proposta, quale «L 'accord qui interviendrait entrera en vigueur à la date qui sera fixée d'un commun accord entre !es deux gouvernements».

4. Le conversazioni italo-francesi erano state sin qui condotte da parte nostra secondo le direttive di massima seguenti:

a) disposizione italiana a considerare decadute le convenzioni del '96 e loro sostituzione immediata con un'altra convenzione che possibilmente consentisse alla nostra collettività un minimo di garanzie adeguate alla sua specialissima condizione e fisionomia;

b) il prezzo delle nostre rinunzie in Tunisia avrebbe dovuto comportare come contropartita una contemporanea e parallela assicurazione possibilmente impegnativa e formale da parte francese ove si dichiarasse che i conti con l'Italia sono con ciò da considerarsi in massima regolati e che, soppressa la sola ragione di frizione seria fra i due Paesi, la strada per un concreto e generale riavvicinamento italo-francese fosse da considerarsi riaperta e sgombra.

I francesi hanno invece soltanto aderito alla proposta di una nuova convenzione, ma semplicemente basata «sui principi generali del diritto internazionale», subordinandone inoltre l'entrata in vigore alla conclusione dei trattati che porranno fine alle ostilità. Essi non intendono d'altra parte darci assicurazioni nel senso indicato pur dichiarando che, regolata la questione tunisina, sarebbe appunto questo il loro proposito e desiderio.

5. Non sembra possibile indurre i francesi a modificare la formula secondo la quale la nuova convenzione da negoziarsi debba semplicemente uniformarsi non ad altro che ai principi generali del diritto internazionale. È questo d'altra parte proprio quel prezzo, espresso in tono e forma quasi di resa incondizionata, cui essi ritengono di aver diritto e che comunque ci pongono. Parrebbe tuttavia necessario insistere da parte nostra per ottenere, a scambio di lettere avvenuto, sia la concessione di un qualche regime provvisorio che regoli la situazione degli italiani di Tunisia durante il periodo di carenza di ogni regime convenzionale (ad esempio, regime della nazione più favorita o estensione alla Tunisia del regime convenzionale italo-francese metropolitano), sia la revoca delle misure persecutorie e vessatorie in atto contro gl'italiani tanto in Francia quanto in Nord-Africa, in modo da consentire ai singoli, nel caso particolare della Tunisia e in attesa della nuova convenzione, il recupero della disponibilità dei loro beni e la ripresa delle loro attività economiche e professionali. E ciò sia naturalmente e in primo luogo per la necessaria protezione dei nostri, sia in considerazione della particolare sensibilità dell'opinione pubblica italiana nei confronti della questione tunisina, sia, infine, ad evitare che pericolosi fermenti antifrancesi si immettano nella vita italiana, risuscitando vecchi antagonismi e contrasti che desideriamo spenti. Qualora non fosse assolutamente possibile che le lettere da scambiarsi non contenessero sia pure generiche assicurazioni in questo senso -possibilità che dovrebbe peraltro essere esplorata a fondo -parrebbe necessario che il presidente del Consiglio indirizzasse contemporaneamente al generale de Gaulle una lettera personale in cui, riaffermata l'onesta lealtà con la quale ci siamo piegati alla demolizione delle nostre posizioni in Tunisia, si riaffermi la certezza;

a) che cesseranno le misure vessatorie a danno degli italiani;

b) che la nuova convenzione sia inspirata a giusti criteri di protezione e di rispetto del lavoro italiano in Tunisia e che in generale il lavoro italiano in Francia sia incoraggiato da una protezione legale che, nell'ambito delle leggi francesi, ne assicuri l'equa tutela;

c) che, conchiusa la questione tunisina, i rapporti italo-francesi ne risultino definitivamente chiariti e i due Paesi siano in conseguenza avviati verso quella stretta e cordiale collaborazione economica, culturale, politica, che è nei voti e nell'interesse reciproci.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BERNA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 641/110. Berna, 29 gennaio 1945, ore 20,20 (per. ore 16 del 2 febbraio).

Da Bucarest: «s.n. Stampa rumena riproduce grande rilievo e commenta dichiarazioni fatte martedì ai giornalisti romeni e stranieri dal ministro Affari Esteri Visoianu. Per quanto concerne Italia ministro dichiarato che governo romeno ha preso nota con soddisfazione dichiarazione unanime governo italiano che considera nulla e non avvenuta decisione presa Vienna secondo la quale si toglieva a Romania Transilvania nord 1 . Romania apprezza valore morale dichiarazione italiana non sprovvista naturalmente significato politico Italia democratica e cancella così ogni traccia regime fascista riparando immoralità politica e gravi errori. Timpul sottolinea che gesto governo italiano con il quale sono stati riconosciuti diritti rumeni su Transilvania i cui legami con Roma imperiale e Roma papale sono così profondi ha prodotto vivissima soddisfazione popolo romeno.

Con dichiarazioni governo Bonomi capitolo storia è chiuso. Se nel passato Romania e Italia hanno fatto degli errori oggi Roma tende una mano fraterna ai romeni che la stringono con persuasione proseguire su cammino collaborazione armoniosa Europa democratica di domani. Reptatea, dopo aver osservato che lodo Vienna aveva lasciato profonda amarezza di fronte popolo italiano sottolinea che Roma si innalzi di nuovo sul piedistallo della giustizia e romeni ritrovino Roma nel loro spirito. Bavaj ».

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 667/20. Mosca, 30 gennaio 1945, ore 22,15 (per. il 3 febbraio).

Desidero riepilogare a V.E. corso principali questioni attualmente trattate da questa ambasciata:

lo prigionieri di guerra. Dalla data della mia assunzione a Mosca ho ripetutamente prospettato verbalmente e per scritto ad autorità sovietiche ogni aspetto del problema sottolineando aspettativa popolo italiano, e caldeggiando vivamente accoglimento nostra richiesta. Miei reiterati passi (mio telegramma 79 2 e precedenti al riguardo) non hanno fino ad ora avuto altro risultato che nota concessione scambio corrispondenza fra i prigionieri e famiglie. Non mancherò di insistere, per quanto non mi faccia eccessive illusioni sul loro accoglimento;

1 Vedi D. 37. 2 Vedi D. 5.

2° formazioni volontarie. Questione inizialmente accolta con interesse è poi arrivata a punto morto per «ragioni tecniche»;

3° internati in Bulgaria, Romania, Jugoslavia. I miei passi hanno ottenuto risposte di cui ai miei telegrammi n. 81 e n. 83 1 e successivi. Mie successive insistenze per aver anche soltanto informazioni e precisazioni circa numero e condizioni italiani comunque venuti sotto l'autorità sovietica hanno avuto fino ad ora invariabilmente risposta che «si attendono informazioni dalle competenti autorità». Effettivamente, data rapida avanzata sovietica e stato territori liberati, certa confusione è inevitabile. Ho poi anche impressione che coordinazione tra commissariato Affari Esteri e autorità militari su questioni del genere non sia perfetta. Elemento principale resta però sempre marcata volontà queste autorità farci comprendere attraverso una forma estremamente cortese che tutto quello che esse potranno fare in favore nostri connazionali non è nostro diritto ma loro generosa concessione. A questo atteggiamento, motivato in genere da concezione nostra posizione come quella di paese colpevole della guerra che deve riguadagnarsi perdono, si aggiungono certe reticenze per fluidità situazione politica italiana cui non è estraneo costatato scarso valore rappresentativo partiti politici governo in mancanza di suffragi elettorali, e incognita liberazione Italia settentrionale. Di qui forse idea su opportunità rimandare soluzione generale di principio a momento più opportuno. Per questo complesso ragioni ~pero V.E. possa comprendere come nonostante mie continue pressioni, tutte queste questioni non possano avanzare né essere risolte se non nel quadro e nella misura che da questo governo sono ritenuti opportuni per considerazioni di carattere generale.

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 632-638/40-41. Londra, 30 gennaio 1945 2 (per. il 3 febbraio).

Si sembra vieppiù convinti a Londra che sarebbe imminente esame situazione polacca durante incontro tre capi alleati.

l) Sua immediata soluzione per altro da escludere a meno che Stalin stesso non proponga compromesso accettabile per governo polacco Londra, disfacendosi in qualche forma di quello di Lublino che potrebbe al massimo fornire qualche elemento ad un nuovo governo di coalizione.

2) Propendo infatti a credere che governo britannico non sia disposto a lasciare cadere senz'altro governo di Londra cui legittimità formale non è posta in

l Vedi DD. 7 e 11. 2 Inviato il 31 gennaio.

discussione, mentre ha d'altra parte appoggio nord-americano e -mi si assicura autorevolmente-anche quello francese. Va ricordato che, oltre reazioni opinione pubblica, che per altro sembrano orientarsi verso più liberali soluzioni, si deve qui tenere conto della sorte di oltre l 00 mila soldati polacchi cui ritorno in patria sarebbe praticamente da escludersi in caso riconoscimento del comitato Lublino.

3) Viceversa, con evolversi situazione militare, stesso governo polacco sta subendo forse processo adattamento di cui può aver favorito sviluppi presenza in Londra generale Anders, comandante truppe polacche al fronte italiano di cui è nota autorevolezza ad onta violenti sentimenti anti-bolscevichi.

Prevedendo che Stalin possa essere disposto a fare concessioni e riconoscere legittimità qualsiasi governo che si trasferisca subito a Varsavia -dove sarebbe facilmente controllato dal Cremlino -questo ministero Affari Esteri polacco ha già avanzato formale richiesta perché Polonia sia amministrata da una commissione interalleata eventualmente anche fino al trattato di pace.

4) Tutto ciò conferma mio convincimento che, salvo colpi di scena non corriamo grave rischio procedendo subito ripresa relazioni diplomatiche con governo polacco di Londra previe opportune cautele. Di questo parere mi è parso anche Cadogan che avevo intrattenuto in argomento mentre ministro Francowski segretario generale ministero Affari Esteri polacco al quale avev6 fatto francamente presente comune interesse evitare qualsiasi passo che possa irritare governo sovietico ha mostrato rendersi conto nostre preoccupazioni.

5) Giudicherà V.E. quale ripercussione sui nostri rapporti con Mosca potrà avere ripresa relazioni con Polonia mentre mora consueta per scelta nostro rappresentante offrirebbe possibilità attendere eco discussione a tre. Questo ministero Affari Esteri polacco mi ha comunicato sua intenzione concretare subito normalizzazione reciproche relazioni secondo desiderio espresso suo tempo dai due governi chiedendomi se portavo istruzioni di V.E. al riguardo. Circa programma da seguire esso suggeriva scambio note prendendo atto tale normalizzazione comunicando nomina reciproci rappresentanti. Prefato ministero rendendosi conto convenienza evitare questo momento dare rilievo alla cosa conterebbe procedere riapertura formale codesta ambasciata Polonia mediante designazione incaricato affari interim già sul posto ciò che offrirebbe vantaggio rapida semplice attuazione. Propone infine che da parte nostra ci si regoli analogamente, ed è pronto a vedere accreditato stesso funzionario che dovrà anche rappresentarci presso il governo norvegese e possibilmente presso quello cecoslovacco. Governo polacco farebbe cadere sua scelta su ministro plenipotenziario Stanislaw Janikowski, entrato in servizio nel 1918 e dal 1927 consigliere ambasciata di Polonia presso Vaticano 1 .

1 De Gasperi rispose con T. 588/25 del 7 febbraio che Guidotti, il quale avrebbe assunto la qualifica di incaricato d'affari presso il governo norvegese, avrebbe potuto estendere le sue funzioni agli altri governi rifugiati a Londra e precisò che la ripresa dei rapporti diplomatici con il governo polacco di Londra risaliva al novembre 1944 ed era stata pubblicamente annunciata. Vedi serie decima, vol. I, DD. 519 e 524.

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, CON IL RAPPRESENTANTE DELLA FRANCIA NEL COMITATO CONSULTIVO PER L'ITALIA, COUVE DE MURVILLE

PROMEMORIA. Roma, 31 gennaio 1945, ore 18 1•

Mie calorose dichiarazioni di amicizia e lealtà verso la Francia. Il Consiglio dei ministri di ieri ha riaffermato la volontà di fare ogni sforzo per migliorare e stabilizzare i nostri rapporti colla Francia ed ha apprezzato in tutto il suo valore le dichiarazioni dell'intervista de Gaulle. Accoglienza riservata e di attesa di Couve.

Parlo delle due modificazioni: caducità delle convenzioni in forza della dichiarazione di guerra e termine entro il quale si potrà stabilire la nuova convenzione. Couve obietta alla prima che si tratta di una costante norma del diritto internazionale. Io insisto. Egli replica che l'emendamento a Parigi verrebbe male accolto; anzi che non si sentirebbe di proporlo, a scanso di una rottura. Concludo trattarsi di uno scrupolo giuridico e cautelare per non danneggiarci in confronto a terzi e dimostro l'identità sostanziale della formula nostra. Risponde che la formula francese deve considerarsi definitiva. Replic9 che il nostro emendamento era una proposta, ma non una condizione.

Circa la seconda modifica (termine) il dibattito è lungo e serrato. Couve sostiene che la formula francese corrisponde alla situazione giuridica (senza tuttavia riferirsi esplicitamente alla situazione armistiziale). Rispondo: «perché dobbiamo noi legarci a decisioni di terzi? Domandiamo solo che quando avremo fatto l'accordo, possiamo anche praticarlo.» Spiego esservi anche una ragione psicologica: lasciare cioè la speranza agl'italiani, rimasti senza protezione, che si possa presto sostituire al vecchio un nuovo status, sia pure in base ai principì generali del diritto internazionale. Insisto replicatamente su tale argomento. Couve resiste, ma a poco a poco, cede (mi richiamo anche al parere del conte Sforza, della cui tendenza i francesi non possono dubitare) e dichiara che la cosa gli pare accettabile, purché si lasci cadere l'ultimo periodo (appello all'equità francese). È vero voi dovete fare un atto di fede, fatelo intiero! Dopo alcune spiegazioni lo lascio cadere, dicendo che lo stesso pensiero è espresso nella lettera di Bonomi.

A proposito di questa, nuova discussione, Couve ritiene necessario che si ometta l'elencazione delle misure eccezionali contro i tunisini e infine ci accordiamo per sostituirvi una formula generica.

Si conviene che l'indomani avrei fissati i risultati della conversazione e glieli avrei comunicati nel senso che siamo disposti ad accettare il testo francese, salvo il termine: su che il Couve si manifestò d'accordo e disposto a comunicare a Parigi.

Oggi, l, Pr~nas porta a Co uve il nostro riassunto.

P.S. Couve fu cortese, espresse molte volte comprensione per la nostra situazione difficile, ma nella sostanza freddamente inesorabile. Gli parlai degli espulsi, internati. Rispose trattarsi di fascisti. Comunque, se non si concludesse, la loro sorte sarebbe peggiore.

I Il promemoria fu redatto il 1° febbraio, come risulta dall'ultimo capoverso.

49

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, Jo febbraio 1945.

Consegno a Couve de Murville la lettera direttagli da S.E. il ministro 1•

Pongo ancora una volta in chiaro che il nostro gesto di rinuncia alle Convenzioni del '96 deve essere da parte francese interpretato come gesto di assoluta lealtà, compiuto con piena coscienza dei sacrifici ch'esso comporta, ma senza riserve ed esitazioni.

Spiego che le modificazioni da noi proposte erano inspirate esclusivamente sia da ragioni di carattere generale, sia dal proposito di facilitare il compito del governo, sia di porre sin da ora la collettività italiana a Tunisi nelle condizioni più atte a cementare i rapporti itala-francesi, piuttosto che a incrinarli.

Couve mi dice che apprezza pienamente la nostra situazione e il nostro gesto. Le parole dettegli ieri dal ministro De Gasperi 2 , intonate alla più perfetta lealtà, lo hanno illuminato a pieno in proposito. Conferma la sua sicurezza che una nuova fase sta per aprirsi nei rapporti itala-francesi, che certamente sboccherà in quell'amicizia che è nei propositi e nell'interesse reciproci.

Telegraferà subito a Parigi la nostra decisione e le sue motivazioni, quali gli sono state illustrate a voce e per iscritto dal ministro.

Partirà per Parigi fra una settimana allo scopo di concertare le modalità per lo scambio delle rappresentanze e per l'apertura dei consolati che, all'inizio, saranno, com'è noto, tre, ma che potranno essere immediatamente aumentati.

Aggiungo da parte mia che, se invece dello scambio di lettere, potesse essere pubblicato un comunicato da concordarsi che desse notizie riassuntive del raggiunto accordo, non avremmo da parte nostra obbiezioni. Ne parlerà a Parigi e ci farà sapere al suo ritorno.

Couve mi è apparso in tutto il colloquio, non solo soddisfatto, com'è naturale, per l'accordo raggiunto, ma, anche, pienamente consapevole del significato e della portata che da parte nostra gli attribuiamo.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DELLA FRANCIA NEL COMITATO CONSULTIVO PER L'ITALIA, COUVE DE MURVILLE

L. 3/146. Roma, Jo febbraio 1945.

Come le dissi ieri, il governo italiano aveva stabilito di proporre al suo governo un progetto di scambio di note che, pur non differendo sostanzialmente da quello francese, conteneva peraltro alcuni mutamenti formali e una breve aggiunta.

~ Vedi Alleg_ato.

Vedi D. 4lL

Come ella ricorda il testo della lettera italiana avrebbe dovuto essere il seguente: «Je vous serais reconnaissant de bien vouloir porter à la connaissance du gouvernement français la communication suivante:

"Le gouvernement italien a pris acte de l'ordonnance du gouvernement provisoire de la République française en date du 22 juin 1944, rélative aux trois conventions du 28 septembre 1896 concernant le régime des ressortissants italiens établis en Tunisie.

Le gouvernement italien considérant que ces conventions ont cessé d'exister de sorte qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens dans la Régence, souhaiterait que le gouvernement français se montrat disposé à négocier une nouvelle convention d'établissement basée sur les principes généraux du droit international en vue de définir !es conditions de séjour et de travai! des ressortissants. italiens en Tunisie.

Le gouvernement italien ne doute pas que le gouvernement français, dans un esprit de compréhension et d'équité, voudra bien prendre dès maintenant !es mesures propres à normaliser la situation des italiens dans la Régence jusqu'à l'entrée en vigueur de la nouvelle convention" ».

E il testo della risposta francese avrebbe dovuto essere concepito nei seguenti termini:

«A la• date du ... vous avez bien voulu me prier de porter à la connaissance de mon gouvernement la communication suivante: "Le gouvernement italien a pris acte de l'ordonnance du governement provisoire de la République française en date du 22 juin 1944, rélative aux trois Conventions du 28 septembre 1896 concernant le régime des ressortissants italiens établis en Tunisie.

Le gouvernement italien considérant que ces conventions ont cessé d'exister, de sorte qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens dans la Régence, souhaiterait que le gouvernement français se montràt disposé à négocier une nouvelle convention d'établissement basée sur !es principes généraux du droit international en vue de définir !es conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie.

Le gouvernement italien ne doute pas que le gouvernement français, dans un esprit de compréhension et d'équité, voudra bien prendre dès maintenant !es mesures propres à normaliser la situation des italiens dans la Régence jusqu'à l'entrée en vigueur de la nouvelle convention ".

D'ordre de mon gouvernement, j'ai l'honneur d'accuser réception de cette communication. Le gouvernement français a pris note du désir exprimé par le gouvernement italien et est disposé à procéder avec !es autorités italiennes qui seront désignées, à des négociations en vue de définir, sur la base des principes généraux du droit international, !es conditons de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie. La nouvelle convention entrera en vigueur à la date qui sera fixée d'un commun accord entre !es deux gouvernements.

Le gouvernement français, dans un esprit de compréhension et d'équité, prendra dès maintenant !es mesures propres à normaliser la situation des italiens dans la Régénce jusqu'à l'entrée in vigueur de !adite convention».

Le spiegai ieri le ragioni che ci avevano indotto ad approvare tali modificazioni, ragioni che brevemente riassumo:

..

a) nel progetto francese si afferma che le Convenzioni del 1896 «ont été rendues caduques parla déclaration de guerre de l'Italie à la France du 10 juin 1940». Com'ella sa, è molto controverso in diritto internazionale stabilire esattamente quali siano le conseguenze dello stato di guerra nei riguardi delle convenzioni ed in particolare di quelle aventi per oggetto materie di diritto privato o concernenti comunque interessi privati. Pareva dunque a noi che, approvando quel testo, l'Italia verrebbe ad ammettere ufficialmente che lo stato di guerra annulla tutte le convenzioni, creando così un precedente pericoloso che potrebbe essere invocato ai nostri danni da molti Stati coi quali l'Italia si è trovata in guerra. Avremmo voluto in conseguenza evitare troppo esplicite affermazioni pur accettando espressamente e senza riserve la decadenza delle Convenzioni tunisine ..

b) Nel progetto francese si afferma che «l'accord qui interviendrait ne saurait ètre signé qu'après conclusion des traités mettant fin aux hostilités». Osservavamo da parte nostra che, data la complessità dei problemi da risolvere, è tuttora estremamente incerto se la guerra attuale possa concludersi attraverso trattati di pace veri e propri, o piuttosto, attraverso una .serie di atti di forma e sostanza diversi. Il passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace potrebbe cioè evolversi attraverso nuove formule, oggi non prevedibili, ma comunque differenti dagli schemi tradizionali. La formula «le nouvel accord entrera en vigueur à la date qui sera fixée d'un commun accord entre !es deux gouvernements» su cui noi insistiamo, ha anche il valore psicologico di lasciare la speranza che il nuovo accordo possa concludersi più rapidamente, senza con ciò menomare come che sia la piena libertà di decisione del governo francese.

c) Nel progetto italiano si faceva infine menzione delle misure atte a normalizzare la situazione degli italiani della Reggenza fino all'entrata in vigore del nuovo accordo.

Dopo la nostra conversazione di ieri e dopo nuova consultazione sia con il presidente del Consiglio sia con i ministri interessati, mi affretto ad informarla che, per dare un'ulteriore prova della nostra buona volontà e della nostra--assoluta lealtà, il governo italiano, aderendo alle pressanti richieste da lei fattemi, è disposto ora a procedere senz'altro alla firma dei testi proposti da parte francese e a non insistere cioè ulteriormente sulle modificazioni ed aggiunte da me ieri prospettatele, salvo, come d'intesa, su quella di cui al punto b), relativa alla fissazione di comune accordo della data di entrata in vigore della nuova convenzione.

Le sarò comunque molto grato se, nell'informare il suo governo della nostra decisione, ella vorrà anche porlo cortesemente al corrente, sia pure soltanto a titolo informativo ed indicativo, del carattere e della sostanza delle nostre primitive proposte, quali ebbi ieri occasione di illustrarle, e, soprattutto, di quella relativa alla rapida e progressiva normalizzazione della situazione degli italiani della Reggenza. Tengo a confermarle ancora una volta che tale nostra proposta mirava esclusivamente a facilitare il nostro compito -che non è davvero facile-nei confronti dell'opinione pubblica italiana, e, in pari tempo, a sottolineare in modo specialissimo la necessità di evitare in tutti i modi che fermenti di inquietudine e di malcontento possano per avventura ulteriormente turbare quell'atmosfera fra i nostri due Paesi, che la nostra decisione in merito agli italiani di Tunisi, ha appunto lo scopo di avviare verso un deciso chiarimento. Il presidente Bonomi si propone nei prossimi giorni di far pervenire in proposito una lettera personale al generale de Gaulle 1 ma è bene-io credoche il governo francese sappia subito che, accettando senza alcuna riserva la cancellazione delle vecchie convenzioni del 1896, che hanno retto per mezzo secolo il regime degli italiani di Tunisi, il governo italiano ha inteso e voluto, come del resto con le sue precedenti, solenni dichiarazioni nei confronti della Francia, liquidare un recente passato che il popolo italiano vivamente deplora; sgombrare senza esitazione il terreno della sola seria controversia che avrebbe potuto dividerci; creare fra i nostri due Paesi una situazione nuova, preparando la strada a quella feconda collaborazione italo-francese, che è condizione fondamentale della nostra rinascita e fondamentale interesse nostro ed europeo.

50

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ROOSEVELT, AL PRIMO MINISTRO DI GRAN BRETAGNA, CHURCHILL, E AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI COMMISSARI DEL POPOLO DELL'URSS, STALIN

Roma, 6 febbraio 1945 3 .

Alla vigilia di avvenimenti militari decisivi, il governo italiano chiede ai capi delle Nazioni Unite che oggi discutono le sorti della nuova Europa, di voler riesaminare la durissima situazione fatta all'Italia nel settembre 1943.

t Vedi D. 57.

2 Nell'Archivio riservato della Segreteria Generale sono conservati tre progetti di questo docu

mento, prima del testo definitivo, due di Prunas ed uno di De Gasperi-Prunas.

3 Il telegramma fu inviato a Stone, con preghiera di urgente trasmissione allegato alla L. 3/176 del 6 febbraio, non pubblicata. Una annotazione avverte: «Copia del messaggio è stata personalmente rimessa da S.E. Prunas al signor Kostylev» A Charles e Kirk il messaggio fu inviato con le lettere che si pubblicano in allegato.

Mentre sta facendo un vivissimo appello a tutte le classi del popolo per uno sforzo supremo di cooperazione cogli Alleati al fronte, nelle retrovie e nella guerriglia, il governo sente il dovere di riaffermare che l'equivoca situazione della cobelligeranza gl'impedisce di suscitare e alimentare nella nazione quelle energie d'alta temperie morale che derivano dalla coscienza di un sacrificio dignitosamente e liberamente compiuto.

È quindi anche nell'interesse della causa comune che chiediamo si sostituiscano alle soluzioni autoritarie e alle formule di tutela e di controllo previste dall'armistizio, soluzioni nuove di fiduciosa e dignitosa associazione con le Potenze Alleate.

Per le stesse ragioni il governo italiano rivolge un ardente appello alle Nazioni amiche affinché la sua popolazione, che ha indicibilmente sofferto e che tuttora indicibilmente soffre, sia posta in grado si sopperire, soprattutto in materia di alimentazione e di trasporti, almeno alle più elementari necessità di esistenza e di vita; siano soppressi quegli oneri finanziari che un'interpretazione troppo lata dell'armistizio fa gravare da 15 mesi su risorse già stremate e su un Paese sconvolto e distrutto e sono di grandissimo ostacolo ad ogni possibilità di deflazione monetaria e di ricostruzione; il mezzo milione di soldati italiani in mano alleata possano non come prigionieri di guerra ma come uomini liberi partecipare direttamente, sul fronte e nelle officine, a quella lotta per un nuovo mondo verso il quale tutto il popolo italiano volge l'animo e la volontà.

In Italia popolo e governo procedono verso un regime di libera, ordinata e stabile democrazia. Il governo sente tuttavia che se dovesse ripresentarsi dinanzi alle sue regioni più dense ed operose, che saranno prossimamente liberate, sotto la minaccia dell'inflazione e della fame ed in una situazione umiliante per colpe non sue, difficilmente riuscirebbe a spegnere i fermenti di irrequietudine e di sconforto e a far rinascere nel territorio tuttora oppresso e tormentato dai tedeschi e fascisti quelle energie ricostruttive che sono indispensabili per raggiungere la meta segnataci anche dalle Nazioni Unite, cioè la ricostituzione di una nuova Italia nello spirito di liberi ordinamenti democratici e di un'operosa concordia.

Queste considerazioni di guerra e di pace il governo italiano affida all'umana e generosa saggezza dei capi delle Nazioni Unite, nella sicura speranza che il suo appello sia accolto con lo stesso spirito di assoluta lealtà ed amicizia con cui è stato dettato; e affinché gli sforzi dei valorosi eserciti alleati diano frutti adeguati alloro sacrificio e le speranze degl'italiani insorti contro l'oppressione non vadano deluse.

ALLEGATO I

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/175. Roma, 6 febbraio 1945.

Le accludo il testo di un messaggio che ho pregato la Commissione Alleata di voler trasmettere oggi al primo ministro Churchill. È, credo, superfluo che io illustri all'E. V. i motivi che ci hanno indotto a rediger!o. Voglio dirle soltanto, e lei sa con quale animo e con quale convinzione io parli, che è questo

il periodo in cui noi sentiamo maggiormente la necessità che da parte britannica si faccia nei nostri confronti una politica veramente e coraggiosamente costruttiva.

Mentre si profila la possibilità del ritiro dei tedeschi dall'Italia settentrionale, noi riteniamo cioè necessario che un parallelo e contemporaneo gesto di buona volontà sia compiuto dalla Gran Bretagna verso l'Italia. Non solo il prestigio dell'Inghilterra ne uscirebbe enormemente rafforzato, ma l'autorità del governo italiano ne sarebbe moltiplicata. Il governo sarebbe cioè posto in grado di affrontare con sicurezza e comunque con animo e spirito adeguati, quelle incognite che sono certamente connesse con la liberazione di tutto il territorio nazionale. Assicurazioni che ci venissero date sull'avvenire del Paese, e sulle concrete possibilità che l'Italia sia in qualche modo portata a partecipare alla ricostruzione e alla rinascita dell'Europa verrebbero ad acquietare e rasserenare larghi strati della nostra opinione che vi troverebbe motivo per insistere in un'evoluzione ordinata e democraticamente libera della nostra vita nazionale.

Conto, signor ambasciatore, sulla sua amichevole comprensione delle cose nostre perché ella voglia accompagnare il nostro messaggio del suo benevolo ed autorevole commento.

ALLEGATO II

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 3/177. Roma, 6 febbraio 1945.

Le accludo copia del telegramma che ho pregato stamane la Commissione Alleata di far pervenire al presidente Roosevelt.

Nel momento in cui la guerra entra nella sua fase decisiva ci è sembrato necessario che al Convegno dei tre fosse sentita anche la voce dell'Italia. Da qui la ragione del nostro messaggio.

Ella sa, signor ambasciatore, con quale profonda sincerità il governo italiano persegua una politica di amicizia e di stretta collaborazione con gli Stati Uniti e con quale fiducia il nostro popolo guardi verso il presidente Roose elt e ne segua i nobili sforzi intesi ad assistere l'Italia sul faticoso cammino della sua rinascita democratica, ad avviare l'Europa verso una sistemazione accettabile per tutti, ad impedire che nuovi germi e focolai di disordini e di guerre possano ostacolarne e comprometterne la necessaria ricostruzione.

Non dubito per questo ch'ella vorrà appoggiare, con la sua autorità, le nostre parole e di ciò le sono molto e vivamente riconoscente.

51

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 6 febbraio 1945.

Ho dato riassuntive informazioni, sia all'ambasciatore di Inghilterra che a quello degli Stati Uniti sullo stato delle nostre conversazioni con la Francia, illustrando la portata dello scambio di lettere sulla Tunisia e la conseguente ripresa dei rapporti diplomatici e consolari fra Parigi e Roma.

Ho dato ad ambedue ampie informazioni sulla pessima situazione della collettività italiana soprattutto in Tunisia ed ho particolarmente insistito sulla necessità che, ai fini stessi del riavvicinamento italo-francese, tale situazione sia normalizzata al più presto. Ambedue si sono mostrati interessati ad avere particolari su tale pessimo trattamento e perfettamente consenzienti sulla necessità che da parte francese si mutino metodi e sistemi.

52

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO SEGRETO. Roma, 6 febbraio 1945.

Da tempo alla Casa Bianca lavorano alcune commissioni di studio incaricate di predisporre le proposte americane per la pace. Il presidente Roosevelt avrebbe ormai accolte le conclusioni a cui sono giunte le commissioni e si ha fondate ragioni di credere ch'esse ispireranno la sua azione nel corso del convegno che si sta svolgendo.

I quattro punti essenziali sono i seguenti: l) Iniziare subito, almeno in modo embrionale, il funzionamento dell'organizzazione permanente per la pace ed affidarle per quanto è possibile il compito di risolvere i principali problemi territoriali e politici.

II) Procedere ad una nuova distribuzione dei mandati.

III) Introdurre almeno in alcune colonie africane il principio del trusteeship.

IV) Stabilire il controllo permanente delle grandi vie di comunicazione europee, sia quelle aeree sia quelle portuarie (ad esempio Costantinopoli, Fiume, Trieste) o fluviali (Reno, Danubio). Per quello che riguarda il punto primo sarebbe di supremo interesse per noi sapere come e quando s'intende ammettere una nostra partecipazione. Il punto secondo particolarmente riguarda l'equilibrio del Pacifico e non c'interessa.

Il punto terzo è di sommo interesse per noi. Significa l'America in Africa onde finanziarne lo sviluppo economico. È possibile che il primo esperimento si effettui nelle colonie italiane. Non ho potuto chiarire se l'Etiopia sarà compresa.

Il punto quarto comprende e risolve il lato economico del problema adriatico.

Per quanto riguarda i nostri problemi territoriali le mie informazioni sono meno precise e controllate. Sembrerebbe che una revisione in favore dell'Austria della frontiera atesina potrebbe trovare favorevole l'America, ma non interessi le altre nazioni.

Si considera implicitamente prevista una revisione della nostra frontiera colla Jugoslavia. La conferma della sovranità italiana su Trieste un tempo quasi esclusa, oggi vien considerata con maggiore benevolenza.

Com'era facilmente prevedibile, negli ambienti americani vien ripresa in esame la linea di Wilson.

53

IL CAPO DELL'UFFICIO COORDINAMENTO

DELLA SEGRETERIA GENERALE, FORNARI,

AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO. Roma, 7 febbraio 1945.

Tempo fa, l'allora sottosegretario marchese Visconti Venosta ricevette il delegato apostolico per l'Iran, monsignor Marina, il quale gli disse che, prima della sua partenza da Teheran, il governo persiano lo aveva intrattenuto sulla possibilità di riprendere le normali relazioni diplomatiche con l'Italia 1• Detto governo lo aveva pregato di volerne parlare a Roma, sondando le intenzioni del governo italiano: qualora queste fossero state favorevoli, l'Iran ne avrebbe preso l'iniziativa.

Il marchese Visconti Venosta rispose a mons. Marina che il governo italiano sarebbe stato p~rticolarmente lieto di riallacciare i rapporti diplomatici con l'Iran e lo autorizzò a dare conoscenza di questo al governo persiano.

È tornato stamane al ministero mons. Marina, il quale mi ha detto che:

l) non aveva mancato di portare a conoscenza del governo dell'Iran pel tramite del segretario della nunziatura rimasto a Teheran, la comunicazione fattagli dal marchese Visconti Venosta;

2) non aveva però più avuto altre comunicazioni al riguardo dalla Persia, ciò che egli attribuiva alla crisi di governo che nel frattempo si era verificata in quel paese;

3) aveva incontrato pochi giorni fa a Roma l'ambasciatore di Turchia Taray, che era suo collega a Teheran; questi gli aveva detto che, prima della sua partenza, il nuovo ministro degli Es eri persiano Entezam, gli aveva dichiarato, a proposito delle relazioni diplomatiche tra la Persia e l'Italia, che la Persia sarebbe stata effettivamente lieta di riprenderle, ma aspettava che l'Italia compisse il primo passo, modificando così leggermente la primitiva comunicazione fatta al delegato apostolico.

Monsignor Marina ha aggiunto che l'ambasciatore Taray gli aveva altresì detto di non aver dato comunicazione al governo italiano di tale conversazione, trattandosi di questione che esulava dalla sua competenza. Monsignor Marina teneva però ad informarne il ministero degli Esteri. Egli si tratterrà a Roma presumibilmente fino alla fine del mese e conta di ripartire per Teheran ai primi del prossimo marzo 2 .

. ..

l Vedi serie decima, vol. I, D. 520. 2 Annotazione a margine di Zoppi: «Ne parlerà il segretario generale all'ambasciatore Taray».

54

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA 1 . Roma, [8} febbraio 1945, [mattina}.

Macmillan mi ha lungamente intrattenuto sulla situazione italiana.

Dopo avere ancora una volta illustrato la circostanza che l'opinione pubblica britannica è lenta ad evolversi e sono tuttora vivi i ricordi della guerra, ha soprattutto insistito sull'enorme sforzo compiuto dal suo Paese, ove le razioni sono state recentemente e ulteriormente ridotte, gli investimenti all'estero completamente assorbiti dagli americani, il peso delle imposte schiacciante, ecc.

Ha aggiunto non sembrargli dunque probabile né possibile che sino a quando la guerra non sarà giunta a termine in Europa (ha accennato alla prossima estate) il flusso degli aiuti materiali all'Italia possa essere accresciuto in misura sensibile.·

Le operazioni belliche continuano d'altra parte ad assorbire enorme proporzione di tonnellaggio, comprese quelle in Estremo Oriente che sono state agli effetti della guerra in Europa sfortunatamente (sic) troppo favorevoli per gli Stati Uniti ed hanno quindi richiesto un ulteriore, imprevisto impiego di navi. L'assistenza ai Paesi liberati è urgentissima (ha accennato alla Francia che sarebbe in condizioni soprattutto alimentari e di trasporto ancora peggiori delle nostre) e occorre in conseguenza dividere fra tutti una massa di approvvigionamenti, che il tonnellaggio, che ha subito recentemente perdite non rilevanti ma, comunque, sensibili in seguito ai progressi tecnici tedeschi in materia di guerra sottomarina, limita entro argini insuperabili.

Non si tratta quindi di limitazioni intenzionali o attribuibili a cattiva volontà britannica, come -ha osservato -la stampa italiana par disposta a credere.

Ho soprattutto sottolineato da parte mia che, se dal punto di vista materiale le cose stavano come egli le descriveva, a tanto maggior ragione occorreva risollevare l'Italia almeno dal lato morale, ciò che in questi ultimi tempi gli inglesi non curavano invece affatto, com'è dimostrato dai discorsi Churchill, Eden, ecc. o dall'atteggiamento britannico in materia di ammissione italiana all'Ufficio Internazionale del Lavoro, Conferenza sindacale, ecc. Occorreva soprattutto far uscire l'Italia dall'armistizio e darle uno status internazionale più adeguato a quella che è la nostra effettiva situazione di fatto. E occorreva che l'iniziativa fosse britannica, almeno al suo inizio.

Macmillan ne ha convenuto. Ha affermato che il nostro progetto 2 era stato sottoposto ad attento esame, giudicato interessante e sarebbe stato accolto, in parte, se difficoltà impreviste non fossero allora insorte (ha accennato anche all'ultima

1 Su questo colloquio con Macmillan Prunas redasse quattro promemoria che qui si pubblicano insieme distinti dagli asterischi. I primi due sono erroneamente datati 7 febbraio, gli ultimi due hanno la data del 9 febbraio, ma il colloquio si svolse 1'8 febbraio: si veda HAROLD MACMILLAN, War Diaries: Politics and War in the Mediterranean ( January 1943-May 1945 ), London, Macmillan, 1984, p. 681.

2 Vedi serie decima, vol. I, DD. 426 e 430.

crisi ministeriale ). Egli è incerto fra pace provvisoria o nuovo accordo che sostituisca l'armistizio. La difficoltà maggiore sarebbe, a suo giudizio, concretare una formula giuridicamente soddisfacente che consenta al Comando Supremo Alleato quella vasta possibilità di azione che non è possibile togliergli sino a quando vi sarà la guerra. Comunque egli si è mostrato decisamente convinto della necessità che alla vigilia della liberazione delle sue regioni settentrionali il governo italiano possa giungervi fuori dai ceppi dell'armistizio. •

Se riuscisse a noi di suggerirgli qualche concreta idea in proposito, l'accoglierebbe con piacere.

* * *

Ho informato Macmillan delle concentrazioni di truppe francesi al nostro confine occidentale e della segnalata esistenza di un piano francese per la partecipazione diretta di tali truppe alla «liberazione» dell'Italia settentrionale 1• Ho particolarmente insistito sul gravissimo errore di attuare piani siffatti, che non potrebbero che condurre ad ulteriori gravi contrasti con la Francia per tutta una serie di ragioni che ho ampiamente illustrate.

Macmillan ignorava completamente la notizia e non la crede esatta. Ha aggiunto che le truppe francesi obbediscono agli ordini del generale Eisenhower e non possono consentirsi iniziative autonome. Aveva ragione di ritenere che Eisenhower sia perfettamente al corrente delle ragioni -che egli ha mostrato di condividere -che militano contro un eventuale ingresso di truppe francesi in alta Italia.

Gli ho vivamente raccomandato che seguisse la questione e l'ho pregato di agire per nettamente sconsigliare operazioni del genere. Ha assicurato.

Nell'occasione ho informato Macmillan dello stato delle nostre conversazioni con la Francia e della nostra fiducia di giungere sollecitamente a un generale chiarimento dei rapporti italo-francesi.

* * *

Macmillan mi ha chiesto di conoscere il pensiero del governo circa il regime da stabilirsi nell'Italia settentrionale. Ritiene il governo che gioverebbe a rafforzare la sua autorità e il suo prestigio se l'amministrazione di tali provincie gli fosse affidata subito dopo la liberazione? O preferisce che vi sia, come sin qui è avvenuto, una prima fase di governo militare alleato?

Gli ho risposto che la questione evidentemente mi superava e che avrei chiesto in proposito le istruzioni dell'E.V. Come mia prima reazione, ma di carattere soltanto personale, ho aggiunto di ritenere che, per tutta una serie di ragioni pratiche (approvvigionamenti, trasporti, patrioti, ecc.) avrei ritenuto miglior sistema una prima fase di governo militare alleato con la preventiva e pubblica intesa che ad essa avrebbe immediatamente fatto seguito il trapasso all'amministrazione italiana.

1 Queste notizie erano state riferite da Messe con N. 874/3/4 del 3 febbraio, non pubblicata.

Sarebbe opportuno far sapere al mmtstro Macmillan il nostro pensiero in proposito. Ripeto ch'egli intende far adottare quel sistema che, a comune giudizio, sembrerà il più atto a rafforzare l'autorità del governo.

* * *

Macmillan mi ha parlato della frontiera orientale, dandomi l'impressione netta che la questione, di cui egli non è infatti informato che molto sommariamente e approssimativamente, non ha formato a tutt'oggi oggetto di discussione, e, tanto meno, di decisioni di governo. A titolo personale ed a sua richiesta gli ho detto che mi sembrava che un ragionevole inquadramento della questione avrebbe potuto essere il seguente:

l) integrità di principio del territorio nazionale quale è uscito dalla guerra democratica del '15-19 e da trattati liberamente negoziati fra le parti;

2) qualunque discussione possa intercorrere in proposito, essa dovrebbe necessariamente aver luogo con la partecipazione dell'Italia che, insieme alla Jugoslavia, è la principale interessata;

3) su queste basi il governo italiano è aperto a tutte quelle discussioni e soluzioni che possano condurre a una equa e ragionevole intesa con la Jugoslavia, con la quale è infatti suo fermissimo proposito di giungere a una stretta e cordiale collaborazione;

4) il governo italiano è altresì aperto a qualunque proposta atta ad assicurare la migliore sistemazione, dal punto di vista economico, dei porti adriatici, nell'interesse, sia italiano, che jugoslavo ed europeo.

Mi sembrava comunque necessario che fosse sin da ora adottata la decisione ferma che: a) in conformità alla esplicita assicurazione già dataci le regioni orientali fossero occupate subito dopo la liberazione dalle truppe anglo-americane;

b) che la questione non sia dibattuta sino a quando le passioni e le sofferenze non saranno calmate per dar luogo a più obiettive e serene visioni e valutazioni della realtà.

Macmillan mi è sembrato consenziente. Ha anzi aggiunto che la Gran Bretagna è in grado di ottenere dalla Russia precise assicurazioni sui punti a) e b).

Se V.E. approva mi parrebbe certamente utile ed opportuno confermare a Macmillan con sollecitudine per iscritto i punti che precedono con quelle eventuali modificazioni o aggiunte che saranno necessarie.

Sembra comunque conveniente rimandare più precise prese di posizioni o sollecitarle al momento in cui la nostra posizione internazionale sarà migliorata, l'Italia completamente liberata, l'ondata di nazionalismo estremista slavo· meno "alta e minacciosa di quel che attualmente non sia.

Ciò naturalmente lascerebbe aperta la possibilità di intese dirette con la Jugoslavia, se queste sembreranno possibili e tempestive.

Sottolineo la necessità che anche i capi missione all'estero e soprattutto nelle grandi capitali comincino ad essere inquadrati in questo senso, per loro norma di azione e di linguaggio.

Ho fatto cenno a Macmillan, sempre a titolo esclusivamente personale, della possibilità che il governo possa a un certo momento pronunciarsi a favore dell'autonomia regionale della Venezia Giulia e di larghe e liberali garanzie a vantaggio delle minoranze slave. Trova l'idea buona, se sollecitamente attuata.

55

COLLOQUIO DEL MINISTRO EGLI ESTERI, DE GASPERI, CON IL RAPPRESENTANTE DELLA FRANCIA NEL COMITATO CONSULTIVO PER L'ITALIA, COUVE DE MURVILLE

PROMEMORIA 1 . Roma, 9 febbraio 1945.

Il signor Couve de Murville iQforma !ministro De Gasperi che il suo governo è d'accordo sullo scambio di lettere, con la modificazione da noi proposta, relativa alla data di entrata in vigore della nuova convenzione 2•

Aggiunge che le franche e aperte parole dette e scritte in questa occasione dal ministro De Gasperi, hanno creato a Parigi impressione ottima. Egli partirà per Parigi domenica per concretare sia lo scambio di lettere, sia Io scambio dei rappresentanti diplomatici e consolari.

Suggerirà al Quai d'Orsay (che vorrebbe che quest'ultimo scambio si concretasse attraverso una nuova lettera in cui si elenchino le varie dichiarazioni fatte dall'Italia nei confronti francesi) una semplice lettera sul tipo di quella trasmessaci a suo tempo da sir Noel Charles.

Suggerirà altresì che invece delle lettere si pubblichi a momento propizio un comunicato da concordarsi 3 .

56

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI 4

L. P./520.13. Roma, 9 febbraio 1945.

Mi è stato riferito che il nuovo ministero per l'Italia occupata è stato materialmente organizzato, almeno in parte, e che ha iniziato qualche attività. Una di queste mi si dice sia l'accoglienza ai partigiani che arrivano dal nord e ai quali è stato detto di presentarsi all'arrivo a Roma a riferire a detto ministero, ove vengono interrogati e sono date loro istruzioni prima che facciano ritorno al nord. Se ciò è esatto desidero dichiarare che sarebbe una procedura irregolare dal momento che i partigiani provenienti dall'Italia occupata dai tedeschi sono sotto la giurisdizione del comandante supremo alleato maresciallo Alexander. Di conseguenza essi non devono ricevere istruzioni dal governo italiano.

Sono sicuro che ella vorrà comprendere il mio punto di vista nella questione e che qualora effettivamente si verifichi quanto sopra indicato, ella vorrà adottare le necessarie misure per porvi fine.

I Il promemoria è stato redatto da Prunas.

2 Vedi D. 49.

3 Allegato a questo documento era il testo del D. 73, II.

4 Ed. in inglese, ad eccezione dell'ultimo capoverso, in COLES-WEINBERG, Soldiers become Governors, cit., p. 543.

57

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL PRESIDENTE DEL GOVERNO PROVVISORIO FRANCESE, DE GAULLE

L. 3/204. Roma, 10 febbraio 1945 1•

Il raggiunto accordo sulla questione tunisina e l'imminente ripresa dei rapporti diplomatici e consolari mi danno propizia occasione di pormi nuovamente in diretto contatto con lei, com'era da tempo mio vivo desiderio.

Mi permetta dirle che è con commozione profonda che io e il mio governo abbiamo adottato una decisione che tocca direttamente le sorti di decine di migliaia di italiani che da generazioni hanno collaborato alla prosperità della Tunisia e che dovranno continuare a collaborarvi onestamente e lealmente anche per l'avvenire.

Accettando senza riserve la fine delle vecchie Convenzioni del '96 che per mezzo secolo hanno retto il regime degli italiani di Tunisi, abbiamo meditatamente inteso e voluto, come del resto con le nostre precedenti solenni dichiarazioni di governo, liquidare un recente passato che il popolo italiano vivamente deplora; sgombrare senza esitazioni il terreno dalla sola seria controversia che avrebbe potuto dividerci; preparare la strada a quella fiduciosa collaborazione, che è la condizione fondamentale della nostra rinascita e fondamentale interesse nostro ed europeo. Creare, insomma, fra noi e la Francia, una situazione nuova.

E molto confido in quell'opera di normalizzazione e di smobilitazione delle misure di guerra, di pacificazione insomma, che ella riterrà di svolgere nello spirito di equità che è della Francia e delle sue tradizioni, nei confronti dei nostri cittadini e interessi sia sul territorio metropolitano sia su quello dell'Impero, perché questa situazione nuova possa sollecitamente avviarsi verso un consolidamento definitivo.

Ricordo, signor generale, con viva simpatia le parole che ella ebbe indirettamente ad indirizzarmi nello scorso giugno a Napoli, subito dopo la liberazione di Roma, allorché iniziavo, nelle condizioni estremamente difficili ch'ella conosce, la mia attività di governo 2 . Alte e umane parole di solidarietà latina e di speranza che da questa solidarietà potesse un giorno rinascere, sgombrato il terreno dal contrasto tunisino, un'intesa fra i nostri due popoli, che, attraverso successivi accordi economici, di emigrazione, culturali e di sicurezza, avrebbe potuto e dovuto progressivamente diventare sempre più stretta e cordiale.

Caduto oggi quel solo, serio contrasto e nell'imminenza della ripresa dei nostri rapporti, tengo molto a riconfermarle, come allora, il mio pieno consenso e la mia piena adesione alle sue parole e con la stessa convinzione profonda.

E molto e cordialmente mi auguro che il rappresentante italiano a Parigi e quello francese a Roma avranno la possibilità e il modo di lavorare, senza impazienze ma con costante fermezza, in quella direzione e verso quella mèta.

1 Neli 'archivio riservato della Segreteria Generale esistono tre precedenti versioni di questa lettera, del 29 e 31 gennaio, con correzioni di Prunas e De Gasperi. L'ultima di queste, già firmata da Bonomi, reca la seguente annotazione di Prunas: «Sospesa in seguito parziali modifiche richieste da Couve».

2 Vedi serie decima, vol. I, D. 280.

Voglia, signor generale, accogliere e mie pm vive felicitazioni per la sua ammirevole opera di governo che ha riportato la Francia al grande rango che le compete e cui tutta l'opinione pubblica italiana la vede ascendere col cuore sgombro da ogni diffidenza e sospetto.

58

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1013/82. Londra, 14 febbraio 1945 1 (per. ore 9 del 17).

Mio telegramma n. 462 .

Ho visto 12 corrente ministro Affari Esteri Cecoslovacchia Masaryk cui ho fatto presente opportunità ripresa regolari relazioni diplomatiche. Gli ho prospettato soprattutto nostro urgente interesse per la presen!a in Cecoslovacchia di un rappresentante italiano per tutela prigionieri e deportati eventualmente colà dislocati. Masaryk che è personalmente favorevole consulterà immediatamente presidente Benes confida potermi dare sollecita risposta favorevole. Riservomi telegrafare 3 .

59

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 1653/38. Mosca, 15 febbraio 1945, ore 15 (per. ore 9,15 del 13 marzo).

Prima impressione risultati Conferenza Crimea è trattarsi accordo senza vinti né vincitori in cui principali parti contraenti si sono fatte reciproche importanti concessioni allo scopo porre su solide basi collaborazione maggiori Potenze almeno nell'immediato dopoguerra.

Sforzo di buona volontà da parte tre capi è stato tanto più grande in quanto sostanzialmente incontro Stalin-Churchill 4 aveva piuttosto portato irrigidire posizioni reciproche e ultimi mesi avevano più accumulato che eliminato conflitto e malinteso nelle varie zone.

l Inviato il 16 febbraio.

2 T. 674/46 del 31 gennaio: colloquio con Cadogan circa la nomina di un rappresentante italiano presso i governi in esilio a Londra.

3 Vedi D. 69.

4 Allude all'incontro di Mosca dell'ottobre 1944.

Mentre tendenza prevalsa fino ad ora sembrava essere quella di dividere Europa in due zone d'influenza esclusiva una sovietica e l'altra anglo-americana, principio collaborazione sembra ora avere avuto sopravvento. Mentre Russia sembra avere mostrato di rinunziare ad esempio risolvere indipendentemente situazione interna Polonia e Jugoslavia, anglo-americani impegnandosi agire d'accordo con Russia per sistemare anche Europa occidentale hanno implicitamente ammesso principio interessi e interessamento russo anche in quelle zone.

Risultato pratico per quanto riguarda noi:

l) probabilità maggiore interessamento e peso Russia questione italiana;

2) più che mai è necessario evitare anche più lontana apparenza che politica italiana speri poter giuocare su dissidi fra principali Alleati.

Non sono naturalmente con ciò solo eliminate tutte le difficoltà: restano resistenze e tendenze agenti periferici che, molto meno nel caso russo assai più per quanto concerne anglo-americani, possono cercare continuare antichi sistemi. Capi hanno però dato prova loro decisa volontà collaborare. Particolarmente evidente ed importante da parte russa massimo sforzo fatto per dissipare preoccupazioni tuttora largamente esistenti che essa intenda profittare situazione creatasi per imporre soprattutto ai paesi vicini regimi comunisti.

Mi riservo telegrafare ulteriormente a V.E. su risultati e sviluppi accordi a mano a mano che sarò in grado avere in proposito informazioni serie.

60

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1144/42. Mosca, 16 febbraio 1945 1 (per. ore 14 del 23).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 34 dell'8 corr. 2 .

Questo commissario del popolo per gli Affari Esteri mi ha comunicato in via definitiva che, fermo restando suo punto di vista di cui al mio telegramma 18 del 29 gennaio\ considera Bova Scoppa a Bucarest «persona privata». A sondaggio se motivo tale atteggiamento dovesse imputarsi eventuale riserva sulla persona di Bova Scoppa, è stato risposto che trattasi questione di principio.

Dato irrigidimento sovietico su tale posizione che se pure giuridicamente discutibile ritengo praticamente irrevocabile, restano a mio avviso due alternative: o accettare situazione privata Bova Scoppa di fronte autorità sovietiche o che codesto

l Inviato il 17 febbraio, ore 21,59.

2 T. 613/34: riattivazione della legazione rumena a Roma; dichiarazione di nullità del lodo di Vienna.

3 T. 668/18: opinione russa che la missione di Bova Scoppa abbia subito interruzione a causa del riconoscimento rumeno del governo della Repubblica Sociale Italiana.

77 incaricato d'affari Romania suggerisca a suo governo avanzare formale richiesta di ristabilimento relazioni diplomatiche coll'Italia e procedere nuovo accreditamento legazione.

Riguardo quest'ultima alternativa avverto però che autorità sovietiche sono molto poco soddisfatte attuale governo romeno e non sono sicuro accetterebbero deroga clausole armistizio su questo punto.

61

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1137/199. Madrid, 17 febbraio 1945 1 (per. ore 14 del 23).

Sono stato ricevuto stamane dal ministro Esteri cui ho presentato copia lettere credenziali. Accoglienza ricevuta è stata delle più cordiali e, malgrado visita avesse carattere eminentemente protocollare pure conversazione si è svolta atmosfera fiducia e comprensione; ho portato a Lequerica saluti governo italiano e ho espresso speranza che arrivo in sede due ambasciatori potrà liberare terreno da questioni rimaste da tempo in sospeso e preparare possibilità future per ripresa economica nell'interesse entrambi paesi. Ministro Affari Esteri ha fatto dichiarazione che merita essere rilevata e cioè che consiglio ministri riunitosi ieri sotto presidenza Franco si è occupato «quasi prevalentemente» delle questioni pendenti con Italia ed è stato deciso che governo spagnolo adotterà nei nostri riguardi atteggiamento simpatia e aiuto pratico -con particolare riguardo ai problemi economici finanziari -che servirà rafforzare legame amicizia esistente tra i due paesi. Ministro poi rispondendo al saluto che a nome E.V. gli ho personalmente rivolto, ha avuto parole schietta cortesia e apprezzamento per persona e opera di V.E. e ha tenuto dichiararmi sperare vivamente fare buon lavoro nell'interesse comune; mi ha infine manifestato sua soddisfazione che scelta nuovo ambasciatore italiano sia caduta su una persona legata questo paese da numerosi e vecchi vincoli famiglia. Ministro Affari Esteri che si è dimostrato essere dettagliatamente al corrente cose italiane, nel congedarsi contrariamente consuetudini protocollari, mi ha invitato colazione intima assieme ambasciatore Sangroniz per discutere «da buon amìco» i problemi tra nostri due paesi. Ne approfitterò per fare sondaggi politici e economici che mi saranno preziosi nelle discussioni che seguiranno immediatamente dopo presentazione delle credenziali. Dalle prime impressioni riportate dopo mio arrivo e dalla conversazione di stamane debbo constatare che ambiente è ora favorevole per una proficua ripresa di reciproco interesse e che prossime conversazioni malgrado intrinseche difficoltà tecniche, si inizieranno sotto buoni auspici.

I Inviato il 18 febbraio, ore 15,30.

62

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 391/164. Roma, 17 febbraio 1945 (per. il 19).

Mi onoro informare codesto ministero di aver consegnato personalmente ieri al ministro di Cina presso la Santa Sede la lettera 1 il cui testo mi è stato trasmesso col dispaccio n. 2111804/20 del 14 c.m.

Nel corso della conversazione che ne è seguita devo segnalare che il signor Sié ha mostrato un certo disappunto per il fatto di nori contenere la nostra dichiarazione ufficiale un accenno esplicito della ripudia del governo italiano al riconoscimento del Manciukuò fatto a suo tempo dal governo fascista e che si sia parlato di riconoscimento di quello di Nankino.

Per quanto riguarda questa ultima parte ho fatto presente che il testo della dichiarazione ufficiale era in se stessa esplicito, per quanto riguarda invece la prima parte lo stesso signor Sié mi ha richiamato le considerazioni fatte al riguardo direttamente da codesto ministero.

Egli mi ha assicurato che avrebbe immediatamente trasmesso al suo governo in forma ufficiale il testo della dichiarazione approvata dal Consiglio dei ministri il 18 gennaio scorso. Mi ha aggiunto, a mia domanda, che non risultava che il governo di Chung-King avesse disposto l'invio di un ambasciatore presso di noi ma si è mostrato convinto che provvederebbe in questo senso a seguito della notifica ora fattagli.

ALLEGATO

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DI CINA PRESSO LA SANTA SEDE, SIÉ

L. 379. Roma, 15 febbraio 1945.

D'ordine del mio governo, ho l'onore di portare a conoscenza dell'E. V. che il consiglio dei ministri italiano, nella sua seduta del 18 gennaio scorso, su proposta del ministro degli Affari Esteri, ha approvato all'unanimità la seguente dichiarazione ufficiale concernente la politica di leale intesa e collaborazione col governo nazionale cinese del generalissimo Chang Kai-Shek che la nuova Italia democratica intende fermamente seguire:

«Il governo democratico italiano, che ha già solennemente ripudiato la politica estera fascista nei confronti dei popoli occidentali, mosso dagli stessi sentimenti e animato dalla stessa leale volontà di rinnovamento, sconfessa l'appoggio e il riconoscimento dato dal governo fascista alla politica di aggressione e di sopraffazione condotta dal Giappone in Estremo Oriente, politica che ha portato, fra l'altro, alla creazione di sedicenti governi coi quali la nuova Italia democratica non ha e non intende avere rapporti di sorta.

I Vedi allegato.

Interprete della volontà del popolo italiano -che ha sempre seguito con profonda simpatia l'eroica lotta che il popolo cinese, sotto la guida del generalissimo Chang KaiShek sostiene da così lungo tempo per riconquistare la sua libertà e la sua unità territoriale -il governo italiano dichiara in conseguenza formalmente di riconoscere nel governo nazionale di Chung King l'unico governo legittimo della Cina.

L'ambasciatore italiano che, in seguito alla felice rinnovazione dei rapporti diplomatici tra Roma e Chung King verrà prossimamente nominato presso il governo cinese, avrà l'incarico di trattare sul posto, sulla base e nello spirito del rispetto dell'integrità territoriale e della sovranità cinese, le varie questioni interessanti i due Paesi, per mettere su nuove e solide fondamenta i rapporti tra l'Italia e la Cina, in conformità agli ideali di uguaglianza, di libertà, di collaborazione internazionale, che ispirano la politica della nuova Italia democratica e delle Nazioni Unite ed Alleate».

Come l'E.V. potrà constatare la dichiarazione costituisce una chiara e netta presa di posizione del governo italiano, che approfondisce gli accenni, già del resto espliciti, contenuti nel messaggio augurale, indirizzato nel novembre scorso all'atto della ripresa dei rapporti diplomatici normali tra l'Italia e la Cina, dal presidente del Consiglio ed allora ministro degli Affari Esteri al generalissimo Chang Kai-Shek. Ho l'onore di fare riferimento al riguardo alla nota n. 037191/15 in data 8 novembre 1944 indirizzata al riguardo ali'E.V. dall'allora sottosegretario agli Esteri Visconti Venosta nonché alla precendente lettera in data 4 novembre 1944 diretta all'E.V. da S.E. il presidente del Consiglio 1 .

Nell'assolvere con particolare soddisfazione al gradito incarico di dar comunicazione all'E.V. di quanto precede ...

63

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, E ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/264 ( Carandini) 265 (Tarchiani). Roma, 19 febbraio 1945.

Ti accludo copia di una lettera diretta in data 30 settembre scorso dal presidente Bonomi, allora anche ministro degli Esteri, a questi ambasciatori di Inghilterra e Stati Uniti e al Capo della Commissione Alleata ammiraglio Stone, per prospettare l'opportunità ed anzi la necessità di una partecipazione attiva dell'Italia a un eventuale armistizio con la Germania2 .

Gli argomenti esposti in quella lettera sono validi anche oggi. Sicché io ti prego di volerne fare oggetto di una delle tue prossime conversazioni al Foreign Office (Dipartimento di Stato), al fine di ottenere che una qualche preventiva assicurazione ci sia data in questo senso.

Aggiungo, per tua norma di azione e di linguaggio, che sin dallo scorso ottobre da parte nordamericana fummo informati, ma in via confidenziale, che la nostra richiesta era stata discussa, credo, in una riunione del Comitato Consultivo per

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 501, nota 3. 2 Vedi serie decima, vol. I, D. 442, nota 2, p. 530.

l'Europa, e, in via di massima, accolta 1• Ma non ci fu data, né allora né poi, alcuna risposta ufficiale. É comunque una richiesta che mi par fondata su solide basi di equità ed alla quale, per ragioni evidenti, annettiamo estrema importanza. Ti sarò grato se vorrai a suo tempo informarmi dell'esito dei tuoi passi.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 21 febbraio 1945.

Il ministro di Spagna, che aveva chiesto di essere ricevuto da V.E., mi ha espresso le sue vive preoccupazioni per la campagna che parte della stampa italiana conduce contro il suo governo. Egli è informato che tale campagna sarà continuata ed anzi rafforzata in occasione del prossimo arrivo del nuovo ambasciatore Sangroniz a Roma.

Egli si preoccupa sopra tutto dell'insistenza con la quale è richiesta la rottura delle relazioni fra Italia e Spagna e chiede di conoscere se e quali probabilità vi siano che il governo sia indotto ad accoglierla.

Il signor Comin sottolinea l'opportunità di una qualche tregua polemica per consentire, sia a Gallarati-Scotti che a Sangroniz, un proficuo inizio di attività e la reciproca convenienza di dare la prevalenza agli interessi permanenti fra i due Paesi, che richiedono chiarimenti ed intese, piuttosto che a interessi e valutazioni puramente ideologiche e di parte.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI DEL CILE A ROMA, RIOSECO

L. 3/295 2 . Roma, 22 febbraio 1945.

Ella ha chiesto ier l'altro di conoscere se e quale azione il suo governo potrebbe svolgere in nostro favore.

Le siamo molto grati della sua richiesta, che rivela ancora una volta l'amichevole animo che la muove.

I Vedi serie decima, vol. I, D. 442.

2 Analoga lettera venne inviata in pari data agli incaricati d'affari del Messico (3/296) e del Brasile (3/297).

Le rispondo riassuntivamente e per sommi capi. Certo la imminente riunione dei Ministri delle due Americhe a Città del Messico potrebbe essere una propizia occasione per un'azione concorde di tutti i Paesi del Sud America, intesa a tradurre concretamente in atto la solidarietà latina verso l'Italia, in questo momento così grave della sua storia.

Io credo che tale azione, perfettamente giustificata dagli innumerevoli vincoli che ci legano e dalla necessità di salvaguardare la formula di civiltà e di esistenza che ci è comune, potrebbe essere sopratutto orientata sulle seguenti direttive, di carattere spirituale le une, materiali le altre:

l) necessità di ridare al popolo italiano una condizione di dignità nazionale ed internazionale. In pratica ciò significa la sostituzione dell'armistizio e delle sue durissime disposizioni con nuovi accordi, di carattere associativo, quali un anno e mezzo di guerra a fianco delle Nazioni Unite con le nostre formazioni regolari e partigiane, gli indicibili sacrifici sopportati, le enormi distruzioni sofferte perfetta-· mente giustificano.

2) Conseguente opportunità di accogliere l'Italia fra le Nazioni Unite e rinserirla finalmente nella vita internazionale, consentendone la partecipazione a quegli organismi destinati a provvedere alla sistemazione del mondo post-bellico, all'organizzé:!zione della sicurezza e della pace, alla ricostruzione economica. Particolarmente apprezzata a questo proposito sarebbe ogni azione diretta ad assicurare la partecipazione italiana alla Conferenza di San Francisco fissata per il prossimo aprile.

3) Necessità di provvedere ai bisogni più urgenti del popolo italiano sia sopprimendo gli enormi aggravi finanziari previsti dall'armistizio o da una sua troppo lata interpretazione; sia sopperendo alle sue fondamentali necessità di esistenza sopratutto in materia di alimentazione, trasporti e ricostruzione.

Sono queste, esposte, ripeto, sommariamente e per sommi capi, le linee di un'azione che potrebbe essere svolta a nostro favore dai fratelli latini d'America.

Non è superfluo aggiungere che ci risulta in modo certo che gli Stati Uniti sono nello stesso ordine di idee, e che, dunque, un'azione latino-americana in questo senso troverebbe atmosfera e terreno propizi.

Io credo che tutto quanto può essere fatto dai latini d'America in favore dei latini d'Europa in questo momento per noi tragico, è certamente destinato a giovare a tutta la famiglia latina e a quel moltissimo che tuttora essa rappresenta nel mondo.

Le saremmo molto grati se ella potesse trovare il modo di far pervenire al suo governo, sulla cui solidarietà ed amicizia contiamo, l'espressione della nostra viva fiducia ch'esso possa adoperarsi nel senso descritto e la nostra viva e cordiale riconoscenza.

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IL PRESIDENTE DEL GOVERNO PROVVISORIO FRANCESE, DE GAULLE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI 1

L. Parigi, 23 febbraio 1945.

J'ai été très sensible à la lettre 2 que vous m'avez adressée au terme des conversations relatives à la situation des ressòrtissants italiens en Tunisie et à la reprise prochaine de rapports directs entre nos deux gouvernements.

Le gouvernement de la France a apprécié l'esprit dans lequel votre gouvernement et vous-mème avez accepté de reconnaitre sans réserves la caducité des conventions de 1896.

C'est un fait de bon augure pour le développement des futures relations entre nos deux pays. Dans une atmosphère de confiance, nous pourrons désormais aborder l'étude des problèmes que pose le voisinage et des possibilités qu'offre la communauté d'esprit et de civilisation afin de réaliser une véritable solidarité d'intérèts entre nos deux nations.

Le règlement intervenu est une première étape. Notre volonté commune doit nous permettre, avec le temps, d'en franchir progressivement de nouvelles, car je crois, aujourd'hui comme hier, que la France et l'Italie sont destinées à se retrouver dans des relations de réelle cordialité età coopérer solidairement au bien de l'Europe et du monde.

Permettez-moi d'ajouter avec quelle sympathie je suis l'oeuvre que vous avez entreprise, dans des conditions particulièrement difficiles, pour la reconstruction de votre patrie. Vous savez combien j'en souhaite le succès3 .

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L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1265/218. Madrid, 24 febbraio 1945, ore 23 (per. ore 13,30 del 27).

Questa mattina alle ore 12 ho presentato lettere credenziali al generale Franco al palazzo d'Oriente. Cerimonia è stata organizzata con particolare cura, signorilità e secondo norme nuovo protocollo. Malgrado sfarzoso corteo si svolgesse nella

1 Cfr. ToscANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., pp. 437-438.

2 Vedi D. 57.

3 Questa lettera fu inviata da Bonomi a De Gasperi allegata al seguente biglietto senza data: «Eccoti la lettera. Vedi tu se è il caso di accennarvi nel comunicato stampa». Su questo biglietto Prunas annotò il 5 marzo: «Couve mi informa di aver chiesto telegraficamente a Parigi l'autorizzazione a pubblicare la lettera de Gaulle. Attendere dunque».

parte più centrale città non si è avuto benchè minimo incidente anzi sono stato lieto notare ripetute simpatiche e spontanee manifestazioni popolazione. Dopo presentazione personale R. ambasciata ho avuto in salotto a parte cordiale colloquio con Franco presente ministro degli Affari Esteri. Conversazione contrariamente consuetudini protocollari è durata oltre quaranta minuti.

Franco dopo avere ribadito continue difficoltà politica neutralità Spagna ha tenuto affermare che sin dal 1940 egli non aveva esitato manifestare all'allora capo del governo italiano gravi pericoli politici e militari che avrebbe rappresentato per Italia sua entrata guerra. Franco ha poi mostrato vivo interessamento per attuale situazione interna italiana ciò che mi ha dato agio illustrargli fervida opera del governo italiano e risultati già ottenuti nel campo partecipazione militare italiana alla guerra liberazione e nel campo ricostruzione facendo notare che già si potevano rilevare direttamente segni ripresa. Ho approfittato dell'occasione per illustrare gravi problemi alimentari economici e finanziari eh~ si presentano dinanzi governo italiano preludendo con ciò inizio mie conversazioni con governo spagnolo a tale riguardo. Franco mi ha assicurato che Spagna desidera vivamente partecipare opera soccorso mondiale per paesi devastati rinserrando così suoi vincoli collaborazione con Europa e specialmente con paesi Mediterraneo. Ha aggiunto però che era necessario che tutti i paesi adottassero vaste riforme sociali in mancanza delle quali Europa si sarebbe avviata inesorabilmente verso rivoluzione. Franco mi ha infine pregato trasmettere suo saluto a S.A.R. Luogotenente, governo italiano e popolo italiano.

Conversazione che è stata particolarmente cordiale ha esulato da formale cerimonia presentazione delle credenziali assumendo invece carattere prima presa contatto politico che mi auguro poter preludere ad una collaborazione italo-spagnola nel campo economico.

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IL PRESIDENTE DELEGATO DELL'A.C., MACMILLAN, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI 1

PROMEMORIA. Roma, 24 febbraio 1945.

l. In accordance with the declaration of the President of the United States of America and the Prime Minister of the United Kingdom of Great Britain, the Allied Governments propose to relax the contro! of the Italian Government under

1 Ed. in United States and ltaly 1936-1946, Documentary Record, Washington, United States Government Printing Office, 1946, pp. 107-110; Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, Europe, Washington, United States Government Printing Office, 1968, pp. 1244-1245; MACMILLAN, The Blast of War, 1939-1945, Londra, Macmillan, 1967, pp. 740-744. Vedi in United States and /taly, pp. 111-117, le dichiarazioni fatte da Macmillan in una conferenza stampa dello stesso 24 febbraio.

tbe Armistice in tbe mattt.:r of day to day administration and only to exercise sucb control wben Allied military interests require.

2. -Tbe Politica! Section of tbe Allied Commission is being abolisbed as of l Marcb 1945. Tbe Italian Ministry of Foreign Affairs will deal witb tbe Cbief Commissioner on matters of major policy, and on matters of minor policy and routine business it will address itself to wbatever Section (Economie or Civil Affairs) of tbe Commission may be appropriate to tbe subject involved. Matters involving tbe travel of diplomatic and otber public officials will bereafter be dealt witb on bebalf of tbe Commission by tbe Office of tbe Executive Commissioner. 3. -Tbe Italian Govemment will continue, as at present, to bave direct relations witb foreign diplomatic representatives accredited to tbe Quirinal. Tbe Allied Commission sbould be kept generally informed by tbe Italian Govemment of any negotiations in wbicb tbey engage witb otber Govemments. Facilities for tbe use of secret bags will be granted to tbe Italian Govemment for use in correspondence witb tbeir diplomatic representatives abroad. Undeposited cypber facilities cannot be allowed for tbe present. Insofar as tbese negotiations bave to do witb economie and financial matters, tbe Economie Section and its Finance Sub-Commission sbould be kept informed of tbeir progress. It would be convenient if tbe Italian Govemment would fumisb a periodic summary of all negotiations completed or pending witb otber yovemments. 4. -Tbe Allied Commission will limit its dealings witb respect to territory under tbe jurisdiction of tbe Italian Govemment to consultation witb and advice to tbe Ministers of tbe Italian Govemment. 5. -Tbe advisory functions of tbe Sub-Commissions of Education, Monuments and Fine Arts, Local Govemment, Legai and Labour in territory under tbe jurisdiction of tbe Italian Govemment will be performed only wben requested by tbe Italian Govemment. 6. -It will no longer be necessary for tbe Italian Govemment to obtain tbe approvai of tbe Allied Commission for decrees and other legislation enacted by the Italian Govemment in tbe territory under the jurisdiction of the Italian Govemment. Nevertbeless the Allied Commission sbould be informed of proposed decrees some time before their enactment, in order to enable the Chief Commissioner to consult witb tbe Italian Govemment as to their application to territory under the jurisdiction of Allied Military Govemment (AMG), and to lay plans for tbeir effective implementation in such territory wben appropriate. 7. -It will no longer be necessary for tbe Italian Govemment to obtain approvai of tbe Allied Commission for Italian appointments, wbetber to national or local offices, in territory under tbe jurisdiction of the Italian Govemment except witb regard to tbe attached list (Appendix A) of positions having military significance. The Italian Govemment will have tbe rigbt to alter appointments made previously by AMG autborities. 8. -The Allied Commission officers stationed in the field in the territory under tbe jurisdiction of the Italian Govemment will be witbdrawn. As a first step it is

intended to abolish by Aprii l, 1945, the Regional Offices ot the Allied Commission for Sicilia, Sardegna, Southern and Lazio-Umbria Regions. Representatives of the Allied Commission will, however, be sent into territory under the jurisdiction of the Italian Government when necessary and certain specialist officers with economie functions will remain in such territory for a limited period.

9. It is the desire of the Allies to encourage free trade in knowledge and learning with the Italian people. Arrangements will be facilitated for the flow between Italy and the United Nations of books and other publications of a scientific, politica!, philosophical and artistic nature, and for the movement of scholars, artists and professional men between Italy and the United Nations.

lO. The Alli es welcome the decisi o n t o ho l d !oca! elections in territory un der the jurisdiction of the Italian Government as soon as may be.

II. The Allied Nations desire to make concessions with regard to Italian prisoners of war now or hereafter held in Italy, other than those captured since the Armistice was signed. Provided that arrangements can be made for the services of such persons to continue to be made available on terrns satisfactory to the Supreme Allied Commander, their status as prisoners of war will be terminated.

12. -It is essential that the Italian Government formulate and implement appropriate economie controls and take ali other steps possible both in order to ensure that maximum production and effective and equitable distribution and contro! of consumption of !oca! resources possible under existing conditions be secured and as a prerequisite to increased economie assistance. 13. -In the joint programme of essential Italian imports, now being prepared by the Inter-Ministerial Committee for Reconstruction and the Economie Section of this Commission, there will be some supplies for which the combined United States-United Kingdom military authorities will assume responsibility for procurement (Category "A") and other supplies for which they will no t assume responsibility (Category "B"). A definition of the supplies which fall into Category "A" follows: (a) -Those quantities of agreed essential supplies necessary to prevent disease and unrest prejudicial to military operations, such as, food, fuel, clothing, medicai and sanitary supplies. (b) -Those supplies, the importation of which will reduce military requirements for the import of essential civilian supplies for the purposes referred to in this paragraph, such as, fertiliser, raw materials, machinery and equipment. (c) -Those materials essential for the rehabilitation of such of the Italian communication facilities, power systems and transportation facilities as will further the Allied military effort.

14. The programme for which the military authorities assume responsibility will be maintained for the duration of combined (United States-United Kingdom) operations in ltaly. For this period, and within the limits defined in paragraph 14, Italy will be treated as a whole. The date of the termination of rnilitary responsibility will be fixed by the Allied Nations.

15. -In addition to the programme of supplies for which the military assume responsibility for procurement (Category "A") the Allied Commission will assist the Italian Government in the preparation of programmes of supplies designed to rehabilitate Italian industry. Such programmes, referred to as Category "B" will be handled under procedures already notified. The purchasing of supplies in Category "B" programmes will be undertaken immediately without reference to the present difficult shipping position in order that the supplies so purchased may be called forward as and when shipping space becomes available. 16. -The Allies desire that industriai rehabilitation in Italy be carried out by the Italian Government to the fullest extent permitted by ltalian resources and such supplies as it may be possible to import under the terms of paragraphs 14, 15 and 16 above, and subject to the limitation in paragraph 19 below. The sole exception to this principle is to be made in the case of industries involving the production or repair of munitions or other implements of war, which will be rehabilitated only to the extent required by the Supreme Allied Commander in the discharge of his military mission, and to the extent necessary to further the Allied military effort in other theatres. The priority order in which ltalian industry will be rehabilitated (after the rehabilitation of industries essential for Allied military purposes) will be determined by the ltalian Government, with the assistance and advice of the Allied Commission. 17. -The prime responsibility for the contro l of inflation in Italy, including the imposition and administration of the appropriate financial controls and economie controls, and appropriate utilization of supplies, rests with the Italian Government. In this connection, as in others, the Allied Commission stands ready to advise and assist. 18. -The extent to which exports are to be stimulated and the development of machinery to handle export trade are for determination by the ltalian Government. For the time being, the ltalian export programme will necessarily be limited by certain shipping, military, financial and supply factors. The applicability of these factors to individuai programmes will be worked out between the ltalian Government and the Economie Section of the Allied Commission along the lines already discussed by the Economie Section with the Inter-Ministerial Committee for Reconstruction. 19. -Nothing contained in the above should be taken as constituting a commitment by the Allied Nations with respect to shipping. Any supplies to be imported into ltaly must be transported within such shipping as may be allocated from time to time by the Allied Nations.

APPENDIX A

LIST OF ITALIA N GOVERNMENT APPOINTMENTS REQUIRING PRIOR APPROV AL BY THE ALLI ED COMMISSION

Minister of War Minister of Marine Minister of Air Any other Minister of Armed Forces who may be created. Under Secretary for Telecommunications Director of Railroads Director Generai of Pubblica Sicurezza Commanding Generai, CC.RR. Chief of Staff, CC.RR. Commanding Generai, GG.FF. Appointments in the Army, Navy, an d Air Force in accordance with current practice 1 .

69

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1344/118. Londra, 26 febbraio 1945, ore 9 (per. ore 9 del 2 marzo).

Ho avuto oggi lungo colloquio col presidente Benes che mi ha manifestato più calorosa simpatia per nostro paese ricordando quanto ha fatto l'Italia per indipendenza Cecoslovacchia ed assicurandomi suoi sentimenti non sono da quell'epoca mutati. Conformemente richiesta di cui mio telegramma n. 822 mi ha detto aver deciso immediata normalizzazione relazioni diplomatiche con Italia, auspicando al più presto possibile invio nostro rappresentante in Cecoslovacchia. Masaryk mi ha autorizzato darne comunicazione E.V. in ttesa giunga comunicazione ufficiale che farà immediatamente seguito 3 . Riferisco con dettagliato rapporto4 circa altri argomenti trattati con Benès.

l Il contenuto di questo promemoria fu trasmesso alle rappresentanze all'estero con T. 984/c. del 27 febbraio. Nel comunicato del governo italiano alla stampa (che reca la data 24 febbraio ma l'annotazione «consegnato all'Ufficio Stampa il 25 febbraio mattina»), il cui testo fu corretto da Stone, si legge: «Ii signor Macmillan ha espressamente dichiarato che tali misure non rappresentano una conclusione e un punto di arrivo, bensì un progresso, un ulteriore passo verso quella meta, da entrambe le parti desiderata, della normalizzazione della situazione internazionale italiana. Gli Alleati, venendo incontro alle vive aspirazioni italiane, desiderano e intendono sostituire gradualmente al controllo una collaborazione sempre più amichevole e fiduciosa. Essi intendono aiutare il governo italiano nei suoi sforzi di ricostruzione e come è stato precedentemente annunziato faranno tutto il possibile per assistere il paese anche in materia economica, pur avvertendo che gli stessi vittoriosi progressi della guerra in occidente ed in oriente creano delle esigenze che in qualche misura riducono le loro materiali possibilità».

2 Vedi D. 58.

3 Non si pubblicano la nota verbale cecoslovacca 1100/45 del 3 marzo contenente la decisione di riallacciare le relazioni diplomatiche e la richiesta di gradimento per Vanek quale ministro a Roma, e un appunto di Prunas dell'8 marzo circa la concessione del gradimento a Vanek e la decisione di accreditare Guidotti quale incaricato d'affari presso il governo cecoslovacco di Londra.

4 Non pubblicato.

70

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AI MINISTRI A BUCAREST, BOVA SCOPPA, E A SOFIA, MAMELI

TELESPR. 15/2451 1 . Roma, 26 febbraio1945.

(Per Bucarest) Suo telegramma n. 43 del 19 dicembre u.s. 2 .

(Per Sofia) Suo telegramma n. 18 del 4 gennaio u.s. 3•

Con riferimento alla precorsa corrispondenza circa la situazione dei rapporti diplomatici dell'Italia con codesto Paese, e da ultimo al dispaccio sopraindicato, si ha il pregio di trascrivere qui di seguito, per opportuna conoscenza e documentazione di codesta R. legazione, quanto ha comunicato, in data 20 corrente4 la sezione politica dell'A.C. che il R. ministero aveva, a suo tempo, messo al corrente della situazione stessa:

«l governi britannico, nordamericano e sovietico hanno espresso il comune avviso che il governo italiano non deve intrattenere relazioni dirette con i paesi coi quali i governi britannico, nordamericano e sovietico non hanno rapporti diplomatici diretti.

I tre governi riconoscono, tuttavia che l'Italia ha, in paesi quali la Romania e la Bulgaria, degli interessi che richiedono attenzione e controllo. I tre governi, di conseguenza, non hanno obiezioni a che le questioni connesse alla protezione di tali interessi siano trattate su basi ufficiose da rappresentanti italiani che già si trovino nei paesi in parola».

L'attività di codesta R. legazione può pertanto continuare a svolgersi come attualmente.

71

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 27 febbraio 1945.

l. Le annunziate misure di alleggerimento, e, in alcuni casi, di soppressione del controllo alleato sono il risultato di una lunga, paziente azione di persuasione e di chiarimento condotta da mesi dal ministero degli Affari Esteri. Il documento

I Il telespresso fu inviato, per conoscenza, all'ambasciata a Mosca.

2 T. 3565/43: nomina di Scorzescu ad incaricato d'affari ad interim di Romania a Roma. Vedi D. 26. 3 Vedi D. 28, nota 2. 4 La nota reca in realtà la data del 17 febbraio; fu trasmessa dall'ufficio di collegamento il 20

febbraio.

presentato dal signor Macmillan 1 riproduce infatti i criteri e le direttive di massima suggerite in proposito da parte nostra. In alcune parti, esso adotta senz'altro le soluzioni da noi proposte, quali, ad esempio, la soppressione della sezione politica e dei controlli periferici; l'introduzione di soluzioni collaborative in sostituzione di quelle autoritarie; la limitazione delle interferenze e interventi soltanto alle materie concernenti direttamente lo sforzo bellico e la così detta «riabilitazione» del sistema economico ed industriale del paese. È da rilevare che sia l'abolizione della sezione politica, e cioè del naturale dirimpettaio del ministero degli Esteri; sia la riassunzione da parte nostra di quelle normali relazioni che ogni governo sovrano ha con i governi di tutti i paesi coi quali è in pace; sia, infine, il ridatoci consenso all'uso della valigia diplomatica, documentano la fiducia che il ministero degli Esteri ha saputo con una paziente opera e nonostante innumerevoli circostanze avverse, acquistarsi presso gli Alleati sia al centro che alla periferia. E di ciò è doveroso dare atto, come dell'attività, sotto ogni riguardo ammirevole, svolta in questo senso dai precedenti titolari presidente Bonomi e marchese Visconti Venosta.

2. Salvo un esame più approfondito del promemoria Macmillan, è in linea di principio da osservare che esso lascia in vigore gli impegni armistiziali e gli impegni successivi eventualmente assunti dal governo italiano, in quanto esplicitamente o implicitamente non li modifichi. Restano in conseguenza in vigore sia le clausole armistiziali che non hanno subito tale esplicita od implicita modificazione, sia, ad esempio, i generici impegni sottoscritti successivamente dal governo italiano in materia istituzionale e in materia di «impegno a mantenere gli impegni». È inoltre da rilevare :

a) che la Commissione Alleata dovrà essere tenuta al corrente in linea generale di ogni negoziato che venga da noi iniziato con altri governi. Si tratta quindi soltanto di un generico diritto di informazione e non di intervento. Ciò che è confermato dall'abolizione della sezione politica e dal conseguente convogliamento dei rapporti politici di natura internazionale verso i normali tramiti diplomatici;

b) che l'approvazione della Commissione Alleata non sarà più richiesta per i decreti e per gli altri atti legislativi emanati dal governo italiano nel territorio sotto la sua giurisdizione. Essa dovrà tuttavia esserne preventivamente informata, ma soltanto allo scopo preciso di concordarne l'applicazione nel territorio sotto l'amministrazione del governo militare alleato. La presente disposizione sancisce dunque una vasta autonomia d'azione che trova un limite soltanto in quegli impegni armistiziali che restano tuttora validi e fra i quali -è bene sottolineare -sono alcuni di larghissima portata (vedi, ad esempio, articolo IO dell'Armistizio del 3 settembre; articolo 22 dell'Armistizio del 29 settembre);

c) che l'approvazione della Commissione Alleata non sarà più necessaria per le nomine italiane sia ad incarichi governativi che ad uffici locali nel territorio sotto la giurisdizione del governo italiano, salvo per alcune specifiche cariche connesse con lo sforzo bellico. Anche questa disposizione sanziona una larga autonomia e smantella una prassi che si era venuta lentamente consolidando di interventi e interferenze in materia strettamente politica.

1 Vedi D. 68.

3. -Le misure disposte dagli Alleati non sono certo un punto di arrivo, ma segnano comunque un notevole passo nella direzione giusta. Esse costituiscono come tali una seria e concreta prova di fiducia da parte alleata e segnano un indubbio successo per il governo italiano. Chi ricordi -come tutti ricordiamo le due settimane di sfiduciata attesa in cui fu lasciato a Salerno il primo ministero Bonomi e paragoni quel gesto alleato ai provvedimenti odierni avrà la misura abbastanza esatta del cammino non certamente breve che si è riusciti, nonostante tutto, a percorrere. Se è dunque vero che gli attuali alleggerimenti e soppressioni dd controllo alleato vanno apprezzati in tutto il loro valore e portata, che sono certamente notevoli, e non vanno cioè sottovalutati, è però altrettanto vero che il cammino che ancora ci resta da percorrere non è certamente breve. Essi non vanno dunque neanche sopravalutati. Il fine supremo cui tendiamo non può infatti essere che il totale recupero della nostra autonomia e libertà di Stato sovrano e la piena disponibilità delle attribuzioni e facoltà che tutto ciò implica e comporta. Questa meta non è ancora prossima. Siamo tuttavia non soltanto sulla strada giusta e che direttamente vi conduce, ma procediamo verso di essa con un ritmo che, con ragionato ottimismo, possiamo indubbiamente qualificare sollecito. Lo stesso Macmillan ha, nelle sue dichiarazioni, posto nettamente in chiaro che è questa forse la penultima tappa del controllo e dell'ingerenza straniera nella vita nazionale ed internazionale italiana, dopo la quale non può esservi che il recupero della completa autonomia e sovranità di una nazione finalmente libera. 4. -Ai propositi alleati di ridarei progressivamente autonomia e sovranità; di sostituire alle soluzioni autoritarie le soluzioni concordate e di collaborazione; di trasformare le proprie organizzazioni da organi di deliberazione e di esecuzione in organi di consultazione e di consulenza, deve necessariamente corrispondere da parte italiana il parallelo senso di autonomia, una più consapevole libertà di movimento e di azione, un maggior spirito di iniziativa. Se ai fiduciosi propositi alleati che i nuovi provvedimenti documentano dovesse infatti corrispondere da parte nostra una supina acquiescenza o la persistente sollecitazione di assistenza e di appoggio anche in materie dove l'iniziativa dovrebbe d'ora innanzi essere esclusivamente nostra, gran parte dei vantaggi che oggi registriamo, sarebbero indubbiamente destinati a restare sterili ed inutili. Le funzioni di controllo e di intervento che gli alleati aboliscono oggi, rischierebbero di riprodursi rapidamente e di perpetuarsi pericolosamente se nell'esercizio di esse non li sostituissimo da parte nostra in modo rapido, integrale ed intelligente. E sarà indubbiamente utilissima cosa se di questo nuovo spirito di maggiore autonomia ed indipendenza che deve improntare da qui innanzi i nostri rapporti cogli Alleati si inspireranno in avvenire, con dignità e costanza, tutte le nostre autorità, sia centrali che periferiche. 5. -È infine da sottolineare in modo particolare che gli attuali provvedimenti non esauriscono affatto ed in certo senso anzi rafforzano le richieste italiane per un mutamento dello status internazionale dell'Italia. La fine dell'armistizio -che le misure odierne continuano del resto a logorare ed a svuotare di molto del suo effettivo contenuto -resta una delle esigenze fondamentali italiane e conversazioni sono da tempo in corso, e tuttora continuano, su basi e su progetti concreti, per giungere a quella meta che potrebbe essere non lontana.
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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DI NOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 27 febbraio 1945.

Non è mia competenza esaminare il pro-memoria Macmillan 1 dal punto di vista politico. Mi basterà dire ch'esso contiene, da questo punto di vista, un complesso di concessioni, che --quale che possa essere il loro intrinseco valore agevolerà il raggiungimento dello scopo, al quale con ragione e con fondamento mira il nostro Paese, quello cioè di entrare a far parte delle Nazioni Unite.

Esaminerò invece il pro-memoria dal punto di vista economico, per vedere se le clausole, ch'esso contiene, abbiano un effettivo valore e quale, ad ogni modo, sia la loro portata ed il loro contenuto.

l) Al 2° comma del punto 3 è detto: «La commissione economica e la sua sottocommissione dovrebbero essere tenut al corrente dell'andamento dei negoziati relativi a questioni economiche e finanziarie». Bisognerebbe chiarire che cosa s'intende per «tenere al corrente». Deve il governo italiano «tenere al corrente» al solo scopo di informare la detta commissione e sottocommissione dell'andamento delle trattative con terzi Stati, oppure anche allo scopo di ricevere le direttive per il proseguimento delle trattative in corso di svolgimento? In questa seconda ipotesi le trattative diventeranno molto complicate, ed è probabile che i terzi Stati, sapendo che le questioni di loro interesse sono sottoposte al giudizio dell'Inghilterra e degli U.S.A., si rifiuteranno, in queste condizioni, di negoziare con l'Italia.

2) Il punto 13 precisa che il programma dei rifornimenti all'Italia deve essere diviso in due parti:

a) rifornimenti (categoria A) che le autorità militari degli Stati Uniti e del Regno Unito si assumono congiuntamente la responsabilità di procurare;

b) altri rifornimenti (categoria B), circa i quali le autorità predette non si assumono tale responsabilità.

a') I rifornimenti della categoria A comprendono quelli necessari «per impedire malattie ed agitazioni pregiudizievoli alle operazioni militari, come ad esempio viveri, combustibili, oggetti di vestiario, rifornimenti medici e sanitari».

a') Oppure i rifornimenti di quelle merci, le quali possano servire come materie prime o come strumenti di produzione di quelle indicate alla lettera a'). Ad esempio fertilizzanti, che servono ad aumentare la produzione di grano, in luogo del grano stesso.

a"') I materiali essenziali per rimettere in funzione le vie di comunicazione, le officine per la produzione dell'energia elettrica e i mezzi di trasporto, in quanto siano utili allo sforzo militare alleato.

1 Vedi D. 68.

Come appare chiaramente da questa elencazione, i rifornimenti di categoria A sono quelli considerati indispensabili per la condotta delle operazioni militari. Essi non giovano che indirettamente alla soddisfazione dei bisogni della popolazione civile. Non comprendono infatti né i macchinari, né le materie prime indispensabili, perché la produzione industriale ed agricola possa riprendere od aumentare, come sarebbe indispensabile per il miglioramento della situazione economica del nostro Paese. Tanto ciò è vero che, come risulta dal successivo punto 14, «il programma di rifornimenti per i quali le autorità militari assumono la responsabilità, verrà mantenuto per la durata delle operazioni combinate in Italia», e la data di cessazione sarà stabilita dalle Nazioni Unite. Non è possibile dissimularsi la grave situazione, in cui il nostro Paese potrebbe venire a trovarsi, se, alla cessazione delle ostilità sul nostro territorio, venissero da un momento all'altro a mancare i rifornimenti di viveri, di combustibili, di oggetti di vestiario e di medicinali ed articoli sanitari, che costituiscono il grosso dei rifornimenti di categoria A. Sarà quello il momento più difficile per il nostro Paese, specie se una parte delle fabbriche dell'alta Italia, come è da temere, sarà, a causa delle distruzioni subite o della mancanza di materie prime, nell'impossibilità di funzionare. Questo dal punto di vista economico. Dal punto di vista politico poi è da considerare che, se al termine delle ostilità in Italia, si aprissero i negoziati di pace, l'Inghilterra e gli Stati Uniti avrebbero una potentissima arma di pressione sull'Italia, potendo minacciarla di cessare i rifornimenti alimentari e sanitari in un momento che, come si può prevedere fin d'ora, sarà estremamente difficile. Per tali considerazioni, sarebbe indispensabile che il programma di rifornimenti di categoria B assumesse fin d'ora la maggiore possibile concretezza, in modo che la produzione agricola ed industriale, per effetto dei rifornimenti stessi, potesse svilupparsi quanto più è possibile e quanto più presto possibile. Ora il punto 15, che a tali rifornimenti si riferisce, è formulato in termini così prudenti da non costituire molto più che una generica affermazione di buona volontà. Dice infatti il punto 15 che «la Commissione Alleata assisterà il governo italiano nella preparazione di programmi di rifornimenti intesi ad una riabilitazione dell'industria italiana». Da notare che non si fa parola dell'agricoltura, che è pure una branca essenziale della produzione italiana, né dei mezzi di trasporto, né delle opere pubbliche (porti, strade, ferrovie, ecc.), senza il ripristino dei quali il riassetto dell'economia italiana è una vana parola. Né si fa parola, soprattutto, degli aiuti finanziari indispensabili, perché il programma dei rifornimenti di categoria B possa essere tradotto in atto. È noto infatti che il programma di primi aiuti, presentato alla Commissione Alleata, importa una spesa di gran lunga superiore alle disponibilità in dollari, che sono state accreditate all'Italia, e che la sola speranza di tradurlo in atto sta nella concessione da parte dell'America di importanti crediti.

In conclusione, sarebbe necessario mettere in evidenza che, se i rifornimenti di categoria A interessano direttamente gli Alleati per la condotta delle operazioni militari sul territorio italiano e indirettamente l'Italia per i bisogni della popolazione civile, i rifornimenti di categoria B interessano direttamente l'Italia per provvedere ad essenziali bisogni dell'economia nazionale ed indirettamente gli Alleati, se essi sono interessati, come non vi è dubbio, a che il nostro Paese si mantenga ordinato e tranquillo e le sue condizioni economiche si avviino verso la normalità. E perché questo avvenga, è necessario che il programma di rifornimenti di categoria B sia concretato al più presto e siano predisposti i mezzi finanziari indispensabili per la sua attuazione.

3) Il punto 16 si riferisce al riassetto industriale. Esso demanda al governo italiano il compito di stabilire l'ordine di precedenza da dare alle varie industrie, avvertendo tuttavia che le industrie riguardanti la produzione bellica dovranno essere riattivate solo nella misura richiesta dal comandante supremo delle forze alleate, e che l'ordine di precedenza stesso, per quanto riguarda le altre industrie, sarà deciso dal governo italiano con l'assistenza ed il consiglio della Commissione Alleata. Come si vede, dopo una generica affermazione che gli Alleati intendono affidare il compito della ricostruzione dell'industria al governo italiano, in realtà tale compito sarà strettamente controllato dagli Alleati. A parte la difficoltà di determinare quali sono le industrie direttamente attinenti alla produzione bellica, è evidente che con il punto 16 gli Alleati si attribuiscono un controllo sulla ricostruzione dell'industria italiana che non può non preoccupare seriamente.

4) Il punto 17 dice che la responsabilità per il controllo dell'inflazione spetta in primo luogo al governo italiano, e che la Commissione Alleata è a disposizione per consigliare ed aiutare. Non si comprende se con questa dichiarazione si sia voluto restituire al governo italiano la necessaria libertà nel campo finanziario e monetario oppure se si sia voluto fin d'ora riversare su di esso la responsabilità di un aggravarsi dell'inflazione. Certo è che con la dichiarazione contenuta al punto 17 gli Alleati non hanno davvero dato una soddisfacente risposta alla nota, a suo tempo presentata, per chiedere che il bilancio italiano sia alleggerito dagli enormi oneri derivanti dalle clausole finanziarie della convenzione di armistizio, oneri che, costringendo il Tesoro ad emissioni di biglietti eccedenti il bisogno dell'economia italiana, aggravano il pericolo dell'inflazione.

Affiché le condizioni economiche e monetarie del nostro Paese migliorino sono necessarie, tra le altre, le seguenti tre cose, che dipendòno dalla volontà degli Alleati: a) che siano accolte le domande avanzate dal governo italiano per la soppressione degli oneri finanziari derivanti dalla convenzione di armistizio;

b) che l'Italia sia ammessa a riprendere le relazioni commerciali con tutti i Paesi del mondo, in regime di libertà, e non sia costretta a vendere le sue merci al prezzo, che l'Inghilterra e gli Stati Uniti siano disposti a pagare, costringendo perfino terzi Stati a mettersi preventivamente d'accordo con loro circa i prezzi da offrire ai produttori italiani, come è espressamente stabilito nel pro-memoria relativo alla ripresa delle relazioni commerciali tra l'Italia e la Francia, unito alla lettera 19 febbraio del contrammiraglio Stone a S.E. Bonomi 1;

c) che l'Italia possa disporre di tutte le valute derivanti dalle sue esportazioni, mentre attualmente non sa se le sarà concesso di disporre delle sterline accumulatesi in Inghilterra verso la quale si dirige con assoluta prevalenza l'esportazione del nostro Paese.

Le osservazioni che precedono prospettano alcuni problemi di fondamentale importanza, che-non trovano, a giudizio di questa direzione generale, nel documento in esame una soddisfacente soluzione. Vedrà V.E. se sia ilcaso, dopo che i singoli problemi siano stati esaminati in collaborazione con le altre amministrazioni interessate, di richiamare l'attenzione degli Alleati sui problemi stessi, sia traendo occasione dal pro-memoria Macmillan, sia facendone una trattazione separata.

l Non pubblicata.

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SCAMBIO DI LETTERE ITALO-FRANCESE 1

I

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI FRANCIA A ROMA, COUVE DE MURVILLE

L. Roma, 28 febbraio 1945.

Je vous serais reconnaissant de bien vouloir porter à la connaissance du gouvernement français la communication suivante:

«Le gouvernement provisoire de la République française a expressément constaté, par ordonnance en date du 22 juin 1944, que les ·trois conventions du 28 septembre 1896 relatives au régime des ressortissants italiens établis en Tunisie, ont été rendues caduques parla déclaration de guerre de l'Italie à la France du lO juin 1940.

Le gouvernement italien considérant, comme le gouvernement français, que ces conventions ont en effet cessé d'exister note qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens séjournant dans la Régence. Aussi souhaiterait-il que le gouvernement français se montrat disposé à négocier une convention d'établissement basée sur les principes généraux du droit international en vue de définir les conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie.

II

IL RAPPRESENTANTE DI FRANCIA A ROMA, COUVE DE MURVILLE,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 28 febbraio 1945.

A la date de ce jour, vous avez bien voulu me prier deporterà la connaissance de mon gouvernement la communication suivante: «Le gouvernement provisorie de la République française a expressément constaté, par ordonnance en date du 22 juin 1944, que les trois conventions du 28 septembre 1896 relatives au régime des ressortissants italiens établis en Tunisie, ont été rendues caduques par la déclaration de guerre de l'Italie à la France du 10 juin 1940.

Le gouvernement italien considérant, comme le gouvernement français, que ces conventions ont en effet cessé d'exister, note qu'aucun texte conventionnel ne détermine désormais le régime des italiens séjournant dans la Régence. Aussi souhaiterait-il que le. gouvernement français se montrat disposé à négocier une con

1 Ed in TosCANO, Pagine di storia diplomatica contemporanea, cit., pp. 438-440.

vention d'etablissement basée sur !es principes généraux du droit international en vue de définir !es conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie».

D'ordre de mon gouvernement, j'ai l'honneur d'accuser réception de cette communication. Le gouvernement français a pris note du désir exprimé par le gouvernement italien et est disposé à procéder avec !es autorités italiennes compétentes à des échanges de vues préliminaires en vue de définir, sur la base des principes généraux du droit international, !es conditions de séjour et de travail des ressortissants italiens en Tunisie. L'accord qui interviendrait serait signé à une date fixée d'un commun accord entre !es deux gouvernements.

III

IL RAPPRESENTANTE DI FRANCIA A ROMA, COUVE DE MURVILLE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 28 febbraio 1945.

J'ai l'honneur de porter à votre connaissance la communication suivante que mon gouvernement m'a chargé de transmettre au gouvernement italien:

«Le gouvernement provisoire de la République française a décidé de rétablir des relations directes avec le gouvernement italien. A cet effet, il a désigné son délégué au Conseil Consultati[ pour !es affaires italiennes, M. Couve de Murville, comme son représentant auprès du gouvernement italien, avec le rang d'ambassadeur.

Le gouvernement provisoire de la République française est disposé à recevoir dans !es mèmes conditions un représentant du gouvernement italien.

Il est également d'accord pour l'envoi à Paris, Toulouse et Marseille d'agents consulaires italiens dont !es compétences seront définies ultérieurement».

IV

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI FRANCIA A ROMA, COUVE DE MURVILLE

L. Roma, 28 febbraio 1945.

Ho l'onore di accusare ricevuta della sua nota in data odierna con la quale l'E.V. mi comunica che il governo provvisorio della Repubblica francese ha deciso di ristabilire relazioni dirette col governo italiano ed ha a questo scopo designato

V.E. come suo rappresentante, con rango di ambasciatore.

Ella aggiunge che il governo provviso io della Repubblica è disposto a ricevere, nelle stesse condizioni, un rappresentante del governo italiano ed è d'accordo per l'invio a Parigi, Marsiglia e Tolosa di agenti consolari italiani.

Il R. governo concorda pienamente con quant'ella mi comunica e sarà mia cura indicarle appena possibile il nome della personalità italiana designata a ricoprire, con rango di ambasciatore, la carica di rappresentante di Italia a Parigi ed i nomi degli agenti consolari che saranno prescelti per gli uffici consolari di Parigi, Marsiglia e Tolosa.

Il R. governo si felicita vivamente per il ristabilimento delle relazioni dirette fra l'Italia e la Francia e tiene in modo particolare a manifestare la sua profonda soddisfazione per la decisa ripresa di contatti ufficiali e diretti fra i due Paesi, che si augura feconda di risultati, nell'interesse reciproco ed europeo 1 .

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 1012/58. Roma, Jo marzo 1945, ore 11.

La prego far sapere al primo ministro che suo grande discorso ai Comuni 2 e parole da lui rivolte al nostro indirizzo sono state accolte da governo e da tutta opinione pubblica Italiana con viva soddisfazione e cordiale compiacimento. Ci ha sopratutto toccato aperto e leale ricono~cimento del contributo di sangue e di opere dato dalle nostre formazioni regolari e partigiane alla lotta comune e assicurazione che Italia democratica ritroverà il posto che le compete e che non può esserle tolto senza grave pregiudizio nostro e di tutti. Sottolinei in modo particolare che tutto ciò che può essere concretamente fatto per ridare al popolo italiano il senso della sua dignità nazionale ed internazionale e al governo quel prestigio e quell'autorità che gli sono necessari per affrontare il travagliato periodo presente non potrà in definitiva che giovare a quello stesso ordine europeo di cui Churchill è più autorevole assertore e cui intendiamo collaborare con la più convinta lealtà. E in questo senso -e ne siamo riconoscenti e grati -interpretiamo parole pronunciate dal primo ministro nei nostri confronti3.

1 Lo stesso 28 febbraio De Gasperi indirizzò a Couve de Murville la seguente lettera personale 3/327: «Tengo molto ad aggiungere alla lettera ufficiale che le ho oggi diretta, una breve postilla personale. Ad esprimerle cioè il nos!ro vivo compiacimento per la sua designazione a rappresentante della Francia presso il R. governo. E una designazione che abbiamo accolto tutti con molta soddisfazione, perché nessuno più e meglio di lei ha le qualifiche necessarie per svolgere un compito come questo che richiede alte qualità di comprensione umana e di intelligenza politica. Mi felicito dunque con lei molto cordialmente, certo di poter contare sulla sua cordiale ed autorevole amicizia per il raggiungimento di una mèta, che ci è ad ambedue molto cara». Il 2 marzo Prunas indirizzò ai rappresentanti diplomatici all'estero il seguente T. 1033/c: «È stato diramato stampa seguente comunicato: "governi italiano e francese hanno concordato ristabilire relazioni dirette nonché invio agenti consolari Parigi, Marsiglia, Tolosa. Couve de Murville è stato designato come rappresentante presso governo italiano con rango ambasciatore. Governo italiano designerà suo rappresentante con stesso rango. Governi italiano e francese hanno altresì proceduto scambi lettere con cui governo italiano riconosce caducità convenzione 1896 per italiani in Tunisia. Governo francese dichiarasi pronto negoziare nuova convenzione stabilimento basata principi generali diritto"». Il progetto del comunicato stampa era stato presentato da Couve de Murville al suo ritorno da Parigi il 24 febbraio.

2 Carandini aveva trasmesso il 28 febbraio, con T. stampa 1417/58, il testo della parte relativa all'Italia del discorso di Churchill.

3 Sentimenti analoghi De Gasperi espresse nella L. 3/341, pari data, a Charles, non pubblicata.

75

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1379/124. Londra, lo marzo 1945 1 (per. ore 11,30 del 4).

l. Facendo seguito a precedenti colloqui su questa materia ho creduto esprimere Foreign Office mia sincera soddisfazione per dichiarazione Churchill ed ho pregato Harvey assistente sottosegretario di stato volersi intanto fare interprete presso primo ministro ed il signor Eden della mia viva riconoscenza. Inclusione questione italiana -che non aveva formato oggetto conversazione Y alta -nel discorso primo mmistro -giustamente definito uno dei più importanti dall'inizio guerra-~-non era necessariamente attesa e ritengo sia in gran parte dovuta interessamento di Eden del cui desiderio di immedesimarsi della situazione italiana ho avuto personalmente prova e assicurazione.

2. Primo ministro non ha trascurato toccare principali argomenti che potevano stare a cuore popolo italiano: si è chiaramente riferito all'Italia come a chi tornerà figurare tra «Leading Nations in Europe»; ha rivendicato priorità desiderio britannico venire incontro all'Italia; ha dato riconoscimento contributo italiano con completo riferimento ail' «invaluable service» di uomini e donne delle forze armate

o patrioti di qua e di là linee nemiche, avvertendo esistevano motivi per non farlo in forma più completa; ha ammesso responsabilità alleata in vista liberazione del nord, fornendo indiretta assicurazione che a quel momento cruciale importanza non ci mancherà indispensabile aiuto materiale; ha confermato migliotamenti già in corso favore Italia liberata.

3. -Messe queste dichiarazioni in relazione con quelle di Macmillan, è sensazione generale qui che si è chiuso grosso anello faticosamente forgiato della catena che deve portare alla riabilitazione del nostro Paese. Ma sopratutto viene attribuita importanza al fatto che governo britannico ha deciso affrontàre opinione pubblica inglese rompendo di proposito duro e lungo silenzio che era stato finora soltanto incidentalmente interrotto, non unicamente a nostro sfavore ma con sempre esplicite riserve che questa volta invece non figurano affatto. È mio personale convincimento che siamo entrati ~-per quello che riguarda Inghilterra -in un secondo stadio che dovrebbe essere considerato come punto di partenza per una decisiva revisione giudizio e atteggiamenti nei nostri riguardi. 4. -Nessuna reazione ostile è apparsa sulla stampa che, senza dare particolare rilievo questa parte discorso primo ministro, ne ha fatto cronaca come ordinario episodio politica estera." In Parlamento la cosa ha incontrato accoglienza fredda ma niente affatto ostile, anche perché generale attenzione era concentrata dichiarazioni sulla Polonia. Dobbiamo rendere omaggio abilità primo ministro che volendo parlare Italia ha scelto così modo evitarci dannosi sfavorevoli commenti che pote

l Inviato il 2 marzo.

vansi attendere dato persistente risentimento alcuni ambienti. Non credo probabile eventuali interrogazioni modifichino questa situazione favorevole. A persona amica e desiderosa rendere servizi ho raccomandato, perché insistentemente richiesto di dare il mio avviso, di non turbare questi ambienti con dichiarazione favorevole che dopo un varo così felice potrebbe attirare attenzione qualche critico su questione italiana in questa fase ancora delicata.

5. -Mi rendo conto opinione pubblica italiana e stampa Paese nostro spossato tante sofferenze avrebbero disiderio e forse si attendono espressioni più enfatiche. A parte avvenimenti non così facilmente dimenticabili dal grosso pubblico, per i quali Churchill ha giustamente rinviato ai «giorni di Mussolini» occorre aver e far presente fondamentale diversità temperamento che permane allorquando più gravi divergenze scompaiono. Si dovrebbe spiegare costà che progresso testé verificatosi vale per suo carattere solidità e costante sviluppo ed in quanto accentua e fornisce misura riavvicinamento già realizzato. Stampa italiana non potrebbe dare miglior contributo che mostrare apprezzare siffatto punto di vista ciò che renderebbe giustizia una volta tanto amici di qui ed ardua opera di V.E. e dei suoi collaboratori. 6. -Ultimo elemento da tener presente è il possibile risentimento Paesi alleati che come noi hanno subìto occupazione germanica ma che hanno verso di noi fondati motivi rancore. Mi risulta a tale proposito che riferimento fatto da Macmillan e dal primo ministro dichiarazione settembre 1944 fornirebbe argomenti per ribattere che miglioramenti conseguiti dall'Italia rappresentano sostanzialmente realizzazione promesse vecchie ormai di sei mesi.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

T. 1032/134. Roma, 2 marzo 1945, ore 12.

Questo incaricato d'affari di Spagna ha oggi vivacemente protestato per telegramma inviato da S.E. Togliatti a Negrin, in seguito recente fucilazione sedici comunisti avvenuta costà. Telegramma è stato pubblicato oggi dal giornale Unità 1•

È stato risposto a predetto incaricato d'~ffari che Palmiro Togliatti è il capo del partito comunista italiano ·e che il telegramma è stato diretto a questo titolo e

l Il telegramma, datato 28 febbraio e pubblicato sull'Unità del 1° marzo, era il seguente: «Nel momento in cui giunge la notizia che sedici eroici combattenti della libertà sono stati assassinati dal governo di Madrid sento il dovere di inviare a lei che fu sino all'ultimo l'animatore della lotta eroica del popolo spagnolo per la sua indipendenza il mio saluto e il mio augurio. Io le assicuro, signor presidente, che non solo gli operai italiani, ma tutti i sinceri democratici d'Italia auspicano il momento in cui il popolo spagnolo sarà definitivamente liberato dal sanguinoso regime fascista e hitleriano di Franco che è una vergogna per l'Europa e per la civiltà».

in questa veste. Che S.E. Togliatti sia anche vice presidente del Consiglio è, in questa circostanza, irrilevante non avendo egli parlato come tale, né, dunque, a nome del governo. L'atteggiamento dei comunisti nei confronti del regime spagnolo è del resto arcinoto da anni, né può essere modificato.

L'incaricato d'affari ha preso atto, aggiungendo essere suo timore che notizia susciti vivaci reazioni in Spagna, ove proprio in questi giorni V.E. è stato invece accolto con ogni deferenza e cortesia e violenza stampa italiana possa condurre eventuali, gravi complicazioni

Quanto precede per conoscenza e norma di linguaggio dell'E. V. 1•

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L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1471/254. Madrid, 5 marzo 1945, ore 22,30 (per. ore 17,50 de/1'8).

Ho ricevuto soltanto oggi telegramma V.E. 1342 . Già da ieri avevo avuto prima rimostranza per telegramma S.E. Togliatti a Negrin cui notizia era giunta governo spagnolo poco dopo deliberazione Consiglio ministri da me segnalata con telegramma 248 3• Manifestazione, soprattutto perché proveniente da membro così eminente governo italiano, ha qui provocato notevole risentimento che potrebbe infirmare lavoro intrapreso con spirito reciproca lealtà e rafforzare elementi ostili raggiungimento conclusioni nostro favore.

V.E. che ben conosce importanza risolvere, nelle nostre tristi circostanze grossi problemi finanziari ed alimentari attualmente in discussione, può ben comprendere mia ansietà veder compromesse attuali favorevoli prospettive da manifestazioni partito. Per mio conto onde superare presente contingenza svolgerò ogni opportuna azione presso quelle personalità governo in questo momento ben disposte verso di noi.

Confido tuttavia che intenzioni partiti al governo circa relazioni diplomatiche con Spagna siano chiarite onde possa conformarvi prosecuzione mia azione, unicamente preoccupato nostri interessi nazionali. Affinché V.E. possa illustrare esatta situazione nella presente congiuntura aggiungo che congresso panamericano al Messico ha rigettato, proprio in questi giorni, proposta rottura relaziqni diplomatiche con governo Franco e che ambasèiatore Stati Uniti partirà alla volta di Madrid 13 corrente.

l Per la risposta vedi D. 77.

2 Vedi D. 76.

3 T. 1460/248 del 4 marzo: decisione del Consiglio dei ministri spagnolo di presentare alle Cortes un progetto di legge per uno stanziamento straordinario per liquidare i creditori verso il clearing i taio-spagnolo.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1472/67. Mosca, 5 marzo 19451 (per. ore 17 del/'8).

Telegramma di V.E. n. 47 del 19 febbraio2•

A conferma del mio telegramma n. 5 del 9 gennaio 3 , mi permetto richiamare attenzione di V.E. su opportunità sollecitare ripresa rapporti diplomatici con governo polacco in Varsavia, specie in vista comunicazioni Commissione Alleata di cui al punto primo del telegramma ministeriale 984/c. del 27 febbraio 4 . Dichiarazione anglo-americana-sovietica Yalta, riconoscendo sostanzialmente al governo polacco Lublino (oggi di Varsavia) sua funzione nucleare per formazione Gabinetto su basi più larghe, ha conferito a governo stesso rilievo che, comunque procedano avvenimenti e discussioni per soluzione problemi Polonia e contrasti con governo emigrato Londra, rimarrà al suo attivo nel definitivo assetto polacco per il compito che esso ha svolto in questo turbinoso periodo della storia della Polonia, per il seguito di cui gode in seno ai vasti strati della popolazione polacca -cui non sfuggono l'importanza del suo programma sociale ed il carattere vitale della sua azione in questo momento così critico-e infine per l'appoggio che esso ha ed ha avuto dall'Unione Sovietica.

L'accresciuto senso della dignità nazionale polacca, che quotidianamente affiora in ogni contatto, pone in una situazione di evidente disagio il carattere esclusivamente personale dei miei passi e delle mie richieste a questa ambasciata polacca che fa palesemente intendere come la Polonia si attenda dalla tradizionale amicizia dell'Italia un gesto che ne riconfermi i legami storici. Tale gesto, se compiuto quando la crisi sarà risolta, apparirà tardivo ed avrà significato di accessione passiva ad un riconoscimento che sarà generale.

Ripeto d'altra parte a V.E. che ritardo nostra decisione a riguardo, a cui sia a Mosca che a Varsavia a causa sopratutto atteggiamento Vaticano viene dato significato politico speciale, non può non avere conseguenze su situazione italiana in Polonia. Rendendomi conto difficoltà che governo italiano può avere in proposito con altri Alleati riterrei però almeno come primo passo sia necessario al più presto autorizzarmi trattare accordi di massima con questa ambasciata di Polonia come proposto con mio telegramma n. 83 5 del 19 dicembre scorso.

Segnalo ad ogni buon fine che fra qualche giorno partirà per Varsavia il ministro plenipotenziario francese Garreau il quale per quattro anni ha retto ambasciata di Francia in Russia e che quanto prima sarà nominato ambasciatore di Francia in Polonia.

1 Inviato il 6 marzo, ore 16,12. 2 T. 787/47, non pubblicato. 3 T. 165/5, non pubblicato. 4 Vedi D. 68, nota l p. 88. 5 Vedi D. Il.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 1708/0l. Washington, 6 marzo 1945 (per. il 15).

Da fonti autorevoli mi risulta che il presidente Roosevelt, sia a Malta e sia a Yalta, avrebbe insistito per ottenere un concreto miglioramento della situazione dell'Italia. La severa prudenza del Foreign Office avrebbe posto per ora un freno

·alle concessioni desiderate, facendo prevalere il principio di una progressività meno frettolosa. Tuttavia, secondo qui si ritiene, tanto le limitazioni dei poteri della Allied Commission, quanto il recentissimo atteggiamento di Churchill-ultimo discorso 1 -nei nostri riguardi sarebbero, principalmente, un risultato delle insistenti richieste di Roosevelt.

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RIUNIONE INTERMINISTERIALE

Roma, 6 marzo 1945.

S.E. -Mario Palermo ricorda Io scopo precipuo del suo viaggio in Albania, che è quello di giungere con le autorità albanesi ad intese che permettano di concretare al più presto il rimpatrio della massa degli italiani che si trovano colà. Ricorda anche quanto ha riferito il gen. Piccini circa il punto di vista del governo albanese al riguardo. Comunica inoltre la notizia recentemente pervenuta della condanna a morte pronunciata dalle autorità albanesi nei confronti di due dirigenti italiani dell'azienda petrolifera parastatale A.I.P.A. sotto l'imputazione di atti di sabotaggio; condanna a morte la cui esecuzione è stata peraltro sospesa in relazione alla sua visita in Albania. Egli si propone di intervenire personalmente a Tirana per salvare la vita dei condannati e rileva come, in vista di tale circostanza, le autorità alleate (sottocommissione areonautica della C.A.) abbiano sollecitamente disposto facilitazioni al viaggio. S.E. -Palermo fa presente come egli intenda chiedere alle autorità albanesi di poter avvicinare il maggior numero possibile di italiani. E chiede quindi quale sia il punto di vista del ministero degli Esteri sia nei riguardi del rimpatrio che in merito all'attitudine da tenere col governo albanese, qualora questo volesse nell'occasione sollevare i problemi dei beni italiani in Albania e del riconoscimento del governo stesso.

I Vedi DD. 74 e 75. 2 Alla riunione, tenuta al ministero della Guerra in occasione della partenza di Palermo per l'Albania, parteciparono Reale, Palermo, Prunas, Zoppi, Zappi, Solari, Boccardi e Luciolli.

l) Circa la questione del rimpatrio i rappresentanti del ministero degli Affari Esteri propongono la seguente linea di condotta:

l) che si insista per ottenere il rimpatrio di tutti gli italiani che lo desiderino, sia militari che civili. Tale desiderio sembra sia stato espresso anche da coloro che sono inquadrati in unità partigiane, come il battaglione Gramsci. L'avvenuto rimpatrio della «Garibaldi» dalla Jugoslavia dovrebbe facilitarne l'accoglimento;

2) che per i tecnici e specialisti -che le autorità albanesi sembra intendano ad ogni costo trattenere -si cerchi per ora di ottenere la facoltà di sostituirli, almeno parzialmente, con analoghi elementi provenienti dall'Italia.

3) che agli italiani che non volessero -o per ora non potessero -rimpatriare siano assicurate adeguate remunerazioni e buone condizioni di vita.

Alle autorità albanesi, la cui attitudine sembra ora più conciliante, potrebbe farsi presente come gli italiani che hanno combattuto e lavorato per la liberazione dell'Albania non possano essere considerati quasi come prigionieri e privati della loro libertà.

II) Dovrebbe evitarsi che venga ora sollevata la questione dei beni italiani (che rappresentano in gran parte il risultato dei sacrifici del contribuente italiano e del lavoro e della tecnica italiana, e il cui valore complessivo può oggi calcolarsi in diverse diecine di miliardi). Qualora le autorità albanesi proponessero di abbinare la soluzione di tale questione con quella del rimpatrio (o eventualmente con quella della grazia dei condannati) S.E. Palermo potrebbe rispondere di non aver mandato di discuterne, esorbitando la questione dallo scopo concordato del viaggio e non avendo egli a disposizione i necessari esperti: potrebbe peraltro-ove lo ritenesse opportuno -assicurare le autorità albanesi di voler prospettare al governo di cui è membro le proposte che al riguardo esse intendessero avanzare.

III) In merito al riconoscimento del governo albanese -qualora tale quesito fosse posto a S.E. Palermo -egli potrebbe far presente come il governo italiano, nella sua attuale posizione internazionale, non possa prendere l'iniziativa di un atto che nessuna delle Grandi Potenze alleate ha finora compiuto, nonostante l'esplicita richiesta ad esse fatta dal governo albanese. Il governo italiano è peraltro pronto ad entrare in rapporti con quello albanese per la trattazione delle varie questioni; esperti potrebbero essere all'uopo inviati in Albania, mentre organo stabile di collegamento potrebbe essere-analogamente a quanto avviene per altre Potenze -una missione militare italiana, cui potrebbero essere aggregati anche dei civili.

IV) L'attitudine di S.E. Palermo nei confronti delle autorità albanesi potrà nel suo complesso essere opportunamente improntata alla più franca cordialità, facendosi presente come l'Italia, ripudiata la politica fascista, desideri avere con l'Albania indipendente i migliori rapporti. Una favorevole soluzione della questione del rimpatrio (nonché di quella connessa della situazione degli italiani che restano in Albania) potrebbe essere un soddisfacente inizio degli auspicati nuovi rapporti.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 6 marzo 1945.

Il ministro d'Olanda mi ha fatto oggi la seguente comunicazione verbale:

«Con riferimento alla lettera del presidente del Consiglio 1 , il governo olandese la prega di informare il ministero degli Affari Esteri, che, a suo avviso, la cortese lettera di S.E. Bonomi non costituisce una base sufficiente per il ristabilimento delle normali relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Il governo olandese non può accettare che una dichiarazione ove si specifichi che il governo italiano non si ritiene responsabile degli atti commessi dal regime fascista. Esso si dichiarerà peraltro soddisfatto di una comunicazione ufficiale per iscritto con la quale il governo italiano dichiari di riconoscere la validità della dichiarazione di guerra notificata· il 23 dicembre 1941 al governo italiano per il tramite del ministro di Svezia a Roma».

Il ministro aggiunge che la dichiarazione di guerra fu notificata dal ministro Beck-Friis all'ambasciatore Buti, con lettera diretta al conte Ciano 2• L'ambasciatore Buti, dopo aver consultato i suoi consulenti giuridici, dichiarò di non poter accettare detta nota in quanto il governo italiano non riconosceva il governo olandese esiliato a Londra.

Ho confermato immediatamente al ministro d'Olanda che il governo democratico italiano non si ritiene affatto responsabile degli atti commessi dal regime fascista ed è appunto per questo che li ripudia in ogni occasione nettamente ed esplicitamente. Ho aggiunto che nessuna Potenza con la quale abbiamo ripreso i rapporti diplomatici, ha mai richiesto da noi dichiarazioni del genere, che sono, in quella forma, evidentemente contrarie a tutto quanto l'Italia democratica oggi fa e pensa.

Il ministro fa notare che si tratta di suscettibilità di un governo lungamente in esilio e che in sostanza quel che si richiede da noi è semplicemente una dichiarazione scritta ove si riconosca la validità della dichiarazione di guerra olandese e cioè la legittimità del governo che l'ha decisa.

Ho risposto che quantunque mi sem rino questi scrupoli di ortodossia giuridica, piuttosto che motivazioni politiche serie, non avrei mancato di sottoporre all'E.V. la concezione olandese.

Si prega il prof. Perassi di voler cortesemente esaminare che cosa la richiesta olandese eventualmente implichi e come potrebbe essere redatta la nostra risposta3 .

1 Vedi serie decima, vol. l, D. 542, Allegato. 2 !bid., D. 478. 3 Per il seguito della questione vedi D. 255.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 81/26. Washington, 7 marzo 1945 (per. il 21).

Approfitto del mezzo offertomi dal ritorno della missione economica Quintieri-Mattioli per riferire a V.E. sui primi contatti ufficiali avuti con questo Dipartimento di Stato.

Al mio arrivo qui erano assenti sia il presidente Roosevelt, in viaggio di ritorno dalla Conferenza di Yalta e dai successivi incontri, sia il segretario di Stato Stettinius, presidente della delegazione degli Stati Uniti alla Conferenza panamericana di Città del Messico. L'assenza del presidente ha fatto sì che la presentazione delle mie credenziali abbia luogo soltanto domani 8 marzo nella forma ridotta prescritta da questo cerimoniale per il tempo di guerra. Questo ritardo ha naturalmente ridotto al minimo i miei contatti col mondo ufficiale.

Il giorno dopo l'arrivo a Washington ho fatto una visita al sottosegretario Grew per la consegna della copia figurata delle credenziali e del discorso: la conversazione è stata protocollare e di carattere generico.

Sono venuti a farmi visita il capo del Protocollo ed il capo della sezione italiana del Dipartimento. Ho poi avuto ieri 6 marzo un colloquio assai lungo con Dunn 1 , sottosegretario aggiunto agli affari politici.

Egli ha subito tenuto ad assicurarmi che non solo lo State Department è ben disposto verso di noi, ma anche il presidente ha dato istruzioni di massima acciocché le questioni interessanti l'Italia siano prese in particolare considerazione e risolte nel modo più favorevole, ove non vi siano insormontabili ostacoli materiali o giuridici.

Ho da parte mia sollevato la questione dei risultati, tuttora elusivi, della missione economica. Mi ha detto che il Memorandum dello State Department, a conclusione dei lavori della missione -che trasmetto a parte 2 -apre molte vie che condurranno ad una più viva e fruttifera cooperazione. Occorre lavorare con fiducia e con pazienza.

Ho quindi affrontato il problema della situazione psicologico-politica dell'Italia, attirando l'attenzione di Dunn sulla opportunità che la risposta di Roosevelt al mio discorso contenga qualche frase che possa suscitare echi di simpatia e di speranza nel popolo italiano, tanto bisognoso di riconoscimento e di sostegno morale. Mi ha risposto che condivide il mio pensiero su tale opportunità e che se ne sarebbe occupato. (Avevo già fatta fare la stessa raccomandazione da Di Stefano ad altri uffici, in tempo, sapendo che il mio colloquio con Dunn sarebbe avvenuto un po' tardi).

Ho subito dopo abbordato con Dunn la questione della nostra aspirazione a partecipare alla prossima conferenza di San Francisco. Dunn mi ha detto -e

I Vedi il memorandum di Dunn su questo colloquio in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 955-956. Sui colloqui con Grew e Dunn vedi anche ALBERTO TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, Verona, Mondadori, 1955, pp. 29-33.

2 Non pubblicato.

proprio l'altro ieri Stettinius lo aveva dichiarato a Città di Messico-che gli inviti sono ·stati diramati e non v'è la possibilità di ampliarli a Stati non facenti parte delle Nazioni Unite o ad «osservatori».

Ho fatto considerare che il colpo sarebbe stato molto duro per il popolo italiano, alleato di fatto fino dal '43 -se non da prima -cooperante in ogni campo con le armi e con l'opera, capace e pronto ad ogni sacrificio, provato da atroci sofferenze, gravato da irreparabili rovine.

Dunn si rendeva conto della ripercussione che il fatto brutale di una nostra esclusione totale da San Francisco avrebbe in Italia. L'ho pregato vivamente di studiare la possibilità di accettare qualche formula intermedia od almeno qualche accorgimento che desse una certa soddisfazione alla nostra opinione pubblica. Di fronte al fatto compiuto degli inviti già diramati dalle «quattro Potenze», ho anche buttato là questo suggerimento: «Perché non sarebbe l'assemblea delle Nazioni Unite, appena riunita, ad invitare l'Italia?» Mi ha risposto: «Questo servirebbe soltanto per l'avvenire». «Potrebbe servire anche subito-ho replicato-e sarebbe un immediato riconoscimento e una solenne promessa».

Mi ha assicurato che rifletterà su quanto gli ho esposto e discuterà coi suoi colleghi tutta la questione. Va da sé che ho sondato Dunn a titolo del tutto personale e facendo salva ogni possibilità di iniziative al riguardo da parte di codesto ministero. Comunque non mancherò di tener vivo l'argomento in ogni modo che mi fosse dato, non trascurando alcuna possibilità. Conto di parlarne al presidente Roosevelt domani. Dopo la presentazione delle credenziali, vedrò di intrattenere in merito questi ambasciatori degli Stati dell'America latina, che attualmente per la quasi totalità si trovano al Messico per la Conferenza panamericana. Potrebbe essere tuttavia molto opportuno che il ministero, ove lo ritenga del caso, faccia interessare alla questione, che è per noi tanto vitale, la Segreteria di Stato di Sua Santità ed i rappresentanti dei predetti Stati accreditati presso la Santa Sede. (Mi è stato riferito che alla Conferenza del Messico, in vari casi, le Repubbliche dell'America latina hanno adottato atteggiamenti non rispondenti alle aspettative della delegazione degli Stati Uniti, la quale ha poi finito per adattarsi ed in qualche caso a cedere).

Dopo alcuni sondaggi effettuati discretamente, ho ritenuto di accennare pure a Dunn della nostra dichiarazione di guerra al Giappone, come prova tangibile della nostra perfetta lealtà e come nostro titolo di legittima appartenenza alle Nazioni Unite.

Dunn ha accolto l'idea come ottima, a suo giudizio personale. Deve riferirne per quanto riguarda le ripercussioni internazionali (evidentemente britanniche), e mi risponderà in merito, riconoscendo fin d'ora che abbiamo il diritto di dar la prova dei nostri sentimenti e propositi.

Ho dimostrato che il nostro apporto può essere effettivo, nei limiti concordati a Roma. Anche di questo parlerò al presidente, brevissimamente, quando lo vedrò domani per la presentazione delle credenziali 1•

1 Vedi D. 85.

Penso, poi, di tastare, prudentemente, il terreno anche con Halifax quando gli farò prossimamente visita, forse in settimana. Secondo fonti bene informate, sarebbe da ritenere che gli inglesi sono qui, in questo momento, orientati verso uno spirito di maggior simpatia e moderazione nei nostri riguardi che non in passato.

Non mancherò di continuare a riferire, sia pure con le necessarie limitazioni, sicuro che sarò compreso ultra litteram.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Washington, 7 marzo 1945 (per. il 21).

Sono arrivato qm m ottime condizioni, dopo un viaggio rapidissimo. Ho trovato la missione economico-finanziaria alla conclusione dei suoi lavori. Mattioli ti riferirà e ti consegnerà i documenti che porta con sé. Sono una base seria per un lavoro costruttivo da iniziare e proseguire con tenacia nel prossimo avvenire. Secondo me sarebbe decisamente utile che Mattioli tornasse tra qualche tempo a riprendere le fila e a continuare l'opera che ha bisogno delle cure assidue di un uomo di prestigio e di riconosciuta competenza. Ma su questo spetta a Roma ogni decisione, anche in base ai risultati acquisiti ed ai futuri programmi.

Per l'assenza del presidente e del segretario di Stato i miei contatti ufficiali sono rimasti per ora in limiti molto circoscritti. Te ne informo a parte, con mio rapporto ufficiale 1 .

Fin dal mio arrivo mi sono posto in contatto col delegato apostolico, monsignor Cicognani, che è animato dai migliori propositi di collaborazione e di solidarietà. Mi ha assicurato, fin dalla mia prima visita, che le masse cattoliche ci sono sinceramente favorevoli e che non mancheranno di aiutarci. V'è del resto in America un vivo interessamento per le cose italiane e nessun segno di ostilità preconcetta.

Le dimostrazioni di connazionali, lieti per la ripresa delle relazioni itala-americane, sono numerose. Si preparano manifestazioni che io cerco di frenare ed avviare, in modo che riescano il più possibile serie ed utili alla nostra causa.

Enti, associazioni e privati dalle più opposte tendenze si adoperano per intensificare il flusso degli aiuti verso l'Italia. Cerco di unificare e di far convergere le iniziative. Non con questo risolveremo il problema della ricostruzione, ma, in ogni modo costituiremo correnti di simpatie e creeremo nuovi vincoli che avranno poi un valore anche nel campo politico ed economico.

l Vedi D. 82.

Naturalmente per smuovere l'opinione pubblica, interessare le autorità, sollecitare decisioni e soluzioni, mobilito ogni possibile elemento utile qui e nell'America latina.

Ho avuto già assicurazioni ed incoraggiamenti tra autorevoli neutrali.

Siamo agli inizi di un lungo e sempre più intenso lavoro. Con la fiducia di Bonomi e tua, e con l'ausilio di valenti collaboratori, spero di far opera utile.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 1485/269. Madrid, 8 marzo 1945, ore 22,45 (per. il 9).

Faccio seguito mio telegramma 254 1 .

Ripercussioni telegramma S.E. Togliatti dopo prima fase vivace si sono smorzate senza spiacevoli conseguenze. In colloquio avuto con Lequerica su argomenti in trattazione questi mi ha accennato con molto tatto alla cosa senza però nascondermi cattiva impressione che aveva prodotto in certi ambienti governativi e politici. Ho avuto allora buon gioco nel fargli osservare non solo delicata situazione governo italiano in regime di libertà politica e di stampa, ma anche come esecuzione 16 comunisti non poteva non produrre nel mondo e in particolar modo in Italia forte impressione. Lequerica mi ha risposto che, pur comprendendo come, in regime di libertà, stampa di sinistra perseguisse suoi fini politici, tuttavia sarebbe stato opportuno per non intorbidire trattative in corso, che stampa governativa italiana osservasse atteggiamento comprensione ed equilibrio come dopo mio arrivo si comportava stampa spagnola anche di partito. Sangroniz inoltre mi ha riferito ieri sua visita a generale Franco, il quale, come prima cosa, gli ha mostrato il testo del telegramma predetto. Franco ha detto non voler fare dell'episodio una questione d'importanza perché era suo desiderio facilitare grave compito governo italiano e mio personale qui a Madrid.

Franco inoltre ha informato Sangroniz di essere favorevole accoglimento mia tesi restituzione grano in natura, almeno per buona parte, nonostante reali difficoltà rifornimenti spagnoli. Riservomi confermare notizia, anche nei suoi dettagli, in un prossimo telegramma. Devo infine-in linea generale-far presente a V.E. aver trovato presso queste sfere governative disposizioni favorevoli e buona volontà per giungere a soluzione questioni in discussione.

1 Vedi D. 77.

85

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 108/36. Washington, 8 marzo 1945 (per. il 21).

Ho oggi presentato al presidente Roosevelt -rientrato a Washington da pochi giorni -le mie lettere credenziali 1• La cerimonia, dato il semplicissimo protocollo qui vigente per il tempo di guerra, ha avuto luogo senza il consueto apparato: adesso, infatti, il solo capo missione va alla Casa Bianca; i discorsi non vengono letti, ma i testi scritti vengono senz'altro scambiati; l'udienza dura normalmente dieci minuti. Prima di ricevere me, era stato dal presidente il nuovo ambasciatore del Belgio, barone Silvercruys, che attendeva da oltre tre settimane. Il nostro turno è stato ritardato di mezz'ora perché il presidente ha prima ricevuto il gen. Stillwell, reduce dalla Cina -richiamato, come è noto, per dissensi con Chang Kai-Shek -e un gruppo di militari che si erano distinti nelle Filippine, liberando, con un audace colpo di mano, un migliaio di prigionieri americani.

Etichetta semplicissima: si aspetta in gruppo nella stanza che precede quella di lavoro del presidente, sì che ogni volta che si apre la porta s'intravede Roosevelt seduto al suo tavolo. Ogni dieci minuti entra dal presidente il suo segretario generale per far comprendere che la visita è finita. Ciononostante la mia udienza è durata oltre venticinque minuti.

Il presidente mi ha accolto con festosa cordialità. È magro e tormentato in viso, ma ha l'occhio ed il sorriso bonari e sereni. Ispira immediatamente piena fiducia e simpatia. Ho avuto, parlandogli delle cose d'Italia, l'impressione di una sincerità senza furberie e senza sottintesi.

Dopo presentate le lettere ed il discorso2 e ricevuta in busta la sua risposta -che trasmetto a parte -il presidente ha voluto spiegarmi com'egli abbia

I Vedi in proposito TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 33-39.

2 Il testo del discorso, ed. ibid, pp. 34-35 e, in inglese, in United States and Italy, cit. pp. 119-120, era il seguente: «Signor presidente, ho l'onore di presentarle le lettere con le quali S.A.R. il luogotenente generale del Regno d'Italia mi accredita presso di lei in qualità di ambasciatore straordinario e plenipotenziario. Considero grande onore e speciale privilegio essere stato scelto a rappresentare l'Italia presso di lei, signor presidente, in seguito alla ripresa delle formali relazioni con gli Stati Uniti, dopo un oscuro periodo d'errori e di sciagure contro l'Italia stessa e l'umanità. Confido che, con l'amichevole assistenza del suo governo, la mia missione contribuirà al pieno ristabilimento della mutua amicizia ed associazione tra le due Nazioni, unite com'esse sono da tanti legami e da supremi comuni interessi; tra questi particolarmente desidero ricordare quello creato dal contributo alla grandezza di questo Paese e dalla partecipazione nello sforzo di guerra di parecchi milioni di cittadini americani di origine italiana, e delle centinaia di migliaia di cittadini italiani che hanno fatto dell'America la loro casa. Questo essendo l'oggetto della mia missione, lasci signor presidente che il mio primo atto sia quello di porgerle profondi sentimenti di apprezzamento e di gratitudine della Nazione italiana per la simpatia e l'abbondante umanità e comprensione che il suo governo e la Nazione americana ~sotto la sua illuminata e generosa guida ~mostrano verso di essa, così incoraggiando la rinascita della sua vita politica come aiutandola efficacemente nella battaglia per superare le presenti tragiche avversità, materiali e morali, e restaurare l'esistenza economica del Paese oggi spaventosamente devastato. In quella simpatia e in quest'aiuto il popolo italiano vede un segno di riconoscimento del popolo americano per la sana consistenza della rinnovata democrazia italiana ed anche della crescente partecipazione delle regolari forze armate e delle grandi formazioni partigiane, allo sforzo delle Nazioni Unite nella battaglia contro

ridotto al minimo, per causa della guerra, la cerimonia della presentazione delle credenziali. Prima si era ricevuti nel salone blu della Casa Bianca, con onori militari, musica, ecc.

Per parte mia sono entrato subito in argomento ringraziando calorosamente Roosevelt per i 300 grammi di pane dati al popolo italiano:

«<l pane, gli ho detto, entra in tutte le case ed è benefico per tutte le famiglie. Il suo intervento per questa concessione sarà ricordato con affettuosa riconoscenza dagli italiani così sensibili ad ogni gesto di simpatia».

«Sono lieto di questo risultato, mi ha risposto il presidente, sebbene sappia che è troppo poco, infinitamente poco, quello che ho potuto fare. La mancanza di tonnellaggio rende difficile l'attuazione d'ogni nostra buona intenzione. Sa che ho dovuto lottare due mesi con le autorità militari, perché i 100 grammi in più di pane fossero realmente distribuiti?».

Ho ringraziato Roosevelt anche per questa sua generosa e decisiva insistenza. Ed ho aggiunto:

«Ma lei, signor presidente, sa che non si vive di solo pane. Il popolo italiano è disposto a soffrire anche di più di quel che non soffra oggi, purché non gli siano negate alcune soddisfazioni morali. Posso parlare a cuore aperto?».

Roosevelt ha accennato di si.

Ho quindi proseguito: «Il popolo italiano ha bisogno di uscire daiie strettoie dell'armistizio e della cobeiiigeranza. Il popolo italiano non intende come dopo tanti sacrifici, tante rovine, tante prove di buona volontà, sia ancora considerato il paria della situazione internazionale, il povero che si lascia alla porta, senza speranza di poter presto entrare nel consorzio delle Nazioni Unite. Gli italiani si sentono degni di far parte delle Nazioni Unite. Invece, tra breve, avranno una nuova prova del loro stato di gravissima inferiorità: saranno esclusi daiia Conferenza di San Francisco. Questo, signor presidente, sarà un colpo terribile per il morale del nostro popolo, già così dolorosamente provato».

Roosevelt mi ha risposto: «Lassù (a Yalta) abbiamo discusso deiia cosa ed io ho sostenuto la vostra tesi. Churchill e Stalin hanno obiettato he invitare l'Italia -dato il suo stato giuridico attuale -significa aprire anche i casi di molte altre nazioni. Ciò nono-

le forze di oppressione e di servitù, fino alla fine. Ed io, signor presidente, desidero assicurarle, e per mezzo suo il popolo americano, che il popolo italiano è determinato a gettare, sempre più, il peso della sua volontà e delle sue risorse nella comune azione per la libertà e la pace, con l'obiettivo di partecipare alla fondazione di una situazione nella quale i princìpi di giustizia e di sicurezza debbono prevalere, e la fraternità deve essere stabilita per tutte le Nazioni amanti della pace. In questi nobili princìpi, da gran tempo proclamati e costantemente sostenuti dagli Stati Uniti d'America, risiedono le più fervide speranze della nuova Italia, la cui aspirazione più viva è di essere parte attiva e costruttiva nella comunità delle Nazioni Unite. Mentre confido di non essere impari al mio compito, mi permetto, signor presidente, di esprimerle la mia sincera convinzione che la rinnovata reciproca conoscenza tra i nostri due popoli e la conseguente mutua comprensione dei loro fini e dei loro ideali, renderanno solide e durature le loro buone e fiduciose relazioni. Con questa certezza ed in nome della Nazione italiana, ho l'onore di porgerle i più cordiali auguri di completa vittoria sul nemico e per la sempre maggiore fortuna della Nazione americana nella nuova era che il mondo aspetta».

stante io ho insistito, e sto lavorando adesso acciocché l'Italia possa mandare a San Francisco alcuni suoi osservatori. Sarebbe un primo passo al quale altri potrebbero seguire».

Ho replicato allora che -data la situazione in gran parte compromessa da decisioni già prese ed annunziate -sarebbe almeno di conforto per gli italiani ricevere un invito, anche del genere, specie ove questo fosse accompagnato o seguito da dichiarazioni che facessero sperare in altri sviluppi nel prossimo avvenire.

Il presidente ha ripetuto che farebbe tutto il possibile perché osservatori italiani avessero assicurato l'accesso a San Francisco.

Prima che io potessi abbordare il secondo importantissimo argomento della guerra al Giappone, il presidente mi ha fatto un caldissimo elogio degli italiani d'Italia e delle due Americhe, lodandone lo spirito di cooperazione, la intelligenza, la capacità e la lealtà democratica.

Mi ha, poi, domandato del nostro governo. Gli ho risposto che Bonomi e gli attuali ministri cercavano di compiere il loro dovere verso l'Italia e verso la causa degli Alleati, in circostanze difficilissime, col massimo di buona volontà e di spirito di sacrificio. Riusciranno nell'arduo compito di salvare e assestare il paese se saranno incoraggiati ed aiutati dalle Nazioni Unite.

Roosevelt mi ha allora chiesto che cosa e come fa il principe Umberto. Ho risposto: «Nella difficile situazione in cui l'istituto monarchico si trova, nella crisi post fascista, il principe fa del suo meglio e cerca con cura di non dare motivo a pubbliche agitazioni».

Roosevelt: «È la miglior cosa che il principe possa fare in questo momento. Stando in disparte e compiendo strettamente il suo dovere egli faciliterà la soluzione del problema interno italiano». ·

Mi ha quindi domandato se ho conosciuto e dove si trova la principessa Maria José che egli ha visto nel Belgio, bambina, molti anni fa: «Ha la stessa età di mia figlia, e la trattavo allora come tale».

Gli ho risposto che la principessa di Piemonte è attualmente in Svizzera. Roosevelt mi ha quindi accennato a Mussolini: «Non l'ho mai visto, ma sono stato in rapporti epistolari con lui. La più caritatevole definizione che si possa dare della sua politica è che egli è stato un cattivo indovino».

Ho replicato: «La politica di Mussolini non poteva essere diversa da quella che è stata. Egli aveva in sé e nel suo sistema le premesse inevitabili della rovina del suo paese».

Roosevelt: «Ha cercato di camuffare tutto quanto faceva di male sotto l'orpello di qualche buon provvedimento per il popolo».

Replico: «Si, ma quanta sproporzione fra il bene ed il male. Da un lato abbiamo qualche effimero costosissimo provvedimento, dall'altro il disastro nazionale, con conseguenze irreparabili o rimediabili soltanto mediante diecine d'anni dj duro lavoro».

Erano passati intanto i secondi dieci minuti di colloquio ed il segretario del presidente si era riaffacciato. Mentre il presidente accennava a congedarmi gli ho detto:

«Mi permetta di chiederle il suo avvisc su un problema che interessa al sommo grado il mio paese. Il mio governo -anche per mostrare la sua viva simpatia e lealtà verso gli Stati Uniti e le Nazioni Unite -avrebbe l'intenzione di dichiarare guerra al Giappone, come già la dichiarò alla Germania. Poiché siamo sotto il regime delle clausole d'armistizio, le quali possono limitare ogni forma di attività della nostra vita nazionale -specie per ciò che riguarda il lato militare -parrebbe necessario l'autorevole decisivo intervento suo, perché non si faccia ostacolo a questa nostra legittima richiesta di libertà d'azione».

Roosevelt si è mostrato sorpreso molto gradevolmente nell'apprendere questa intenzione italiana e mi ha risposto:

«Personalmente credo che non vi sia alcun ostacolo. Il governo italiano è libero ed ha rappresentanti all'estero, come lei. Può fare quello che crede. Però io non sono esperto in giure internazionale. In ogni modo lei, appena vede Stettinius, gliene parli e gli dica di avermene parlato, e gli comunichi l'opinione mia. Del resto gliene parlerò anche io stesso».

Ho illustrato al presidente tutti i buoni lati di questo nostro atto di solidarietà, anche attiva, non soltanto simbolica.

Egli approva ed accenna nuovamente a congedarmi. Ma mi trattiene ancora:

«A proposito. Passando il canale di Suez ho visto due vostre grandi, modernissime navi da .35.000 tonnellate («Littorio» e «Italia») nei Laghi Amari ... ». «Sono a disposizione per l'Estremo Oriente». « ... Io avevo avuto un'idea. Ho chiamato Churchill ed i comandanti delle due

marine, americana e britannica, e ho detto loro: "Perché quelle due belle navi non potrebbero essere adattate ed impiegate per trasportare grano per gli italiani?" Churchill ed i capi delle marine sono rimasti esterrefatti ed hanno subito dato parere sfavorevole, dichiarando che una tale cosa non si poteva fare. Pare fosse un'offesa alla suscettibilità delle marine militari. Per me era invece un'idea pratica

ed utile». Ho, a mia volta, ripetuto che le due belle navi potevano essere molto utilmente da noi impiegate per la guerra in Estremo Oriente.

Dopo un breve silenzio Roosevelt ha aggiunto «l deficit di tutte le Nazioni prima della guerra erano dovuti esclusivamente -ed in esatta proporzione all'incremento delle spese militari. Eliminate quelle, l'umanità potrà avere bilanci più assestati e più benefici».

Mi ha infine domandato notizie mie personali, del mio soggiorno a Parigi e delle condizioni dell'ambasciata. Gli ho risposto che quest'ultima aveva bisogno di essere molto lavata, dopo un ventennio di fascismo.

Roosevelt rise molto di cuore e mi salutò molto cordialmente, aggiungendo: «Spero di rivederla presto».

Non appena Stettinius sarà di ritorno da Città del Messico chiederò di vederlo e, forte delle parole di Roosevelt, cercherò di stringere sia la questione della nostra presenza a San Francisco e sia quella della nostra partecipazione al conflitto in Estremo Oriente I.

l Vedi D. 95.

86

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 12 marzo 1945.

l -I nostri interessi in Spagna sono cospicui. I principali sono elencati nell'acclusa lista 1• Essi sono comunque tali che basterebbe.ro, anche se per avventura non vi fossero altre ragioni, a giustificare la permanenza di rapporti diplomatici normali fra Roma e Madrid.

2 -Ed è proprio quando l'attuale regime spagnolo si sente contrastato all'intemo e all'estero, e cioè relativamente isolato, che abbiamo, per ragioni evidenti, maggiori e più ampie possibilità, insistendo da parte nostra su una politica moderata, di giungere a soluzioni favorevoli. Come appunto i primi approcci fatti dall'ambasciatore Gallarati Scotti dimostrano.

3 -D'altra parte la proposta di rompere le relazioni diplomatiche col governo di Franco è stata in questi giorni respinta a grande maggioranza dal Congresso panamericano di Città del Messico e l'ambasciatore degli Stati Uniti riprenderà domani il suo posto a Madrid. È altresì noto che le non buone relazioni tra Spagna e Francia, dipendono non da ragioni di principio e ideologiche, bensì unicamente da questioni specifiche e contingenti.

4 --La Spagna è paese mediterraneo, col quale è nostro interesse riprendere al più presto i traffici e gli scambi. Conversazioni sono infatti avviate a questo scopo. L'apporto che tali scambi possono dare all'economia italiana non è in nessun caso trascurabile.

5 -Il fatto di mantenere a Madrid un ambasciatore non significa affatto favorire o simpatizzare col regime spagnolo o contrastare le correnti democratiche che vi si oppongono. Quando poi quest'ambasciatore è un convinto antifascista come Gallarati Scotti, non dovrebbe esservi alcun dubbio in proposito.

6 -Rompere i rapporti diplomatici con Franco o comunque minorarli col ritiro dell'ambasciatore, importerebbe dunque pregiudizi gravi ai nostri interessi e perpetuerebbe quella politica di interventi e di pressioni negli affari interni d'altri Paesi che ha dato così tristi frutti durante il regime fascista. L'ambasciatore Gallarati Scotti serve dunque gli interessi permanenti dei popoli italiano e spagnolo al di sopra di qualunque ideologia ed attua una politica di presenza

I Non pubblicata.

attiva, che sembra tanto più necessaria in vista dei probabili e prossimi sviluppi della situazione spagnola. È soltanto restando sul posto che un ambasciatore attivo ed energico potrà dare alla Spagna democratica, se questa dovesse prevalere, una assistenza ed un appoggio effettivi.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALLA RAPPRESENTANZA A PARIGI 1

TELESPR. 12/3110/11. Roma, 12 marzo 1945.

È nota l'attività militare delle formazioni di patrioti valdostani che, dopo aver mantenuto per vari mesi il possesso delle alte valli, furono nel novembre scorso sopraffatte da un'ampia azione di rastrellamento dei tedeschi e dei fascisti, e costrette a sconfinare in Svizzera, con il loro comandante generale Magliano,

o a passare le Alpi e rifugiarsi in Francia. Da tutto cio, è derivato un sbandamento dei patrioti ed una situazione d'allarme e d'incertezza in tutta la zona.

Apparivano a quell'epoca taluni accenni di separatismo. Non sembra che tale movimento abbia alcuna seria consistenza. A quanto risulterebbe il governo francese ha affermato di non voler incoraggiare alcun movimento annessionista in una regione che non presenta grande interesse e che è stata sempre considerata italiana, ma è innegabile che incoraggiamenti e aiuti concreti giungono dalla Francia agli annessionisti valdostani. Notevoli a tal proposito gli articoli che viene pubblicando l'organo dei patrioti francesi Combat, nei quali, attraverso l'esaltazione dell'eroismo dei combattenti valdostani, si insinua, sia pur sotto la veste di semplice spettatore ed osservatore, il loro attaccamento alla Francia, ed il desiderio di diventare francesi.

L'E.V. vorrà seguire attentamente, attraverso le azioni e reazioni della stampa e dell'opinione pubblica, i futuri sviluppi della situazione che si è venuta creando nella valle d'Aosta e fornire a questo ministero ogni utile informazione ed ogni elemento atto a chiarire la delicata questione e a facilitare la nostra azione a tutela degli interessi e dell'integrità nazionale.

1 Questo documento è diretto alla rappresentanza a Parigi ma Saragat fu nominato rappresentante a Parigi nel Consiglio dei ministri del 16 marzo. Il 3 aprile fu emesso il seguente comunicato stampa: «In seguito al gradimento ieri concesso dal governo francese, il ministero degli Esteri comunica che nel penultimo Consiglio dei ministri del 16 marzo è stato nominato rappresentante d'Italia a Parigi, con rango di ambasciatore, l'ex ministro Giuseppe Saragat. La nomina di S.E. Saragat è stata preceduta da una relazione del ministro degli Esteri circa le conversazioni preliminari da lui avute in proposito, in seguito alla quale il Consiglio dei ministri ha ritenuto che la constatata identità di vedute sulla posizione dell'Italia nella vita internazionale e in modo speciale sulle finalità della missione in Francia, consentiva di mettere in secondo piano le divergenze manifestatesi anche recentemente su problemi di politica interna, per riaffermare sia sul terreno internazionale in generale, sia su quello dei rapporti italo-francesi in particolare, la solidarietà e la volontà concorde del popolo italiano. S.E. Saragat raggiungerà senza indugio la sua destinazione». Saragat arrivò a Parigi il.J9 aprile.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 2239 /011. Washington, 13 marzo 1945 (per. il 2 aprile).

Mi viene riferito, da seria fonte, che sir Noe1 Charles avrebbe fatto presente da Roma al Foreign Office l'opportunità di qualche nuova concessione sostanziale all'Italia, escogitando, in particolare, una qualche formula che consenta almeno la partecipazione di «osservatori» italiani alla Conferenza di San Francisco. Anche alcuni circoli britannici di Washington avrebbero inviato analoghi suggerimenti al governo britannico.

Vedrò giovedì prossimo 15 corrente il segretario di Stato Stettinius per la mia prima visita ufficiale 1 e conto di intrattenerlo specialmente sull'argomento· nonché sui nostri propositi nei riguardi del Giappone.

Nel ri.servarmi di riferire dettagliatamente, se possibile, con lo stesso mezzo, su questo mio colloquio, onoromi intanto attirare l'attenzione dell'E.V. sulla opportunità di effettuare tempestivamente una efficace azione a Mosca, onde assicurarci l'appoggio sovietico per la nostra partecipazione a San Francisco e porre ufficialmente al corrente il Cremlino delle nostre intenzioni per quanto concerne l'Estremo Oriente e dei serissimi motivi politici (Nazioni Unite) ed economici (Lend Lease e Reciproca/ Aid) che le ispirano.

Come a V.E. sarà noto, il mancato invito alla Francia di partecipare alla fase finale della Conferenza di Y alta, contrariamente agli accordi di massima già intervenuti in proposito tra Washington, Londra e Parigi, sarebbe stato dovuto alla mancata tempestiva presa dicontatto tra il governo di de Gaulle e quello di Mosca, il quale ultimo avrebbe pertanto reagito al momento decisivo opponendosi alla realizzazione dell'invito.

Inoltre, qualora da parte nostra si potesse ottenere il consenso espresso od almeno tacito del Cremlino alla nostra partecipazione a San Francisco, ne potrebbe derivare l'altro importante risultato di eliminare od almeno attenuare una possibile opposizione della Jugoslavia alla nostra presenza a San Francisco.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BELGA, VAN ACKER

L. 3/408. Roma, 13 marzo 1945.

Sono particolarmente lieto di approfittare della prima propizia occasione offertami dalla imminente partenza del nostro incaricato d'affari per Bruxelles, per pormi, com'era da tempo mio vivo desiderio, in diretto e personale contatto con l'E.V.

1 Vedi D. 95.

Il barone Scammacca le dirà a voce come profondo e vivo sia il desiderio del governo democratico che ho l'onore di presiedere di riportare il Paese in quel solco di fiduciosa amicizia che ha, sino a un recente passato, sempre inspirato le nostre relazioni reciproche. Tengo ad assicurarla anche direttamente, signor presidente, che tutti gli italiani hanno sempre nutrito anche nei periodi più oscuri dell'oppressione fascista, i sentimenti della più schietta simpatia ed ammirazione per la Nazione belga ed hanno sempre seguito con ansietà gli avvenimenti che si sono abbattuti sul vostro Paese, pur senza riuscire a domarne l'anelito alla libertà e Io spirito eroico.

Le sofferenze che il popolo italiano quotidianamente sopporta in questa sua dolorosa vicenda e la nuova atmosfera di libera democrazia in cui intende vivere, gli consentono d'altra parte di sentirsi nuovamente affratellato, come nella prima guerra mondiale, e con altrettanto fraterno animo, al popolo belga.

Il barone Scammacca ha istruzioni di promuovere e favorire con ogni mezzo il riavvicinamento fra i nostri due Paesi ed io molto confido che ella vorrà appoggiarlo in questo suo compito che considero molto importante per la pacificazione e ricostruzione europea, e, insieme, per la salvaguardia di quella concezione di vita che ci è comune.

Ed in questa fiducia, che è condivisa da tutto il mio governo, mi è particolarmente grato di formulare, signor presidente i miei voti migliori e più caldi per la sua persona e per la sua opera di governo e il mio augurio cordiale per la prosperità dell'eroico e generoso popolo belga.

90

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL MINISTRO A STOCCOLMA, GUARNASCHELLI

L. 16/3178/12. Roma, 13 marzo 1945.

Mi riferisco al tuo telegramma n. 54 del 9 febbraio 1•

La questione era stata qui già esaminata col signor Holma che ne interessò anche il suo governo. È stato da entrambe le parti constatato che i rapporti diplomatici italo-finlandesi non sono mai stati formalmente interrotti e che le due sedi, finlandese a Roma e italiana ad Helsinki sono attualmente vacanti di fatto soltanto per ragioni contingenti e di forza maggiore.

Tuttavia, sia per ragioni di principio, sia per evitare di pregiudicare la questione non pare conveniente la procedura di cui all'ultimo capoverso del telegramma citato2• Per questo motivo il signor Holma ha fatto sapere che il suo governo preferisce lasciar passare ancora qualche tempo, e d'altra parte ha lasciato capire che a suggerire tale atteggiamento contribuiscono probabilmente anche ragioni di

I T. 885/54, non pubblicato.

2 La procedura cui si fa riferimento è l'accreditamento anche ad Helsinki del ministro italiano a Stoccolma.

economia. Né, come sai, per antica consuetudine si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di accreditare Holma anche presso il Quirinale. Comunque la questione è tenuta in evidenza e, appena possibile, sarà risolta.

Ho avuto tue buone notizie da Conti e me ne rallegro. Ma mi hai lasciato solo sulla breccia!

91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STA TI UNITI A ROMA, KIRK

L. RISERVATA PERSONALE 3/412 (Char/es) 416 (Kirk). Roma, 14 marzo 1945.

È apparso giorni fa sui giornali un comunicato diramato a Roma e a Belgrado circa un incontro fra il maresciallo Alexander e il maresciallo Tito, ove, fra l'altro, sarebbero stati presi accordi di carattere amministrativo per l'eventuale incontro fra i due eserciti.

Lei sa quanto e come vivo sia il nostro interesse al riguardo. Lei ricorda altresì la comunicazione a suo tempo fattaci dagli Alleati circa l'occupazione delle regioni di frontiera da parte delle truppe anglo-americane.

Ogni ulteriore precisione e conferma che ella potesse darci in proposito costituirebbe per il governo italiano un elemento di valutazione di molta importanza, anche perché qualunque misura e provvedimento che riguardi il territorio nazionale non può non incidere profondamente sulla situazione interna di tutto il Paese.

Molto grato di quanto ella potrà farmi sapere al riguardo ...

92

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2144/308. Madrid, 15 marzo 1945 1 (per. ore 17,30 del 29).

Nella mia visita protocollare al capitano generale Madrid generale Mufioz Grande (antico comandante divisione azzurra) profittando di mio discorso sulla situazione attuale italiana in cui mettevo rilievo tutto valore della ripresa militare sia esercito che truppe partigiane, egli all'improvviso, deplorando divisione Italia in due zone («zona alleata e zona di Kesselring») e premettendo che era «fantasia di amico», mi ha fatto chiaramente intendere che, forse, per mezzo intermediario che potesse effettuare collegamento, si potrebbe arrivare ad un accordo che salvasse

I Inviato il 28 marzo, ore 14.

nord Italia e truppe tedesche ivi residenti alludendo probabilmente a possibilità di un distacco di Kesselring da resto Germania. Ho subito risposto nettamente: l) questione era di prevalente competenza alleata;

2) che da soldato a soldato e non come ambasciatore osservavo che situazione militare era tale che oggi non si poteva prevedere che rapida ritirata tedeschi da nord Italia se volevano evitare imbottigliamento;

3) che tradizionale inimicizia italiana per tedesco, radicata nel sentimento popolare sin dal Medio Evo (allorquando si disegnavano sui muri aquile imperiali decapitate allo scendere degli imperatori in Italia) è tale che forze patriottiche non avrebbero mai permesso accordi che potessero togliere alle truppe alleate e partigiane successo che meritavano. Poiché sono noti legami Mufioz Grande coi circoli militari tedeschi e per evenienza che egli, sia pure non esattamente, rispecchi una possibilità, ho creduto opportuno informa ne V.E. Ho fatto analoga comunicazione a queste rappresentanze alleate.

93

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/426. Roma, 15 marzo 1945.

Le accludo il progetto di accordo che, a nostro avviso, potrebbe sostituire l'armistizio. È stato da parte nostra già consegnato or è qualche giorno a Macmillan e agli ambasciatori Charles e Kirk.

Come ella sa, si tratta di un progetto ormai vecchio di qualche mese, ma che è stato ultimamente aggiornato e modificato allo scopo di meglio adeguarlo agli avvenimenti intervenuti dal momento della sua prima stesura ad oggi.

Esso non è e non vuole essere che un'indicazione di ciò che noi vorremmo fosse fatto da parte alleata, piuttosto che un vero e proprio progetto rifinito e compiuto in ogni sua parte: come tale è stato presentato sin dallo scorso novembre sia a Londra che a Washington in via amichevole e non ufficiale e formale. Esso è dunque aperto a qualunque suggerimento o modifica o discussione. in quanto concepito e redatto appunto per stimolare le iniziative, piuttosto che per cristallizzarle entro binari troppo rigidi.

In sostanza, come ella sa perfettamente, noi riteniamo che questo perdurante equivoco fra armistizio, resa senza condizioni, cobelligeranza ecc. non solo sia disumano ed ingiusto, ma anche politicamente dannoso. Ed indichiamo concretamente la nuova strada ove potrebbero essere convenientemente posti i nostri rapporti con gli Alleati.

Non so quali effettive possibilità di realizzazione possa oggi avere un progetto del genere. Sebbene mi risulti che esso è già stato esaminato, pare con una qualche diligenza, sia a Londra che a Washington, ella lo scorra con attenzione, veda in esso quali sono le nostre direttive ed esigenze fondamentali, lo appoggi in ogni possibile modo presso codesto Dipartimento di Stato.

Aggiungo, per sua norma, che da parte britannica mi par si concepisca il problema della pace con l'Italia attraverso gradi e fasi successive: prima una pace provvisoria che non tocchi la questìbne coloniale o dei confini; poi una pace definitiva, quando sarà possibile farla. È comunque una concezione e una procedura lentissima, che potrebbe e dovrebbe essere sollecitata con ogni mezzo.

Ella vedrà d'altra parte -e richiamo a questo proposito la sua attenzione sull'art. 18 -che il nostro progetto lascia un ampio margine e possibilità di interventi, la mancanza dei quali nella primitiva stesura (di cui ella possiede, credo, un esemplare) costituiva appunto a quanto mi si è detto, uno degli ostacoli maggiori alla sua accettazione.

Detto articolo è stato dunque introdotto non per nostra iniziativa o perché corrisponda comunque alle nostre idee, ma soltanto per tentare di vincere resistenze che potrebbero altrimenti essere ancor più gravi di quelle che attualmente già sono, ciò che non è dir poco. Si tratta poi di sostituire l'armistizio, le cui disposizioni sono ben altrimenti drastiche e enciclopediche.

ALLEGATO

ACCORDO TRA L'ITALIA E LA GRAN BRETAGNA, GLI STA TI UNITI E L'UNIONE SOVIETICA 1

Poiché in seguito all'entrata in vigore dell'armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre 1943, l'Italia ha dichiarato guerra alla Germania il 13 ottobre 1943 e in pari data i governi di Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica hanno accettato la collaborazione attiva dell'Italia come cobelligerante nella guerra contro la Germania;

Poiché era previsto che la· suddetta convenzione di armistizio del 3 settembre 1943 e le condizioni aggiuntive del 29 settembre 1943 sarebbero state sostituite da altri accordi, da concludersi in relazione anche all'assistenza fornita dall'Italia nella lotta contro il comune nemico;

Poiché ormai da diciotto mesi le forze armate italiane di mare, terra e aria, le formazioni di patrioti e l'intera Nazione italiana prestano attiva ed efficace collaborazione alle Nazioni Unite e sopportano gravi sacrifici nella lotta contro la Germania; e al tempo stesso il governo ed il popolo italiano hanno condotto con energia la lotta contro il fascismo, i suoi uomini e le sue istituzioni, nello spirito della dichiarazione tripartita di Mosca, dimostrando così, nella misura consentita dalle circostanze, che la Nazione italiana fermamente intende ristabilire le libere istituzioni conformi alle tradizioni democratiche del Paese;

Poiché è riconosciuta l'opportunità di sostituire la predetta convenzione di armistizio del 3 settembre 1943 e le condizioni aggiuntive del 29 settembre 1943, che hanno ricevuto piena e leale esecuzione da parte dell'Italia, con altri accordi corrispondenti allo stato attuale di diritto e di fatto delle relazioni tra l'Italia e le Nazioni Unite;

I governi di Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, agendo per conto delle Nazioni Unite, hanno convenuto con il governo italiano i seguenti articoli:

l Per le precedenti versioni vedi serie decima, vol. I, DD. 426 e 430.

Articolo l.

L'Italia continuerà a partecipare con tutte le ~ue forze armate di terra, mare ed aria alla lotta contro la Germania fino alla completa distruzione della tirannia nazista e si impegna a non concludere armistizio o pace separata con la Germania. L'Italia dichiara inoltre di aderire alla Carta Atlantica ed alla «dichiarazione delle Nazioni Unite» firmata a Washington il lo gennaio 1942.

Articolo 2.

Le forze armate italiane di terra, mare e aria continueranno ad operare agli ordini del comandante in capo alleato. Per l'esecuzione di questo articolo verranno concluse convenzioni di carattere militare, aereo e navale tra i rappresentanti del comandante in capo alleato e le competenti autorità italiane.

Articolo 3.

I governi di Gran Bretagna e degli Stati Uniti forniranno al governo italiano, in aggiunta ai mezzi di provenienza e produzione italiana dei quali le autorità italiane avranno libera e piena disposizione, l'occorrente per il mantenimento, l'armamento e il rifornimento delle forze armate italiane in modo che queste partecipino nella più larga misura possibile alla lotta contro il nemico comune.

Articolo 4.

In vista della lotta contro il nemico comune le forze armate, le navi da guerra e mercantili, gli aeroplani militari e civili in servizio delle Nazioni Unite avranno diritto di usare liberamente il territorio e le acque territoriali italiane e Io spazio aereo al di sopra di essi. Alle forze armate delle Nazioni Unite verranno fornite da parte delle autorità italiane tutte le facilitazioni e l'assistenza necessarie per l'adempimento delle loro funzioni e per il libero transito dei loro materiali e rifornimenti di guerra.

Articolo 5.

L'uso degli aeroporti, dei porti, la navigazione, i sistemi e i mezzi di trasporto terrestre nonché i sistemi di comunicazione in territorio italiano, saranno regolati dalle autorità italiane secondo le direttive comunicate dal comandante in capo alleato.

Salvo quanto verrà stabilito da appositi accordi per le esigenze militari alleate, i mezzi di trasporto verranno amministrati e gestiti dalle autorità italiane.

Le comunicazioni italiane all'interno e con l'estero verranno ristabilite. Esse saranno amministrate e gestite dalle competenti autorità italiane secondo le modalità che di comune intesa verranno stabilite ai fini della sicurezza delle operazioni militari.

Articolo 6.

La marina mercantile italiana continuerà a rimanere a disposizione delle Nazioni Unite e ad essere utilizzata a vantaggio della causa comune d'intesa con il North Africa Shipping Board, presso il quale il governo italiano avrà un proprio rappresentante. Una aliquota della flotta mercantile italiana, adeguata ai bisogni essenziali della popolazione, verrà adibita ai rifornimenti per l'Italia e ai traffici fra i porti della penisola e quelli degli altri territori italiani.

Articolo 7.

Le somme erogate in Italia dalle Nazioni Unite per spese militari o comunque dipendenti dalla guerra, sia in moneta italiana fornita dal governo italiano, sia in moneta emessa dagli alleati, riceveranno una contropartita in credito o forniture a favore dell'Italia.

Analoghi crediti e forniture verranno concessi in contropartita di tutti gli altri oneri sopportati dall'Italia per conto delle Nazioni Unite, quali le forniture, i servizi, le requisizioni e quanto altro costituisce il costo delle operazioni militari svolte dalle Nazioni Unite in territorio o acque italiane.

L'effettiva cifra di detti crediti e forniture verrà stabilita in base ad una equa valutazione che tenga conto dei prezzi correnti tanto del mercato italiano che di quello internazionale.

Articolo 8.

Le direttive concernenti l'attività finanziaria ed economica, i cambi e le operazioni commerciali e finanziarie con l'estero nonché la regolamentazione del commercio e della produzione verranno stabilite di accordo tra il governo italiano e le Nazioni Unite. Faranno oggetto di speciali accordi le misure atte a combattere l'inflazione in ogni sua forma.

Articolo 9.

Il governo italiano avrà la piena ed intera amministrazione nei territori italiani liberati, eccetto che nelle zone di operazione le quali saranno amministrate dalle autorità militari alleate in conformità degli accordi che verranno conclusi col governo italiano e che regoleranno questa materia in analogia a quanto è stato fatto per i territori delle Nazioni Unite.

Salvo per le zone e le materie per le quali apparirà necessario convenire uno speciale regime transitorio, decadranno, all'entrata in vigore del presente atto, gli accordi e le intese concluse tra il governo italiano e il comandante in capo alleato in occasione della restituzione delle provincie all'amministrazione italiana.

Articolo 10.

Nei territori sottoposti all'amministrazione italiana, le autorità alleate si asterranno dall'effettuare direttamente requisizioni di qualsiasi genere. Le autorità italiane provvederanno, anche per conto degli Alleati, a compiere le requisizioni necessarie per il proseguimento della guerra contro il comune nemico, secondo le direttive che di comune accordo verranno stabilite. Tali requisizioni dovranno tener conto dei bisogni essenziali della popolazione civile, delle esigenze della ricostruzione economica e della conservazione e tutela del patrimonio artistico e culturale dell'Italia.

Articolo 11.

Nei territori sottoposti all'amministrazione italiana, e salvo le particolari intese di cui all'art. 12 successivo, l'arresto di persone potrà essere eseguito soltanto dalle competenti autorità italiane secondo le leggi italiane e spetterà esclusivamente all'autorità giudiziaria italiana di giudicare, a norma delle leggi penali italiane, chiunque compia atti ostili o commetta reati contro il patrimonio in danno delle forze militari alleate o dei membri di esse o dei funzionari, rappresentanti ed agenti delle Nazioni Unite o compia manifestazioni sediziose contro le forze alleate od atti che comunque ostacolino lo sforzo bellico e aiutino il nemico.

Le autorità italiane di polizia eserciteranno i normali compiti di sorveglianza e controllo nei riguardi dei cittadini delle Nazioni Unite non appartenenti alle forze armate e di tutti i cittadini dei Paesi neutrali, i quali per entrare in territorio italiano dovranno essere muniti del regolare visto di ingresso rilasciato dalle autorità diplomatiche e consolari italiane nella cui giurisdizione i suddetti cittadini delle Nazioni Unite e neutrali risiedono.

Articolo 12.

I poteri della polizia militare alleata e la condizione giuridica degli appartenenti alle forze armate delle Nazioni Unite nel territorio sottoposto all'amministrazione italiana verranno regolati da appositi accordi che si ispireranno ai principi secondo cui tale materia è stata disciplinata tra le Nazioni Unite.

Articolo 13.

In seguito all'entrata in vigore del presente atto, saranno ristabilite piene relazioni diplomatiche tra l'Italia e tutte le Nazioni Unite. I rispettivi agenti diplomatici e consolari godranno di tutti i diritti, i privilegi e le immunità stabiliti dalle consuetudini internazionali.

Saranno abrogate tutte le misure legislative ed amministrative eccezionali di carattere patrimoniale e personale che le Nazioni Unite in seguito allo stato di guerra o di rottura delle relazioni diplomatiche già esistente fra esse e l'Italia, hanno adottato nei confronti dello Stato italiano e dei suoi cittadini.

Articolo 14.

I militari italiani tuttora in potere delle Nazioni Unite cesseranno, dall'entrata in vigore del presente accordo, di essere considerati come prigionieri di guerra e verrà loro consentito di partecipare attivamente e direttamente alla lotta contro il comune nemico. Nella misura del possibile essi saranno rimpatriati per essere incorporati nelle forze armate italiane o altrimenti impiegati nello sforzo bellico della Nazione.

A coloro i quali continueranno a prestar servizio con le forze armate delle Nazioni Unite o saranno successivamente aggregati alle medesime verrà riconosciuta la posizione di militari italiani operanti con le predette forze armate, secondo condizioni che verranno al più presto fissate di comune accordo tra il governo italiano e i governi interessati.

Articolo 15.

Tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, i cui nomi saranno comunicati dall'apposito organo delle Nazioni Unite, e che ora o in avvenire verranno trovate sul territorio controllato dalle autorità militari alleate o dal governo italiano, saranno arrestate e giudicate dalle competenti autorità italiane in conformità al solenne impegno preso dal governo italiano nella sua dichiarazione del 23 marzo 1944.

Verranno altresì prese speciali disposizioni per sottoporre a giudizio tutte le persone di qualunque nazionalità che, successivamente all'8 settembre 1943, sul territorio italiano o fuori di esso, hanno compiuto crimini di guerra o reati analoghi nei confronti di cittadini italiani. Il governo italiano sarà rappresentato nel suindicato organo creato dalle Nazioni Unite per le questioni relative alla punizione dei delitti di guerra.

Articolo 16.

Senza pregiudizio dei diritti derivanti all'Italia in conseguenza delle distruzioni e sottrazioni praticate sul territorio italiano da parte germanica e ai fini della necessità ed urgenza di provvedere alla ricostruzione della vita economica della Nazione italiana, i beni di qualsiasi genere, di proprietà dello Stato, degli enti pubblici e privati e dei cittadini italiani, asportati dal nemico in Germania o in altri Paesi occupati, oppure ceduti dal nemico a Paesi neutrali, dovranno essere restituiti al governo italiano. Le Nazioni Unite non riconosceranno la validità e l'efficacia di qualsiasi atto giuridico compiuto dal nemico nei riguardi dei beni suddetti, a danno dei legittimi proprietari italiani.

L'Italia sarà rappresentata dalla commissione per le riparazioni con sede a Mosca, prevista dalla Dichiarazione di Yalta nel febbraio 1945.

Articolo 17.

I militari e civili italiani che si trovino in Germania o nei territori g1a occupati o controllati dalla Germania stessa nel corso della presente guerra, i quali siano stati colà deportati, o comunque si trovino sottoposti a misure coattive verranno, nei limiti consentiti dalle esigenze di sicurezza, liberati ed assistiti anche ai fini del loro progressivo rimpatrio in base ad accordi che verranno presi col governo italiano.

Il governo italiano sarà autorizzato ad inviare nei territori suddetti suoi rappresentanti per coadiuvare le autorità delle Nazioni Unite e per curare l'assistenza dei suoi cittadini.

Articolo 18.

La Commissione Alleata procederà alla smobilitazione della sua organizzazione, salvo per quei servizi che sono direttamente connessi con lo sforzo bellico e la riabilitazione economica. È riservato peraltro alla Commissione il diritto di intervenire ogni qualvolta una particolare situazione sia considerata suscettibile di arrecare pregiudizio sia alla condotta della guerra, sia alla ricostruzione democratica del Paese secondo le direttive enunciate alla Conferenza di Yalta del febbraio 1945.

Articolo 19.

Il Comitato Consultivo per l'Italia allargherà i suoi compiti e le sue attribuzioni in modo da comprendere nella sua competenza tutto il bacino Mediterraneo. Esso costituirà un organismo parallelo e complementare della Commissione Consultiva Europea con cui manterrà stretto collegamento e sarà denominato «Comitato Mediterraneo degli ambasciatori». Di esso farà parte un rappresentante italiano con rango di ambasciatore.

Articolo 20.

Il governo italiano sarà chiamato a partecipare alle discussioni intese ad assicurare la pace e alle conseguenti organizzazioni internazionali che saranno successivamente attuate sia allo scopo predetto, sia ai fini della ricostruzione economica. Eventuali decisioni che comunque si riferiscano alla situazione derivante all'Italia dai trattati che posero termine alla guerra 1914-1918 oppure concernenti questioni che riguardino gli interessi italiani, potranno essere prese soltanto con la partecipazione del governo italiano.

Articolo 21.

Il presente accordo entra in vigore immediatamente e sostituisce le condizioni d'armistizio del 3 settembre 1943 e le condizioni aggiuntive del 29 settembre 1943. Il presente strumento rimarrà in vigore sino al termine delle ostilità con la Germania, quando verrà ripreso in esame in relazione alla nuova situazione che si sarà creata.

94

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1680/602. Madrid, 15 marzo 1945 1•

Come avrà rilevato dai telegrammi spediti con i quali ho tenuto al corrente il

R. ministero del progressivo svolgersi delle trattative con il governo spagnolo sui noti problemi economico-finanziari che tanto interessano il R. governo in questo momento, la situazione si presentava favorevole sia per le dichiarazioni esplicite di Lequerica, sia per le notizie positive fornitemi da Sangroniz, il quale aveva avuto in proposito affidamenti sicuri tanto dal generale Franco in persona quanto dal ministro Carceller.

Quest'ultimo, a tale riguardo, in una conversazione con Sangroniz aveva concluso dicendogli: «<nsistete sul grano, ebbene vi prometto che l'avrete».

Altrettanto favorevoli erano le previsioni per un eventuale negoziato sul prestito, nel senso che mi era stato promesso di trovare una formula di comune gradimento che permettesse di dilazionare la discussione divergente sul cambio.

Di queste disposizioni, definite da Lequerica stesso come «ispirate a sincera buona volontà», io mi resi ancora conto nell'ultimo colloquio che ebbi avant'ieri (13 corrente) con il ministro, allorquando credetti opportuno di chiedergli di fissare i punti sui quali riteneva che l'accordo tra di noi potesse essere virtualmente raggiunto. E questo perché era ormai mia decisione di inviare a Roma il comm. Verrando per esporre al R. ministero ed ai ministeri interessati la situazione di fatto e riportarmi le necessarie direttive per una utile prosecuzione delle trattative.

Il mattino del giorno 14 marzo ebbi la conversazione con il generale Mufioz Grande di cui ho inviato notizia con telegramma n. 3082 . Non mi nascondo che la proposta apparentemente vaga fattami dal Muiìoz Grande evidentemente procedeva da altra fonte e spiegava, in certo modo, il trattamento che mi era stato riservato fin'oggi. Tale conversazione poteva avere due ragioni d'essere:

-o era un'offerta indiretta di mediazione della Spagna, limitata per ora al settore italiano, che -se accettata da noi -avrebbe potuto avere conseguenze ancor più vaste;

-o era un tentativo personale del Muiìoz Grande per rendere noto un suo particolare desiderio di acquistarsi benemerenze presso gli Alleati.

La mia risposta. semplice e chiara -che non poteva lasciare illusioni che io mi prestassi ad equivoci e compromessi, e che è stata assai apprezzata dagli Alleati -dubito sia stata una forte disillusione. Certo è che questa mattina ritornando al ministero degli Esteri dal sottosegretario del Castillo il quale, secondo intesa, doveva darmi un appunto riassumente lo stato delle varie questioni, trovai l'ambiente

1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 92.

completamente mutato. Non solo il colloquio fu breve ed impacciato, ma il promemoria che mi fu consegnato come «base di trattative»-e non come documento ufficiale, riportava le cose allo statu quo ante e non aveva nulla a che fare con le assicurazioni datemi da Sangroniz. D'altra parte quest'ultimo non si fece vivo ad un invito per un successivo colloquio di chiarificazione.

Dato quanto precede le mie induzioni sono le seguenti:

l) il governo spagnolo può aver divisato di approfittare della mia particolare posizione attuale per introdurre proposte che avrebbero potuto condurre ad una sua partecipazione in eventuali trattative d'armistizio. Di fronte al mio atteggiamento esso ha voluto segnare con l'improvviso irrigidimento nelle trattative una significativa reazione.

2) D'altra parte potrebbe anche trattarsi di una manovra imbastita dall'ambasciatore Sangroniz, uomo astutissimo, il quale -desiderando crearsi forti benemerenze verso il suo governo e verso l'Italia -sia riuscito ad ottenere questo punto d'arresto per riprendere e concludere egli stesso le trattative a Roma raccogliendone tutti i benefici.

Pongo questa seconda spiegazione per scrupolo d'informazione, ritenendo peraltro, da parte mia, più verosimile la prima.

Credo dopo quanto ho esposto che convenga da parte mia adottare in queste circostanze una linea di condotta di stretto riserbo, non dando in alcun modo al governo spagnolo l'impressione di una nostra fretta o necessità di concludere i negoziati. È bene attendere che il prossimo passo per una ripresa di conversazioni sia fatto da loro.

95

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 277. Washington, 15 marzo 1945 (per. il 6 aprile).

Mi era stata fissata per oggi, alle 16, la mia prima visita al segretario di Stato, da pochi giorni rientrato dalla Conferenza panamericana di Città del Messico 1• Contavo in questo primo nostro abboccamento di avere con lui una presa di contatto sulle varie questioni, per noi più importanti: San Francisco, Giappone, confini orientali, prigionieri, lend-lease.

Giunto allo State Department, Stettinius mi fece sapere che aveva luogo in quel momento nella sua stanza un'improvvisa riunione di vari ministri (Stimson, Morgenthau ed altri): aveva tuttavia preferito non rinviare il nostro appuntamento perché desiderava molto vedermi. Mi ha infatti ricevuto mentre continuava nella

1 Un ampio resoconto del colloquio con Stettinius è ed. in TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 44-46. Vedi anche il memorandum di Stettinius in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., p. 956.

stanza attigua la riunione dei ministri, deplorando di aver così poco tempo da dedicarmi.

Ho quindi preferito essere conciso al massimo ed ho trattato soltanto i due primi punti, avvalendomi di quanto mi aveva dichiarato e suggerito il presidente Roosevelt nel nostro colloquio alla Casa Bianca 1 .

Stettinius, alacre, risoluto, business like mi ha subito assicurato nettamente: «Farò per l'Italia tutto quello che sarà in mio potere di fare. Ve lo prometto formalmente».

Gli ho brevemente esposto le ragioni per cui l'Italia desidera essere presente, in una forma decorosa a San Francisco, e come la nostra situazione sia diversa da quella della Romania, Ungheria, Bulgaria, ecc.

-Ha annuito, pur accenn:mdo «che, purtroppo, vi sono ancora dei soldati italiani che uccidono i nostri in Italia».

-Ho ribattuto vigorosamente: «Prima di tutto le divisioni di Mussolini non sono al fronte; i vostri sono uccisi dai tedeschi. In ogni modo, io non sono a Washington a rappresentare il governo fascista, ma il governo democratico i cui soldati combattono al vostro fianco. L'Italia che io rappresento non ha alcuna macchia, ed ha invece qualche titolo per meritare il riconoscimen o delle Nazioni Unite».

Gli ho poi ricordato la promessa del presidente Roosevelt e la di lui formula «alcuni osservatori». Mi ha ripetuto che «è pronto a fare tutto il possibile» e che comincerà «stasera stessa» a studiare il problema coi suoi collaboratori, aggiungendo: «Occorrerà consultare gli inglesi».

-Ho subito risposto: «Stamani ho parlato della questione a lord Halifax, il quale si è personalmente mostrato ben disposto per una conveniente ed equa soluzione della questione per noi tanto importante. Pensi alla ripercussione che avrebbe in Italia un crudo rifiuto degli Alleati ad una domanda così modesta».

Stettinius mi ha allora detto che il presidente gli aveva parlato delle mie richieste con la più grande simpatia. Spera~a perciò di poter veramente arrivare ad una favorevole conclusione.

Gli ho parlato allora della questione della dichiarazione di guerra al Giappone, che dovrebbe in ogni modo avvenire prima della caduta definitiva della Germania.

-Ha risposto: «Sarebbe un magnifico gesto e farebbe qui un ottimo effetto».

Mi ha assicurato che oggi stesso avrebbe trattata anche questa questione; che il sottosegretario aggiunto Dunn l'avrebbe studiata a fondo rapidamente e mi avrebbero fatto avere una comunicazione al riguardo nel più breve termine.

Mi ha ripetuto che ci rivedremo presto più a lungo per trattare gli altri problemi politici ed economici, assicurandomi nuovamente che aveva in mente le due questioni e, che avrebbe subito, data l'estrema urgenza, cominciato Io studio delle soluzioni più adatte e più a noi favorevoli.

Ha pronunciato molte altre parole di profonda simpatia per l'Italia e per il nostro sforzo di ricostruzione e di ripresa politica.

I Vedi D. 85.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 1330/12. Roma, 16 marzo 1945, ore 18.

Suo 07 1•

A proposito delle voci cui ella fa cenno e che continuano circolare anche qui, la prego far presente a codesto Dipartimento di Stato che una qualunque forma di occupazione francese in una qualunque zona territorio italiano del nord è decisamente e nettamente da sconsigliare. Nostro fermo proposito è pacificare e normalizzare nostri rapporti con la Francia. Compito che riteniamo essenziale per noi e per l'Europa. Primi decisi passi in questo senso sono stati già compiuti attraverso soluzione questione tunisina che, come ella sa, non è stato lieve sacrificio e ripresa rapporti diplomatico-consolari. Questa nuova atmosfera che va creandosi fra i due Paesi minaccerebbe tuttavia di rapidamente intorbidarsi se operazioni militari fossero condotte dai francesi in Italia e fossero da parte loro disposte conseguenti occupazioni di territorio. Questione è stata già da noi fatta presente organi alleati a Roma 2 , ma sarà bene che ella vi insista anche costì e con la maggiore decisione. Nostri intendimenti sono ispirati -ripeto -esclusivamente dal proposito di non creare fra noi e i francesi ulteriori ostacoli e contrasti gravi, e non da sterili ragioni di astio o di prestigio, che non esistono 3•

97

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 2337/014. Washington, 16 marzo 1945 (per. il 6 aprile).

Ho stamane fatto visita protocollare al signor Truman, vice presidente della Repubblica e, come tale, presidente del Senato 4 .

Ho cominciato col rendermi interprete della profonda eco destata nell'opinione pubblica italiana del caloroso messaggio di simpatia che egli aveva indirizzato all'Italia in occasione del Capodanno. Truman ne è rimasto molto soddisfatto e compiaciuto. Ho quindi colto l'occasione per esporgli brevemente la nostra attuale

l Con T. per corriere 1705107 dell'8 marzo Tarchiani aveva riferito voci di prossima occupazione di zone del Piemonte da parte di truppe marocchine.

2 Vedi D. 54.

3 Per la risposta vedi D. 119.

4 Vedi TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 46-47.

situazione politica ed economica e le speranze che l'Italia riponeva negli Stati Uniti. Egli, nell'esprimermi ripetutamente la sua viva simpatia per il nostro paese e nel manifestare la migliore comprensione per le nostre aspirazioni, ha rilevato che la nostra partecipazione, a fianco dell'America, nel conflitto in Estremo Oriente, non avrebbe mancato di essere vivamente apprezzata dal popolo degli Stati Uniti. Mi ha quindi assicurato a parecchie riprese che, qualora venisse presentito dal presidente Roosevelt avrebbe espresso il proprio parere del tutto favorevole sia alla partecipazione di osservatori italiani alla Conferenza di San Francisco e sia alla concessione di sostanziali aiuti economico-finanziari all'Italia: come è noto, la sua situazione costituzionale non gli consente di prendere iniziative personali in materia riservata alla competenza del presidente.

Egli mi ha promesso del pari che, ove le predette od altre importanti questioni italiane fossero, in qualsiasi modo, portate al Congresso, non mancherebbe di svolgere opera a noi favorevole per quanto sta in lui.

98

IL VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, TOGLIATTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI,

E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 17 marzo 1945.

Sento la necessità, nell'interesse del nostro governo e del paese, di attirare la vostra attenzione sul modo come il nostro ambasciatore a Washington, Alberto Tarchiani, solleva e tratta in pubblico le questioni della nostra politica estera.

Comprendo che bisogna tenere conto dei costumi della stampa americana. Questi sono tali che ci impediscono di comprendere quanta parte delle iniziative attribuite al Tarchiani sono state da lui realmente prese, quali dichiarazioni a lui attribuite sono esatte e quanta parte invece bisogna fare alla esagerazione giornalistica. Anche dopo aver fatto la debita tara, però, risulta che il nostro ambasciatore ha sollevato e sta sollevando pubblicamente questioni molto delicate della nostra politica, in modo che non può avere il consenso del nostro partito e che non può avere il consenso, credo io, di nessun uomo politico pensoso del bene d'Italia.

In particolare mi riferisco alle questioni seguenti:

a) concessione all'Italia dello statuto di alleata. È chiaro per tutti che questa concessione oggi non può essere ottenuta. lo posso ammettere quindi, che la questione venga agitata da organi di partito, o da personalità non investite di un mandato, (come da don Sturzo e da altri); ma mi sembra gravissimo errore che un ambasciatore inizi pubblicamente una azione in questa direzione. Il solo risultato che egli può ottenere, infatti, è di provocare risposte negative e quindi di pregiudicare la soluzione di un problema che deve essere lasciato (nelle trattative ufficiali) in disparte fino a che non abbiamo creato le condizioni in cui riteniamo possa essere risolto in modo positivo;

b) invito a S. Francisco. Faccio la stessa obiezione. Aggiungo, però, che siccome in questo caso mi sembra esistesse la possibilità di un invito ad assistere in qualità di «spettatori» o simili, la rumorosa azione iniziata dal Tarchiani non può che compromettere questa possibilità;

c) problema delle frontiere. Su questa delicatissima questione le dichiarazioni del Tarchiani non sono destinate a provocare un miglioramento della situazione del nostro paese. Anzi, esse peggioreranno questa situazione, sopratutto per ciò che riguarda il paese col quale dovremmo cercare un contatto e aprire conversazioni con spirito di amicizia. Non è col batter:e il tamburo in America che si potrà raggiungere questo risultato;

d) pubblicazione delle clausole dell'armistizio. A questo proposito, la nostra posizione era stata (a luglio), di far sapere che non ci opponiamo, anzi siamo favorevoli alla pubblicazione, nel caso che essa ci venga richiesta. Ma il governo, che io sappia, non ha deciso ancora di prendere esso l'iniziativa di chiedere la pubblicazione. Il Tarchiani quindi, a meno che non avesse ricevuto altre istruzioni, ha impegnato la responsabilità del governo su una questione dal governo collettivamente non ancora decisa.

Accanto a queste questioni che il Tarchiani ha sollevato male oppure non doveva sollevare, non si può non osservare che egli non ha fatto cenno a quello che dovrebbe essere l'asse della nostra politica estera oggi, cioè la rimozione degli ostacoli che si oppongono a una nostra più grande partecipazione alla guerra. Il nostro ambasciatore a Washington, che ha trovato il modo di parlare di tutto, si è dimenticato proprio di questo, cioè dell'essenziale.

Riassumendo mi sembra che il Tarchiani stia svolgendo la sua azione in modo contrario a quelle che devono essere, secondo me, le direttive della nostra politica estera. È probabile egli agisca così per dilettantismo, per immaturità politica e forse anche per quella tendenza alla rumorosità propagandistica, lontana da ogni senso di realtà, che è propria del suo partito. Non credo egli abbia potuto ricevere consigli di condursi a questo modo né dal presidente del Consiglio, né dal ministro degli Esteri, poiché so che entrambi, per la parte che li riguarda, svolgono la loro azione in modo ben diverso. Conseguenza dell'azione del Tarchiani è, per ora, di far subire al paese continue alternative di attese e delusioni, e in ultima analisi sarà di fargli perdere la necessaria fiducia in se stesso e nella causa democratica. Infine, non vi è dubbio che un'azione svolta a quel modo non può concludersi, per noi, altro che con gravi insuccessi. Essa prescinde infatti dalla visione della situazione reale in cui ci troviamo e della reale situazione internazionale, non tiene conto della via che dobbiamo seguire per rifarci una posizione nel mondo e può persino, alla fine, farci andare indietro invece che avanti.

Desidererei avere in merito uno scambio di idee con voi, perché sarebbe molto grave se mai dovessimo esprimere pubblicamente una riserva circa l'attività di un funzionario che è all'estero come rappresentante di tutto il paese 1•

I Vedi D. 105.

99

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 380n5. Washington, 18 marzo 1945 1•

Ho avuto stamani un colloquio col signor Leo Crowley, Capo della «Foreign Economie Administration» (Ente incaricato dei rapporti economici coll'estero per il periodo bellico )2•

Come è noto a codesto ministero, i servizi della «F.E.A. » attendono da tempo a studiare il modo di concedere una forma di Lend-Lease all'Italia. Scopo della mia visita al capo del predetto Ente era appunto di sollecitare la conclusione di questi studi e tentare di far concretare lo stanziamento dei 600 milioni di dollari di crediti, cui ho accennato nel mio telegramma per corriere n. 010 del 15 corrente3 .

Ho illustrato al signor Crowley tutti gli argomenti adatti a dimostrare come le necessità dell'Italia ed i servizi che essa rende meritino un simile riconoscimento ed una sostanziale contropartita. Il mio interlocutore, di origine irlandese e cattolico praticante, era stato già informato dello scopo della mia visita dall'alta personalità ecclesiastica di cui alla mia lettera all'E.V. in data 7 corrente 4 . Uomo d'affari, semplice e franco, egli è stato a sentire le mie buone ragioni, annuendo specialmente quando gli ho detto che l'Italia non intende vivere di elemosine del resto inadeguatissime perfino alle sue più immediate necessità -ma chiede fiducia e credito negli Stati Uniti. Essa intende mantenere fede agli impegni che assumerà nei confronti del governo e di privati americani, mediante la forza del suo lavoro e la correttezza dei suoi metodi, del resto ben noti ed apprezzati in America.

Crowley mi ha risposto che egli conosceva a fondo quello che l'Italia meritava e come essa desse enormi prove di buona volontà. Mi ha quindi assicurato: «È mia intenzione presentare in questi giorni al presidente Roosevelt il mio progetto di reciproca! aid, basato appunto su di uno stanziamento di 600 milioni di dollari, e date le sue favorevolissime disposizioni verso l'Italia, son9 persuaso ch'egli l'approverà prestissimo. Se per caso ci fossero degli ostacoli burocratici od altri da quel lato, sono deciso a domandare al Congresso una appropriation (stanziamento) per una uguale somma e non dubito di pe>terla ottenere».

Mi ha poi ripetuto nel congedarmi: «Siate certo che in un modo o in un altro il vostro paese avrà lo stanziamento sulla base del reciproca! aid». L'ho ringraziato, a nome del governo nazionale e mio, dell'opera sua e dello spirito che lo anima.

1 Sulla copia sonservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 50-51. 3 T. per corriere 2238/010, non pubblicato. 4 Mons. Amleto Cicognani, delegato apostolico a Washington, vedi D. 83.

A seguito del colloquio con Crowley, ho ritenuto opportuno far accertare presso gli uffici della F.E.A. e dello State Department i termini del progetto cui Crowley ha accennato. Riferisco, in rapporto a parte 1 , l'esito di tali accertamenti che confermano sostanzialmente le favorevoli assicurazioni da me riassunte più sopra.

100

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 2338/015. Washington, 19 marzo 1945 (per. il 6 aprile).

Riferimento mio telespresso n. 274/68 del 15 marzo corrente 1 .

Ho continuato nei giorni scorsi le mie visite ai colleghi che rappresentano qui gli Stati dell'America latina. Con tutti ho insistito sui noti argomenti per la partecipazione di «osservatori» italiani alla prossima conferenza di San Francisco. Ho trovato in tutti la più premurosa rispondenza.

Così, questo ambasciatore del Brasile Martins (che è stato parecchi anni fa segretario a Roma) mi ha assicurato che avrebbe immediatamente riferito al suo governo, chiedendo di essere autorizzato a compiere un amichevole passo presso lo State Department nel senso da me prospettatogli. L'ambasciatore del Venezuela, Escalante, mi ha promesso di telegrafare al suo ministro degli Affari Esteri, on. Parra-Perez, che è stato in posto a Roma e che, a quanto egli mi ha detto, è animato da sentimenti di viva simpatia per l'Italia. L'ambasciatore di Cuba, Belt, ne avrebbe personalmente parlato, tra pochi giorni, nell'occasione di una sua breve gita all'Avana, al presidente della Repubblica Grau San Martin (suo personale amico) il quale ha soggiornato per parecchio tempo in Italia. Anche l'ambasciatore di Costarica ne avrebbe riferito subito al presidente della Repubblica. L'ambasciatore dell'Equatore e quello del Paraguay mi hanno promesso di prospettare ai rispettivi ministri degli Esteri le mie argomentazioni nel modo più favorevole. Tutti mi hanno assicurato che contano di comunicarmi le risposte dei propri governi in occasione delle loro prossime visite di restituzione. Nel riservarmi di riferirle, a mia volta, permettomi rinnovare all'E.V. la preghiera di volermi comunicare le informazioni di cui codesto ministero venisse in possesso circa i propositi delle Repubbliche latino-americane in merito alla nostra partecipazione a San Francisco.

Ritengo opportuno aggiungere che tutti i predetti miei colleghi si sono dimostrati convinti assertori della necessità di una effettiva solidarietà tra i paesi latini di Europa e quelli di America. Tutti mi hanno poi parlato nei termini più elogiativi

' Non pubblicato.

delle nostre collettività ospitate nei rispettivi Paesi e del grande contributo da esse dato alla loro prosperità. Mi riprometto continuare nei prossimi giorni l'opera iniziata, in occasione delle visite che devo ancora agli altri rappresentanti americani.

101

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 388/83. Washington, 21 marzo 1945 (per. il 6 aprile).

Ho avuto il 19 marzo un colloquio con Henri Bonnet ambasciatore di Francia. Lo scambio d'idee è stato dei più franchi e cordiali. Bonnet è uomo di sinistra ed estraneo ai sentimenti sciovinisti che in passato hanno spesso caratterizzato le direttive degli esponenti del Quai d'Orsay.

Bonnet si è rallegrato molto della ripresa delle relazioni diplomatiche tra i nostri due paesi e mi ha chiesto chi sarebbe stato nominato ambasciatore a Parigi. È anch'egli persuaso che con una politica di sani e forti interessi comuni si riuscirà a creare una solidarietà franco-italiana e fors'anche una più vasta intesa latina con influenza notevole sul continente americano e quindi nel mondo.

Per ovvie considerazioni non ho ritenuto di trattare dettagliatamente il problema di San Francisco con l'ambasciatore francese che, d'altra parte, è già qui in serie difficoltà (si cfr. mio rapporto in data odierna) 1 e non ha modo di influire sullo State Department se non in via personale e nel caso di un miglioramento di circostanze. Glielo ho accennato però, soprattutto come una questione d'interesse pan-Iatino, in relazione anche all'ovvio desiderio sud-americano che l'Europa latina sia più largamente rappresentata a San Francisco.

Bonnet mi ha detto che, dati i passi che io ho già fatti (e che sono naturalmente trapelati negli ambienti diplomatici e della stampa), egli avrebbe riferito al suo governo e domandate istruzioni. Riteneva che prima o poi, al Department of State, gliene avrebbero parlato. Egli avrebbe dato in tal caso, salvo improbabili ordini in contrario da Parigi, parere favorevole alla nostra tesi.

Bonnet è persuaso che Francia e Italia possono prestarsi un importante reciproco aiuto nell'opera di ricostruzione e che una leale e ben organizzata intesa tra le due nazioni è necessaria.

Gli accenni di Bonnet all'importanza di una solida intesa franco-italiana, quale nucleo di una nuova, effettiva solidarietà tra gli Stati latini d'Europa e quelli d'America, mi inducono a segnalare all'E.V. come, già in queste prime settimane io abbia avuto modo di constatare l'importanza che hanno assunto a Washington anche i minori Stati dell'America centrale e meridionale.

La esistente, vivace intesa pan -latina che li lega -ove ad essa si unisca una concordata azione dei Paesi latini d'Europa che è da quelli d'America vivamente

l Non pubblicato.

auspicata-può effettivamente assumere una parte di gran peso nell'assestamento del nuovo sistema mondiale. Una preliminare cooperazione italo-franco-spagnola, quando la Spagna si sarà allineata (e qui anche l'ambasciatore di Franco parla della cosa come possibile e non lontana) può esercitare un'enorme influenza di attrazione su tutti gli Stati latini ed indirettamente influenzare gli Stati Uniti ed anche l'Inghilterra ad una politica che debba sempre tener conto di quelli che sono i fondamentali comuni interessi dell'Europa Occidentale e delle Repubbliche centro e sud-americane.

La prospettiva della creazione di un blocco latino in Europa, destinato ad irradiarsi in questo continente e di conseguenza ad esercitare una notevole influenza politica e spirituale sugli affari mondiali è certo un argomento che può avere notevole valore a Parigi.

102

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

T. 1428/180. Roma, 22 marzo 1945, ore 12.

Mi riferisco ai suoi telegrammi 254, 269 1 e susseguenti. Continui orientare sua azione così, come del resto ella fa già egregiamente, verso difesa e tutela nostri interessi nazionali.

Naturalmente se dovessimo trovarci contro ostilità e malvolere in questo settore, ne verrebbero automaticamente rafforzate, in Italia, quelle correnti di opinione che sono orientate verso atteggiamenti più drastici.

Sicché i suoi primi sondaggi favorevoli in materia economica e le buone disposizioni manifestatele al riguardo in un primo tempo dagli spagnoli, costituiscono certamente un notevole progresso. E sarebbe errato se da parte iberica si volesse ora, come pare dagli ultimi telegrammi di V.E. sull'argomento, mutare in qualche modo metro e registro.

Seguo comunque e seguirò con molta attenzione l'opera e l'attività che V.E. ha già così utilmente avviata al riguardo.

103

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 395/88. Washington, 22 marzo 1945 (per. il 7 aprile).

In questo primo mese di permanenza a Washington e specie dopo l'inizio ufficiale della mia missione (8 marzo), mi è sembrato necessario polarizzare esclusi-

l Vedi DD. 77 e 84.

,,

vamente l'azione dell'ambasciata sulle tre questioni oggi fondamentali: partecipazione italiana alla Conferenza di San Francisco ed al conflitto in Estremo Oriente; concessione da parte degli Stati Uniti del Reciproca/ Aid (Lend-Lease); questioni connesse, la cui soluzione dovrà preparare la nostra ammissione tra le Nazioni Unite. Ho quindi, lasciato, per ora, da parte le altre questioni (prigionieri, navi, marittimi, collettività, beni italiani sequestrati etc.) ad evitare che troppe nostre contemporanee richieste ci creino maggiori difficoltà nel conseguire i nostri scopi essenziali. Tanto più che, solo mediante una soddisfacente soluzione delle questioni fondamentali del momento, avremo create le premesse favorevoli per affrontare le altre.

Nei miei precedenti rapporti ho riprodotto le conversazioni avute sia con eminenti personalità statunitensi che con colleghi del corpo diplomatico e le promesse ed assicurazioni ricevutene. Le une e le altre non devono, però, far velo alle difficoltà ed agli ostacoli di varia natura, che è necessario e non agevole rimuovere in breve tempo. È quindi opportuno fare un punto della situazione quale oggi sembra presentarsi.

Conferenza di San Francisco. Come è noto, nell'incontro di Yalta «i tre» avevano già predisposto il programma degli inviti da diramare per San Francisco. Secondo quanto venne annunciato ufficialmente, il 5 corrente, qui, dal Dipartimento di Stato e, a Città del Messico, da Stettinius, i rappresentanti diplomatici nordamericani avevano lo stesso giorno consegnato gli inviti a 39 governi. Ossia a tutti quelli che avevano firmata la «dichiarazione delle Nazioni Unite» entro il 5 febbraio 1945 ed a quelli che, entro il lo marzo corrente, avevano dichiarato la guerra alla Germania od al Giappone (caso della Turchia). In seguito all'incontro del Cairo con lbn Saud, un invito venne anche rimesso a detto Stato arabo. Rimanevano esclusi tanto la Siria, il Libano, l'Islanda e la Danimarca, quanto gli Stati neutrali e le cosidette «Nazioni Liberate» (Italia, Rumania, Ungheria, Bulgaria, Stati Baltici, Finlandia). La consegna dell'invito alla Polonia veniva rinviata sino alla costituzione del governo da tutti riconosciuto, previsto a Yalta. Secondo commenti ufficiosi, non erà prevista-ossia era da considerarsi esclusa-la presenza di «osservatori».

Tale, dunque, la situazione -ribaditami il 7 corrente dal signor Dunn, sottosegretario aggiunto agli Affari Politici (mio rapporto n. 81/26) 1 e confermata da discreti sondaggi di amici -prima del mio colloquio dell'8 corrente col presidente (mio rapporto n. 108/36)2 . Le dichiarazioni fattemi dal presidente Roosevelt sulle «sue passate insistenze» e sul suo persistente «lavoro», acciocché l'Italia fosse rappresentata a San Francisco da «alcuni osservatori», mi hanno fornito la leva per tentare di aprire almeno uno spiraglio dell'uscio che pareva ormai a noi chiuso.

L'atteggiamento assunto dal presidente doveva necessariamente avere una ripercussione sul segretario di Stato Stettinius. Questi, malgrado fosse vincolato dalle suaccennate dichiarazioni di Città del Messico, e quindi necessariamente tenuto a maggiore riserbo, finiva col promettermi «di cominciare subito, coi suoi collaboratori, lo studio delle soluzioni più adatte e più a noi favorevoli» (mio rapporto 277 del 15 marzo)3.

t Vedi D. 82. 2 Vedi D. 85. 3 Vedi D. 95.

Allo scopo di premere, per quanto consentitoci, per la concretizzazione delle promesse fatte dal titolare del Dipartimento di Stato, ho intensificato la mia azione sia presso questi rappresentanti dell'America latina, sia per mobilitare in nostro favore personalità locali in grado di esercitare una effettiva influenza sui responsabili della politica americana. Ho già riferito dettagliatamente (mio n. 278) 1 i colloqui avuti con lord Halifax e con questo ambasciatore di Francia. Peraltro non possiedo ancora indizi sicuri per accertare se potremo ottenere l'esito desiderato.

Riassumo qui di seguito alcuni degli elementi che possono giocare in senso a noi favorevole:

l -Le buone disposizioni del presidente Roosevelt, che vengono alimentate in tutti i modi possibili (Berle, La Guardia, Biddle, Truman, indirizzi e manifestazioni italo-americane, azione di don Sturzo ecc.);

2 -la diversa situazione morale dell'Italia, cobelligerante dall'ottobre 1943, ed il concreto apporto dato in tutti questi mesi alla causa comune (marina, esercito, partigiani ecc.) rispetto alle altre «nazioni liberate», nonché la diversa situazione diplomatica dell'Italia, che intrattiene ormai normali rapporti con la quasi totalità delle Nazioni Unite, mentre ben diversa è la condizione, sotto tale riguardo, degli Stati suindicati. In particolare l'Italia è ora rappresentata negli Stati Uniti -dove la conferenza si svolge -da un'ambasciata con full diplomatic status. Argomento questo che, evidentemente, può facilitare un'azione della diplomazia americana presso le altre cancellerie interessate;

3 -la circostanza che il nostro paese, malgrado le sue attuali sventure e la non ancora avvenuta sua liberazione totale -ed a prescindere anche dal peso delle sue tradizioni -è la più grande delle Nazioni escluse, a vario titolo, dalla Conferenza;

4 -una circostanza che potrebbe giocare in nostro favore, sarebbe l'accettazione da parte dell'Argentina delle due condizioni ad essa poste in seguito alla Conferenza del Messico: dichiarazione di guerra alla Germania ed al Giappone ed adesione alla dichiarazione di Chapultepec. È stato già deciso da tutte le Nazioni americane che, qualora l'Argentina venisse incontro a tale richiesta, essa sarebbe subito regolarmente invitata a San Francis.co. Si riaprirebbe così la questione degli inviti, che si era voluto chiudere fissando come data limite quella del l o marzo. Superato questo ostacolo formale -che ha tuttavia il suo peso per «gli uffici» statunitensi -si renderebbe più agevole spiccare l'invito all'Italia. Peraltro, mentre negli ultimi giorni si attendeva qui, di ora in ora, l'accettazione argentina, le ultime notizie di Buenos Aires -per i complicati contrasti tra quelle correnti politiche sono piuttosto confuse e contradittorie. Se quando giungerà a V.E. il presente rapporto, l'Argentina non avesse già aderito alle due richieste, parrebbe nostro interesse effettuare un idoneo passo presso codesto incaricato d'affari d'Argentina ed a mezzo della R. ambasciata di Buenos Aires per indurre quel governo ad aderire. Ritengo che un'azione siffatta -della quale gradirei essere subito informato telegraficamente-non mancherebbe di avere un'eco simpatica sia a Washington che nelle altre capitali latino-americane.

I Del 15 marzo, non pubblicato.

Per contro, i più notevoli elementi a noi non favorevoli sembrano:

l) Le obiezioni già elevate in Yalta a Roosevelt da Churchill e da Stalin, secondo cui «invitare l'Italia -malgrado il suo stato giuridico attuale -significherebbe aprire anche i casi di molte altre nazioni». Evidentemente, qualora venisse accordato all'Italia l'invio di suoi «osservatori», le altre nazioni escluse, di tutte le categorie, potrebbero invocare analoga concessione. Si sono già esposti più innanzi, (punti secondo e terzo) gli argomenti a nostro favore erga omnes. Superfluo aggiungere, per quanto riguarda i neutrali, che la Conferenza di San Francisco sarebbe comunque, per ora, limitata ai cobelligeranti, di cui facciamo parte anche noi. Comunque, sembra questo l'ostacolo fondamentale, in linea di principio, che contribuisce a spiegare le incertezze e le esitazioni di questi «uffici».

2) La sicura netta opposizione, per ovvi motivi, di alcune delle Nazioni Unite (Jugoslavia, Grecia, Etiopia) ed il timore di una loro decisa reazione. Per quanto riguarda Washington, questo elemento negativo potrebbe essere largamente compensato dalla auspicata presa di posizione degli Stati dell'America latina a nostro favore.

3) La non ancora definita posizione dell'Inghilterra. Al riguardo segnalo, ad ogni buon fine, che dopo il mio colloquio con lord Halifax, è qui giunto onde conferire col Dipartimento di Stato per la preparazione della Conferenza, il signor Gladwin Jebb del Foreign Office, arrivo che ha reso superflua, per il momento, la progettata visita a Londra di questo ambasciatore britannico. Il signor Jebb, prima di vedere Dunn, in un colloquio confidenziale col consigliere finanziario dell'ambasciata (di cui è cognato), si diceva convinto che gli Stati Uniti, dopo le pubbliche dichiarazioni del 5 marzo, erano contrari a qualsiasi nuova ammissione a San Francisco, sia pure sotto veste di «osservatori». Dopo aver visto Dunn, questa sua convinzione era peraltro mutata. Jebb ha infatti detto al suo congiunto che avrebbe comunicato ai suoi superiori le disposizioni manifestategli «ufficiosamente» da Dunn nei riguardi dell'Italia. Ha consigliato, tuttavia, di continuare a seguire attentamente l'evoluzione della questione presso il Dipartimento di Stato, affinché questo prendesse una «iniziativa ufficiale» a Londra e a Mosca. Il signor Jebb non ha mancato di far presente che l'opinione pubblica inglese continuerebbe ad essere ostile a nuove concessioni all'Italia. Sarei molto grato a V.E. se, avendone la possibilità, volesse farmi avere -eventualmente per Io stesso tramite del presente mio rapporto -qualche informazione sull'atteggiamento di Londra.

4) La posizione dell'U.R.S.S. Mi è stato qui accennato da varie fonti che Mosca potrebbe non essere favorevole alla nostra presenza a San Francisco. Non so se e quale rispondenza alla realtà abbiano tali illazioni. Se così fosse, questo atteggiamento sovietico -che contrasterebbe con le favorevoli disposizioni spesso manifestateci dal Cremlino -potrebbe essere dovuto a varii ordini di motivi, quali:

a) considerazioni di carattere generale miranti ad evitare nuove possibili complicazioni nel già abbastanza intricato groviglio di questioni che la Conferenza di San Francisco non mancherà di portare alla ribalta. A differenza degli inglesi, che prediligono il metodo empirico, la mentalità russa, razionalista, registra in anticipo le difficoltà che logicamente potrebbero presentarsi;

b) la prevedibile opposizione jugoslava, che certo non può lasciare indifferente la Russia;

c) la circostanza che le altre «nazioni liberate)), tutte comprese nell'orbita russa, non si avvantaggerebbero della eccezione che, con ben fondate ragioni, chiediamo venga praticata a nostro favore.

Manco sinora, ripeto, di precise informazioni al riguardo. In occasione della mia prima visita all'ambasciatore Gromyko, ho toccato la nostra questione di San Francisco. Il mio collega sovietico mi ha ripetutamente chiesto se avessi elementi di giudizio sulla posizione che prenderebbero al riguardo gli Stati Uniti. Egli, per parte sua, non ne aveva. La questione italiana esulava dalla sua competenza. Dopo di avergli detto della simpatia manifestataci dagli americani, gli ho espresso la certezza che il mio governo provvederà ad interessare direttamente il suo alla questione per noi tanto importante (mi richiamo in proposito al mio telegramma per corriere n. O11)1• In conclusione sarei indotto a ritenere che, qualora codesto ministero credesse di avvalersi «opportunamente)) a Londra ed a Mosca delle dichiarazioni che mi sono state fatte qui a proposito dei nostri osservatori, potrebbe forse ottenersi colà una qualche assicurazione. In caso positivo -postone telegraficamente al corrente -avrei nuovi motivi di premere su questi «uffici)).

La partecipazione al conflitto in Estremo Oriente. Ho avuto già agio di convincermi ancor più che il sentimento antigiapponese è qui sempre unanime ed intransigente. La guerra contro il Giappone è guerra prevalentemente americana. Le recenti vittorie riportate dalle forze armate americane porterebbero ad escludere, almeno per ora, la possibilità che si accettino qui soluzioni di compromesso. La nostra dichiarazione di guerra avrebbe quindi una accoglienza favorevolissima sull'opinione pubblica e -il giudizio è stato unanime -varrebbe a dissipare residui pregiudizi anti-italiani. Essa ci dovrebbe acquisire, di per se stessa, un maggior appoggio nord-americano. Dobbiamo renderei però conto che anche qui permangono tuttavia alcune reticenze connesse con la preoccupazione che, mentre una nostra partecipazione al conflitto in Estremo Oriente non darebbe un contributo militare di importanza rilevante, d'altra parte essa potrebbe vincolare moralmente l'attuale libertà d'azione di Washington nella sistemazione dei nostri vitali problemi di frontiera e coloniali.

È ormai mia persuasione:

l) che la dichiarazione di guerra debba aver luogo al più presto, a prescindere da altre considerazioni che finiscono per invilirne il valore. Allo scopo di raggiungere i fini anche immediati che ci proponiamo (San Francisco, Lend-Lease etc.) non vale tanto parlare del nostro proposito di dichiarare la guerra, se e quando ci fosse consentito dagli Alleati-parte dei quali non vi hanno alcuna convenienza, al contrario .... -quanto poter annunziare ufficialmente a Washington che siamo pronti ad entrare in guerra a partire dal giorno x;

I Vedi D. 88.

2) èhe il nostro gesto non rimanga puramente simbolico, ma che ad esso si accompagni un apporto effettivo da parte della nostra marina ed aviazione;

3) che si eviti di dare l'impressione, specialmente nei giornali, che intendiamo conseguire vantaggi politici od economici immediati, anche perché non legando il nostro intervento a determinate contropartite, ci lasceremo aperte maggiori possibilità future. Uno degli scopi -molto importante -cui potremmo mirare, sarebbe quello di rinviare eventuali soluzioni territoriali contrarie ai nostri legittimi interessi;

4) che occorre pertanto dare alla nostra partecipazione alla guerra in Estremo Oriente, nelle conversazioni con gli Alleati e nelle manifestazioni pubbliche, il carattere di una naturale, logica rispondenza agli ideali democratici della nuova Italia.

Mi tornerebbe molto utile, per l'azione da svolgere qui, conoscere sull'essenziale questione il pensiero di codesto ministero. Gli eventi possono, infatti, incalzare e possono divenire necessarie rapide decisioni.

104

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T.S.N.D. 1438/15-17. Roma, 23 marzo 1945, ore 15.

Sono grato a V.E. delle informazioni contenute suo telegramma per corriere

n. 05 dell'8 corrente 1 .

Non abbiamo speciali notizie su incontro Alexander-Tito e su decisioni presevi. Ci sono peraltro giunte voci secondo le quali questione occupazione militare Venezia Giulia verrebbe riesaminata costì presso Combined Chiefs of Staff, per eventuale modificazione del noto impegno comunicatoci da Commissione Alleata secondo il quale occupazione quelle province dovrebbe essere effettuata con truppe anglo-americane come il resto d'Italia.

Queste notizie hanno destato vivo allarme, come V.E. si rende agevolmente conto, anche in vista nostro fermo desiderio instaurare con Jugoslavia politica amichevole e fiduciosa collaborazione. Non è meno certo che situazione interna italiana risentirebbe profondamente, in delicato momento liberazione nord, di iniziative del genere.

Prego V.E. voler intrattenere subito in questo senso codesto Dipartimento Stato, attirando sua attenzione su importanza che a~nettiamo alla questione e sui

1 T.s.n.d. per corriere 1706/05: richiesta di Tito di partecipare all'occupazione della Venezia Giulia o che gliene sia affidata l'amministrazione civile quando tale «regione contestata» sarà stata occupata dalle truppe anglo-americane.

possibili riflessi che potrebbe avere. Confidiamo che il governo statunitense non mancherà di intervenire eventualmente anche presso i Combined Chiefs of Staff per far presente sia gli aspetti politici della questione sia il fatto che in proposito ci sono già state date, e ripetutamente, precise assicurazioni che siamo certi ci verranno anche questa volta confermate. Telegrafi 1•

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. PERSONALE RISERVATA 3/4702. Roma, 24 marzo 1945.

Ti ringrazio per la tua lettera del 7 corrente 3 e per le buone notizie che mi dai circa l'inizio della tua missione. Vedo con piacere che, appena arrivato, hai potuto prendere molti contatti e porre subito le basi del tuo lavoro.

Sono pienamente d'accordo con te circa la necessità di frenare le varie manifestazioni e iniziative le quali, se disordinate ed eccessive, possono essere controproducenti. Questo del resto si applica anche alla stampa americana le cui montature non possono che creare illusioni, alle quali si oppone qui un'incredulità sempre crescente.

Ho esaminato con attenzione la relazione Quintieri-Mattioli. Evidentemente c'è stato un involontario sfasamento tra la linea seguita qui dal Comitato interministeriale per la ricostruzione e quella della missione a Washington.

Comunque credo che alla fine tutto confluirà per il meglio; ma bisogna ricercare una maggiore unità e convergenza di metodi. Non ho avuto ancora la possibilità di vedere separatamente Quintieri e Mattioli; appena lo avrò fatto ti scriverò le mie impressioni.

Ti mando l'accluso ritaglio de l'Unità. È l'eco di una lettera confidenziale diretta al presidente ed a me da Togliatti4 , il quale trova che le tue manifestazioni nella stampa americana appaiono troppo frequenti e non intonate. Ho risposto che allo stato degli atti non mi è possibile sapere quanto appartenga a te e quanto allo stile della stampa americana; che ad ogni modo ti avrei informato della sua impressione. Mi dispiace che questa mia assicurazione non abbia evitato poi il trafiletto del giornale.

P.S. Spero non ti dispiacerai per questo incidente, che rimane confidenziale e non può turbare il tuo lavoro. Oggi ho visto Flynn, al quale ho raccomandato di

1 Analogo telegramma venne inviato in pari data a Carandini (T.s.n.d. 1437 /89). Per la risposta vedi D. 114. 2 Il testo di questa lettera è basato su un appunto manoscritto di De Gasperi che è riprodotto

fedelmente nel merito e integrato formalmente.

3 Vedi D. 83.

4 Vedi D. 98.

attirare l'attenzione del presidente su due cose: San Francisco, e, più importante ancora, l'occupazione militare dell'«area» di Trieste. Ogni soluzione diversa da quella finora promessa, potrebbe pregiudicare l'ambita ricerca di una formula equitativa fra noi e la Jugoslavia. Dal complesso delle notizie mi pare di dover dedurre che per San Francisco le speranze sono scarse; ma Trieste può diventare un guaw grosso.

Di questo e del tuo interessante colloquio col presidente in una prossima nostra; accogli frattanto i miei ringraziamenti per le tue solerti premure.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2138/97. Mosca, 28 marzo 1945, ore 19,45 (per. ore 17,30 del 29).

Questo ambasciatore Cina, dott. Foo-ping che è personalità di rilievo Kuomintang e molto sentito ambiente governativo Chung King, ha avuto recentemente occasione di dirmi come suo governo consideri con interesse stabilimento relazioni diplomatiche con l'Italia. Foo-ping ha tenuto a farmi rilevare che governo cinese, procedendo con molta cautela nei riguardi alleati, e seguendo politica che considera per suo conto rapporti vari Paesi europei solo nel quadro assetto post-bellico, non ha voluto in passato prendere iniziativa che, specie dopo nota esperienza altrui, potesse urtare suscettibilità e dar sensazione diversa sua condotta. Ed ha voluto aggiungere che oggi, mentre conflitto europeo volge suo termine, a Chung King non sfugge valore relazioni con nostro Paese che per sue tradizioni storiche è da Cina sempre considerato fattore importante Europa post-bellica 1•

107

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO SEGRET0 2 . Roma, 28 marzo 1945.

Nel corso della conversazione svoltasi il 26 corrente, il presidente Bonomi ha chiesto all'ammiraglio Stone conferma delle assicurazioni date in precedenti occasioni dalle autorità alleate circa l'occupazione della Venezia Giulia.

l Per la risposta vedi D. l 12.

2 Si pubblicano insieme, separati dagli asterischi, due distinti appunti di Prunas sui colloqui di Bonomi con Stone e Macmillan.

L'ammiraglio Stone ha confermato che l'occupazione stessa sarebbe stata esclusivamente effettuata da truppe anglo-americane; ha però, sia pure in modo vago, accennato alla possibilità che sia difficile per gli Alleati di resistere ad eventuali pressioni jugoslave affinché, nelle zone della Venezia Giulia, prevalentemente abitate da popolazioni slave, all'amministrazione partecipino funzionari slavi.

Nel colloquio che nel pomeriggio dello stesso giorno ha avuto luogo tra il presidente Bonomi e il signor Macmillan, questi ha esplicitamente confenhato che l'occupazione della Venezia Giulia avverrà esclusivamente con truppe anglo-americane. Non ha parlato di eventuale partecipazione di funzionari slavi all'amministrazione. Ha ripetuto che, essendo ormai prevedibile come molto prossimo il crollo della Germania, le divisioni tedesche in Alta Italia non avrebbero fatto a tempo a ritirarsi dall'Italia del nord. Era quindi da supporsi che in una eventuale convenzione di armistizio, le truppe stesse avrebbero ricevuto ordine dagli Alleati di rimanere ove si trovavano (e quindi anche nella Venezia Giulia), e di attendere sul posto la loro sostituzione, nell'occupazione dell'Italia, con truppe anglo-americane. Era cioè prevedibile anche che la Venezia Giulia sarebbe passata direttamente dall'occupazione tedesca all'occupazione anglo-americana.

* * *

Nel corso di una conversazione che ha avuto luogo il 26 corrente, l'ammiraglio Stone, intrattenuto dal presidente Bonomi sulla deprecabile eventualità che truppe francesi scendenti dalle Alpi occidentali possano partecipare all'occupazione del Piemonte, ha detto che non ritiene probabile che ciò possa avverarsi, dato che le truppe francesi sono anche esse agli ordini del generale Eisenhower, al quale è stato più volte sconsigliato dalle autorità alleate in Italia l'invio di truppe francesi in Italia. Ha aggiunto che comunque il presidente Bonomi avrebbe forse potuto dirigersi anche con sua lettera personale al generale de Gaulle, facendogli presente il danno che avrebbe potuto venire in futuri rapporti tra Italia e Francia da una occupazione francese di una parte dell'Italia del nord e chiedendogli di opporsi a tale eventualità.

Nel pomeriggio dello stesso giorno il signor Macmillan, in una conversazione avuta col presidente Bonomi, ha ripetuto su per giù le stesse argomentazioni, ma si è astenuto dal consigliare un intervento diretto presso le autorità francesi 1 .

1 Annotazione a margine di Prunas: «Il 28 mattina S.E. il ministro De Gasperi ha intrattenuto sul medesimo argomento il rappresentante francese Couve de Murville. Lo stesso giorno ne ha parlato a Couve de Murville anche S.E. Bonomi, il quale poi ha scritto in proposito una lettera personale all'ammiraglio Stone». Nell'Archivio della Segreteria Generale è conservato il seguente appunto di pugno di De Gasperi del 30 marzo: «La notizia data da una agenzia, secondo la quale nel Consiglio dei ministri e in colloqui dei ministri competenti si sarebbe attribuito al governo francese il proposito di occupare parti sostanziali dell'Italia del nord è del tutto infondata. Si basa su induzioni di giornalisti che non hanno fondamento». In margine a tale appunto Prunas ha annotato il 31 marzo: «Progetto di smentita autografa del ministro. Non ha avuto seguito, perché la censura militare non permette la diffusione della notizia "S.I." sui giornali italiani».

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

TELESPR. RISERVATO 4/872/c. Roma, 29 marzo 1945.

È nota la dolorosa situazione in cui gli italiani, militari e civili, sono venuti a trovarsi in Albania dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Mentre alcuni di essi erano deportati in Germania, i più degli altri si rifugiavano sulle montagne dove si sostentavano prestando il loro lavoro ai contadini albanesi o partecipavano alla guerriglia contro i nazisti. Le difficoltà della vita in regioni spesso impervie, la scarsità del cibo, qualche volta l'incomprensione delle popolazioni locali, la mancanza di assistenza e di aiuto, hanno ridotto i sopravvissuti di tale massa di italiani -che si aggira intorno ai 20.000 uomini -nello stato più pietoso, senza indumenti, denutriti, spesso tubercolotici o malarici. D'altra parte vicende e dissidi interni albanesi ne acuiscono il disagio materiale e morale, tanto più che sembrava, a un certo momento, che serie difficoltà fossero frapposte dalle autorità locali ad un loro eventuale rimpatrio.

Non appena l'Albania fu liberata, il governo italiano si preoccupò quindi di liquidare, al più presto, su un piano di umana solidarietà, tale situazione, di cui il procrastinarsi avrebbe aumentata la gravità. Gli uffici competenti italiani presero all'uopo gli opportuni contatti con gli organi alleati in Italia e le autorità che esercitavano il potere in Albania. E allo scopo di concretare una soluzione al problema, si è infine recato a Tirana, in mancanza di un tramite normale per le relazioni con l'Albania, il sottosegretario alla Guerra, S.E. avv. Mario Palermo: la sopravvenuta circostanza della condanna a morte di due tecnici italiani aveva reso ancora maggiore l'urgenza del viaggio che -anche per le cortesi facilitazioni offerte dai Comandi alleati -ha potuto effettuarsi al principio del corrente mese di marzo.

Delle conversazioni che a Tirana S.E. Palermo ebbe con le autorità locali, e che hanno sostanzialmente portato alla definizione della questione del rimpatrio della massa degli italiani, si trasmette qui unita copia del verbale riassuntivo.

Si fa presente, ad ogni buon fine, che il verbale stesso è stato trasmesso a questa Commissione Alleata che è stata pregata di voler interessare i competenti organi al fine di ottenere al più presto i mezzi necessari per il trasporto dei connazionali dai porti d'imbarco albanesi a quelli italiani. Alla Commissione stessa è stato verbalmente comunicato che le intese intercorse tra S.E. Palermo e il generale Hoxha non implicano in alcun modo il riconoscimento dell'attuale governo albanese, come del resto appare dal preambolo del verbale (dove si dice che si è voluto risolvere in via amichevole questioni urgenti «che non possono essere rinviate al momento in cui sarà possibile regolare stabilmente i rapporti italo-albanesi»). Naturalmente nessun riconoscimento implicherà neppure lo scambio di missioni ufficiose previsto dal punto XII del verbale stesso.

Si comunica a codesta ambasciata quanto precede nell'eventualità che ritenga opportuno chiarire anche costà lo scopo del viaggio di S.E. Palermo a Tirana e delle intese in quell'occasione intercorse.

ALLEGATO

CONVERSAZIONI DEL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, PALERMO, CON IL CAPO DEL GOVERNO ALBANESE, HOXHA

VERBALE RIASSUNTIVO. Tirana. 14 marzo 1945

S.E. -il capo del governo Enver Hoxha e S.E. il sottosegretario di Stato alla Guerra avvocato Mario Palermo profondamente convinti della necessità che fra il popolo italiano e il popolo albanese siano ristabiliti, nell'interesse comune, i tradizionali rapporti di stima e di amicizia, disgraziatamente interrotti negli ultimi anni a causa della nefasta politica fascista, la quale è unanimemente rinnegata dal popolo italiano, convinti altresì che per favorire il ristabilimento di tali rapporti convenga fin da ora risolvere amichevolmente quelle questioni che, per la loro urgenza, non possono essere rinviate al momento in cui sarà possibile regolare stabilmente i rapporti italo-albanesi, si sono dichiarati d'accordo su quanto segue: I. --Il governo albanese aderisce alla proposta di S.E. il sottosegretario di Stato alla Guerra avvocato Mario Palermo per il rimpatrio di tutti gli italiani attualmente residenti in Albania, ad eccezione delle imprese italiane e di quegli specialisti che sono indispensabili alla ricostruzione del Paese.

II. -Il rimpatrio sarà effettuato a scaglioni, a partire dal 15 aprile p.v., nell'ordine seguente: l) Tutti i militari (fra cui quelli inquadrati nella brigata «Gramsci» e nelle due batterie di stanza a Tirana) e gli ammalati; 2) uno scaglione di circa dieci mila civili (comprese le famiglie); 3) i rimanenti civili.

III. -L'elenco nominativo dei rimpatrianti sarà comunicato al più presto possibile dal generale Piccini al governo albanese.

IV. --Gli accordi di dettaglio circa i porti di imbarco, il trasporto ecc. saranno presi appena possibile. I mezzi di trasporto necessari per effettuare il rimpatrio saranno predisposti dal governo italiano. V. --I rimpatrianti saranno autorizzati a portare con loro gli averi, le masserizie e gli effetti personali.

VI. -Il governo albanese comunicherà a quello italiano le categorie di specialisti e, per ciascuna categoria, il numero di elementi di cui riterrà di avere bisogno per l'opera di ricostruzione del Paese.

VII. -Il governo albanese è d'accordo che il governo italiano sostituisca gli specialisti che rimarranno in Albania c che desiderino rimpatriare con altri specialisti della stessa categoria.

VIII. -I lavoratori italiani rimasti in Albania o giunti dall'Italia avranno un regolare contratto di lavoro, il quale determinerà la loro rimunerazione. Le clausole del contratto saranno stabilite di comune accordo. I lavoratori italiani saranno autorizzati a corrispondere con l'Italia, e, nei limiti previsti dal contratto di lavoro, saranno autorizzati a recarsi in licenza in Italia. Nei limiti in cui le condizioni lo consentiranno i dirigenti delle aziende saranno autorizzati a recarsi saltuariamente in Italia per ragioni di famiglia, o tecniche.

IX. --Fermo restando da parte degli italiani l'obbligo di rispettare in tutto c per tutto le leggi locali, le autorità albanesi comunicheranno alla missione italiana gli eventuali arresti di italiani e il motivo di essi e consentiranno la difesa per il tramite di avvocati secondo le leggi vigenti in Albania. X. --Fra i governi italiano ed albanese sarà proceduto al più presto ad uno scambio di idee circa una regolamentazione provvisoria dei trasferimenti finanziari fra i due Paesi. In attesa di addivenire ad accordi in proposito, i denari degli italiani rimpatrianti saranno, al momento del rimpatrio depositati in un fondo speciale a disposizione della missione italiana. Altrettanto sarà fatto per quei fondi che le ditte italiane desiderassero utilizzare al fine di soccorrere i militari e i civili che si trovano in Albania.

XI. -Il governo italiano si impegna ad esaminare il modo di acquistare, nei limiti delle sue possibilità, merci in Albania contro fornitura di merci italiane.

XII. -Il governo italiano invierà a Tirana una missione ufficiosa incaricata di trattare a suo nome tutte le questioni che potessero presentarsi, e il governo albanese invierà a Roma una missione analoga. Ciò al fine di creare un tramite diretto di comunicazione fra i due governi.

109

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 690/116. Washington, 29 marzo 1945 (per. il 14 aprile).

Mio rapporto n. 395/88 del 22 c.m. 1 e mio telegramma n. 17 di ieri2 .

Col mio rapporto n. 395/88 del 22 corrente facevo all'E.V. il punto della nostra situazione qui dopo un mese dal mio arrivo ed esponevo gli elementi favorevoli e quelli, purtroppo, contrari alla soluzione delle questioni di nostro maggiore, urgente, interesse.

Sino a domenica scorsa, 25 corrente, sembravano dover prevalere gli elementi a noi favorevoli. Gli ambasciatori di vari Paesi dell'America Latina (Cile, Venezuela etc.), ricevute le attese istruzioni dai loro governi di appoggiare l'invio di nostri osservatori a San Francisco, avevano avuto buone assicurazioni dal sottosegretario aggiunto allo State Department, Nelson Rockefeller, il quale, pur rilevando che vi erano delle Technicalities da superare, aveva confermato le favorevoli disposizioni degli Stati Uniti nei ·nostri riguardi. I predetti ambasciatori mi avevano riferito la loro impressione che l'invito come «osservatori» ci fosse ormai acquisito. D'altra fonte avevo conferma che Rockefeller dimostrava interessamento alla questione quale «fattore di notevole importanza nelle relazioni panamericane».

Le disposizioni sostanzialmente favorevoli degli ambienti ufficiali americani non sfuggivano alla indiscreta attenzione dei «reporters» sempre in affannosa caccia di notizie e che già nei giorni precedenti avevano assillato lo State Department ed anche questa ambasciata di continue richieste. Purtroppo, domenica scorsa, si impadroniva dell'argomento anche il noto «colonnista» Drew Pearson, il quale con un suo articolo pubblicato in detto giorno e nella sua solita trasmissione radio ebdomadaria, insinuava che il presidente Roosevelt era favorevole al nostro invito ma che non poteva ottenere l'adesione di Churchill: d'altra parte anche lo State Department sarebbe stato contrario. Inoltre Drew Pearson accennava alla necessità di lanciare immediatamente <<Una grande campagna per il riconoscimento dell'Italia, per la sua piena associazione alle Nazioni Unite e per la sua completa rappresentanza alla Conferenza di San Francisco, senza di che l'Europa del dopoguerra e la pace del mondo potranno essere compromesse».

l Vedi D. 103. 2 T. 2165/17, non pubblicato.

È noto come il predetto giornalista sia particolarmente inviso sia alla Casa Bianca (il presidente ebbe a definirlo a chronic liar) ed ai dirigenti dello State Department sia a queste rappresentanze britannica e russa, per le sue continue indiscrezioni ed invenzioni e per le clamorose sottrazioni di documenti.

A quanto sembra, le affermazioni di Drew Pearson provocavano nuove pressanti domande di chiarimenti da parte dei giornalisti presso il Dipartimento di Stato e, malauguratamente la decisione dello stesso Dipartimento di troncare queste voci mercé una sua presa di posizione.

Nel primo pomeriggio di lunedì, il Dipartimento mi faceva infatti informare per telefono della prossima divulgazione della seguente dichiarazione:

«Italy's admission to the rank of the United Nations is nota question for the consideration and decision by this Government alone. Only the United Nations have been invited to participate in the Conference of San Francisco which as you know has been called for the purpose of establishing an international organization.

No provision is being made for observers from Countries not invited to participate in the San Francisco Conference».

Si tentava lì per lì di ottenere un alleggerimento dell'ultima parte della dichiarazione surriferita. Ma veniva opposto che era imminente la diramazione della dichiarazione e che si trattava di una presa di posizione ufficiale del Dipartimento. La ristrettezza del tempo aveva impedito che mi si facesse direttamente una comunicazione al riguardo, che avrebbe però avuto luogo prossimamente.

Martedì 27 corrente solo il New York Tùnes, senza darvi alcun speciale rilievo, riportava l'anzidetta dichiarazione. Lo stesso giorno, al consigliere dell'ambasciata, che avevo incaricato di chiedere chiarimenti in via amichevole anche circa la procedura adottata, veniva esplicitamente confermato presso la direzione degli Affari Politici del Dipartimento, l'origine Drew Pearson della dichiarazione. Si aggiungeva «trattarsi del resto di una decisione comune adottata da tempo dalle Potenze invitanti alla Conferenza di San Francisco, che non prevedeva nuovi inviti e la presenza di osservatori>>. Si eludevano richieste di maggiori chiarimenti se tale decisione fosse stata adottata alla Conferenza di Yalta o se fosse stata più recentemente ribadita, mentre si confermava che mi sarebbe stata fatta una speciale comunicazione probabilmente per iscritto.

Oggi, poi, la stampa ha riportato un comunicato, secondo il quale, in seguito a richiesta della Francia, la Siria ed il Libano, precedentemente escluse da San Francisco, erano state invitate alla Conferenza, avendo firmato la dichiarazione delle Nazioni Unite e dichiarato la guerra alla Germania ed al Giappone. Vi si accenna anche alla probabilità che l'Argentina sia anch'essa invitata, avendo adempiuto alle due note condizioni di dichiarare la guerra ai due predetti Stati e di firmare la dichiarazione di Chapultepec. D'altra parte l'altro ieri ed ieri vi sono state due riunioni dei rappresentanti diplomatici dell'America Latina in vista dell'invito all'Argentina per San Francisco. Mi risulta, poi, che il sottosegretario aggiunto Rockefeller si sarebbe dichiarato convinto che l'Argentina sarà invitata e presente a San Francisco.

In seguito a questi fatti nuovi, non potendo, date le note difficoltà di comunicazione chiedere ed ottenere tempestivamente istruzioni a V.E., intenderei far rimettere domani al Dipartimento di Stato la lettera, di cui accludo copia, indirizzata al signor Stettinius per ribadire in modo che mi sembra dignitoso e fermo la nostra posizione in tutta questa faccenda. Non mancherò di riferire, all'occorrenza per telegrafo, sugli eventuali sviluppi.

Malgrado i discreti sondaggi fatti, non mi è stato ancora possibile accertare da fonti responsabili il reale motivo che ha indotto il Dipartimento di Stato a rendere pubblico, con procedura invero inusuale, il proprio punto di vista sulla nostra questione di San Francisco.

Il fatto Drew Pearson può avere influito, anche in larga misura sul precipitare dei tempi: malgrado le spiegazioni date dal Dipartimento, esito ad individuare nel famigerato colonnista la causa fondamentale dell'accaduto. Segnalo, per debito di cronaca, che negli ambienti del Dipartimento di Stato è circolata e circola la voce che gli Stati Uniti si sarebbero rivolti gli scorsi giorni alle altre Potenze invitanti per accertarne le disposizioni nei riguardi nostri: U.R.S.S. e Francia si sarebbero dichiarate contrarie. Peraltro questo ambasciatore di Cina mi ha detto oggi che nè egli, nè, a quanto gli risulterebbe, il suo governo, sono stati consultati: la Cina, a suo dire, sarebbe favorevole alla più larga partecipazione alla conferenza di San Francisco. Queste dichiarazioni del mio collega cinese mi farebbero ritenere che il Dipartimento di Stato si sarebbe finora astenuto da consultazioni, almeno in via ufficiale.

Comunque, oltrepassando il quadro, per noi importante ma limitato, della questione di San Francisco, per passare a quello del complesso dei rapporti italo-nordamericani, ritengo di dover sottoporre all'E.V. le seguenti mie impressioni maturate dopo questo iniziale periodo.

Dal nostro arrivo qui siamo stati fatti segno a manifestazioni di simpatia e cordialità anche da parte degli ambienti ufficiali. Nei rapporti personali non abbiamo mai sentito finora gli strascichi del sì increscioso recente passato, al contrario, con chiunque si parli anche dei circoli politici, giornalistici e dell'amministrazione, ci è stato unanimemente manifestato un vivo desiderio di una sollecita completa restaurazione dell'Italia nella sua dignità e nei suoi diritti e ci sono stati deplorati i ritardi frapposti nel normalizzare la nostra situazione, attribuiti per lo più a malevolenze e pregiudizi di terzi. Si aggiunge anche una diffusa preoccupazione per un peggioramento delle nostre condizioni interne politiche ed economiche anche in seguito alla liberazione del nord. Non vi è motivo di dubitare della sincerità di questi sentimenti, che vorrei chiamare «individuali».

Circa le disposizioni a noi favorevoli del presidente Roosevelt, sia generiche sia specifiche ho già ampiamente riferito. Aggiungo che queste disposizioni mi vengono continuamente confermate sia al Dipartimento di Stato e presso altri organismi governativi sia dalle personalità che hanno dimestichezza con lui.

Attualmente i sentimenti e le disposizioni cui ho accennato finiscono, però, per rimanere molte volte allo stato platonico. Seri ostacoli, di vario ordine, ne impediscono la concretizzazione in provvedimenti ed iniziative di governo, qualora concorrano contrastanti interessi degli Alleati maggiori o si oppongano pregiudizi interni che ancora sussistono. In tali casi finisce col prevalere la naturale tendenza della burocrazia ad evitare «grane» e spiacevoli discussioni o commenti e questa, per giustificare la propria resistenza si ricorda volentieri del fascismo, dello stab in the back, della dichiarazione di guerra mussoliniana, delle divisioni fasciste che sparano on our boys ecc.

A spiegare questa situazione occorre tener presente:

l -Che, malgrado l'ostilità di questa opinione pubblica per il sistema delle zone d'influenza e la posizione presa di conseguenza dal Dipartimento di Stato, si riconosce tacitamente pel momento la preminenza d'interessi dell'Inghilterra nell'occidente europeo o per lo meno si subisce il prestigio della sua «competenza» diplomatica. Nelle questioni italiane, per ora almeno, il parere di Londra finisce per prevalere. E tanto più facilmente in quanto interessi jugoslavi non inducono l'U.R.S.S. a favorire una nostra rientrata tra le grandi democrazie e una nostra ripresa d'influenza nei consessi internazionali.

2 -La mentalità anglo-sassone, e quindi anche quella americana, è, nonostante qualche apparenza, ancorata al formalismo. L'attuale situazione giuridica dell'Italia, cobelligerante ma sempre vincolata dall'armistizio (unconditional surrender), costituisce una remora continua alle buone intenzioni americane e finisce purtroppo sovente coll'isterilirle. D'altra parte il governo americano, legato ai suoi alleati da sostanziali interessi, non si sente, e forse anche non può mutare la nostra situazione ponendosi in contrasto con l'opposta volontà, ed i fini politici degli stessi Alleati. Questo formalismo e questa situazione di fatto influiscono in definitiva nel senso del mancato emendamento di provvedimenti anche interni (nostri prigionieri, Trading with the enemy Act, ecc.).

3 -La circostanza che l'amministrazione deve tener conto dei vari componenti etnici della popolazione, alcuni dei quali nutrono ostilità e preconcetti anti-italiani.

Con impegno e costanza da parte nostra riusciremo, piano piano, a migliorare questa situazione.

Come V.E. rileverà, nella lettera indirizzata al signor Stettinius, mi è sembrato opportuno accennare alla decisione dell'Italia di partecipare al conflitto in Estremo Oriente con ogni suo possibile, effettivo contributo. Mi richiamo al riguardo alle considerazioni svolte nel rapporto citato. Pur rendendomi conto che il precipitare degli eventi bellici in Europa e le ripercussioni che ne possono derivare sulla volontà di resistenza giapponese, tendono a diminuire il valore del nostro gesto, tuttavia reputo che l'attuazione di questo proposito, ove non giunga troppo tardi, potrà rafforzare le simpatie di questa opinione pubblica e non potrà non migliorare la nostra situazione politica negli Stati Uniti.

Tengo a segnalare che non ho ancora ricevuto alcuna comunicazione dello State Department al riguardo, nonostante che Stettinius mi assicurasse che prendeva -come il presidente -in particolare considerazione la cosa. Da parte mia non insisterò nell'iniziativa, in attesa delle istruzioni già richieste a codesto Ministero.

Al riguardo sottopongo alla considerazione di V.E. alcuni apprezzamenti espressimi da questo ambasciatore di Cina.

A suo giudizio indipendentemente dalla fine della guerra in Europa, il conflitto in Estremo Oriente dovrebbe durare, dal punto di vista delle possibilità militari, almeno due anni; i giapponesi sarebbero fortemente radicati nel continente ed hanno creato in Manciuria industrie grandiose ed autonome. Compiuti, con relativa facilità, questi sbarchi preliminari nella fascia insulare, gli Alleati si troverebbero di fronte al grave problema dello sbarco di un potente esercito in Cina e della successiva guerra sul continente. Lo stesso ambasciatore reputa che il trasferimento in Cina delle forze rese libere in Europa, per la via di Birmania, è questione assai ardua e complessa e richiede gli sforzi di molti mesi; egli d'altronde opina che, almeno per ora, non si prevederebbero seri mutamenti politici in Giappone.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, STETTINIUS

L. Washington, 30 marzo 1945.

Ho l'onore di riferirmi alle dichiarazioni fatte da un portavoce del Dipartimento di Stato ad alcuni giornalisti circa la questione dell'ammissione dell'Italia al rango di Nazione Unita e circa la Conferenza di San Francisco cui non è attualmente prevista la partecipazione di «osservatori» di Stati non invitati.

Mentre vi sono grato dell'attenzione di far preavvertire questa ambasciata del testo della dichiarazione, desidero dirvi che ho pienamente apprezzato la frase di essa che «la questione dell'ingresso dell'Italia fra le Nazioni Unite non dipende soltanto dalla considerazione e dalla decisione del governo di Washington». Sono certo che alla sensibilità del popolo italiano non sfuggirà l'amichevole intonazione di queste parole.

Per quanto riguarda la Conferenza di San Francisco, stimo mio dovere sottoporvi alcune considerazioni.

I motivi ideali che stanno alla base del vivo desiderio del governo italiano di non esserne assente anche in una modesta forma, non sono ispirati da una sopravalutazione della posizione attuale dell'Italia o dei servigi che essa ha potuto rendere alla causa delle Nazioni Unite in molti mesi di cobelligeranza, ma dalla convinzione che le grandi democrazie alleate avrebbero potuto trovare equo ed utile fare assistere alle loro discussioni miranti all'instaurazione del nuovo sistema di sicurezza e di giustizia la rinnovata democrazia italiana che crede fermamente in tali principi. Da una siffatta decisione il popolo italiano, tanto provato dagli attuali gravi disagi e dalle rovine di cui è circondato, avrebbe tratto quel conforto morale e quel riconoscimento dei suoi ideali democratici, necessari per superare le attuali prove e quelle che si presenteranno con la liberazione dei territori del nord. Proprio ora giunge l'appello indirizzato a quelle popolazioni del nord dal generale Mark Clark che, annunciando il prossimo inizio dell'offensiva liberatrice, invita i patriottiche già combattono con tutti i loro mezzi contro l'esercito nazista, a compiere lo sforzo decisivo.

Fin dal mio arrivo negli Stati Uniti ho avuto la commossa sensazione di una piena comprensione qui della situazione italiana sia nel campo morale che materiale. I precisi accenni fattimi alla possibilità di una applicazione della formula «osservatori» a San Francisco, mi confortarono nella richiesta che ebbi a sottoporvi e che voi voleste far studiare dai vostri uffici. Certo mi rendevo pienamente conto delle serie difficoltà provocate dal fatto che l'Italia non fa parte delle Nazioni Unite; che gli inviti alla Conferenza di San Francisco erano già stati diramati; che essi non erano stati estesi ad alcuni Stati che non avevano firmato le dichiarazioni delle Nazioni Unite o dichiarato guerra al Giappone o alla Germania entro certi determinati termini già scaduti; che erano stati esclusi gli Stati «neutrali» e quelli «liberati». Mi sembrava che alcune circostanze potessero militare a favore del mio paese.

Non vi è dubbio infatti che l'Italia sia la più grande tra le Nazioni la cui partecipazione non era stata a suo tempo prevista. Le sue tradizioni storiche e giuridiche, il contributo da essa dato alla civiltà e la stessa sua posizione geografica non possono non porre il suo caso in modo diverso.

La posizione dell'Italia nei confronti delle Nazioni Unite non è perfettamente uguale a quella delle altre «Nazioni liberate». Non è mia intenzione sminuire le gravi responsabilità che la infausta dittatura ha addossato al popolo italiano sebbene esso ne sia stato autorevolmente scagionato. Ma il popolo italiano, rovesciato il regime che lo opprimeva, ha dimostrato dal settembre 1943 -sono ormai ben diciotto mesi -i suoi seri sentimenti verso la causa alleata, partecipando con ogni sua possibilità e con ogni sua risorsa alla lotta armata contro il nemico comune ed espiando, con i più gravi sacrifici, il delitto commesso, contro la sua volontà, da una minoranza che era riuscita a sopprimere la sua libertà. Inoltre, l'Italia democratica, ufficialmente dconosciuta come cobelligerante contro la Germania sin dall'ottobre 1943, ha già manifestato, come ebbi l'onore di comunicarvi, la sua precisa intenzione di dichiarare la guerra al Giappone e di dare ad essa ogni suo possibile, effettivo contributo. Non sembra che le altre «Nazioni liberate», anche se-formalmente-possano trovarsi in una analoga situazione giuridica rispetto agli Alleati -abbiano analoghi titoli di anzianità, di contributi e di sacrifici. Questa circostanza è stata d'altronde riconosciuta dagli Alleati mercé il ristabilimento dei rapporti con l'Italia, che ormai intrattiene relazioni diplomatiche o dirette con la quasi totalità delle Nazioni Unite.

Comunicati odierni annunciano che altri paesi, precedentemente non invitati a San Francisco, lo sono stati ora e non viene escluso che anche uno Stato, già neutrale fino a pochi giorni fa, riceva un invito.

Le considerazioni che ho accennato mi inducevano a sperare che il governo degli Stati Uniti, dopo tutto quanto ha già fatto e fa per il mio paese, potesse ritenere di prendere ancora una nuova iniziativa in favore dell'Italia. Mentre si approssima la liberazione dell'Italia del nord, questa iniziativa non mancherebbe di destare una grande eco di riconoscenza nel mio paese; ne sarebbero ravvivate le speranze che l'Italia ripone nella grande democrazia americana per la soluzione dell'angoscioso problema delle sue attuali condizioni e del suo futuro, nell'interesse della causa democratica.

110

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. RISERVATO PER CORRIERE. 2926!02. Bruxelles, 30 marzo 1945 (per. il 26 aprile).

Il sig. Spaak mi ha oggi ricevuto in visita ufficiale per la presentazione delle lettere credenziali. Mi ha intrattenuto per circa mezz'ora con una cortesia nella quale traspariva tuttavia una certa riservatezza, la cui natura si è precisata nel corso della conversazione in due accenni circa la opportunità di non troppo accentuare il ritmo della ripresa delle relazioni italo-belghe e di procedere su tale via con prudente gradualità allo scopo di non suscitare certe suscettibilità ancora vive, per i ricordi del passato, in taluni ambienti del paese e del parlamento. Ha però più volte affermato il suo proposito di facilitare in tutti i modi il mio compito, e la sua sicura fiducia nella piena restaurazione dei rapporti italo-belgi, ora che questi sono passati su vie tanto diverse da quelle del recente passato.

L'ho assicurato che tali erano pure gli intendimenti del governo italiano e che avevo istruzioni di dargliene ufficiale conferma.

Mi ha chiesto notizie sulla situazione in Italia. Gli ho detto che la nazione aveva ripudiato e condannato unanimemente il pernicioso passato regime fascista le sue idee e la sua politica e che, pur in mezzo alle sofferenze, alle rovine, al perdurare della guerra e dello sforzo militare, sia dell'esercito e della marina e sia dei partigiani, nonostante le difficoltà di ogni sorta, si dedicava con coraggiosa

fiducia all'opera di ricostruzione morale e materiale dell'Italia e al consolidamento dei restaurati istituti democratici. Il popolo italiano, ho aggiunto, pagava puntualmente e lealmente le conseguenze di colpe non sue e per ciò stesso meritava di essere considerato con dignità e rispetto e di essere seguito con fiduciosa simpatia nella sua ripresa.

Il sig. Spaak ha assentito vivamente e ha avuto parole di comprensione per le nostre sofferenze e di alta stima e fiducia per il successo del nostro sforzo di ricostruzione nazionale; si è detto sicuro che esso ci riporterà a ristabilire il nostro posto nel concerto degli Stati e ad assicurarci durevoli amicizie nel campo internazionale.

Mi ha poi pregato di ricambiare al presidente Bonomi e al ministro De Gasperi il saluto che gli avevo portato da parte loro e di esprimere a entrambi i suoi voti per il successo del loro arduo compito.

Il ministro è passato in seguito a chiedermi come avessi trovato la situazione della collettività italiana, aggiungendo che conosceva le difficoltà e la delicatezza del mio compito in tale campo.

Gli ho detto che fin dal momento del mio arrivo avevo potuto infatti rendermene conto, ma che non potevo esserne sorpreso: oltre ventimila italiani erano rimasti in Belgio senza guida e in situazioni materiali e morali difficilissime: bisognava considerare lo stato d'animo di quanti di essi avevano sofferto e avevano avuto difficoltà sotto il passato regime; fra costoro taluni si mostravano più accesi e più intransigenti verso altri italiani sospettati (e taluni con ragione) di essere stati zelanti fascisti e di aver nociuto ad altri connazionali. Tale situazione era ancora più seria in provincia ove gli italiani sono più numerosi e più disorientati.

Vi era inoltre il grave problema degli ex-prigionieri e dei lavoratori che affluiscono sempre più numerosi dalla Germania. Io mi proponevo di mettere dell'ordine in tutto questo, e di fare opera di equità, e di moderazione; ma ci sarebbero voluti molta cautela e del tempo. Anche per ciò speravo non sarebbe mancato il suo appoggio, e in primo luogo occorreva che egli facilitasse l'urgente riapertura dei consolati italiani. Senza i consoli io non avrei avuto modo di agire efficacemente specie in provincia. Era questo un interesse del Belgio quanto dell'Italia, perché la situazione che avevo descritta poteva prestarsi a riaccendere incidenti, polemiche e ripercussioni di stampa e parlamentari come era avvenuto nei mesi scorsi.

Il sig. Spaak ne ha convenuto e mi ha detto che mi dava senz'altro il suo benestare di massima; potevo iniziare subito al riguardo le conversazioni con gli uffici del suo ministero ed egli avrebbe raccomandato la cosa prima della sua prossima partenza per la Conferenza di San Francisco. Rinnovava soltanto la raccomàndazione che nella scelta dei consoli e del personale dei consolati si tenesse da parte nostra presente la necessità d'inviare funzionari e impiegati che non avevano in passato prestato servizio in Belgio e che non fossero in alcun modo sospetti o attaccabili per il loro passato sotto il caduto regime.

L'ho assicurato che questi sono appunto i criteri ai quali si attiene il governo italiano nella scelta del personale da destinare all'estero.

Al termine del colloquio ho presentato al ministro, secondo l'uso, i segretari Russo ed Aillaud.

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IL MINISTRO A STOCCOLMA, GUARNASCHELLI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI

L. PERSONALE 659/293. Stoccolma, 31 marzo 1945.

Ti sono assai grato per la tua lettera del 13 marzo u.s. (n. 16/3178/12) 1 e prendo nota di quanto mi scrivi circa la questione della riapertura delle legazioni finlandese a Roma ed italiana ad Helsinki. Mi rendo conto della convenienza di attendere ancora qualche tempo; non è escluso del resto che la situazione in Finlandia evolva in modo tale da facilitare la scelta di una decisione, o renderla addirittura superflua.

Con l'ultimo corriere ti ho mandato una lettera personale; e non voglio ripetermi. Ma, al tuo accenno scherzoso che ti ho lasciato solo sulla breccia protesto vivamente. Né a te né a me conviene di rafforzare la convinzione che a tirare il carro ministeriale (almeno per la parte politica) sia necessaria la pariglia Guarnaschelli-Zoppi. Se nel passato ci siamo dati un po' il cambio, non è detto che, dopo tanti anni di ministero, la pariglia non possa essere sostituita completamente, magari da un tiro a tre. Per quel che mi riguarda, mi sembra di avere il diritto di chiedere di rimanere all'estero nei pochi anni che mi restano di carriera.

Ti posso essere utile da qui in qualche cosa? Chiedilo anche a Prunas, e disponete di me. Qui c'è di tutto. Le possibilità del corriere sono però limitate per il fatto che, come sai, esso viene trasmesso per il tramite britannico.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 1645/101. Roma, 3 aprile 1945, ore 18.

Suo 97 data 28 marzo 2 .

Relazioni diplomatiche fra governi italiano e cinese sono state riprese da tempo e precisamente dall'ottobre scorso. Qualche settimana dopo annunzio ufficiale di tale ripresa, governo italiano ha pubblicato solenne dichiarazione 3 , di cui le invio il testo per corriere, ed ove si ripudia e sconfessa «l'appoggio e il riconoscimento dato dal governo fascista alla politica di aggressione e di sopraffazione condotta dal Giappone in Estremo Oriente, politica che ha portato, fra l'altro, alla creazione di sedicenti governi coi quali la nuova Italia democratica

1 Vedi D. 90. 2 Vedi D. 106. 3 Vedi D. 62, Allegato.

non ha e non intende avere rapporti di sorta». Il governo italiano dichiarava in conseguenza formalmente di riconoscere nel governo di Chung-King l'unico governo legittimo della Cina.

È questa, com'eila vede, una presa di posizione netta ed esplicita di cui è bene che ambasciatore Foo-ping sia al corrente.

Aggiungo che è stato da parte nostra deciso sin dallo scorso novembre invio incaricato d'affari a Chung-King nella persona di Anzilotti, in attesa della nomina di un R. ambasciatore che avrà luogo appena possibile. Attendiamo tuttora che gli Alleati pongano a disposizione un mezzo di trasporto perché nostro rappresentante possa raggiungere destinazione.

Dica a suo collega cinese che annettiamo anche da parte nostra molta importanza ad un concreto e rapido riavvicinamento fra Italia e Cina e che saremmo molto lieti se egli potesse, con la sua autorità, assecondarlo e favorirlo.

Per sua informazione è bene ella sappia che solo cinese presente a Roma è rappresentante presso Santa Sede, dott. Siè, che è brava e degna persona, ma eccessivamente impacciato e di corte vedute, con il quale non è possibile avviare nulla che superi l'ordinaria amministrazione.

Nostro desiderio e proposito è -ripeto -riprendere al più presto fra noi e la Cina la collaborazione più fiduciosa e amichevole in tutti i settori ove potrà essere utilmente concretata.

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L'INCARICATO D'AFFARI A DUBLINO, CONFALONIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PER CORRIERE 2641/012. Dublino, 4 aprile 1945 (per. il 17).

Il rappresentante diplomatico irlandese presso la S. Sede Kiernan durante il soggiorno romeno del signor Flynn 1 ha riferito che oggetto principale della missione del fiduciario del presidente Roosevelt era quello di conoscere il pensiero del Santo Padre su di una eventuale iniziativa degli Stati Uniti di promuovere la concessione di garanzie internazionali allo Stato della città del Vaticano.

Il signor Kiernan ha suggerito nel contempo che da parte irlandese fosse reso noto che si condividevano le apprensioni e l'opinione dei cattolici americani, i quali, specialmente attraverso monsignor Spellman avevano ottenuto l'invio di Flynn con

1 Durante la conferenza di Yalta Roosevelt volle essere accompagnato a Mosca anche da Edward Flynn, esponente del partito democratico di New York al quale affidò l'incarico di persuadere i sovietici a concedere garanzie in materia di libertà di religione. Cfr. in proposito le memorie di Flynn (You're the Boss. The Practice of American Policy, New York, 1960), pp. 200-220; R.A. GRAHAM, Diplomazia pontificia, Roma, 1962, pp. 479-480; in particolare il rapporto dello stesso Flynn ed. in ENNIO DI NoLFO, Vaticano e Stati Uniti 1939 -1952, Milano, F. Angeli, 1978, pp. 436-441.

tale proposta. Nell'avanzare il predetto suggerimento, Kiernan ha certamente tenuto conto del fatto che il presidente De Valera, personalmente, si è sempre dichiarato caldisssimo assertore della necessità di cautelare il Vaticano da futuri eventi politici e bellici con precisi accordi d'ordine internazionale.

Questo nunzio, interpellato in proposito, ha risposto che non aveva ricevuto dalla Segreteria di Stato nessuna indicazione che gli permettesse di stabilire le intenzioni della Santa Sede, e quindi non era in grado di fornire alcun avviso circa l'accoglienza che avrebbe avuto un'eventuale iniziativa del governo dell'Eire nel senso suggerito dal signor Kiernan. A titolo personale ha aggiunto, che in mancanza di elementi di giudizio adeguati egli non poteva far altro che riferirsi al discorso tenuto dal Pontefice Pio XI in occasione della stipulazione del trattato del Laterano ed agli argomenti ivi esposti per considerare inopportune delle garanzie internazionali.

Da parte di questo segretario generale del ministero degli Esteri, che anche egli condivide il pensiero di De Valera, è stato vivamente insistito presso il nunzio perché prospettasse al Vaticano il punto di vista del governo irlandese, il quale però non svolgerebbe nessuna azione prima di sapere di far cosa gradita al Santo Padre.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D.2362/20. Washington, 5 aprile 1945 1 (per. ore 15 del 7).

Telegramma di V.E. n. 152 .

Ho ripetutamente intrattenuto Dipartimento di Stato circa occupazione Venezia Giulia, illustrando noti argomenti. Mentre Dipartimento di Stato ha provveduto interessare in merito autorità militari, mi è stato intanto affermato nel modo più formale: l o-che è sempre fermo intendimento del governo americano che questione territoriale rimanga impregiudicata fino Conferenza pace; 2° -che territori in questione debbano essere occupati soltanto da forze alleate attualmente combattenti in Italia, con esclusione truppe diretti interessati. Al riguardo non (dico non) esisterebbero tuttavia concrete intese governi all}-ericano e inglese con governo sovietico.

Assicuro V.E. che non manco seguire vitale questione col più vigile interessamento.

l Inviato il 6 aprile, ore 9,01. 2 Vedi D. 104.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 2797/026. Washington, 5 aprile 1945 (per. il 21).

In un lungo e cordiale colloquio con questo ministro di Afganistan, signor Abdul Husayn Aziz Khan, (che è stato vari anni or sono rappresentante del suo paese a Roma e che è rimasto molto legato all'Italia), ho avuto occasione di accennare alla perdurante mancanza di rapporti diplomatici tra noi e l'Iran. Il rappresentante afgano, che è in stretti rapporti col suo collega persiano, si è offerto di presentirlo circa le eventuali possibilità di un riallacciamento di detti rapporti. Ha aggiunto che, al caso, avrebbe consigliato a tale suo collega di venirmi a trovare a titolo amichevole e personale: al riguardo, informo, che non mi era sembrato opportuno prendere l'iniziativa di inviare al ministro iraniano la consueta lettera ufficiale dopo la presentazione delle mie credenziali non conoscendo esattamente l'attuale situazione tra Roma e Teheran.

Per non lasciar cadere ora la possibilità che ci si potrebbe offrire, ed ove Washington fosse ritenuto un luogo adatto per trattare la questione, sarei grato a

V.E. di voler cortesemente inviarmi, per mia norma di linguaggio, opportune istruzioni circa i nostri intendimenti ed i nostri desideri nei riguardi di una ripresa di rapporti coll'Iran 1•

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE 2 . Washington, 5 aprile 1945.

Dai miei rapporti ufficiali ti sarai reso conto del come e del quanto ho assillato lo State Department per le varie questioni che ci stanno a cuore e sopratutto per Trieste la cui sorte non migliora certo in prospettiva con i mssi a Vienna et ultra.

Ho lasciato intendere qui, a tutte le personalità che ho incontrate, come sia loro interesse salvare Trieste e l'Adriatico da eventuali puntate e supremazie orientali. Poiché hanno bisogno di formule sintetiche e suggestive, ho detto loro: «Fino al '40 il vostro confine difensivo era sulla Manica e sulla Maginot; oggi è anche a Trieste e sull'Adriatico».

Ho pure fatto valere i pericoli della nuova situazione che si delinea sulla frontiera orientale italiana come riguardanti anche il nostro ordine interno, ecc. ecc.

l Vedi D. 155. 2 Autografa.

Qui, specie dopo il tentativo d'imposizione sovietico per la rappresentanza unica di Lublino a San Francisco, i risentimenti anti-russi sono vivacissimi e i timori sono evidenti. Ma non sembra ci sia nerbo per resistere con fermezza, almeno fino a che non sia ben chiarita la conclusione della guerra in Europa e la proporzione nel gioco delle forze.

Con la denuncia del trattato col Giappone, Mosca ha speculato abilmente, togliendo agli americani un pretesto di sospetto, mettendo Tokio in cattiva postura, riservandosi di decidere entro un anno, perché il trattato prevede un tale periodo di prolungamento dello stato di pace, dopo la denuncia, se così piace e conviene a Mosca.

La questione della nostra dichiarazione di guerra al Giappone sarebbe qui allo studio delle autorità militari. Anche involontariamente tutte queste lungaggini potranno farci perdere l'opportuna occasione, il diritto al lend-lease, ecc.

Come già ti scrissi non sarebbe il caso di compiere un gesto a Roma, in modo che non rimanesse a Washington e a Londra altro che approvare? D'altronde, come giustificherebbero un'eventuale disapprovazione?

Tutto sta a trovare la buona formula. Quanto al momento, mi pare che il gesto dovrebbe precedere la caduta della Germania. Servirebbe qui anche poderosamente, presso l'opinione pubblica e il Congresso, a convalidare la nostra posizione di alleati e le nostre richieste di aiuto. Dopo il mutamento di volta russo neppure i nostri comunisti potrebbero avere nulla da obiettare.

Vado tra giorni a New York per vedere personalità e giornalisti. Visiterò anche il comando e un campo di prigionieri. Martedì l O avrò un nuovo incontro con· Halifax, con cui tratterò ancora la questione della nostra posizione politico-giuridica e il problema scottante di Trieste.

L' 11 saranno qui personalità newyorkesi (in due diverse commissioni) tra cui La Guardia, Antonini, Gerbi, Pope, ecc. per vedere il presidente e interessare senatori e deputati alla immediata concessione dell'alleanza e dellend-lease all'Italia. È un passo non inutile che può avere qualche ripercussione. In ogni modo conviene che questo movimento d'opinione pubblica ci sia e continui l'azione sua indipendentemente dalla nostra, ma con effetti complementari.

Di. tutto ti farò sapere in una prossima lettera. Aspetto consigli e istruzioni.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO•DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2387/389. Madrid, 7 aprile 1945, ore 21,45 (per. ore 15 dell'B).

Telegramma V.E. 180 1 .

Sono grato V.E. fiducia espressami e direttive impartitemi che già stanno informando mia azione presso questo governo. Seguirò massima comprensione

' Vedi D. 102.

ogni consiglio che mi orienti su pensiero V.E. Confido poter giungere favorevoli risultati concreti pur senza deflettere da spirito e finalità ideali che ispirano oggi governo italiano.

Da colloquio odierno con Lequerica riporto impressione che possibilità soluzioni concrete esistono tuttora e che irrigidimento (cui accenna V.E. 1 e che con tutta probabilità era conseguenza posizioni nostra stampa) sia per ora superato. Conviene tuttavia raggiungere al più presto soluzioni auspicate intensificando azione e profittanto momento.

Miei contatti con Alleati sono continui e reciprocamente comprensivi. Seguito nuovi colloqui con ambasciatore Armour mi sento perfettamente concorde circa linea seguire da nazioni democratiche in Spagna. Situazione attuale ancora imprecisa e non accenna a prossimi mutamenti dall'interno. Seguo attentamente e molto da vicino movimenti e reazioni che si stanno svolgendo questi giorni seguito manifesto don Juan e manifesto repubblicani. Riservomi inviare dettagliato rapporto tale riguardo 2• Sarà mio primo dovere avvertire tempestivamente V.E. circa opportunità e modi coordinamento nostra azione diplomatica con Alleati di fronte sviluppi attuale situazione.

118

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA RISERVAT0 3 . Roma, 8 aprile 1945.

Son state date all'ambasciatore Carandini istruzioni di lasciare le cose come stanno nei riguardi del governo polacco di Londra. Sempre che quest'ultimo avrà

o noi avremo ragione di porci in contatto, Carandini potrà servire da tramite amichevole e il rappresentante polacco a Roma continuerà nelle sue attuali funzioni ufficiali. Ma è inutile e pregiudizievole nominare ora da parte nostra a Londra incaricati d'affari speciali. Guidotti ci rappresenterà in conseguenza soltanto presso il governo norvegese, e, se ancora sul posto, presso quello cecoslovacco.

* * *

Ho preavvertito l'ambasciatore Charles che Quaroni firmerà 1'8 corrente un accordo con le autorità polacche di Varsavia per l'assistenza degli italiani che si trovano o verranno a trovarsi sul territorio della Repubblica. Ho spiegato che non

l Vedi D. 94. 2 Non pubblicato. 3 Si pubblicano qui, separati dagli asterischi, tre promemoria distinti.

ci era assolutamente possibile disinteressarci della sorte di decine di migliaia di italiani e che l'accordo ha questo scopo e questi limiti. Ho aggiunto che i polacchi hanno aderito alla nostra richiesta di ·invio sul posto di un delegato della Croce Rossa italiana, anche naturalmente a scopi assistenziali. Si prega la direzione generale competente di voler con sollecitudine provvedere in merito a quest'ultima parte. L'ambasciatore Charles si rende conto della nostra iniziativa, sulla quale non ha osservazioni da fare.

Ho informato l'ambasciatore Kostylev dell'accordo e dell'invio del nostro delegato della Croce Rossa. Ho aggiunto che l'iniziativa rappresenta un vero e proprio contatto de facto col governo di Varsavia e come tale va valutata. L'ho informato confidenzialmente e a titolo amichevole che non abbiamo né intendiamo avere, perdurando la situazione attuale, uno speciale reppresentante italiano presso il governo polacco di Londra. Kostylev ha apprezzato la comunicazione e ne informa il suo governo.

119

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2469/34. Washington, 9 aprile 1945 1 (per. ore 16 del/'11).

Telegramma di V.E. n. 122.

Ho ripetutamente interessato questo Dipartimento di Stato facendo presente argomenti comunicatimi da V.E. circa assoluta inopportunità qualsiasi forma occupazione francese nostro territorio. Dipartimento di Stato, il quale ha mostrato rendersi pienamente conto motivi che ispirano nostra richiesta, ha al riguardo preso contatti con competenti autorità militari. Mi ha poi oggi comunicato decisione:

l -che anche nel caso operazioni militari rendessero necessaria partecipazione truppe francesi, queste verrebbero immediatamente ritirate non appena ultimate ostilità;

2 -recente occupazione territori nord verrà esclusivamente disimpegnata da forze anglo-americane e che pertanto non (dico non) potrà avere luogo alcuna forma occupazione francese.

Nel ringraziare Dipartimento di Stato ho nuovamente attirato sua attenzione su gravissimi inconvenienti già provocati da azione truppe di colore marocchine, pregandolo far presente ancora alle competenti autorità militari necessità evitare impiego tali truppe in Italia.

1 Inviato il IO aprile, ore 21,35. 2 Vedi D. 96.

120

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. PERSONALE SEGRETO 1078/165. Washington, J0 aprile 1945 (per. il 30 maggio).

Ho avuto oggi un lungo colloquio con lord Halifax, venuto in ambasciata a restituirmi la visita protocollare.

In risposta a varie sue domande, gli ho parlato, riallacciando il discorso alla nostra precedente conversazione, dello stato di scoramento dell'Italia per causa della politica timida, incerta, negativa degli Alleati, la quale in nessun modo rafforza il governo democratico e la sua faticosa opera di assestamento e di ricostruzione. Parallelamente gli ho illustrata, a cuore aperto, la situazione nuova che, in maniera quasi automatica, si è venuta a creare al nostro confine orientale.

Lord Halifax mi ha detto che si rendeva pienamente conto della importanza del problema e che considerava il momento -così felice per le operazioni belliche come estremamente e progressivamente complicato e pericoloso rispetto ai problemi politici che le successive vittorie ed occupazioni sollevano.

Ho ribattuto quindi sulla necessità per le grandi democrazie di compiere il massimo sforzo materiale e psicologico, sì da mostrare al popolo italiano che non è -come si è detto -nè trascurabile nè trascurato, e che i governi amici intendono salvaguardarne gli interessi, confortandolo ed aiutandolo ad organizzare una vigorosa e stabile democrazia.

È un grave errore disinteressarsi della sorte prossima e remota dell'Italia, considerandola semplicemente un elemento fastidioso, come negli anni fatali del fascismo, perché l'Italia nel bel mezzo del Mediterraneo, e a contatto con l'Europa centrale e balcanica può sempre essere causa di turbamento e di squilibrio, se mantenuta in condizioni di malcontento, di avvilimento e di disordine.

Halifax ha riconosciuto che la situazione italiana, specialmente sotto la luce attuale, merita la massima attenzione e la cura delle Nazioni Unite. Mi ha quindi domandato come la questione dei confini orientali potrebbe influire sulla politica interna al momento della liberazione dell'Italia del nord o anche dopo qualche tempo, per esempio in periodo elettorale.

Gli ho fatto chiaramente intendere che una soluzione equa della gravissima questione è essenziale per l'avvenire della democrazia in Italia. È certo che gli Alleati occidentali, respingendo sin'oggi ogni ragionevole richiesta italiana di miglioramento giuridico e pratico, non hanno giovato alla causa della democrazia in Italia. D'altro canto, i russi, se sapranno accantonare o risolvere con opportuno senso di equità la questione di Trieste, mantenendo i jugoslavi entro limiti di moderazione, potranno avere, così da vicino, una ben altra influenza suggestiva sul popolo italiano, specie se questo si sente incoraggiato e capace di risolvere ad un tempo, nelle grandi linee, il problema politico e quello sociale. Gli Alleati hanno certo fatto molto per l'Italia, anche nel campo dell'aiuto materiale, ma non hanno saputo trarre alcun vantaggio psicologico dalle loro buone intenzioni ed opere. Hanno indebolito anziché rafforzare le possibilità di una struttura democratica, sia pure modernizzata e sveltita, nel nostro paese. Quindi vi sono notevoli probabilità che essi perdano in Italia ogni frutto della guerra che vi hanno vinto. Tale quadro deve essere, in questi momenti decisivi, ben presente alla mente degli statisti inglesi ed americani, sì che possano giudicare e provvedere con illuminata coscienza e pieno senso di responsabilità: il modo come verrà affrontato il problema di Trieste ed in genere delle esageratissime rivendicazioni jugoslave, avrà comunque importanza decisiva sugli sviluppi dei fattori interni ed internazionali della situazione italiana.

Lord Halifax che aveva continuamente annuito alle mie argomentazioni, mi ha infine domandato se poteva trasmetterne l'essenziale al suo governo. Ho risposto di si, considerando che, data la influ~nza di Halifax a Londra e la comprensione da lui mostrata, possa essere non inutile una sua segnalazione al Foreign Office. Gli ho comunque osservato che sicuramente anche il nostro ambasciatore a Londra avrà fatto valere, nell'interesse dell'Italia e delle Nazioni Unite, con maggior dettagli argomenti consimili ai miei.

Lord Halifax, congedandosi mi ha ancora assicurato della piena comprensione e simpatia per il nostro paese.

121

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1322n97. Londra, 11 aprile 1945 (per. il 20).

Trattando della questione libanese il 13 febbraio scorso, questo R. ufficio aveva fatto presente al Foreign Office, basandosi su analoghe istruzioni di codesto ministero, il vivo desiderio del R. governo di normalizzare le sue relazioni con l'Egitto, tanto più in vista della urgente necessità di provvedere in qualche modo a far fronte all'allarmante situazione esistente tra la collettività italiana in quel paese. Il funzionario del F oreign Office con il quale si era svolta la conversazione, e che tra l'altro era stato come segretario presso l'allora Alto CommiSiariato britannico al Cairo, aveva perfettamente ammesso il fondamento della nostra richiesta ed aveva detto di riconoscere la necessità che gli italiani in Egitto fossero in qualche modo assistiti da un funzionario italiano.

Con telespresso n. 11971712 del 31 marzo 1945 1 ho riferito le assicurazioni datemi che la questione si trovava allo studio presso il competente ufficio. Ai primi di questo mese il Foreign Office mi ha fatto conoscere che in data 15 marzo sir Noel Charles è stato autorizzato per telegrafo a chiedere al R. governo se sarebbe disposto ad inviare colà un suo rappresentante temporaneo «per una

I Non pubblicato.

visita di, ad esempio, due mesi». Qualora il R. governo fosse di tale avviso e disposto ad indicare il nome del funzionario prescelto a tal fine, l'ambasciatore britannico al Cairo si incaricherebbe di trasmettere la relativa richiesta italiana al governo egiziano.

Sir Noel Charles è stato pure autorizzato ad assicurare codesto ministero che al rappresentante italiano, se accettato dal governo egiziano, verrebbe consentito di «fare uso ragionevole» del plico e della cifra dell'ambasciata britannica al Cairo.

Nell'informare di quanto precede il Foreign Office soggiungeva che il prossimo passo dovrà essere fatto ora dal R. governo.

122

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 1834/113. Roma, 12 aprile 1945, ore 17.

Scoppio di una bomba -che non ha del resto provocato perdite di vite umane e soltanto trascurabili danni -nei pressi della sede di una missione partigiani jugoslavi a Roma, ha dato luogo a Belgrado a violenta campagna antitaliana.

Dall'inchiesta immediatamente effettuata nostre autorità, è risultato che bomba è scoppiata nel giardino di un istituto cattolico adiacente predetta sede. Ed è dunque persino dubbio quale effettivamente fosse il bersaglio.

Avvenimento estremamente deplorevole è ad ogni modo di limitatissima portata e significato e tale da non giustificare violenze verbali e scritte d'oltre frontiera.

Comunque, se responsabilità italiane saranno, nel corso dell'inchiesta, accertate, esse verranno severissimamente represse.

Ella sa come vivo e profondo sia il nostro desiderio d'intesa con la Jugoslavia. Desiderio che, a nostro avviso, dovrebbe concretarsi in una normalizzazione preventiva dei rapporti diplomatici fra i due paesi, ciò che darebbe alle due parti il mezzo praticamente migliore per stabilire quel diretto contatto che oggi, e non per fatto italiano, mancà, con tutte le conseguenze connesse.

La prego di parlare in questo senso col suo collega jugoslavo, prendendo occasione dall'incidente odierno che ella vorrà porre nella sua giusta luce e rilievo.

V.E. potrà aggiungere che i nostri tentativi per stabilire un qualche contatto con Tito non hanno avuto sinora successo (invio di una missione militare, di una delegazione della Croce Rossa italiana ecc.) e che il rappresentante jugoslavo presso il Comitato Consultivo per l'Italia qui residente (Smodlaka figlio) pare piuttosto evitare le occasioni di contatto che sollecitarle.

Sottolinei in modo molto amichevole che occorre, a nostro avviso, porre le relazioni itala-jugoslave, con un reciproco sforzo di buona volontà, su un piano più alto di quello delle quotidiane polemiche stampa e degli incidenti casuali e agire in conseguenza.

Di quanto precede ella vorrà informare anche il governo sovietico, cui saremmo molto e vivamente riconoscenti se volesse svolgere quell'azione che riterrà possibile e opportuna per agevolare i nostri propositi, che sono di pacificazione e d'intesa.

In questo senso intrattengo anche da parte mia questo ambasciatore sovietico 1•

123

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO I GOVERNI CECOSLOVACCO E NORVEGESE A LONDRA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 2/2. Londra, 12 aprile 1945 (per. il 20).

Mio telegramma n. 52•

Masaryk, riconfermato ministro degli Affari Esteri nel nuovo Gabinetto cecoslovacco formatosi a Mosca in seguito alle note trattative, è ritornato a Londra per pochi giorni, e mi ha ricevuto immediatamente. Dovrebbe ripartire tra poco per S. Francisco, se la data d'inizio della Conferenza non sarà rinviata.

Sebbene si dicesse stanco dei lunghi viaggi e delle faticose consultazioni, l'ho trovato, al morale, ben poco cambiato da come l'avevo conosciuto nel '34 a Praga: la stessa conversazione brillante, con i rapidi e continui passaggi da un argomento all'altro, i motti di spirito incessanti, l'apparente bonaria ironia di gaudente, la sua reale abilità ed esperienza di uomo e diplomatico.

Mi ha accolto con molta cordialità, dicendosi lieto di salutarmi come primo rappresentante italiano dopo la dolorosa interruzione della guerra. Mi ha detto che tanto lui che suo padre, il vecchio presidente, come anche il presidente Benes, avevano sempre avuto sentimenti di amicizia per l'Italia e non avevano dimenticato il contributo dato dall'Italia nella guerra del '14-'18 alla causa dell'indipendenza cecoslovacca.

Dopo aver sfiorato vari altri argomenti, e ricordato comuni amici di Praga, mi ha detto che a Mosca -in complesso -[le cose] erano andate in modo soddisfacente. Il tono e i commenti mi sono sembrati di un moderato ottimismo. L'Europa si trova in uno stato di distruzione spaventosa, egli mi ha detto, le passioni sono accese, le menti accecate dal desiderio di vendetta: tutte condizioni propizie al caos sociale, sfavorevoli allo stabilimento ed al progresso della democrazia. Ma il presidente ed io, ha soggiunto, vogliamo lavorare invece per un avvenire democratico nel nostro paese, per una Cecoslovacchia onesta, democratica, occidentale, e al tempo stesso saldamente unita con vincoli di alleanza e di sicurezza all'Unione Sovietica.

Per quanto riguarda le condizioni economiche del suo paese Masaryk mi ha detto che tutto dipende naturalmente dall'andamento della guerra in Moravia, in

1 Questo telegramma fu comunicato ai rappresentanti a Londra e Washington con T. 1837/106 (Londra) 44 (Washington) con la seguente istruzione: «Ella vorrà informare di quanto precede codesto governo, sopratutto sottolineando nostro vivo e profondo desiderio di pacificazione e di intesa». Per la risposta di Quaroni vedi D. 128.

2 T. 2542/5: incontri con i ministri degli Esteri di Norvegia e Cecoslovacchia.

Boemia e nei Sudeti, dove si trovano i grandi centri industriali della nazione. Se i tedeschi, nel ritirarsi, distruggeranno metodicamente gli impianti industriali potremo per conto nostro, ha detto «chiudere bottega».

A vendo io chiesto quale era il suo pensiero circa le possibilità di ripresa di relazioni commerciali fra i due paesi, una volta liberati, e avendo toccato l'argomento delle comunicazioni, la conversazione è caduta naturalmente sulla questione di Trieste. Mi ha chiesto notizie dell'incidente provocato dal lancio di up.a bomba contro la rappresentanza del maresciallo Tito a Roma. Gli ho risposto che non avevo altre informazioni che quelle fornite dai giornali, che da queste mi sembrava che l'incidente in se stesso avesse proporzioni minime in quanto l'attentato non aveva fatto né danni né vittime, che comunque mi risultava che l'opinione pubblica italiana e la stampa unanimi avevano riprovato questo atto di violenza, dovuto probabilmente ad agenti provocatori del fascismo. Passando alla questione di Trieste vera e propria gli ho detto, pur premettendo che parlavo a titolo puramente personale, che ero convinto che il popolo italiano fosse di un solo sentimento per quanto riguarda i diritti dell'Italia su questa città, acquistata a caro prezzo, in una dura guerra, combattuta per una causa di giustizia. Ho soggiunto che sarebbe stato un errore, a mio parere, confondere la questione di Trieste con un'agitazione a carattere nazionalistico; che anzi, a mio parere, la perdita di Trieste sarebbe stata sentita come un'ingiustizia e avrebbe servito potentemente proprio quelle tendenze nazionalistiche che erano state causa di tante sventure all'Italia e che si volevano ora estirpare dal paese liberato dal fascismo. Masaryk mi ha detto che era del mio parere, che Trieste, in mani italiane e porto libero, era anche un interesse cecoslovacco, e che egli, qualora si fosse presentata l'occasione l'avrebbe sostenuto nelle discussioni future. Ha aggiunto però che molto dipendeva dalla misura dell'appoggio eventualmente promesso dalla Russia a Tito su questo punto.

Nel congedarmi mi ha detto di essere personalmente molto deluso di non aver potuto mantenere la sua promessa di un pronto trasferimento delle missioni diplomatiche a Kosice. Si augurava però, al suo ritorno da S. Francisco, di ritrovarle insediate a Praga.

124

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 1109/180. Washington, 13 aprile 1945 (per. il 24).

Mio rapporto n. 6901116 del 29 marzo 1 e mio telegramma odierno n. 38 2 . Come avevo preannunciato a V.E. col mio rapporto surriferito, il 29 marzo

u.s. ho fatto rimettere al Dipartimento di Stato la lettera invia tale in copia 3 ,

l Vedi D. 109. 2 T. 2515/38 del 12 aprile, non pubblicato. 3 Vedi D. 109, Allegato.

indirizzata al signor Stettinius per ribadire, in modo dignitoso e fermo, i nostri titoli per la partecipazione di osservatori alla Conferenza di San Francisco.

Aggiungo che, di fronte alla posizione già adottata dal Dipartimento -e di cui alle riferite dichiarazioni stampa-ed alla trascuratezza di tale procedura, ho ritenuto opportuno prevenire, con la mia iniziativa, la comunicazione ufficiale, evidentemente negativa, già preannunziata dall'Italian Desk in relazione al mio passo del 15 marzo presso Stettinius, e colla quale non mi sarebbe stato possibile entrare in polemica. Mi è sembrato di conseguire così anche il risultato di trasferire la questione su di un piano più personale, estraniandone pro tanto codesto ministero.

Il consigliere della R. ambasciata, nel consegnare la lettera, ne ha illustrato i moventi: iniziativa di Roosevelt con me; promesse ed affidamenti dati; successivo silenzio; insolita procedura delle dichiarazioni stampa; recente estensione degli inviti a paesi che fino a poco fa non facevano parte delle Nazioni Unite. Al Dipartimento, nel ricevere la mia lettera, hanno mostrato di rendersi perfettamente conto dei motivi che l'avevano provocata.

Recenti contatti anche col Dipartimento di Stato mi confermavano nella ormai precisa sensazione che non fosse possibile conseguire una modifica a nostro favore della posizione presa dallo stesso Dipartimento. Difatti, mi è testè giunta la lettera di risposta di Stettinius, datata del 7 corrente, di cui unisco copia. Tale documento ripete varie delle argomentazioni già rese pubbliche: la Conferenza di San Francisco è riservata alle Nazioni Unite; ha scopo limitato alla stesura dello statuto di una generale organizzazione internazionale per il mantenimento della sicurezza; non è quindi affatto una conferenza per la pace per regolare questioni relative a frontiere, riparazioni etc.; da ciò l'esclusione di «osservatori» di potenze non invitate.

La lettera, dopo aver confermato che «si era proceduto ad un nuovo e molto attento esame delle decisioni già prese in materia dalle Potenze invitanti», conclude 'riconfermando l'esclusione di osservatori. Il documento evita ogni riferimento alle argomentazioni da me svolte, il che confermerebbe che effettivamente era già stata preparata una comunicazione scritta forse, poi, lievemente ritoccata per far riferimento anche alla mia lettera.

Unici, seppur fermi, elementi della nota che possono forse presentare per noi un qualche aspetto positivo sono le affermazioni che lo statuto, da approvarsi a San Francisco, è per una «generale organizzazione internazionale della sicurezza» -aperta quindi implicitamente anche a noi -e quella, pure implicita, di un riconoscimento di un nostro diritto a partecipare a conferenze dove si discutano questioni di frontiere etc.

Come ho del pari riferito a V.E., con precedente carteggio ed altro rapporto odierno 1 , parallelamente ai passi da me effettuati presso il Dipartimento di Stato, si è svolta l'azione organizzata da influenti gruppi italo-americani, rappresentanti circa duecento associazioni di varie tendenz~. Tale azione-cui questa ambasciata è, come ovvio, rimasta estranea --se ha raggiunto una notevole intensità, non ha purtroppo potuto conseguire i fini concreti che perseguiva, essendo sopraggiunto al momento conclusivo, il fulmine a ciel sereno della improvvisa morte del presidente Roosevelt.

1 Non pubblicato.

Ritengo che la campagna iniziata in queste settimane da autorevoli esponenti italo-americani, e che è andata assumendo un ritmo sempre più intenso e concorde nello scopo precisato di ottenere l'ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite, è molto utile alla nostra causa perché, mercé essa, si imposta la necessità di dare una soluzione equa al problema italiano anche nel settore della politica interna statunitense. Mi rendo conto che l'inizio di questo movimento, che dovrebbe essere destinato a larghi sviluppi, possa provocare qualche reazione od irrigidimento in alcune sfere e specie in quella usa ad agire con circospezione e lentezza almeno nei nostri confronti.

Mi rendo conto della necessità di evitare che queste reazioni siano rafforzate da inconsulte o non necessarie manifestazioni che portino alla formazione nelle predette sfere di uno stato d'animo nocivo. Finora, peraltro, questo svantaggio è stato largamente compensato dal vantaggio di agitare le nostre vitali questioni di fronte all'opinione pubblica, non sempre al corrente dei problemi europei, ed ai circoli dirigenti, che in definitiva finiscono per seguire quest'ultima. Mentre, poi, vi è anche l'altro vantaggio di svegliare le cospicue masse italo-americane e di spingerle a dimostrare una attiva solidarietà alla patria di origine. Inutile che io aggiunga che farò quanto sta in me per evitare che si trascenda e si passino i limiti del giusto e dell'utile.

Mi sembra ora opportuno prospettare all'V.E., nei suoi elementi essenziali, positivi e negativi, qualche nuova possibilità inerente alla prossima Conferenza di San Francisco.

Coll'inaugurazione della Conferenza, dovrebbe aver fine la specifica funzione sinora esclusivamente riserbata alle tre grandi Potenze invitanti, più la Cina e più, in certo senso, la Francia. Tutti gli Stati invitati e partecipanti sono quindi sullo stesso piede giuridico ed hanno la possibilità di prendere iniziative, presentare mozioni etc. Sin quando non sarà stato approvato il progetto di Statuto di Dumbarton Oaks e successive modificazioni di Yalta, non esiste Consiglio di Sicurezza e quindi le Potenze che vi risiedono a titolo permanente, non godono dei privilegi che dovranno essere loro conferiti: tra questi vi è quello di sottoporre all'Assemblea la recommandation occorrente per l'ammissione di nuovi membri, la quale deve essere poi approvata dall'Assemblea con una maggioranza di due terzi dei presenti e votanti (cap. V, sez. B, art. 2, sez. C, art. 2). Non esistendo il Consiglio di Sicurezza, l'Assemblea di San Francisco potrebbe -in linea teorica e giuridica essere anche competente a far partecipare ai suoi lavori, in qualsiasi veste, pure Stati non invitati dalle Potenze sponsoring. Qualsiasi Stato potrebbe prenderne l'iniziativa. Come è noto, il cap. III del progetto di Dumbarton Oaks stabilisce che «la partecipazione all'organizzazione dovrà essere aperta a tutti gli Stati amanti della pace». Tale capitolo dovrebbe essere logicamente discusso prima di quello seguente sui principali organi della nuova Società. In sede di discussione sul capitolo III potrebbe essere impostata la questione degli Stati non invitati (alludo anche agli Stati neutrali, per i quali è difficile dimostrare che non sono amanti della pace). E va rilevato che in questa opinione pubblica, l'esclusione della Svizzera da San Francisco ha già destato sfavorevoli commenti.

Ciò premesso, potrebbe sorgere il quesito se convenga all'Italia di porre pubblicamente il proprio caso di fronte alle Nazioni adunate a San Francisco, tra le quali essa conta nemici più o meno dichiarati, ma anche un certo numero di amici.

Ho già avuto occasione di riferire a V.E. 1 le dichiarazioni di caloroso appoggio fattemi dai rappresentanti dei paesi latino americani. Non so fino a qual punto i loro rispettivi governi intendano o possano impegnarsi a nostro favore. Potrebbe, comunque, non essere totalmente esclusa la possibilità che, coincidendo la Conferenza di San Francisco col collasso della Germania e colla cessazione della guerra in Europa, ne vengano accelerati i tempi per il superamento della rigida formula cui si sono attenute le Potenze invitanti, ossia, in definitiva «i Tre». In tale eventualità, ponendosi il caso di altre Nazioni aspiranti ad essere ammesse a San Francisco potrebbe inserirsi, in sede di discussione dell'accennato capitolo III dello schema di statuto, anche il caso dell'Italia. Sarebbe necessario essere preparati fin da ora onde sfruttare rapidamente ogni occasione favorevole. Ciò a prescindere dall'eventuale convenienza di una nostra immediata iniziativa di fare presente il nostro caso, o alla Conferenza colla presentazione di un memorandum sulla nostra speciale posizione, o -in via diplomatica -agli Stati amici che partecipano ai lavori di San Francisco, oppure ottenendo che uno o più Stati, di loro iniziativa, si facciano promotori del caso dell'Italia.

È ovvio che, qualora la Conferenza ultimasse i suoi lavori coll'approvazione dello Statuto quale è stato congegnato, entrando in funzione il Consiglio di Sicurezza, non ci resterebbe che attendere pazientemente il beneplacito delle cinque Potenze con seggi permanenti nel Consiglio stesso. L'unica via aperta per modificare la nostra situazione rimarrebbe allora quella di cercare di spingere avanti il progetto trasmessomi colla recente lettera del segretario generale per tentare di essere ammessi a firmare la dichiarazione delle Nazioni Unite. Sarei grato a V.E. se, ove del caso, ritenesse di farmi pervenire qualche direttiva, sia pure generica, per mia norma di condotta in merito a quanto precede.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, STETTINIUS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. Washington. 7 aprile 1945.

We have under consideration your inquiry of March 15, 1945 concerning the possibi1ity of the Italian Government being invited to send an observer to the United Nations Conference on Internationa1 Organization at San Francisco. I have also received your note of March 29 on this subject.

In our conversation of March 15 I believe that I to1d you that it had been decided that this Conference wou1d be a meeting of the United Nations to draft the charter for a generai internationa1 organization for the maintenance of international security. It is in no sense a peace conference to settle such questions as boundaries, reparations, etc. No provision had therefore been made for observers from nations not invited to attend the Conference.

In· the light of your inquires we have again made a most carefu1 study of the decisions already made on the subject by the nations sponsoring the Conference and I regret to have to inform you that no provision has been made for observers from nations non invited to attend the Conference.

I Vedi D. 100.

125

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 177/64. Bruxelles, 13 aprile 1945 (per. /'8 maggio).

Telespresso ministeriale n. 1757/2 in data 13 febbraio u.s. 1•

Ho avuto stamane una lunga e cordiale conversazione con questo incaricato d'affari del Lussemburgo; egli è stato lieto di ricevere le comunicazioni di cui codesto ministero mi aveva dato istruzioni circa la ripresa dei rapporti diplomatici tra l'Italia ed il Granducato.

Mi ha chiesto di mandargli in proposito una comunicazione ufficiale, il che ho fatto oggi stesso. Accludo copia di tale nota1• Il sig. Majerus mi ha assicurato che avrebbe trasmesso al più presto al proprio governo le comunicazioni del governo di Roma, e mi darà una risposta.

Nel corso della conversazione mi ha detto che riteneva che il governo del Lussemburgo avesse, a suo tempo, dichiarato guerra all'Italia, uniformandosi a quanto era stato compiuto dal Belgio e da altri governi profughi a Londra. Avrebbe accertato questa circostanza, della quale non era assolutamente sicuro. Gli ho risposto che per quanto a me constava, il governo italiano non aveva mai ricevuto né direttamente né indirettamente comunicazione di tale dichiarazione di guerra.

Il sig. Majerus, a mia richiesta, interesserà il suo governo per facilitare la venuta a Bruxelles del sig. Colombo, cancelliere della R. legazione nel Lussemburgo, affinché io possa essere meglio informato della situazione della collettività italiana e dei nostri interessi colà nell'attuale momento.

Essendo imminente il ritorno a Lussemburgo di Sua Altezza Reale la Granduchessa e dell'augusta famiglia, ho creduto opportuno di esprimere all'incaricato d'affari, anche a nome del R. governo, le congratulazioni per questo felice avvenimento. Gli ho indirizzato in proposito la nota di cui accludo copia1• Egli ha molto gradito tali felicitazioni e le trasmetterà al governo e alla famiglia granducali.

126

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE RISERVATA 2 . Washington, 12-13 aprile 1945.

Sono sotto la tremenda impressione dell'improvvisa morte di Roosevelt, ora comunicatami. È un fatto che mette sossopra il mondo, che non ha proprio bisogno di queste scosse. La formazione dei Big Three rimane menomata, perché un capo

l Non pubblicato. 2 Autografa

166 di altissima autorità e capacità sparisce. Truman, che ho veduto qualche tempo fa, è uomo solido e tranquillo, ma poco preparato ad affrontare difficili situazioni internazionali ed eventuali tempeste europee. Un grande pilota di uomini e di nazioni lascia la terra, difficilmente si troverà qui un braccio altrettanto valido ed un altro occhio così attento e perspicace. Faccio tutti i passi opportuni perché l'Italia mostri tutta l'intensità del suo cordoglio per questo lutto degli Stati Uniti.

(Il pericolo della nuova situazione è che Truman, inesperto e poco attrezzato alla bisogna, sia ancor più del suo predecessore, prigioniero della macchina burocratica produttrice di difficoltà e talvolta a noi ostile, anche soltanto perché siamo sollevatori di problemi scabrosi. Oltre a perdere un amico, cui si poteva ricorrere in casi estremi, perdiamo anche una possibilità di equilibrio tra gli impulsi generosi di un uomo e le avversioni di un'amministrazione restia. Ma non ci scoraggeremo, e continueremo i nostri sforzi confidando nel nostro buon diritto e negli imponderabili che possono eventualmente favorirci).

Ho ricevuto oggi la tua riservata-personale del 24 marzo 1 e intendo perfettamente quello che vuoi dire nella prima parte di essa. Parlerei qui troppo con i giornalisti, e direi cose che possono spiacere ad alcune categorie di pubblico rappresentate nel governo.

Io non ho visione diretta di quello che mi fanno dire in Italia, non ho ricevuto che qualche eco che non corrisponde per nulla a verità. Per esempio, sono passato per indulgente con Mussolini ed Hitler. Ti accludo un ritaglio che mi è proprio capitato sotto mano in questi giorni, che dice nettamente il contrario2• Ho visto nel Tempo che avrei sostenuto l'opportunità di ritardare il rimpatrio dei prigionieri. Mai parlai di questo. Mi sono limitato a rispondere, a domande in tal senso, come esistano difficoltà obiettive, attuali, di trasporto, che si spera di poter superare quando la Germania avrà capitolato e i piroscafi vuoti andranno ad imbarcare in Europa le truppe americane che saranno colà divenute superflue. Non ho mai pensato convenisse ritardare i rimpatri eventualmente concordati con queste autorità, poiché so con quanta ansia l'immensa maggioranza dei nostri relegati, anche nelle compagnie di lavoro, aspetta di tornare in Italia e a casa.

Per di più non ho visto qui pubblicata né l'una né l'altra pretesa intervista. Evidentemente dovevano essere frasi ammannite dall'International News Service per uso interno italiano.

In ogni modo devi considerare, e far considerare a Togliatti quando tu ne veda l'utilità, che, data la situazione dell'Italia, non si può qui fare gli scontrosi coi giornalisti che dominano l'opinione pubblica. Bisogna correre qualche rischio con loro, ma tenerseli generalmente amici. L'Italia in questo paese della pubblicità frenetica, deve essere sempre presente nei giornali e alla radio, se vuoi tornare ad essere simpaticamente popolare. Per questo mi sobbarco a innumerevoli, fastidiose e faticose corvée personali.

Mi pare, d'altronde, che tutto questo sia cosa di poco momento in paragone delle grosse faccende di cui debbo scriverti e di cui, con perfetta corrispondenza di pensieri, mi scrivi.

l Vedi D. 105.

2 Si tratta di un trafiletto pubblicato sul Columbus Record del 28 febbraio secondo cui Tarchiani avrebbe dichiarato che Mussolini sarebbe stato· senza dubbio processato e fucilato.

San Francisco. Ho compiuto tutti i possibili sforzi (anche incoraggiando la mobilitazione degli italo-americani) per farci invitare, almeno come osservatori, forte dell'incoraggiamento di Roosevelt e della modestia della nostra richiesta. La risposta di Stettinius di cui ti accludo copia 1 , è evidentemente illogica ma è chiara: hanno voluto tenerci fuori in base a precedenti decisioni, probabilmente senza nuove consultazioni con inglesi e russi. Quest'ultima ipotesi non ha però altra conferma oltre la mancata consultazione con i francesi e i cinesi, per quanto ci risulta.

L'unica consolazione, per ora, è che il documento ammette che se si trattasse di questioni di confini e di riparazioni dovremmo essere invitati. Prendiamone nota. Può servire per l'avvenire.

San Francisco, intanto, si presenta come un'immensa fiera delle vanità, nella quale molte pressioni e molti interessi cozzeranno. I pessimisti predicono debba durare tre mesi almeno e mostrare sopratutto le crepe dell'edificio in costruzione; gli ottimisti cinque o sei settimane e sfociare in un progetto accettabile nell'insieme, e da discutersi ulteriormente per i particolari. Tutti deplorano che vi siano premesse atte a dar luogo a sospetto e scetticismo.

Come già ti ho scritto ho visto quasi tutti gli ambasciatori dell'America Latina ed ho a ciascuno raccomandato caldamente la causa dell'Italia. Tutti hanno risposto con moti di simpatia al mio appello. Ho visto anche i belgi, i francesi, gli olandesi, i lussemburghesi, tutti bene orientati, se pure con le loro preoccupazioni nazionali che in parte coincidono con le nostre. Vedrò Spaak, e spero Bidault.

Avrò a San Francisco un osservatore personale, di prim'ordine. Spero che il nostro comune amico washingtoniano Dalle Chiavi possa pure far seguire i lavori da persona di sua fiducia e certo favorevole all'accoglimento dei nostri legittimi desideri (vedi rapporto a parte n. 1109/180)2 .

Trieste -Ho agito con netta e costante energia presso lo State Department a questo proposito, specie dopo che la nuova situazione di Vienna, e sul nostro confine orientale, ha reso il problema di Trieste, e dell'Adriatico scottante. Leggi l'accluso rapportino riguardante il mio secondo colloquio con Halifax 3 . Vedrai come ho pure insistito perché gli inglesi si rendano finalmente conto che i loro interessi non coincidono perfettamente con quelli jugoslavi. Ma, purtroppo, come tu stesso scrivi, le cose si mettono assai male da quel lato. La morte di Roosevelt, per di più, ci priva di un uomo sensibile agli argomenti nazionali ed umani. Si può ora se Churchill non riprende altezza -cadere in una soluzione gordiana, a base d'interessi non nostri, di tranquillità generale -anche se precaria -di sacrifici da consentire (tipo Polonia) e specialmente da parte degli ex-nemici ecc. Insomma, soluzioni alla militare e alla totalitaria.

Mi batterò anche contro questo, evidentemente, sperando che intanto non precipitino fatti compiuti che sarebbero difficilmente rimediabili. Le assicurazioni su questo punto sono qui categoriche ma sono di parole, e di parole del tempo di Roosevelt.

Ti sono infinitamente grato delle fraterne espressioni di apprezzamento e di incoraggiamento che mi rivolgi. Puoi essere certo che compierò il mio dovere, come

I Vedi D. 124, Allegato. 2 Vedi D. 124. 3 Vedi D. 120.

168 nel passato, pronto a sottostare ad ogni sacrificio personale, perché il nostro paese possa onorevolmente rivivere.

P.S. 13 aprile. Si tratterebbe in pratica, di vedere se sia il caso -studiati gli accorgimenti e gli appigli giuridici opportuni -di domandare alle autorità che dirigeranno i lavori della Conferenza di San Francisco, un esame pubblico del caso dell'Italia, in base al progettato art. I cap. III di Dumbarton Oaks, che apre le porte a tutti i peace-loving States. Tale domanda, se arriva ad una discussione, può sollevare interventi favorevoli nell'Assemblea. Potremmo anche opportunamente sollecitarli. Vedi tu se sia utile tentare questa via. lo, personalmente, sono sempre per l'azione. Questo è un primo accenno. Studieremo qui meglio i particolari, come costà li studierete. Ma conviene far presto. Se sei d'accordo.

127

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1413/858. Londra, 14 aprile 1945 (per. il 20).

La notizia della morte di Roosevelt nella sua drammatica subitaneità ha colpito profondamente questa opinione pubblica dando luogo a manifestazioni di sincero cordoglio che vanno oltre le espressioni di prammatica in simili casi. La gravità delle condizioni di salute del presidente, ignota al gran pubblico eccetto per alcune voci, subito smentite, trapelate nella stampa americana all'epoca della conferenza di Y alta, era invece conosciuta da questo governo. Viene ora rivelato infatti che poco prima della conferenza Roosevelt aveva subito una grave operazione e che un secondo intervento chirurgico era previsto dopo il suo ritorno dal convegno. Appunto per timore di una improvvisa catastrofe Churchill aveva consigliato a Roosevelt, durante l'incontro di Yalta, di mettere per iscritto le sue idee circa l'assetto mondiale postbellico.

La notizia ha rattristato in modo particolare il primo ministro che al presidente era legato da legami di amicizia divenuti sempre più intimi nel corso del presente conflitto. La prima reazione di Churchill è stata di partire immediatamente per Washington onde presenziare ai funerali; in un secondo tempo tuttavia il rapido sviluppo delle operazioni militari in Europa e la sensazione che da un momento all'altro poss"ano prodursi avvenimenti decisivi che richiedano la sua immediata attenzione, hanno dissuaso Churchill dall'allontanarsi da Londra ed al suo posto è partito Eden che del resto già si stava preparando a raggiungere San Francisco.

Alla decisione originaria di Churchill di recarsi a Washington, dettata anzitutto da uno di quei generosi impulsi che caratterizzano il primo ministro, non erano d'altra parte estranee considerazioni di natura politica. La scomparsa di Roosevelt costituisce, nell'opinione dei più, uno di quegli imponderabili destinati ad avere una influenza decisiva sul corso della storia. È stato sempre evidente qui che l'azione personale del presidente era la maggiore determinante singola della politica estera americana. Con la sua scomparsa perdono ogni valore tutti i calcoli basati sulla ragionevole aspettativa che fino all'inizio del 1949, e probabilmente anche dopo tale data, l'enorme influenza degli Stati Uniti nei rapporti internazionali si sarebbe esercitata nel senso illuminato e progressista propugnato da Roosevelt.

Il timore, non mai completamente sopito in questo paese, che in un'epoca più

o meno prossima gli Stati Uniti possano ripetere l'errore del 1920 e ritornare ad un atteggiamento sostanzialmente isolazionista riaffiora oggi anche se nella stampa e nelle dichiarazioni ufficiali si sottolinea la promessa solenne di Truman di portare a compimento la politica del suo predecessore.

L'interesse che in un primo momento si era concentrato sulla figura dello scomparso si rivolge ora al nuovo presidente. Che uomo è Truman? ci si domanda, ed istintivo nasce il raffronto tra l'oscuro passato di questo machine politician per cui già eccessivo sembra il ruolo di vice presidente e le tremende responsabilità che la successione di Roosevelt comporta. La personalità di quest'ultimo era d'altronde tale che anche in avvenire essa costituirà il metro in base al quale verranno giudicati gli atti del suo successore. È prevedibile che, sopratutto nel campo dei rapporti internazionali, l'opera di Truman, di cui viene generalmente ammessa l'inesperienza in materia, sarà vincolata all'esecuzione del programma del presidente scomparso e resa ancor più ardua dalla generale aspettativa di quel «millennio» che Roosevelt aveva fatto balenare nei suoi discorsi sui four freedoms e nelle sue altre dichiarazioni ispirate ad un robusto ma forse troppo roseo ottimismo.

Qui ci si rende senza dubbio conto di tutto questo. E d'altra parte non si ignora l'esistenza in America di tendenze antagonistiche nei riguardi della Gran Bretagna avverse ai progetti di collaborazione internazionale, tendenze che soltanto l'abilità ed il personale prestigio di Roosevelt erano in grado di neutralizzare e dominare. L'ufficio di presidente degli Stati Uniti comporta un enorme potere, ma dipende esclusivamente dalla personalità del suo titolare se tale potere rimane praticamente inutilizzato nelle mani di un Coolidge oppure viene impiegato con conseguenze decisive da un temperamento dinamico del tipo Roosevelt.

I primi giudizi, naturalmente superficiali, concordano nel ritenere che purtroppo Truman appartiene alla prima categoria e che soltanto l'ironia del destino e le incongruenze della costituzione americana hanno improvvisamente chiamato questo oscuro ex-senatore del Missouri a parlare a nome degli Stati Uniti di fronte a Stalin e Churchill nei convegni dei Big Three. Tale compito è destinato a divenire sempre più arduo a mano a mano che con il rapido evolversi della situazione militare scompare il comune pericolo che finora aveva indotto i tre grandi alleati a far tacere, almeno in parte, i motivi di dissidio ed invece si accentua una progressiva frattura tra la società sovietica da un lato ed il mondo an~lo-sassone dall'altro.

Tutte queste considerazioni riaffiorano qui più o meno consciamente in ogni discorso e sono senza dubbio presenti ai dirigenti dell'Impero. Messo di fronte ad una situazione nettamente nuova e che non ha certo auspicato il governo inglese reagisce colla sua caratteristica capacità di adattamento cercando di coglierne sopratutto gli aspetti positivi. Già si delinea una valutazione degli eventi che sarebbe ingiusto considerare frutto di un calcolo deliberato, ma che d'altra parte mira realisticamente a porre rimedio alle conseguenze negative, da un punto di vista britannico, della scomparsa di Roosevelt.

In tale ordine di idee viene salutato qui con entusiasmo il proposito espresso da Truman di eseguire fedelmente i piani politici di Roosevelt. Si aggiunge però, e non senza ragione, che il solo uomo intimamente al corrente di tali progetti, almeno per quanto riguarda i rapporti internazionali, è Churchill.

«Nel formulare i suoi piani -scrive ad esempio in data 14 corr. il corrispondente diplomatico del Daily Herald-il presidente Roosevelt si è tenuto in stretto contatto col sig. Churchill. Si crede che il documento che egli ha lasciato (contenente i suoi progetti pèr la sistemazione postbellica) copra tutte le questioni essenziali, ma toccherà in gran parte al sig. Churchill di dare espressione a queste sue idee».

E il Daily Mai/ dello stesso giorno aggiunge:

«Harry Truman ha iniziato oggi la sua attività come presidente degli Stati Uniti telefonando a Whitehall per parlare col sig. Churchill. Un incontro a breve scadenza fra i due è considerato certo a Washington. Il nuovo leader dell'America è notoriamente ansioso di incontrare il primo ministro e di ricevere di prima mano i dettagli più completi circa i piani delle Nazioni Unite per la guerra e per la pace elaborati da Churchill e Roosevelt».

Da questi ed altri sintomi si rileva cioè che da parte inglese si sta facendo il possibile per mettere in evidenza il fondato convincimento che il vero esecutore testamentario della volontà di Roosevelt, il solo che ne conoscesse a fondo le idee e i progetti è Churchill. È d'altra parte innegabile che il primo ministro si trova ora nella privilegiata posizione di poter, non senza fondata ragione, invocare a sostegno delle proprie tesi la parola di Roosevelt facendosene interprete presso il suo successore. Ciò contribuirà senza dubbio notevolmente a facilitare un accordo su quei problemi, ad esempio quello coloniale, riguardo ai quali alcuni atteggiamenti ufficiali americani non riuscivano del tutto graditi ai conservatori inglesi. Inoltre è da prevedere che cessino certi interventi del governo di Washington negli affari dell'India e di altri paesi adesso che con la morte di Roosevelt verrà meno l'inframmettenza dei suoi rappresentanti personali e agenti più o meno ufficiali.

Le parti sono ora invertite nei rapporti tra i capi delle due grandi democrazie di lingua inglese. Mentre infatti Churchill si teneva ostentatamente in secondo piano rispetto a Roosevelt, giungendo al punto di dichiarare in un pubblico discorso che egli era soltanto «il fedele luogotenente del presidènte degli Stati Uniti», oggi è Truman che deve rivolgersi a Churchill per aiuto e consiglio ed è il primo ministro che solo può parlare a Stalin come il portavoce più autorizzato dell'alleanza dei popoli di lingua inglese.

Il centro di questo mondo che negli ultimi anni tendeva a spostarsi decisamente a Washington, e non per ultimo motivo grazie alla dinamica azione di Roosevelt, mi pare ora fatalmente destinato a tornare di nuovo a Londra dato anche l'enorme prestigio personale di Churchill. È evidente comunque che da parte inglese si farà il possibile per favorire una tale tendenza, appagando così il sentimento di orgoglio nazionale offeso, come anche di recente si rimproverava al governo in parlamento, dalla necessità per la Gran Bretagna di accontentarsi di un ruolo di «secondo violino». Il fatto che nessuno dei grandi convegni internazionali si sia svolto a Londra e che nei comandi supremi alleati in Europa e nel Pacifico gli americani abbiano i posti di primo piano non è che la conferma formale di una condizione di relativa inferiorità mal sopportata da questo paese.

Con la contemporanea scomparsa di Roosevelt e del pericolo mortale rappresentato dalla Germania che obbligava l'Impero a dipendere per la sua stessa esistenza dall'America, è verosimile che questo governo si valga di ogni circostanza atta a rafforzare la posizione di Londra come centro della politica mondiale e capitale della comunità dei paesi anglo-sassoni.

Pertanto ritengo doveroso richiamare l'attenzione di V.E. sul fatto che, a mio avviso, d'ora in avanti ancor più che per il passato l'iniziativa di questo governo avrà un'influenza determinante sulla politica della coalizione del popoli di lingua inglese nei confronti dei problemi europei ed in particolare di quelli che maggiormente interessano il nostro paese.

128

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2704/125. Mosca, 17 aprile 1945 1 (per. ore 11,40 del 19).

Telegramma di V.E. n. 113 2 mi è giunto qui poche ore prima della partenza maresciallo Tito altrimenti avrei potuto chiedere parlarne direttamente a lui. Questo ambasciatore Jugoslavia è partito per San Francisco qualche giorno addietro.

Ho in ogni modo comunicato contenuto telegramma per quanto concerne incidente Roma a questo incaricato d'affari jugoslavo con il quale ho pure ottimi rapporti personali. Mi ha assicurato avrebbe subito telegrafato. Segnalo a V.E. opportunità continuare informare Belgrado risultati inchiesta per mio tramite. Della opportunità stabilire rapporti diretti fra Italia e Jugoslavia avevo già parlato a titolo personale a Subasic data sua impostazione conversazione di cui al mio telegramma 124 3 , esprimendomi più o meno nei termini del telegramma di V.E. Sempre parlando a titolo personale avevo anche espresso opinione che probabilmente sarebbe stato più utile per i due paesi trattare tutte le questioni di comuni interessi direttamente piuttosto che attraverso mediatori.

Quanto alla ripresa dei rapporti diretti Subasic mi aveva risposto che fino ad ora governo jugoslavo, non avendo avuto nessun sentore di simile desiderio governo italiano, non era stato in grado esaminare questione. Quanto alla questione pendente, premettendo anche lui che parlava a titolo personale, mi ha risposto che esperienza ultimi 25 anni, anche del periodo precedente fascismo, lo faceva dubitare circa preferenze da darsi trattative dirette.

Parlando con questo incaricato d'affari jugoslavo e riferendomi mia conversazione Su basic di cui. egli era al corrente gli ho detto che ero ora in grado parlare nostri desideri e opportunità stabilire rapporti diretti non più a nome mio personale

l Inviato il 18 aprile, ore 19,04.

2 Vedi D. 122.

3 T. 2705/124 del 17 aprile: richiesta a Subasié dell'autorizzazione ad inviare in Jugoslavia un delegato della Croce Rossa italiana.

ma a nome R. governo. Mi ha promesso avrebbe immediatamente telegrafato Belgrado. Impressione che ho riportato da conversazione con Su basic è che jugoslavi si sentono da ogni parte sicuri del fatto loro per quanto concerne nostre frontiere orientali e che non hanno ripeto non hanno particolare desiderio trattare questione direttamente con noi, ritenendo non aver nulla da guadagnarci.

Per ovvie ragioni mi riservo riferire a V.E. per corriere circa impressioni ed informazioni che ho potuto raccogliere sull'argomento in questi ultimi mesi. Mia impressione è che nel complesso disposizioni siano in tutte le direzioni per noi assai poco favorevoli.

Nel corso conversazione Subasic egli ha insistito più volte su pessima impressione su opinione pubblica jugoslava affare Roatta che aveva fatto nascere molti dubbi su vere disposizioni italiane. Circa nostro desiderio normalizzazione rapporti con Jugoslavia avevo già parlato a questo governo in base alle istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 32 del 30 agosto u.s. 1: sono tornato sull'argomento a più riprese di mia iniziativa ma non ho avuto fino ad ora altro che vaghe espressioni compiacimento. Comunque tornerò a parlare sull'argomento telegrafando.

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IL CAPO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 17 aprile 1945.

Risultava a questo mm1stero che gli ambienti greci presso la Commissione Consultiva per l'Italia si erano espressi favorevolmente ad una possibile ripresa di relazioni con l'Italia, tanto che il signor Exindaris, rappresentante presso la predetta Commissione Consultiva, avrebbe detto di aver avuto istruzioni di assecondare ogni approccio italiano in tal senso 2•

È stato incaricato il comm. Lodi-Fé di prendere contatto con il signor Exindaris con il quale manteneva relazioni amichevoli.

Il comm. Lodi-Fé ha riferito di non aver avuto dal colloquio con il signor Exindaris una conferma delle voci suddette. È esatto che il rappresentante greco si sia mostrato di massima molto disposto ad aiutare per una ripresa delle relazioni ma ha soggiunto che dopo la formazione del nuovo governo greco egli non era in grado di sapere quali fossero le intenzioni dell'attuale governo, tanto più che il ministro degli Esteri greco si trovava in viaggio per San Francisco. Il ministro Exindaris ha quindi detto che si riservava di intrattenere il suo governo su una possibile ripresa di relazioni con l'Italia in occasione del suo prossimo viaggio ad Atene.

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 380.

2 Così un rapporto di fonte confidenziale del 27 marzo, trasmesso dallo Stato Maggiore Generale, Ufficio Informazioni, con N. 66837 del 9 aprile.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, CASATI

L. CONFIDENZIALE l/l057 1 . Roma, 18 aprile 1945.

Ritengo opportuno informarti che in un colloquio avuto stamane con S.E. l'ambasciatore Kirk, questi ha manifestato il suo vivo interessamento per i problemi del nord, accentuando che, a suo parere, quello che sovratutto importava era che Alleati e governo fossero impegnati a mantenere l'ordine e a provvedere ai bisogni più urgenti della popolazione. Le controversie politiche dovrebbero seguire in un secondo tempo. Parlo, egli aggiunse, come amico dell'Italia, perché io so che se in America si avesse l'impressione che si svolgono o si preparano conflitti, che la stabilità dell'ordine sia in pericolo, che aspri dissensi di carattere politico dividano così la nazione, da mettere in dubbio la sua maturità democratica, l'Italia perderebbe nell'opinione pubblica americana tutta quella considerazione che ha guadagnato dall'armistizio in qua e sotto il presente governo. A vendo egli qui accennato alla convenienza di dare un'impressione di forza e di autodisciplina, la quale s'incarna nel nostro popolo in armi e combattente, io ribadii che la disposizione delle forze militari dipende dal Comando alleato e che, se ero bene informato, il ministro della Guerra incontrava difficoltà anche nella stessa Roma. Replicò che egli non s'era mai incontrato in una proposta precisamente formulata dalgoverno italiano -e che se ne avesse avuto notizia, egli sarebbe andato apposta al Gran Quartier Generale per appoggiarla con tutte le sue forze. Ricordò poi confidenzialmente che anche il defunto Roosevelt s'interessava dell'Italia sopra tutto per la sua forza lavoratrice, di cui negli Stati Uniti aveva sotto gli occhi una magnifica prova e che l'America appunto era a vantaggio del popolo italiano lavoratore che s'interessava dell'ordinato suo sviluppo.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

L. PERSONALE SEGRETA 3/600. Roma, 18 aprile 1945.

Le parlai rapidamente a voce di alcune questioni di frontiera fra Italia e Francia. Le accludo in proposito un appunto brevissimo e una carta 2• Non sembra effettivamente improbabile che codesto governo possa ad un certo momento toccare l'argomento delle «terre di caccia» ed è detto nell'appunto che in

1 La lettera fu inviata, per conoscenza, a Bonomi. 2 Non pubblicata.

questo caso potrebbe da parte nostra richiedersi una contropartita e si specifica quale. È altresì fatto cenno ad una eventuale più larga richiesta francese di rettifica, che includa tutta la val Roja, dal colle di Tenda a Ventimiglia.

Le trasmetto appunto e carta al solo scopo di informarla succintamente dei termini della questione e perché ella sappia, grosso modo, quale è in proposito il nostro punto di vista.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

APPUNTO. Roma, 18 aprile 1945.

Il confine fra l'Italia e la Francia fissato nel 1815 al Congresso di Vienna e successivamente modificato in parte con la Convenzione del 1860-61, all'atto della cessione del Nizzardo e della Savoia alla Francia coincide con la displuviale alpina lungo tutto il tratto da monte Dolent (punto triconfinale tra Italia, Svizzera e Francia) al passo di Collalunga ma a partire da questo punto si distacca sensibilmente dalla displuviale e raggiunge il mare seguendo un illogico andamento che lascia:

a) all'Italia le cosiddette «Terre di caccia» (Km2 225 di terreno povero -500 abitanti). Esse hanno il naturale loro sbocco non già verso il Piemonte, da cui le separa la dorsale alpina, ma verso la Francia (Nizza);

b) alla Francia il cosiddetto «saliente di Saorgio» (Km2 180 -5.000 abitanti) costituito dalla parte centrale del bacino del Roja. Interposto fra l'alta e bassa valle italiana, questo saliente, ostacola lo svolgersi delle normali correnti di scambio fra il Piemonte sud occidentale e Ventimiglia -suo naturale sbocco al mare -lungo le due comunicazioni, rotabile e ferrovia, che percorrono val Roja. Merci e viaggiatori o devono seguire l'itinerario di Savona, con un percorso più che doppio e quanto mai disagevole, o sottostare alle pastoie burocratiche del doppio transito di confine.

Evidentemente anche le località di Saorgio e di Breglio troverebbero più brevi e facili collegamenti verso Ventimiglia situata allo sbocco della stessa valle, anziché, come ora, verso . Nizza che può essere raggiunta soltanto attraverso due passi montani (colle Brouis e colle Braus) con un percorso doppio.

Tale illogica situazione potrebbe essere eliminata con uno scambio tra le «Terre di caccia» ed il «saliente di Saorgio» e, qualora la disparità di valore tra le due parti da scambiare rendesse inattuabile tale soluzione, si potrebbe anche accettare, come contropartita delle Terre di caccia, la cessione all'Italia del fianco orientale di val Roja e la libera disponibilità della rotabile e della ferrovia o, più semplicemente ancora, la libera disponibilità di dette comunicazioni nel loro sviluppo in territorio francese.

Comunque, non sembra opportuno da parte nostra sollevare la questione, ma si è ritenuto necessario richiamare su di essa l'attenzione, non essendo da escludere che la Francia tenda a risolverla a proprio vantaggio richiedendo l'annessione di tutta la val Roja dal colle di Tenda a Ventimiglia.

Questa soluzione sarebbe:

-iniqua perché amputerebbe dal corpo dell'Italia una città italianissima sotto tutti i punti di vista (storico-geografico-etnico, ecc.);

-più assurda dell'attuale perché frapporrebbe definitivamente una barriera doganale fra Ventimiglia ed il suo retroterra (Cuneo);

-militarmente molto dannosa perché annullerebbe ogni efficienza della organizzazione difensiva in atto e ci costringerebbe ad organizzarne una nuova in posizione molto arretrata che lascerebbe scoperto il bacino della Nervia e aperte a pericolose infiltrazioni le testate del fiume Tanaro e del Taggia.

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IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. 4001/EC. Roma, 18 aprile 1945.

You will remember that in the Aide-Memoire left with you on 24 February by Mr. Macmillan and myself 1 paragraph 3 required on the ltalian Govemment that it keep the Allied Commission informed of any negotiations in which it might engage with other govemments, and it was suggested that a periodic summary should be fumished of ali negotiations completed and pending with other governments.

While it is understood that your Govemment accepted this proposa1, this Commission has in fact never been informed of any such negotiations, nor has it received the suggested summary.

I therefore would ask you, my dear Prime Minister, to give this matter your attention so that I may be kept promptly informed of negotiations in line with paragraph 3 of the above-mentioned Aide-Memoire, and to give your confirmation of your acceptance of this procedure 2•

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE 3 . Washington, 18 aprile 1945.

Per alleggerire il tuo lavoro ti faccio qui un breve sunto delle più importanti notizie ed informazioni.

Come ti accennavo nella mia precedente 4 , Truman mostra di voler fare una politica più strettamente americana e conservatrice di Roosevelt. Mando col

l Vedi D. 68.

2 Comunicata a De Gasperi dal segretario particolare di Bonomi con L. urgente 335 con preghiera di rispondere subito a Stone: vedi D. 158.

3 Autografa.

4 Vedi D. 126.

corriere autorevoli apprezzamenti in tal senso. La borsa di New York continua a salire: segno di maggior fiducia delle classi abbienti nelle direttive del presidente. Personalità informate dicono che Truman non ha certo la statura nazionale e internazionale di Roosevelt, ma che-appoggiandosi fermamente sul Congresso, che è nazionalista e conservatore -può dare maggior forza e peso all'influenza americana sugli eventi mondiali. Truman ha dichiarato ad intimi di non voler viaggiare fuori degli Stati Uniti con evidente accenno ad esigenze che qui sono sempre state mal sopportate. Si accettavano a fatica nei momenti oscuri della guerra, ora non se ne vuol più sapere. Poiché anche Stalin non ama i viaggi all'estero, si potrebbe prevedere una più ampia influenza di Churchill e quindi della diplomazia britannica.

Naturalmente questa vivace ripresa di spiriti nazionali può condurre alla lunga ad una nuova crisi di «isolazionismo» almeno rispetto all'Europa; specie se le difficoltà dovessero divenire costà troppo grosse ed inestricabili. C'è gia anche nei latino-americani un notevole ragionalismo continentale ch'io qui cerco di agganciare all'Europa latina, al fine di assicurare, per quanto è possibile in questo sconvolto mondo, la nostra conservazione.

San Francisco, come ti ho già scritto, ha l'aria di aprirsi in piena crisi d'idee generali e di rapporti politici particolari. Il dominio dei Big Three è fortemente risentito in tutti i campi dalla massa delle piccole e medie nazioni. Anche nella questione del ricorso obbligatorio alla Corte internazionale per le divergenze e i conflitti, la Russia è contro, l'Inghilterra quasi contro, gli Stati Uniti indecisi, l'America latina, con alcune piccole nazioni europee e due dominions, per ora, (Canada e Nuova Zelanda) sono a favore. Strano a dirsi, la Grecia è contro, e in posizione più avanzata dell'Inghilterra. Questo è un caratteristico eloquente esempio degli umori che si delineano. V'è poi la questione Argentina-Polonia, abbinata dalla Russia, che dà serie preoccupazioni.

Faccio il possibile perché il caso Italia non sia dimenticato dai nostri amici a San Francisco. Anche localmente qualcosa in questo senso sarà fatto, se le circostanze lo permetteranno e non saranno a noi decisamente contrarie, cosa che finora non appare verosimile.

Trieste è sempre più il punto dolente d'Europa. Cerco di spiegarlo a quanti più posso. Le ultime dichiarazioni di Tito, a Mosca, sono assai allarmanti, sebbene abbiano l'aspetto più di un sondaggio che di un categorico proposito, le opinioni straniere, occupate e preoccupate da tante faccende, non reagiscono quasi. C'è purtroppo chi pensa che l'Italia debba avere, meritandosela per i delitti fascisti, qualche punizione. Può darsi anche che in alcuni ambienti alleati si veda con non eccessiva apprensione una occupazione permanente jugoslava (o semplicemente panslava) di Trieste, giocando su un tale elemento, come fonte d'irriconciliabile inimicizia tra Italia e Russia, e quindi come antidoto ad una bolscevizzazione del nostro paese, assai temuta qui e a Londra.

Nei prossimi giorni vi saranno riunioni -preliminari alla Conferenza -dei ministri degli esteri dei Big Five con Truman. Vedremo che ne nascerà. Ti terrò al corrente di ogni particolare rivelatore che potrò conoscere.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINJ

T. 1995/c. Roma, 19 aprile 1945, ore 19.

Attiro la sua attenzione sulle dichiarazioni da me fatte ieri in Consiglio dei ministri sui rapporti italo-jugoslavi, di cui all'odierno telegramma stampa 1 .

Il punto di vista italiano in materia vi è chiaramente e pubblicamente esposto.

Il governo italiano ritiene che le relazioni fra i due paesi debbano essere poste su un piano più alto delle quotidiane polemiche e dei casuali incidenti. Ed ella sa dal mio telegramma del 12 corr. (per Londra n. 106, per Washington n. 44, per Mosca n. 113) 2 , che una concreta, preliminare iniziativa in proposito è in corso.

Il governo italiano è d'avviso che le questioni controverse fra i due paesi non possono essere pregiudicate in nessun caso da elementi o situazioni contingenti, ma dovranno essere invece affrontate quando le passioni di guerra saranno spente e i due governi avranno dietro di sé l'autorità e il peso che soltanto può loro derivare dalla liberazione di tutto il territorio nazionale e dalla volontà liberamente espressa dal popolo, in conformità ai diritti e agli interessi della nazione.

I T. 1998/c. con data errata 21 aprile, non pubblicato. Cfr. il seguente brano del comunicato pubblicato dai giornali circa la riunione del Consiglio dei ministri del 18 aprile: «Egli ha particola1mente informato il Consiglio circa il recente incidente provocato dallo scoppio di una bomba nei pressi della sede romana della missione partigiana jugoslava e le sue ripercussioni oltre frontiera. La bomba è, com'è noto, scoppiata nel giardino di un istituto religioso a una quarantina di metri dalla sede predetta e non ha provocato vittime, ma soltanto trascurabili danni. Resta di conseguenza incerto l'effettivo bersaglio contro il quale la bomba era in realtà diretta. Il Consiglio si è comunque associato all'unanimità alle parole di viva deplorazione pronunziate al riguardo dal ministro degli Esteri ed ha riaffermato che, qualora responsabilità italiane venissero accertate, esse sarebbero severissimamente represse. S.E. De Gasperi ha posto quindi in rilievo come l'incidente -la cui portata è risultata limitata dagli accertamenti sinora effettuati in proposito -ha dato tuttavia luogo a manifestazioni di stampa e di opinione che ritardano e turbano quell'opera di riavvicinamento e di chiarificazione fra l'Italia e la ·Jugoslavia che il governo italiano ritiene necessaria nell'interesse comune ed europeo ed ha espresso la speranza che da questa realistica constatazione possa nascere piuttosto che un'ulteriore ragione di contrasto, un reciproco incentivo a porre le relazioni fra i due paesi su un piano più alto delle polemiche di stampa e di eventuali incidenti casuali e che renda concretamente possibile il riavvicinamento e l'intesa. A seguito dell'esposizione del ministro degli Esteri il Consiglio dei ministri ha constatato che le questioni controverse esistenti fra Italia e Jugoslavia non potrebbero essere utilmente affrontate, mentre le forze democratiche antifasciste italiane e jugoslave (che hanno ambedue saputo mettere in campo anche eroiche organizzazioni partigiane) tuttora combattono e devono continuare a combattere insieme per la liberazione dei loro paesi dallo stesso aggressore e nemico. Sono questioni la cui soluzione non

può venir pregiudicata da nessun elemento e da nessuna situazione contingente, ma decise dalla volontà

comune dei due popoli in vista del fine supremo da raggiungere che è la pace duratura e la sincera e

leale collaborazione tra le due nazioni. Il Consiglio dei ministri ha riaffermato che con questo spirito il

governo italiano desidera fermamente instaurare rapporti di-mutua comprensione e di buon vicinato

con la Jugoslavia, in modo che gli animi e gli spiriti siano reciprocamente preparati a quelle intese che

potranno, d'accordo con i grandi Alleati, inquadrarsi nella pace futura ed essere concretate quando i

supremi organi costituzionali elettivi nei due Stati potranno decidere in conformità dei diritti e degli

interessi nazionali ed insieme della necessità di un'intesa fra i due paesi e nello spirito di un effettivo

rinnovamento democratico del mondo».

2 Vedi D. 122.

Ella vedrà altresì che il nostro desiderio d'intesa con la Jugoslavia è ripetutamente ed esplicitamente sottolineato.

Attiri, la prego, l'attenzione di codesto governo su tali dichiarazioni, ch'ella vorrà illustrare, soprattutto insistendo sulla necessità di precludere ogni possibilità di soluzioni affrettate, unilaterali e violente e sulla conseguente convenienza di lasciare che il tempo e gli avvenimenti maturino.

È superfluo dica a lei che una delle direttive fondamentali della nostra politica interna ed estera è quella di soffocare e spegnere ogni estremismo nazionalistico che ha condotto noi alla rovina e l'Europa ai margini del collasso. Ed è questa, a nostro avviso, una direttiva che deve, se veramente si vuole evitare il riaccendersi di pericolosi focolai di infezione, generalizzarsi e diventare europea.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. PER CORRIERE 2005. Roma, 19 aprile 1945, ore 16.

Telegramma di V.E. n. 017 1•

Confermando quanto già da V.E. fatto presente a codesti rappresentanti Stati America latina, pregola espressamente sottolineare con essi profondo rammarico governo italiano per non aver potuto fin qui inviare suoi rappresentanti in detti Stati nonostante vivissimo desiderio riallacciare praticamente relazioni già da tempo riprese.

V.E. -vorrà opportunamente illustrare necessità risolvere complesse questioni relative riorganizzazione nostro personale diplomatico e difficoltà di carattere materiale, inerenti trasporti, finanziamenti, ecc. che hanno fin qui rappresentato ostacolo forza maggiore ora in via superamento. V.E. -vorrà aggiungere che quasi tutte rappresentanze sono attualmente completate e richiesti relativi gradimenti per alcuni dei quali si attende risposta. Nei prossimi giorni partirà rappresentanza Brasile ed altre seguiranno non appena potranno venire predisposti opportuni mezzi trasporto. R. -governo non dubita che tali involontari ritardi siano intesi nello spirito di quei caldi e cordiali sentimenti di amicizia e comprensione manifestati da parte Stati America latina all'atto del ristabilimento relazioni diplomatiche.

1 T. per corriere 2340/017 del 23 marzo, con il quale Tarchiani aveva riferito del disappunto di alcuni governi latino-americani per la mancata tempestiva nomina dei rappresentanti diplomatici italiani.

136

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2759/54-55. Washington, 19 aprile 1945, ore 20,30 (per. ore 14,45 del 20).

Mio telegramma per corriere n. 18 1 , mio telegramma n. 202•

Ho continuato intrattenere Dipartimento di Stato su questione Venezia Giulia conformemente telegramma di V.E. n. 15 3 . Al riguardo mi è stata oggi fatta la seguente precisa comunicazione verbale: Dipartimento di Stato era interessato di conoscere nostri punti di vista e considerazioni sull'argomento, il quale non da ora aveva richiamato la sua attenzione e veniva seguito. Alla questione si sarebbe continuato a dedicare la massima attenzione «closest attention». Gli U.S.A. faranno «tutto quanto sta nelle loro possibilità». Conformemente alle direttive generali riguardo tutti i territori contestati, si vuole qui prevenire ogni «azione unilaterale» che possa pregiudicare la sistemazione definitiva che verrà data alla questione.

Nessun mutamento è intervenuto per quanto concerne la nota comunicazione fatta vario tempo fa da codesta Commissione Alleata secondo la quale «l'autoFità dell'A.M.G. (dico A.M.G.) sarebbe stata estesa ai territori liberati sino alla frontiera del 1939».

Assicuro V.E. mio continuo interessamento.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. PER CORRIERE 2021 /C. 4 . Roma, 20 aprile 1945, ore 11.

L'ambasciatore Couve de Murville assicura che le preoccupazioni manifestategli da parte nostra circa l'eventuale ingresso di truppe francesi in Italia sono quasi certamente senza fondamento.

Se truppe francesi entreranno in Italia, vi entreranno non per procedervi a operazioni militari e tanto meno ad occupazioni, ma soltanto di passaggio verso l'Austria, un settore del cui territorio sarà loro affidato.

Quanto precede è stato, a detta dell'ambasciatore, definitivamente concretato nei recentissimi colloqui fra il maresciallo Alexander ed il generale Juin.

I Indicazione errata. 2 Vedi D. 114. 3 Vedi D. 104. 4 Il telegramma venne inviato, per conoscenza, a Tarchiani e Carandini.

Mi si assicura da altra fonte che nei predetti colloqui il maresciallo Alexander avrebbe molto nettamente esposto al generale Juin le ragioni che sconsigliano l'ingresso di truppe francesi in Italia, se non, appunto, a solo titolo di passaggio.

Quanto precede per informazione della E.V. e possibile controllo.

138

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. RISERVATO PER CORRIERE 3011/046. Washington, 20 aprile 1945 (per. il 28).

Mio rapporto n. 1109/180 del 13 c.m. 1 e telegramma per corriere n. 017 2 .

Come ho già riferito a V.E. tutti i locali rappresentanti dei Paesi latino-americani, coi quali mi sono finora intrattenuto, mi hanno espresso il più caloroso attaccamento per l'Italia ed il desiderio di poter fare qualche cosa in suo favore, qualora se ne presentasse l'occasione a San Francisco.

In particolare gli ambasciatori del Cile e del Venezuela (mio rapporto 690/116 del 29 marzo u.s.) 3 , ricevute le istruzioni sollecitate dai propri governi, ebbero già a far presente tempo fa al Dipartimento di Stato l'opportunità che l'Italia fosse presente a San Francisco, almeno con propri «osservatori ufficiali».

In questi ultimi giorni son venuti a trovarmi gli ambasciatori dell'Equatore, di Cuba e dell'Uruguay. Il rappresentante equatoriano mi ha detto di aver avuto istruzioni da Quito di agire, a suo giudizio, affinché l'Italia sia ammessa al più presto tra le Nazioni Unite. Mi ha assicurato ripetutamente che non avrebbe mancato di far quanto possibile a San Francisco in nostro favore, riconoscendo anche l'importanza di rafforzare la nuova Italia democratica e di riportarla nel solco di una attiva cooperazione internazionale.

L'ambasciatore di Cuba tornato recentemente dall'Avana, mi ha assicurato che il presidente di quella Repubblica gli aveva dato le istruzioni, nel senso più favorevole ad una politica di appoggio per l'Italia. Farà a San Francisco del suo meglio per rendere possibile ed utile una manifestazione a noi favorevole, se se ne presentasse l'occasione.

L'ambasciatore dell'Uruguay mi ha detto spontaneamente che la delegazione del suo Paese non mancherà di darci ogni possibile aiuto a San Francisco. A suo giudizio, potremmo contare sull'appoggio di almeno dodici-quindici Stati latino-americani.

L'ambasciatore del Messico, che è anche decano del corpo diplomatico, mi ha anche egli affermato che svolgerà a San Francisco azione in nostro favore.

l Vedi D. 124. 2 Vedi D. 135, nota l. 3 Vedi D. 109.

Gli ambasciatori vari Stati centro-americani (Costarica, Guatemala, Honduras e Salvador) mi hanno del pari comunicato di aver chiesto istruzioni ai propri governi per appoggiarci a San Francisco e si sono dichiarati convinti che avranno risposte affermative. Tra l'altro il ministro degli Esteri del Guatemala, dott. Torriello, sarebbe di origine italiana.

Favorevoli assicurazioni hanno anche dato altri rappresentanti latino-americani (Bolivia, Paraguay, San Domingo).

In conclusione sembrerebbe che, date anche le recenti prove degli Stati latino-americani, sia alla Conferenza del Messico, sia a quella per la Corte di Giustizia internazionale di Washington, di presentarsi in blocco compatto nelle tesi da esse sostenute, ci possa essere da quel lato a San Francisco, per il caso italiano, qualche prospettiva.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO

L. 3/636. Roma, 21 aprile 1945.

È stato riferito da ottima fonte 1 che oggetto principale della missione del signor Flynn era quello di conoscere il pensiero del Santo Padre su di una eventuale iniziativa degli Stati Uniti di promuovere la concessione di garanzie internazionali allo Stato della Città del Vaticano. Si assicura altresì che da parte del rappresentante diplomatico irlandese presso la Santa Sede, signor Kiernan, è stato suggerito di far presente anche da parte irlandese che si condividevano le apprensioni e l'opinione dei cattolici americani, i quali specialmente attraverso mons. Spellman avevano ottenuto l'invio di Flynn con tale proposta. Nell'avanzare il predetto suggerimento, Kiernan ha certamente tenuto conto del fatto che il presidente De Valera, personalmente, si è sempre dichiarato caldissimo assertore della necessità di cautelare il Vaticano da futuri eventi politici e bellici con precisi accordi d'ordine internazionale.

Il nunzio in Irlanda, interpellato in proposito, avrebbe risposto che non aveva ricevuto dalla Segreteria di Stato nessuna indicazione che gli permettesse di stabilire le intenzioni della Santa Sede, e quindi non era in grado di fornire alcun avviso circa l'accoglienza che avrebbe avuto un'eventuale iniziativa del governo dell'Eire nel senso suggerito dal signor Kiernan. A titolo personale ha aggiunto, che in mancanza di elementi di giudizio adeguati egli non poteva far altro che riferirsi al discorso tenuto dal Pontefice Pio XI in occasione della stipulazione del Trattato del Laterano ed agli argomenti ivi esposti per considerare inopportune delle garanzie internazionali.

Da parte del segretario generale del ministero degli Esteri irlandese, che anche egli condivide il pensiero di De Valera, sarebbe stato vivamente insistito presso il nunzio perché prospettasse al Vaticano il punto di vista del governo irlandese, il

l Vedi D. l 13.

182 quale però non svolgerebbe nessuna azione prima di sapere di far cosa gradita al Santo Padre.

Sin qui le nostre informazioni, le quali hanno carattere assolutamente segreto, soprattutto nei confronti del Kiernan, che ha, come tu sai, innumerevoli amici alla Segreteria di Stato e finisce col saper molte cose.

Tu ricorderai certamente la conversazione Visconti Venosta-Montini del settembre scorso 1• Dovresti cercare, se ti è possibile, di appurare che cosa ci sia di esatto in proposito, sia per quanto riguarda la missione Flynn, sia per quel che concerne il suggerimento del signor Kiernan, e, in generale, circa l'azione che sarebbe stata intrapresa in questo senso dal ministero degli Esteri irlandese. Naturalmente quel che ci interessa molto è di avere conferma di quanto mons. Montini ebbe già ad asserire al marchese Visconti Venosta: cioè che questioni del genere non saranno poste sul tappeto adesso e, se lo saranno, lo saranno per il nostro tramite 2 .

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

Mosca, 21 aprile 1945 (per. il 12 maggio).

Il viaggio del generale de Gaulle a Mosca ha avuto luogo in un momento in cui come è noto a V.E. non avevo alcuna comunicazione né telegrafica né altra con il ministero. Ritengo quindi mio dovere, sia pure con grande ritardo, dare a

V.E. qualche impressione sull'argomento 4 .

La posizione personale del generale de Gaulle ha avuto qui degli alti e dei bassi. In un primo tempo è stata una delle figure meglio accettate del mondo intiero: nei suoi periodi più difficili il governo sovietico gli si è mostrato sinceramente amico. Dal momento dello sbarco anglo-americano in Nord Africa i rapporti hanno cominciato a raffreddarsi: ha molto nociuto alla sua posizione qui il fatto che egli abbia avuto per molto tempo quale suo ministro degli Esteri Massigli a cui non si sono mai perdonate le sue trattative con la Turchia all'epoca della prima guerra russo-finlandese e della cui marcata anglofilia si diffidava apertamente. Prevaleva d'altra parte qui l'opinione, nonostante gli entusiasmi della stampa per i partigiani francesi, che la Francia liberata si sarebbe trovata materialmente e moralmente in sfacelo e comunque in condizioni tali da non rappresentare, per molto tempo almeno, un elemento effettivo nella politica europea.

l Vedi serie decima, vol. I, D. 424.

2 Per la risposta vedi D. 162.

3 I rapporti da Mosca furono protocollati al momento della spedizione senza tener conto delle loro date (vedi, ad esempio, questo documento e i DD. 141, 143, 144, 145).

4 Il viaggio ebbe luogo nel dicembre 1944 e il trattato franco-sovietico fu firmato il l O dicembre.

La rapidità della liberazione del territorio meridionale, la prontezza con cui si è riorganizzato in Francia un governo efficiente, l'autorità ed il prestigio di cui si è trovato a godere il generale de Gaulle di fronte al Paese, hanno nello spazio, si può dire di pochi giorni, capovolta la situazione: ha soprattutto fatto impressione qui la sicurezza con cui si è proceduto in Francia al disarmo dei partigiani: per cui un atto, sostanzialmente contrario a tutti i principi di Mosca, quando si tratta di Europa (in Russia i reparti partigiani venivano immediatamente disciolti non appena i territori dove essi operavano erano liberati dall'esercito rosso) è stato dalla stampa sovietica passato come un semplice fatto di cronaca.

Le voci corse nella stampa internazionale in merito ad un patto atlantico, sotto l'egida dell'Inghilterra, nel cui quadro, nonostante le smentite di questa ambasciata di Francia, si tendeva qui ad interpretare Io scambio di visite fra Parigi e Londra, avevano forse gettata una nuova ombra sui rapporti franco-sovietici, per cui l'annuncio della visita a Mosca del generale de Gaulle è stato accolto qui con un certo riserbo e sia da parte russa che da parte francese si era molto incerti circa le possibilità di successo dell'incontro. Qualche calcolata sfumatura protocollarequi si è giunti nel maneggio del cerimoniale a delle virtuosità da fare invidia al Vaticano-al suo arrivo e nei primi due giorni del suo soggiorno qui sono state intese a mostrare a tutti il riserbo sovietico.

L'accettazione da parte del generale de Gaulle del patto quale esso era stato proposto dai Soviety ha immediatamente mutato l'atmosfera.

In sé il patto franco-sovietico è -con qualche sfumatura dovuta alle differenti circostanze -per la sua parte politica, calcato, come del resto tutti i patti susseguenti, sul famoso patto russo-britannico, che resta il prototipo. Ma, se le parole restano le stesse, lo spirito di questi patti, specialmente nella interpretazione sovietica, è ben differente. Alla fine del 1944 era ben chiaro che la Germania sarebbe uscita da questa guerra con le ossa rotte per un periodo ben superiore ai 20 anni previsti dal trattato. La possibilità per la Germania di rimettersi sufficientemente in gamba per una nuova aggressione era, sia pure teoricamente, prevedibile solo nel caso che qualche terza Potenza si mettesse a profondere a piene mani i mezzi per rimettere in piedi la Germania e, questa Potenza non potrebbe essere altro che· l'Inghilterra o l'America o tutte e due. Le stipulazioni concernenti la repressione dell'aggressione tedesca non significano, in pratica, altro che un impegno da parte delle due Potenze ad opporsi concordemente a qualsiasi politica di terzi Stati diretta al risollevamento della Germania.

Quanto all'art. 2 esso non poteva essere altrimenti interpretato che come un impegno da parte della Francia a rinunciare a qualsiasi partecipazione al Patto Atlantico quale previsto dall'Inghilterra. Da 27 anni a questa parte è stata pratica costante dell'U.R.S.S. di considerare come diretto contro di lei qualsiasi accordo fra due o più Potenze di cui essa non sia parte o che non sia fatto sotto la sua egida espressa: e questa pratica negli ultimi anni non ha avuto certo la tendenza a diminuire, anzi ... E siccome un Patto Atlantico senza la Francia non è praticamente realizzabile, così qui a Mosca si era persuasi di avere difinitivamente sventato ogni tentativo inglese in questo senso.

Da parte russa si è dichiarato di non aver nulla in contrario per quanto concerne l'U.R.S.S. a che le frontiere francesi venissero spostate ad Occidente fino alla riva sinistra del Reno, includendo anche una buona fetta del Baden, sulla destra del Reno, fino alla frontiera svizzera, con espulsione della popolazione tedesca «che la Francia ritenga non suscettibile di assimilazione». Alternativamente l'U.R.S.S. si è dichiarata disposta ad appoggiare qualsiasi altra soluzione delle zone renane proposta dalla Francia. Si è pure impegnata ad appoggiare la richiesta francese di partecipare all'occupazione ed all'amministrazione della. Germania ed a partecipare, in genere, al Comitato consultivo per gli affari europei.

Secondo quanto poi mi è stato detto, la ragione di questa «alternativa» sarebbe da attribuirsi a divergenza d'opinioni sull'argomento fra il generale de Gaulle e il suo ministro degli Esteri. Il generale de Gaulle sarebbe stato piuttosto propenso a puntare su di una soluzione definitiva, assicurare cioè alla Francia in modo definitivo le frontiere al Reno. Il sig. Bidault conscio della pratica impossibilità di ottenere il consenso anglo-americano ad una simile soluzione, e riluttante a ingaggiare il suo Paese in una lotta aperta su questo punto avrebbe preferito una soluzione più moderata, ma più suscettibile di essere accettata da tutti. Non so quanto questa informazione sia fondata: sembrerebbe però, da quanto riporta la stampa sovietica almeno, che in ultima analisi sia piuttosto ora la seconda tesi a prevalere. In sé, a mio avviso, i russi continuano a preferire la tesi francese estrema, contando che essa contribuirebbe a legare in forma più definitiva la Francia alla politica sovietica.

La Russia vuole la morte definitiva della Germania, quindi chi vuole qualche parte della Germania, con relativa espulsione dei tedeschi, si faccia avanti, è il benvenuto. Così si è cercato di convincere l'ambasciatore del Belgio a reclamare Aquisgrana, e al rappresentante danese è stato ricordato che un tempo la Danimarca arrivava fino ad Altona, e che l'U.R.S.S. avrebbe appoggiato ogni reclamo danese ai danni della Germania (ambedue queste proposte non sembra abbiano incontrato molto favore, né in Belgio né in Danimarca). In ogni modo nei riguardi della Francia, con le promesse di appoggio "per quanto li concerne" ossia con riserva dell'approvazione anglo-americana, i russi hanno fatto un ottimo affare diplomatico: se la Francia avrà quello che richiede, sarà merito dei russi, se non lo avrà sarà colpa degli anglo-americani.

Da parte sua la Francia si è impegnata ad appoggiare le richeste polacche per la Prussia orientale per le frontiere all'Oder e alla Neisse -allora si aveva ancora l'aperta opposizione anglo-americana-con espulsione delle popolazioni tedesche, ad accettare la incorporazione all'U.R.S.S. della Prussia orientale fino a Koenigsberg. A seguito di che venivano convocati a Mosca i rappresentanti dell'allora governo polacco di Lublino e i governi francese e polacco procedevano allo scambio di «delegati plenipotenziari »: era questo il titolo che aveva qui il rappresentante francese fino al ristabilimento dei rapporti diplomatici con il governo francese.

Fin qui ho ragione di ritenere le mie informazioni esatte in quanto mi sono state date direttamente dal sig. Bidault e dal rappresentante francese e sostanzialmente confermate da parte sovietica.

Ho però ragione di ritenere che il generale de Gaulle abbia parlato anche della sua politica verso l'Italia e che, in sostanza, il riavvicinamento franco-italiano sia qui ben visto: ogni passo che Italia e Francia fanno sulla via dell'amicizia è riportato qui con evidente compiacimento dalla stampa sovietica: ed è marcatamente bene accolto al commissariato degli Esteri.

Sono particolarmente convinto che si sia parlato anche di Spagna: qui, come è noto, ce l'hanno a morte con il governo di Franco: ogni gesto amichevole che qualsiasi governo fa verso l'attuale governo spagnolo, ogni sua difesa sulla stampa, sono qui considerati come offesa personale-rilevo incidentalmente come l'invio di un ambasciatore italiano a Madrid sia stato oggetto di rilievi sarcastici da parte di Vyshinsky e di Dekanozov nelle loro conversazioni con me -. E ritengo quindi che qui si sia voluto avere qualche precisazione circa la politica francese verso Franco: non mi sembra si debba attribuire a semplice coincidenza il fatto che, subito dopo la firma dell'accordo franco-sovietico, è cominciato l'esodo in massa dei comunisti spagnoli, Passionaria in testa, da Mosca verso la Francia.

A mia impressione, il viaggio di de Gaulle a Mosca e gli accordi che ne sono seguiti, vanno considerati, almeno potenzialmente, come uno dei fatti politici più salienti dell'anno scorso: soprattutto in quanto l'intesa fra Parigi e Mosca costituisce, secondo me, l'unico elemento suscettibile di ostacolare, se non di fermare, il processo, altrimenti inevitabile, di divisione dell'Europa in due zone d'influenza, russa l'una, anglo-sassone l'altra, con tutte le conseguenze che ne possono derivare.

Ho detto potenzialmente poiché è tuttavia ancora lecito di dubitare se l'accordo franco-sovietico potrà avere la durata e gli sviluppi necessari.

Il comune desiderio di tenere la Germania definitivamente a terra è indiscutibilmente un potente elemento costante di contatto fra i due Paesi. I francesi, o per lo meno il generale de Gaulle, sono convinti che ai fini della sicurezza francese, per quanto concerne la Germania, contare sugli inglesi e sugli americani è una illusione. La sola potenza il cui intervento può eliminare il pericolo tedesco è la Russia. Ma è definita la politica russa nei riguardi della Germania? Mi sembra pericoloso l'affermarlo: oggi chiunque osi dire una parola in difesa del popolo tedesco, osi parlare di una pace non distruttiva è un agente fascista: ma nel 1943 la politica russa era differente: e il Comitato Libera Germania continua qui la sua esistenza misteriosa in un curioso connubio fra un comunista, Weinert, e uno junker della più bell'acqua, il generale von Seydlitz. Quale sarebbe domani l'atteggiamento della Russia di fronte ad una Germania «veramente democratica»? E chi giudicherà di quando la Germania sarà diventata veramente democratica? La Russia non reclama per sé che poca cosa, la Prussia orientale fino a Koenigsberg inclusa: per il resto essa fa marciare Polonia, Francia, Cecoslovacchia e tutti gli altri.

L'ex rappresentante francese a Mosca, signor Garreau, convinto ed acceso partigiano di una stretta collaborazione franco-russa, mi diceva che molte sono le resistenze francesi alla politica russa del generale de Gaulle, soprattutto da parte di quegli elementi francesi che si ostinano a vedere nella Russia soltanto e soprattutto il comunismo: che l'Inghilterra farà del tutto per staccare la Francia da Mosca: che de Gaulle, militare, conservatore in fondo se pure conservatore intelligente e progressista, profondamente cattolico, ha lui stesso, nel suo intimo, della diffidenza non del tutto sopita verso la Russia comunista: e il suo soggiorno a Mosca è stato troppo breve e troppo occupato perché egli potesse, di persona, vedere il vero volto della Russia. È in ultimo dubbio se e fino a che punto il generale de Gaulle riuscirà a mantenere la sua posizione in Francia. Non so se e fino a che punto quanto mi ha detto il signor Garreau corrisponda alla realtà della situazione francese: quello che è certo è che i suoi interrogativi sono altrettanti interrogativi che si pongono anche i russi e che essi non sanno quindi fino a che punto possono far conto sulla stabilità della politica francese.

Ci sono poi alcune tendenze della politica francese che qui si ritiene di intravedere: politica di blocco latino, politica di difesa degli interessi degli Stati minori contro le dittature dei Big Three, e che, se corrispondenti alla realtà della politica francese, non potrebbero suscitare qui che scarsi entusiasmi. Del resto nel periodo che ha succeduto immediatamente all'accordo le nubi non sono qui mancate.

Da parte russa c'è stata una marcata per quanto inattesa reazione al rifiuto di de Gaulle di incontrarsi con Roosevelt: tutti si aspettavano che, salvate le apparenze, questo gesto francese di indipendenza verso l'America avrebbe fatto piacere. Se non che si è dovuto constatare che, differenze e diffidenze politiche a parte, qui il senso dei Big Three ha gettato profonde radici e il gesto di lesa maestà verso uno dei Big Three è stato in un certo senso risentito come un insulto personale.

Egualmente risentito è stato qui il rifiuto francese di associarsi agli inviti per la Conferenza di San Francisco, nonché l'annuncio che la Francia si riserva di fare le sue obiezioni ai testi concordati a Dumbarton Oaks ed in Crimea. Il comunicato Tass in proposito è stato molto duro: in rapporto a parte 1 mi riservo di esaminare un articolo molto interessante apparso in proposito in «Guerra e Classe Operaia». L'atteggiamento generale dei russi verso la Francia è in sostanza questo: sta bene, riconosciamo tutti che alla Francia spetta il rango di grande Potenza, ma essa deve riconoscere che anche fra le grandi Potenze ci sono delle differenze.

Da parte francese si è poi molto risentito l'atteggiamento assunto dalla Russia nei riguardi della questione siriana prima durante e dopo la Conferenza di Crimea. Alla Conferenza di Crimea la Russia si è associata al punto di vista americano di non volere riconoscere alla Francia dei diritti preferenziali in Siria dopo la «indipendenza» della Siria e del Libano.

La Russia si sta preparando ad avere una sua politica araba. In questo quadro essa vede di buon occhio una federazione pan-araba ma essa non desidera che sia fatta sotto auspici inglesi e tanto meno che l'Inghilterra vi abbia una posizione di preminenza: per conseguenza essa vuole la completa indipendenza dei paesi arabi. Nel quadro della guerra e dell'alleanza non può attaccare -ancora -di fronte l'Inghilterra.

Attaccare quindi il punto di minor resistenza: la Francia. Il ragionamento russo è semplice e logico. Se la Siria ed il Libano avranno la loro indipendenza completa, senza diritti preferenziali di nessun genere per l'ex potenza mandataria, ne verranno indirettamente indeboliti i diritti preferenziali che l'Inghilterra ha in Iraq, Transgiordania, Egitto, etc. e sarà più facile, in un secondo tempo, appoggiare l'opposizione anche alle posizioni inglesi.

La politica russa, in questo punto, è sostanzialmente diretta contro l'Inghilterra -e gli inglesi hanno infatti accusato il colpo -questo non toglie però che i francesi, e personalmente il generale de Gaulle il quale, a suo tempo, ha con tanto accanimento difese le posizioni francesi in Siria contro gli attacchi inglesi, se ne siano, in quanto le circostanze glielo permettono, risentiti.

In ogni modo, la maniera con cui si svilupperà l'atteggiamento francese a San Francisco è suscettibile di avere influenza considerevole nello sviluppo dei rapporti franco-russi.

l Non pubblicato.

141

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 140/14. Mosca, 22 aprile 1945 (per. il 12 maggio).

I rapporti fra i tre grandi alleati o piuttosto fra l'U.R.S.S. e gli anglo-sassonipoiché i dissensi fra Inghilterra e Stati Uniti sono qui, in genere, poco evidenti potrebbero definirsi una risultante instabile fra il riconoscimento, da parte di tutti e tre, della necessità di andare d'accordo, se si vuole evitare un nuovo e forse più grande conflitto che nessuno dei tre desidera, ed una intima convinzione che, alla lunga, andare d'accordo non è possibile. Ed andare d'accordo, è realmente difficile, poiché in fondo, con qualche sfumatura di intransigenza, da parte della Russia, le due parti in causa intendono per collaborazione il prevalere del proprio punto di vista.

Quando i tre si incontrano, dopo i primi scontri, lo spirito di collaborazione prevale e le riunioni si chiudono in un'atmosfera di generale ottimismo: dopo qualche giorno la diffidenza riaffiora e si ricomincia da capo: se non che ogni volta le difficoltà si accumulano sempre più e diventa sempre più arduo il problema di raggiungere una parvenza, anche se equivoca, di accordo. Sulla politica russa continua ad influire la convinzione che, alla lunga, il conflitto tra le potenze capitaliste e lo Stato socialista è inevitabile: mettendosi dal punto di vista del materialismo dialettico, qui si pensa che gli interessi classistici della Germania nazista e dell'Inghilterra e dell'America capitaliste erano identici: che a rigor di logica marxista il momento in cui la Germania è partita in guerra contro l'U.R.S.S. gli anglo-sassoni dovevano far la pace con la Germania ed aiutarla contro l'U.R.S.S.: finché le sorti della guerra erano indecise si è qui vissuti col terrore che essi si accorgessero dell'errore che stavano facendo: ora sono convinti che, logicamente, la politica anglo-americana deve essere quella di aiutare la Germania a rimettersi in piedi e, con una Germania di nuovo efficiente, soprattutto se addomesticata nei riguardi degli anglo-sassoni, preparare la guerra contro l'U.R.S.S.

I russi sono sempre stati estremamente sospettosi di loro natura: alla loro diffidenza naturale è venuta ad aggiungersi la diffidenza, diciamo così, di classe: il risultato è che di fronte a cento manifestazioni da parte anglo-sassone che mostrino che essi non hanno nessuna intenzione seria di preparare la guerra all'U.R.S.S., ed una in senso contrario essi non esiteranno a scartare le cento come fallaci, e considerare l'una come la manifestazione vera della politica anglo-sassone. Che poi questa teoria della sicurezza socialista serva a coprire un vero e proprio imperialismo russo, è anche questo, almeno negli altissimi dirigenti, in parte una manifestazione di un'altra caratteristica russa, la tendenza ad auto-ingannarsi.

Reciprocamente da parte degli anglo-sassoni abbiamo una fusione degli antichi timori della terza internazionale, con i più antichi e più nuovi timori dell'imperialismo russo. Come soluzione, unica possibile, almeno a titolo di compromesso temporaneo fra queste reciproche diffidenze, viene fuori fatalmente la questione delle zone di influenza che tutti negano -gli inglesi forse con meno convinzione degli altri -che ogni tanto, come alla Conferenza di Crimea, si cerca di superare, ma in cm SI ricade sempre.

La teoria delle zone di influenza è qui negata recisamente: però in pratica è applicata e rispettata integralmente.

Da parte russa, fin dall'inizio è stata formulata la teoria che l'U.R.S.S. nell'interesse della sua sicurezza, doveva ottenere, alla fine della guerra, una sistemazione politica che le desse, oltre le frontiere che essa considerava come strategiche -con cui essa intendeva le sue frontiere del 1941 -la garanzia di essere circondata da Stati disposti a seguire una politica di amicizia verso l'U.R.S.S. E questo punto di vista è stato accettato dagli anglo-americani. Per le frontiere, l'unico paese per cui sorgeva una grave questione era la Polonia: gli altri erano tutti paesi nemici che si potevano trattare come si voleva. Gli anglo-americani ed i polacchi stessi hanno commesso il grave errore di accettare la tesi russa di rimandare la definizione delle frontiere a più tardi. Il loro evidente interesse sarebbe stato quello di precisare le intenzioni russe in un momento in cui la situazione della Russia era ancora critica e sarebbe stata disposta a contentarsi di assai meno: ma allora dominava nel campo anglo-sassone la paura che l'U.R.S.S. potesse rivolgersi a una pace separata colla Germania: si prevedeva pure che Russia e Germania avrebbero finito coll'esaurirsi reciprocamente. Ma collo svilupparsi degli avvenimenti militari e il collasso dei satelliti orientali della Germania, gli anglo-americani hanno visto con preoccupazione la serie degli Stati, diciamo così «amici» estendersi a dismisura, e con non minore preoccupazione la politica interna di questi Stati evolversi in modi e forme da far nascere il sospetto -secondo me assolutamente a torto -che i russi volevano impiantarvi il comunismo.

Precipuo scopo del viaggio di Churchill a Mosca è stato appunto quello di precisare le zone di «amicizia» della Russia, e rispettivamente, le zone di influenza inglese. La Polonia, che è ancor oggi all'ordine del giorno, non era in discussione come zona di amicizia: si trattava, in sostanza, di trovare una formula onorevole che permettesse agli inglesi di conciliare gli interessi russi con i precedenti impegni britannici. Sulla Rumania e sull'Ungheria non ci sono state vere discussioni; Churchill ha cercato di salvarsi la Bulgaria, e non ci è riuscito; è riuscito a mantenersi la Grecia; ha cercato di ottenere un impegno analogo per la Turchia senza riuscirei in pieno, si è rifiutato di cedere sulla Jugoslavia per cui è stata trovata la formula della «coordinazione».

Non sono riuscito ad appurare se in quell'occasione si sia parlato anche dell'Italia nel senso di riconoscerla nella zona di influenza inglese, forse ciò era stato riconosciuto già dai russi in precedenza; dovrei però ritener di sì, almeno in qualche forma: l'astensione russa dagli affari italiani ha assunto dalla visita di Churchill in poi una forma sempre più marcata.

Alla Conferenza di Crimea Roosevelt ha tentato di superare il sistema delle zone di influenza, per lo meno in quanto questa influenza si esplica in una ingerenza nella politica interna dei paesi interessati, elaborando una formula accettabile da tutti, circa la maniera con cui avrebbero dovuto essere organizzati i governi provvisori dei paesi liberati o degli ex-satelliti. La formula comune, redatta molto abilmente, ha fatto nascere molte speranze: all'atto pratico si è rivelato che l'accordo si basava su di un equivoco, ossia su di una differente interpretazione dell'espressione «governo democratico».

Secondo l'idea di Roosevelt il governo democratico da adottarsi nei paesi liberati doveva essere un governo di larga coalizione, comprendente tutti i partiti dalla destra sino all'estrema sinistra, esclusi soli i fascisti (anche questo, termine di non facile interpretazione). Questo governo avrebbe dovuto soltanto amministrare, astenendosi da qualsiasi modificazione profonda della organizzazione istituzionale, economica e sociale del paese stesso, fino a che, attraverso libere elezioni, non fosse stato possibile arrivare ad accertare i veri sentimenti del popolo. Il concetto inglese non si differiva gran che dalla concezione rooseveltiana se non in senso leggermente più conservatore.

Invece la concezione russa del governo democratico è quella del «fronte patriottico», ossia una coalizione tipo fronte popolare dei partiti dal centro sinistra alla estrema sinistra e che la «eliminazione del fascismo» quale premessa essenziale per la possibilità di avere elezioni libere e sincere, deve essere intesa come eliminazione dell'influenza politica delle radici del fascismo, ossia degli elementi grandi capitalisti e feudali-agrari. Ossia primo atto di un governo democratico, e premessa per la sua consolidazione, deve essere la riforma agraria e la nazionalizzazione, o per lo meno il controllo statale, delle industrie chiavi. Da questa differente interpretazione del «governo democratico» è nata l'attuale fase di contestazione sull'argomento del governo polacco, e la disputa, meno appariscente, ma più acuta, sollevata dagli avvenimenti di Romania. In ambedue i casi gli anglo-americani accusano i russi di avere violato l'accordo di Crimea mentre i russi sostengono di averlo rispettato scrupolosamente. Anche per quanto riguarda l'organizzazione della pace l'accordo fra i tre non è perfetto. Gli anglo-americani, specialmente i secondi, ritengono sì, sostanzialmente, che il progetto di Dumbarton Oaks sia il meglio che si potesse fare, ma sono pronti ad ammettervi delle modificazioni, su suggerimento degli altri Stati invitati a San Francisco. Per i russi invece il progetto di Dumbarton Oaks, completato dagli accordi di Crimea, è un testo di legge che nessun altro deve avere il diritto di toccare.

L'invito a San Francisco è cosa puramente formale: si tratta di prendre ou laisser.

È probabile che per quanto riguarda la dittatura dei Big Three, in quanto almeno essa corrisponde ad uno stato di fatto che nessuno per ora è in grado di mutare, sostanzialmente i tre alleati siano perfettamente d'accordo. Ma da parte inglese e soprattutto americana, almeno a giudicare dalle manifestazioni di stampa che arrivano fin qui, sembrerebbe manifestarsi una certa disposizione a ménager le suscettibilità dei più piccoli, a dar loro almeno l'illusione che anche essi contano qualche cosa. I russi invece vogliono marcare con ogni possibile durezza le posizioni delle grandi Potenze. Questo affare della «Grande Potenza» sta raggiungendo qui delle forme quasi isteriche che ricordano i più bei tempi dell'Italia fascista. È un fenomeno strano. La Russia è una grande, grandissima Potenza e a nessuno viene in testa di negarlo: eppure qui si vive ancora con la costante preoccupazione di non essere presi sufficientemente sul serio e non si perde una occasione per ribadire questo concetto che la Russia è una grande Potenza.

Fino ad un paio di settimane addietro, in tutti gli sviluppi della sua politica nelle sue zone d'influenza la Russia ha proceduto sicura del fatto suo, infischiandosi di quelle che potevano essere le reazioni dei suoi alleati, nella certezza che gli alleati potevano protestare e brontolare, ma non avevano mezzi effettivi di contrastare la politica russa. Non ha per ora cambiata la sua politica ma, improvvisamente, si è notato in questi ambienti russi, e più ancora fra i rappresentanti degli Stati «amici» un certo nervosismo. Credo di essere nel vero nell'attribuirlo alle possibili conseguenze dell'inatteso collasso del fronte occidentale tedesco.

Se le informazioni che ho avuto sono esatte, le zone rispettive di occupazione russe ed anglo-americane in Germania erano state, di comune accordo, determinate al corso dell'Elba, con la Sassonia nella zona di occupazione russa, Berlino sede dell'amministrazione a tre della Germania. Per l'Austria una specie di supervisione a tre. AI momento della Conferenza di Crimea nessuno poteva prevedere che Hitler avrebbe deciso di continuare a resistere ad oltranza sul fronte russo e di aprire, in un certo senso, le porte agli anglo-americani. Anzi in vista delle rispettive posizioni e di come si erano, fino a quel momento, svolte le operazioni sul fronte occidentale, i russi potevano contare, ragionevolmente sul fatto che,al momento della cessazione delle ostilità, la maggior parte della Germania si sarebbe trovata, di fatto, occupata dalle truppe sovietiche e che esse avrebbero potuto, se necessario, negoziare il loro ritiro nei limiti previsti. La situazione si trova ad essere capovolta. Gli anglo-americani hanno passata l'Elba, hanno occupata la parte industrialmente più importante della Sassonia, e quello che è più sensibile qui, sono entr(lti in Cecoslovacchia tanto da lasciar dubitare se Praga sarà liberata dai russi o dagli americani. È vero che i russi avanzano in Austria, ma Praga è per Mosca un punto assai più sensibile che Vienna. Oltre a ciò, prigionieri, criminali di guerra, personaggi politici potenziali, valori industriali ed altri, stranieri deportati in Germania, tutti elementi importanti vengono a trovarsi in preponderanza in mano degli anglo-americani. Ossia, di colpo, gli anglo-americani si trovano ad avere in mano una quantità di importanti elementi di scambio per ottenere dai russi delle concessioni in settori che li interessano, se sapranno servirsene. E tutto questo proprio in un momento in cui, con la morte di Roosevelt, un elemento di incognita si presenta nella politica degli Stati Uniti.

Un altro elemento di preoccupazione comincia già a trapelare nella stampa sovietica. Quale sarà l'atteggiamento americano nei riguardi del potenziale industriale tedesco. La Conferenza di Crimea ha previsto il disarmo anche economico e industriale della Germania. Anche qui però si tratta di interpretazione: se i russi fossero arrivati per primi sul posto avrebbero risolto il problema come lo stanno risolvendo in Prussia orientale, in Slesia e in Pomerania. Caricare in tutta fretta i macchinari e trasportarli in Russia. Ma ora sul posto ci sono gli americani, e gli americani, a quanto riporta la stampa sovietica almeno, avanzano la tesi, qui poco gradita, della necessità di difendere i capitali americani investiti nell'industria tedesca. Se gli americani sosterranno che per difendere questi interessi americani, alcuni complessi industriali tedeschi passano sotto il controllo diretto americano, essi potrebbero dire che questo controllo americano dà agli alleati ogni garanzia di disarmo industriale della Germania e sarebbe una tesi difficile a controbattere dal punto di vista delle decisioni di Crimea. Ma intanto gli impianti resterebbero in Germania e potrebbero, in futuro, servire di base per una temuta ricostituzione di una Germania forte.

Così, mentre la stampa sovietica mostra già qualche accenno di possibile mutamento nell'atteggiamento inesorabile della Russia verso il popolo tedesco, Molotov improvvisamente accetta di andare a San Francisco; la contemporanea partenza per Washington degli ambasciatori d'Inghilterra e degli Stati Uniti mi fa supporre che il viaggio di Molotov non abbia per vero scopo la Conferenza di San Francisco ma piuttosto di chiarire tutte queste incognite create dall'imprevisto svolgersi degli avvenimenti.

Tutti questi fattori, uniti alle possibilità crescenti di un interessamento russo agli avvenimenti di Estremo Oriente, non permettono di escludere che, in un prossimo avvenire, la politica russa in Europa non subisca un'evoluzione in senso più difensivo. Ossia che la politica russa si concentrerà maggiormente nella sua zona d'influenza: essa non ne sarà che maggiormente disposta a riconoscere le zone di influenza anglo-americana. Si aggiunge che, per un complesso di elementi vari, la politica russa per quanto concerne l'Europa al di fuori delle proprie zone d'influenza era ancora ben lontana dall'essere definita. I rapporti fra alleati sono una cosa assai complessa: su di essi influiscono o possono influire molti altri elementi che, ora che ho la possibilità di corrispondere regolarmente con V.E., mi riservo di lumeggiare. In vista dell'interesse naturale che -da quanto rilevo -la stampa e l'opinione pubblica italiana annettono alla dibattuta questione delle zone d'influenza è questo punto che ho voluto principalmente trattare in questo mio primo rapporto.

È mia convinzione che, a meno di un completo capovolgimento di tutto questo complesso di diffidenze, che per quanto concerne Mosca almeno sarebbe più che arrischiato di prevedere, nonostante tutte le dichiarazioni che sono state fatte e che possono essere fatte in futuro, la politica delle zone d'influenza è una realtà di cui bisogna tener conto. Le sue conseguenze, a lungo andare, possono essere disastrose per chi la fa e, peggio ancora per chi è costretto a subirla. Ma la triste realtà è che, man mano che la guerra volge al suo fine tutte le belle parole della Carta Atlantica, delle quattro libertà e simili vanno sfumando e cedendo il posto al conflitto brutale degli opposti imperialismi. È uno stato di cose che noi e con noi molti altri Stati europei possiamo deplorare, ma che purtroppo siamo impotenti a cambiare.

L'alternativa oggi è o conflitto più o meno immediato o compromesso sotto forma di zone di influenza. Siccome il conflitto non lo vuole nessuno e probabilmente nessuno è in grado di sopportarlo non resta che l'altra alternativa.

Tutto questo, per qualche anno almeno: cosa accadrà più in là sarebbe troppo presuntuoso anche azzardarsi a prevederlo.

In ogni modo di questo stato di cose, per poco gradito che ci possa essere, noi non possiamo non tener conto nel formulare quella che possa essere la nostra politica estera.

142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. 2099/c. Roma, 23 aprile 1945, ore 15.

Ho ieri illustrato Consiglio dei ministri l'azione svolta ministero Esteri, in pieno accordo con ministero Guerra e l'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra in favore nostri in prigionia.

Trasmetterò codesta ambasciata per corriere riassunto mia esposizione.

Il Consiglio dei ministri ha, su mia proposta, espresso voto che sia reso possibile governo italiano recare direttamente ed al più presto assistenza nostri deportati ed internati in Germania e facilitarne il ritorno in patria, tenendo presente che loro stato di detenzione e dure privazioni sofferte sono dovute rifiuto da essi opposto, nell'interesse nostro e delle Nazioni Unite, a prestare qualsiasi forma di collaborazione comune nemico.

Consiglio dei ministri mi ha dato altresì mandato rendermi nuovamente interprete presso governi alleati richiesta governo italiano che nostri prigionieri di guerra nei Paesi alleati siano liberati status prigionieri e restituiti dignità loro condizione militari italiani, esigenza che è vivamente sentita da tutta nazione e che corrisponde nostra posizione cobelligeranti e benemerenze da essi acquistate con loro attività direttamente ed indirettamente intesa potenziare lo sforzo bellico.

Ella voglia portare, la prego, tali voti a conoscenza di codesto governo. È superfluo io dica come e con quali argomenti illustrarli. V.E. sa come viva sia nel popolo italiano ansia per suoi internati, militari e civili, che superano nella sola Germania il milione e come profondo è il nostro desiderio portare loro ogni possibile assistenza. Ella sa d'altra parte come penosa e umiliante sia ormai diventata condizione nostri soldati in mani alleate, tuttora qualificati come prigionieri nonostante l'anno e mezzo di cobelligeranza e di sacrificio, giunti ormai come siamo vigilia del crollo tedesco cessazione ostilità in Europa. .

Ci rendiamo perfettamente conto enormi difficoltà che problema dei prigionieri in Germania rappresenta per tutti e siamo molto riconoscenti di quanto Alleati già fanno in proposito. Ma spieghi che anche noi vorremmo contribuire più di quel che oggi non ci sia consentito, con misure pratiche, col nostro intervento diretto e nella piena misura delle nostre possibilità a risolvere problema che ci tocca così da vicino e così profondamente.

Telegrafato Parigi, Washington, Londra, Mosca.

143

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 138/12 1• Mosca, 23 aprile 1945 (per. il 12 maggio).

Da informazioni pervenute da varie fonti, la notizia pubblicata dalla nostra stampa che cioè nel 1941 il governo inglese avesse promesso al governo jugoslavo, per indurlo a denunciare la sua adesione al Patto tripartito, le frontiere ali'Isonzo risulterebbe esatta. Il governo jugoslavo di Londra ha sempre continuato a considerare il governo britannico come legato alle sue promesse.

1 I primi otto capoversi di questo documento furono trasmessi con T. per corriere in cifra

s.n.d. 3494.

Nel corso del colloquio Churchill-Stalin dell'ottobre scorso gli inglesi si sono rifiutati di riconoscere la Jugoslavia come rientrante nella «zona d'influenza» sovietica: i russi da parte loro si sono rifiutati di considerare la Jugoslavia, al pari della Grecia, al di fuori della loro zona: il risu)tato è stato un accordo che «coordina» l'azione dei due governi in Jugoslavia: in parole povere legittima la lotta per l'influenza.

C'è stato un momento in cui, per differenti ragioni, l'influenza inglese sembrava prevalere in Jugoslavia: il congiungimento dell'esercito russo con l'esercito partigiano di Tito ha fatto di nuovo traboccare la bilancia dalla parte russa. Ma gli inglesi non hanno abbandonato la partita: essi sembrano contare molto nell'influenza di Subasic e degli altri appartenenti al gruppo di Londra, nonché nella possibilità di vasti gruppi politici e sociali che diffidano di Tito in quanto comunista.

Gli ambienti ufficiali inglesi sono ormai preoccupati dell'orientamento panslavo della politica russa, della possibilità che la Bulgaria entri a far parte della federazione jugoslava, considerando (e a ragione) che la creazione di un blocco di tutti gli slavi del sud renderebbe la posizione della Grecia e della Turchia assai precaria.

Da parte inglese si sono quindi messe in funzione tutte le possibili batterie per indurre il governo jugoslavo come anche personalmente Tito a rinunciare alla federazione colla Bulgaria e alla politica di fratellanza slava, promettendo in cambio una quantità di vantaggi non ultimo dei quali un appoggio inglese per le frontiere della Jugoslavia all'lson:z;o.

L'accordo recentemente firmato da Tito a Mosca, lega definitivamente (almeno in quanto un trattato può legare) la Jugoslavia al carro russo: tuttavia non ho l'impressione che esso possa, di per sé produrre un capovolgimento della politica inglese. Le illusioni sono dure a morire, e, da parte inglese si ritiene ancora che la Jugoslavia possa essere, mediante una abile politica, attirata verso Occidente: ammesso poi che Tito condivida, nell'argomento delle nostre frontiere, le opinioni degli ultra-nazionalisti jugoslavi, lo ritengo anche sufficientemente abile per non far perdere ogni speranza agli inglesi, almeno fino che non avrà ottenuto da loro tutto quello che essi possono dare. In questo anche d'accordo con Mosca a cui potrebbe convenire, nei nostri riguardi, far apparire l'Inghilterra come il fattore principale nella questione delle nostre frontiere.

Sempre stando alle mie informazioni, non ci sarebbe ancora un impegno preciso, ufficiale da parte del governo britannico sulla questione delle nostre frontiere: si sarebbe ancora nel periodo delle trattative attraverso agenti a latere.

La mia impressione però è che sostanzialmente le presenti informazioni sull'atteggiamento del governo inglese sul merito della questione sono esatte. Gli inglesi sperano, a mio avviso, ottenere in questo modo un duplice risultato: attirare dalla parte loro gli jugoslavi (e qui sono piuttosto portato a credere che si sbagliano); scavare un abisso fra Italia e Jugoslavia allo scopo di rendere praticamente impossibile un avvicinamento al gruppo slavo e quindi, attraverso il gruppo slavo, a Mosca: e qui possono anche aver ragione.

Sulla questione delle nostre frontiere con la Jugoslavia il governo russo non si è ancora manifestato in forma ufficiale. La stampa sovietica, almeno da quando io sono qui, non ha mai toccato l'argomento: si è anche astenuta, almeno fino ad oggi, dal riportare le manifestazioni della stampa o di uomini politici jugoslavi come se la questione non fosse mai esistita: solo ogni tanto -e specialmente in occasione dell'affare Roatta -ha accennato alle atrocità commesse dalle truppe italiane in Jugoslavia.

Come ho già telegrafato a V.E. ho avuto occasione, a più riprese, di parlare del nostro desiderio di mettere i nostri rapporti futuri colla Jugoslavia su basi solide ed amichevoli, la prima volta a seguito delle istruzioni di cui al telegramma di V.E. n. 32 del 30 agosto 1 . Mi è stato risposto invariabilmente che il governo sovietico apprezza altamente queste intenzioni del governo italiano: in pratica nulla è stato fatto per facilitare la ripresa dei rapporti diretti e qualsiasi mio tentativo di far scivolare la conversazione nel merito della questione è stato costantemente evitato.

Ma sarebbe, a mio avviso, grave errore, da parte nostra [considerare] questa riserva del governo sovietico come indice di disposizioni favorevoli alle nostre tesi: è stata sempre linea di condotta costante di questo governo, quando ha sulle spalle questioni che lo interessano in primo piano -e non ne mancano -evitare di porre sul tappeto altre questioni che possono attendere.

Sostanzialmente però, per quanto mi concerne, non ho dubbi sul fatto che i russi sono pronti ad appoggiare qualsiasi aspirazione territoriale jugoslava verso l'Italia. Evidentemente la Russia, per ragioni di principio preferirebbe una soluzione raggiunta con accordo amichevole dalle due parti; nel caso in questione, però, per accordo amichevole essa intende, sostanzialmente, che noi dovremmo di buon grado, ed in nome della futura amicizia, cedere alla Jugoslavia quello che essa ci domanda.

La politica di fratellanza slava è oggi un serio fattore nella politica estera sovietica: quel che più conta essa trova una vasta e profonda eco nel popolo russo: fra gli slavi Tito e gli jugoslavi sono particolarmente popolari: non si tratta di propaganda proveniente dall'alto e che un mutamento delle direttive governative potrebbe cambiare, ma di sentimenti e tendenze antiche e ben radicate, le quali nella nuova atmosfera di rivalorizzazione del passato e di euforia vittoriosa trovano una nuova e più attiva espansione. E, contrariamente alle convinzioni di molti, io ritengo che un'opinione pubblica qui c'è, ed il governo la segue più di quanto non sembri.

L'impostazione sentimentale di tutta questa guerra è che essa deve segnare il trionfo detìnitivo dei popoli slavi, sotto la guida del grande popolo russo, sul mondo germanico: ma anche noi siamo colpevoli verso il mondo slavo, sia per esserci accodati alla politica tedesca, sia per aver fatta, anche in periodi antecedenti al fascismo, una politica anti-slava: quindi anche noi dobbiamo essere puniti. In genere poi, in tutte le zone disputate o miste, tutte le altre razze debbono recedere di fronte agli slavi.

Tutti gli argomenti che noi possiamo far valere a favore della nostra tesi possono di fronte a questo atteggiamento mistico essere facilmente messi da parte: diritti storici, ma che valore possono avere quando si sostiene che la Pomerania e il Brandeburgo sono terre slave: città italiane in mezzo a contado slavo, è il caso di Leo poli e di Wilno: minoranze etniche, sono ormai criteri sorpassati: in ambiente di vera democrazia i diritti degli allogeni sono rispettati al lOO'Yo : I'U .R.S.S. ne è il migliore esempio. Si aggiunga a questo, per quanto concerne l'Italia, che qui si è convinti che la questione di Trieste non è sentita dal popolo italiano, popolo inteso come massa: che essa è un residuo di ultra nazionalismo e di imperialismo": quelli che parlano in difesa di Trieste italiana sono dei vecchi o dei nuovi fascisti.

1 Vedi serie decima, vol. l, D. 380.

E per ultimo si è qui così scettici sulle possibilità di ripresa dell'Italia da considerare eventuali reazioni italiane, anche se di lunga durata, come di cosa di poco conto.

Quanto ho riferito sopra non è soltanto il frutto di mie considerazioni: se il governo russo ha sempre evitato di parlare con me sull'argomento, specie negli ultimi tempi sono stato avvicinato da diplomatici slavi molto vicini a questo governo in una forma che mi ha fatto ritenere che essi avevano avuto incarico di sondarmi: ero in ogni modo certo che le mie supposizioni sarebbero state riferite al Commissariato.

Evitando sempre di avanzare proposte o suggerimenti concreti per una soluzione della questione, ho marcato che le nostre provincie orientali, a prescindere da tutti gli elementi geografici, storici, etnici che possono militare a favore della nostra tesi, hanno un immenso valore sentimentale per tutto il popolo italiano senza eccezione: che qualunque soluzione di forza, impostaci approfittando della nostra situazione di paese vinto, avrebbe portato in Italia ad una reazione profonda e duratura, che avrebbe potuto seriamente compromettere i futuri rapporti dell'Italia non solo colla Jugoslavia ma anche con tutti i popoli slavi e anche coll'U.R.S.S. Che a mio avviso la sola via per arrivare ad una soluzione soddisfacente del problema era quella di cominciare collo stabilire fra i popoli italiano e jugoslavo delle relazioni di vera amicizia e comprensione: in questa atmosfera di comprensione la questione sarebbe stata di facile soluzione.

Come V.E. vede la nostra situazione per quanto concerne le nostre frontiere orientali è in questo momento tutt'altro che favorevole. È mia opinione quindi che abbiamo tutto l'interesse non ad affrettare ma a rimandare la soluzione della questione. Peggio di così le disposizioni verso la nostra tesi non potrebbero essere: per scarse che possano essere le probabilità di miglioramento esse costituiscono l'unica speranza che ancora ci resta.

Per quanto concerne l'atteggiamento di questo paese, non credo si possa contare su un mutamento della politica di fratellanza slava; essa integra troppo bene la teoria delle «zone d'influenza» che è, a sua volta, chiave di volta di tutta la politica europea dell'U.R.S.S. La situazione interna jugoslava però presenta ancora, a quanto mi risulta, alcuni elementi di incertezza specie nei territori ancora da liberare, che possono fare alquanto raffreddare gli entusiasmi di Mosca per Belgrado. A Belgrado stessa, le difficoltà enormi del processo di ricostruzione, raffreddando gli entusiasmi della vittoria e della liberazione, possono far prevalere consigli più ragionevoli.

Per quanto riguarda l'Italia stessa, credo sia difficile assai persuadere i russi che il popolo italiano non è indifferente alla sorte di Trieste, anche se affermazioni in tal senso venissero da persone o da partiti a cui qui maggiormente si riconosce il diritto di interpretare i sentimenti delle masse: l'abitudine qui prevalente di scartare a .priori come falsa o come eretica ogni considerazione che non fa comodo è troppo ingranata per poter prevedere che essa cambierà in un prossimo avvenire. Può invece cambiare l'opinione dello sfacelo d'Italia, opinione che prevale ma è riservata di fronte all'incognita del nord. Ho visto qui in poche settimane un tale capovolgimento nei riguardi dell'ostinazione, del peso e delle possibilità francesi che non posso certo escludere che qualcosa di simile, mutatis mutandis, possa accadere anche nei riguardi dell'Italia. E dalle reazioni di un'Italia che prometta di avere il suo peso anche relativo, negli affari di Europa, Mosca potrà essere portata a dare maggior peso.

Questo a prescindere dal fatto che, a Londra e a Washington possono sorgere e svilupparsi, coll'andar del tempo, anche e soprattutto in vista delle ripercussioni che possono avervi, sia la lotta di influenza politica in Jugoslavia, sia gli sviluppi della politica interna in quel paese, correnti più favorevoli a noi di cui anche Mosca debba tener conto.

Non sono in grado di giudicare se la campagna, sia pure assai moderata nel tono, che sta facendo la stampa italiana sulla questione della Venezia Giulia, possa essere utile ai nostri fini in Inghilterra e negli Stati Uniti. Per quanto riguarda la Russia ritengo mio dovere avvertire V.E. che essa non solo non è di nessuna utilità ma è francamente pericolosa.

Suppongo che alla nostra campagna Belgrado risponde: essa troverà probabilmente eco anche nella stampa straniera: se si dovesse sviluppare od inasprire la polemica di stampa fra l'Italia e la Jugoslavia, mi sembra assai difficile che la stampa sovietica possa continuare a mantenere il silenzio. Il giorno che la stampa sovietica, il che è quanto dire il governo sovietico, abbia preso posizione, posizione che, ripeto, oggi non potrebbe essere che contraria alla nostra tesi, la questione diventerebbe per la Russia affare di prestigio e quindi assai più gravemente compromessa.

E riterrei convenga non dimenticare che in questioni del genere il peso specifico di Mosca è molto forte. Se riusciamo ad ottenere disposizioni favorevoli di Londra e di Washington a nostro riguardo prima che Mosca si sia ufficialmente compromessa ciò può avere qui un peso anche non indifferente. Ma se Mosca ha preso posizione apertamente, se la questione diventa qui questione di principio, la lotta sarebbe molto più dura, e l'esperienza di questi ultimi mesi sopratutto ha dimostrato che quando Mosca si impunta, Londra e Washington strillano e protestano ma finiscono poi per arrivare ad un compromesso. Ora per noi la questione delle nostre frontiere orientali è la questione: per i Big Three non è che una delle tante che possono presentarsi ai quattro canti del globo: e quando si arriva ad una soluzione di compromesso non si può mai prevedere su qual punto una delle tre parti sarà obbligata a cedere 1 .

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 143/17. Mosca, 23 aprile 1945 (per. il 12 maggio).

Con i miei rapporti n. 60/1 dell'8 agosto e n. 121/5 del 16 settembre 1944 2 avevo riferito a V.E. le mie prime impressioni circa l'atteggiamento russo verso l'Italia: l'interruzione, per lunghi mesi, del servizio di corriere mi ha naturalmente

I Per la risposta del ministero vedi D. 245. 2 Vedi serie decima, vol. I, DD. 331 e 407.

197 impedito di portare alle prime impressioni quelle precisazioni e quelle correzioni che una maggiore conoscenza di questo ambiente mi permettevano di fare.

Resto ancora dell'opinione che per quanto concerne Io sblocco della situazione interna italiana e la ripresa dei rapporti diretti coll'Italia, il valore che a questi gesti il governo sovietico voleva si attribuisse, era precisamente delineato nel noto articolo dell'Isvestia, che a quanto mi è stato detto poi; era stato scritto personalmente da Vyshinsky: ossia un significato assai più ristretto di quanto l'opinione pubblica italiana era stata portata, nel primo momento, e come era naturale, ad attribuirgli.

Resto ancora dell'opinione che, ragione principale dell'azione russa, proposta da Vyshinsky e approvata da Stalin, sia stata la persuasione che, sbloccando la situazione interna italiana, fosse possibile realizzare un nuovo e più considerevole apporto militare italiano alla comune lotta contro la Germania, in un momento in cui-si ricordi dove stavano ancora all'epoca i tedeschi-le difficoltà e la durata della guerra potevano apparire maggiori di quanto non si siano mostrate in seguito. Una delle prime cure della Russia nei riguardi degli Stati che hanno capitolato a lei, è stata quella di assicurarsi il massimo possibile concorso delle forze militari del paese vinto, contro la Germania: e, per riuscirvi, non ha ·lesinato gli sforzi. In Italia essi sono stati coerenti alla politica che essi intendevano seguire verso gli Stati ex satelliti.

Per potere apprezzare appieno il significato della ripresa dei rapporti diretti, bisognerebbe conoscere quale sia stato, a suo tempo, il corso delle conversazioni fra l'U.R.S.S. e i suoi alleati, per la partecipazione dell'U.R.S.S. agli affari italiani, in regime di armistizio: qui non sono riuscito ad appurare nulla di positivo al riguardo. Per me però non vi è dubbio che con questo gesto la Russia voleva reagire alla politica, specialmente inglese, di considerare l'Italia come caccia riservata e di asserire il suo diritto e la sua volontà di essere presente nella sistemazione dell'Europa occidentale. Può essere -è anche assai preferibile -che, informati della reazione sentimentale che un gesto del genere non avrebbe mancato di produrre in Italia, i russi abbianq anche voluto crearsi un fondo di amicizia su cui basarsi eventualmente per una loro futura politica italiana, ma, sostanzialmente, il gesto russo era diretto agli alleati assai più che all'Italia: era un'azione offensiva russa fatta prevedendo che l'avanzata degli eserciti sovietici avrebbe ben presto aperta una zona di interessi russi.

Del resto la prima cura di Molotov è stata quella di mettere bene le cose a punto e di gettare una bella doccia fredda sui miei possibili entusiasmi: la sua prima frase è stata quasi brutale: «Siamo negli affari di guerra fino alla gola, non abbiamo tempo di occuparci anche degli affari italiani».

Tutto l'atteggiamento successivo del commissariato degli Esteri è stato quello di farmi ben capire che l'U.R.S.S. non era disposta a farsi nemmeno l'avvocato dell'Italia presso i suoi alleati: vedi mancata risposta diretta al primo messaggio di

S.E. Badoglio inviato per mio tramite 1: rinvio per la consegna della lettera di S.E. Bonomi 2 , da Stalin a Molotov e da Molotov a Vyshinsky: risposta invariabile a

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 236. 2 Ihid., D. 327.

tutte le nostre richieste di interessamento, che le questioni italiane dovevano essere trattate e risolte di comune accordo fra i tre alleati che non si trattava di affari di esclusiva competenza russa, ecc. ecc.

Ma anche nei limiti di questa politica, nella quale, debbo riconoscerlo, i russi sono stati, nei miei riguardi, conseguenti fin dal primo giorno, ho potuto rilevare un progressivo disinteresse russo agli affari italiani. Citerò soltanto alcuni fatti più salienti. La nostra riçhiesta di formare reparti volontari tra i prigionieri ·italiani, prima in un certo senso incoraggiata, poi accolta con favore e poi lasciata cadere: il rifiuto di trasmettere ulteriormente telegrammi: la sospensione del servizio corriere.

In tutte le conversazioni che ho al commissariato degli Esteri, si ama discutere della situazione in Italia, mi si chiedono costantemente informazioni ed impressioni, si mostra di essere informati in dettaglio di tutto quello che accade in Italia. Ma tutte le volte che la conversazione si dirige verso l'esame di quello che di concreto ci sarebbe da fare per risolvere questa o quella questione italiana, i miei interlocutori diventano sempre meno ricettivi e la risposta è invariabilmente «la guerra ormai volge al suo fine e colla fine della guerra tutte le questioni che vi preoccupano saranno risolte».

Nell'ultima conversazione che ho avuto con Vyshinsky, avendomi egli scherzosamente detto che l'Italia restava sempre il suo primo amore e che gli affari successivi di cui aveva dovuto occuparsi non gli avevano fatto dimenticare l'Italia, gli ho risposto che invece la mia impressione era che non ci fosse più a Mosca alcun interesse per gli affari italiani: egli mi ha risposto per la ennesima volta «non è esatto. La verità è che abbiamo in questo momento altri affari che ci interessano più dell'Italia e che debbono passare in primo piano».

Nei miei precedenti rapporti, cercando di analizzare le possibili ragioni di questo disinteressamento, oltre alle ragioni generiche di evitare attriti con gli alleati sulla questione italiana, avevo accennato:

l) al fatto che lo sforzo militare italiano non aveva corrisposto alle aspettative sovietiche e che, pur rendendosi conto delle difficoltà che su questo campo ci venivano dagli alleati, si avesse qui l'impressione che il governo italiano, da parte sua, non fosse sufficientemente energico sopratutto nel mobilizzare l'opinione pubblica italiana e influire, per quel tramite, sui governi anglo-americani;

2) all'impressione che il governo italiano -intendo per governo italiano il ministero Bonomi nelle sue differenti trasformazioni -fosse fiacco e poco efficiente, che i partiti politici italiani si esaurissero in lotte interne, piuttosto che dedicarsi esclusivamente agli obiettivi pratici della guerra e della ricostruzione. Che da tutto questo ne derivasse la convinzione che l'Italia era, moralmente, spacciata molto più di quanto le sue reazioni dei primi mesi avevano potuto far supporre e che quindi il risollevamento dell'Italia, e le possibilità per essa di avere un peso, anche relativo, nel futuro giuoco della politica europea fossero dei fattori talmente di là da venire che non valesse la pena di tenerne conto nella formulazione della politica sovietica di oggi. ·

3) il malcontento russo per il modo con cui procedeva in Italia l'epurazione ed in genere il processo di defascistizzazione.

Per quanto riguarda il punto primo debbo riconoscere di essermi sbagliato. In base ai dati fornitimi da codesto ministero ebbi una lunga conversazione con Dekanozov e ne avevo riportato l'impressione che dati e cifre da me forniti avevano fatto un certo effetto (mio telegr. n. 35 del 28 agosto 1944) 1• Sono poi tornato sull'argomento varie volte, sulla base dei dati che di volta in volta mi venivano forniti o direttamente da V.E. o dalla stampa italiana, ed ho dovuto persuadermi che se qui possono aversi dei dubbi e delle riserve circa persone e metodi preposti alla ricostruzione dell'esercito italiano -dubbi e riserve che però hanno solo valore relativo -si è qui convinti che da parte nostra è stato fatto qqello che si poteva, e che se la partecipazione italiana alla guerra non è quello che potrebbe essere, non è per colpa nostra. Ignoro se i russi, nei consigli degli alleati, abbiano cercato di perorare la causa di una nostra maggiore partecipazione alla guerra: suppongo che se lo avessero fatto con vero ardore, non avrebbero mancato di farcelo sapere in un modo o in un altro. Sono piuttosto portato a credere che non se ne siano interessati. Non escluderei del resto che oggi, qui per considerazioni «jugoslave», si preferisce che, alla fine della guerra, noi non abbiamo un esercito forte.

Quanto al punto 2° è esatto che l'opinione del governo sovietico circa il governo italiano, anche se mai espressa pubblicamente, e, parlando con me, solo nella forma più riservata e cortese, corrisponde sostanzialmente a quella espressa da Churchill nel suo discorso. Sopratutto qui si ritiene che nulla si può dire di deciso sulla situazione italiana fino a che con la liberazione del nord non si potrà avere un vero quadro d'insieme. Si ritiene che molto dipenderà dallo stato di distruzione in cui troveranno i nostri maggiori centri. industriali: ma quanto all'apporto che il Nord Italia potrà dare sia come spostamento del peso specifico dei partiti, sia come apporto di dirigenti non si hanno -mi sembra -idee molto precise.

L'ambasciatore Kostylev, a quanto mi risulta, riferisce molto accuratamente e dettagliatamente sulla situazione interna italiana e, in complesso,.in forma piuttosto benevola al governo italiano, almeno nel senso di marcare le immense difficoltà in cui esso si dibatte. L'impressione generale però che si ha qui è che il governo ed i partiti italiani si occupino troppo di questioni generali e di principio, e troppo poco di problemi pratici: che oppressi dalla imponenza dei problemi da risolvere si trascuri intanto di fare quel poco che si potrebbe fare: che si tende a contare troppo sull'aiuto degli altri che sull'aiuto di noi stessi.

In una conversazione avuta con Vyshinsky sull'argomento, conversazione svoltasi in termini assai riguardosi, egli mi diceva che il problema della ricostruzione italiana è sopratutto questione di «volontà» e che noi dobbiamo deciderci a «tirar su le maniche e metterei a lavorare senza pensare ad altro». Aggiungo incidentalmente che qui, in questo senso, il modello dei ministri italiani è considerato il ministro Gronchi per la maniera con cui ha affrontato il problema della ricostruzione delle nostre centrali elettriche.

Qui c'è sempre stata della difficoltà a comprendere la psicologia degli altri popoli; non per nulla sono vissuti per oltre 27 anni completamente staccati da tutto il resto del mondo. Non si capisce quindi come un popolo a grandi tradizioni storiche non possa, da un momento all'altro, rassegnarsi ad essere niente, sia pure temporaneamente: quindi non si capisce, per esempio, e non si vuoi capire come

1 Vedi serie decima, vol. l, D. 378.

noi ci agitiamo per essere invitati alla Conferenza di San Francisco, non si capisce l'asprezza della polemica interna sulla questione istituzionale e si ha una tendenza affrettata a considerarci malati di una insanabile mancanza di realismo, e a concluderne che in Italia si continuerà a discutere ed a polemizzare, ma che le cose continueranno ad andare di male in peggio.

Anche la troppo naturale stanchezza del popolo italiano, lo sbandamento nelle idee politiche, un certo diffuso senso di scoraggiamento per l'avvenire, tutte cose che un osservatore più comprensivo della psicologia italiana avrebbe potuto non solo scusare, ma prevedere, vengono qui interpretati come «mancanza di spina dorsale». Ho cercato più volte di spiegare questi fatti e di attirare l'attenzione del governo sovietico su quello che si dovrebbe fare per porvi rimedio: stanno a sentire con grande attenzione e poi ricominciano da capo.

Quanto al punto 3° è esatto che non si potrebbe immaginare qualche cosa di più diametralmente opposto alla mentalità di qui di come procede l'epurazione in Italia. l modelli sono qui la Bulgaria e la Jugoslavia: l'epurazione è concepita con i tribunali popolari che condannano, tambur battente, alla fucilazione. Per avere l'approvazione del governo sovietico bisognerebbe offrirgli almeno qualche migliaio di teste.

A questi elementi negativi bisognerebbe aggiungere che qui non si vede affatto chiaro quale potrà essere l'orientamento della politica italiana, una volta che siamo di nuovo in grado di averne una. Vedo con piacere che la stampa italiana si occupa e con grande interesse dei grandi e piccoli problemi della politica internazionale. Purtroppo però delle posizioni e delle impostazioni che sembrano prevalere nell'opinione pubblica italiana spesso anche nella stampa di estrema sinistra, nemmeno a farlo apposta, non ce n'è una che si inquadri colle direttive della politica estera sovietica, sia che si tratti della Germania, della sistemazione europea, dell'organizzazione della pace.

Ma tutti questi elementi, sebbene abbiano indiscutibilmente il loro peso, specialmente il punto 3°, non sono elementi decisivi. Se noi avessimo un governo di azione, come piacerebbe qui, se avessimo fatto radicalmente l'epurazione, certamente alcune questioni più strettamente italo-russe, come per esempio la questione delle liste dei prigionieri -non la loro liberazione -la possibilità per me di avere contatti con essi e con gli italiani liberati, ed altre del genere avrebbero avuto una soluzione differente, ma nelle sue linee generali, la politica sovietica verso l'Italia sarebbe lo stesso politica di disinteressamento.

Ad esempio la stampa sovietica si è occupata e violentemente del caso Roatta, ma ciò è stato un po' per la reazione che il caso Roatta aveva avuto in Jugoslavia, molto più per rispondere, indirettamente, agli attacchi della stampa inglese circa come andavano le cose in Polonia ed in Romania.

A gusto sovietico, l'epurazione in Francia non va molto meglio che da noi, ma non è certo questo che turba i rapporti franco-russi.

La vera ragione di questo disinteressamento sovietico agli affari italiani è il sempre più marcato riconoscimento da parte dell'U.R.S.S. del fatto che l'Italia è nella zona d'influenza anglo-americana.

In quanto manifestazione della volontà della Russia di fronte agli alleati di ingerirsi negli affari dell'Europa occidentale, è probabile che l'azione russa in Italia nella primavera del 1944 fosse intesa come inizio di una politica. La violenza della reazione, specialmente britannica, contro di noi, ha impressionato qui: e non si sono avuti quegli sviluppi che forse si intendevano. La caduta dei satelliti orientali ha creato in un certo senso un parallelismo di interessi fra Russia e anglo-sassoni: essi erano, e sono, decisi a ridurre al minimo indispensabile ogni possibile ingerenza anglo-americana negli affari bulgari, rumeni, ungheresi: per potere meglio far ciò era, in primo luogo necessario evitare di agire loro stessi in Italia come non volevano che gli anglo-americani agissero altrove. Non è per me, pura coincidenza casuale che le difficoltà, da parte russa, per i telegrammi ed i corrieri hanno cominciato con l'armistizio rumeno. Poi i russi hanno trovato il compito della sistemazione della loro zona più difficile di quanto si aspettavano, sia dal punto di vista interno che da quello internazionale; e la loro zona ha finito per assorbire tutta la loro attenzione, a scapito di quella che poteva o voleva essere una politica a più ampio respiro.

Contribuiscono a questo altri elementi vari: una certa confusione e contrasto di tendenze diverse, all'interno del paese, che non permettono ancora di definire la politica russa nella zona al di fuori dei loro immediati interessi imperialistici: la prevista necessità di occuparsi delle questioni estremo-orientali: l'imperfetta conoscenza della psicologia del mondo occidentale. Elementi tutti che mi riservo di esaminare più ampiamente, in quanto è possibile farlo oggi.

Per quanto ci riguarda, oggi, intanto, quello che importa è di constatare questo stato di fatto. Noi siamo nella sfera di interessi anglo-americani e ci resteremo per del tempo almeno: i russi lo ammettono, lo riconoscono, e non sono disposti a fare nulla per farcene uscire. Nel piano dei colpi di spillo fra alleati ci potranno essere, qua e là, degli interventi russi di dettaglio negli affari nostri, si tratterà di prevenire o di rispondere a qualunque intervento anglo-americano nella zona russa; ma noi, in quanto Italia, non avremo nulla a che vederci. Né, a mio avviso, questo stato di cose è suscettibile di essere modificato da simpatie di partito o diciamo così di classe: se per esempio domani, liberata l'Italia del nord, dovesse crearsi uno stato di cose per cui gli anglo-americani procedessero contro i partigiani italiani come hanno proceduto contro I'Eias in Grecia, la stampa sovietica strillerà più o meno secondo lo stato delle polemiche fra alleati, ma il governo russo non muoverà un dito per impedirlo.

145

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 142/16. Mosca, 24 aprile 1945 (per. il 12 maggio).

Il primo corriere inglese a me accessibile parte una settimana prima di quanto mi fosse stato annunciato: non pos,so quindi mandare che una parte dei rapporti che avevo in animo di inviare.

lo -Voglio in primo luogo attirare la tua attenzione sulla difficoltà di dare al ministero delle informazioni precise. Il commissariato degli Esteri è un muro: di

politica si discute solo coi «grandi»: gli altri hanno diritto di parlare solo degli affari che riguardano i loro rispettivi paesi: per contro la stampa qui, per chi la sa leggere, è molto informativa. Gli anglo-americani sono anch'essi estremamente riservati ed in ogni modo le loro relazioni con me sono state, fin dal principio, corrette ma non tali da incoraggiare i giri di orizzonte. Bisogna quindi mettere insieme le notizie pezzo per pezzo e salvo in rari casi è difficile arrivare alla certezza assoluta.

2° -Con mio rapporto n. 138/12 1 completo le notizie telegrafiche che ho inviato sulla questione di Trieste: puoi immaginare che seguo la questione con interesse. A mia impressione, la nostra situazione è attualmente catastrofica: se riusciamo a rimandarne la decisione forse la situazione può migliorare. In ogni modo, a mia impressione, qui c'è assolutamente niente da fare. Se qualche miglioramento della nostra situazione è possibile, ciò può venire solo da Londra e da Washington: ma bisognerebbe cercare di evitare che Mosca si pronunciasse ufficialmente: altrimenti diventerà una questione come quella delle frontiere polacche.

3° -Nel mio rapporto n. 140/142 ho trattato la questione delle «zone d'influenza». Mi posso sbagliare: tengo però a confermarti che quanto ho scritto è la conclusione a cui sono arrivato dopo matura riflessione. La diffidenza fra i due gruppi russo e anglosassone mi sembra insuperabile: non ci sono quindi per loro che due soluzioni: o conflitto o zone d'influenza. Il conflitto immediato solo i russi potrebbero provocarlo, e non ritengo che lo faranno. Resta quindi soltanto, per qualche anno almeno, l'altra soluzione. E non c'è dubbio che noi siamo nella zona d'influenza anglo-americana e siamo destinati a restarci per un pezzo. Bisogna quindi che ne tiriamo tutte le conseguenze. Ne vengono, secondo me, per noi due conseguenze: per tutto quello che per noi è connesso con l'uscita dallo stato di armistizio, il trattato di pace, il nostro status di dopo guerra è inutile contare su Mosca. Dobbiamo passare per Londra e Washington. L'unica cosa che si deve fare qui è di evitare che Mosca si opponga a miglioramenti della nostra situazione. Per questo bisogna non risentirei del disinteressamento russo e, sopratutto, evitare di dare l'impressione di ignorare Mosca. Quindi per ogni questione di qualche importanza rivolgersi anche a Mosca, direttamente, apertamente e semplicemente, e non come al nostro avvocato. lo ritengo che la migliore politica per noi sia quella della politica a carte scoperte, della onestà assoluta: abbiamo purtroppo la fama, rubata in pratica, del machiavellismo che ci grava sulle spalle e che ci fa più danno di qualsiasi altra cosa. Guardando un po' più lontano, data la nostra non invidiabile situazione al confine delle due zone d'influenza -dico al confine perché sarei molto sorpreso che la politica inglese diretta a staccare la Jugoslavia dalla Russia abbia qualche risultato -quello che bisognerebbe tentare sarebbe una politica di «neutralità». Alla politica di federazione europea o magari solo dell'Europa occidentale, non credo: sarebbe l'ideale, ma nessuno dei grandi lo vuole, la Russia meno di tutti gli altri, e non oso sperare che i poveri Paesi europei abbiano la forza di insistere. Nello spazio della nostra generazione l'Italia ha partecipato a due guerre mondiali, ed il bilancio com-

l Vedi D. 143. 2 Vedi D. 141.

plessivo è stato disastroso. Ho ben poca fiducia che la terza guerra mondiale possa essere evitata, l'unica speranza nostra potrebbe essere quella di restarvi neutrali. È molto difficile, ma mi sembra valga la pena di tentarlo. E bisognerebbe cominciare fin da oggi a tenere, in quanto le circostanze Io permettano, una onesta politica equidistante fra i due gruppi contendenti. Dovremo forse per questo rinunciare a qualche vantaggio immediato; ma dove ci ha portato la nostra politica tradizionale di «pescare nel torbido»? La responsabilità di cercare di gettare le prime basi di una politica italiana grava sulle tue spalle: capisco le difficoltà del tuo compito e quanti e da quante parti cercheranno di complicartelo con progetti e proposte. Non voglio aumentare la tua difficoltà e per questo, nei miei rapporti, mi limito ad esporre quelli che sono, secondo me, i dati di fatto, e mi astengo dal formulare politiche a più lunga portata, prima di sapere se questo corrisponda alle tue idee e se quello che io posso scrivere possa aiutarti nel tuo lavoro. A te però ho voluto accennare il mio pensiero: se non sei d'accordo potremo discuterne con tutta calma per iscritto o a voce, secondo i casi.

4° -Se possibile, mi farebbe piacere che i miei rapporti avessero dal ministero una risposta: che mi si dicesse se siete d'accordo con quello che riferisco, se e quali le vostre obbiezioni, se e quali chiarimenti o precisazioni desiderate. So bene che, avanzando una simile richiesta, vado contro ad una tradizione antica del ministero, ma è, secondo me, una cattiva tradizione che varrebbe la. pena, anche se gradualmente, di eliminare. Tu sai, quanto me, per esperienza, quale grave danno sia per i rappresentanti all'estero non sapere mai cosa pensa il ministero su certe determinate questioni.

5° -La politica sovietica è molto spesso una politica di reazione a quello che accade al di fuori, e spesso una reazione a manifestazioni anche insignificanti di stampa straniera a cui qui si tende ad attribuire una importanza che essa non ha. Per un migliore apprezzamento della politica sovietica, mi sarebbe molto utile di essere al corrente di quello che dice la stampa estera sia sulla Russia, sia sulle grandi questioni internazionali, specie la stampa anglo-americana. Sarebbe domandare troppo il chiedere che mi venissero mandati in visione i rapporti stampa che suppongo inviano Londra, Washington e Parigi? Se ciò fosse possibile mi aiuterebbe molto: avere qui giornali stranieri è più difficile che non a Kabul.

Scusa la lunga lettera, ma qualche volta, in una lettera personale si possono dire tante cose che è difficile mettere in un rapporto.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 2141/125. Roma, 25 aprile 1945, ore 10.

Suo 125 1 .

Risultati inchiesta hanno confermato quelli emersi dai primi accertamenti e che le sono stati già comunicati.

l Vedi D. 128.

Dai miei precedenti telegrammi ella sa che nostra tesi è di attesa, basata su ragioni che le sono note. Non dunque intendiamo aprire oggi conversazioni dirette su problema centrale nostri rapporti con Jugoslavia, bensì, soltanto, attraverso la ripresa di relazioni normali, preparare un terreno e un'atmosfera più propizi fra i due paesi.

La nostra proposta ha cioè obiettivi limitati, il conseguimento dei quali ci par tuttavia una prima tappa che è indispensabile e reciprocamente utile raggiungere. Ed è quella poi che pressocché tutte le Nazioni Unite hanno già percorso.

Ella si regoli in conseguenza nei suoi contatti con codesta rappresentanza jugoslava. Attendo con interesse elementi di informazione di cui V.E. fa cenno nel suo telegramma n. 129 1 .

Si tenga in proposito in contatto anche con codesto governo, al quale vorrà riaffermare nostro fermo proposito pacifica e feconda collaborazione con gli slavi del sud e conseguente necessità che essi costituiscano un ponte e non una frattura fra l'Italia e la grande famiglia slava.

147

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 2957-2959-2956/203-206-207. Londra, 25 aprile 1945 2 (per. ore 15 del 27).

Mio telegramma n. 199 3•

Ho avuto colloquio con Massigli e ne ho approfittato per prospettargli situazione profughi italiani che dalla Germania si dirigono verso la Francia. Gli ho detto che in base a quanto mi era stato fatto presente in proposito al Foreign Office il R. ambasciatore a Parigi avrebbe certamente ricevuto istruzioni intrattenere competenti autorità francesi, ma contavo su suo intervento personale che, dato prestigio di cui godeva al Quai d'Orsay, avrebbe potuto accelerare sollecita adozione necessarie previdenze. Massigli si sarebbe subito interessato alla cosa.

Ho preso anche occasione toccare con Massigli questione di cui telegramma di

V.E. 117 4 , tanto più che, dopo mia conversazione del 13 corrente (mio telegramma 202) 5 il Foreign Office gliene avrà verosimilmente parlato. Ad una sua osservazione in questo senso ho detto a Massigli che certamente potevo comprendere si attaccassero truppe germaniche alla frontiera italiana, ma temevo francamente reazioni

I T. 2822/129 del 21 aprile, in cui Quaroni annunciava che avrebbe riferito circa le conversazioni russo-jugoslave a proposito della frontiera orientale quando avesse avuto informazioni più precise. Vedi D. 165.

2 Inviato il 26 aprile, ore 11,35.

3 T. 2817/199 del 21 aprile, non pubblicato.

4 T. 2007/117 del 20 aprile, con cui veniva comunicato a Carandini il D. 96.

5 T. 2946/202 del 24 aprile: colloquio con l'assistente sottosegretario di Stato circa l'inopportunità dell'occupazione di zone dell'Italia settentrionale da parte di truppe francesi.

opinione pubblica e conseguenti riflessi sui futuri rapporti tra i due Paesi se avesse avuto luogo una occupazione francese di qualsiasi parte del nostro territorio che avesse potuto far pensare a sentimenti di rivalsa contro nuova Italia. Credevo con lui -e tale era il tono della conversazione -che di fronte alla presente rovina una salda amicizia itala-francese rendevasi indispensabile e non doveva essere ritardata o turbata da questioni che non si potessero considerare di vitale importanza. Massigli mi ha escluso qualsiasi intenzione di vendetta ed ha protestato che rivendicazione certe valli piemontesi -cui avevamo fatto accidentale riferimento -era effetto soltanto dell'esaltazione di qualche insignificante gruppo savoiardo. Riferisco quanto precede per informazione e data particolare cordiale franchezza con cui si è espresso anche questa volta mio interlocutore.

148

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DI GRAN BRETAGNA EDEN

PROMEMORIA 1 . Londra, 25 aprile 1945.

I have returned from my second visit to Italy and I feel the need of getting in touch with you. Not having been able to see you because of your sudden departure, I am writing to you.

I bave never communicated with you except when the need seemed both serious and urgent. I appealed to you before Yalta; you promised me help and you gave it. I now turn to you on the eve of the San Francisco Conference, urgently prompted to do so by the circumstances of a particularly delicate moment of the Italian !ife.

The San Francisco Conference is about to open in our absence. We do not protest. We try to understand this, as we bave understood and accepted other limitation. But we cannot avoid a feeling of great anxiety for the unknown that faces us. As for myself this anxiety is mitigated by the certainty that my country has in you a sincere and understanding friend. On the other band, I feel it my urgent duty to keep you informed on the Italian situation and on Italian feelings with regard to England because that situation and those feelings are today under a great strain and liable to sudden changes.

Italian interna situation. I found that the country is on the way to recovery to a comforting degree. The four-party Government has done some good work. The re-entry in the Cabinet of the Socialist and Action parties will take piace after the liberation of the North. Ali parties have agreed on this and after ltaly's complete liberation intend to cali a National Congress of the Provincia! Committees of

1 Copia del promemoria fu inviata da Carandini a De Gasperi con L. riservata 1577 del 25 aprile, non pubblicata.

Liberation to be followed by the formation of a new government. The abolition of the politica! price of bread rèpresents a courageous measure in defence of the budget. The success of the nationalloan is exceeding all expectations. Since February taxation returns have doubled. Inflation is unfortunate ly growing, but no remedy can be effective until we have contro! of the total amount of currency, and until a more normal and balanced distribution of goods is made possible by a substantial improvement in the means of transport, that is to say, until territorial unity is reestablished. The Treasury is meanwhile doing its best in a currency situation, which the above conditions as well as the overwhelming burden imposed by occupation expenses threaten with the most serious dangers.

In the field of reconstruction the Government is taking the first concrete steps. In spite of the generai impoverishment, the situation is improving as a result of Government action and of the exemplary behaviour and initiative of the population. Public order and respect for property do not cause excessive worry. The inexistance of serious disorders is most significant if one takes into consideration the inadequacy of police forces in the towns and their almost total absence in country districts.

The response of young men called up to the forces has m ade striking progress: in many provinces it has almost reached the 100% mark. The behaviour of our Navy and of thè Army divisions at the front is judged most favourably by the Allied Military Authorities. The achievements of the partisan formations, nearly

200.000 strong, are well known to Field Marshal Alexander. Civilian resistance by the Northern populations is exemplary.

On the other hand there is a generai state of unrest such as confronts all peoples who have been under German domination and have regained a liberty tarnished by a sense of deep uneasiness and obscure rancours. Upon liberation this materia! and moral state of distress has in some countries taken the form of deep politica! unrest, in other countries of open civil war. In ltaly, this distress has, to date, remained within the limits of moderate politica! controversy and this ought to be noted. But it is not wholly dependent on us whether these conditions can be maintained.

State ofpublic opinion. Upon w hat do these conditions of comparative stability depend?

I found in Italy a depressed and irritable frame of mind, verging upon exasperation. This is to me the most disturbing aspect of the situation because, I am sorry to say, it is considered to be mainly due to the attitude of the British towards us. My people, as you know, are more sensitive to British opinion than any other. The declaration of war by Mussolini was for you a particular outrage because it carne from Italy; so, for us ltalians, incomprehension on your part is particularly disheartening, even exasperating. I trust you will not think that these are merely sentimental considerations, but will realise that they can have politica! effects and may have a substantial influence on the future of Europe.

Frankly, Mr. Eden, my people feel that the British attitude towards Italy is cold and hard. They consider it unjust and resent it. The average Italian reasons thus:

«Mussolini dragged us into war against England. We must accept the responsibilities and the consequences of this. But this is not all. When Germany was still in full strength and the outcome of the war uncertain, after overthrowing Fascism we felt impelled to correct our errors and show our real feelings by contributing with a concrete and effective act to the victory of the democratic powers. Our unconditional surrender was not simply an effect of the course of the war: it meant something more and better. It was also the outcome of our decision to rebel against dictatorship that we held out our hand to the Allied Powers and gave to the democratic cause our full support. Notwithstanding the Allied landing in ltaly, Mussolini would have continued the war and with his assistance the Germans could have offered an even more effective resistance than the one that had to be overcome. Instead, the entire Italian battle fleet loyally joined the Allied navies. Our army in Italy ceased to fight the Allies and, moreover, we forced Germany to substitue with her own troops the 36 ltalian divisions stationed in the Balkans and in Southern France. We willingly put ali our resources at the disposal of the Allies; we immediately offered the help of our arms; we organised civilian resistance to. the Germans; we built up an army of partisans; we greeted the Alli es as friends and liberators, assuring them absolute security in the rear of their armies and the fullest measure of collaboration. We accepted unconditional surrender considering it an act of conciliation rather than of submission.

Nineteen months have gone by and our attitude has not changed. The fleet is doing its duty. The small army you have consented to rearm is doing its duty. Northern ltaly is not only in a condition of rebellion but in a state of war. Thousands of politica! martyrs have paid and are paying with their lives. The people go hungry and do not protest. Ruins are added to ruins, and ali is accepted in silence. What more can be asked of us? If a period of quarantine, of observation, was necessary in order that Italy might prove her loyalty, surely such a period should by now be ended by these proofs of our new spiritual force, of our capacity for sacrifice, and by Italy's demonstrated will to redeem herself.

But unfortunately the atmosphere does not change. The unknown clauses of the armistice are stili the only law that defines and rules the relations between Italy and the Allies. Italian history has marched on; it has passed a great turning point. But the world has taken noti ce of one thing only: that we have surrendered unconditionally. Let us admit that never in history a defeated country has been treated so generously on the materia! side; but never has the reform of a nation been so little appreciated and encouraged».

That is the opinion of the average ltalian: others go further, envisaging for our future different alternatives and solutions.

I need hardly tell you that I am opposing with ali my strength the unfortunate growth of such resentment. But in order to persuade my countrymen not to despair, to encourage them to overcome this period of expiation, I must sometimes prevaricate because the truth, as I see it, is that the average Englishman has not taken adeguate note of the trials and sufferings through which we are endeavouring to recover our liberty, our independence an d our right t o offer and claim loyal friendship and politica] solidarity with ali free peoples.

The fact that British public opinion is still strongly opposed to us is proved by the systematic absence in the press of any information throwing light on any aspect of our collaboration and on Italy's rebirth. This does not certainly correspond to the attitude of the British Government, as proven by the words addressed by the Prime Minister to Italy in his recent speech following the Crimea Conference 1 . But even his clear and loyal declarations, that were received in Italy with the greatest relief and awakened for a time the highest hopes, have not established that favourable reaction that one might have expected. And this is what most impresses me. I do not wish to paint too pessimistic a picture of British public opinion. I recognize the growing favour with which the Italian cause is considered here by the more enlightened and informed and therefore more limited circles. But the opinion of the average man who does not seek information and receives none remains poisoned as yet by a deep resentment; less endowed as he is with that heightened moral and politica! sensibility that alone can bring about a greater understanding and generosity.

It is understandable that the reluctance of the British Government to take a more encouraging attitude towards Italy is to some extent due to considerations for other countries who were victims of Fascist aggression. But I believe that the pacification of Europe will not be attained if these surviving rancours are not openly fought by the great victorious nations with an example of generosity that will be the measure of their greatness.

I feel it my duty to point out the dangers of this situation so as not to be reproached some day for not having spoken clearly and in time. I have the feeling that, without the recognition of the British Government, our sacrifices and our good intentions may all be in vain.

The consequence of this state of affairs may be serious. In Italy resentment is growing. lt weakens and discredits the persuasive influence of those who are most sincerely attached to the traditional Anglo-ltalian friendship and most firmly convinced (in the interest of Italy, Great Britain and Europe) of the necessity of its urgent and firm reestablishment.

If I have expounded at some length this sad state of affairs it is because I feel much anxiety in view of the approaching liberation of the North. To the question that is often addressed to me here: What will happen in the North? I can only answer that I know that the ltalians of the North are not willing to accept the condition of inferiority to which we have up to now, not without suffering, adapted ourselves. They will not accept it, because, as their representatives coming from Milan affirmed to me recently in Rome, they have been waging for nineteen months regular warfare against German forces and civil war against the Fascists, because they have already taken on the most formidable responsibilities, giving ample proof and measure of their military and civilian capacities, because without asking the permission of any Contro! Commission they have created out of nothing an army, they have organised it and trained it, giving to the common cause an essential contribution, because they have shown what Italians can do when left to themselves in the full and responsible exercise of their will. From these trials they come out fortified, wishing to put at the service of the Allies their free and responsible collaboration, but unwilling to submit to the heavy tutelage that has so sadly limited

l Vedi DD. 74 e 75.

our initiative in that part of ltaly already liberated. It will depend upon the comprehension of the Allies whether these forces continue to give their collaboration in peace or assume instead an attitude of resistance that may lead to unforesean consequences.

The San Francisco Conference virtually opens the doors of peace, and Italy is stili in a state of war with Britain. The most disquieting threats to the territorial integrity of Jtaly are heard on ali sides, without any sign of reassurance being given to us by those who are alone in a position to do so. Our soldiers and partisans are today asking themselves whether their sacrifices will lead to the saving of our national integrity or to our dismemberment. Italy is kept in the dark as to everything. A terrible doubt confronts me such as would pursue any man of action and responsibility in my position. In what condition shall we face the future? Shall we be called upon to sign a peace treaty, sight-unseen, as a vanquished people? Or shall we be admitted to the negotiation of just conditions? Are we to be considered as an active element in the reconstruction of a New Europe? These are questions that, in the interest of both our countries, must be answered before the expectations of the majority of ltalians be too gravely shaken and the movement towards redemption, today in full swing, should collapse and open a way to other unwonted solutions.

In the circumstances I am sure you will not blame me for opening my heart to you so freely. I have done so prompted by a feeling which, were it not for the great distance in rank and authority that separate us, I would dare cali friendship.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. 2169/c. Roma, 26 aprile 1945, ore 13.

(Per tutti) Con telegramma a parte 1 le ho trasmesso il testo di una nostra dichiarazione per San Francisco che si commenta da sé. Voglia comunque nel consegnarne ufficialmente copia a codesto governo insistere, oltre che su argomenti ivi accennati, anche sulla circostanza che la nostra dichiarazione è mossa non da sentimenti di amarezza verso le Nazioni Unite, che ci sono naturalmente estranei, bensì da quello stesso leale spirito di collaborazione che ha animato ed anima l'Italia democratica in guerra e che è necessario tener vivo ed attivo anche in pace,

l Vedi D. 150.

generosamente rinserendo il popolo italiano nello sforzo diretto alla pacifica ricostruzione del mondo.

(Solo per Washington) Ella troverà un accenno alla nostra disposizione ad assecondare lo sforzo bellico delle Nazioni Unite anche oltre la fine delle ostilità in Europa. Lo sottolinei costì, quale effettivamente è, come gesto di amicizia sopratutto rivolto verso gli Stati Uniti.

150

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 2170/71 1• Roma, 26 aprile 1945.

Su mia proposta, il Consiglio dei ministri ha oggi approvato all'unanimità la seguente solenne dichiarazione che V.E. vorrà far pervenire d'urgenza alla presidenza della Conferenza con preghiera di cortese consegna a tutte le delegazioni presenti. La prego chiedere alla presidenza stessa che di tale dichiarazione sia possibilmente data lettura durante una riunione plenaria. Ella vorrà curarne consegna anche a codesto governo:

«Nel giorno in cui si inizia la riunione di San Francisco, il Consiglio dei ministri sente il dovere di esprimere pubblicamente il profondo senso di delusione del popolo italiano per l'esclusione dell'Italia democratica da una conferenza destinata a porre le basi della pacifica convivenza fra le Nazioni.

Il Consiglio dei ministri ricorda con commozione le parole pronunciate nel giugno 1944 dal grande presidente Roosevelt: «Noi vogliamo l'aiuto dell'Italia e contiamo sull'aiuto dell'Italia nell'opera di costruzione di una pace durevole».

Questo aiuto l'Italia ha dato e dà in guerra da diciotto mesi, nella misura che le fu concessa e con tutti i mezzi a sua disposizione, ed è pronta a darlo anche in avvenire, ovunque la causa della democrazia ha ancora da vincere le sue battaglie. La sua flotta, la sua aviazione, le sue formazioni regolari e partigiane hanno contribuito alla vittoria e il suo popolo, nonostante le enormi distruzioni ed il duro armistizio, tuttora vivo ed operante, si va ordinando secondo libertà e democrazia.

Questo aiuto l'Italia è pronta a dare anche in pace per quell'opera di ricostruzione cui il presidente Roosevelt la chiamava.

In nome di questo aiuto dato ed offerto, in nome della sua civiltà millenaria, in nome dei principi morali che le Nazioni Unite hanno inscritto sulle loro bandiere l'Italia democratica di fronte a tutte le Nazioni Unite, alle grandi come alle minori,

1 Il contenuto di questo telegramma fu comunicato alle rappresentanze ad Ankara, Buenos Aires, Londra, Madrid, Mosca, Parigi, Berna, Bruxelles, Dublino, Lisbona e Stoccolma ed a Guidotti con T. 2171/c., pari data.

tra le quali tante le sono così prossime di cultura e di sangue, rivendica il diritto e riafferma la sua volontà di partecipare all'opera di ricostruzione del mondo, le cui prime fondamenta si pongono oggi a San Francisco.

151

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO A SOFIA, MAMELI

TELESPR. 15/5974/8. Roma, 26 aprile 1945.

Telespr. 497/64 del 3 marzo 1945 1 È anche nostro desiderio vedere realizzata favorevolmente ed in breve tempo la costituzione di una regolare e normale rappresentanza diplomatica bulgara in Italia.

V.S. conosce che gli ostacoli, più che nella difficile autorizzazione per i diplomatici bulgari a partire dalla Bulgaria e ad entrare in Italia, si trovano nella decisione alleata di non ammettere ancora il ripristino di relazioni diplomatiche con e fra Stati ex-nemici e di considerare quelle eventualmente esistenti, come rappresentanze di fatto.

Comunque se codesto ministro degli Affari Esteri ha in mente un progetto per costituire la sua rappresentanza in Roma, sarebbe utile incoraggiarlo a dargli seguito al più presto 2•

152

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 309l/138. Mosca, 27 aprile 1945 3 (per. ore 13 del 30).

Telegramma di V.E. n. 113 e telegramma circolare 1995 4 .

Ho informato questo governo delle comunicazioni fatte a questa ambasciata jugoslava e del desiderio del R. governo di stabilire rapporti diretti con quello jugoslavo. Mia comunicazione è stata accolta senza commenti né reazioni.

Stampa sovietica non ha fatto menzione né incidente bomba né dichiarazioni di V.E., né, fino ad ora, ha accennato polemiche itala-jugoslave sull'argomento: è indubbiamente sintomo questo che questo governo non ritiene giunto il momento prendere posizione apertamente.

l Non pubblicato. 2 Per la risposta di Mameli vedi D. 288. 3 Inviato il 29 aprile, ore 19,35. 4 Vedi DD. 122 e 134.

Ho riferito a V.E. pm ampiamente sull'argomento con rapporto che è già

partito 1; per quanto concerne questo governo mi permetto però segnalare a V.E.

opportunità evitare forzarlo adesso prendere posizione apertamente. Suo atteggia

mento non potrebbe essere nelle circostanze attuali che a noi sfavorevole ed una

volta che questo governo si sia pronunciato, utilità possibili evoluzioni più favorevoli

per noi governi e opinione pubblica anglo-americana potrebbe essere fortemente

compromessa.

Certa influenza su situazione avrà fatto se zona in discussione sarà raggiunta

prima da jugoslavi o anglo-americani.

Circa esistenza o meno accordo fra comando anglo-americano e jugoslavo nel

senso che occupazione Trieste sarebbe lasciata jugoslavi ho avuto qui informazioni

contraddittorie.

153

IL CAPO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, DEL BALZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO RISERVATO. Roma, 27 aprile 1945.

Il signor Halford dell'ambasciata britannica, che è uno dei consulenti politici

della Commissione Alleata, ha detto, in una conversazione amichevole, che la

recente dichiarazione di S.E. De Gasperi al Consiglio dei ministri sui rapporti

itala-jugoslavi 2 ha destato eccellente impressione nei circoli alleati di Roma per il

suo tono «dignitoso e misurato».

Halford ha chiesto se il governo italiano ha già compiuto qualche passo per

stabilire rapporti diretti con il governo jugoslavo. Gli è stato risposto che sono

stati svolti vari sondaggi i quali, finora, non hanno sortito esito positivo. Gli è

stato anche accennato all'atteggiamento assunto dal rappresentante jugoslavo nel

Comitato Consultivo, atteggiamento del quale Halford si è detto al corrente.

Egli ha aggiunto che il fatto che i rappresentanti jugoslavo e greco nel Comitato Consultivo per l'Italia non abbiano nei confronti del governo italiano una posizione responsabile è giudicato ormai un'anomalia che dovrebbe essere eliminata. È infatti opinione della Commissione Alleata che i rapporti dell'Italia con Belgrado e Atene ·debbano esser posti su basi analoghe a quelle ormai stabilite con gli altri governi

rappresentati nell' Advisory Council.

A differenza di Smodlaka, secondo il signor Halford, i rappresentanti greci a

Roma sarebbero animati dalle migliori intenzioni ed avrebbero anzi già preso

qualche iniziativa al riguardo, se la situazione interna greca non lo avesse, finora,

impedito.

t Vedi D. 143. 2 Vedi D. 134.

154

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 160/19. Mosca, 28 aprile 1945 (per. il 17 maggio).

Seguito mio telegramma n. 140 in data odierna 1 .

Ho l'onore di inviare, qui allegata 2 , una copia dell'accordo relativo all'as-sistenza dei nostri connazionali in Polonia e dei cittadini polacchi in Italia, che, in base ai poteri conferi timi col telegramma ministeriale n. l05 3 , ho firmato oggi. AI testo dell'accordo, che invio per corriere normale, sono allegati i pieni poteri che, per la sua conclusione, il governo di Varsavia ha fatto pervenire a questo ambasciatore di Polonia, signor Zygmunt Modzelewski.

La stipulazione dello strumento in parola ha avuto luogo oggi, anziché 1'8 aprile come avevo indicato nel mio telegramma n. 95 4 , in seguito ad un tentativo -fatto in forma molto cortese e sincera da questo ambasciatore di Polonia -di modificarne i termini e di procedere alla stipulazione di un accordo di collaborazione, che, analogamente a quello già concluso con la Francia e ad un altro attualmente in corso di definizione con la Svezia, portasse ad esplicito ed ufficiale riconoscimento italiano, sia pure de facto, del governo polacco di Varsavia.

Nella forma più chiara e nei termini più onesti, ho detto al signor Modzelewski ed ho riconfermato al presidente della Repubblica polacca, Bierut, ed al primo ministro e ministro per gli Affari Esteri, Osobka-Morawski che hanno voluto ricevermi il 22 corrente per manifestarmi insieme i costanti sentimenti di amicizia e di simpatia del popolo polacco per il popolo italiano che, a prescindere dai limiti che i poteri conferitimi da V.E. mi ponevano, essendo l'Italia legata da impegni specifici con gli Alleati, non vedevo come si potesse, senza difficoltà notevoli, giungere ad uq accordo di proporzioni più ampie e che implicasse il desiderato riconoscimento. Non ho mancato di sottolineare poì, che, in considerazione del carattere della controversia sul problema polacco, avocata dopo la Conferenza di Crimea alla trattazione della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, ed ancora in corso di dibattuto esame, scarso sarebbe il rilievo internazionale di un riconoscimento de facto da parte italiana, e comunque, date le circostanze, tale da non modificare il peso del governo di Varsavia ed il suo credito effettivo. Che se, poi, -ho aggiunto -la richiesta dovesse ritenersi intesa ad ottenere una prova dei sentimenti italiani per la Polonia, i legami storici che hanno unito i due popoli in battaglie per la libertà e la costante simpatia con la quale in Italia si sono sempre seguite e si seguono le sorti della Polonia, potevar:10 costituire la prova migliore della continuità di una tradizione di amicizia, insieme con l'auspic,~o, di cui mi sono fatto interprete, del popolo italiano perché,

I T. 3089/140, non pubblicato. 2 Non pubblicata. 3 T. 1702/105 del 5 aprile, non pubblicato. 4 T. 2135/95 del 28 marzo, non pubblicato.

raggiunto rapidamente l'accordo nel quadro internazionale, la Repubblica polacca possa presto e serenamente iniziare la sua nuova vita. Il presidente Bierut ed il sig. Osobka-Morawski hanno mostrato di rendersi pienamente conto dell'attuale situazione dell'Italia, e, concordando nel fondamento delle mie considerazioni, mi hanno assicurato che il governo di Varsavia farà di tutto per dare all'assistenza degli italiani in Polonia carattere di cordialità e di premura conformi allo spirito dell'amicizia tra i due popoli.

Il primo ministro ha espresso inoltre l'augurio, cui mi sono associato, prevedendone l'eventualità, che, definita la controversia polacca, l'Italia possa essere fra i primi Stati che normalizzeranno le relazioni diplomatiche colla Polonia 1 .

155

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. RISERVATO 11/6260/86.

Roma, 29 aprile 1945.

Telegramma n. 026 del 5 corrente 2 . Secondo informazioni pervenute a questo ministero il governo iraniano desidera vivamente ristabilire le relazioni diplomatiche con l'Italia.

Una comunicazione ufficiosa in questo senso è stata fatta da monsignor Marina, delegato apostolico a Teheran, rientrato in Italia in congedo nell'autunno scorso 3 . Anche l'attuale ambasciatore di Turchia a Roma, il quale era prima a Teheran, si è espresso nello stesso senso. Infine l'atteggiamento del governo iraniano è stato recentemente confermato da persona proveniente dall'Iran la quale aveva avuto occasione di incontrarsi a Teheran con il conte Monteforte, già interprete della nostra legazione, il quale ha ripetuto che numerose personalità gli avevano espresso il desiderio che le relazioni diplomatiche con l'Italia venissero riallacciate al più presto.

Secondo le dichiarazioni di monsignor Marina il governo iraniano sarebbe stato pronto ad assumere l'iniziativa per la ripresa delle relazioni quando avesse avuto conferma di una eguale intenzione da parte nostra. Invece secondo questo ambasciatore di Turchia, a Teheran si sarebbe preferito che l'iniziativa partisse da Roma 4 .

Monsignor Marina era stato pregato di informare il governo iraniano del nostro altrettanto vivo desiderio di ristabilire normali rapporti diplomatici; senonché

1 Il 3 maggio Prunas dette conoscenza dell'accordo firmato da Quaroni e Charles, a Dowling e a Stone.

2VediD.ll5.

3 Vedi serie decima, vol. I. D. 520.

4 Vedi D. 53.

egli è stato, mentre si trova tuttora a Roma, destinato ad Ankara e non ha potuto quindi farsi latore personalmente del nostro messaggio.

Codesto ministro d'Afghanistan, Abdul Hussein Khan Aziz, è effettivamente un buon amico del nostro Paese, e di tale amicizia ci ha dato varie prove; inoltre è persona che ha un certo seguito in Afghanistan e non è escluso che debba sostenere una parte importante in eventuali rivolgimenti politici che potessero aver luogo in futuro in quel paese. Potrebbe quindi essere utile che V.E. stabilisse per suo tramite rapporti amichevoli in via personale con codesto ministro di Iran.

Per quanto riguarda la ripresa delle relazioni diplomatiche è noto che si tratta di una regione dove tanto inglesi quanto russi hanno interessi molto considerevoli, contrastanti e di vecchia data, per cui tanto a Londra che a Mosca si è estremamente sensibili a tutto quello che riguarda l'Iran.

In ogni modo il R. ambasciatore ad Ankara, il quale raggiugerà fra breve la sua destinazione, riceverà istruzioni di entrare in contatto con l'ambasciatore d'Iran per occuparsi eventualmente della questione; la sua azione sarebbe resa più facile se il governo iraniano potesse esserne preventivamente informato.

156

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 173/32 1 . Mosca, 29 aprile 1945 (per. il 17 maggio).

Recentemente il ministro Mameli mi ha richiesto di interessarmi presso il governo sovietico per ottenere visti di ritorno per funzionari di quella legazione o recatisi in Italia per conferire o in servizio di corriere.

Sono intervenuto subito presso il governo sovietico. Tengo però a far presente all'E.V. che, in tutte le conversazioni da me avute sull'argomento, si è sempre tenuto a marcarmi che le nostre legazioni a Sofia e Bucarest hanno situazione di privati: che i russi sono estremamente gelosi di tutto quello che accade nei due paesi, anche nei riguardi dei loro alleati: che la nostra passata influenza in Romania e Bulgaria è qui guardata con molto sospetto.

Mi permetterei quindi di raccomandare alle due legazioni la massima prudenza, sopratutto per quello che riguarda la loro attività più strettamente diplomatica, almeno per qualche tempo ancora, per evitare che da parte sovietica ci si domandino limitazioni precise di personale, di attività ecc. Avrei fatto questa raccomandazione a titolo personale direttamente a Mameli ma purtroppo non ho mezzi per comunicare con lui, altro che per telegrafo in chiaro.

I Vedi D. 140, nota 3.

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 2257 /c. 1• Roma, 30 aprile 1945 2 .

Generale insurrezione Alta Italia che ha determinato crollo potenza militare tedesca sul nostro fronte, dimostra in modo incontrovertibile quale effettivamente sia animo degli italiani, quale contributo essi effettivamente danno alla vittoria comune, che cosa avrebbero potuto fare anche nell'Italia liberata sol che si fosse voluto e permesso.

Determinazione con la quale capi fascisti sono liquidati documenta d'altra parte come profonda sia avversione al regime scomparso e come sincera sia nostra volontà rinnovamento democratico.

Poiché codesto governo si è con V.E. in varie occasioni fatto interprete di un qualche scetticismo al riguardo, ella voglia, la prego, insistere in modo particolarissimo su questi punti che dovrebbero, io credo, condurre ad una ben altra e più adeguata valutazione della effettiva situazione italiana.

158

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/685. Roma, 30 aprile 1945.

Con sua nota n. 4001 /EC del 18 aprile 3 ella ha chiesto a S.E. il presidente del Consiglio un sommario di tutti i negoziati conclusi o in pendenza con gli altri governi, in conformità al promemoria Macmillan del 24 febbraio 4 .

Riassumo brevemente la situazione. Tutte le discussioni di carattere economico passano attraverso la sottocommissione competente dell'A.C., la quale è per conseguenza perfettamente informata al riguardo.

In materia politica il solo negoziato condotto a termine è quello con la Francia, relativo alla ripresa dei rapporti diretti e al regime degli italiani in Tunisia 5 . Comunicati ufficiali in proposito sono stati, a suo tempo, pubblicati da tutta la stampa.

Sondaggi sono in corso per la ripresa delle relazioni con la Jugoslavia e conversazioni per l'assistenza degli internati italiani in Polonia e in Albania.

Le ricordo, ad ogni buon fine, che gli Alleati posseggono, com'ella sa, i nostri cifrari e che sono in conseguenza perfettamente al corrente di tutte le iniziative predette.

l Comunicato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington. 2 Inviato il l o maggio, ore 15. 3 Vedi D. 132. 4 Vedi D. 68. s Vedi D. 73.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI PRESSO I GOVERNI CECOSLOVACCO E NORVEGESE A LONDRA, GUIDOTTI

TELESPR. 16/6287/121. Roma, 30 aprile 1945.

Approvo quanto ella ha detto a Masaryk (suo rapporto del 12 aprile) 1 .

Converrà ella approfondisca l'accenno fattole circa «Trieste in mani italiane e porto libero, è anche un interesse cecoslovacco». Occorre cioè in primo luogo cercare di creare fra noi e la Cecoslovacchia un terreno -e al più presto meglio -di interesse comune a proposito di Trieste in particolare, della frontiera orientale in generale. E, in secondo luogo, cercare che di codesto comune interesse Praga si voglia rendere interprete presso il governo sovietico.

Prenda, la prego, visione dei telegrammi recenti trasmessi alla R. ambasciata a Londra, in merito al nostro generale atteggiamento sulla Jugoslavia. Ella vi troverà i dati e gli elementi che le permetteranno di inquadrare la questione così come noi la vediamo.

Insista anche su questo tasto: che cioè gli slavi del sud debbono essere .un ponte e non costituire una frattura fra la nuova Italia democratica e la grande famiglia slava, con la quale intendiamo vivere in pace e stabilire vincoli e relazioni di feconda collaborazione. Tutto ciò presume naturalmente in primo luogo una visione realistica che appunto è la nostra, del fattore sovietico -militare, politico, economico -e della sua portata e importanza nella nuova Europa in gestazione.

Per il resto ella coltivi i rapporti col governo cecoslovacco e cerchi in ogni modo di stabilire con esso rapporti della maggiore cordialità ed amicizia 2•

160

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 165/24. Mosca, 30 aprile 1945 (per. il 17 maggio).

Ha fatto grande sensazione in questi ambienti, sia sovietici che stranieri, l'articolo «Il compagno Erhenburg semplifica» apparso nella Pravda del 14 aprile, a firma Alexandrov.

Alexandrov è persona molto importante nei circoli della stampa sovietica, nel partito e, quel che più conta, è pezzo grosso dell'N.K.V.D. (ministero degli Interni che si è sostituito in tutte le sue funzioni alla G.P.U. di buona memoria).

l Vedi D. 123. 2 Per la risposta vedi D. 197.

Alexandrov dice che la tesi di Erhenburg -che non esiste la Germania ma una «colossale banda» -non corrisponde alla rea~tà, ci sono dei tedeschi cattivi, medi e buoni: Erhenburg viene accusato di fornire elementi alla propaganda di Goebbels.

Erhenburg ha, fra gli intellettuali russi il nomignolo di Ilya Kilometrovic, per la sua capacità di scrivere dei chilometri della sua brillante prosa, su qualsiasi argomento gli venga indicato. Nessun dubbio quindi che egli scrivesse per ordine dall'alto: del resto ho inteso colle mie orecchie il giorno dell'anniversario dell'esercito rosso, Vyshinsky, ubriaco fradicio, improvvisare una orazione contro la Germania, più feroce di tutti gli articoli di Erhenburg e brindare a lui «come al vero interprete dei sentimenti dei popoli dell'Unione verso la Germania». Non v'è quindi nessun dubbio che l'articolo di Alexandrov è indizio di un cambiamento dell'atteggiamento del governo sovietico verso la Germania.

Nei miei rapporti 140/14 e 141/15 1 avevo già accennato a possibili evoluzioni della politica russa verso la Germania, e alle preoccupazioni che aveva destato qui lo svolgersi degli avvenimenti militari e politici in Germania. Mi riprometto qui di tornare sull'argomento.

Premetto che nel popolo russo non c'è odio verso i tedeschi: la propaganda ufficiale ha fin qui calcato la mano, giornalmente, sulle atrocità tedesche, sull'odio, sulla vendetta con tanto più accanimento in quanto l'odio contro i tedeschi non è forte e duraturo nemmeno nelle regioni devastate dove, del resto, specialmente nel sud, la cooperazione con i tedeschi è stata molto maggiore di quanto generalmente si dice.

Secondo quanto mi risulta, alla Conferenza di Crimea il problema della sistemazione post-bellica della Germania, è stato lasciato nel vago ci si è limitati a stabilire le zone rispettive di occupazione ed il meccanismo generale del controllo amministrativo interalleato. Sopratutto nel vago è rimasta la questione se vi dovrà essere o meno un governo tedesco: sembra però che i russi fossero di parere negativo.

In Prussia orientale, in tutti i territori fino all'Oder ed alla Neisse i russi, secondo tutte le informazioni che mi sono pervenute, non sono certo stati benevoli. I primi tre giorni le truppe rosse sono lasciate libere di ammazzare e saccheggiare -e non se lo son fatto dire due volte -poi la popolazione tedesca è raccolta in campi di concentramento ed avviata, gradualmente, verso l'interno della Russia. Ma si tratta di territori che dovevano essere passati alla Polonia o alla Russia (la Prussia orientale fino a Koenigsberg) e la cui popolazione tedesca -su questo punto l'atteggiamento polacco e russo è stato ben chiaro fin dal principio -doveva essere fatta sgombrare. Si riteneva generalmente che con questo termine si intendesse che i tedeschi dovevano rientrare in Germania: ora appare chiaro invece che essi andranno in Russia. Questa deportazione in massa di tedeschi, per cui si delineava una opposizione americana, è coperta dalla frase eufemistica «l'America trova giusto che i tedeschi contribuiscano con il loro lavoro alla ricostruzione delle terre russe devastate».

A mio avviso i russi intendono colmare, almeno in parte, con queste deportazioni tedesche, i vuoti immensi che la guerra ha lasciato nella popolazione -fonti russe,

I Vedi DD. 140 e 141.

in grado di sapere, le fanno ammontare complessivamente da trenta a cinquanta milioni. Essi ritengono, forse non a torto, che questi tedeschi dispersi in gruppi isolati in mezzo alla popolazione russa possano essere assimilati. Così sono egualmente convinto che una buona parte dei prigionieri tedeschi non rivedrà mai la Germania.

La Russia è stata ed è ancora di massima, ritengo, favorevole a tutte le possibili amputazioni territoriali della Germania, con estromissione delle popolazioni tedesche.

Ma per mutilata e ridotta che sia, la Germania resta, e sulla politica da seguire nei riguardi della superstite Germania è mia impressione che qui le idee siano tutt'altro che chiare.

Secondo quanto mi è stato detto, a Teheran la Russia aveva promesso di non continuare la politica abbozzata colla creazione del Comitato Libera Germania. Di questo Comitato è presidente il comunista Weinert, vice presidente il generale von Seydlitz: ne fanno parte l'Unione dei combattenti tedeschi, generali, comandanti ed altra gente tratta dai prigionieri. È circondato dal più assoluto segreto: nessuno ha mai potuto prendere contatto con loro: però il loro giornale continua a pubblicarsi, la loro radio a fare delle emissioni giornaliere ed ogni tanto si può vedere a spasso per le vie di Mosca qualche generale tedesco in uniforme e decorazioni. Cosa significa tutto questo?

Negli ambienti stranieri.di Mosca viene considerato come una specie di assioma che la superiorità dei russi rispetto agli alleati sta nel fatto che i russi sanno chiaramente quello che vogliono e come volerlo. Più il tempo passa e più dubito che questo sia vero. Può essere esatto, ma fino ad un certo punto, per tutto quello che concerne la zona russa di influenza, ma al di là le idee russe sono ben lontane dall'essere chiare.

Per quanto concerne la Germania in particolare mi sembra intanto di potere individuare due linee di incertezza:

0 ) la politica russa verso gli Stati vicini e verso la Francia si basa su un sistema di alleanze anti-germaniche: ma se la Germania è ridotta a niente, questi trattati perdono il loro contenuto. Una Germania abbastanza forte da potere costituire una minaccia per i suoi piccoli vicini, specie slavi, ma non sufficientemente forte da costituire una minaccia per la Russia, potrebbe essere, per il sistema della «fratellanza slava» un cemento più saldo e più efficace che tutti i trattati e tutte le ingerenze nella politica interna di questi paesi.

2°) Per evitare che la Germania possa domani essere di nuovo il pugno del mondo capitalista contro l'U.R.S.S. bisogna o distruggerla del tutto od averla favorevole. Alla sua distruzione totale gli anglo-americani si oppongono; non resta allora altro che tentare la politica opposta.

Queste linee di incertezza si riferiscono però ad un avvenire più lontano. Dalle conversazioni che ho avuto in questi ultimi tempi ne deriva l'impressione che la prima evoluzione russa è in senso favorevole alla creazione di un governo tedesco: evidentemente il Comitato Libera Germania dovrebbe costituire il nucleo di questo governo.

Un alto funzionario del commissariato degli Esteri cui accennavo alla possibilità che non si potesse trovare nessuno per firmare una capitolazione della Germania mi ha risposto «quando ci sia una capitolazione un governo si trova».

La divisione della Germania in zone di occupazione, se la Germania non dovesse avere 'un governo, nell'atmosfera che prevale, equivarrebbe alla divisione della Germania in «zone di influenza»: alle Potenze occidentali tocca la parte più grande della Germania e la parte più popolosa e più ricca: è evidente che per quanto concerne le amministrazioni locali tedesche, sulla cui necessità tutti sembrano d'accordo, esse sarebbero costituite secondo i differenti concetti di «democrazia» propri ai due gruppi. Ma allora il giorno in cui la Germania si riunisce la parte organizzata secondo la «democrazia» anglosassone prevarrà sulla parte organizzata secondo la «democrazia» russa: in altre parole la Germania tutta rischierebbe di cadere piuttosto nelle zone d'influenza anglosassoni: il che è proprio quello che qui non si vuole: organizzando invece, subito un governo tedesco, con la capitale nella zona russa, sarebbe più facile, si pensa qui, ottenere il risultato contrario.

L'alternativa alla creazione immediata di un governo tedesco è, evidentemente, l'occupazione della Germania a tempo indeterminato: ora qui, negli ultimi tempi comincia a prevalere l'opinione che ciò non sia possibile: dopo qualche tempo, si pensa i soldati inglesi ed americani vorranno tornare a casa, come dopo l'altra guerra: resterebbero quindi la Russia e la Francia ad assumersi, sole, l'onere di fare la polizia della Germania. Ma qui non si è del tutto sicuri dell'opportunità di far restare a lungo i soldati russi in Germania. Questo grandioso viaggio all'estero del popolo russo minaccia di avere delle conseguenze che cominciano a destare qui qualche preoccupazione. Le grandi masse sovietiche sono state per 25 anni sottoposte ad una propaganda intensiva che descriveva loro la situazione orribile dei lavoratori nei paesi capitalistici. E lo stato di benessere che hanno trovato, anche in paesi relativamente poveri come la Polonia e la Romania ha già fatto impressione sui soldati ed ufficiali. Lo spettacolo poi della prosperità tedesca ha avuto e sta avendo qui una ripercussione enorme: non per nulla la stampa sovietica si sforza di dimostrare, ogni giorno, come la ricchezza dei tedeschi proviene dal saccheggio dei paesi vinti: ma la verità di questa asserzione è per lo meno oggetto di viva discussione.

Naturalmente, con il risentimento che c'è nel campo anglo-sassone per tutta la serie di governi messi su dai russi in questo ultimo anno, è da prevedere che il dare alla Germania un governo come lo vorrebbero i russi non è una cosa che andrà da sé. Resta poi da vedere quale sarà in genere l'attitudine futura dei tedeschi verso i russi: i russi si coprono dietro la Polonia: ma non so quanto sia facile persuadere i tedeschi che i russi non hanno responsabilità dirette per le enormi amputazioni che la Germania sta subendo ad est. È il solito fenomeno di incomprensione psicologica: un alto personaggio di qui mi diceva con tutta sicurezza che i lavoratori tedeschi dovevano essere contenti che con la perdita della Prussia orientale e del Brandenburgo venivano spezzate definitivamente le reni alla classe reazionaria tedesca. Nell'impossibilità di costituire un governo tedesco come lo vogliono loro, i russi possono anche tornare all'idea del non governo e della zona d'influenza, come ad un male minore. Tuttavia ritengo che nell'incertezza fondamentale sul da farsi, per il momento è nel senso che la Germania deve avere un governo che sta evolvendosi la politica russa.

161

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 1851/340. Washington, 30 aprile 1945. 1

Mio telespr. n. 1844/325 del 26 corrente 2•

Ho avuto un lungo colloquio con Phillips, Special Assistant to the Secretary of State, che dirige gli Affari Politici mentre Dunn è a San Francisco con Stettinius 3 . Abbiamo dapprima discusso dettagliatamente sulla questione della Venezia Giulia e di Trieste, che -secondo un annuncio radio -sarebbe stata occupata dalle truppe di Tito. A tale riguardo, Phillips mi ha detto che non vi era conferma ufficiale della notizia ma che essa gli sembrava verosimile e quanto mai incresciosa; !asciandomi intendere che gli Alleati, di fronte ad un eventuale «fatto compiuto» si sarebbero trovati in difficile posizione.

Ho vivacemente richiamato l'impegno contenuto nelle note assicurazioni, date dalla Commissione Alleata a Roma e dal Dipartimento di Stato qui, che la Venezia Giulia, fino ai confini del 1939, sarebbe stata occupata dalle forze armate anglo-americane ed amministrata dalla A.M.G. sino alla Conferenza della pace. Ho ribadito con l'occasione gli ultimi passi fatti al Dipartimento di Stato circa l'occupazione jugoslava di Cherso e Lussino. Ho aggiunto che anche i patrioti di Milano e di altre città, hanno liberato provincie intere, ma soltanto per aprirle alle truppe alleate. Non diverso era il caso di Trieste. Gli inglesi dell'Sa armata erano al Piave ieri; potevano essere a Trieste oggi. Dipendevano dal generale Clark che 'evidentemente poteva loro ordinare di prendere possesso della città e delle vicinan7..e in nome degli Alleati.

Phillips ha ammesso che questo avrebbe potuto e dovuto essere fatto, ribadendo però che la situazione era estremamente difficile.

Gli ho domandato allora (ripetendo una domanda fatta molte volte allo State Department) se vi fosse un accordo, a Yalta o altrove, per l'occupazione di Trieste da parte jugoslava. Gli ho fatto osservare che un tale accordo sarebbe stato contrario a tutte le assicurazioni date a più riprese dallo State Department fino ad oggi.

Mi ha confermato che un accordo non c'era e che gli alleati dovevano occupare Trieste, oltretutto perché era essenziale per il rifornimento delle truppe anglo-americane nell'Europa centrale.

Di fronte alle mie pressanti insistenze Phillips mi ha assicurato che avrebbe «agito con la massima decisione». Non poteva darmi una risposta definitiva, ma si occupava subito -continuando quanto aveva già fatto -del problema di Trieste, che non poteva essere risolto con un colpo di mano. E mi avrebbe tenuto al corrente.

1 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicato. 3 Vedi TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 56-57.

Gli ho fatto presente che, per la situazione psicologica e politica che si creerebbe in Italia (con agitazioni e speculazioni nazionalistiche) la questione di Trieste, era più importante di quella polacca, giacché a differenza di quest'ultima, poteva, con una decisa e pronta azione avere una soluzione conforme ai noti impegni americani.

Phillips mi ha ripetuto che intendeva perfettamente l'estrema importanza del problema e si sarebbe adoperato affinché si facesse tutto quanto possibile per risolverlo nel modo migliore.

È mia impressione che il Dipartimento di Stato, come in genere queste sfere dirigenti, si preoccupino effettivamente del problema di Trieste e desiderino conformemente anche alla linea generale politica adottata per tutti i «territori contestati» -evitare ogni soluzione unilaterale o «colpo di mano» sino alle decisioni della Conferenza della pace. Purtroppo -caratteristica comune delle Nazioni anglo-sassoni-quando si tratta di passare ai fatti, l'azione è spesso lenta e non sempre sufficientemente decisa; inutile che io assicuri l'E.V. che non manco, per quanto mi è consentito, d'insistere e premere avvalendomi di tutti i mezzi a disposizione.

Ho, poi, parlato a Phillips della situazione generale che veniva a crearsi con la liberazione totale dell'Italia, dovuta in considerevolissima parte ad opera dei patrioti. L'Italia tornava ad essere uno Stato unitario, che, più che mai, aveva diritto all'attenzione e alle cure degli Alleati. Il governo democratico italiano -che si troverà presto nella necessità di guidare le sorti dell'intero Paese -non aveva ancora avuta nessuna soddisfazione sostanziale dagli Alleati, che non hanno fatto nulla per rafforzare il suo prestigio, neppure il piccolo gesto di invitarlo, come osservatore, a San Francisco.

Dato il mutamento radicale della situazione italiana, era necessario prendere ormai delle rapide ed opportune decisioni nei riguardi della posizione giuridica del nostro Paese che deve uscire dallo stato insopportabile, avvilente e pericoloso per l'avvenire, di parente povero ed accantonato.

Phillips mi ha dichiarato di aver parlato di questo con Stettinius prima che partisse per San Francisco, e di aver avuto da lui assicurazione che qualche cosa per l'Italia -nel senso desiderato -si sarebbe fatto nel margine della Conferenza. Intendeva però che i fatti sopraggiunti rendevano la necessità di una competente azione più urgente.

Lo ho allora informato che mi constava di una confidenza che Stettinius aveva fatta ad alcuni delegati italo-americani venuti a sollecitare il suo appoggio per un adeguato riconoscimento dell'Italia. Il segretario di Stato aveva detto che il presidente Roosevelt stava preparando una dichiarazione in favore del nostro paese, in cui vi era una promessa di prossimo accoglimento tra le Nazioni Unite. Perché in occasione della liberazione dell'Italia intera, il presidente Truman, che aveva già nel passato prima di ascendere all'alta carica, espresso verso di noi così buoni sentimenti confermati poi a me personalmente (mio telegramma per corriere

n. 014) 1 , non potrebbe lui fare una tale dichiarazione? Sarebbe un gran balsamo per il nostro popolo travagliato ed un notevole appoggio alla politica del governo

I Vedi D. 97.

di Roma, che, per forza di cose, si trova a confronto coi patrioti del nord che gli domandano conto delle sue relazioni insoddisfacenti con le Nazioni Unite alleate. Una iniziativa di Truman seguita da passi concreti, mentre potrebbe essere utilissima all'opera di assestamento in Italia, richiamerebbe sul nuovo presidente degli Stati Uniti l'attenzione delle masse italiane, che già guardavano a Roosevelt con tanta fiduciosa speranza.

Phillips mi ha dichiarato che l'idea gli pareva buona e l'occasione eccellente. Avrebbe visto con i competenti uffici quale forma e sostanza fosse stato possibile darle. Si è ripromesso di tornare sull'argomento in un prossimo nostro incontro.

Dopo aver parlato con Phillips di questi due problemi essenziali, si è brevemente discusso di altre questioni.in corso: colonie, situazione prigionieri nei Paesi Alleati, internati in Germania, diritto a riparazioni dal Reich, nostre navi in Argentina. Ne riferisco a parte. Prima di prendere congedo egli mi ha assicurato nuovamente della sua grande simpatia per l'Italia: si metteva a mia disposizione per esaminare via via lo sviluppo degli eventi nel comune interesse.

162

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. RISERVATA 875/432. Roma, 30 aprile 1945 (per. stesso giorno).

Mi riferisco alla tua lettera n. 3/636 del 21 corrente 1•

In Vaticano, come ho già segnalato, viene mantenuto il più stretto riserbo sulla natura della missione del signor Flynn e credo sia difficile accertare quale fosse l'oggetto principale del suo viaggio.

È mia impressione tuttavia che scopo immediato se non addirittura principale della visita della personalità statunitense a Mosca e a Roma fosse effettivamente quello di sondare la possibilità di un riavvicinamento tra il Vaticano e l'Unione Sovietica. È verosimile che si sia pur parlato qui delle garanzie internazionali allo Stato della Città del Vaticano.

Credo di poter riassumere le due cose nel modo seguente:

0 ) -Per quanto riguarda il riavvicinamento Russia-Santa Sede, la missione Flynn si è esaurita in uno scambio di informazioni che almeno per il momento non appare fertile di risultati. La Santa Sede non prenderà alcuna iniziativa al riguardo e resterà ferma, salvo accomodamenti di fatto sempre possibili, sulla propria posizione e cioè che un riavvicinamento con la Russia non può che essere subordinato alla concessione di formali garanzie non solo per la libera professione di fede dei credenti ma anche per l'apostolato della Chiesa tanto nel territorio della grande Russia tanto in quelli che cadranno sotto la sua influenza.

l Vedi D. 139.

2°) -La questione delle garanzie internazionali credo debba essere ancora prospettata nei termini da me esposti nel telegramma per corriere n. 554/369 del 17 settembre scorso anno 1•

È molto verosimile che il sig. Kiernan con l'approvazione del suo governo abbia svolto una certa attività in questo senso. Egli è molto in contatto con la Curia e con tutti gli ambienti cattolici di Roma e il problema delle garanzie internazionali per la Città del Vaticano nonché quello della indipendenza delle comunicazioni con l'estero della Santa Sede è in essi molto sentito. In molti ambienti vi è perfino un forte risveglio addirittura di velleità... di potere temporale!

Ad ogni modo, dal punto di vista internazionale e nell'attuale stato delle cose non mi pare che l'Irlanda, paese neutrale, abbia modo di assumere essa stessa una qualsiasi iniziativa ufficiale.

Nel mio telegramma già citato facevo presente però che era da attendersi il sorgere del problema delle garanzie internazionali del Vaticano per iniziativa di paesi stranieri, e particolarmente degli Stati Uniti dove è già -tra l'altro costituita una commissione di vescovi e personalità cattoliche americane con il preciso scopo di seguire l'andamento delle trattative per l'organizzazione internazionale di sicurezza e la sistemazione post-bellica, e che persegue il fine di ottenere l'adozione dei precetti pontifici per la futura sistemazione del mondo. Orbene, nel suo radiomessaggio del l o settembre scorso anno il Papa ha proprio auspicato la creazione di organizzazioni internazionali per la preservazione della pace basate, se occorre, sulla forza delle armi. Mi pare implicita, salvo circostanze imprevedibili, l'adesione ad esse, in linea di massima della Santa Sede. Credo che da quanto precede si possa fin d'ora trarre la conclusione che la Santa Sede intenda beneficiare delle garanzie internazionali che dalla conferenza della pace scaturiranno a favore di tutti i piccoli Stati.

Così impostata la questione, non ponendosi cioè sul terreno internazionale un problema particolare dello Stato della Città del Vaticano, ma inserendosi invece esso nel sistema generale di sicurezza a favore dei piccoli Stati le garanzie internazionali per il minuscolo Stato Pontificio potranno derivare anche dal solo fatto di adesione della Santa Sede alla futura organizzazione, all'infuori dell'intervento e della iniziativa di qualsiasi potenza straniera.

Questa soluzione, per escludere l'intervento di terze potenze, dovrebbe a mio avviso essere necessariamente salutata con favore dall'Italia che certamente entrerebbe a far parte delle potenze garanti e si potrebbe perfino, d'accordo con la Santa Sede, studiare con noi una formula speciale. Nello stato delle cose e di fronte agli attuali movimenti di carattere internazionale diretti alla tutela della Santa Sede, sarebbe forse questa la soluzione per noi più accettabile.

Approfitto della circostanza per segnalarti che anche l'altro problema al quale ho prima accennato e cioè quello della indipendenza delle comunicazioni della Santa Sede con l'estero verrà certamente sul tappeto.

Il programma massimo ti è noto per averlo io segnalato fin dall'ottobre 1943: flotta pontificia, quindi porto franco e via di accesso ad esso, e campo di aviazione.

I Vedi serie decima, vol. I, D. 411.

A questo se ne aggiunge un altro di cui son venuto casualmente ora a conoscenza: ampliamento della stazione radio vaticana per la trasmissione a onde medie con nuove istallazioni fuori dello Stato della Città del Vaticano.

Non credo che questi problemi siano da affrontare immediatamente: essi però esistono e sarebbe profondamente spiacevole che essi ci venissero agitati o posti di rimbalzo -attraverso le infinite interferenze di alcuni circoli vaticani con l'estero (specie Stati Uniti) -proprio da circoli stranieri.

Sono, questi, problemi che devono restare nel campo limitato delle relazioni Italia-Santa Sede e potremmo forse noi stessi !imitarne la portata affrontandoli per primi. Credo ad esempio (a parte la questione radio facilmente risolvibile) che si possa affondare sul nascere la «flotta pontificia» offrendo una intesa con qualche nostra compagnia di navigazione aerea civile per un servizio assolutamente autonomo e indipendente della Santa Sede.

Vuoi parlarne al ministro e fare esaminare la cosa dal punto di vista politico, naturalmente in via del tutto riservata, al riparo da indiscrezioni? Spero di avere esaurientemente risposto alla tua lettera. Sono a tua disposizione ad ogni modo per altri chiarimenti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. 2284/c.I. Roma, ] 0 maggio 1945, ore 11,45.

(Solo per Mosca e Parigi) Ho telegrafato alle RR. ambasciate a Londra e Washington quanto segue:

(Per tutti) Nello stesso momento in cui tutta l'Italia settentrionale eroicamente assecondando eserciti anglo-americani, insorge vittoriosamente contro i tedeschi, ingresso truppe jugoslave oltre frontiera orientale e a Trieste non è giustificato né da ragioni militari, né politiche, né morali.

Prego farsi interprete d'urgenza presso codesto governo nostra vivissima ansia e nostra fiducia che governi alleati sappiano trovar modo portar rimedio a una situazione che potrebbe altrimenti condurre a conseguenze gravissime mediate ed immediate.

Nostro punto di vista resta fermo sulla necessità che questioni controverse fra Italia e Jugoslavia siano rimandate a tempi più propizi per le ragioni che le sono note e che, nel frattempo, amministrazione zone frontiera orientale resti esclusivamente affidata ad anglo-americani che solo possono dare affidamento obiettività,

1 A Mosca e Parigi il telegramma venne inviato per corriere.

ponderazione, giustlZla. In questo senso presidente Bonomi ed io abbiamo ogg1 intrattenuto queste autorità alleate1 .

(Solo per Mosca) Ogni parallela azione sia pure illustrativa e persuasiva che

V.E. potrà svolgere presso governo sovietico potrà essere di estrema utilità.

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3279/223. Londra, 3 maggio 1945, ore 15,55 (per. ore 15 del 5).

Avvenimenti italiani hanno impressionato profondamente questo Paese e, si può dire per la prima volta, stampa dedica posto d'onore a notizie e commenti sull'Italia dando debito rilievo risultati pratici collaborazione patrioti con esercito Alleati e loro preziosa opera per salvaguardare dalla distruzione nostro patrimonio industriale. Prescindendo da amichevoli manifestazioni di soddisfazione espressaci anche al Foreign Office, credo poter affermare che modo come si è svolta liberazione Alta Italia, oltre farci attribuire parte che ci spetta, ha notevolmente superato più ottimistiche previsioni e fa ora sperare negli ambienti più responsabili che si eviteranno avventure spiacevoli tipo greco. Direi che a una attesa ansiosa ed un poco scettica che è stata abbondantemente soddisfatta è ora succeduta una aspettativa più ottimistica e quindi più esigente. Ad onta precipitata situazione in Germania e morte di Hitler, stampa dedica anche oggi largo spazio all'Italia e si ha comunque sensazione di un orientamento decisamente più favorevole dell'opinione pubblica. Poiché si conta principalmente sulla maggior serietà della massa delle grandi città del nord, sa-rebbe certo grave iattura disilludere queste promettenti disposizioni. Fortunatamente notizia cessazione esecuzioni senza regolare procedimento giudiziario, sebbene non sufficientemente diffusa, ha attenuato alquanto impressione francamente negativa prodotta dai fatti di Milano. Immediata esecuzione Mussolini e principali suoi collaboratori è considerata più che giustificata; ma susseguenti scene sensazionali, crudamente evidenziate raccapriccianti fotografie apparse su tutti giornali, hanno provocato disgusto, anche perché giungono a poca distanza raccapriccianti rivelazioni, documentate persino in pellicole cinematografiche, circa atrocità campi di concentramento in Germania. Arcivescovo Canterbury ha ad esempio espresso stampa suo «sgomento» per scena Milano.

Non sopravaluto questi fatti. Ritengo peraltro che attraverso dichiarazioni autorità responsabili e opportuna opera chiarimento presso codesti corrispondenti stampa angloamericana occorrerebbe rafforzare ottima impressione iniziale serietà maturità movimento facente capo Comitato liberazione Nord Italia e soprattutto

I Vedi in Foreign Relations of thc United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1139-1140, la nota presentata da Tarchiani a Phillips il 5 maggio in esecuzione di queste istruzioni.

fare appello loro patriottismo per evitare ad ogni costo che appigli vengano offerti alla speculazione.

In questa migliorata atmosfera anche recente passo di V.E. relativo occupazione Venezia Giulia non ha provocato contrarie reazioni e ritengo sia stato giudicato con serena comprensione. Riserve si fanno invece come da Times odierno circa riapparire vecchio nazionalismo italiano.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 3210/146-147-148-149-150-151. Mosca, 3 maggio 1945, ore 21,25 (per. ore 13 del 4).

Telegramma di V.E. 125 1•

Tutte le informazioni che ho potuto raccogliere sull'argomento mi sembrano concordare nel senso che governo sovietico ha risposto a governo jugoslavo che, per quanto Io concerne, esso non si oppone rivendicazioni jugoslave per frontiere Isonzo.

Secondo fonte attendibile sarebbe stata attirata attenzione Jugoslavia su possibilità opposizione americana per quanto concerne Trieste e Istria occidentale e su utilità jugoslavi lavorare opportunamente governo opinione pubblica americana. Ritengo sia da connettersi con questa considerazione inatteso trasferimento questo ambasciatore di Jugoslavia a Washington. Simic è stato primo rappresentante jugoslavo all'estero che abbia aderito governo Tito: è molto ben visto qui e anche per suoi legami di famiglia è considerato a Belgrado come persona sicura. D'altra parte suoi precedenti di carriera e suo generale comportamento Io rendono particolarmente adatto sfatare in America impressione che governo Tito sia governo comunista. Quanto precede conferma mia impressione che questo governo pur essendo favorevole rivendicazioni jugoslave non vuole ancora impegnarsi <t fondo: sia intervista Tito che dichiarazioni V.E. di cui al telegramma stampa n. 1998/c. 2 19 aprile non sono state riportate da questa stampa che continua ignorare questione.

Qui si ha impressione che popolo italiano sia indifferente questione Trieste e che rivendicazioni italiane siano piuttosto residuo mentalità nazionalistica conservatori intellettuali non rispondenti a veri sentimenti popolo. Nelle conversazioni indirette che ho avuto sull'argomento ho cercato in ogni modo sfatare questa impressione ma non mi faccio eccessive illusioni su risultato. Chiara manifestazione partiti e organizzazioni a cui qui si riconosce maggiormente carattere rappresentativo masse lavoratrici, specialmente per esempio Confederazione generale lavoro, potrebbe essere molto più efficace. È bene tener presente che elemento fondamentale

t Vedi D. 146. 2 Vedi D. 134, nota l.

politica russa di oggi resta sempre movimento panslavo e che in questo quadro Russia non può (ripeto nqn) realmente opporsi rivendicazioni jugoslave.

Tuttavia se ed in quanto eventuali reazioni lavoratori italiani possono essere elemento di cui qui si voglia tener qualche conto, anche se molto relativo, mi sembra questo, sempre che sia possibile, unico mezzo per cercare di influire su questo governo 1•

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO PER CORRIERE 3674/059. Washington, 3 maggio 1945 (per. il 17).

Ho ricevuto soltanto ieri sera i due telegrammi di V.E. col testo della dichiarazione del Consiglio dei ministri e le istruzioni dell'E. V. 2

I due telegrammi hanno subito un ritardo di ben otto giorni durante i quali la Conferenza superava, colle note difficoltà, i gravi ostacoli dell'estensione degli inviti alle due Repubbliche sovietiche, alla Polonia, e all'Argentina. Per ottenere l'ammissione di quest'ultima, gli Stati americani hanno dovuto impegnarsi a fondo, accentuando l'atmosfera di disagio.

Data quest'atmosfera e l'involontario ritardo verificatosi, è sembrato preferibile non inoltrare subito sic et simpliciter la nostra dichiarazione che, anche pel suo carattere di semplice protesta, avrebbe corso il rischio di passare senz'altro agli archivi, stante il generale interesse della maggioranza degli Stati di non riaprire subito discussioni su Stati ammessi e non ammessi.

Malgrado le accennate difficoltà, mi è parso opportuno trarre dalla nostra dichiarazione lo spunto per cercare ancora una volta di attirarci la simpatia e possibilmente l'appoggio degli Stati Uniti. Ho approfittato dell'attuale posizione preminente al Dipartimento dell'ambasciatore Phillips, per recarmi da lui per la terza volta in questi ultimi giorni. Gli ho comunicato il testo della deliberazione del Consiglio dei ministri, illustrandogli le spiegazioni aggiuntive (di cui poi gli ho lasciato copia parafrasata) e aggiungendo che-data la situazione a San Francisco -mi sembrava opportuno che la presentazione della nostra dichiarazione alla Conferenza dovesse esser amichevolmente concordata col governo americano, in modo da non apparire un atto ostile, ma un gesto di cooperazione.

Phillips mi ha ringraziato, dichiarando che apprezzava moltissimo questa nostra delicatezza e trovava nobilmente inspirate ai più alti interessi del momento le istruzioni dell'E.V.

Ha di buon grado aderito di prendersi la cura di trattare con Stettinius, nel più breve tempo possibile, la questione della presentazione della dichiarazione alla

1 Per la risposta vedi D. 183. 2 Vedi DD. 149 e 150.

presidenza ed all'assemblea. Egli si occuperà subito della cosa con Io spirito più amichevole, pur rendendosi conto delle difficoltà che si oppongono. Egli era comunque lieto dell'occasione per sollevare presso Stettinius la questione di un equo e favorevole trattamento per l'Italia: gliene aveva già parlato prima che lasciasse Washington e Io aveva trovato ben disposto. Personalmente si augurava che le cose potessero prendere forza e sostanza a nostro vantaggio.

Gli ho bene spiegato che io dovrò presentare a S. Francisc.o la dichiarazione in ogni modo; che aspetto qualche giorno per poter sincronizzare l'azione mia con le buone disposizioni del governo americano e con un'occasione ragionevolmente favorevole.

Mi ha assicurato che mi farà presto sapere qualche cosa. Nel frattempo non manco naturalmente di svolgere l'interessamento del caso presso le locali rappresentanze dei Paesi ben disposti verso di noi.

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IL PRIMO MINISTRO DI GRAN BRETAGNA, CHURCHILL, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

MESSAGGIO 1 . Londra, 3 maggio 1945.

On the occasion of the surrender of the German Armed Forces in Italy, I send Your Excellency, on behalf of His Majesty's Government in the United Kingdom, a message of warm congratulation on the fina! liberation of Italian territory from our common enemy and in particular on the part played by the Italian regular forces and patriots behind the Lines.

The knowledge that they have contributed to this unprecedented victory and have materially accelerated the cleansing of their country's soil will, I trust, be a source of strength to the Italian people in the no Iess strenuous days which Iie ahead. It is a matter for great satisfaction to His Majesty's Government, as it will undoubtedly be to Your Excellency's Government, that the defeat of the German armies in North Italy should have been accomplished with so Iittle human suffering and with relatively little damage to the materia! resources of that part of your country.

I extend to Your Excellency the good wishes of His Majesty's Government for the great work of reconstruction which now faces the Italian Government and people.

I Iook forward to the time which cannot be long delayed when Italy, whose forces have co-operated in war with those of the United Nations, wiii work with the United Nations in the more fruitful Iabours of peace.

l Copia del messaggio fu inviata da Charles a Bonomi con L. 3/15/45 del 3 maggio. Esso fu pubblicato dai giornali italiani del 4 maggio.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 2218. Washington, 3 maggio 1945 (per. il 30).

Nel mio odierno colloquio con Phillips (mio telegramma per corriere di oggi

n. 059)1 non ho naturalmente mancato di ringraziare il governo americano per l'occupazione di Trieste da parte delle truppe alleate conformemente alle assicurazioni datemi, e per chiedergli se aveva notizia dei progressi delle truppe alleate verso le frontiere del '39. Egli mi ha confessato di essere stato in grandi ansie per Trieste, temendo che l'occupazione jugoslava potesse dar luogo a pericolosi incidenti, o assumesse aspetti di fatto compiuto.

A proposito di Fiume, Phillips mi ha esternato il suo timore sulla sorte definitiva di quella città anche per il fatto dell'attuale occupazione di essa da parte delle forze di Tito.

Ho naturalmente richiamato l'esplicito impegno alleato, ripetutamente ribadito, di mantenere intatte le frontiere del '39 fino all'applicazione dei nuovi trattati di pace. Ho svolto ogni possibile argomento, di carattere esterno ed interno, per una pronta occupazione alleata di Fiume e così pure delle isole, di Zara ecc.

Phillips mi ha assicurato che «tutto il possibile» per salvaguardare i legittimi diritti dell'Italia sarà fatto e che egli vi si dedica con animo amico.

È mia impressione che lo State Department sia, in linea di principio, fermo nella posizione assunta che l'occupazione anglo-americana sia estesa alle frontiere del 1939. Istruzioni al riguardo sono già state impartite a chi di ragione. Temo, peraltro, che l'atteggiamento combattivo assunto da Tito possa provocare delle perplessità e che, in ultima analisi, assicurata l'occupazione di Trieste, non si dia una interpretazione assolutamente letterale alle assicurazioni a noi date.

È ovvio che io faccio tutto quanto mi è possibile per insistere continuamente affinché si mantenga nella sua integrità la formula «frontiere del 1939 » che, nelle mie conversazioni, do per acquisita.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2339/c. 2• Roma, 4 maggio 1945, ore 18.

28 aprile è stato firmato a Mosca da rappresentanti italiano e polacco ed in loro nome accordo che provvede all'assistenza, occupazione, rimpatrio italiani

t Vedi D. 166. 2 Il telegramma venne inviato, per conoscenza e norma di linguaggio, a Saragat e Marchetti.

civili e militari che trovansi in territorio polacco, e che ammontano parecchie decine di migliaia 1 .

Tale accordo, che ha puramente scopi assistenziali e di cui era stata data preventiva notizia questo ambasciatore britannico, non (dico non) implica in nessun modo riconoscimento da parte nostra del governo Varsavia.

La prego dare precise assicurazioni su questo punto a codesto governo, spiegando che problema assistenza italiani disseminati in tutta Europa è per noi di estrema importanza nazionale, di cui, come tale, non ci è possibile disinteressarci.

Ho già dato a queste ambasciate degli Stati Uniti ed Inghilterra copia del riassunto telegrafico dell'accordo quale ci è pervenuto da Mosca.

Aggiungo che analogo accordo è stato firmato con l'Albania2 nonostante che come nel caso dei polacchi di Varsavia tuttora non (dico non) ne riconosciamo governo.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

TELESPR. 6545/c. 3 . Roma, 4 maggio 1945.

Telegramma di questo ministero n. 2099/c. del 23 aprile c.a. 4 . In merito alla nostra richiesta di poter partecipare in modo diretto all'assistenza e alla organizzazione del rimpatrio dei nostri deportati (militari e civili) in Germania,

V.E. -vorrà tener presenti, nelle conversazioni al riguardo intraprese con codesto governo, le considerazioni che qui di seguito le vengono esposte. l. -Un modo efficace di consentire al governo italiano tale partecipazione, è quello, da noi più volte prospettato, di poter inviare al seguito delle armate alleate ufficiali italiani col compito di cooperare, per quanto riguarda i nostri connazionali, con gli ufficiali alleati che saranno preposti alla organizzazione e al rimpatrio dei deportati stranieri in Germania.

Dopo che da parte nostra tale proposta era stata avanzata con insistenza, e trasmessa da questa Commissione Alleata al Comando Supremo Alleato in Occidente, quest'ultimo fece richiedere direttamente al ministero della Guerra l'invio a Parigi di un ufficiale superiore. Venne prescelto, d'accordo fra il detto Dicastero e

l Vedi D. 154.

2 Vedi D. 108, Allegato.

3 Il telespresso venne inviato, per conoscenza, alle ambasciate a Mosca e Bruxelles, alla presidenza del Consiglio, al ministero della Guerra, all'alto commissariato per i prigionieri di guerra e alla Croce Rossa. 4 Vedi D. 142.

232 l'Alto Commissariato prigionieri di guerra, il colonnello Fiore Vernazza il quale già trovasi a Parigi. In questi ultimi giorni, lo stesso Comando Supremo, ha richiesto altri ufficiali, come interpreti. Occorre tuttavia insistere perché questi siano adibiti ai compiti sopra indicati.

2. Di particolare utilità apparirebbe anche la partecipazione della Croce Rossa italiana alle delegazioni o commissioni inviate dall'U.N.R.R.A. in Germania per assistere i deportati. In tale senso questo ministero ha diretto alla delegazione dell'U.N.R.R.A. in Italia la lettera di cui si allega copia.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA DELL'U.N.R.R.A., KEENY

L. 6095/8. Roma, 27 aprile 1945.

Il Consiglio dei ministri, nella riunione del 20 corrente mi ha dato incarico di esprimere ai governi alleati il voto che sia reso possibile al governo italiano di recare direttamente e al più presto assistenza ai nostri deportati e internati in Germania e facilitarne il ritorno in patria, tenendo presente che il loro stato di detenzione e le dure privazioni sofferte sono dovuti al rifiuto da essi opposto, nell'interesse dell'Italia e delle Nazioni Unite, a prestare qualsiasi forma di collaborazione al comune nemico.

Conformemente alla decisione di cui sopra ho già provveduto ad impartire istruzioni agli ambasciatori italiani nelle capitali alleate perché intrattengano in tal senso i governi presso i quali sono accreditati.

Il governo italiano considera che una partecipazione italiana all'assistenza e alla organizzazione del rimpatrio dei deportati in Germania potrebbe effettuarsi mediante l'invio nel Reich, presso le commissioni colà organizzate dell'U.N.R.R.A., di rappresentanti di qualche ente italiano: per esempio di delegati della Croce Rossa italiana. Questi delegati avrebbero il compito di coadiuvare le commissioni dell'U.N.R.R.A. per tutto quanto si riferisce agli italiani.

Ciò presuppone naturalmente che l'U.N.R.R.A. sia autorizzata ad interessarsi in Germania dei deportati italiani oltre che di quelli appartenenti alle Nazioni Unite. Come ella sa, una domanda in tal senso le è stata diretta, alcun tempo fa, da S.E. il ministro Soleri, e una domanda analoga è stata diretta da S.E. Zaniboni al sig. Lehman a Washington. La questione è ora in esame presso il comitato centrale dell'U.N.R.R.A. e io le sarei molto grato qualora ella, con la sua cortesia e comprensione per le cose italiane, volesse amichevolmente appoggiarla.

Al riguardo la informo che, da una comunicazione direttami in data 1° marzo 1945 dal signor Kirk, e di cui le allego copia 1 , risulta che, da parte degli Alleati, tutti gli italiani, ex militari o civili, deportati in Germania dai tedeschi, verrebbero considerati come displaced persons, il che dovrebbe facilitare una decisione favorevole alla richiesta da noi avanzata in quanto è appunto nella competenza dell'U.N.R.R.A. di occuparsi delle displaced persons.

Nella fiducia che ella, caro sig. Keeny, vorrà interessare il Comitato Centrale dell'U.N.R.R.A. nel senso suggeritole dal governo italiano e favorevolmente appoggiarla ...

I Non pubblicata.

171

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3371/158. Mosca, 5 maggio 1945 1 (per. ore 17,30 del 7).

Ho fatto a Dekanozov comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 2099/c. 2•

Nell'illustrare nostra richiesta ho particolarmente insistito su contributo partigiani italiani liberazione nord Italia. Prigionieri sono figli quello stesso popolo italiano che ha fatto rapida giustizia maggiori responsabili passato.

Dekanozov pur rispondendomi che questione prigionieri dovrà essere discussa con Alleati mi ha aggiunto: «partigiani italiani sono stati magnifici ed hanno diritto si tenga conto loro gesto».

Per quanto concerne nostri deportati mi ha ripetuto che governo sovietico fa quanto è possibile per loro: non vede praticamente nelle circostanze attuali che governo italiano potrebbe praticamente fare di più. Si è riservato ad ogni modo esaminare questione per quanto riguarda settore russo e tornerà a parlarmene.

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L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERl, DE GASPERI

R. 454. Bruxelles, 5 maggio 1945 (per. il 18).

Dopo oltre un mese dal mio arrivo in sede, ritengo di poterle riferire alcune prime impressioni circa le disposizioni che esistono nei nostri riguardi, al momento della ripresa dei rapporti diplomatici fra l'Italia e il Belgio e dopo le inevitabili ripercussioni degli eventi di questi ultimi anni, e circa la situazione politica di questo Paese. Credo di non errare nel convincimento che, in complesso, i sentimenti predominanti sono favorevoli e ispirati al desiderio di ristabilire fra il Belgio e l'Italia democratica una corrente di interessi, di simpatia e di collaborazione anche migliore di quella che non fosse in passato; quando la manifesta e generale antipatia di questo paese (tradizionalmente e profondamente liberale e borghese) verso il regime fascista aveva un influsso notevole sui rapporti politici con l'Italia. Basti ricordare i contrasti di talune correnti di sinistra quando fu annunciato il fidanzamento del principe di Piemonte con la principessa Maria José, la iniziativa di van Zeeland a Ginevra al momento delle sanzioni, la viva ostilità durante la conquista dell'Etiopia.

Questi atteggiamenti non furono tanto rivolti contro l'Italia come tale, ma piuttosto contro il fascismo che allora la governava e se ne ebbe una evidente

l lnviato il 6 maggio. ore 19,06. 2 Vedi D. 142.

riprova nella protezione, qui più aperta ed estesa che altrove, a molti esuli italiani di ogni categoria sociale e di ogni tendenza politica avversari del fascismo.

Pur tuttavia avevano nociuto grandemente al nostro Paese, si erano aggravati durante questa guerra e non sono ancora scomparsi del tutto in certi ambienti, specie in quelli di sinistra. Si ricordano ancora il «colpo di pugnale nella schiena» alla Francia, l'appoggio militare alla Germania, l'invio in Belgio di nostri reparti di aviazione contro l'Inghilterra, la visita «ostentatoria» del conte Ciano alle difese atlantiche durante l'occupazione germanica etc. Questi argomenti mi sono stati ricordati più o meno da tutti, in occasione delle mie visite ufficiali pur con varie graduazioni, direi così, di «passione». È pure da considerare che in un piccolo paese come questo, (di tono e di costumi un po' ristretti e provinciali), che è solitamente in margine e comunque più fattore che attore dei grandi eventi politici, con una punta di presunzione e di pervicacia nordica, ma solido, socialmente sano, prospero, ricco di virtù civiche, libero di gravi problemi e perciò scarsamente preparato a comprendere quelli degli altri paesi, solidamente attaccato per vecchie tradizioni demografiche e sociali ai principi e alla pratica della democrazia, simili risentimenti sono di più lenta evoluzione e hanno maggiore rilievo e importanza che altrove.

D'altro canto, l'essersi il popolo italiano coraggiosamente liberato dal fascismo, il ritorno dell'Italia ad un regime democratico, il perdurare del nostro sforzo bellico contro l'odiato comune nemico tedesco, la prova manifesta che l'Italia dà al mondo della propria rinascita alla libertà, non sono rimasti senz'eco ed hanno grandemente attenuato quei ricordi; ed io mi sono adoperato e mi adopero in ogni occasione a favorire tale evoluzione. La quale per l'opera del tempo e per la legge naturale della ripresa non tarderà molto a prevalere e a far dimenticare il passato sotto la spinta del buon senso realistico delle necessità presenti e di quelle dell'avvenire, cui il belga, pel suo abito mercantile, è molto attento e verso le quali si trova in assai migliori condizioni di tanti altri paesi d'Europa.

La situazione di questo paese si presenta, direi quasi a prima vista, singolarmente fortunata: la guerra non vi ha compiuto vaste distruzioni, pur attraverso la lunga ma relativamente moderata occupazione germanica e il duplice riflusso delle armate in campagna. Le miniere e le industrie hanno relativamente poco sofferto, le depredazioni di materiale e di bestiame non sono state gravissime, le rovine delle città e dei centri rurali, salvo talune ristrette zone nelle Ardenne, a Liegi e ad Anversa, non possono neppur di lontano paragonarsi a quelle di altri paesi, (e del nostro in particolare) la riserva aurea è intatta, la ricchezza coloniale accresciuta, le risorse potenziali grandissime, le possibilità di ricostruzione e di sviluppo -a detta di molti competenti -giustificano ogni speranza di un rapido risanamento. Ciò rende meno aspri i problemi sociali e politici, e meno accesi i conflitti. L'ordine è perfettamente ristabilito in tutto il paese, anche se -come è naturale -esistono come altrove rancori, contrasti e vendette contro i «collaborazionisti», contro gli «inciviques» contro i «degrellisti» e i «fiamminghi» che fecero causa comune con i tedeschi e gran numero dei quali, sovente presi a casaccio e in lunga attesa di giudizio, riempiono le prigioni e i campi di internamento.

Non mancano naturalmente le critiche al governo accusato di lentezza, di eccessiva cautela e condiscendenza; continuano le alte grida per l'epurazione, per la riforma monetaria che fu in realtà mal concepita e peggio attuata, per la crisi industriale e dei commerci che è conseguenza fatale della guerra, per la scarsezza dei viveri (del costo della vita) col suo strascico di alti prezzi e di borsa nera, per l'adeguamento dei salari e il risanamento del bilancio, per le riforme e 'le provvidenze sociali etc. Ma sono questi i mali e i problemi comuni a tutti i paesi, con la differenza tuttavia che essi sono qui risentiti in misura ben minore e con possibilità di rimedi e di risorse che difettano altrove.

La vita politica e amministrativa ha ripreso il suo funzionamento normale con la riapértura degli organi costituzionali: il Senato e la Camera sono stati ricostruiti e hanno ripreso le loro sedute, la reggenza del principe Carlo ha fatto buona prova ed è circondata di rispetto. I partiti politici, se pure qui è un notevole rafforzamento in quelli cosidetti di massa, e specie nei comunisti, non hanno subito grandi spostamenti. Cattolici e liberali costituiscono sempre una forte base -anche se i primi sono in crisi di riforma-e gli stessi partiti «estremisti» sono guidati da una lunga esperienza dell'uso delle libertà civiche e del fas e nefas nella gestione della cosa pubblica: né va dimenticato che il carattere e la prosperità naturale di questo popolo lo fanno conservatore pur nella pratica di un effettivo reggimento democratico. La questione più delicata del momento nella politica interna è quella del ritorno del Re. Non ripeterò qui quanto ho già riferito in proposito, ma vorrei ricordare che essa non si pone nel senso di «pro» o «contro» la monarchia (sulla quale la grandissima maggioranza non solleva neppure discussione -salvo le enunciazioni puramente teoriche dei repubblicani e degli stessi comunisti) ma soltanto nei riguardi della condotta costituzionale del Re Leopoldo.

La presenza delle truppe alleate, naturalmente, produce anche qui inconvenienti e disagi. Non corre moneta di occupazione ma le spese di essa gravano il bilancio e la presenza di così ingenti forze armate straniere trae con sé le inevitabili conseguenze delle requisizioni, del caro vita e della prostituzione. Non vi è, almeno ufficialmente, un controllo o una limitazione dei poteri statali, ma in pratica il Comando alleato è padrone della situazione e «non si muove foglia che Londra non voglia». Giacché qui sono gli inglesi che predominano e gli americani fanno essenzialmente atto di presenza. È pur vero tuttavia che gli Alleati si sono dimostrati meglio disposti verso il Belgio, in fatto di rifornimenti di materie prime e di vettovaglie, di quanto non lo abbiano fatto verso altri paesi.

Il ministro van Acker non è tornato a mani vuote dai suoi viaggi a Londra e a Washington e non ne ha fatto mistero. La sua popolarità è in rialzo e con essa le sue ambizioni: è certamente un uomo di valore e di avvenire.

In politica estera, il Belgio rimane attaccato alle sue linee tradizionali: amicizia incondizionata con l'Inghilterra, buoni rapporti con la Francia (anche per averne qualche contrappeso rispetto alla prima) almeno fino a quel limite oltre il quale Londra non mancherebbe di fare la gelosa, solide intese di interessi con l'America, politica di buon vicinato e di collaborazione economico-finanziaria-commerciale con l'Olanda e col Lussemburgo. Quest'ultimo punto del sistema è oggetto di ogni cura, e si tende a rafforzarlo e a consolidarlo.

Nei confronti dei grandi problemi di assetto mondiale che scaturiranno dal conflitto in corso, il Belgio si orienta nettamente per i sistemi di sicurezza collettiva sostenuti da forze armate internazionali. L'esperienza ripetuta del recente passato ha ormai sepolto per sempre il mito della neutralità e accresciuto l'odio e il timore verso la Germania. Qui si vuole decisamente che quest'ultima sia ridotta all'im

potenza per il più lungo tempo possibile, si appoggerà quindi decisamente ogni iniziativa che sia volta a tale scopo -non escluso un sistema di smembramento -si affacciano anche richieste di acquisti territoriali e di ipoteche sulle ricchezze industriali e sulle vie di comunicazione germaniche; ma si è diffidenti nei riguardi di una eventuale egemonia delle grandi potenze e della conseguente diminuzione della sovranità e dell'autonomia dei piccoli Stati. La condotta della delegazione belga a San Francisco sembra coerente con tutto questo, anche se vi sia stata qualche battuta, più che altro tattica, in favore dell'U.R.S.S. La Russia (che fa in Belgio una grande e abile propaganda) non è, come è noto, in rapporti diplomatici con questo Paese. Vi è però una missione militare. Ma la diffidenza della maggioranza della popolazione e dei potenti ceti industriali e finanziari verso il comunismo è molto forte, e l'accrescimento dell'influsso russo nel mondo desta nei predetti ambienti preoccupazioni non dissimulate. A queste devono riportarsi le vivaci critiche alla composizione della delegazione belga a San Francisco, nella quale si credette di ravvisare una eccessiva partecipazione di membri con tendenza comunista e che costrinsero il ministro Spaak a dare giustificazioni e assicurazioni.

Potrei riassumere queste mie prime impressioni nei seguenti concetti: l) paese profondamente sano e forte dal punto di vista sociale ed economico; 2) netta tendenza ad un rapido riequilibrio politico-amministrativo e ad una

non meno rapida ricostruzione dopo i danni relativamente non gravi causati dalla guerra;

3) ritorno alle linee tradizionali della politica belga nel campo internazionale, rafforzate dall'esperienza della duplice invasione e della definitiva caduta dell'illusione della neutralità;

4) buone disposizioni e notevoli possibilità per una proficua ripresa di buoni rapporti con l'Italia e per lo sviluppo di utili reciproci scambi commerciali ed economici.

173

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2379/1361 . Roma, 7 maggio 1945.

Suo 226 2 .

Messaggio primo ministro 3 è stato accolto dal governo e da tutta opinione pubblica italiana con profonda soddisfazione. Ho pregato ambasciatore Charles rendersi interprete nostra gratitudine. Prego V.E. far sapere anche da parte sua

I Il telegramma venne inviato, per conoscenza, a Tarchiani col n. 2379/94. 2 T. urgente 3221 /226 del 3 maggio, non pubblicato. 3 Vedi D. 167.

Churchill che sue parole sono state per noi di grande conforto. Presidente Bonomi ha direttamente risposto oggi con suo messaggio personale 1• Ella voglia, la prego, aggiungere che nostro rapido rinserimento nella comunità delle Nazioni Unite, che Churchill promette con parole così cordiali, assai gioverebbe anche a calmare gli spiriti e a placare gli animi e quindi al più celere ed ordinato assestamento del Paese. Come tale, oltre che atto di giustizia, sarebbe atto di pacificazione interna ed internazionale di estrema saggezza. È poi superfluo insistere sui riflessi che esso avrebbe sui rapporti specifici italo-inglesi.

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A TUTTI I RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

T. 2399/c. Roma, 7 maggio 1945.

(Solo per Washington, Londra, Parigi e Mosca) Seguito mio telegramma 2284/c. · del 1° corrente2 .

(Per tutti) 3 maggio Consiglio dei ministri ha votato unanimità dichiarazione sulla quale attiro specialissima attenzione di tutti RR. uffici all'estero.

Dopo saluto alle truppe alleate vittoriose alle forze italiane agli eroici patrioti, Consiglio dei ministri esprime certezza che colleganza d'armi creerà fra Italia e Nazioni Unite vincolo che assumerà fra breve nome più proprio di quello di cobelligeranza.

Prosegue quindi testualmente: «Nell'apprendere con viva soddisfazione che stamane truppe tedesche Trieste si sono arrese generale britannico Freyberg invia particolare saluto alla città indiscutibilmente italiana verso la quale in questi ultimi giorni guerra volgeva animo di tutta la Nazione e manda plauso riconoscente a truppe alleate e formazioni partigiani che hanno contribuito sua liberazione.

Riafferma che ogni questione territoriale riguardante frontiera orientale deve rimanere impregiudicata fino alla pace e fino a che supremi organi costituzionali elettivi dei due popoli confinanti potranno decidere nel rispetto reciproco dei propri diritti e nello spirito del rinnovamento democratico dei rapporti internazionali.

Chiede che amministrazione provvisoria della Venezia Giulia che si costituisce nel regime armistizio concluso fra Italia e Potenze alleate, sia tale da garantire neutralità e imparzialità e da assicurare libera cooperazione popolazione locale».

l Il messaggio di Bonomi, inviato con T. 2451 dell'8 maggio, era il seguente: «L'Italia liberata dal fascismo e rinnovata nella democrazia esulta per la vittoria che, dopo sei anni di una durissima guerra, assicura la tranquillità all'Europa e prepara ai popoli la pace giusta. Il popolo italiano è oggi, come nel novembre 1918, accanto ai suoi grandi alleati di allora con lo stesso spirito e con la medesima fede. Esso guarda a voi come al grande capo che, quando tutto pareva perduto, ha avuto fede nella vittoria e ha lavorato strenuamente per conseguirla. L'Italia che ritorna alle sue tradizionali amicizie, dopo una criminosa avventura repugnante alle sue inclinazioni e alla sua storia, saluta l'Inghilterra e i popoli della comunità britannica, ed è orgogliosa di avere mescolato il suo sangue migliore a quello delle gloriose truppe che hanno testè liberato il suo territorio nazionale)).

2 Vedi D. 163.

Ella vedrà che nel riconfermare ancora una volta, per quel che riguarda la frontiera orientale, la nostra tesi di attesa, il Consiglio dei ministri prende netta ed esplicita posizione su Trieste «indiscutibilmente italiana». Ella vedrà altresì che sosteniamo necessità che amministrazione provvisoria militare della Venezia Giulia sia organizzata a termini dell'armistizio come per le altre regioni d'Italia.

Agisca, la prego, in questo senso e su queste direttive.

Tenga presente che Trieste è stata effettivamente occupata dagli Alleati, che la resa dei 7 mila tedeschi che vi combattevano è avvenuta nelle mani del generale neozelandese Freyberg, che gli annunci e i proclami jugoslavi non rispondono in conseguenza alla reale situazione dei fatti.

175

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, TRUMAN

T. IN CHIARO 2449. Roma, 8 maggio 1945 1•

Nella letizia della vittoria, a cui l'Italia ha dato in venti mesi di cobelligeranza il suo sangue più puro, io invio a voi, capo della grande repubblica americana, le felicitazioni e i ringraziamenti più fervidi e cordiali. Il popolo italiano sa quanto l'Europa debba all'America per essere stata salvata dall'oppressione del fascismo e del nazismo, due paurose minacce alla libertà del mondo. E sa anche quanta ardente fede negli ideali più generosi e più nobili abbia inspirato il vostro grande predecessore che ha un posto indistruttibile nel cuore di tutti gli italiani. Io sono certo che gli Stati Uniti d'America comprenderanno interamente la sciagura che s'era abbattuta sull'Italia e da cui l'Italia s'è redenta col sangue versato dai suoi soldati e dai suoi patrioti. In questa ora di vittoria, che è vittoria comune, il tricolore d'Italia sale accanto alla bandiera stellata per riaffermare un'amicizia che sarà indissolubile e perpetua.

176

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI COMMISSARI DEL POPOLO DELL'U.R.S.S., STALIN

T. IN CHIARO 2450. Roma, 8 maggio 1945 1•

Nell'ora della grande vittoria l'Italia saluta i popoli delle repubbliche sovietiche che hanno versato fiumi di sangue per eliminare dal mondo la minaccia del fascismo e del nazismo. Anche nelle ore più tremende e dubbiose il vero popolo italiano ha

l Inviato il 9 maggio, ore Il.

creduto nella vostra vittoria perché sapeva che il popolo russo era conscio di ciò che avrebbe perduto con l'avvento dei suoi nemici. Noi vi abbiamo accompagnato coi nostri voti più fervidi nella gloriosa marcia da Mosca a Berlino e dal Caucaso a Vienna, e, quando è scoccata per noi l'ora della riscossa, abbiamo cooperato col nostro sangue alla vittoria comune.

A voi, illustre e vittorioso capo di una grande unione di popoli, si rivolgono le felicitazioni e gli auguri del popolo italiano.

177

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 216/49. Mosca, 8 maggio 1945 (per. il 24).

Ho consegnato a Dekanozov, per iscritto, il testo della dichiarazione del Consiglio dei ministri, di cui al telegramma di V.E. n. 2171/c. del 26 aprile u.s. 1•

Tra gli argomenti illustrativi, mi sono maggiormente fermato sull'azione dei partigiani per la liberazione dell'Italia del nord e per la pronta esecuzione dei principali responsabili del fascismo. Ho detto a Dekanozov che, nella situazione di oggi, quando si rifiuta all'Italia lo stato di Nazione Unita lo si rifiuta proprio a questa gente che, non meno di qualsiasi altro popolo almeno, ha dato il suo contributo di sangue e di sofferenze alla liberazione dell'Europa.

Dekanozov non ha lesinato le espressioni di compiacimento per la prova data dalla miglior parte del popolo italiano nell'Italia del nord.

Quanto alla sostanza della nostra richiesta, mi ha detto che la questione dei mancati inviti fuori di posto alla Conferenza di San Francisco aveva creato tale confusione che non si poteva più considerare un onore l'esservi stati invitati e un disonore il non esserlo stati.

Il governo sovietico, negli armistizi da lui conclusi con gli Stati che hanno capitolato all'U.R.S.S. ha mostrato la tendenza a dare a tutte le questioni che lo concernono una soluzione definitiva: sarebbe stato anche propenso, specialmente nel caso della Finlandia, a concludere il trattato di pace e non solo l'armistizio. Se questo criterio sovietico fosse stato adottato non ci sarebbero state tante situazioni giuridicamente e formalmente ambigue, fra cui quella dell'Italia, gli inglesi e gli americani erano, però, di altra opinione, e il governo sovietico non ha creduto di farne una questione di principio.

Parlando a titolo personale, mi ha detto che gli sembrava che le parole di Roosevelt non dovevano essere intese in senso letterale. L'organizzazione della pace era opera lunga e difficile, la Conferenza di San Francisco era appena lo stadio iniziale, e l'Italia, anche se non era ammessa allo stadio iniziale, non avrebbe mancato di farne parte ed avrebbe avuto ampie opportunità di dare tutto il suo contributo. In ogni modo il governo sovietico avrebbe esaminato la questione insieme ai suoi alleati. Continuando nell'argomento, ed insistendo sempre sul carattere personale delle sue dichiarazioni, Dekanozov mi ha detto che, a suo avviso,

l Vedi D. 150, nota l.

240 il governo italiano attribuiva troppa importanza ad una questione di pura forma. Egli comprendeva e non giudicava lo stato dell'opinione pubblica italiana, e comprendeva pure che il governo era in molti casi obbligato ad agire in seguito a pressioni dell'opinione pubblica. Gli sembrava però che da parte del governo e da parte della maggioranza dei partiti mancasse un'opera sistematica di illuminazione dell'opinione pubblica, per spiegare la situazione qual era. In pratica, cosa avrebbe guadagnato l'Italia ad essere invitata a San Francisco eccetto il fatto di poter dire di essere stata invitata? L'Italia non era certo in grado di avere una voce decisiva, a questo stadio, nella formazione dell'organizzazione della pace: problemi concreti non ne sarebbero stati trattati.

A suo avviso il problema primo dell'Italia era quello di rimèttere la casa in ordine, politicamente, economicamente. La guerra era ormai finita e quindi tutti gli inconvenienti e le questioni che tanto hanno agitato il governo italiano in breve tempo si sarebbero risolti da sé; il fatto che il nord dell'Italia non aveva sofferto distruzioni sostanziali era un grande elemento di fatto nella nostra situazione. Quanto più rapidamente l'Italia avrà proceduto alla sua riorganizzazione tanto più presto si arriverà ad uno stato di cose in cui l'Italia sarà invitata a tutte le conferenze non perché lo domanda, ma perché la sua presenza è necessaria. Era nel nostro interesse di concentrare i nostri sforzi sulla creazione di questo stato di cose, piuttosto che insistere sul chiedere, quando per un complesso di circostanze che dovevamo capire, la situazione non essendo matura, eravamo sicuri di andare incontro a rifiuti espressi o taciti.

Tra gli argomenti con cui ho ribattuto queste osservazioni, fatte del resto in forma molto cortese e amichevole, ho particolarmente tenuto a sviluppare questo punto: il popolo italiano -ho insistito popolo -non sente in coscienza che la sua responsabilità per il passato sia così enorme: ha fatto tutto il possibile per sabotare la guerra, si è ribella t o: senza fare adesso il processo a chi ha in effetto rovesciato il fascismo, resta il fatto che il popolo italiano è stato il primo a farlo. La propaganda alleata, fin dal principio della guerra, ha insistito sul fatto che si faceva la guerra a Mussolini e non al popolo italiano. Dopo l'armistizio -e ci avviciniamo ai due anni -si è creata una situazione che sta sempre più determinando nel popolo italiano l'impressione che, in realtà, si faccia la guerra all'Italia e non al fascismo: che le promesse fatte non erano state tenute: che il popolo italiano era stato ingannato. I fermenti di questo stato potenziale di frustrazione, se non si poneva un termine alla nostra situazione attuale, possono essere imprevedibili. Il fascismo era stato un fenomeno complesso: voler lo ridurre soltanto ad un aspetto della lotta di classi era volere semplificare troppo le cose. Il governo e l'opinione pubblica italiana si rendevano perfettamente conto che il nostro primo compito era la ricostruzione, ma anche i fattori puramente morali avevano la loro importanza.

Dekanozov mi ha detto che avrebbe portato quanto gli avevo osservato a conoscenza del governo sovietico, ripetendomi che, in ogni modo, la questione avrebbe dovuto essere discussa con i governi alleati.

Non è questa la prima conversazione che ho avuto qui, sull'argomento, ma essendo stato, per lO mesi quasi, privo della possibilità di corrispondere con V.E., ho preferito riferirla per esteso piuttosto che riassumerla in un breve telegramma.

Ritengo intanto mio dovere far presente a V.E. che, al momento attuale, per quanto riguarda la nostra partecipazione alla Conferenza di S. Francisco o ad altre conferenze, l'atteggiamento del governo sovietico è in linea di massima negativo. E ciò per due ragioni:

l) -Gli ex Paesi alleati della Germania prima di essere ammessi a far parte, a condizioni di parità, della comunità dei popoli «amanti di libertà», debbono passare attraverso un periodo di prova. La fine di questo periodo di prova verrà decretata per decisione unilaterale dei Big Three: essi non debbono domandare, ma fare quello che viene loro chiesto di fare ed attendere. È questo per la Russia una specie di dogma contro il quale è inutile discutere. Di tutti i Paesi ex alleati della Germania, quello che qui ha una posizione eccezionale di favore è senza dubbio la Bulgaria: è un paese slavo, fautore fervente della politica di fratellanza slava, si è dato un governo «veramente democratico», ha fatto l'epurazione come la si intende qui. Eppure, quando questo ministro di Bulgaria, per incarico del suo governo ha fatto qui un timido accenno alla possibilità per la Bulgaria di chiedere di essere invitata alla Conferenza di S. Francisco, si è preso un tale rabbuffo da togliergli per un pezzo la voglia di tornare sull'argomento.

2) -E, secondo me, più importante. L'U.R.S.S. è in genere contraria alle grosse conferenze: l'ideale per lei sono le conferenze a tre: altri partecipanti non sono che degli impicci. Il loro ragionamento, ripetuto costantemente, è il seguente. La responsabilità per l'organizzazione ed il mantenimento della pace spetta alle tre Potenze che sole hanno i mezzi per farlo. Sono esse sole che conoscono a fondo la situazione generale, gli interessi in giuoco, le risorse ed i mezzi a disposizione, ossia che dispongono di tutti gli elementi di giudizio. Gli altri hanno solo una visione incompleta della situazione, si lasciano fuorviare da considerazioni ideali, magari bellissime, ma non aderenti alla realtà delle cose: più spesso sotto il pretesto di ideali tendono alla realizzazione di loro aspirazioni individuali. Nella maggior parte delle medie e piccole Potenze è ancora radicata la tradizione politica di giuocare tra i dissidi delle grandi potenze: già non è facile arrivare ad un accordo quando i tre discutono da soli: figurarsi quando c'è una coorte di altri Stati che contribuiscono ad aumentare le difficoltà. In una grande conferenza, i russi si sentono a disagio. Le generazioni dei Litvinov, e dei Malsky, che avevano fatta la loro esperienza a Ginevra e altrove, che sapevano manovrare nelle assemblee, è stata messa in disparte. Molotov non è mai stato all'estero, non conosce che il russo, è abituato a trattare solo con assemblee che approvano all'unanimità: è intelligente e capace, ma ha tutto un tirocinio da fare. I russi hanno l'impressione di essere isolati, e che, se una questione viene messa ai voti, la maggioranza sarà sempre contro di loro. Invece, in una conferenza dei Big Three, dove le questioni devono essere affrontate prontamente, dove ogni nazione conta per quello che ha dietro le spalle, si sentono su terreno molto più solido.

Questa è stata sempre la tendenza russa. L'esperienza fatta da Molotov a San Francisco, nella questione Argentina-Polonia, proprio la prima volta che egli si è trovato a fronteggiare una grande conferenza, non fa che confermarli in questo loro punto di vista.

Quanto sopra vale anche naturalmente per la nostra domanda di ammissione alla Conferenza delle riparazioni a Mosca 1•

I Il 6 giugno Prunas inviò a Quaroni il seguente T. 3125/199: «Vostro rapporto n. 216/49 dell'8 maggio scorso. Questo ministero approva pienamente le considerazioni sviluppate da V.E. nel corso conversazioni con Dekanozov in occasione consegna dichiarazione governativa italiana circa nostra assenza S. Francisco. Riservomi far pervenire quanto prima codesta ambasciata ulteriore materiale informativo circa azione svolta al riguardo».

178

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 3614/09. Parigi, 9 maggio 1945 (per. il 16).

Riferimento telegramma n. 25 1•

Questo ministero Esteri cui sono state chieste spiegazioni circa dichiarazioni fatte stampa da ministro Informazioni Teitgen, ha asserito che dichiarazioni stesse non sono state riportate esattamente dai giornali quantunque, secondo detto ministero, esse sarebbero da un punto di vista giuridico giustificate in quanto, dato che non esiste tra Francia e Italia se non un armistizio di fatto, in linea di diritto sarebbe sempre sussistente lo stato di guerra. Ho fatto rilevare come tale concezione sia anche da un punto di vista giuridico errata in quanto, a parte gli aspetti politici della questione, vi sono stati tra Francia e Italia diversi atti aventi una rilevanza giuridica i quali hanno dato luogo a una situazione di diritto diversa da quella dello stato di guerra.

Data l'importanza della questione, per i suoi molteplici riflessi, prego codesto ministero volermi fornire non appena possibile il preciso punto di vista del governo italiano sull'argomento 2 .

179

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 3616/016. Parigi, 9 maggio 1945 (per. il 16).

Riferimento telegramma per corriere n. 07 del 4 maggio3 e telegramma filo n. 21 del 4 maggio 4 .

Circa questione occupazione da parte esercito francese alcune zone Italia settentrionale, da questo ministero Esteri, che riservasi definitiva ulteriore risposta, è stato in diverse conversazioni affermato ritenersi:

l) -che occupazioni stesse sarebbero dovute esclusivamente necessità operative e avvenute per ordine comandi alleati che dirigono complesso operazioni militari Italia: «settore alpino era tenuto da truppe francesi che dovevano avanzare in territorio antistante da cui ritiravasi nemico: se in settore Appennino da essi

1 Con T. 3395/25 del 7 maggio Saragat aveva riferito: «Secondo quanto pubblicano alcuni giornali questo ministro informazioni Teitgen presentando stampa resoconto Consiglio ministri francese avrebbe dichiarato "Italia è sempre considerata come paese nemico e niente potrebbe in diritto opporsi ad occupazione da parte nostre truppe determinate regioni italiane"».

2 Per la risposta vedi D. 225.

3 T. 3395/07, non pubblicato.

4 T. 3346/21, non pubblicato.

tenuto, anglo-americani non avessero contemporaneamente avanzato truppe francesi sarebbero state costrette estendere anche maggiormente loro occupazione Italia»;

2) -che nell'ambito operativo militare dovrebbero pure essere considerate misure recentemente adottate da questo Consiglio ministri per amministrazione zone occupate, creando presenza truppe problemi amministrativi che non possono essere risolti in base disposizioni esistenti sul luogo. Mi riferisco peraltro telegramma per corriere odierno n. 09 1 circa possibile giustificazione giuridica occupazioni territoriali con argomento sussistenza linea diritto stato guerra tra Italia e Francia.

Comunque fatto occupazioni territoriali, che non sembra sostanzialmente negato, sembrerebbe in contrasto con assicurazioni di cui telegramma per corriere ministeriale n. 2021 del 20 aprile scorso 2 nonché telegramma allegato al telespresso

n. 22/05579/36 del 9 aprile scorso3 . Anche in relazione notizia pubblicata oggi circa ritorno generale Juin da San Francisco «per occupazione frontiera franco-italiana» insisto presso ministero Esteri per più esaurienti spiegazioni nonché per conoscere già richiesti particolari precitate misure Consiglio ministri 4 .

ALLEGATO

RIUNIONE DEL COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE DELLA VAL D'AOSTA

VERBALE. Aosta. 12 maggio 1945.

Oggi, sabato 12 maggio 1945, alle ore 18,30, si è riunito in una sala della prefettura il Comitato di liberazione nazionale provinciale di Aosta, nelle persone di:

prof. Ida Viglino-presidente; prof. Amato Berthet; dott. Giuseppe Lamastra; sign. Fabiano Savioz; prof. Alessandro Passerin d'Entrèves -prefetto; avv. Carlo Torrione sindaco, in assenza del rappresentante del partito liberale avv. Lorenzo Chabloz.

Sono inoltre presenti: dott. Eugenio Dugoni -delegato per il Comitato di liberazione nazionale regionale piemontese; prof. Federico Chabod -designato come vice prefetto di Aosta.

L'assemblea prende atto delle ultime notizie sul continuo afflusso delle truppe francesi in Valle d'Aosta e sull'attività da esse svolta. Da tali ultime notizie, comunicate dal Comando militare, risulta:

che un ingente numero di schede di opzione per la Francia è già stato consegnato alle truppe francesi di occupazione;

che dette schede saranno inviate al governo francese, il quale, in base a siffatta pretesa libera manifestazione di opzione per la Francia, considererebbe già la Valle d'Aosta come terra francese e la farebbe occupare apertamente dalle sue truppe.

L'Assemblea è unanime nel constatare che siffatta pretesa libera manifestazione della volontà popolare costituisce, in realtà, un inaudito sopruso ed un atto di aperta violenza.

La propaganda per ottenere tali adesioni è stata infatti svolta da ufficiali e soldati francesi in aperto contrasto con le dichiarazioni date dal comandante francese in Valle di Aosta al prefetto; si è servita di ogni mezzo, compresi quelli della corruzione e della falsificazione.

I Vedi D. 178.

2 Vedi D. 137.

3 Non pubblicato.

4 Si pubblica qui in allegato il verbale di una seduta del 12 maggio del Comitato di liberazione nazionale di Aosta.

Questo. mentre alle autorità ed ai partiti italiani era ed è praticamente preclusa ogni forma di manifestazione pubblica, ogni pubblicazione di giornali; mentre cioè alle autorità ed ai partiti italiani, in terra italiana, era ed è impedita praticamente ogni difesa.

Né va taciuto, a questo riguardo, che la mancata, pronta punizione almeno dei maggiori criminali ha fornito un'arma di propaganda di notevole efficacia ai francesi.

Di fronte a questo stato di fatto, l'assemblea, protestando nella maniera più recisa contro la violenza che viene compiuta in terra valdostana, in dispregio di tutti i principi di libertà che stanno a base della Carta atlantica e della dichiarazione di Yalta, delibera:

l) -di inviare un telegramma al maresciallo Stalin, al primo ministro Churchill, al presidente Truman, per richiamare le loro attenzioni su quanto sta succedendo in Valle d'Aosta, e per invocare il loro immediato intervento.

2) -di inviare un telegramma analogo alla conferenza di S. Francisco.

3) -di avvertire immediatamente il governo Bonomi ed il C.L.N.A.I.

4) -di far presente immediatamente alle autorità alleate preposte al governo militare e civile della Valle di Aosta l'estrema gravità della situazione.

Le autorità che costituiscono l'assemblea dichiarano che a partire da questo momento declinano ogni e qualsiasi responsabilità per tutto quello che possa avvenire nella Valle di Aosta; che da questo momento dunque ritengono le autorità alleate responsabili esse della situazione nonché della sicurezza personale dei cittadini e dei loro beni; che si riservano di consultare le autorità di governo italiane per sapere se devono ancora rimanere, anche formalmente in carica.

180

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. PER CORRIERE 3994/058. Washington, 9 maggio 1945 (per. ore 16 del 29).

Risultami da fonte sicura che 30 aprile scorso governi americano ed inglese hanno impartito maresciallo Alexander istruzioni precise occupare Trieste e Venezia Giulia sino confini anno 1939. Si ritiene che Tito-se non sopraggiungerà intervento russo in suo appoggio -sarà costretto accettare situazione. Washington e Londra sono finora concordi e fermi loro decisione che è d'altronde conforme noto punto di vista circa i territori contestati.

181

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 6966/44 (Charles) 6967/45 (Kirk) 1 . Roma, 9 maggio 1945.

Com'ella avrà visto sulla stampa, la radio Belgrado, dopo la serie di proclami, dichiarazioni, ecc., diramati negli ultimi giorni, ha ieri annunziato la formazione, a

I Come risulta da un'annotazione l'originale parti senza numero di protocollo. Il documento fu protocollato solo l'Il maggio.

Trieste, di un governo nazionale della Slovenia federale e la nomina di un comandante della città, nella persona di un tenente generale jugoslavo, non meglio precisato. Iniziative ed atti che noi giudichiamo assolutamente arbitrari e illegittimi.

Ella sa quale sia in proposito l'atteggiamento del governo italiano.

Le varie dichiarazioni approvate in questi ultimi giorni all'unanimità dal Consiglio dei ministri sono chiare e nette, e, nello stesso tempo, estremamente equilibrate ed obiettive.

Ella sa altresì quale profondissima incidenza il problema della Venezia Giulia potrebbe avere, se risolto male ed iniquamente, su tutta la vita politica interna del Paese, che attraversa oggi una fase particolarmente delicata e difficile.

Io sono per questo certo che i governi alleati vorranno trattare tutto questo complesso problema con quella fermezza che la situazione esige e che, nella specie, il governo italiano, che è il principale e più legittimo interessato, sia posto in grado di seguire gli sviluppi della situazione, che, non può essere oggi in alcun modo compromessa o pregiudicata.

Confido molto nel suo autorevole ed amichevole interessamento, signor ambasciatore, perché ella voglia rendersi interprete presso il suo governo della vivissima preoccupazione con la quale seguiamo da parte nostra gli avvenimenti e dell'atteggiamento, ripeto, fermo ma obiettivo, adottato dal R. governo al riguardo.

E di tutto ciò le sono molto riconoscente 1•

182

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. PER CORRIERE 2498. Roma, IO maggio 1945, ore 13.

Suoi 21 e 252.

Eventualità operazioni militari e occupazioni francesi su nostra frontiera occidentale ha fatto oggetto da tempo di conversazioni fra questo ministero, la Commissione alleata, gli ambasciatori d'Inghilterra, degli Stati Uniti e di Francia.

Abbiamo avuto in generale reazioni tranquillizzanti. Come le è stato già comunicato ambasciatore Couve ebbe recentemente a dichiarare che occupazioni francesi erano da escludersi, e che poteva, se mai, trattarsi soltanto di passaggio di truppe dirette in Austria 3 .

Molto recentemente il maresciallo Alexander ha spiegato al presidente Bonomi ed a me che egli stesso ha chiesto al generale Eisenhower che le scarse truppe mantenute dai francesi alla nostra frontiera facessero azioni dimostrative per fissare

l Annotazione a margine: «Consegnata personalmente dal ministro all'amb. Kirk». Charles rispose il IO maggio di aver comunicato telegraficamente il contenuto della lettera di De Gasperi al governo britannico e alle autorità militari alleate.

2 Vedi D. 178, nota I e D. 179, nota 4.

3 Vedi D. 137.

246 sul posto, al momento dell'offensiva alleata, due divisioni tedesche che risultavano attestate in quella zona. Ordini che furono infatti dati ed eseguiti. Il maresciallo aggiungeva tuttavia che le truppe fra~cesi che erano penetrate in territorio italiano avevano ricevuto ordine di rivarcare la frontiera e si aspettava che ciò facessero. Quanto precede mi è stato confermato anche oggi da questo ambasciatore d'Inghilterra.

Tuttavia i suoi telegrammi nn. 21, 25 e 28 1 e notizie che ci pervengono dal nord documenterebbero disposizioni diverse da parte francese (tra l'altro la continuata occupazione della Val d'Aosta sino a Fonte S. Martino col pretesto di congiunzione con truppe francesi provenienti da Val di Susa).

Debbo peraltro aggiungere che la radio Parigi il 6 corrente ha diramato, in italiano, quanto segue: «Contrariamente ad alcune informazioni completamente infondate che attribuiscono alla Francia rivendicazioni territoriali sull'Italia, si afferma che tutte le questioni con l'Italia sono interamente e definitivamente sistemate. La Francia non intende affatto seguire una politica di prestigio nei confronti dell'Italia. I francesi non hanno che profonda ammirazione per il valore dei combattenti italiani che hanno liberato il nord».

Mentre attiro l'attenzione di Couve de Murville su quanto precede, ella voglia, la prego, anche da parte sua intrattenerne il Quai d'Orsay. Niente sarebbe più pregiudizievole che il persistere di queste voci, se infondate e converrebbe dunque insistere nella smentita e impedire di conseguenza dichiarazioni quali quelle attribuite al ministro Teitgen.

Se poi esse avessero, ciò che ci rifiutiamo sino a prova contraria di credere, un fondamento di vero, occorrerebbe, ciò che farò anche da parte mia con questo ambasciatore di Francia, parlarne subito con amichevole franchezza al Quai d'Orsay e prospettargli il grave pregiudizio e danno che tutto ciò arrecherebbe alla causa del riavvicinamento fra i que Paesi che intendiamo con ogni lealtà perseguire.

183

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 2503/144. Roma, IO maggio 1945, ore 17.

Suo 146 e seguenti 2 .

Ella sa dai miei precedenti telegrammi che questione Venezia Giulia in generale e di Trieste in particolare ha dato in questi ultimi giorni luogo a una netta presa di posizione da parte di tutti i partiti, compresi quelli di sinistra. L'ordine del giorno, di cui al mio telegramma n._. 2399/c3 . in cui si riafferma fra l'altro il carattere

1 Il riferimento al T. 3394/28 del 7 maggio, non pubblicato, sembra errato. 2 Vedi D. 165. 3 Vedi D. 174.

indiscutibilmente italiano di Trieste, è stato del resto approvato all'unanimità, cioè con la partecipazione dei comunisti. Ora è perfettamente esatto affermare che di questioni del genere possano impadronirsi i pochi e scarsi residui della vecchia mentalità nazionalistica e sfruttarle ai loro fini particolari, ma sarebbe perfettamente falso far passare in blocco come nazionalistico anche l'onesto sforzo per risolvere secondo giustizia ed equità problemi che ci toccano così da vicino e che minaccerebbero fatalmente di riproporsi domani, se male e iniquamente risolti oggi, appunto in quei termini nazionalistici dai quali, per quel che ci concerne, intendiamo in ogni possibile modo estraniarli.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2514/99 (Washington) 145 (Londra) 1• Roma, 11 maggio 1945, ore 9,30.

Ella ha certamente seguito sulla stampa le notizie ultime sulla Venezia Giulia in generale, su Trieste in particolare.

In sostanza, il governo jugoslavo compie, ed estende a tutto il territorio sino all'Isonzo, atti di sovranità, di amministrazione e di occupazione. La popolazione italiana vive da settimane sotto un regime di terrore, che va progressivamente aggravandosi. Arresti, internamenti e sopraffazioni, sono quotidiani.

Il presidente Bonomi ed io abbiamo ieri attirato ancora una volta la più seria attenzione degli ambasciatori d'Inghilterra, d'America e della Commissione alleata sulla situazione2.

Abbiamo protestato nel modo più energico contro il tentativo jugoslavo di risolvere unilateralmente con atti arbitrari e di forza questioni che i governi alleati si sono impegnati a lasciare impregiudicate sino alla conclusione della pace. Abbiamo chiesto che l'amministrazione della Venezia Giulia sia, entro i confini del 39, organizzata in modo-conforme alla prassi seguita fin qui, a termini dell'armistizio, per tutto il territorio italiano e alle formali promesse, scritte e verbali, a suo tempo dateci.

Abbiamo infine fatto le più ampie riserve su quanto possa eventualmente essere deciso senza la nostra partecipazione o consenso in contrasto di quei principi.

Il capo della Commissione alleata si reca oggi a Caserta per esporre al maresciallo Alexander quanto precede ed ottenerne ogni possibile chiarimento ed asstcurazrone.

Ci risulta altresì che il capo di Stato Maggiore del maresciallo è attualmente a Caserta per cercare di giungere ad accordi concreti con Tito.

1 Il telegramma venne inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Mosca(/146) e a Parigi (per corriere).

2 Vedi D. 181.

Prego V.E. di recarsi immediatamente al Dipartimento di Stato (Foreign Office), illustrare la situazione nei termini descritti, protestare per la violenza preordinata, arbitraria azione jugoslava, fare le più ampie ed esplicite riserve su eventuali decisioni in materia di assegnazione definitiva di territori sino a quando non intervengano vere e proprie trattative di pace e su eventuali accordi in materia di amministrazione che ledano i principi dell'ordinata convivenza fra le popolazioni..

Ella voglia la prego aggiungere che ci rendiamo perfettamente conto della delicatezza della questione che incide sui rapporti stessi fra i grandi Alleati, ma che non dubitiamo dell'appoggio e dell'assistenza che essi vorranno darci.

Sottolinei che gli avvenimenti della Venezia Giulia incidono profondamente anche sulla situazione interna del Paese; fiaccano i propositi di ordinato assestamento della sua vita democratica; deludono tutte le zone dell'opinione sulle effettive possibilità alleate di giungere a concrete soluzioni di equità e di giustizia 1•

185

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS,

ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. PERSONALE 15/6866/100. Roma, 11 maggio 1945.

Allego alla presente lettera copia di un telegramma in data del 3 corrente del

R. ambasciatore a Mosca 2•

È superfluo le dica che le impressioni di cui si fa eco l'ambasciatore Quaroni circa il presunto carattere nazionalistico del nostro atteggiamento nei confronti della Venezia Giulia in generale e di Trieste in particolare, sono, come lei sa, inesatte e che provvediamo a combatterle.

Ma il punto su cui ci interessa attirare la sua attenzione è un altro e precisamente. Il governo sovietico, pur avendo -a quanto pare -dichiarato al governo di Belgrado di non opporsi alle rivendicazioni jugoslave, avrebbe tuttavia fatto presente la possibilità di una opposizione americana per quanto concerne l'Istria occidentale e Trieste e sulla conseguente utilità di «lavorare» opportunamente il governo e l'opinione nordamericani.

Occorre che codesto governo sia dunque informato subito di quanto precede e dell'opera e dell'attività che si propone di svolgere costì l'ambasciatore Simic. Ella vorrà sottolineare soprattutto la circostanza che è proprio dalla fermezza che Washington vorrà dimostrare sulla questione che dipende in sostanza la misura dell'appoggio che il governo sovietico darà a Tito con tutte le conseguenze connesse e conseguenti.

Molto confidiamo sulla sua opera, che seguo da lontano con viva e cordiale attenzione3 .

l Per le risposte vedi DD. 196 e 199. 2 Vedi D. 165. 3 Copia di questa lettera fu inviata in pari data a Carandini per conoscenza e norma di linguaggio

(L. 15/6865/137).

186

IL CAPO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, DEL BALZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO. Roma, Il maggio 1945.

L'ammiraglio Stone ha dato visione ad un funzionario dell'ufficio scrivente di un rapporto dell'Intelligence Service sulla situazione alla frontiera occidentale. Si acclude un estratto schematico del rapporto stesso 1•

L'ammiraglio ha pregato l'ufficio scrivente di attirare l'attenzione di S.E. il ministro sulla estrema gravità della situazione. Egli suggerisce in via personale e confidenziale, che il ministro presenti d'urgenza una protesta «molto energica» all'ambasciatore di Francia a Roma e dia istruzioni di compiere un analogo passo alla nostra ambasciata a Parigi 2 .

Egli ha aggiunto che non mancherà di chiedere anche l'intervento del Comando Supremo Alleato, ma ritiene che la sua azione sarà più efficace se risulterà a Parigi che l'attività delle truppe francesi alla frontiera italiana è considerata dal nostro governo come molto grave e preoccupante.

L'ammiraglio Stone ha aggiunto che anche dal punto di vista interno gli sembra opportuno che il governo non dia all'opinione pubblica del nord l'impressione di subire passivamente la situazione che si va determinando alla nostra frontiera con la Francia.

187

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 230/563. Mosca. l l maggio 1945 (per. il 2 giugno).

Telespresso di V.E. n. 19/5252/47 del 16 aprile u.s. 1•

l -Ringrazio V.E. per i passi che ha fatto in seguito al mio telegramma n. 79 del 17 dicembre 19444 .

Per quanto concerne la questione delle liste, rilevo che il mio telegramma non era sufficientemente chiaro. II governo sovietico dice che al principio della guerra esso ha dichiarato che avrebbe rispettato le disposizioni della Convenzione di Ginevra, sebbene non ne fosse firmatario, a condizione che anche i suoi nemici le rispettassero. Già in data 21 agosto 1941, il governo tedesco aveva dichiarato che, in seguito alle presunte atrocità russe, si rifiutava di continuare ad applicare ai prigionieri russi le disposizioni della Convenzione di Ginevra, contenente fra l'altro l'obbligo di comunicare le liste dei prigionieri.

l Non pubblicato. 2 Vedi DD. 202 e 205. 3 Vedi D. 140, nota 3. 4 Vedi D. 5.

In base agli elementi fornitimi dall'E.V. con il fascicolo relativo ai prigionieri portatomi da Messeri, ho potuto contestare l'affermazione russa che noi ci eravamo associati alla dichiarazione tedesca: il che è stato riconosciuto esatto. È stato pure riconosciuto esatto che, al principio, da parte italiana sono state fatte alcune comunicazioni, tramite Croce Rossa, circa i prigionieri russi, ma non ho potuto contestare che, in data 12 marzo 1942 con comunicazione n. 22568/1 diretta al comitato internazionale della Croce Rossa, il governo italiano ha dichiarato che per mancanza di reciprocità cessava di comunicare le liste dei prigionieri russi. Qui mi si è detto che con queste dichiarazioni, il nostro atteggiamento si è avvicinato a quello della Germania, che la presente mancanza di reciprocità è stata da parte russa soltanto questione di tempo e di organizzazione (per la verità non si potrebbe negare che, data la ben nota lentezza burocratica russa, e la data dell'entrata in campagna del nostro corpo di spedizione, la dichiarazione fatta il 12 marzo 1942 era un poco affrettata).

Il punto di vista sovietico è dunque il seguente: le liste dei prigionieri vengono fornite solo a titolo di reciprocità. Fra Russia e Italia la reciprocità è stata denunciata per fatto dell'Italia: non abbiamo quindi nessun diritto di richiedere liste, nè l'U.R.S.S. ha il dovere di darcele. Rilevo a questo proposito che aveva perfettamente ragione l'ambasciatore Guariglia, quando, nel suo rapporto n. 873 del 6 aprile 19431 , proponeva di cominciare noi coll'inviare ai russi le liste dei prigionieri in nostra mano: se il suo consiglio fosse stato seguito, non ci troveremmo oggi in questo pasticcio.

Comunque ripeto se il governo sovietico si rifiuta di comunicarci le liste dei nostri prigionieri di guerra, non è perché noi non abbiamo dato ai russi, dopo l'armistizio, le liste dei prigionieri allora esistenti in Italia, ma come punizione per il fatto che il governo italiano, durante la guerra ha, per primo, preso l'iniziativa di dichiarare al governo sovietico che non avrebbe più comunicate le liste dei prigionieri sovietici fatti dalle truppe italiane. Incidentalmente rilevo che qui si dubita che realmente, al momento dell'armistizio ci fossero in Italia solo 29 prigionieri russi; essi accusano, senza acrimonia, le autorità italiane, in genere, di non aver preso tutte le misure possibili per assicurare la liberazione di prigionieri sovietici, come ci eravamo impegnati di fare con le stipulazioni di armistizio. Rilevo anche, per conto mio, che quanto V.E. mi dice circa il fatto che prigionieri russi in mano italiana non ce ne erano prima del luglio 1942, sembrerebbe in contraddizione con il foglio dello Stato Maggiore n. 29607 del 9 settembre 1941 (doc. n. 7 del fascicolo suddetto); ma tutto questo non ha importanza per la questione che ci interessa. Il rifiuto di darci le liste dei prigionieri è una forma di punizione retrospettiva, per una violazione delle leggi della guerra a noi attribuita, a torto od a ragione, nel corso della guerra stessa. Ed è purtroppo uno di quei casi in cui i sovietici hanno sempre ragione.

Ho fatto tutto il mio possibile per dimostrare a questo governo l'assurdità di attribuire al governo della nuova Italia le responsabilità di un'azione-il cui stesso valore era dubbio -commessa in ogni caso dal governo fascista: che la punizione poteva essere rivolta contro il governo: in realtà chi ne soffriva erano le famiglie dei prigionieri, ossia della povera gente che nessuna responsabilità aveva o poteva

l Non pubblicato.

avere per quello che aveva fatto il governo: che esse erano le famiglie stesse di quei partigiani italiani che venivano qui tanto lodati. L'atteggiamento sovietico non si è spostato. Tutto quello che sono riuscito ad ottenere è stato:

l) che alle richieste di informazioni individuali venga dato corso, mentre al principio mi era stato negato anche questo;

2) che sarebbero stati aumentati i nominativi annunziati giornalmente dalla radio di Mosca;

3) che la Croce Rossa sovietica avrebbe restituito a me od alla Croce Rossa italiana le lettere indirizzate dall'Italia a prigionieri deceduti con l'annotazione "il tal dei tali non è fra i prigionieri di guerra in U.R.S.S.".

Ai fini pratici mi sembra che questa ultima concessione sia la più importante: ammettendo, come è lecito di fare, che ogni famiglia di disperso scriva al suo congiunto, sulla base delle lettere respinte, sarebbe possibile, in un periodo di tempo ragionevole, fare le liste dei prigionieri. Non mancherò in ogni modo di tornare sull'argomento ad ogni possibile occasione, ma, a meno che il Padre Eterno non intervenga a cambiare la testa ai russi, non ho molte speranze di avere migliore successo che per il passato.

Quanto al trattamento fatto dagli italiani e dalle autorità italiane ai russi in Italia dopo l'armistizio, non ho avuto qui la minima lagnanza, ma piena constatazione di quanto V.E. mi dice. A questo mi si risponde che, quando i prigionieri ci saranno restituiti, noi avremo occasione di persuaderei, con i fatti, di come essi siano stati ben trattati. Su questo argomento, del resto, non ho alcun dubbio: a parte le poche informazioni sicure che ho potuto avere al riguardo, è logico che è nell'interesse di questo governo, per ragioni che V.E. ben comprende, di rimandarli in Italia colla migliore possibile impressione dell'U.R.S.S.

Ciò naturalmente ad eccezione dei fascisti e dei responsabili di atrocità di guerra. Questi in Italia non ci ritorneranno più: alcuni andranno, se non ci sono già andati, al Creatore: gli altri, vita natura) durante, andranno a tagliar legna al Kamciatka o in qualche altra località simile.

2 -Per la verità i russi non hanno mai fatto un nesso diretto fra la questione delle liste e quella delle nostre «atrocità». Sono io che ho rilevato come tutte le volte che ho parlato e parlo dei prigionieri, mi si accenna alla condotta dei militari italiani in Russia: e vi ho accennato come ad una delle possibili ragioni del tono di particolare asprezza che, almeno fino a qualche tempo addietro, le autorità sovietiche adottavano con me nel trattare la questione dei prigionieri. Non ho trovato annessa al telespresso sopracitato la copia delle comunicazioni fatte in proposito dalle autorità competenti. Ho avuto da parte mia informazioni sulla condotta delle truppe italiane in Russia da tre fonti differenti:

l) comunisti italiani; 2) giornalisti stranieri che sono stati sul posto dopo la ritirata del 1942; 3) sudditi sovietici del luogo: principale fra questi il noto scrittore sovietico

Michail Solochov (l'autore del Placido Don) che mi ha parlato a lungo con molta franchezza.

Tutti sono stati concordi nell'affermare che i soldati italiani non solo non si sono resi responsabili di violenze alle donne ma che anzi in molti casi hanno difeso le donne russe dalla violenza tedesca: che, in genere, nei riguardi della popolazione locale si sono comportati bene, certo meglio che tutti quanti gli altri. La scala di «malvagità» dei vari stranieri viene qui unanimamente così stabilita: a) russi bianchi; b) tedeschi; c) rumeni; d) finlandesi; e) ungheresi.

Per quanto riguarda invece il rispetto delle cose, asportazione di viveri e di oggetti d'uso, distruzioni di fabbriche, abitazioni, villaggi intieri, per ragioni più

o meno connesse collo stato di guerra, tutti sono concordi nel dire che gli italiani si sono comportati, sì, meglio dei tedeschi, ma che hanno fatto anche loro la loro parte.

I comunisti italiani mi hanno detto -non so quanto questo sia esatto -, a loro giustificazione, che le truppe italiane non ricevevano praticamente razioni ed erano quindi obbligate a vivere sul paese. Mi hanno detto anche che le distruzioni venivano effettuate per ordine del Comando Supremo tedesco, ordine a cui le truppe italiane non potevano sottrarsi. Debbo però aggiungere che, secondo la teoria sostenuta dal governo sovietico, e, a quanto mi risulta, accettata dalla Commissione interalleata di Londra, l'ordine superiore non è ammesso quale giustificazione per i colpevoli di danni di guerra. Casi individuali evidentemente ce ne sono stati; mi è stato, ad esempio, citato il caso di un reparto di camice nere che ha issato bandiera bianca ed ha poi ucciso il colonnello russo che era venuto a trattare la resa. Ma casi del genere sono inevitabili. Al commissariato degli Esteri mi è stato detto espressamente, se ben ricordo, nel settembre scorso, che su richiesta personale del conte Sforza gli era stato rimesso da codesto ambasciatore sovietico un esemplare del resoconto della Commissione di inchiesta sovietica concernente le truppe italiane.

Nella conversazione di cui è oggetto il mio telegramma n. 79 del 17 dicembre 1944, essendo Dekanozov tornato sull'argomento delle atrocità, ho chiesto che un esemplare del resoconto stesso mi fosse comunicato per informazione del governo; mi è stato risposto con molto poca buona grazia «Sarebbe stato dovere del governo italiano, come prima cosa, informarsi di come si erano comportati i soldati italiani in Russia: il governo italiano non se n'è mai occupato; la richiesta è stata fatta a titolo personale dal conte Sforza. Il governo italiano, se si interessa veramente alla questione, non ha che chiedere informazioni al conte Sforza che ha tutti i dati a sua disposizione».

Se è esatto quanto mi hanno detto i russi, non sarebbe male chiedere al conte Sforza questo resoconto, vedere di che cosa ci si accusa, e se ci sono dei responsabili attualmente in Italia, procedere contro di loro in modo esemplare. Altrimenti i russi ce li richiederanno, dovremo consegnarli e sarà tanto peggio per loro: agendo di nostra iniziativa, invece, potremmo almeno averne un vantaggio morale.

Comprendo perfettamente, da parte delle nostre autorità militari, il desiderio di volere difendere l'onore del soldato italiano; ma, nella nostra situazione, ritengo sia molto meglio volere ammettere quello che è, ed agire in conseguenza. Avverto, in ogni modo, che la maniera con cui noi agiremo in proposito avrà ripercussioni importanti e non soltanto sulla sorte dei nostri prigionieri: si tratta di questione, agli occhi di questo governo, molto seria.

3 -In un mio precedente rapporto ho espresso l'ipotesi che questa connessione tra atrocità e prigionieri di guerra fosse il preludio ad una richiesta di indennità di guerra da parte sovietica e che essi intendano tenere i nostri prigionieri qui come garanzia per tale pagamento. Mettendo insieme accenni fattimi da varie parti, sarei piuttosto portato alla conclusione che la non restituzione dei prigionieri di guerra italiani sia effetto anche di una politica concordata fra alleati. Il trattato di pace evidentemente importerà per noi clausole non gradite, concernenti cessioni territoriali, colonie, indennità di guerra, flotta sia militare che mercantile, limitazioni di armamento etc.: siccome si prevedono resistenze alla sua accettazione da parte del futuro parlamento italiano, in alcuni circoli alleati sarebbe fino ad ora prevalso il concetto di conservare i prigionieri italiani in mano alleata, come mezzo efficace di pressione sul governo e sull'opinione pubblica italiana. Non so quale valore si possa dare a queste mie informazioni per quanto concerne l'Inghilterra e l'America. Per quanto concerne questo Paese rilevo che, effettivamente, tutte le volte che ho accennato qui alla possibilità di un atto di generosità verso i prigionieri, mi è stato costantemente risposto che la questione doveva essere trattata di concerto fra alleati. Per quanto riguarda la richiesta di un'indennità di guerra per i danni causati dalle nostre truppe, sarei sorpreso assai di essermi sbagliato nelle mie previsioni.

4 -Posso assicurare V.E. che non mancherò di insistere sulla questione delle liste dei prigionieri, sebbene gli argomenti fornitimi da V.E. poco valgano contro il concetto della «punizione», che si fa appunto risalire alla nostra mancanza di reciprocità, per il periodo anteriore al nostro armistizio.

Altro ostacolo grave è costituito dalla mentalità di questa gente che è abituata a tutt'altra concezione dei rapporti umani. Qui non si sono mai occupati dei loro prigionieri, non hanno mai chiesto liste, non hanno mai cercato di assicurare loro corrispondenza, pacchi etc. Anche adesso, agli anglo-americani non si domandano liste, si domanda di averli indietro. Nell'esercito sovietico, salvo che per i generali, non si comunica alla famiglia che il proprio congiunto è morto: la gente si sbrighi da sè: l'evacuazione ha disperso la popolazione dell'Unione ai quattro canti del Paese; non c'è qui nessuno che si incarichi di fare delle ricerche, di rimettere insieme la famiglia; che la gente si ricerchi da sè. Dalla guerra, posta e telegrafo interni, per i privati, hanno praticamente cessato di funzionare: in fondo nessuno se ne meraviglia; sono tanti anni che sono abituati a vivere così. Il mistero che circonda i nostri prigionieri non è certo maggiore del mistero che circonda qui qualsiasi piccola cosa.

Con questa mentalità dura e spietata, aliena da ogni sentimentalità ritenuta inutile, la nostra ansietà di avere notizie non è capita. Non si vogliono rendere conto di che cosa significa per le famiglie questa incertezza. Ho anche detto, varie volte, ed in termini ben chiari, che questo atteggiamento che in Italia nessuno capisce, nè tanto meno giustifica, può portare ad un radicale cambiamento dell'opinione pubblica italiana verso l'Unione Sovietica. Fra prigionieri e « liberati», sono milioni di italiani che questa durezza sovietica colpisce. Ma è come parlare al muro, non lo capiscono e non lo vogliono capire.

Se questo può essere per noi una consolazione, credo necessario aggiungere che, per tutto quanto di analogo li concerne, gli alleati non sono trattati qui molto meglio di noi ex nemici.

188

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 2534/147. Roma, 12 maggio 1945, ore 11.

Con telegramma 1461 le trasmetto il testo delle istruzioni che ho dato oggi agli ambasciatori a Londra e a Washington.

Ella voglia, la prego, sulla base di quel telegramma, fare costà una esposizione obiettiva e pacata della situazione e del nostro atteggiamento. Avverta che non è nostro proposito sollecitare dal governo sovietico prese di posizione, ma soltanto amichevolmente informarlo affinché esso abbia a disposizione tutti gli elementi che valgano per una esatta valutazione e giudizio. È comunque chiaro che dopo la magnifica insurrezione delle nostre provincie settentrionali contro i tedeschi e la rapida liquidazione dei capi fascisti, la nuova Italia democratica ritiene di aver diritto ad essere almeno meglio compresa, soprattutto per quanto concerne la sua decisa avversione ad ogni politica nazionalistica e il suo parallelo desiderio di stabilire rapporti di amicizia ma veramente durevoli e consistenti e cioè non basati su colpi di mano e di forza, in primo luogo coi suoi vicini.

189

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 3n66 (Charles) 767 (Kirk). Roma, 12 maggio 1945.

Mi riferisco alla lettera n. l /504 del 12 settembre u.s. 2 , con cui il marchese Visconti Venosta attirava la sua attenzione sulla questione della partecipazione italiana all'armistizio che il Comando Supremo alleato avrebbe imposto alla Germania a nome delle Nazioni Unite.

Dalle notizie apparse sulla stampa, sembrerebbe che gli atti stipulati nei giorni scorsi tra Alto Comando alleato e Alto Comando tedesco abbiano principalmente il carattere di strumenti militari di resa; ci tornerebbe tuttavia gradito avere in proposito maggiori precisazioni. Ci importerebbe soprattutto avere l'assicurazione che essi stabiliscono anche la cessazione delle ostilità tra l'Italia e la Germania.

Inoltre se essi sono stati o dovranno, come pare, essere sostituiti o completati con altri documenti, mi sembra indubbio che tali documenti debbano essere stipulati anche a nostro nome e che le relative disposizioni si applichino anche in nostro favore.

l Vedi D. 184, nota l. 2 Vedi serie decima, vol. I, D. 400.

Sarebbe assurdo pensare che, mentre le ostilità sono cessate da parte di tutte le Nazioni Unite, esse non lo siano anche da parte nostra, per mancanza di un atto che ponga giuridicamente fine allo stato di guerra da noi esplicitamente dichiarato il 13 ottobre 1943.

Mentre le sarei grato se volesse farmi pervenire un cenno di assicurazione in merito a questa questione, cui il R. governo attribuisce un particolare valore per ragioni non soltanto giuridiche, la pregherei di comunicarmi quale sia, secondo il governo del Regno Unito (degli Stati Uniti), la forma migliore per sancire la nostra partecipazione alle stipulazioni di cui trattasi, stipulazioni di cui sarebbe nostro desiderio ricevere a suo tempo il testo in via ufficiale 1•

190

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO 395. Roma, 12 maggio 1945.

Con precedente appunto del 15 novembre 19442 è stato riassunto -ed esposto in maniera puramente fotografica -quanto risulta sinora a questo ministero (informazioni da Londra, da Washington, da Mosca, opinione dei partiti italiani, ecc.) in merito alla questione concernente una nostra eventuale partecipazione alla guerra contro il Giappone.

Con particolare riguardo era stato, in detto appunto, messo in evidenza l'atteggiamento delle Potenze occidentali di fronte a tale eventualità.

Nell'unito appunto l'ufficio VI di questa direzione generale Affari Politici ha ora cercato di lumeggiare, sulla scorta degli elementi, necessariamente ridotti, in nostro possesso, l'aspetto della questione considerata dal punto di vista dei nostri e degli altrui interessi in Estremo Oriente.

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO SESTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ASSETTATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 8 maggio 1945.

L'ambasciatore Tarchiani ha più volte messo in rilievo le favorevoli ripercussioni che una nostra attiva partecipazione alla guerra contro il Giappone avrebbe nell'opinione pubblica statunitense. È tale infatti l'importanza che i problemi d'Estremo Oriente hanno nelle prospettive belliche e politiche della grande nazione americana che una nostra iniziativa in

' Per la risposta vedi D. 219. 2 Non pubblicato.

tal senso sembra idonea ad acquistarci in quel paese le più vive simpatie. Per una valutazione completa della questione appare tuttavia necessario esaminarla anche sotto l'aspetto che si potrebbe chiamare «dall'altro lato del Pacifico», inteso cioè a lumeggiare la situazione di fatto, militare e politica, esistente attualmente e potenzialmente in Estremo Oriente e le possibili ripercussioni che -per quanto riguarda i nostri interessi -potrebbe avere la nostra partecipazione alla guerra antinipponica. Questo appunto non pretende certo esaurire una trattazione che è molto complessa, ma solo mettere in rilievo qualche dato più essenziale.

Occorre forse premettere che da quando Cina e Giappone furono nel secolo scorso aperti alla penetrazione politico-commerciale e alle competizioni delle potenze occidentali, la nostra posizione, pur rimanendo sempre quella di ultima tra le grandi potenze, poté sempre conservare un indiscusso e riconosciuto livello di decoro e di dignità. La mancanza, da parte nostra, di quegli atti d'imperio e di violenza che hanno caratterizzato l'azione dell'Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti ha generalmente risparmiato al nostro paese sentimenti di avversione o di animosità. Partecipammo -è vero -alla guerra dei boxers e riuscimmo ad ottenere nel successivo trattato di pace la concessione di Tien-T sin, ma ciò costituì solo un episodio secondario di una situazione ben più vasta condotta dalle maggiori potenze mentre -d'altra parte -le nostre navi da guerra non effettuarono mai bombardamenti intimidatori in Cina e in Giappone, non fummo mai coinvolti in guerre isolate con la Cina, non sottraemmo mai a questo paese territori di diretto dominio o ad esso pertinenti.

L'Italia fu presente in Estremo Oriente con la sua concessione, che fu da tutti riconosciuta come un modello di amministrazione, con i suoi apprezzatissimi tecnici, con le sue linee di navigazione, le migliori di tutte, con i suoi valorosi e spesso eroici missionari.

Considerando ora la situazione estremo-orientale nella quale interverrebbe la nostra partecipazione bellica e le reazioni che potrebbero presumibilmente attendersi da questa nostra decisione, si può notare quanto segue:

l) Russia. Le indicazioni che si hanno in materia fanno ritenere che l'Unione Sovietica sia contraria ad una nostra partecipazione alla guerra contro il Giappone, e se ne intuiscono i motivi. La Russia, che con la denunzia del trattato nippo-sovietico ha postulato in chiari termini la sua intenzione di prendere parte attiva e dirigente al riordinamento dell'Asia Orientale, non può vedere con favore l'intervento -sia pure modesto -di una nazione europea, le cui forze si muoverebbero sotto il controllo e nell'ambito delle forze anglo-americane, cioè delle forze di quei paesi che si delineano come i grandi concorrenti dell'influenza sovietica in Estremo Oriente. Con la cessazione delle ostilità in Europa la guerra nel Pacifico sta per entrare nella sua fase culminante e già da questo momento si viene rivelando in tutta la sua portata il contrasto esistente tra le aspirazioni sovietiche e gli interessi anglo-sassoni, le prime intese a recuperare il terreno perduto negli ultimi decenni, i secondi intesi a stabilire una solida influenza su Cina e Giappone.

2) Giappone. Se la guerra in Estremo Oriente dovesse condurre a un definitivo annientamento della potenza e dell'influenza del Giappone tra Asia e Pacifico, potrebbe essere irrilevante preoccuparsi delle ripercussioni che un nostro intervento contro il Giappone avrebbe in questo paese. Ma non è affatto sicuro che il Giappone verrà eliminato dall'Asia allo stesso modo in cui -per un certo periodo di tempo -la Germania sarà eliminata dall'Europa.

A questo riguardo si deve anzitutto notare che da qualche tempo personalità militari e giornalistiche d'Inghilterra e d'America segnalano con crescente frequenza le difficoltà che le Nazioni Unite dovranno superare per battere definitivamente il Giappone nel suo terreno continentale e nella Cina settentrionale. Sono note le dichiarazioni fatte al riguardo dal generale Stillwell e ricordate anche in un recente articolo del New York Herald Tribune del 17 aprile. Nello stesso ordine di idee, il settimanale britannico (di sinistra) Tribune, in un articolo del 13 aprile intitolato «The new set up in Japan», ha svolto questi concetti: l) la situazione militare e politica del Giappone è meno disperata di quanto possa apparire; 2) la prosecuzione della guerra contro il Giappone e l'invasione delle isole propriamente nipponiche impone gravissimi problemi di produzione, di trasporto e d'impiego; 3) l'attuale capo del governo nipponico, ammiraglio Suzuki, che è amico personale del sottosegretario Grew e che nel 1936 sfuggì di poco all'assassinio per opera dei militaristi di destra, è l'uomo più adatto a parlare con gli alleati e concordare un'eventuale resa del suo paese. E l'articolo conclude affermando che in questi momenti gli alti circoli di Washington stanno appunto discutendo «se convenga alla politica americana di raggiungere il proprio scopo con una guerra combattuta fino al diretto controllo militare del Giappone o invece attraverso trattative di resa».

È evidente che queste riconsiderazioni del problema nipponico sono in funzione degli sviluppi della situazione politico-militare generale e dimostrano soltanto che nuovi elementi di giudizio possono anche modificare, col tempo, l'iniziale impostazione anglo-sassone della guerra del Giappone. Comunque sembra opportuno tenerle presenti nell'esaminare l'opportunità di nostro intervento in guerra, poiché se questo dovesse prodursi in un'atmosfera e in una situazione politica diverse da quelle nelle quali fu concepito, vedrebbe alterate le sue premesse e le sue prospettive.

Non occorre infine sottovalutare il forte risentimento che l'opinione nipponica conserverebbe verso l'Italia, anche a guerra finita. È superfluo ricordare qui il fanatico attaccamento del popolo giapponese alla sua terra e l'estrema sua sensibilità in tutto ciò che attiene ai rapporti con lo straniero. Esso non perdonerebbe facilmente all'Italia di avere rivolto le armi contro un suo ex-alleato nel momento del maggior pericolo.

3) Cina. Malgrado il suo teorico inserimento fra le grandi potenze direttrici di questa guerra c della futura pace, è ben noto quali siano di fatto le condizioni di quest'immenso ma disunito e disorganizzato paese. Tra un dittatore quale Chang Kai-Shek ed il regime comunista delle provincie settentrionali, la Cina presenta un complesso di incognite politiche militari ed economiche che preoccupa vivamente l'opinione anglo-americana. La Cina servì infatti egregiamente -in un primo tempo -a stroncare ed insabbiare l'impeto giapponese con le sue elastiche forze di resistenza, ma nel momento in cui la strategia anti-nipponica degli alleati deve risolvere l'ultimo e definitivo problema, cioè quello offensivo, questo paese appare, sotto molti riguardi, come un fattore di debolezza e, soprattutto, un pericoloso terreno di contrasto tra anglo-sassoni e sovietici. Forse più ancora che non in Germania e certamente più che non in Giappone, è proprio in Cina che la rivalità tra i due grandi imperi d'oriente e d'occidente potrà accentuarsi con gli sviluppi politici e militari della situazione. Le tracce di queste preoccupazioni sono diventate ormai sensibili nella stampa anglo-americana.

Così, ad esempio, in un articolo di Samuel Subeil del 31 marzo u.s., il Saturday Evening Post, dopo aver messo in rilievo che il Giappone, installato da 8 anni nella Cina settentrionale potrà opporre una resistenza lunga ed accanita, afferma che il permanere della discordia tra Chang Kai-Shek e i comunisti potrebbe condurre ad una aperta rivalità tra gli anglo-americani che sostengono il primo e i russi che sostengono i secondi. «Se i sovietici intervengono -scrive il giornale -i primi cinesi nei quali si imbatteranno saranno i cinesi comunisti, i quali hanno un proprio governo nelle provincie settentrionali, con i loro soldati e la loro moneta. La Russia sarà tentata di armare ed arruolare questi rossi cinesi ed anche di sostenere la loro causa a guerra finita. Vi sono cioè tutti gli elementi di un'altra storia come quella di Tito in Jugoslavia», e conclude: «Ciò potrebbe non solo rovinare le prospettive della pace in Estremo Oriente ma anche la nostra cooperazione con la Russia in Europa». E nello scrivere queste parole l'articolista e il lettore anglo-sassone pensano senza dubbio alle aspirazioni sovietiche sulla Manciuria, sulla Mongolia interna e, forse, sulla stessa Corea.

L'ambasciatore Tarchiani ritiene giustamente che la nostra dichiarazione di guerra non dovrebbe rimanere un gesto puramente formale ma estrinsecarsi in una concreta, effettiva partecipazione armata al conflitto d'Estremo Oriente. In pratica, la nostra marina dovrebbe avervi una parte preponderante. E ciò comporterebbe nuovi sacrifizi e quindi un ulteriore indebolimento militare proprio in quel settore delle nostre forze armate che meglio ha potuto finora preservarsi per le future necessità del Paese. Anche da questo punto di vista sembrerebbe perciò opportuno che -se intervento dovesse esserci -esso debba avere il suo compenso in qualcosa di più che non in generici affidamenti o in speranze di maggiori simpatie. Benché non ancora sciolta dai lacci dell'armistizio e della cobelligeranza, l'Italia, ora liberata anche per virtù dei suoi figli, può chiedere che una sua eventuale partecipazione alla guerra d'Estremo Oriente non sia considerata come un favore concessole ma come un atto di sua meditata volontà, produttore quindi di diritti oltre che di doveri, entrambi lealmente e fermamente assunti.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2556/101 (Washington) 149 (Londra). Roma, 13 maggio 1945.

Maresciallo Alexander, cui Capo Stato Maggiore è stato, come lei sa, in questi giorni a Belgrado, assicura che conversazioni intercorse in questa occasione con Tito, hanno avuto carattere soltanto e strettamente militare. Ha aggiunto che questione ormai ha superato la sua competenza ed è stata devoluta ai supremi organi politici rispettivamente a Londra e Washington. È dunque più che mai urgente e più che mai necessario che l'E.V. cerchi di condurre ogni possibile azione costì secondo le direttive che le sono ormai note e precisamente:

. l -evitare che si discuta circa l'assegnazione definitiva di zone che fanno parte del territorio nazionale e rinvio di ogni decisione al riguardo al momento delle trattative di pace;

2 -insistere sulla necessità che l'amministrazione provvisoria della Venezia Giulia sia, entro i confini del 1939, affidatà a organismi come, a termini dell'armistizio, è avvenuto nelle altre regioni d'Italia, che diano piena ed effettiva garanzia di una ordinata convivenza delle popolazioni.

Moltiplichi ogni suo possibile sforzo in questo senso.

Aggiungo e la prego di darne notizia costì che la situazione si è localmente aggravata in questi ultimi giorni. Il regime di terrore si appesantisce. Quattromila persone sono scomparse da Gorizia. 700 ~arebbero state fucilate a Trieste. Partigiani jugoslavi, cui difficilmente si può attribuire il carattere di truppe organizzate, hanno varcato anche la linea dell'Isonzo. Le truppe anglo-americane assistono per ora passivamente.

Ripeta che questione Venezia Giulia e avvenimenti in corso incidono profondamente sulla situazione interna italiana, che attraversa oggi una fase particolarmente delicata e la turbano e complicano in modo grave.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 13 maggio 1945.

l. Il criterio da noi sin'ora seguito nella questione della Venezia Giulia è stato ispirato al concetto che, in armonia con le assicurazioni a suo tempo dateci, la regione sarebbe stata totalmente occupata ed amministrata dagli Alleati. Ne conseguivano due illazioni: a) che il tempo «lavorasse per noi», nel senso che il problema, !ungi da esser compromesso da fatti compiuti, avrebbe potuto esser risolto in un clima di relativa serenità, al di fuori di contrasti politici interni o internazionali, e dando all'Italia la maniera di far valere le sue molte ed ottime ragioni; b) che per questo stesso motivo convenisse astenersi dal prospettare, anche indirettamente, soluzioni di compromesso che, ponendoci senz'altro sulla via della rinuncia, avrebbero privato noi, e dato invece ai jugoslavi, possibilità di manovre tattiche.

2. -Negli ultimi giorni sono state radicalmente sconvolte le premesse di un simile ragionamento. Non solo l'occupazione e l'amministrazione alleata non hanno avuto luogo, ma è ormai da ritenersi conclusivamente che esse non ci saranno se non in misura limitatissima, sia geograficamente che materialmente. I motivi interessano sino a un certo punto; la constatazione è inequivocabile, ed è quella dalla quale occorre oramai trarre le necessarie conseguenze. Le quali sono che, salvo imprevedibili imprevisti, il «tempo oramai lavora contro di noi». Sia perché l'amministrazione jugoslava riuscirà certo a modificare rapidamente l'aspetto esterno (scritte, lingua), la struttura politico-sociale (smantellamento della classe media), i sentimenti (timori di rappresaglie, senso di sfiducia, scoraggiamenti), e la stessa composizione etnica della regione (uccisioni, deportazioni, immigrazioni in massa di slavi); sia perché il volgere del tempo, esasperando attraverso il fatto compiuto i sentimenti ed appetiti nazionalistici jugoslavi, i motivi di prestigio di Tito ed i fattori di politica internazionale che hanno provocato l'attuale situazione renderanno tanto più difficile agli Alleati fare domani quello che non sono riusciti (o, peggio, non hanno voluto?) fare oggi. 3. -Un aspetto della questione cui non è stata forse data in questi giorni sufficiente attenzione, è che l'occupazione jugoslava ha tutte le caratteristiche di una assunzione di vera e propria sovranità; la pratica esecuzione, cioè, di quella «annessione» formale proclamata nel novembre 1943 dal cosidetto governo di liberazione jugoslavo. Così la cosidetta «leva in massa», la costituzione di un nuovo «governo», e le altre infinite misure già attuate o di prossima sicura attuazione che superano di gran lunga le attribuzioni di una forza militare occupante e solo possono competere ad uno Stato sovrano. 4. -In queste circostanze conviene che si riesamini la nostra linea di condotta: sostituendo alla previa tattica temporeggiatrice un'azione positiva e immediata, atta ad evitare ad ogni costo che si cristallizzi o, peggio, vada progressivamente deteriorando -una situazione a noi così sfavorevole. Possono tra l'altro esaminarsi le seguenti ipotesi:

a) prender oramai l'iniziativa presso gli alleati di una formale proposta conciliativa, quale potrebbe essere quella basata «in principio» sulla cosidetta linea Wilson. Essa potrebbe, facendo balenare la prospettiva di una soluzione pacifica -quale è da ritenere che gli Alleati desiderino, anche per tirar se stessi dall'imbarazzo -valere a mobilitare a nostro favore l'opinione pubblica anglo-americana, e, forse anche francese. Consentirebbe di superare il punto morto in cui si è giunti, darebbe una prova tangibile della nostra buona volontà, metterebbe in moto un negoziato che altrimenti rischia di non aver mai luogo, permetterebbe di svolgere attorno ad una tesi concreta una utile azione diplomatica per interessare alla cosa una serie di paesi a noi tendenzialmente favorevoli (America latina). Ci permetterebbe oltre tutto di far valere i sostanziali argomenti a favore della italianità della regione (composizione etnica, lingua, interessi economici) prima che questi vengano progressivamente eliminati di fatto dai jugoslavi. La «linea Wilson» ha il vantaggio di esser stata proposta, come soluzione salomonica, da un presidente democratico degli Stati Uniti; di esser stata trovata ottima dai governi britannico e francese, e accettabilissima dal governo jugoslavo di allora. Vi è ampio margine, quindi per una buona «propaganda».

b) fare un passo formale presso i governi alleati per provocarne una inequivocabile presa di posizione. I casi sono due: o essi riconoscono l'annessione proclamata dal governo di liberazione jugoslavo nel 1943, e allora ci regoleremo di conseguenza; oppure non la riconoscono ed allora debbono· provvedere per lo meno ad una qualche forma di amministrazione mista, e sconfessare pubblicamente quelle misure che i jugoslavi vanno applicando in quanto si considerano autorità sovrana. Ma che ci dicano chiaramente qual'è il loro punto di vista. Anche la semplice e nuda conferma che la questione può solo esser decisa in sede di trattative di pace, potrebbe esserci utile per l'avvenire.

(La stampa di stamane riporta le dichiarazioni che avrebbe fatto ieri il sottosegretario di Stato americano Grew nel senso che «la città di Trieste resterà sotto il controllo delle forze alleate sino al trattato definitivo di pace che dovrà decidere sulla sorte della città» 1• Ma anzitutto è bene sapere cosa si intende per Trieste. Ancor più non è possibile riconoscere l'esistenza di una distinzione giuridica oltre che di fatto, tra Trieste ed il resto della Venezia Giulia: riconoscendo come definitiva l'annessione jugoslava per una parte ma non per l'altra; e stabilendo che solo per Trieste debba attendersi la decisione dei trattati di pace.

5. Da parte degli ambienti giuliani -profondamente avviliti -si insiste intanto sui seguenti punti:

a) che il governo faccia un qualche gesto solenne di solidarietà nazionale a favore della Venezia Giulia. C'è chi arriva a suggerire che si sforzi la mano degli alleati con una minaccia di dimissioni collettive motivata dal fatto che nessun governo si. sente di assumersi la corresponsabilità dell'attuale stato di incertezza e di impotenza. Ma che altrimenti si lancino pubbliche sottoscrizioni, si facciano pubbliche dichiarazioni, insomma qualcosa di inequivocabile.

b) che sopratutto il governo esamini realisticamente la situazione e prenda una posizione precisa; se esso intende ad ogni costo e sino alle estreme conseguenze lottare per l'italianità della regione o una parte di essa, lo dica e lo faccia sapere ai giuliani, che si trovano assolutamente senza alcuna guida e si sentono completamente abbandonati: essi sapranno compiere il loro dovere ancora una volta. Altrimenti che il governo dica loro non meno chiaramente che la causa è perduta, o che esso non intende o non può far niente; ciò risparmierà almeno inutili illusioni ed inutili nuove vittime e nuovi dolori.

I Le dichiarazioni di Grew del 12 maggio sono edite in United States and Italy, cit., pp. 153-154. Esse furono comunicate da Kirk a Bonomi con L. personale del 13 maggio, non pubblicata.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 226/52. Mosca, 13 maggio 1945 (per. il 2 giugno).

Mi riferisco al mio rapporto n. 138/12 del 23 aprile u.s. 1•

Ho avuto ancora occasione di parlare con Vyshinsky e con Dekanozov nel senso del telegramma di V.E. n. 113 del 12 aprile u.s. 2• Ho ripetuto loro il passo da me fatto presso questo incaricato d'affari di Jugoslavia, aggiungendo che, a quanto mi risultava, passo analogo era stato fatto dall'ambasciatore a Londra. A Vyshinsky ho aggiunto che se il governo sovietico riteneva il nostro punto di vista rispondente alle necessità di una vera pacificazione dell'Europa, e se credeva di esercitare la sua influenza a Belgrado, nel senso di facilitare una ripresa dei nostri rapporti diretti colla Jugoslavia, il governo italiano gliene sarebbe senza dubbio grato. Mi ha espreso, in termini vaghi, il suo compiacimento per le buone intenzioni del governo italiano: quanto alla ripresa dei rapporti, era, naturalmente una questione che riguardava soprattutto il governo jugoslavo: in ogni modo, il governo sovietico avrebbe considerato cosa poteva fare. Personalmente dubito assai che il governo sovietico faccia qualche cosa.

Circa il fondo della questione delle nostre frontiere, al Narkomindiel si continua a rifiutare di entrare in argomento. Le mie informazioni provengono da diplomatici «amici» e da giornalisti stranieri di estrema sinistra, che meglio degli altri riflettono il pensiero di questo governo e che ~ come ho avuto occasione di verificare ~ riferiscono in alto luogo quello che io dico loro.

La stampa sovietica continua a mantenere il silenzio sulla questione: ha tuttavia cominciato a svelare prudentemente le sue batterie. La notizia della presa di Trieste da parte delle truppe jugoslave è stata così riportata: «La guerra in Jugoslavia, Trieste, Pola, Fiume occupate dall'esercito jugoslavo». Poi, in piccolo, è stato aggiunto che anche le truppe neo-zelandesi erano entrate a Trieste ed avevano trovata la città già occupata dai jugoslavi.

Non ho dubbio che quanto ho riferito aii'E.V. col mio telegramma n. 146-151 3 corrisponde alla verità. Se i russi non si pronunciano è perché non sono sicuri dell'atteggiamento anglo-americano, e, in un momento in cui c'è tanta carne al fuoco, non vogliono tirare fuori una nuova questione.

La situazione~ per quanto concerne la Russia~ è questa: la Russia sostiene al l 00% le rivendicazioni jugoslave ai nostri confini orientali, e, se un giorno dovesse cedere, in parte, lo farà solo di fronte ad una precisa opposizione anglo-americana. Nei miei precedenti rapporti e telegrammi, ho attirato l'attenzione dell'E.V. sul momento «slavo» della questione, elemento importantissimo non solo perché elemento fondamentale della politica europea della Russia, ma anche perché profondamente sentito dal popolo russo.

l Vedi D. 143. 2 Vedi D. 122. 3 Vedi D. 165.

Ma non va dimenticato un altro elemento fondamentale della politica russa per quanto ci riguarda: il desiderio di eliminare l'Italia dalla politica balcanica e centro-europea. La Russia sovietica continua la politica della Russia zarista: se ciò è stato sempre vero, ciò lo è tanto più in un momento in cui prevalgono qui forze e tendenze nazionalistiche. L'U.R.S.S. è arrivata con una guerra vittoriosa a realizzare quello che era stato il sogno della Russia imperiale: estendere la sua influenza politica e militare su quasi tutta la penisola balcanica e su quasi tutto l'ex Impero austro-ungarico. E, logicamente, tende ad escludere, da questa sua zona d'influenza, ogni ingerenza straniera. Lo sta facendo anche nei riguardi dell'influenza degli inglesi, degli americani e dei francesi, e lo fa anche senza troppi complimenti; ma questi, specialmente i primi due, hanno dei mezzi per difendersi. Intanto, in ogni evenienza, è bene provvedere ad eliminare ogni possibile influenza italiana avvenire, sia che essa debba lavorare per conto proprio, sia che essa possa funzionare per conto degli altri. Trieste, a parte il suo valore sentimentale per gli italiani, è precisamente la porta dell'influenza economica, e quindi politica, dell'Italia nei Balcani e più ancora nell'Europa centrale: è per questo che essa deve passare in mani sicure.

Nel periodo anteriore al 1914 c'è stato qualche tentativo di cooperazione italo-russa nei Balcani, in funzione anti-austriaca: ma si trattava di una coincidenza temporanea, prova ne sia l'atteggiamento della Russia verso di noi, sia in occasione dei negoziati del Patto di Londra che poi. L'U.R.S.S. assume oggi la posizione che avrebbe assunto verso di noi l'antica Russia nel 1919, se essa fosse stata vincitrice: con l'aggravante per noi che oggi non siamo più garantiti dal Patto di Londra, e siamo una Nazione vinta. Dal 1919 alla nostra sconfitta, la politica italiana nei Balcani e nell'Europa centrale è stata anti-slava: avendo vinto la guerra anche contro di noi, la Russia vuole garantirsi di non incontrare più sul suo cammino l'Italia: promesse di buona condotta da parte nostra, quante ne vogliamo: qui si preferiscono i fatti. Il giorno, se esso verrà mai, che i russi si decidessero a parlare chiaro con noi, il discorso che ci faranno è questo: politica di amicizia, di collaborazione con l'Italia, siamo pronti a farla, siamo pronti a dimenticare tutto il passato: da parte nostra, però domandiamo una garanzia formale di non immischiarvi nella nostra politica nei Balcani, e nell'Europa centrale: e questa garanzia formale non può essere per noi che una rinuncia italiana a Trieste, come possesso politico: se volete garanzie che l'italianità, in senso etnico e culturale, di Trieste, nel complesso jugoslavo sia mantenuta, potrete avere tutte le garanzie che volete. Questa è la posizione della Russia, indipendentemente da quello che possa essere il regime politico interno in Italia.

Non ha importanza, per me, l'indagare se sia il nazionalismo jugoslavo a trascinare la Russia su questo terreno. A mio avviso la Jugoslavia, come elemento balcanico chiave della politica russa della «fratellanza slava» fa, colla sua politica di rivendicazione delle frontiere all'Isonzo, la politica della Russia; né più né meno. La nostra offerta di riprendere le relazioni dirette colla Jugoslavia, potrà essere accolta più o meno presto, con più o meno buona grazia, da Belgrado, ma esclusivamente per ragioni di opportunità internazionale. Sostanzialmente essi non ci tengono: appoggiati dalla Russia, convinti di non avere opposizioni decise altrove, si sentono sicuri del fatto loro. Conoscono, loro, troppo bene l'Italia per non rendersi conto che noi, di nostra buona volontà, non cederemo mai Trieste: non

vedono quindi cosa possano guadagnare con dei negoziati diretti. Per questo stesso non credo che la Russia sia disposta ad aiutarci in questa strada.

Non dico che la Russia non preferirebbe un accordo diretto fra noi e la Jugoslavia, ma solo a condizione che l'Italia accetti di buon grado le richieste jugoslave: ne sarebbe certamente contenta, perché leverebbe dal tappeto una questione che potrebbe essere grossa. Ma siccome l'Italia non si dimostra disposta a rinunciare a Trieste, allora qui si preferisce considerare la questione dei nostri confini orientali come una delle questioni relative all'assetto territoriale dell'Europa del dopo-guerra che debbono essere esaminate e decise dai Big Three, o, se si vuole, dai Big Five. Questa è la posizione dei russi e questa è la ragione per cui si rifiutano costantemente di toccare l'argomento con noi. Ammettendo, come ritengo, che l'opinione dei diplomatici «amici» e dei giornalisti di estrema sinistra rispecchi l'opinione del governo sovietico, il governo sovietico apina che non ci sarà, allo stato attuale delle cose, decisa opposizione da parte dell'Inghilterra all'assegnazione di Trieste alla Jugoslavia. Essi ritengono che sostanzialmente la politica inglese e la politica sovietica concordino nell'opportunità di togliere i denti all'Italia sia pure in differenti regioni e con differenti mezzi. Se l'opposizione inglese ci sarà, essa non sarà a fondo, ed esiste sempre con l'Inghilterra una possibilità di «scambio». Si ritiene invece possibile che ci sia opposizione da parte americana: l'America, si ritiene, non sarebbe contraria ad una revisione del confine orientale italiano a favore della Jugoslavia, ma contraria all'assegnazione di Trieste alla Jugoslavia. Da questa possibilità sarebbe venuto il consiglio agli jugoslavi di pensare a «lavorare» l'America. Non so quanto questo apprezzamento delle posizioni inglesi ed americane sia esatto. I russi però non debbono essere sicuri del tutto del fatto loro: se non si sono ancora pronunciati apertamente per una questione, su cui le loro idee sono precise, questo non è perché pensano di dover mutare le loro idee per considerazioni per l'Italia, ma perché non vedono ancora chiara la posizione degli altri due alleati, e non vogliono prendere una posizione da cui poi sarebbe difficile di recedere senza perdita di prestigio, sia all'interno che all'estero.

La situazione quindi, almeno a quanto la si può vedere da qui, è la seguente. Il destino di Trieste non è nelle nostre mani: la sua soluzione dipende esclusivamente dalla decisione dei tre alleati. Allo stato attuale delle cose, non vedo cosa si possa fare, da parte nostra, per mutare l'atteggiamento del governo sovietico. Si può obiettare che questa politica sia in contraddizione con la politica di amicizia verso l'Italia che questo governo ha, a più riprese, dichiarato di voler seguire. Dal punto di vista nostro ci può essere contraddizione, ma da come si vedono le cose qui, contraddizione invece non c'è.

Premessa necessaria per una politica di amicizia colla Russia è la eliminazione di qualsiasi questione che possa essere in discussione fra un determinato paese e la Russia, sia direttamente che indirettamente. Non c'è dubbio, credo, sulla intenzione della Russia di avere buone relazioni col governo di Varsavia: eppure il governo russo non ha voluto fargli delle concessioni sulla questione di Leopoli. Così la Finlandia, per l'amicizia della Russia, ha dovuto cedere una parte del suo territorio, la Romania ha dovuto cedere la Bessarabia, la Cecoslovacchia dovrà cedere la Rutenia subcarpatica e così via. Anzi è dalla maggiore o minore prontezza a fare di queste concessioni che si giudica se un determinato Stato o governo è veramente amico della Russia. Nel caso che ci riguarda, l'acconsentire, da parte nostra, alla cessione di Trieste alla Jugoslavia dovrebbe essere la prova formale che noi abbiamo rinunciato ad ogni velleità di politica anti-slava (e quindi anti-russa), premessa questa, sine qua non, di una politica di amicizia con l'U.R.S.S. In compenso di questa concessione, la Russia può essere da parte sua disposta ad appoggiare reclami territoriali in altra direzione (vedi Polonia e Jugoslavia) o ad aiutare in altri campi. Che questa concezione russa della politica di amicizia possa essere sbagliata, non lo discuto: essa è la conseguenza di tutta una speciale formazione psicologica di questo governo: la dovranno modificare in seguito, se vogliono fare veramente una politica che non sia solo politica di forza: ma non lo faranno se non dopo averci duramente sbattuta la testa. Oggi c'è qui una concezione talmente egocentrica della propria importanza e della propria forza da far considerare che nessun sacrificio è troppo caro per acquistarsi l'amicizia russa. E chi non lo vuoi capire guardi cosa è accaduto alla Germania.

Ho accennato alla convinzione qui esistente che il problema di Trieste non sia sentito dal proletariato italiano ed alla opportunità, se possibile, di provocare una manifestazione chiara di partiti od organizzazioni a cui qui maggiormente si riconosce il diritto di parlare a nome dei lavoratori: per esempio la C.G.L. Questa convinzione effettivamente esiste ed è la logica conseguenza dell'impostazione della questione della nostra guerra e delle nostre frontiere orientali, fra i vari partiti italiani, in un passato ormai lontano: dello stesso legame spirituale, esistito a suo tempo, fra i legionari fiumani ed il fascismo. E siccome essa coincide con i desideri della politica sovietica, si è portati ad accettarla facilmente e sarà difficile sradicarla. Non bisogna esagerare sulla influenza che una manifestazione non equivoca dei sentimenti dei lavoratori italiani può avere sulle direttive della politica sovietica; si potrà sempre obbiettare che la situazione non è stata sufficientemente spiegata al popolo italiano: ma essendo l'unica cosa che può avere qui un minimo d'influenza ho ritenuto opportuno di segnalarla all'E.V.

Data l'impostazione politica della questione di Trieste, resta naturalmente da domandarsi se una nostra politica nettamente orientata verso l'Unione Sovietica, con impegni chiari, messi qui nero su bianco -ci vorrebbe non meno di un patto sul genere di quello jugoslavo che desse ai russi la sicurezza che Trieste in mano italiana servirebbe altrettanto agli scopi della politica europea della Russia, che Trieste in mano jugoslava-non potrebbe modificare l'atteggiamento russo. Forse una certa influenza potrebbe averla: ma, a parte il fatto che noi abbiamo altri affari che quello di Trieste da trattare, si tratta di una politica che, nella situazione di oggi nell'Italia, non è realizzabile.

Tuttavia una politica, da parte nostra, che soprattutto nelle piccole cose oggi per noi sono soprattutto le piccole cose che contano -tenga conto e prontamente di ogni desiderio russo, può costituire un altro elemento a nostro favore. Ma sostanzialmente, e ritengo mio dovere di ripeterlo, la Russia cederà sulla questione di Trieste solo di fronte ad una recisa opposizione anglo-americana: quel poco che ho suggerito di fare, può soltanto, secondo me, facilitare alla Russia l'adattamento alle tesi anglo-americane. Se gli anglo-americani non sono disposti a difendere Trieste, per lo meno con lo stesso accanimento con cui stanno difendendo la loro posizione in Polonia, Trieste, a meno di un miracolo, è perduta.

Per quanto io posso giudicare da qui, la politica adottata da V.E. di rimandare la soluzione della questione, cercando di non invelenirla, è come impostazione l'unica per noi possibile e consigliabile: ammesso che riusciamo a rimandare la soluzione, si tratta di sfruttare questo periodo di respiro per migliorare la nostra situazione che, secondo me, è pessima. È inutile nasconderei il fatto che siamo, generalmente, impopolari. I jugoslavi di qui -e evidentemente anche i russi sono rimasti seccati che il colpo dell'occupazione jugoslava di Trieste non sia riuscito, almeno in pieno; con ciò -speriamo che duri -si è evitato che si crei una situazione di fatto a nostro svantaggio. Prevengo però che di qui si farà tutto il possibile, sotto qualsiasi pretesto, per riuscire a far tornare indietro gli inglesi.

Come impostazione generale della questione -prevengo che io mi baso soltanto su elementi presi dalla nostra stampa -basarci sul Trattato di Rapallo, come su di un trattato liberamente stipulato fra i due Stati, sarebbe sbagliare radicalmente l'impostazione. Il fatto può essere anche esatto: non discuto. ma nell'opinione pubblica anglo-sassone, è rimasta una generale impressione ché, nella questione delle nostre frontiere colla Jugoslavia, dopo l'altra guerra, è stata commessa una ingiustizia che è necessario di riparare: il minimo che noi possiamo fare è di accettare, in linea di massima, il principio della revisione, e cercare di !imitarlo: nel 1919 gli jugoslavi sono riusciti ad apparire vittime: dovremmo fare il possibile per apparire noi adesso le vittime.

In secondo luogo a me sembra inevitabile che noi ci mettiamo sulla linea del plebiscito. Mi rendo perfettamente conto di tutti i rischi e di tutte le incognite di un plebiscito: mi sembra di comprendere che i jugoslavi vi sono contrari: ragione di più per farlo noi. Se non ci mettiamo sul terreno del plebiscito, ci mettiamo su di un terreno che incontrerà certamente favore nell'opinione pubblica anglo-americana, l'unica influenza che ci può garantire da un marchandage segreto fra governi. Se noi lo rifiutiamo, basandoci sui nostri diritti indiscutibili, avremo tutte le ragioni, ma tutti diranno che lo facciamo perché sappiamo che le popolazioni sono contro di noi.

Terzo punto, e secondo me psicologicamente non meno importante, è quello di seccare il meno possibile. La reazione generale, quando si è cominciato a parlare della questione di Trieste, è stata «oh Dio, un'altra grossa questione». Persona tornata recentemente da Londra mi riferiva che un'alta personalità britannica gli aveva detto «l'Italia con le sue questioni colla Jugoslavia è stata la piaga dell'ultima Conferenza della pace: adesso si prepara a fare lo stesso: grazie a Dio questa volta non ha voce in capitolo».

Io non ho idea della disposizione effettiva dell'opinione pubblica anglo-americana al riguardo. Qui posso giudicare soltanto dalle reazioni dei circoli giornalistici e diplomatici. Non dubito, però, che ci sia un diffusa stanchezza per tutte queste questioni che sorgono giornalmente fra alleati e che rendono il cammino della pace sempre più difficile. Dovremmo cercare di fare il possibile perché i jugoslavi, e non noi in questo affare, appaiano i guastafeste. Non è facile, perché -e l'esperienza del 1918 e 1919 ce l'ha mostrato -i jugoslavi la loro propaganda la sanno fare bene ed è innegabile che, oggi, hanno nel mondo, senza parlare di qui, una stampa migliore di noi.

Le sorti di Trieste sono assai gravemente compromesse, è inutile nasconderei la verità. Qui siamo su terreno definitivamente contrario al nostro punto di vista: se in Inghilterra ed in America è possibile ottenere una disposizione più favorevole, allora c solo allora, si potrà tentare qualche azione collaterale su questo governo.

194

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 228/54. Mosca, 13 maggio 1945 (per. il 2 giugno).

Rispondo per corriere al telegramma di V.E. n. 1341 , poiché il nostro accordo con la Polonia è andato avanti necessariamente, a causa della mancanza di comunicazioni segrete con codesto ministero, a forza di sottintesi.

Visto l'atteggiamento del governo sovietico, nell'estate scorsa, in occasione della «liberazione» dei primi italiani dalla prigionia tedesca, ed il sistematico rifiuto di fornire qualsiasi informazione a loro riguardo, mi sono preoccupato di quello che poteva accadere quando, coll'avanzata dell'esercito rosso in Polonia e in Germania, il numero di questi liberati avrebbe assunto maggiori proporzioni.

Premetto che questo silenzio sovietico ha soprattutto valore per le ripercussioni sentimentali che esso ha sulle famiglie che sono in ansia per i loro cari. Non ho mai avuto dubbio che, nei limiti delle possibilità locali, i nostri liberati sarebbero stati trattati bene. Il periodo di delibazione delle circostanze in cui i singoli sono venuti a trovarsi fra i tedeschi, sarà un periodo, certo, non estremamente piacevole; è anche probabile che la definizione di fascisti abbia qui una estensione maggiore che non da noi, ma chi ha passato il giudizio sta bene. È troppo logicamente interesse di questo Paese che quelli che torneranno in Italia riportino la migliore impressione dell'Unione Sovietica.

La mia preoccupazione è un'altra: sia i nostri prigionieri che i nostri liberati lavorano: c'è qui troppa scarsezza di mano d'opera perché vi si rinunci; il Paese colle sue immense possibilità, ha le sue attrazioni: la guerra ha fatto dei vuoti enormi nella popolazione maschile di questo Paese; ci sono donne in abbondanza. Dato che ci vorrà molto tempo perché il rimpatrio dei nostri liberati possa essere organizzato, questa gente comincerà a vagare, a disperdersi ed a fissarsi qui: molti di essi non vorranno tornare perché avranno trovato qui famiglia e lavoro -tra i prigionieri ce ne sono già che hanno moglie e figli -altri andranno dispersi al seguito di differenti lavori nell'immensità del Paese e sarà un problema il ricercarli. Ho presente ancora il dramma che è stato il ricercare gli ex prigionieri austriaci di nazionalità italiana.

Sono venuto quindi alla conclusione che l'unico mezzo per potere limitare la portata di questo inconveniente era quello di cercare di trattenere in Polonia il massimo numero possibile dei nostri liberati: siccome i polacchi, anche se di estrema sinistra, hanno le stesse reazioni sentimentali nostre, sapevo che quando avremmo chiesto ai polacchi liste e notizie, avrrebb~ro capito il nostro sentimento e fatto il possibile per venirci incontro, mentre i russi non lo capiscono.

I T. 2340/134 del 4 maggio, con il quale De Gasperi ribadiva che l'accordo firmato non implicava il riconoscimento del governo polacco.

Per cui ho subito cercato di stabilire rapporti con questa rappresentanza polacca, e, attraverso la rappresentanza, con i vari uomini del governo di Lublino, a mano mano che essi venivano a Mosca. Evidentemente questi contatti non potevano non avere anche un certo colore politico: fino a poco tempo addietro, eccezion fatta dei rappresentanti slavi, eravamo solo il rappresentante francese ed io ad avere dei rapporti con i «reprobi» di Lublino.

Da parte polacca ho incontrata, fin dal primo giorno, la migliore buona volontà di cooperare e di aiutare. Poi è venuta la notizia che il governo italiano aveva ristabilito i rapporti diplomatici col governo polacco di Londra e dell'arrivo di un incaricato d'affari polacco a Roma: nemmeno a farlo apposta si tratta di persona, per i suoi precedenti, particolarmente mal vista sia a Varsavia che a Mosca.

Questo fatto ha molto indispettito i polacchi e, molto più ancora, i russi. Gli altri Paesi avevano già delle relazioni col governo di Londra; era abbastanza logico quindi che continuassero ad averle. Questa ripresa dei rapporti diplomatici, fatta in un momento in cui era già in pieno sviluppo la disputa fra i due governi polacchi e fra Londra e Mosca, è stata interpretata qui, dai russi, come un presa di posizione, da parte nostra, contraria all'U.R.S.S.

Ho avuto occasione di incontrare Molotov, in ottobre, se ben mi ricordo, in occasione di un ricevimento, ed avendogli parlato della riconoscenza del popolo e del governo italiano verso il governo sovietico, Molotov mi ha risposto in forma piuttosto brusca: «<l governo italiano ha una maniera un po' strana di mostrare la sua amicizia verso di noi, ristabilendo proprio adesso i rapporti diplomatici con il governo polacco di Londra». Era il momento in cui ero privo di ogni mezzo di comunicazione con V.E. quindi non potevo avvertire V.E. delle conseguenze e delle ripercussioni di un gesto a cui da parte nostra certamente non si attribuiva particolare significato.

Valendomi di vari argomenti, impossibilità da parte mia di informare V.E. della vera situazione, presenza di truppe polacche in Italia, pressioni inglesi e situazione nostra nei riguardi dell'Inghilterra, sono riuscito a ristabilire la situazione, sufficientemente con i polacchi, molto meno, naturalmente, con i russi. Con suo telegramma n. l del l o gennaio 1945 1 V.E. mi ha chiesto di ottenere il permesso per un delegato italiano, militare o civile, per occuparsi degli italiani in Polonia. Ho risposto a V.E. nella maniera in cui le varie censure me lo permettevano con il mio telegramma n. 5 del 9 gennaio 19452 spiegando la situazione ed esprimendo l'opportunità, nell'interesse dei nostri connazionali, di procedere a qualche forma di riconoscimento del governo, allora di Lublino.

V.E. ha risposto con il telegramma n. 46 del 17 febbraio 3 di cui ad ogni evenienza ripeto il testo:

«Non è stato possibile trasmetterle nostra risposta ai suoi telegrammi n. l e 5. Continuiamo ad insistere presso Alleati perché ci sia consentita cifra segreta che

l T. 2/1, non pubblicato. 2 Vedi D. 35, nota 3. 3 T. 801146.

sola potrà assicurare normale attività diplomatica. Tutto quanto potrà essere fatto da V.E. nello stesso senso costà, sarà vivamente apprezzato. Per quanto concerne argomento specifico suo telegramma, recenti deliberazioni riunione Yalta hanno modificato termini problema ed ella vorrà regolarsi conseguenza, tentando fin d'ora di svolgere ogni possibile utile azione in favore connazionali trovantisi in territorio polacco».

Il telegramma è stato da me interpretato, e spero V.E. ammetterà che era lecito di farlo, nel senso che V.E. non aveva la possibilità di rispondermi perché la censura alleata non le permetteva di far passare un telegramma di istruzioni e che mi dava carta bianca di fare quello che credevo per aiutare i nostri connazionali. Dovevo anche pensare che V.E. era d'accordo con me, sulla opportunità di quel che c'era da fare verso la Polonia e che era appunto questo suo pensiero che non si poteva manifestare attraverso gli anglo-americani. Di questa mia interpretazione del telegramma n. 46 di V.E. ho prevenuto, nella forma che mi era possibile, V.E. col mio telegramma n. 79 dell'Il marzo 1 (penultimo capoverso). Ho però egualmente compreso che bisognava procedere senza dare eccessivo fastidio agli altri alleati.

Ho quindi parlato con questo ambasciatore di Polonia e ci siamo trovati presto d'accordo su quello che praticamente si poteva fare per venire incontro alle necessità presenti degli italiani in Polonia ed eventuali dei polacchi in Italia. Gli ho detto che il governo italiano, che non ha certo pregiudizi di partito, sarebbe stato, per quanto lo concerneva, felicissimo di stabilire rapporti pieni con il governo provvisorio polacco, ma che aveva assunto con gli alleati, in occasione della creazione del ministero Bonomi, l'impegno di non ristabilire relazioni diplomatiche con chicchessia senza il consenso degli alleati; che questo consenso per il governo provvisorio polacco, gli inglesi non ce lo avrebbero mai dato. L'ambasciatore polacco è entrato in questo ordine di idee, lo ha spiegato al suo governo, che lo ha accettato e mi ha proposto la conclusione di un accordo, firmato dai due ambasciatori, dicendomi, e non potevo non convenire: «l'accordo ha uno scopo pratico e umanitario e nessuno dovrebbe avere la possibilità di contestarvi il diritto di concluderlo: d'altra parte lo stesso fatto di concludere un accordo con un governo implica una certa innegabile misura di riconoscimento di fatto, e questo ci basta come nostra soddisfazione: e costituisce una base su cui costruire».

Siamo passati alla redazione dell'accordo di cui ho telegrafato i termini all'E.V. In vista di quello che era accaduto in occasione dei miei telegrammi nn. I e 5, ho voluto prevenirmi contro la possibilità che la censura alleata impedisse a V.E. di rispondermi ed allo stesso tempo, di fronte ad eventuali proteste alleate, mettere

V.E. nella possibilità di scaricare tutta la responsabilità su di me. Di qui la forma insolita ed altrimenti non necessaria dell'ultima parte del mio telegramma n. 952 che era una specie di ultimatum.

l T. 1656n9, non pubblicato. 2 T. 2135!95 del 28 marzo, non pubblicato.

Col mio rapporto n. 160/191 ho riferito a V.E. sul nuovo tentativo polacco di estendere la portata politica dell'accordo.

Nel concordare con questa ambasciata polacca il testo del comunicato (era presente anche il ministro degli esteri) ho ripetuto in tutte lettere che l'accordo non significava riconoscimento del governo provvisorio polacco perché il governo italiano, limitato nella sua libertà d'azione, non era in grado di darlo. Ho anche aggiunto che in vista di eventuali commenti e ripercussioni alla firma dell'accordo stesso, era possibile che il governo italiano avesse dovuto dare una forma e un'interpretazione ancora più restrittiva del significato dell'accordo stesso, e pregavo il governo polacco di non prendersela a male. Il ministro degli esteri mi ha risposto che capiva perfettamente la nostra posizione, e mi ha aggiunto che pregava il governo italiano di non aversela a male se lui nel riferire alla Rada sull'accordo stesso gli avrebbe data un'interpretazione un poco meno restrittiva. Ma mi ha detto ridendo: «Siamo nella situazione di due persone che si vogliono bene, che vorrebbero sposarsi, ma che, per intromissione di terzi, debbono ricorrere a dei sotterfugi e nascondere i loro veri sentimenti»; ed ho naturalmente consentito. Effettivamente la frase usata dal ministro degli esteri polacco alla Rada è stata la seguente: «Abbiamo concluso con l'Italia un accordo per l'assistenza dei polacchi in Italia e degli italiani in Polonia che costituisce il primo filo di una futura collaborazione fra l'Italia democratica e la Polonia democratica».

Prego V.E. di notare che in tutto questo, io ritenevo di procedere secondo il pensiero di V.E., quale espresso fra le righe dei suoi telegrammi e che V.E. avesse ugualmente inteso il mio pensiero pure fra le righe. Però il tenore del telegramma di V.E. n. 134 del 4 maggio, di cui non comprendo bene quanta parte sia diretta a me e quanta a chi legge il telegramma, mi ha fatto nascere il dubbio che fra le righe non ci siamo capiti, ed ho tenuto a mettere in chiaro la situazione.

Come V.E. ha già visto, la figura del futuro delegato ho voluto, deliberatamente, }asciarla elastica. Possiamo }asciarlo come un delegato il quale deve occuparsi esclusivamente della esecuzione dell'accordo, possiamo anche dargli poteri e funzioni più ampie.

Il titolo che avrà il delegato non ha molta importanza, posso sempre giustificarlo, di fronte ai polacchi, come imposto dalle necessità della nostra situazione: quello che importa sono le funzioni che noi intendiamo attribuirgli.

L'accordo è stato concluso in vista di dare ai nostri connazionali liberati il massimo di protezione e di statuto giuridico che nelle circostanze attuali ci era concesso di assicurar loro, abbiamo evidentemente interesse a che il massimo numero possibile di nostri connazionali, in attesa che ne sia possibile il rimpatrio ed alle migliori condizioni possibili restino in Polonia. Anche i polacchi non sono completamente padroni in casa loro; per quanto concerne questi nostri prigionieri debbono tener conto anche delle disposizioni dei russi: ora è evidente che quanto più il nostro delegato si avvicinerà ad un riconoscimento di fatto -il riconoscimento di diritto è naturalmente fuori questione-tanto più russi e polacchi saranno soddisfatti, e tanto più i nostri connazionali saranno in grado di beneficiare dell'accordo, in tutti i sensi.

l Vedi D. 154.

Ma questo non è tutto: l) noi avevamo degli interessi abbastanza cospicui in Polonia, cito soltanto le Assicurazioni Generali e la Banca Commerciale: già V.E. ha cominciato ad interessarmi alla loro sorte. La loro sorte dipende dai polacchi e non dai russi. Il nostro delegato sul posto può certo fare in loro difesa molto più di quanto possa fare io da Mosca. 2) La Polonia esce dalla guerra industrialmente molto più forte: possiamo avere enorme bisogno del carbone polacco, per esempio, e l'industria mineraria ha pochissimo sofferto della guerra. Sarebbe bene cominciare ad interessarsi fin da ora di quello che si può fare in avvenire. Le disposizioni dei polacchi, che tengono a che la loro vita economica non sia una conversazione a due colla Russia, sono molto favorevoli. 3) In quanto le loro possibilità glielo permettono, i polacchi sono piuttosto portati a simpatizzare con noi per la questione di Trieste. Essi ed i cechi possono avere un certo interesse a che Trieste, quale sbocco economico importante per loro, non sia del tutto in mani russe. Sono il primo a rendermi conto che le loro possibilità di influire sono minime, ma, nella situazione attuale, non bisogna, mi sembra, trascurare nessuna minima possibilità. Queste, a cui ho accennato, non sono che alcune delle ragioni per le quali, mi sembra, abbiamo tutto l'interesse a non restringere troppo la figura del delegato, e, per conseguenza, restringere le sue possibilità di lavoro. Questo è quello che io intendevo con la frase «non bisogna eccedere in senso contrario» del mio telegramma n. 167 dell'8 maggio 1• Si tratta, più che del titolo che converrebbe però precisare il meno possibile, della persona da inviare, che, colle sue capacità e precedenti, possa dare uno speciale carattere alla missione. Col mio rapporto n. 161/202 , spero di avere sufficientemente chiarito a V.E., come la situazione effettiva polacca non sia del tutto quale può apparire da Londra, e che non tutti i santi stanno a Londra né tutti i diavoli a Varsavia. La questione polacca è già risolta in fatto, un giorno più o meno lontano lo sarà anche di diritto: bisogna però tener presente che non saranno le tre o quattro persone che, per far piacere a Londra, potranno entrare nel governo che cambieranno la situazione. La nuova Polonia è e resterà il governo di Varsavia, con quelle evoluzioni che le circostanze vi porteranno e la nostra posizione futura in Polonia sarà migliore

o peggiore secondo l'impostazione che ne facciamo oggi.

V.E. comprende che io posso, entro certi limiti, mantenere in piedi da qui una posizione equivoca, come ho fatto finora, che, a quanto mi sembra, contribuisce a difendere i nostri interessi presenti e futuri in Polonia, ma posso continuare a farlo soltanto se ed in quanto V.E., nella misura del possibile, mi aiuta a mantenere l'equivoco. Ci sono naturalmente molti elementi che mi sfuggono: il mio dovere era di segnalare all'E.V. quali nostri interessi possono essere difesi, e quali possono soffrire a seconda della politica che verrà adottata.

Pregherei V.E. di volermi far conoscere, con la maggiore chiarezza possibile, il suo vero pensiero sull'argomento 3 .

l T. 3450/167, non pubblicato. 2 Del 28 aprile, non pubblicato. 3 Per la risposta vedi D. 264.

195

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

T. SEGRETO 3655/108. Washington, 14 maggio 1945 1 (per. ore 9,20 del 17).

Mio telegramma n. 2!2.

Oggi, al Dipartimento di Stato, a proposito questione aiuti economici all'Italia (circa la quale riferisco con rapporto), si è anche [discusso] nostro noto intendimento assecondare in Estremo Oriente, con tutti i mezzi a disposizione, sforzo bellico Nazioni Unite e in particolare quello americano. Mi è stato detto che si è qui favorevoli alla nostra iniziativa dichiarare guerra al Giappone. Presidente (al quale avevo a suo tempo riferito nostro intendimento, come ho segnalato col mio telegramma per corriere n. 014 del 16 marzo)3 è anche egli favorevole. Dipartimento di Stato si è al riguardo messo in contatto con Londra e si attende entro breve termine una risposta britannica.

Richiamo comunque quanto già comunicato con ultima parte citato telegramman.214.

196

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 36011109-110. Washington, 14 maggio 1945, ore 23,30 (per. ore 17 del 15).

Miei telegrammi 102 e 103 5 e telegramma di V.E. 996 pervenutomi 12 notte. Ho stamane consegnato al Dipartimento di Stato una nota verbale7 , in cui, dopo aver ringraziato ufficialmente per il comunicato diramato qui sabato sera circa questione Venezia Giulia 8 , ho esposto notizie e argomenti comunicatimi da V.E., ponendo anche in rilievo ultime informazioni stampa da Belgrado circa preteso accordo esercito sovietico Tito e quartiere generale truppe alleate Mediterraneo. Ho in pari tempo illustrato a voce dettagli stesso argomento. Dopo preso visione della nota, mi è stato dichiarato:

t Inviato il 15 maggio, ore 9,15.

2 T. segreto 2363121 del 6 aprile, non pubblicato.

3 Vedi D. 97.

4 Si trattava della richiesta di notizie circa il possibile contributo italiano alla guerra contro il Giappone.

5 T. urgente 3545/102 e T. 3527/103 del 12 maggio, non pubblicati.

6 Vedi D. 184.

7 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1945, voi IV, cit., pp. 1162-1163.

8 Vedi D. 192, nota l p. 261.

l) che qui constava che la situazione nella Venezia Giulia e a Trieste era precisamente quella da noi descritta.

2) che qui si intendeva che detta situazione dovesse essere risolta, con oculata fermezza, nel senso indicato dal comunicato del Dipartimento di Stato di cui (come accennato nel mio telegramma l 02) il presidente era a conoscenza.

Al Dipartimento di Stato mi si è confermato che ormai la questione Venezia Giulia non è fra gli alleati e Tito ma tra i «grandi tre». Al riguardo mi si è chiesto se avessi notizie sull'atteggiamento di Mosca e su impegni tra questa e Tito nella predetta questione (il che potrebbe confermare quanto da me comunicato con telegramma n. l 03). Alla mia precisa domanda in che consistesse esattamente l'accordo tra il quartiere generale di Alexander ed il maresciallo Tito, di cui alle notizie da Belgrado, mi è stato risposto che non esiste alcun accordo ma solo un temporaneo modus vivendi in attesa che i «grandi tre», i quali stanno trattando, abbiano fissato la situazione della Venezia Giulia secondo le linee chiaramente indicate nel comunicato del Dipartimento di Stato di sabato sera.

Mi è stato assicurato infine la questione veniva seguita dal Dipartimento «con la piu attenta vigilanza di ora in ora» conforme anche alle istruzioni ricevute dall'alto.

Continuo ad adoperarmi nel migliore modo possibile, col massimo impegno.

197

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO I GOVERNI CECOSLOVACCO E NORVEGESE A LONDRA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 39/17. Londra, 14 maggio 1945 (per. il 24).

Rispondo alla lettera di V.E. n. 16/6287/121 del 30 aprile 1•

Ho subito chiesto un colloquio al ministro Ripka, del quale si annuncia la partenza per Praga. Già segretario generale al ministero degli Affari Esteri, intimo e costante collaboratore di Benes in politica estera, riconfermato nel nuovo Gabinetto come ministro del Commercio Estero, ma secondo alcuni in predicato come prossimo successore di Masaryk, Ripka è l'ultima personalità cecoslovacca di primo piano rimasta a Londra. Dal giorno della partenza di Benes è stato qui il rappresentante più autorevole del governo cecoslovacco. Poiché mi risulta inoltre che le comunicazioni con il governo nazionale tornato in patria sono state sinora scarse,

o nulle, mi è sembrato buona cosa profittare della partenza di Ripka per pregarlo di portare un messaggio al presidente Benes sulla questione di Trieste.

Gliene avevo già parlato in altra occasione ma, valendomi ora delle istruzioni di V.E. ho potuto tornare sull'argomento con ben altra autorità e chiarezza.

l Vedi D. 159.

Premetto che non è dubbio che i cecoslovacchi considerino come un loro interesse il libero accesso al porto di Trieste; né potrebbe essere altrimenti, la stessa configurazione geografica della Cecoslovacchia, una lunga striscia orizzontale di territorio da occidente a oriente, portandola a gravitare, con la sua economia e con i suoi traffici, anche dalla nostra parte. Inoltre, come ho già fatto presente col mio rapporto n. 26n del 24 aprile 1 , sembra che sia intenzione dei cecoslovacchi di evitare, quanto è possibile, per il loro commercio occidentale i porti settentrionali della Germania, che negli anni fra le due guerre hanno fatto una concorrenza così dura a Trieste. La difficoltà sta nel convincerli: primo, che questo loro interesse non potrà essere pienamente servito che se Trieste è in mano italiana; secondo, che fa parte della loro naturale funzione, politica e geografica, di rendersi interpreti di questa necessità presso il governo sovietico.

È su questi due punti, separatamente, che ho concentrato il mio discorso. Per la prima parte ho rammentato a Ripka che la Venezia Giulia è una regione nella quale s'incontrano popoli, civilità, economie diverse. Bandirne l'Italia che con la sua influenza morale vi è presente da secoli, come dimostra il fatto che essa ne ha popolato le città, se non dappertutto le campagne, sarebbe, non soltanto un errore politico, ma una operazione fatale alla quale la regione, come entità economica e nella sua funzione di distributrice dei traffici, non potrebbe sopravvivere. Trieste, se si potesse ammetterne l'ipotesi, andrebbe perduta per l'Italia, ma egualmente perduta sarebbe, come emporio commerciale e centro di scambi, per tutti i paesi che si affacciano alla Venezia Giulia. Inoltre, tutto il popolo italiano, senza distinzioni di partiti e di classi, sentirebbe la profonda ingiustizia di questa decisione; alle sue frontiere orientali mutilate rimarrebbe un'Italia amareggiata, fertile terreno di quel nazionalismo che il suo governo ripudia e condanna ma che non sarebbe forse più possibile tenere a freno. Questo nuovo nazionalismo sarebbe una reazione fatale a quello di cui danno prova in questo momento alcuni portavoce di quel popolo jugoslavo con il quale il popolo italiano vuole invece vivere in concordia e collaborazione. Ripetendo esattamente il suo concetto ho detto a Ripka che V.E. e tutto il governo italiano vedono negli slavi del sud il ponte, non la frattura, tra la nuova Italia democratica e la famiglia slava; che ero convinto che questo fosse anche il pensiero del governo cecoslovacco e che la sua posizione politica unica rendeva necessario e doveroso che la Cecoslovacchia adempiesse alla sua funzione storica aiutando potentemente, dal canto suo, a stabilire questo ponte.

Per tutta questa parte Ripka ha approvato di continuo e calorosamente. Sapevo del resto, per aver Ietto i suoi libri, che questa, della funzione della Cecoslovacchia, come anello di congiunzione tra l'occidente e l'oriente, è l'idea dominante del suo pensiero politico.

Prevedendo che sulla seconda parte, cioè l'appoggio della tesi italiana presso il governo sovietico, Ripka sarebbe stato ben più riservato, ho preferito abbordarla per via indiretta. Autorizzato da S.E. l'ambasciatore, gli ho ricordato un colloquio del conte Carandini col presidente Ben es del 26 febbraio u.s. 2 ; e in particolare che

l Non pubblicato. 2 Vedi D. 69.

in quel colloquio il presidente aveva promesso al nostro ambasciatore di parlare con i russi della questione di Trieste e di informarlo del loro sentimento. Ho aggiunto che consideravo un'occasione propizia la sua prossima partenza per Praga e che perciò lo pregavo di portare al presidente, personalmente, l'espressione del pensiero di V.E. Gli ho anche consegnato, con preghiera di farlo vedere al signor Benes, il testo della dichiarazione del Consiglio dei ministri italiani del 26 aprile 1 . Sebbene questa dichiarazione sia superata in gran parte dagli avvenimenti, in quanto mi sembra che la posizione presa in seguito dai governi inglese e americano rappresenti il trionfo completo della tesi italiana circa l'amministrazione alleata della Venezia Giulia ai termini dell'armistizio, ho rilevato il fatto che la decisione era stata presa all'unanimità da un governo nel quale sono rappresentati quasi tutti i partiti, e che nella sua composizione, almeno dal punto di vista esteriore, presenta molte somiglianze con il governo cecoslovacco.

Ripka mi ha promesso nel modo più esplicito che avrebbe riferito a Benes tutto quanto gli avevo detto. Su un intervento amichevole presso il governo russo non ha fatto parola, né io per parte mia ho creduto opportuno di insistere.

A questo proposito mi permetta V.E. come conclusione del rapporto, di aggiungere una parola per cercar di definire la posizione degli uomini di Londra nella nuova situazione cecoslovacca. Il Gabinetto Fierlinger, come ho già riferito, si presenta come un dosaggio, dal punto di vista aritmetico perfettamente equilibrato, tra il personale politico di Londra e quello della resistenza interna; cioè, grosso modo, tra gli uomini di Benes e quelli di Mosca. Il·fatto che Benes, unico tra i capi di Stato in esilio, abbia scelto risolutamente e a tempo giusto la via di una intima collaborazione con Mosca gli ha dato indubbiamente una posizione di eccezione, e gli ha permesso di realizzare un successo che appare notevole, sopratutto se paragonato a quanto è avvenuto in Grecia e in Jugoslavia.

Da parte loro i russi hanno indubbiamente ritenuto utile ai loro fini di valersi per il momento della personalità, del prestigio e dell'autorità del presidente per formare un governo, e gettare le basi di un regime, che non dovrebbe differire gran che dagli altri già instaurati nei Paesi liberati dall'armata rossa. Ma ciò non implica necessariamente che essi considerino Benes, nutrito come è di pensiero occidentale, cresciuto nella tradizione democratica europea, come il loro uomo. Vari segni, e informazioni da varie fonti, starebbero ad indicare che tutto il personale politico di Londra -Benes non escluso -siano considerati con cautela e riserbo da Mosca. Forse si dubita che questi uomini possano mai acquistare tutta la docilità voluta. Questo sentimento, comunque, è molto vivo e diffuso negli ambienti cecoslovacchi di Londra, e li rende ancora più cauti ad esprimere un'opinione propria quando siano in dubbio se questa opinione coincida con il sentimento del governo sovietico.

A mio parere, perciò, non si può fare troppo affidamento sui buoni uffici cecoslovacchi. I punti di contrasto tra Benes e il suo ambiente, e dall'altra parte i capi prescelti da Mosca, saranno già di per sè abbastanza numerosi e pericolosi; né mi sembra probabile che in queste circostanze si voglia prendere partito per una questione che non è per loro di importanza vitale.

l Vedi D. 150, nota l.

198

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. PER CORRIERE 2595. Roma, 15 maggio 1945, ore 19.

Suoi 31, 33 e 36 dell'8 e 9 corrente 1•

Sono d'accordo con V.E. nel considerare chiuso incidente bandiera, che governo italiano è lungi dal drammatizzare, ma che vivamente deplora. Esso mi par sopra tutto indicativo di uno stato d'animo che da parte nostra facciamo ogni sforzo per chiarire e mutare e poco o nulla da parte francese. Ella sa perfettamente in quale atmosfera quest'ultimo episodio si inquadri: trattamento prigionieri; italiani di Tunisi; nostri beni e cittadini in Francia; operazioni militari e tentativi di occupazione alla nostra frontiera occidentale; ostilità della delegazione francese a San Francisco ecc.

Ora io credo che sarebbe molto opportuno se, nel confermare che il governo italiano è d'accordo nel considerare incidente chiuso, V.E. volesse amichevolmente e pacatamente dire al Quai d'Orsay che noi facciamo e continueremo a fare ogni sforzo per progressivamente giungere a creare fra noi e la Francia un'atmosfera e un terreno più propizi, come la soluzione della questione tunisina dimostra e documenta, ma che molto contiamo su un analogo atteggiamento e animo anche da parte francese. Affidamenti che le fossero dati in questo senso gioverebbero. Veda V.E. se le sembra questo il momento opportuno, tanto per avviare le cose sul concreto, di proporre l'inizio dei negoziati per la nuova convenzione sul regime degli italiani di Tunisi.

199

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3683/248-249. Londra, 15 maggio 1945, ore 21,20 (per. ore 15,45 del 17).

Telegramma di V.E. 145 2 .

Ho visto oggi signor Harvey al quale ho nuovamente prospettato situazione già segnalata ed ormai nota in ogni suo dettaglio. Egli non ha potuto che confer

1 T. urgente 3454/31, T. urgente 3453/33 dell'8 maggio e T. 3493/36 del 9 maggio, non pubblicati: deplorazione del governo francese per la lacerazione della bandiera della rappresentanza italiana a Parigi da parte di un gruppo di studenti.

2 Vedi D. 184.

marmi posizione molto ferma dei due governi alleati che corrisponde esattamente a odierne informazioni Times secondo cui intero territorio italiano deve essere nella sfera di occupazione del maresciallo Alexander, essendo da escludere in via assoluta ogni intervento tendente ad anticipare decisioni che potranno essere prese esclusivamente in sede conferenza pace. Per quanto non in forma di ultimatum ed in termini amichevoli, una nota molto ferma in questo senso è stata diretta a Belgrado. .

Con l'occasione ho anche fatto presente situazione determinatasi a seguito entrata truppe francesi in Piemonte e Liguria. Harvey mi ha detto che non considerava ci si dovesse preoccupare eccessivamente al riguardo. Sperava la cosa di breve durata, trattandosi di una interpretazione estensiva compiti strategici affidati all'armata francese. Ha nuovamente insistito nel suggerimento che la questione è da liquidarsi amichevolmente tra l'Italia e la Francia e quindi di particolare competenza della R. ambasciata a Parigi. È mia impressione che il Foreign Office, pur dolente dell'accaduto, non dà all'incidente soverchia importanza ed auspica che governo italiano lo sollevi da imbarazzante posizione intermediaria, intendendosi direttamente con la Francia in spirito reciproca fiducia e comprensione che non ritiene difficile realizzare nell'attuale stato rapporti in via amichevole.

200

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 3879/017. Parigi, 15 maggio 1945 (per. il 24).

Riferimento telegramma per corriere n. 016 del 9 maggio corrente. 1

Quattordici maggio avuta con questo ministro Esteri interim presidente Jeanneney conversazione nel corso della quale sono state principalmente toccate seguenti questioni:

l. Occupazione da parte di truppe francesi di alcuni territori ad oriente frontiera italiana. Ho fatto presente inquietudini che potrebbero provocare Italia comunicati pubblicati nella stampa francese circa amministrazione tali zone e relativi commenti e articoli. Ho rilevato come potrebbero sorgerne equivoci pregiudizievoli buone relazioni nostri due paesi, interessi Italia anche per indiretti riflessi su questione territori italiani occupati da jugoslavi.

Signor Jeanneney dichiarato «non essere intenzione governo francese dare occupazione carattere diverso da quello originario di intervento militare in unione

I Vedi D. 179.

con forze armate Nazioni Unite e sotto ordini Comandi alleati contro Paese che circostanze costringono considerare ancora nemico. Problema occupazioni militari è nettamente distinto da quello di eventuali revisioni tracciato frontiera, revisioni che non potrebbero essere decise che tavolo pace». Da dichiarazioni signor Jeanneney risulterebbe pertanto:

a) Governo francese sostiene che occupazione sia fatto militare nettamente distinto da problema politico generale che dovrà essere risolto sede trattative pace.

b) Governo francese considera ancora Italia come nazione nemica.

c) Governo francese si riserva porre in sede trattative pace problema rettifica frontiera.

Ho tuttavia ritenuto opportuno prendere soltanto atto dichiarazioni Jeanneney relative allusioni da lui fatte circa considerazione dell'Italia come Nazione nemica, né circa eventualità rettifiche frontiera. Prego a questo proposito informarmi se situazione che viene determinandosi nelle zone occupate truppe francesi adeguasi effettivamente criteri affermati signor Jeanneney.

2. Requisizioni sedi consolati generali Marsiglia e Nizza. Ho informato signor Jeanneney dei passi iniziati da me dallo scorso 25 aprile che non avevano ancora avuto alcun esito e fatto notare sopratutto per caso Marsiglia come occupazione sede consolato fosse praticamente in contrasto con accordi stipulati tra i due governi per la riapertura del consolato generale stesso.

Ministro esteri a interim assicuratomi voler intervenire al riguardo per una sollecita soluzione.

3. Prigionieri guerra. Ho esposto signor Jeanneney termini questione con particolare riferimento situazione cui vengono trovarsi internati militari e civili recentemente liberati avanzata truppe alleate territorio germanico. È noto infatti che all'atto in cui mettono piede su territorio francese, essi vengono considerati come prigionieri di guerra.

Ministro Esteri a interim ha convenuto con me assurdità questa situazione; ma alla mia richiesta di concretare soluzioni logiche tale problema, egli ha opposto difficoltà di carattere giuridico derivante da permanenza dello status di Nazione nemica che la Francia attribuisce all'Italia. Sembrerebbe pertanto che governo francese si preoccupi di non pregiudicare impostazione generale problema politico con concessioni sostanziali per quel che si riferisce ai prigionieri.

Ho fatto quindi notare al signor Jeanneney quanto sarebbe dannoso per miglioramento auspicato relazioni rapporti fra due paesi il perdurare della grave situazione cui trovansi nostri prigionieri guerra in mano francese, segnalando come essi siano sottoposti in alcuni campi a gravi maltrattamenti. Ho accennato modo particolare alla situazione dei campi nella regione Bordeaux.

Il signor Jeanneney preso atto di tali mie segnalazioni.

201

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2645/105 (Washington) 151 (Londra). Roma, 16 maggio 1945, ore 18.

Ambasciatore Parigi comunica in data 11 corrente 1 quanto segue:

«Stampa parigina dando notizia ritorno generale Juin da San Francisco pubblica egli avrà "compito occupazione frontiera franco-italiana". Alcuni giornali specificano "Generale Juin avrà altresì missione organizzare nostra occupazione su parte territorio italiano che Francia rivendica. Non si tratta che di rettifica frontiera richiesta considerazioni strategiche"».

Operazioni militari francesi alla nostra frontiera occidentale sono state sollecitate da Comando Supremo Alleato nel corso ultima offensiva, soltanto a scopo dimostrativo. Esaurito tale compito, truppe debbono essere ritirate. Maresciallo Alexander ci ha dato ripetute assicÙrazioni in questo senso. Perdurano peraltro in tutta la zona di frontiera da parte francese movimenti truppe che allarmano governo e opinione pubblica italiana e hanno condotto a profonde infiltrazioni in territorio nazionale. Ambasciatore a Parigi ha ricevuto istruzioni di intrattenere al riguardo Quai d'Orsay 2• Prego V.E. di rendersi anche da parte sua interprete presso codesto governo di tale nostra viva e fondata preoccupazione 3•

202

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

L. PERSONALE 12n2304 . Roma, 16 maggio 1945.

Accludo un estratto di notizie da buona fonte circa la situazione alla frontiera occidentale5 . Sono, come vedrai, notizie allarmanti. Debbo peraltro aggiungere che il maresciallo Alexander, interrogato nuovamente ier l'altro al riguardo, ha dato ancora una volta informazioni in complesso rassicuranti. Che cioè ordini erano stati dati dal generale Eisenhower ai Comandi francesi perché, cessato lo scopo delle operazioni militari giudicate necessarie al momento dell'offensiva, le truppe francesi siano ora ritirate. I comandi francesi avrebbero chiesto conferma di tali ordini alle loro dirette autorità nazionali e tuttora li attendono.

È comunque una questione che va sorvegliata da vicino. Dovresti dunque farne nuovamente esplicito, chiaro ed energico accenno al Quai d'Orsay. In piena con

'

I Con T. 3522/39. 2 Vedi D. 202. 3 Vedi D. 215, nota 3 e D. 238, nota l. 4 Copia di questa lettera fu inviata in pari data a Carandini e Tarchiani. 5 Si tratta dell'allegato, non pubblicato, al D. 186.

troversia jugoslava e dopo la netta presa di posizione anglo-americana sull'argomento, sarebbe poi cosa sommamente opportuna se si desse, alla frontiera occidentale esempio ben altro di assennatezza e di concreto ripudio di ogni politica di fatto compiuto e di falso prestigio che sappiamo perfettamente dove conduca.

Dobbiamo insomma dare l'impressione che l'attività delle truppe francesi alla nostra frontiera è da noi considerata come preoccupante e che non ci è possibile subirla passivamente.

Conto sulla tua azione e sulla tua attività di chiarimento e di persuasione, pur attraverso le innumerevoli difficoltà che ti stanno dinnanzi.

203

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 3765/117. Washington, 18 maggio 1945, ore 13 (per. ore 18 del 19).

Telegramma di V.E. n. 2339 1 giunto 6 corrente.

7 corrente come riferito per corriere questa ambasciata diede subito conoscenza Dipartimento di Stato comunicazione codesto ministero circa motivi che giustificano accordo concluso Mosca nostro ambasciatore e rappresentante governo polacco Varsavia. Notizia precedentemente riportata giornali circa tale accordo, proprio quando divergenze punto di vista Washington Mosca su questione polacca diventavano più acute ed evidenti, aveva destata spiacevole sorpresa.

Qualche diffidente accenno venne anche fatto da Dipartimento di Stato, nel ricevere comunicazione ambasciata, lamentandosi tra l'altro che codesta ambasciata

U.S.A. non ne aveva avuto previa notizia.

Mi risulta persistere perplessità anche in ambienti britannici circa nostri supposti negoziati per riconoscimento del governo Varsavia in opposizione netta direttive anglo-americane sulla questione.

204

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 2712/160. Roma, 18 maggio 1945, ore 14.

Suo 165 2•

Questo ministro di Cina presso il Vaticano ci ha fatto comunicazione analoga. Un comunicato ufficiale è stato diramato ieri alla stampa in cui si dà notizia dei provvedimenti cinesi; si riconferma il ripudio all'appoggio dato dal regime fascista

l Vedi D. 169. 2 T. 3448/165 del 9 maggio: abolizione in Cina delle misure restrittive nei confronti degli italiani.

alla politica nipponica di sopraffazione in Estremo Oriente; si riafferma che il governo democratico italiano non ha né intende avere rapporti di sorta coi sedicenti governi del Manchukuo e di Nanchino, che si appoggiano esclusivamente sulle baionette giapponesi e che sono destinati a sparire con quelle.

E di ciò informi codesto ambasciatore di Cina, esprimendogli nostro vivo compiacimento per completa normalizzazione fra nostri due Paesi. Aggiunga che saremo particolarmente lieti se la ripresa dei rapporti diplomatici ormai disposta da tempo, potrà essere anche da parte cinese rapidamente attuata.

205

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, CON IL RAPPRESENTANTE DI FRANCIA A ROMA, COUVE DE MURVILLE

PROMEMORIA. Roma, 18 maggio 1945.

Ho insistito presso Couve de Murville perché voglia far sapere a Parigi nostra inquietudine per prolungarsi occupazione francese e comune interesse di non lasciar guastare in nessuna maniera nemmeno da qualche minimo incidente, sempre possibile con ogni occupazione, la nostra amicizia confermata nella recente convenzione per Tunisi e per il parallelismo che potrebbe invocarsi da Jugoslavia.

Ho sottolineato il punto di vista giuridico.

206

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 37711177. Mosca, 19 maggio 1945, ore 1.25 (per. ore 8 del 20).

Secondo quanto mi viene riferito, nuovo ambasciatore Jugoslavia giunto ieri in aereo da Belgrado ha detto che passo anglo-americano per ritiro truppe jugoslave ha praticamente carattere ultimatum, ma che governo jugoslavo è deciso non cedere: per far ritirare truppe jugoslave anglo-americani sarebbero costretti far uso armi e a Belgrado si ritiene che essi non si decideranno a farlo in vista possibili ripercussioni conflitto armato. Stampa sovietica continua fino a oggi a non fare menzione questione.

In questi ambienti giornalistici americani si ritiene quasi unanimemente:

l) che America è decisa agire a fondo per ottenere ritiro jugoslavi da Trieste;

2) che politica fatti compiuti Tito ha prodotto forte reazione anti-jugoslava opinione pubblica americana e quindi considerevolmente migliorata nostra posizione. Per quanto concerne punto primo maggioranza giornalisti americani essendo fautori politica americana più ferma possono scambiare speranza per realtà.

207

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 38081118. Washington, 19 maggio 1945, ore 10,15 (per. ore 10,30 del 21).

Telegramma di V.E. 107 1 qui pervenuto 18 corr. In conformità delle istruzioni di V.S. ho nuovamente rinnovato sottosegretario Stato Grew sensi viva soddisfazione italiana per diffusione 12 corr.2 .

Nota di risposta jugoslava, a quanto mi è stato detto Dipartimento di Stato, elude precise richieste presentate Tito: Belgrado ripete generiche tesi già accampate prima del passo anglo-americano circa pretesi diritti forze jugoslave analoghi quelli eserciti alleati in territori occupazione. Si attendono comunicazioni di Londra per concordare azione comune.

Ho fatto nuovamente presente necessità urgenti decisioni aggravandosi ancora situazione Venezia Giulia. Mi è stato risposto che decisioni dovrebbero essere prese nei primi giorni della prossima settimana, non escludendo che nota jugoslava possa essere seguita da altra più soddisfacente dopo proclama del maresciallo Alexander alle proprie truppe per informarle sviluppo eventi politici che possono concernerle.

208

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPuNTo 20n687/c. 3 . Roma, 19 maggio 1945.

Come è noto, nell'autunno scorso tutti gli Stati dell'America latina procedevano al riconoscimento del R. governo italiano e al ristabilimento con lo stesso di normali relazioni diplomatiche. A seguito di ciò varie rappresentanze diplomatiche (Argentina, Brasile, Cile, Messico, Perù) riprendevano il loro funzionamento a Roma, sia con capi-missione regolarmente accreditati sia con incaricati d'affari.

Da parte nostra, a quanto risulta a questa direzione generale, è stata notificata la nomina dei titolari e sono già pervenute dai rispettivi governi i relativi gradimenti per sedici Stati; per gli altri quattro (Panama, Messico, Bolivia, Uruguay) non risulta sia stata fatta alcuna notifica ai governi interessati di nomina dei capi-missione; di fatto però nessuna nostra rappresentanza ha potuto fin qui raggiungere la sua sede.

l T. 2647 Il 07 del 16 maggio, non pubblicato. 2 Vedi D. 192, nota l p. 261. 3 L'appunto fu inviato, per conoscenza, al Gabinetto e alla direzione generale del Personale.

Questa direzione generale, pur rendendosi perfettamente conto delle ragioni di forza maggiore che hanno fin qui ostacolato la partenza delle nostre missioni diplomatiche e consolari nel continente sud-americano, ha il dovere di segnalare il rilevante pregiudizio per i nostri interessi politici ed economici che tale ritardo arreca.

Da un punto di vista di politica generale, a parte l'ovvia considerazione del particolare interesse che, nell'attuale situazione di lenta e faticosa ripresa dei rapporti internazionali, l'Italia ha per una sollecita ripresa di concrete relazioni con le Nazioni Unite, per quel che particolarmente riguarda le venti repubbliche dell'America latina, occorre considerare che esse sono state le prime, non appena le circostanze lo hanno consentito, a manifestare in tutti i modi il loro sincero desiderio di riannodare quei vincoli di fratellanza latina, solidamente basati su comunione di sangue e di spiriti; i paesi latino-americani non solo hanno subito e senza riserve di sorta dato pieno riconoscimento al governo della nuova Italia democratica, ma, con provvedimenti unilaterali e spontanei, hanno abrogato per notevole parte le misure di rigore adottate contro nostri connazionali ed interessi italiani, attraverso varie dichiarazioni di uomini di governo e di rappresentanti diplomatici, hanno espresso il loro desiderio che l'Italia riprenda al più presto il posto che le compete non solo tra le nazioni latine, ma nella comunità internazionale. Va tenuto poi particolare conto del fatto che nei consessi internazionali, dai quali l'Italia è finora esclusa gli Stati dell'America latina rappresentano un blocco numeroso e compatto e solidale che non manca di far valere la sua voce e che potrebbe nell'attuale nostra difficile situazione appoggiare sinceramente e validamente la tutela di nostri fondamentali interessi. Tale appoggio ci è già stato in qualche modo recentemente assicurato, attraverso i rappresentanti latino-americani nel Nord-America, i quali peraltro non hanno mancato a più riprese di manifestare un certo disappunto per la fin qui mancata effettiva ripresa delle relazioni tra i loro rispettivi Paesi e l'Italia.

Non va trascurato infine che, già sin d'ora, Francia, Inghilterra e Stati Uniti stanno dimostrando un interesse del tutto particolare verso il continente sud-americano con l'invio di numerose missioni culturali ed economiche.

Passando a considerare nostri interessi di più immediata concretizzazione, va fatto un particolare cenno per ciò che riguarda le nostre collettività in Centro-Sud America. Tali collettività, che ammontano, come noto, a vari milioni, dalle segnalazioni, che attraverso varie vie ci sono pervenute, appaiono tuttora in certo senso disorientate da quello che è stato il rapido sviluppo degli avvenimenti politici nel nostro Paese. Nel mentre infatti numerosi gruppi di connazionali, tra cui esistono vari emigrati politici, hanno entusiasticamente aderito al nuovo regime di libertà creatosi in Italia, altri peraltro, sia per difetto di informazioni sia per mancanza di una sana e chiarificatrice opera di propaganda, sembrano tuttora rimasti attaccati ad errate e sorpassate ideologie.

Nel seno stesso delle nostre collettività, come noto prevalentemente agiate se non ricche, svariate iniziative sono già sorte e stanno sorgendo per l'invio di soccorsi alimentari e di denaro alle popolazioni della madre patria, duramente provate dalla guerra, ma tali iniziative, nella mancanza di organi coordinatori, quali solo le nostre rappresentanze diplomatiche e consolari potrebbero esserlo, appaiono del tutto slegate, a volte anche contrastanti e fin qui praticamente inoperanti.

Inoltre, vasti nostri interessi preesistenti allo scoppio delle ostilità in molti, se non quasi tutti gli Stati dell'America latina, esigerebbero un pronto nostro intervento per la loro salvaguardia. Senza entrare in un esame dettagliato dei beni ed interessi italiani nel Centro e Sud America, basta accennare al fatto che gli stessi, di assai notevole entità, possono dividersi in due gruppi: quelli appartenenti a cittadini italiani residenti in America e quelli appartenenti allo Stato o ad enti e società del Regno. Nel mentre per la prima categoria quanto è oggi a nostra conoscenza, sebbene in modo piuttosto vago e impreciso, è che in vari Paesi i provvedimenti di sequestri e confische adottati alla rottura delle relazioni, sono stati abrogati e che i nostri connazionali sono stati in gran parte reintegrati nei loro diritti, per la seconda categoria, a quanto risulta, permangono completamente le misure di rigore adottate allo scoppio delle ostilità. Basti citare che in questa seconda categoria figurano ben 34 navi mercantili per un tonnellaggio complessivo di circa 220.000 tonnellate, che si trovavano in porti dell'America latina nel 1941.

Di dette navi, alcune furono vendute o cedute con patto di riscatto agli Stati nelle cui acque si trovavano, da cui rilevanti ragioni di credito esigibile da parte nostra, altre confiscate o sequestrate, altre infine sembrerebbero affondate, ma coperte da assicurazioni il che ci darebbe diritto di rivendicare ragioni di credito. Tutto questo problema del naviglio mercantile cosìimportante per noi nel momento presente è stato dettagliatamente studiato dalla direzione generale scrivente, sulla base degli elementi d'informazione in suo possesso, ma evidentemente non potrà, come gli altri analoghi, in modo concreto essere affrontato che dalle nostre rappresentanze sul posto.

Altro problema che 6da considerarsi come uno dei primi che si presenteranno all'attenzione del R. governo non appena le condizioni dell'economia mondiale e i traffici internazionali saranno entrati in fase di riassestamento, è quello dell'emigrazione.

I rinnovati principi dell'Italia democratica in materia di emigrazione e quelle che non mancheranno di essere, non appena avranno la possibilità di manifestarsi, le effettive tendenze delle nostre popolazioni ad espatriare, permettono di prevedere una larga ripresa del flusso emigratorio italiano particolarmente nei Paesi del Sud America.

D'altra parte, vari governi dell'America latina ci hanno già fatto conoscere, in linea di massima, in occasione della ripresa delle nostre relazioni diplomatiche con essi, che vedrebbero con soddisfazione una ripresa di immigrazione di lavoratori, agricoltori ed anche tecnici e professionisti italiani nei rispettivi territori

Aperture e cenni in proposito ci sono stati fatti direttamente dal Venezuela, Perù, Costarica, Equatore, Argentina, Messico, Uruguay ed indirettamente dal Brasile e dalla Colombia.

Da parte nostra tutto fa pensare che una ripresa emigratoria italiana, per quanto fatta su nuove basi e nuovi concetti di democrazia e libertà, non potrà non essere tutelata con opportuni accordi da concludersi fra l'Italia e gli Stati di destinazione degli emigranti italiani per assicurare a questi ultimi eque condizioni di lavoro e trattamento, dal punto di vista economico, sociale, assistenziale, morale, etc.

Da qui la necessità di studiare e rendersi conto sin da ora, attraverso le nostre rappresentanze, del concreto valore delle aperture fatteci dai vari Stati sud-americani, delle loro reali intenzioni e possibilità, della loro organizzazione economica e dell'utilizzazione che essi si propongono di fare dei nostri emigranti.

Sul terreno economico, altro problema che riveste particolare carattere di urgenza è quello dello studio, in loco, delle possibilità di rifornimenti alimentari per il nostro mercato e di materie prime per le nostre industrie e le modalità di pagamento che non potranno avvenire se non per mezzo di scambio di merci. A questo riguardo è da osservare che, dato che la situazione del nostro Paese non consentirà di iniziare le nostre esportazioni che in un secondo tempo, e cioè quando le nostre industrie saranno riorganizzate e rifornite delle necessarie materie prime, è necessario iniziare delle trattative per ottenere dei finanziamenti per i nostri acquisti.

Dalle considerazioni schematicamente sopra esposte ne consegue l'urgente necessità per noi che, al più presto, la ripresa delle nostre relazioni diplomatiche con gli Stati dell'America latina, si traduca in forma concreta ed effettiva.

Questa direzione generale, pur rendendosi esatto conto di tutte le difficoltà di carattere obiettivo che hanno fin qui ostacolato il conseguimento di tale fine, ritiene di dover, nella sua competenza, particolarmente segnalare tale situazione di fatto, perché vengano studiate le misure più atte ad ottenere il sollecito invio delle nostre rappresentanze diplomatiche e consolari.

Per ragioni di carattere generale e specifico, in certo senso analoghe a quelle fin qui esposte, appare del tutto necessario sollecitare l'invio del nostro ambasciatore in Turchia. Oltre la circostanza che l'ambasciatore turco a Roma ha presentato le credenziali fin dal 18 gennaio 1945, va sottolineata l'importanza del tutto particolare, dal punto di vista politico, di un pieno funzionamento della nostra ambasciata ad Ankara, in relazione alla particolare sensibilità di quel settore nei confronti di tutte le questioni, per noi di vitale interesse specialmente nell'attuale momento, riguardanti la penisola balcanica, la politica russa, il Mediterraneo orientale ed i paesi arabi.

Inoltre va tenuto anche conto dei vari e notevoli interessi italiani in Turchia (unità della R. marina internate in acque turche, scuole, ospedali laici e missionari, etc.) la cui tutela non potrà non trarre rilevante giovamento dall'autorevole presenza in sede del R. ambasciatore.

209

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 239/83. Parigi, 19 maggio 1945 (per. il 12 giugno).

La situazione è tutt'altro che rassicurante e tale da preoccupare coloro che auspicano nell'interesse della patria e del pacifico assetto dell'Europa un'intesa sempre più cordiale tra l'Italia e la Francia.

Fin dal mio arrivo a Parigi mi ero reso conto che alle inevitabili difficoltà di ordine psicologico si aggiungevano ostacoli di vario genere provocati dall'evidente disegno di questo governo di praticare nei confronti dell'Italia una politica di pegni, allo scopo di porre determinate rivendicazioni che trascendevano i limiti della dichiarazione formulata nelle note circostanze dal generale de Gaulle al nostro Prunas 1•

Nei giorni stessi del mio arrivo a Parigi furono iniziate operazioni di polizia contro le sedi consolari e vice-consolari di Marsiglia, Cannes, Nizza. Queste operazioni, preparate con cura e con la complicità di agenti fascisti che già servirono presso i nostri consolati, erano strettamente legate alle operazioni militari che si svolgevano contemporaneamente sulle Alpi. Intorno al carattere di queste operazioni nessun dubbio è possibile e ciò particolarmente dopo le esplicite dichiarazioni fattemi a questo proposito dal presidente Jeanneney 2 . Contrariamente alle affermazioni del signor Couve de Murville per cui non si sarebbe trattato che di un semplice passaggio di truppe destinate al settore austriaco\ si tratta invece di una vera e propria occupazione del territorio nazionale. Essa, secondo le affermazioni di Jeanneney, rientra nel quadro di un'azione contro una nazione (l'Italia) che le circostanze costringono a considerare ancora come nemica.

La Francia afferma quindi di volersi porre sullo stesso piano delle nazioni alleate che operano con i loro eserciti sul nostro territorio, con la differenza però che mentre le nazioni alleate hanno cura di lasciare nell'ombra la natura del nostro statuto nei loro confronti, la Francia non esita a classificarci tra i nemici.

È pur vero che la Francia ha dichiarato che il fatto dell'occupazione è distinto dal problema delle rivendicazioni territoriali che essa porrà al tavolo della pace, ma questo prova semplicemente che la Francia ha tratto esperienza dai metodi applicati da Tito e tende a raggiungere i suoi scopi con accorgimenti più sottili.

Cosa vuole la Francia? I termini del comunicato di ieri a cui i giornali hanno dato grande rilievo e che ha trovato un commento evidentemente ufficioso nell'editoriale del M onde sono chiari.

La Francia vuole annettersi gli alti bacini della Roia, Vesubia, Tinea, il massiccio dello Chaberton, i colli del Moncenisio e del Piccolo S. Bernardo. Ma la Francia vuole annettersi soprattutto le valli del Pellice e la valle d'Aosta. Per quest'ultimo punto, che è di una gravità eccezionale, la stampa ha cura di porre il problema sotto l'angolo del diritto di quelle popolazioni di esprimere la loro volontà. È in altri termini il plebiscito realizzato nella scia di un esercito di occupazione. Alla formula brutale ma franca di Tito la Francia sostituisce quella plebiscitaria.

H lavoro in questo senso è attivissimo. Indipendentemente dai gruppi di sedicenti valdostani separatisti che operano in Svizzera per conto di questo governo, l'azione annessionistica pur mascherata dal plebiscito, ha le sue basi nei dipartimenti delle Alpi Marittime, delle Basse Alpi e della Savoia. Particolarmente nelle Alpi Marittime si è venuto creando un vero regime di terrore con arresti in massa e attentati organizzati. Centinaia e centinaia di bombe sono già state lanciate contro i negozi dei nostri disgraziati connazionali e non passa notte senza che il rumore di un'esplosione non turbi il silenzio di Cannes, di Antibes, di

l Vedi serie decima, vol. I, D. 280. 2 Vedi D. 200. 3 Vedi D. 137.

Nizza. Lo scopo di questa azione terroristica è duplice. Si tratta da un lato di intimidire i nostri connazionali e dall'altro di sfruttare la loro depressione per reclutare tra gli elementi più pavidi e moralmente più deboli, agenti da utilizzare nei territori occupati.

Quali sono gli argomenti che la Francia accampa per suffragare le proprie pretese? Bisogna notare che la parola d'ordine è di minimizzare le richieste di questo governo. Non si tratterebbe, secondo i comunicati e i commenti dei giornali, che di ritocchi insignificanti di frontiera, in zone inabitate o quasi, ecc. In linea generale per quel che si riferisce alle pretese per i colli e le testate delle valli è il tema delle necessità strategiche che viene agitato.

Ma la minaccia più grave è quella che insidia la nostra valle d'Aosta e le valli del Pellice. Per questi territori, la richiesta formulata apertamente da alcuni giornali di un plebiscito è fondata su motivi linguistici, di razza e di storia. Si tratta di motivi che non hanno nessun serio fondamento o addirittura sono in contrasto stridente con le più elementari nozioni dello stesso buon senso. Ma l'opinione pubblica è così male orientata nei confronti del nostro paese che tutte le enormità sono possibili.

Si poteva supporre che questa propaganda annessionistica a danno dell'Italia e i cui inizi si situano a circa tre mesi or son~, fosse dettata da preoccupazioni di politica interna.

Era infatti convinzione di de Gaulle che assecondando gli spiriti nazionalistici del paese si sarebbe potuto ottenere uno spostamento verso destra del corpo elettorale. Questa supposizione cade nell'atto in cui il corpo elettorale avendo frustrato le speranze del capo del governo provvisorio, il governo accentua e precisa le sue rivendicazioni a nostro danno.

È quindi nel quadro di una politica estera di prestigio che si situa la posizione della Francia nei nostri confronti. Ed è vano sperare che questa determinazione possa essere modificata dai risultati elettorali. Se ogni riserva deve essere formulata per quel che riguarda gli orientamenti della politica francese nel periodo che seguirà la firma della pace, è quasi certo che alla pace ci si arriverà con i quadri politici attuali. È la loro politica che sarà decisiva per la sorte delle nostre frontiere ed è quindi su di essi che si deve agire. Scarsa è pertanto sulla politica estera l'influenza dei partiti e degli uomini che li dirigono. Determinante invece quella del generale de Gaulle e dei suoi consiglieri. Tuttavia non trascurerò nessuna azione che possa influire sull'orientamento degli uomini più autorevoli dei vari partiti e più sensibili alle esigenze di un accordo reale tra i nostri due paesi.

Lunedì 21 corrente avrò un nuovo colloquio col presidente Jeanneney 1 . Gli dirò con tutta lealtà quali sarebbero ai fini di una politica di solida intesa tra la Francia e l'Italia le conseguenze di un errore storico come quello che il recente comunicato lascia temere. Gli dirò che il problema di una rettifica di frontiera già gravissimo in sé per la sua portata psicologica aggravato da quello dei ventilati plebisciti, colpirebbe in modo fatale l'auspicata politica di fraterno riavvicinamento dei nostri due popoli.

I Vedi D. 213.

D'altro canto penso che costì mi si può aiutare in modo concreto praticando nei confronti della Francia una politica fermissina sulle questioni di fondo, ma larga di comprensione per le esigenze di questa nazione sul piano della politica mondiale.

La Francia soffre di un complesso di inferiorità nei confronti dei tre grandi. Penso quindi che sarebbe opportuno da parte nostra manifestare nei suoi confronti quello stesso sentimento di deferenza che ci anima nei confronti della Russia, dell'Inghilterra e dell'America. Sommamente utile sarebbe quindi cogliere l'occasione del primo appello che l'Italia fosse chiamata a rivolgere ai grandi alleati per comprendere in essi anche la Francia.

La Francia sarebbe sensibilissima a questo nostro atteggiamento anche se fingesse di trascurarlo. Perché in sostanza sono convinto che, in ultima analisi, gli attuali governanti sono favorevoli a un accordo di portata generale e profonda con l'Italia. La stessa politica di pegni da essi praticata nei nostri confronti (e l'atteggiamento riservato sul problema dei prigionieri è uno di questi pegni) maschera il desiderio di negoziare, dopo aver sfruttato a fondo la situazione, un accordo durevole e solido con il nostro Paese.

Ancor oggi il signor Palewski, capo di Gabinetto del generale de Gaulle, mi affermava nel modo più esplicito che la politica del generale nei confronti dell'Italia non ha subito mutamenti. Il generale pensa che, superate le questioni che ancora ci possono separare, si aprirà per i nostri due paesi un'era di intima collaborazione.

Penso che obiettivamente questa sia la realtà delle cose. Ma penso anche che la Francia vuole sfruttare la nostra attuale situazione di inferiorità per soddisfare le proprie ambizioni. Il problema è quindi duplice: ridurre al massimo il margine di quelle ambizioni con una politica di saggia fermezza che faccia intendere alla Francia come esse potrebbero pregiudicare la sostanza di un accordo profondo con il nostro paese; in secondo luogo dare sempre potente rilievo al nostro desiderio di arrivare a questo accordo. Ritengo che la Francia non sacrificherà una politica di accordi con il nostro Paese alle sue velleità annessionistiche, almeno nella forma. immoderata che hanno preso in questi ultimi tempi. Essa pensa che, cavato il dente e calmato il dolore, l'Italia si accorderà con la Francia. Bisogna farle inkndere che le sue pretese, qualora fossero realizzate, strapperebbero non un dente, ma un lembo vivo della nostra carne e che la ferita non si rimarginerebbe più. È quel che dirò al presidente Jeanneney, è quello che da Roma si dovrebbe dire in modo ben più autorevole ed efficace.

L'interesse per le cose d'Italia aumenta in Francia di giorno in giorno. L'epopea dei partigiani, anche se è stata volutamente trascurata dai giornali, ha colpito profondamente lo spirito delle classi dirigenti. È avvenuto qualcosa di analogo a chi, scettico e ironico, chiamato ad assistere all'inaugurazione di un monumento che crede essere uno sgorbio, caduto il velo che lo copriva, si trova di fronte a un capolavoro. Gli uni ammirano gli altri criticano con una punta di gelosia, ma tutti in cuor loro sono sbalorditi e in fondo commossi.

Credevano di assistere all'ultimo atto della Tosca e si sono trovati di fronte alla grandiosità di un dramma di proporzioni storiche. I francesi che non sono insensibili alla grandezza l'hanno capito. In questo senso il prestigio del nostro Paese si è incomparabilmente accresciuto e questo faciliterà il mio non facile compito.

210

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. URGENTE 613/221. Bruxelles, 19 maggio 1945 (per. il 30).

Mio telespresso n. 177/64 in data 13 aprile 1945 1•

Il 27 aprile u.s., questo incaricato d'affari del Lussemburgo venne a comunicarmi verbalmente, con riserva di confermarlo con note ufficiali, che il governo granducale aveva ricevuto con particolare piacere la richiesta del governo italiano di ristabilire le relazioni diplomatiche fra i due Paesi, ed era d'accordo perché a ciò si procedesse quanto prima.

Uguale gradimento veniva dato alla nostra richiesta che, nell'attesa dello scambio dei rappresentanti diplomatici, l'incaricato d'affari d'Italia a Bruxelles si occupasse di fatto della tutela degli interessi italiani e della collettività italiana nel Granducato.

Con nota in data 16 corr., della quale accludo copia (allegato A) 2 egli mi ha dato conferma ufficiale di quanto precede.

Verbalmente, il sig. Majerus mi ha confermato che il governo lussemburghese a Londra aveva a suo tempo dichiarato guerra all'Italia ma non ha fatto in proposito alcuna riserva o pregiudiziale nei riguardi della ripresa delle relazioni diplomatiche.

Nel corso della conversazione egli mi aveva però comunicato il desiderio del suo governo che il sig. Colombo, già facente funzioni di cancelliere della R. legazione in Lussemburgo, non sia mantenuto in quelle funzioni, pur rilevando che non esistono a suo carico addebiti di sorta (vedi allegato B al punto 3) mi ha confermato quanto precede con la lettera confidenziale del 16 corr. (allegato C). Ciò pone una doppia questione: quella di mandare un altro cancelliere a Lussemburgo, e quella di provvedere alla definizione della situazione del Colombo che risulta essere un buon elemento, capace, onesto. Il Colombo versa in gravissime condizioni economiche da quando non riceve più stipendio. Il nunzio, che lo ha veduto e lo conosce da molti anni, me ne ha parlato con stima e lode e mi ha detto che, sprovvisto com'è di beni personali, non ha di che vivere ed è costretto a vendere le sue poche cose per tirare avanti. Suggerirei di trasferirlo ad altra sede che non sia in Belgio o in Francia e di accordargli intanto un congruo sussidio che potrebbe essere prelevato dai fondi attualmente in deposito presso la Banca Generale del Lussemburgo. Prego codesto ministero di telegrafarmi istruzioni al riguardo.

In quanto alla situazione in Lussemburgo della nostra collettività, degli immobili e degli uffici consolari, accludo (all. D) una relazione del sig. Colombo in data 15 aprile u.s. Per quanto si riferisce, infine, alla organizzazione della rappresentanza diplomatico-consolare in Lussemburgo, ignoro quali siano i propositi di codesto ministero. Mi permetto di far presente che un modo soddisfacente

I Vedi D. 125. 2 Gli allegati non si pubblicano.

ed economico di risolverla potrebbe essere quello di accreditare anche quale ministro in Lussemburgo l'ambasciatore in Bruxelles (come è in fatto da parte della Santa Sede, dell'Inghilterra, degli Stati Uniti e di quasi tutti gli altri Paesi) facendo risiedere stabilmente a Lussemburgo un segretario di legazione incaricato di reggere la cancelleria consolare, e con qualifica di incaricato d'affari a.i.

Resto in attesa di conoscere le istruzioni di codesto ministero circa le comunicazioni da fare a questo incaricato di affari del Lussemburgo per ultimare gli accordi sulla ripresa delle relazioni diplomatiche e concertarne l'annunzio ufficiale.

Mi propongo di recarmi a Lussemburgo appena possibile.

211

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 257/69. Mosca, 20 maggio 1945 (per. il 12 giugno).

La stampa sovietica nel corso di questa ultima settimana, sta mostrando un aperto nervosismo circa i piani degli Alleati nei riguardi della Germania. Speciale nervosismo si mostra per quello che la stampa sovietica chiama «l'incidente Doenitz», che, in altre parole, esprime il timore che gli anglo-americani stiano pensando di servirsi di lui e di altri del suo genere per la creazione di un governo tedesco: è evidente che la frase di Churchill «noi non abbiamo intenzione di prenderei la responsabilità di amministrare la Germania» qui non è piaciuta: non piace che gli anglo-americani stiano -e questo appare evidente -procedendo nella Germania da loro occupata, per conto loro, senza consultarsi col governo sovietico (ossia come i russi hanno fatto in altri Paesi), e piace ancor meno che, con la formazione di un governo tedesco, gli anglo-americani stiano prendendo un foglio dal libro russo.

Il problema del futuro della Germania, è, oggi, per i russi il problema centrale. Si accorgono oggi di essere andati troppo in là colla propaganda dell'odio, della distruzione della Germania e di avere ottenuto questo risultato. Ancora nel 1943, nella Germania vecchia scuola, nell'esercito specialmente, c'erano almeno molti che pensavano che il grande errore di Hitler era stato quello di gettarsi contro la Russia e, probabilmente, il caso Seydlitz ne è un chiaro esempio, ritenevano che la salvezza della Germania potesse essere in un ritorno alla politica tradizionale prussiana di amicizia con la Russia. Oggi la situazione sembra capovolta: tutta la Germania, per salvarsi dai russi, si precipita ad arrendersi agli anglo-americani.

Il nervosismo dei russi è tanto più forte in quanto:

l) la capitolazione tedesca si è verificata in condizioni spiacevoli per i russi, lasciando in mano degli anglo-americani la parte più grande e più importante, sotto tutti i punti di vista, della Germania: prigionieri, personalità politiche più in vista, popolazione, industria, tutto è a vantaggio degli anglo-americani. I russi possono rispondere creando un governo democratico tedesco a Berlino, ma questo governo avrebbe dalla sua il solo vantaggio di sedere nella capitale del Reich.

2) La «questione tedesca» si apre in un momento in cui la tensione fra gli Alleati è al massimo; è chiaro, fra le righe della stampa, che qui si teme che da parte ànglo-americana si voglia ricreare una Germania sufficientemente forte, in funzione anti-sovietica, e, anzi, prevedendo che la tensione possa acutizzarsi fino al conflitto, più o meno aperto, che essi mirino a tenere sotto mano una forza tedesca, pronta ad essere adoperata contro l'U.R.S.S. Non per nulla si ricordano, marcatamente, le offerte di cooperazione anti-sovietiche fatte dai generàli tedeschi a Foch nel 1918.

La stampa sovietica cura, evidentemente, di mobilitare l'opinione pubblica di sinistra dei paesi anglo-americani e di tutti gli altri, richiamandosi alle decisioni della Conferenza di Crimea, al periodo del fascismo, alla reazione che ha rilevata la testa, ma è anche evidente che non sanno bene che cosa fare.

Corre voce qui che Stalin sia furente contro tutti quelli che accusa di essere andati troppo in là nella politica anti-tedesca: sono voci da accogliersi con moltissima cautela, poiché l'esperienza mi insegna che tutto quello che accade intorno a Stalin è un segreto troppo ben guardato perché qualcosa ne possa realmente trapelare. .

Cito soltanto un fatto abbastanza curioso: il 7 corrente Litvinov, nell'annunziarmi che l'armistizio colla Germania era stato firmato lo stesso pomeriggio a Reims, mi ha detto che l'annuncio al popolo sarebbe stato dato da Stalin, alla radio, alle 22. In realtà l'annuncio è stato dato alle ore 2,30 a.m. del giorno 9. Mi è stato detto che Stalin ha rifiutato l'edizione della vittoria dei giornali perché troppo an ti-tedesca: ha rifiutato una seconda edizione già più moderata: ne è finalmente uscita fuori una pubblicazione anodina -il che è esatto -dove gli spazi vuoti sono stati riempiti da immense fotografie di Stalin, Churchill e Truman. Questa storia può non essere esatta in tutti i suoi dettagli. La ritengo però tuttavia abbastanza caratteristica di uno stato d'animo d'incertezza sul da farsi nei riguardi della Germania. Nel mio rapporto n. 165/24 del 30 aprile 1945 1 riferivo a V.E. come, a mio avviso, gli avvenimenti tedeschi davano agli anglo-americani la possibilità di esercitare una pressione sui russi, a condizione che se ne sapessero servire: i fatti sembrerebbero dimostrare che essi se ne vogliono servire.

Quello che da qui non è chiaro -la stampa sovietica per gli avvenimenti internazionali è uno specchio molto distorto -è quanto questa presunta politica degli alleati in Germania corrisponda poi alla realtà. Ancora meno chiaro poi è se gli anglo-americani mirino realmente alla ricostituzione di una Germania forte, in funzione di barriera anti-russa, a difesa delle loro posizioni del sistema atlantico, riconoscendo che, senza una Germania forte, i Paesi del sistema atlantico, anche se messi tutti insieme, non sarebbero in grado di resistere efficacemente ad una espansione russa. O se invece si tratti soltanto di una manovra anglo-americana, intesa ad obbligare la Russia a rivedere le sue posizioni in tutta una serie di questioni.

l Vedi D. 160.

Se la prima interpretazione è esatta, assisteremo ad un irrigidimento della politica russa nella sua zona d'influenza: ad un aumento delle ingerenze russe nella loro politica interna, e delle tendenze a legarli alla Russia, con legami sempre più saldi, in tutti i sensi: allo stesso tempo assisteremo anche ad una attivazione, in quanto questo è possibile alla Russia, di tutte le forze di sinistra nei Paesi liberati e negli stessi Paesi anglo-sassoni: e la reazione russa può andare molto lontano.

Se la seconda interpretazione è invece esatta, le concessioni che l'U.R.S.S. è disposta a fare per eliminare questo nuovo pericolo tedesco, saranno certamente non indifferenti.

Va però tenuto presente che, nella determinazione della politica sovietica, spesso, quello che i russi ritengono essere la realtà, ha più importanza che la realtà stessa.

Accludo nel loro originale alcuni dei più importanti articoli di questa stampa sull'argomento 1•

212

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 3852/122. Washington, 21 maggio 1945 2 (per. ore 9 del 23).

Questo pomeriggio al Dipartimento di Stato mi si è accennato al desiderio di conoscere dettagliato punto di vista italiano circa futura regolamentazione finale della questione della Venezia Giulia. Probabilmente, quando calma sarà riportata nella regione -e al riguardo ho molto insistito su necessità insediamento già previsto amministrazione militare alleata -Washington si rivolgerebbe a Roma e a Belgrado chiedendo esprimere propri giustificati desiderata. Per quanto ci riguarda, conversazioni potrebbero svolgersi costà o forse qui.

Mi si è quindi accennato dichiarazioni anche pubbliche recentemente fatte costà circa revisione frontiera 1939, come pure alla composizione etnica popolazione litorale e dell'interno e agli studi qui fatti dopo altra guerra che portarono alla nota posizione americana imperniata sulla «linea Wilson». Per quanto riguarda porto Trieste si è accennato a necessità di ampie facilitazioni commerciali Stati interessati.

Ho aderito per parte mia personalmente a tale ultimo accenno, fornendo cifre circa commercio vari [Stati] cui Jugoslavia partecipa in modo esiguo. Circa altre questioni ho risposto sulle generali osservando che Jugoslavia dovrebbe per parte sua, rivedere proprie esageratissime rivendicazioni e consentire sacrifici corrispondenti a quelli cui potrebbe indursi nuova Italia democratica in [proporzione] anche sempre assai dolorosi, e che potrebbero esser giustificati soltanto dalla necessità di

l Non si pubblicano. 2 Inviato il 22 maggio, ore Il ,30.

contribuire ad una reale pacificazione europea e ad una definitiva regolamentazione tra Roma e Belgrado, da molti mesi da noi vivamente auspicata. Sarei grato a V.E. voler, se ritenuto opportuno, inviarmi istruzioni per mia norma di linguaggio, questione potendosi anche presentare con carattere d'urgenza.

Pregherei altresì inviarmi documentazioni dettagliate circa precedenti regimi porto franco Trieste nonché vari accordi conclusi· con Stati successori impero austro-ungarico.

213

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 244/84. Parigi, 21 maggio 1945 (per. il 12 giugno).

Faccio seguito al mio rapporto del 19 corrente1 per rendere conto dei termini e della portata del colloquio da me avuto questa mattina col presidente Jeanneney. Come precedentemente ho illustrato intendevo esprimere con forza l'emozione che il comunicato di «France Presse» presentato da molti giornali e particolarmente da Monde come un comunicato di questo governo, aveva provocato presso il governo e il popolo italiano.

Il presidente Jeanneney ha ascoltato con vera deferenza la mia lunga e completa esposizione. Ho creduto opportuno parlare con la massima franchezza affinché nessun dubbio permanesse circa la nostra posizione sul delicato problema delle frontiere. Prendendo le mosse dalla nota dichiarazione verbale fatta dal generale de Gaulle al nostro segretario generale Prunas 2 per cui la Francia non soltanto intende rispettare la nostra integrità territoriale, ma intende che sia rispettata anche dalle altre Potenze ho affermato il mio stupore e la· mia emozione alla lettura del noto comunicato in cui precisamente la nostra integrità territoriale viene messa in discussione. L'Italia, ho affermato, ha fatto un gesto meditato grave e solenne il giorno in cui ha accettato la decadenza della convenzione del '96 che tutelava gli interessi di oltre 100.000 connazionali, i quali hanno con il loro lavoro e col loro ingegno contribuito alla prosperità della Tunisia. Questo atto l'Italia lo ha compiuto come pegno di una rinnovata e profonda intesa con la Francia. Ma l'Italia era convinta che nel quadro di quella evidente volontà di addivenire ad un accordo sincero tra i due popoli non sarebbero sorti problemi di natura tale da turbare un processo di riavvicinamento così felicemente iniziato con il noto scambio di lettere tra il generale de Gaulle e il presidente Bonomi3.

Ho fatto notare al presidente Jeanneney come sarebbe assurdo dubitare delle reali intenzioni della democrazia italiana. Ho accennato allo spirito del Ri~orgi-

I Vedi D. 209. 2 V~i serie decima, vol. I, D. 280. 3 Védi DD. 57 e 66.

mento che ha presieduto e presiede alla nostra lotta di liberazione nazionale e alla nostra rinascita democratica. Gli ho detto che un fremito di patriottismo scuote oggi la penisola, ma non era certo un grande francese come lui, Jeanneney, che avrebbe potuto fraintendere il significato di questo fenomeno così frequente nella gloriosa storia di Francia perché il sentimento di patria è avvivato da ogni moto di riscossa democratica. Assurdo sarebbe confondere questo amore per la propria terra e questa volontà di vederne rispettati i confini segnati dalla storia e dalla natura con non sappiamo quale rigurgito di nazionalismo di cui invece sono la negazione radicale. Di qui l'emozione per ogni atto o parola intesi a offendere l'integrità territoriale. Mentre l'Italia, gli ho detto, si trova a lottare duramente per difendere i suoi sacrosanti diritti sulla Venezia Giulia e su Trieste per la cui liberazione ha combattuto una guerra e ha sacrificato 600.000 dei suoi figli è con doloroso stupore che essa vede sorgere anche per le frontiere dell'ovest una più o meno vaga minaccia. E ciò tanto per l'offesa immediata che ne risulta quanto per l'alibi che un tale atteggiamento della Francia potrebbe costituire a favore delle assurde pretese jugoslave.

Passando all'analisi del noto comunicato ho detto di aver notato in esso due cose. La prima è la volontà della Francia di procedere a una rettifica di frontiere in ragioni di necessità strategiche. La seconda è l'accenno ai villaggi italiani di lingua francese, che è stato interpretato da Monde in modo preoccupante come un'ipoteca plebiscitaria stabilita sulla valle d'Aosta e sulla valle del Pellice.

Sul primo punto ho fatto notare quanto la geografia fosse già stata matrigna per l'Italia e generosa con la Francia. Dall'attuale frontiera al Rodano corrono duecento chilometri; poche decine invece la separano dalla pianura padana etc. etc.

E addirittura grave mi pareva l'argomento per cui le ventilate rettifiche di frontiera non avrebbero sottratto all'Italia che una superficie minima di territorio ed un numero esiguo di abitanti. Assumendo un tono quasi scherzoso gli ho detto «cosa pensereste voi francesi se l'Inghilterra vi chiedesse una testa di ponte sulla Manica anche di poche decine di chilometri quadrati? Ricordatevi di Calais che per due secoli ha avvelenato i vostri rapporti con l'Inghilterra».

Sul secondo punto sono stato anche più categorico. È vero che nelle valli del Pellice abitano popolazioni italiane di lingua francese come abitano popolazioni italiane di lingua francese nella valle d'Aosta, ma fin dagli albori dell'Europa sorta dal crollo dell'Impero romano la storia di queste valli e di queste popolazioni è politicamente una con quella del Piemonte.

A questo proposito ho citato il noto atteggiamento dei valdostani di fronte a Francesco I durante la guerra d'Italia e l'attaccamento di quelle popolazioni per la loro piccola patria piemontese prima, per la grande patria italiana dal Risorgimento in poi. L'idea di ricorrere a un plebiscito per conoscere la volontà di queste popolazioni non avrebbe maggiore senso che ricorrere allo stesso procedimento per conoscere la volontà dei cittadini di Milano, di Roma e di Parigi. Perché -ho aggiunto -non voglio neppure prospettare l'ipotesi di un plebiscito nel solco di un esercito di occupazione. Tanto varrebbe in tal caso parlare di annessione esattamente come è stato fatto, purtroppo, dal maresciallo Tito. E allora perché lasciare che questi problemi assurdi turbino non soltanto un fecondo processo di fiavvicinamento tra i nostri due popoli, ma feriscano questa generosa rinascita democratica italiana da cui tanto ha da attendere la Francia e l'Europa?

L'Italia, ho concluso, vede con gioia risorgere la grandezza francese. Essa segue con ammirazione lo sviluppo di una politica intesa a saldare l'orieate con l'occidente. Nel quadro di questa politica l'Italia intende lavorare per favorire quel raggruppamento di libere nazioni che con tanta lucidità è preconizzato dai governanti di questo Paese. Ma essa chiede che non si sollevino problemi tali da turbare questo processo e soprattutto non si soffochi la sua volontà di addivenire a un accordo sempre più intimo con la Francia come è nei suoi voti più profondi.

Il presidente mi ha ascoltato, ripeto, con vivissima attenzione e con deferenza annuendo a parecchi punti della mia esposizione. Così il presidente mi parve convenire con me all'accenno sul carattere «giacobino» del patriottismo dell'Italia democratica; all'accenno su Calais; a quello dell'italianità delle valli d'Aosta e del Pellice etc. etc.

La sua risposta brevissima fu improntata alla più squisita cortesia e formulata con un tono che non esiterei a definire più che cordiale affettuoso. Essa si sintetizza in tre punti:

l -Il presidente Jeanneney premette che il comunicato di «France Presse» non è un comunicato del governo. Se dei giornali come Monde lo hanno presentato come tale si tratta di un errore che il presidente definisce materiale.

2 -Il presidente afferma che la politica del governo francese improntata al desiderio di migliorare sempre più i rapporti con l'Italia non è mutata ed anzi è suo intendimento vederla proseguita e coronata da successo.

3 -Il presidente -e questa è l'affermazione più importante -dichiara che la Francia ha ragione di essere addolorata per il fatto che nei rapporti tra Francia e Italia siano intervenute e intervengano Potenze la cui intromissione può essere ritenuta indiscreta.

Egualmente la Francia ha motivo di dolersi per il fatto che nell'at:mistizio avvenuto a Caserta essa non sia stata consultata. Anche per la questione di Trieste essa non è stata consultata e «vi assicuro -ha detto testualmente il presidente che su questa questione il nostro punto di vista non è forse molto diverso dal vostro». In conclusione il presidente ha prospettato l'opportunità di iniziare direttamente tra la Francia e l'Italia delle trattative intese a regolare le questioni che potessero esistere tra i due paesi. Il presidente ha detto che ~gli lascerà forse fra poche ore il suo posto di ministro degli Esteri ad interim, ma che personalmente pensa di poter continuare a mantenere con me dei contatti utili n~ quadro delle· trattative che dovrebbero iniziarsi tra i nostri due paesi.

L'impressione generale che ho riportato da questo incontro è che la Francia, come ho detto nel rapporto del 19 corrente, ricerca sinceramente un accordo con il nostro Paese. Le affermazioni sul carattere non ufficiale del comunicato e quella sull'opportunità di aprire trattative dirette con esclusione di intromissioni «indiscrete» confermano questa opinione. Sul fondo del problema il presidente non ha formulato nessun giudizio, ma sulla procedura immediata da seguire per esaminare l'insieme dei rapporti tra i nostri due Paesi è stato esplicito e penso che sia opportuno accettare la procedura di discussione che ci viene offerta. Tra gli argomenti da me addotti per distruggere quelli di questa stampa a proposito della difesa della lingua francese parlata nelle valli d'Aosta e del Pellice ho fatto presente le note dichiarazioni del presidente Bonomi intorno al rispetto delle autonomie culturali. Il presidente, quantunque non ne avessi fatto alcun cenno, mi ha assicurato che oggi o domani riceverò un memorandum completo sulla questione dei prigionieri 1• Mi assicura che, se non si è potuto dare soddisfazione a tutte le richieste da me formulate a suo tempo, si è fatto quanto era possibile per venire incontro ai punti di vista del governo italiano.

Per la questione dei consolati di Marsiglia e di Nizza il presidente ha dichiarato che aveva investito della cosa gli uffici competenti.

Il colloquio è durato 40 minuti.

Domani avrò un colloquio col presidente Léon Blum.

Ho l'impressione che il ghiaccio sia rotto e che potrò iniziare un'azione di utili contatti.

214

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 3849/185. Mosca, 22 maggio 1945, ore 12,45 (per. ore 9 del 23).

Sviluppi questione Trieste sono seguiti in tutti gli ambienti sovietici con evidente nervosismo. Sul corso conversazioni russo-anglo-americane in proposito nulla di preciso è trapelato: qui sembra che conversazioni si tengano Londra e Washington, ambasciatori Inghilterra e U.S.A. non essendo rientrati a Mosca insieme a Molotov ritengo volutamente. Ambienti yugoslavi di qui continuano assicurare che non si ritireranno senza combattere. Mentre impressione generale è che tentativo jugoslavo fatto compiuto abbia avuto piena approvazione Mosca, regna molta incertezza se russi siano realmente disposti appoggiare jugoslavi fino in fondo.

Situazione molto delicata poiché se anglo-americani riusciranno far indietreggiare jugoslavi, ciò costituirà sensibile colpo prestigio Russia con notevoli ripercussioni su tutti gli Stati satelliti. Mia impressione è piuttosto che russi in questa fase non ripeto non appoggeranno jugoslavi fino in fondo, pur riservandosi fare impossibile per ottenere loro soddisfazioni in altra sede. Opinione generale è che atteggiamento jugoslavo abbia prodotto considerevole spostamento simpatie in favore nostra tesi, Russia eccettuata naturalmente.

l Il memorandum fu invece inviato l'Il giugno e trasmesso da Saragat allegato al Telespr. 774/208 del 12 giugno, non pubblicato.

215

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, REALE, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 2807/163. Roma, 22 maggio 1945 1•

Suoi 248, 249 2 , 2583.

Ringrazi Foreign Office per cortese intervento che vivamente apprezziamo. Non sfuggirà V. E. importanza che ha per noi e per tutti, oggi più che mai, energica presa di posizione contro ogni politica di colpi di mano e di forza, da qualunque parte provenga. È un principio la cui integrità deve essere difesa in ogni circostanza. È bene d'altra parte che Foreign Office sappia che conversazioni circa regime italiani Tunisi sono state condotte dalle due parti sul presupposto che questo e basta era il solo serio ostacolo ad un riavvicinamento itala-francese. Né mai ci furono fatte allusioni a rivendicazioni territoriali, né a rettifiche di frontiere. Il generale de Gaulle ebbe anzi a dichiarare esplicitamente e nettamente che la Francia intende rispettare l'integrità del territorio italiano e vederla rispettata.

Sta di fatto che truppe francesi tuttora non si muovono, compiono atti di sovranità e di propaganda non amichevoli, mentre si agitano sulla stampa parigina rivendicazioni varie.

È dunque questione che va sorvegliata da vicino, non fosse che col proposito di impedire che l'atmosfera dei rapporti itala-francesi ne ridiventi torbida, ciò che sarebbe contrario ad ogni nostro proposito.

Conto dunque sulla sua ulteriore azione in proposito.

216

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

T. 2854/326. Roma, 24 maggio 1945.

È stato comunicato verbalmente ad ambasciata Spagna che da parte nostra si è pronti iniziare trattative al più presto per sistemazione debito guerra.

Si è soggiunto per altro in via amichevole che recente inaspettato atteggiamento spagnolo circa sequestro beni italiani rende sempre più difficile contenere spinta taluni gruppi politici italiani che mirano a rottura rapporti fra due Paesi.

Soltanto completa chiarificazione di questa seconda questione, oltreché pratica comprensione spagnuola prima, permetterebbero equilibrare situazione.

Quanto precede per vostra riservata norma di linguaggio e di azione.

I Inviato il 24 maggio, ore Il.

2 Vedi D. 199.

3 T. 3786/258 del 18 maggio: assicurazioni del governo di Parigi al Foreign Office che le truppe francesi saranno ritirate al più presto dai territori italiani di confine.

217

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 3922/192. Mosca, 25 maggio 1945 1 (per. ore 14 del 27).

Mio telegramma 185 2• Opinione prevalente circoli slavi «amici» è che ormai Russia non sia ripeto non sia disposta appoggiare Jugoslavia in questa fase questione nostri confini.

Colpo di mano jugoslavo sarebbe stato fatto con conoscenza e approvazioni russe nella speranza che non si sarebbe incontrata decisa opposizione anglo-americana: attualmente sarebbe stato dato consiglio a Belgrado di cedere il meno possibile ma di evitare comunque aperto conflitto. Russia però si ripromette sostenere a fondo tesi jugoslava nelle discussioni che avranno luogo fra i tre per risoluzione definitiva nostri confini. Ritengo informazioni di cui sopra verosimili allo stato attuale della questione. Per mie possibili conversazioni qui mi sarebbe utile avere qualche informazione su reazioni anglo-americane a passo di cui al telegramma di

V.E. 1463 qualora V.E. creda possibile ed opportuno fornirmene.

218

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. 4001 /2091Ec. Roma, 25 maggio 1945.

On 18 April in my letter 40011Ec4 , I invited Your Excellency's attention to paragraph three of the aide-memoire left with you on 24 February by Mr. Macmillan and myself5 . This paragraph required that the Italian Government keep the Allied Commission informed of any negotiations in which it might engage with other governments and suggested that a periodic summary be furnished of all negotiations completed and pending with other governments.

In reply I received a letter from your Minister of Foreign Affairs (reference 3/685, dated 30 April)6 , which stated that all discussions of an economie character

l Inviato il 27 maggio, ore 2,07. 2 Vedi D. 214. 3 Vedi D. 184, nota l. 4 Vedi D. 132. s Vedi D. 68. 6 Vedi D. 158.

pass directly throught the Allied Commission sub-commission concerned and Allied Commission was thus perfectly well informed. In addition it was stated that negotiations of a politica! character are published in the official communiqués and newspapers at the time they are completed.

This summary handling of the problem is not satisfactory. I must request that in compliance with the intent of the aide-memoire which you and your Government agreed, the Commission is to be kept continually and directly informed of ali negotiations either concluded or pending and, further, that the information be passed on directly to this office. The Commission does not expect to accumulate this intelligence through perusal of the official communiqués and published newspaper announcements. This is an obligation of the Italian Government to the Commission, and I must request that it be carried out in a correct and formai manner1 .

219

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 1162 . Roma, 26 maggio 1945.

The Embassy of the United States of America presents its compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs and with reference to the letter l /504, addressed to the American Ambassador under date of September 12, 19443 , by the Undersecretary for Foreign Affairs in which the request was made that Italy be enabled to participate in the Arrnistice which would be imposed on Germany by the United Nations, has the honor to inform the Royal Ministry that this request has given sympathetic consideration by the Government of the United States in consultation with the British Government.

In consequence, the Italian Government is invited to submit its views informally with regard to German surrender arrangements to the representatives in Rome of the American, British, Soviet and French Governments for consideration and eventual submission to the European Advisory Commission 4 . It is understood of course that the Allied Governments can accept no obligation as regards the possibility of giving effect to the Italian Government's views.

l Questa lettera fu comunicata il 30 maggio da Bonomi a De Gasperi con il seguente biglietto autografo: «Vedi il tono con cui Stone risponde alla tua del 30 aprile. Occorrerà replicare». L'Il giugno Stone inviò a Bonomi la seguente lettera 40011211/Ec: «Con riferimento alla mia lettera 4001/209/Ec del 25 maggio 1945, avrei piacere di avere una conferma da parte di V.E. che ella si rende pienamente conto degli obblighi che il governo italiano ha in merito verso la Commissione Alleata».

2 Analoga nota verbale venne inviata dalla rappresentanza britannica il 29 maggio col n. 336/19/45.

3 Vedi serie decima, vol. I, D. 400.

4 Vedi D. 294.

220

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 2155. Londra, 25-26 maggio 1945.

Permettimi di dica che hai reso un grande servizio al Paese con la tua perfetta presa di posizione nella questione di Trieste 1• Nessuno può essere meglio di me testimonio (avendo qui seguito il movimento di opinione pubblica chiaramente riflesso dalla stampa) della favorevole reazione che ne è seguita nel giudizio comune ed in quello degli elementi responsabili. Questa opinione, inizialmente favorevole a priori alle prime pretese di Tito, ha compiuto ora un'ampia conversione a nostro favore. La reazione apparente è ai metodi di Tito; ma anche nel merito la nostra posizione è considerata più favorevolmente. Mi risulta che Macmillan ha caldeggiato efficacemente la presa di posizione anglo-americana la quale non poteva essere più decisamente impostata. Le brusche dichiarazioni di Alexander hanno incontrato il generale favore. La lettera comparsa sul Times del 23 corr. a firma di «Un soldato inglese reduce dalla Jugoslavia» (vedi nostro telespresso odierno) 2 , la quale fa provvidenziale seguito a quella da me provocata da parte del prof. Trevelyan, è qui attribuita al figlio di Churchill. L'ipotesi è avvalorata dal fatto che il Times non usa pubblicare lettere non firmate. Questa eccezione rivela una particolare considerazione per il mittente solo formalmente anonimo.

Ti ripeto, ottima impressione hanno fatto qui le tue dichiarazioni. È questo un argomento che mi è di valido aiuto come prova della misurata ponderazione, della dignitosa fermezza con cui l'Italia sa oggi affrontare simili situazioni, della sua determinazione ad adottare i soli metodi ed accenti conciliabili con un superiore concetto di convivenza internazionale. Tito ci ha reso un enorme servizio fornendoci l'occasione di provare e di mettere a paragone la nostra superiorità. Questi sono punti sostanzialmente guadagnati e come italiano e come tuo collaboratore ti sono grato di aver impostato questa difficile partita con tanta equilibrata saviezza.

Io continuo ad adoprarmi in ogni senso per mettere in evidenza questo nuovo confortante aspetto della vita italiana. È un tasto a cui l'opinione di qui risponde nel modo migliore. Speravo che la miserabile faccenda francese fosse sistemata dopo le assicurazioni di intervento inglese datemi dal Foreign Office e di cui ti ho telegrafato3 . Vedo però che i francesi si arenano sulla buona strada e ritorno alla carica. Purtroppo Richard Law e Harvey sono assenti fino a lunedì. Eden è rientrato da San Francisco. Ma come vederlo in questi giorni? La crisi del governo e le prossime elezioni creano qui una situazione anormale che rende difficili i contatti. Ho fatto dire a Eden che scelga lui il giorno in cui potrà ricevermi con una certa

1 Allude alla posizione assunta il 3 maggio dal governo italiano. Vedi D. 174. 2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 215, nota 3.

disponibilità di tempo perché le questioni da prospettargli sono molte: dalle particolari, alla generale riguardante la improrogabile necessità di normalizzare la posizione internazionale dell'Italia. Il nuovo governo è di imminente formazione ed i contatti non tarderanno quindi ad essere di nuovo possibili. Ma in questi giorni mi sento sospeso nel vuoto. Intanto continuo i più ampi contatti con uomini rappresentativi di ogni tendenza. Compio un lavoro che non so fino a che punto sia efficiente, ma che è continuo e, spero, in the long run produttivo. Per ora la mia e quella dei miei collaboratori è pura fatica, senza conforto di tangibili immediati risultati. L'ambasciata è praticamente aperta. Ricevo e invito nei locali che ho decorosamente sistemati a pianterreno ministri, personalità politiche e uomini appartenenti ad ogni ceto sensibile. E tutti gradiscono di essere convitati in questa casa italiana. È un progresso che ha il suo significato ed avrà il suo effetto.

Ho ricevuto la tua circolare raccomandante le più strette economie 1 . Stringo i freni, ma non è certo il caso di ridurre il personale di questa ambasciata. Il massimo che posso fare è di accontentarmi, per ora, di quello che ho a disposizione e di sottoporlo alla massima resa di lavoro. Al che tutti si prestano con esemplare buona volontà. Per il disbrigo delle innumerevoli pratiche dei prigionieri di guerra, ho aperto un ufficio presso il campo 122 nelle vicinanze di Londra. L'ufficio, tutto composto di prigionieri, funziona bene e con limitata spesa. Sto premendo continuamente per risolvere la questione dello status dei prigionieri e non dispero di giungere ad una soluzione. Ma è un calvario. Per che tu sappia come stanno le cose, ti accludo copia di un messaggio ai prigionieri in cui, per dar loro un qualche incoraggiamento, tocco nel modo più moderato la questione del rimpatrio e del cambiamento di status. Nonostante la estrema cautela delle espressioni, il Foreign Office ed il War Office hanno trattenuto in osservazione il documento e ... ne attendo l'approvazione. Ho imparato cosa sia la pazienza.

Per i nostri prigionieri e deportati in Germania sono in continuo contatto con sir George Rende! che è preposto a questi affari. È persona molto amica dell'Italia e talmente seria da farmi veramente confidare nella efficacia, compatibilmente con il caos che regna in Germania, del suo intervento. Per quanto riguarda la attuale posizione dell'Inghilterra di fronte alla nuova situazione che si determina nel mondo, per quanto ancora riguarda i riflessi che ne derivano nella politica interna, lo scioglimento del governo di coalizione e le prossime elezioni, ho incaricato Manzini, che ha mente particolarmente acuta, di preparare un ampio e dettagliato rapporto che seguirà col corriere di mercoledì prossimo.

Non ti nascondo però che se l'ambasciata dovrà assolvere a tutti i compiti che le spettano, e sovratutto a quello gravosissimo della stampa, prima o poi occorrerà rivedere gli organici e completarli razionalmente. Per ora tiriamo a campare.

Churchill conduce la barca con grande energia e gode qui di un ascendente che avrà decisiva influenza sull'esito delle elezioni. Si voterà· non tanto per il partito conservatore quanto per Churchill. E questa è una grave ragione di inferiorità per gli altri partiti. Le previsioni nei vari campi sono assolutamente contradittorie. I

l Non pubblicato.

301 laburisti contano fortemente sul generale movimento verso sinistra che consegue alla guerra e sono fiduciosi in un loro successo. Ma la differenza di statura fra Attlee (che sarebbe primo ministro in caso di vittoria laburista) e Churchill è tale da far riflettere seriamente anche molti simpatizzanti laburisti. Il perdurare della guerra in Estremo Oriente, le difficili relazioni con la Russia, fanno sì che la maggioranza degli inglesi guardi a Churchill come al solo condottiero capace di misurarsi con queste incognite. L'inquietudine verso l'atteggiamento della Russia è crescente ed i legami con l'America ne risultano rinsaldati. Dico inquietudine verso la Russia e non ostilità verso la Russia, perché vedendo le cose con obiettività, bisogna riconoscere che l'opinione generale punta con convinzione sulla necessità di un pieno accordo fra i Big Three come alla sola prospettiva dell'avvenire. Su questa via l'Inghilterra si manterrà con fermezza eguale a quella con cui si dispone a difendere i principi di democrazia e di libertà per cui si è battuta e si batte.

Ai fini della creazione di un nuovo equilibrio europeo l'amicizia dell'Italia prende qui un crescente valore. Rientriamo automaticamente nel gioco e tanto più conteremo quanto più avremo peso reale e cioè stabilità politica, ordine interno, energia ricostruttiva e volontà di collaborazione internazionale. Ai fini di questa valutazione della nostra capacità si guarda con ansia a noi e si segue con simpatia ogni nostro progresso sulla via della nostra normalizzazione e rinascita nelle sane forme e nella sostanza di una sentita e praticata democrazia 1 . Non è più questione di attendere graziose concessioni. È venuto il tempo ed abbiamo modo di conquistare da noi e di esigere con prove concrete di capacità la posizione a cui aspiriamo. Questo dovrebbero comprendere le correnti agitatorie, rendendosi conto che la nostra sistemazione interna è condizionata alla nostra sistemazione internazionale e che vanamente si tende alla prima se non si cura con la debita consapevolezza la seconda. Questa è la ragione per cui seguo con ansia crescente gli eventi che si maturano in Italia. Seguo le tue peregrinazioni da Roma a Trento, a Milano. Seguo quelle dei miei amici e immagino le difficoltà ed i pericoli. Penso con quale emozione avrai rivisto i tuoi paesi. Io mi sento così lontano da tutto. Indovino, più che non comprenda, quello che sta succedendo. Questa ponderata preparazione del nuovo governo è giudicata qui come buon sintomo e buon sistema. Immagino quali giornate attraversi, ti seguo con simpatia e ti prego di tenerti, come sei stato sempre con me, in confidente contatto con Brosio, Arpesani, Cattani. Abbiamo molto in comune da difendere. In questo momento il mio solo merito sta nel sacrificio che compio rimanendo lontano e isolato da eventi a cui partecipo con tutta l'anima e con tutta la speranza.

P. S. 26 maggio. Il nuovo governo è stato formato. Mi spiace che Richard Law abbia lasciato il Foreign Office per il ministero dell'Educazione e che Macmillan lasci l'Italia per il ministero dell'Aria. Prenderò ora contatto con tutti i nuovi ministri e coi vecchi rimasti. Ti terrò informato al termine della settimana prossima quando avrò esaurito buona parte di questi contatti.

1 Nota del documento: «Su questo punto anche i laburisti sono concordi».

221

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 295/94. Mosca, 27 maggio 1945 (per. il 13 giugno).

Come riferivo a V.E. col mio telegramma n. 185 1 , l'impressione qui prevalente è che l'U.R.S.S. non sia disposta ad appoggiare a fondo l'azione jugoslava, in questa fase della questione delle nostre frontiere orientali. Continuo a ritenere che il tentativo degli jugoslavi di mettere il mondo di fronte al fatto compiuto, sia stato fatto con la conoscenza e con il benestare di Mosca: se sono esatte, come ritengo, le informazioni di cui al mio telegramma per corriere n. 04 del 15 maggio 19452 esse ne costituirebbero la migliore prova, anche se si vuole ammettere che il comandante sovietico sul posto sia, nella sua iniziativa, andato più in là delle istruzioni del governo centrale (e non sarebbe questo il solo caso del genere). Che la Russia sia interessata a che Trieste vada a finire in mani jugoslave, credo di averlo dimostrato sufficientemente all'E.V. con il mio rapporto n. 226/52 del 13 maggio 19453 . Sulla decisione jugoslava di tentare il fatto compiuto, debbono, a

·mio avviso, avere influito due elementi;

a) la convinzione che la resistenza tedesca sul fronte appenninico sarebbe stata molto più decisa e le speranze che il crollo del fronte italiano avrebbe trovato gli jugoslavi molto più avanti in territorio italiano di quanto non sia avvenuto in realtà, e che, quindi, l'eventuale ritirata jugoslava avrebbe potuto essere negoziata in condizioni differenti;

b) la convizione di trovare l'Inghilterra molto più ben disposta verso le aspirazioni jugoslave di quanto essa non si sia dimostrata in realtà: fra l'altro ho avuto l'impressione che, a Belgrado, si era portati a sottovalutare le ripercussioni, in Inghilterra, della firma del patto jugoslavo-sovietico.

La prudente riserva mostrata dalla stampa sovietica in tutta la questione di Trieste, mi fa però supporre che qui, a Mosca, si era molto più cauti nell'apprezzare le possibilità di riuscita del colpo di mano jugoslavo.

Come ho già riferito a V.E., questo ambasciatore di Polonia mi parla spesso e volentieri della questione di Trieste, e me ne parla in una maniera da confermarmi sempre più nella opinione che egli è incaricato di parlarmene. Da quanto egli mi ha detto due giorni addietro, dovrei ritenere che il consiglio dato da Mosca a Belgrado, è quello di negoziare al massimo possibile, ma di evitare a qualsiasi costo un conflitto aperto. Ciò mi viene confermato dall'atteggiamento delle varie persone che, come è noto, sono incaricate qui dalle autorità superiori di diffondere,

l Vedi D. 214.

2 T. per corriere 4157/04: le autorità militari sovietiche avrebbero fornito carri armati ed artiglieria agli jugoslavi per sfondare il fronte tedesco ed arrivare a Trieste prima degli inglesi.

3 Vedi D. 193.

sia fra il corpo diplomatico, sia fra la popolazione, voci autorizzate: il loro atteggiamento in questi ultimi giorni è stato concorde: è un vero peccato che tutti siano persuasi che la Jugoslavia stia agendo per istigazione dell'U.R.S.S.

Aggiungo, a questo riguardo, che tutti questi dissensi fra alleati hanno destato nell'opinione pubblica sovietica allarme e depressione: da qualche settimana è stata iniziata la restituzione alla popolazione degli apparcchi radio sequestrati all'inizio della guerra, per cui quello che accade all'estero comincia a trapelare fra la popolazione anche al di fuori delle informazioni ufficiali della stampa sovietica. L'ambasciatore di Polonia mi ha aggiunto: «l'U.R.S.S. non desidera impicciarsi della questione di Trieste; certamente preferisce che la questione sia risolta di comune accordo fra l'Italia e la Jugoslavia». Avendogli io replicato le ripetute offerte da parte nostra, alla Jugoslavia, di ristabilire rapporti diretti e dello scarso interessamento sovietico al riguardo, mi ha risposto: «col tempo vedrà che non sbaglio». Non sarei quindi sorpreso, se, nella questione della ripresa dei rapporti colla Jugoslavia, dovessimo vedere un cambiamento di fronte da parte di Belgrado.

Tutto questo, però, non deve ingannarci: sul fondo della questione di Trieste l'atteggiamento russo è e resta quello che ho definito a V.E. nei miei precedenti rapporti.

I russi si sono accorti che l'impostazione dignitosa e serena della questione di Trieste, data dal governo italiano con la decisione del Consiglio dei ministri del 3 maggio 1 , in contrasto col tentativo jugoslavo di risolverla col fatto compiuto, ha prodotto un movimento d'opinione pubblica in nostro favore, ed ha fatto molto danno al caso jugoslavo. Da parte mia, in questa fase della questione, ho creduto opportuno di dare la massima diffusione, in questi ambienti sia diplomatici che giornalistici, alle nostre ripetute offerte al governo jugoslavo di ristabilire rapporti diretti. Evidentemente qui si spera che in sede di negoziati diretti sia possibile rovesciare la situazione a nostro sfavore·.

Quello che, secondo me, però noi dobbiamo sempre tener presente è questo: nella questione dei nostri confini orientali la Russia cederà solo di fronte ad una recisa opposizione anglo-americana: quanto sta accadendo in questi giorni mostra solamente che, al momento attuale almeno, la questione di Trieste non è di quelle su cui la Russia è disposta ad impegnarsi a fondo.

La Russia, però, nei consigli degli alleati, farà il possibile e l'impossibile perché la Jugoslavia abbia il massimo di soddisfazione: cercherà soltanto di disporre le cose in modo che l'odium della decisione, per quanto concerne il popolo italiano, non debba ricadere, almeno esclusivamente, su di lei. Per questo stesso, qualora essa trovasse da parte inglese o americana, una opposizione recisa, a quello stadio della questione si cercherà di trovare il modo che tutto il merito della soluzione non vada agli anglo-americani.

Sulle reazioni della questione di Trieste sull'opinione pubblica italiana tutta, non soltanto su ristretti circoli nazionalisti, ho del resto sempre e particolarmente insistito in tutte le mie conversazioni indirette sull'argomento, come pure, e parti-

Vedi D. 174.

colarmente, sul pericolo che se la questione non è trattata e risolta nella maniera dovuta, essa possa scavare fra l'Italia e la Jugoslavia un abisso incolmabile, con inevitabili ripercussioni sulle nostre relazioni con tutti i popoli slavi e infine coll'U.R.S.S. Lo stesso argomento non mancherò di far valere con le autorità sovietiche non appena esse si mostreranno disposte a parlarmene.

È bene, d'altra parte, tener presente ancora un aspetto della questione. I regimi dei popoli balcanici hanno cambiato, ma, oggi, il meno che si può dire è che restano delle tracce dell'antica mentalità, per cui, l'utilità della politica di amicizia con questa o quella grande Potenza, si giudica dalle sue capacità o meno di soddisfare le aspirazioni, anche le più stravaganti, di un determinato popolo balcanico. Ora è indubbio che in tutte le zone di amicizie russe nei Balcani, il prestigio russo è immenso, e ne nasce, per conseguenza, la persuasione, che, con l'appoggio russo, tutto si possa ottenere. La questione polacca, ha già fatto sorgere qualche dubbio: la questione di Trieste è adesso, in questo senso, una pietra di paragone. È possibile che gli inglesi, più o meno consciamente, abbiano in mente anche questo risultato: ed in questo io vedo un grosso pericolo per noi: se la questione di Trieste dovesse diventare per la Russia una questione di principio, dalla cui soluzione possa dipendere la solidità di tutto il sistema di amicizie che essa sta creando, il suo atteggiamento può cambiare ed essa può diventare una di quelle questioni su cui non si cede. È un aspetto del problema che è al di fuori di noi: tuttavia, tutto quello che ci potrà essere possibile di fare per evitare che esso scivoli su questa via, vale la pena di essere tentato.

Per quanto si può giudicare da Mosca, di fronte all'opinione pubblica internazionale, Tito, con il suo tentativo di fatto compiuto, ci ha reso un servizio, rendendo la sua causa se non antipatica almeno meno simpatica: e questo è indiscutibilmente un grosso vantaggio per noi. Si è così ottenuto, secondo me, quello che era un elemento di particolare importanza: fare apparire i jugoslavi e non noi come i guastafeste. È per noi di particolare importanza non perdere questo vantaggio.

In questa sede mi permetto di attirare l'attenzione di V.E. su di un particolare, anche se di importanza secondaria: vedo che nella nostra stampa si fa un gran parlare delle atrocità jugoslave contro gli italiani: come sempre ci sarà su questo argomento del vero e dell'esagerazione. Credo sia nel nostro interesse di evitare che sia principalmente la stampa italiana ad essere la fonte di queste informazioni: può sempre capitare un fatto preciso che sia suscettibile di essere poi provato falso: e l'impressione può essere disastrosa: credo avremmo tutto l'interesse a che la fonte di queste informazioni sia la stampa inglese e americana piuttosto che noi.

Mosca è, forse, per la questione di Trieste, non l'osservatorio migliore; con questa riserva debbo confermare la mia opinione: la questione di Trieste è, per noi, gravemente compromessa; la situazione è migliorata, ma è ancora ben lontana dall'essere risolta: ci sono interessi in giuoco ben più forti dei nostri e di quelli jugoslavi, su cui non abbiamo controllo e ben scarse possibilità di influire. È quindi necessario da parte nostra la maggiore calma e prudenza: forse le nostre migliori chances restano ancora i possibili errori dei nostri concorrenti.

222

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Washington, 27 maggio 1945.

Colgo la buona occasione del rimpatrio di due componenti della commissione Sacerdoti1 per sotto porti, con maggiore sicurezza e con una certa libertà, un bilancio per sommi capi di questi tre mesi di nostra attività negli Stati Uniti ed un sintetico panorama delle più importanti questioni:

l -Posizione e «status » dell'Italia nei riguardi degli Stati Uniti. Come ho già riferito, la posizione dell'Italia in questo Paese (sfere dirigenti e opinione pubblica) è ancora influenzata da alcuni pregiudizi -inerenti alla disastrosa politica del fascismo -che ci vorrà parecchio tempo a rimuovere del tutto. Il precedente della Francia che ha dovuto faticosamente rimontare una lunga china e sta appena ora raggiungendo lo scopo, è al riguardo probante. Questi pregiudizi -malgrado la cordialità e la simpatia dimostrata sempre nei contatti ufficiali e personali contribuiscono a spiegare l'estrema lentezza colla quale si procede, od alle volte «non» si procede, nei riguardi dei problemi, politici ed economici, del nostro Paese. Nonostante le incertezze e gli infausti ricordi che alle volte si tirano fuori per giustificarle, resta peraltro il fatto acquisito che la politica di Washington nei confronti dell'Italia è sostanzialmente ispirata a benevolenza e simpatia e si distacca notevolmente dalle direttive più egoiste degli altri due grandi alleati. Questa linea politica costante degli Stati Uniti è stata anche di recente ribadita da Grew nella sua lettera al «Progresso italo-americano», che tu conosci. Una controprova di essa può essere data dalla seguente frase di un membro di questa ambasciata

· britannica: «Mentre l'opinione pubblica inglese è ancora avvinta ai suoi tenaci rancori verso l'Italia per la guerra fascista, gli Stati Uniti consolidano nei vostri riguardi una loro "coscienza paterna"». Questi sentimenti di "paternità" americana per l'Italia sono scherzosamente ammessi dallo stesso Dipartimento di Stato, il quale aggiunge che gli inglesi se ne ingelosiscono e se ne lagnano anche apertamente. Strana "paternità" -soggetta alle molte limitazioni che del resto caraterizzano gli stessi rapporti familiari degli americani-che tuttavia è un dato di fatto da tenersi presente nella nostra politica e motivo di speranze per l'avvenire. Sarebbe forse interessante un esame dei vari elementi che compongono questi "sentimenti paterni", ma so quanto è prezioso il tuo tempo.

È anche superfluo che io ti dica della costante nostra opera di persuasione, di chiarificazione e di incitamento: batto costantemente sulla tesi che, nell'attuale situazione europea, è indispensabile adottare verso la nuova Italia, una nuova

I L'ing. Cesare Sacerdoti era il capo della delegazione tecnica per la realizzazione del piano «primi aiuti».

politica, dimentica del recente passato e diretta al futuro, se non si vuole, sul serio, "perdere l'autobus".

Venendo al concreto, già sai come, al mio arrivo qui, trovassi Roosevelt apparentemente sereno e non in istato da far prevedere la sua rapida fine, sebbene fosse molto dimagrato. Mi fece le promesse che conosci 1• Anche prima della sua scomparsa, esse si attenuarono, via via, nelle penombre degli uffici, cauti e timorosi di "novità improvvise". Ho riferito, del pari, a suo tempo, gli affidamenti e le assicurazioni datemi da Truman, prima di ascendere alla presidenza 2 . Da varie parti, nelle ultime settimane, mi sono giunti echi di sue favorevoli generiche disposizioni verso l'Italia. Però il nuovo presidente, temperamento molto diverso, meno brillante, del suo predecessore, procede con i piedi di piombo. Di conseguenza, la situazione preesistente perdura e probabilmente perdurerà ancora finché non sarà stato effettuato quel radicale rimpasto del governo, sinora solo ritoccato in posti minori, di cui tutti parlano. Il Dipartimento di Stato risente naturalmente, più forse delle altre branche dell'amministrazione, dell'attuale fase di incertezza. I suoi dirigenti si sentono in situazione precaria: la prassi costituzionale fa del segretario di Stato l'eventuale successore alla presidenza e si pensa che Stettinius non sia l'uomo più indicato. Si dice correntemente che, dopo San Francisco, Stettinius debba essere sostituito con Byrnes e che ciò porterebbe a grandi mutamenti negli alti gradi, finora molto influenzati dalla politica inglese. È bastata nelle ultime settimane la presenza al Dipartimento, a latere di Grew, di Phillips, molto ben disposto per noi, a rinnovare alquanto l'atimosfera a nostro vantaggio. Non si sa ancora se egli vi resterà dopo il ritorno di Stettinius, Dunn, etc. da San Francisco.

Intanto, come sai dalle mie comunicazioni, vi è tra Londra è Washington un tentativo di fissare un piano di pace separata con l'Italia. Tra pochi giorni dovrebbero arrivare qui, allo State Department, le proposte del Foreign Office. Farò il possibile per sapere di che si tratta, almeno nelle grandi linee, e d'informarti.

A quanto sembra, si prospettano già varie difficoltà, quali ad esempio quelle della fissazione dei confini orientali, delle colonie, etc. Vi sono poi altre difficoltà, per così dire, di carattere interno italiano: come si può firmare un trattato di pace con un governo che non rappresenta la nazione, perché non è l'esponente delle forze uscite da libere elezioni? Come sono compatibili le elezioni e la effettiva sovranità del governo che le farà, se v'è un'occupazione militare alleata nel nord? D'altra parte, chi assicura la libertà d'opinione e di voto senza quella occupazione? Se delle liste elettorali regolari non sono pronte che tra un anno, come si assesta la posizione giuridica -nazionale e internazionale -nel frattempo?

Non ho idea, di qui, se si possano tentare delle elezioni politiche affrettate, ma sufficientemente legittime e rappresentative. Aggiungo che qui varie personalità tra cui Sumner Welles -mi hanno detto di ritenere necessario ed urgente che si facciano da noi le elezioni anche per risolvere la questione istituzionale. Ed a proposito di quest'ultima, si è sostanzialmente indifferenti alla futura forma dello Stato italiano. Nei circoli più conservatori e più elevati si preferirebbe forse una

'Vedi D. 79. 2 Vedi D. 97.

monarchia forte ad una repubblica: si preferirebbe, invece, quest'ultima ad una monarchia debole ed invisa. Non ti nascondo che qualcuno-così Sumner Welles -considera che la causa della monarchia in Italia è attualmente da ritenere perduta. Tutti, però, hanno convenuto con me che la decisione dovrà essere presa soltanto dal libero responso della consultazione popolare.

Queste sonò alcune difficoltà della pace -anche parziale e provvisoria -come si intravedono qui, in questo momento, e te le segnalo. Mi pare però che sia un buon segno il fatto che gli anglo-americani sentano il bisogno di mettersi d'accordo, con una certa urgenza, su formule che ci riguardano.

2 -Questione di Trieste. Da settimane, anche prima della crisi provocata da Tito, abbiamo continuamente battuto sulla questione della Venezia Giulia, ottenendo le assicurazioni che sai. Allorché gli eventi precipitarono, grazie anche alla onesta ed efficace cooperazione di Phillips, si potè ottenere la dichiarazione del Dipartimento di Stato e la conseguente netta presa di posizione americana, voluta anche dal presidente, etc. Da parte nostra è stato fatto tutto il possibile per fare intendere che Trieste non era soltanto un problema italiano, ma anche uno vitale anglo-americano. In queste ultime settimane ho tenuto sia Phillips che gli alti funzionari competenti del Dipartimento di Stato sotto costante pressiOne.

Ti ho tenuto man mano informato della situazione e degli intendimenti di Washington. Per ovvi motivi, i nostri telegrammi non potevano dare vari interessanti dettagli, pur rispecchiando fedelmente la situazione nel suo complesso. Ad integrazione di essi, rileverò che per varie cause (opinione pubblica; correnti di sinistra dei partiti conservatore e laburista favorevoli a Tito; precedenti "pro Tito" di Churchill; illusione di alcuni circoli inglesi su possibilià di conservare l'antica influenza in Jugoslavia; malferma situazione del governo di coalizione; preoccupazioni di dover sopportare il maggiore onere militare) da parte inglese si è tentennato, finendo col rimettere a Washington le responsabilità della decisione. Appreso confidenzialmente questo atteggiamento di Londra presso la locale ambasciata britannica, siamo subito intervenuti presso il Dipartimento di Stato. Da parte americana sono stati inviati due messaggi del presidente Truman a Churchill ed a Stalin. Il primo per assicurare l'Inghilterra che l'America era decisa a mantenere la netta posizione, assunta pubblicamente, "sino all'uso della forza se necessario". Il secondo a Stalin, per informarlo del risoluto atteggiamento di Washington. A tale ultimo riguardo, è utile rilevare che Washington ha voluto tenere al corrente Mosca delle decisioni_adottate nel caso della Venezia Giulia, per far colà constatare come qui si considerino sempre in vigore gli impegni di Yalta (e ciò ai fini delle questioni polacca, romena, austriaca, tedesca, etc.). Ma le comunicazioni al Cremlino sono state fatte a mero titolo informativo, evitandosi sempre finora dal chiedere pareri o interventi di Stalin. Mi risulterebbe, del resto, che la Russia non si sia sinora qui impegnata a favore di Tito.

La posizione americana attuale -come ti ho telegrafato -è di non ammettere che formazioni militari o civili jugoslave partecipino alla occupazione od all'amministrazione di città della Venezia Giulia abitate da italiani. Mi è stato confermato che sarebbe desiderio americano che, conformemente alle assicurazioni precedentemente dateci, tutta la Venezia Giulia sino ai confini del 1939 sia sottoposta alla sola amministrazione militare anglo-americana. Si deve, però, tener conto qui dell'atteggiamento e delle titubanze di Londra, colla quale si vuol procedere d'accordo, e non mi è stato nascosto che, qualora Belgrado accetti le richieste pregiudiziali degli Alleati, si potrà accettare un compromesso che consenta alle truppe ed alle autorità di Tito di partecipare all'occupazione ed amministrazione di "certi villaggi abitati esclusivamente da slavi".

All'atteggiamento americano non è forse estranea la sensazione che Tito possa "bluffare", come è stato ripetutamente accennato al Dipartimento di Stato. Se Tito invece facesse sul serio, ci potremmo forse anche trovare di fronte a vacillamenti ed esitazioni americane nel ricorrere alla forza. Perciò occorre star sempre in allarme pronti ad impedire deviazioni e passi indietro, dove e quando è possibile. Per quanto riguarda, poi, la soluzione definitiva della questione, parrebbe che si sia qui inclini ad una adozione della "linea Wilson ", eventualmente con qualche emendamento se certe piccole zone risultano di fatto popolate esclusivamente da allogeni. Questa posizione americana potrebbe però anche subire qualche mutamento se eventi od interessi lo consigliassero. Per parte di questa ambasciata, pur senza scoraggiare la tesi americana per la linea Wilson, mi tengo naturalmente sulle generali, in attesa delle istruzioni che riterrai al caso di inviarmi.

3 -Confini occidentali. Come ti ho ripetutamente telegrafato ci è stato assicurato tanto al Dipartimento di Stato, quanto all'ambasciata britannica che non vi saranno fatti compiuti neppure in quel settore e che le truppe francesi dovranno ritirarsi. Tuttavia, benché qui la questione si consideri liquidata, non parrebbe, a sentire i francesi, che la situazione sia veramente chiarita. Ti accludo al riguardo copia di una lettera del nostro amico Sturzo, e di un suo memoriale a Bidault1• Malgrado la netta decisione americana, comunicata qui a Bidault ed a Juin, e le comunicazioni fatteci, non so fino a che punto si sia decisi ad agire per imporre ai francesi l'effettivo ritiro delle loro truppe se de Gaulle, che dovrebbe qui venire in giugno, si irrigidisse.

4 -San Francisco e l'Italia. Come ti ho riferito, l'ostacolo principale alla nostra ammissione a San Francisco è stata l'analogia formale della nostra situazione di cobelligeranti con quella dei vari Stati dell'orbita russa; non si è voluto, quindi, qui offrire alla Russia un pretesto per chiedere l'ammissione di detti Stati suoi vassalli, quando vi erano già in piedi le questioni della Bielorussia e dell'Ucraina e dei polacchi di Lublino-Varsavia. Altro ostacolo, più giuridico forse che politico, l'Inghilterra, la quale non voleva precipitare riconoscimenti, anche parziali, senza avere escogitato formule precise che non la impegnino per l'avvenire. Sicché l'America -a quanto tutti i dirigenti della sua politica hanno dichiarato -non poteva, sebbene volesse, agire da sola.

Il testo della dichiarazione del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2 mi pervenne solo il 4 maggio, quando la conferenza navigava in acque molto burrascose. Non

l Non pubblicati. 2 Vedi D. 150.

potevamo, d'altra parte, impegnarci troppo a fondo, dovendo concentrare i nostri sforzi sulle questioni della Venezia Giulia e dei confini occidentali.

Al Dipartimento di Stato, interessato alla cosa, si è stati parecchio freddi, avanzando la tesi che gli sforzi dei nostri nemici colà (Etiopia, Grecia, Jugoslavia etc.) potevano farci compiere un passo indietro anziché uno innanzi. Phillips, da me pregato di informare Stettinius onde ottenerne l'appoggio, mi comunicava dopo vario tempo che non si intravedevano possibilità favorevoli. Ho tuttavia inoltrato per posta la dichiarazione alla presidenza della Conferenza dopo averne dato copia a tutti i rappresentanti a Washington dei Paesi latino-americani, del Canada, della Nuova Zelanda, del Belgio, dell'Olanda, nonché dell'Inghilterra e della Grecia. I latino-americani hanno tutti promesso di pronunziarsi a nostro favore, qualora la dichiarazione italiana venisse portata in Assemblea plenaria. L'Uruguay ha promesso di prendere l'iniziativa di una mozione, qualora se ne presentasse la possibilità.

Dubito, peraltro, che la presidenza della Conferenza, dato il carattere di protesta della dichiarazione, dia ad essa il corso da noi domandato, malgrado, sia personalmente a Phillips che, per lettera, a Stettinius, abbia spiegato i motivi della iniziativa italiana ed i limitati scopi che essa si propone. Comunque vadano le cose, ritengo che la dichiarazione abbia giovato ad attirare l'attenzione degli Stati suindicati sulla situazione dell'Italia e sulla necessità di normalizzarla.

5 -Lend Lease, piroscafi. UNRRA, etc. Dai rapporti che invio su queste questioni ti sarai reso conto della grande difficoltà in cui ci imbattiamo e delle prospettive giornalmente mutevoli e sempre più incerte.

Niente lend-lease perché siamo ex-reprobi e non più in guerra. Però, oltre i 160 milioni di dollari (AM lire, esportazioni, rimesse ecc.) ci si darebbero 180 o 240, o 400 milioni di dollari (le cifre danzano vertiginosamente mutando aspetto di continuo e non si riesce a fermarle) come aiuto del ministero della guerra per alte ed insindacabili considerazioni militari (ordine pubblico, ecc.). Presidente, State Department, Federai Economie Administration, War Department, Congresso si rimbalzano queste cifre e non si viene ancora a capo d'un progetto preciso e stabile. Occorre pazientare ed insistere di continuo nel chiedere e nel reclamare. Mi accingo a riparlarne nuovamente con Phillips, nella speranza di impegnarlo personalmente anche in questo problema. Se fossimo in guerra col Giappone avremmo, intanto, un diritto sia pur teorico al lend-lease e comunque una buona arma per ottenere aiuti concreti americani. Altrimenti, e se nuove possibilità di manovra non interverranno, vi saranno molte maggiori difficoltà per superare l'attuale situazione. Coi privati si può naturalmente trattare, ma non ci daranno nulla fino a che non saremo usciti dalla "cobelligeranza" paralizzatrice e il governo di Washington non incoraggerà, o permetterà, abolendo le attuali remore legislative (Johnson Act, legge sul commercio col nemico, etc.).

Per la questione dei piroscafi -fondamentale nel quadro delle nostre necessità -continuiamo a sollecitare soluzioni, interessando tutti i rami dell'amministrazione che si occupano di problemi italiani. Ma la lentezza burocratica e la complessità del problema, data la corresponsabilità britannica, si aggravano sulla nostra iniziativa e ne impediscono il cammino.

Coli'UNRRA siamo in contatto: peraltro è indubbio che gli aiuti che essa può dare all'Italia sono molto relativi, anche per le difficoltà organiche della sua

elefantiaca ammmtstrazione, che ha impedito finora di far pervenire m misura adeguata ai vari Paesi europei gli aiuti per essi stabiliti. Il Relief (Marchisio) continua a far del suo meglio; ma son gocce in un mare di necessità urgenti.

6 -Prigionieri. I 35.000 delle unità di lavoro vogliono tornare a casa e brontolano. Mentre cerco di confortarli e pazientare, sto trattando per vedere di accelerare il loro rimpatrio. Mi risulta che al Dipartimento della Guerra si sarebbe già deciso di rimandarli in Italia a scaglioni, in epoca peraltro ancora indeterminata; forse, in pratica, man mano che potranno sostituire le varie unità con altra mano d'opera, la quale continua qui a scarseggiare. Sembra, comunque, sicuro che gli uomini delle Service Units rimpatrieranno prima dei 15.000 che hanno preferito conservare lo "status" di prigioneri di guerra. Parte di questi ultimi-si calcolano dal War Department a circa un terzo (5000) -sarebbero "fascisti".

7 -Problemi attuali della politica estera americana. La Conferenza di San Francisco, decisa, come è noto, nell'euforia di Yalta, avrebbe dovuto avere lo scopo essenziale di stabilire, per un certo numero di anni almeno, una pacifica coesistenza degli anglo-americani coi russi e di conseguenza dei rispettivi associati. Da ciò l'accento posto sulla questione della sicurezza, anziché come sarebbe stato più desiderato dalla platea stanca di guerra, sul concetto di una pace giusta.

All'atto pratico la Conferenza è riuscita a mettere soprattutto in vista le divergenze tra l'U.R.S.S. (coi suoi Stati soggetti), gli anglo-americani ed il resto del mondo. Teoricamente un charter finirà coll'essere messo insieme e presentato al pubblico. Ma in sostanza rimangono e rimarranno i grandi problemi che Russia da un lato ed anglo-americani dall'altro dovranno discutere e risolvere per conto loro, prendendo la responsabilità delle conseguenze tanto delle soluzioni, quanto delle non-soluzioni.

Qui-e in tutto il sud America-il sentimento anti-russo ed anti-comunista è così forte che Truman (dopo averne dato qualche saggio per la questione polacca e quella di Trieste) ha creduto opportuno di mandare Davies a Londra e Hopkins a Mosca per cercare di vedere se vi siano soluzioni amichevoli alle attuali profonde divergenze d'idee e d'interessi. Si temono qui le ambizioni russe per Narvik, per Kiel, per Trieste, per Salonicco, per gli Stretti, per Suez, per il Golfo Persico, per la Cina, la Manciuria, la Corea, e perfino per l'Islanda, ove Mosca ha impiantata una legazione con 24 persone e parecchi ingegneri.

Comunque, questi circoli politici sperano che la Russia, così come l'America e l'Inghilterra, non abbia interesse, né ora né nei prossimi anni, a far sboccare l'attuale stato di tensione in un aperto conflitto. È ben possibile che, alla pari di precedenti incontri, la riunione dei Big Three di cui tanto si parla, qualora sia poi tenuta, possa dar luogo a tentativi di nuovi appeasements. Quanto dureranno, vedremo. Da queste vicissitudini non è da escludere che si possa trarre qualche vantaggio per il nostro Paese, che si potrebbe giovare dell'altalena fra i Tre.

Eccoti un quadro panoramico di questo paesaggio. Facciamo quanto meglio possiamo, col pensiero costantemente rivolto alle sofferenze, ai meriti ed al migliore destino del nostro paese. Ti sarò grato d'ogni suggerimento e d'ogni istruzione che crederai di farmi pervenire.

223

IL VICE PREFETTO DI AOSTA, CHABOD, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

RELAZIONE 28 1 . Aosta, 28 maggio 1945.

Considerando noti i precedenti remoti e vicini dell'annessionismo valdostano, la presente relazione si limita ad esporre i dati di fatto finora conosciuti sull'attività svolta dai francesi e da alcuni elementi valdostani al loro servizio durante il corrente mese di maggio.

Al l o maggio la valle d'Aosta era interamente liberata, ad opera dei partigiani, dalle truppe tedesche e fasciste.

In seguito ad accordi intervenuti fra il comando della II zona ed il comando francese interessato, le truppe francesi che scendevano in valle in seguito al ripiegamento nazi-fascista limitavano la loro occupazione alle valli di La Thuile e Courmayeur, fino a Pré S. Didier, ed a quelle di Valgrisanche e di Rhemes, fino all'altezza di Introd.

Il rimanente della valle, occupato dai soli partigiani, accoglieva questi con manifestazioni di esultanza di intonazione esclusivamente italiana, mentre in nessun luogo, nemmeno nel territorio occupato dalle truppe francesi, si potevano constatare atteggiamenti favorevoli ad una annessione della valle alla Francia.

Questa la situazione all'atto della liberazione.

Successivamente, con il pretesto di inseguire il nemico che ancora aveva retroguardie nella zona di Settimo-Borgofranco, il comando francese inviava un reparto di un centinaio di uomini circa a Ponte S. Martino, dove ormai non v'erano più truppe nemiche, e presidiava con tali forze la suddetta località (estremo limite della valle d'Aosta propriamente detta).

Da notare che le forze in questione non si spingevano affatto verso Ivrea, dove ancora erano i tedeschi, ma sostavano sul posto, non preoccupandosi di quel nemico che con la sua presenza aveva fornito il motivo per giustificare la necessità del loro trasferimento.

A questo primo atto, chiaramente determinato da ragioni non militari, ne seguiva una lunga serie, in particolare dal momento in cui le truppe americane, giunte ad Aosta il 4 maggio, assumevano la responsabilità militare della zona fino allora tenuta dal comando partigiano.

Con l'arrivo delle truppe americane i francesi ottenevano una libertà di azione tale che consentiva loro di spingere gradualmente a valle le loro truppe fino ad assumere l'attuale dislocazione, che può essere così sintetizzata:

-forte presidio dell'alta valle fino ad Aosta compresa, con reparti di forza varia stanziati nelle principali località;

-nessuna occupazione nella media e bassa valle, eccettuato il presidio fisso di Ponte S. Martino (una compagnia -150 uomini);

1 La relazione ha per titolo: «Evoluzione della situazione politica nella Valle d'Aosta liberata».

-distaccamenti dei vari presidi effettuano frequenti marce nelle valli laterali, sostando spesso anche la notte nelle varie località, per rientrare successivamente alla sede.

Attraverso questa lenta infiltrazione e sfruttando la libertà di movimento loro concessa dal comando americano, i francesi hanno potuto iniziare e svolgere una intensa campagna propagandistica tendente a convincere la popolazione della convenienza di un passaggio della valle alla Francia; tale campagna culminava nella sottoscrizione da parte di un certo numero di valligiani di un referendum con il quale veniva chiesta unq consultazione popolare per decidere sulle sorti della valle. I risultati del referendum venivano esposti il giorno 18 maggio da un Comitato di liberazione valdostano, costituitosi clandestinamente, al prefetto di Aosta ed al governatore militare, capo dell' A.M.G. provinciale 1 . La presentazione del referendum era preceduta da una dimostrazione preventivamente organizzata alla quale presero parte 4-500 persone, per la quasi totalità provenienti dalla campagna ed in particolar modo dalla valle del Gran S. Bernardo.

Nel frattempo le autorità civili e militari italiane, imbrigliate dal controllo alleato ed assillate dalla soluzione dei numerosi importanti problemi conseguenti alla liberazione, dovevano assistere passivamente all'opera disgregatrice che si stava compiendo.

Soltanto dopo la dimostrazione del giorno 18, nel corso della quale numerosi elementi, in prevalenza partigiani, assunsero una posizione apertamente ostile all'annessione, cominciò un'attività spicciola di contro-propaganda, i cui effetti molto favorevoli cominciano ora a manifestarsi, soprattutto perché basati sulla favorevole accoglienza fatta dal C.L.N. di Torino e dal C.L.N.A.I. alle richieste di autonomia presentate dalla delegazione del C.L.N. di Aosta.

La dimostrazione del giorno 18 aveva una parziale ripetizione il giorno 20, in occasione della consegna solenne di decorazioni a soldati francesi effettuata sulla piazza principale di Aosta. Persone provenienti dai dintorni applaudivano i francesi al loro passaggio in piazza, mentre dall'altra parte si fischiava e si manifestava apertamente in modo ostile.

Incidenti vari accadevano fra partigiani e militari francesi nel pomeriggio e fino a tarda sera, causando vari contusi e due feriti per colpi di arma da fuoco sparati da francesi armati contro partigiani disarmati.

Dopo il 20 nessun incidente degno di nota.

Si può affermare oggi con sicurezza, in base alle prove costituite dai documenti allegati alla presente relazione 2 , che l'attuale sviluppo della tendenza annessionista in val d'Aosta non è un fatto spontaneo locale ma trova la sua origine nell'azione francese, intensa quanto subdola, che si appoggia sulle truppe di occupazione e viene svolta da elementi militari francesi e da un piccolo gruppo di valdostani al servizio della Francia.

I Nota del documento: « Da notare che su 15 membri del comitato, elencati in un documento presentato al prefetto, ben sei hanno smentito per iscritto la loro appartenenza al comitato stesso, dichiarando di esservi stati compresi abusivamente e di non avere alcuna intenzione di appartenervi».

2 Non si pubblicano.

E ciò malgrado le dichiarazioni ufficiali francesi escludenti qualsiasi mira su parti del territorio italiano, dichiarazioni che vengono ripetute anche dai militari francesi, tutti molto bene istruiti sul da farsi.

Eccettuato qualche piccolo incidente, il contegno delle truppe francesi in conformità alle direttive ricevute, è ottimo. I militari fanno di tutto per rendersi amica la popolazione distribuendo anche sale, pane, sigarette ed altri generi di conforto; non commettono in genere soprusi e svolgono tutti una propaganda minuta e capillare in favore della tendenza annessionista.

Ma l'azione più di rilievo viene compiuta da elementi valdostani che dispongono anche di notevoli mezzi finanziari e che si valgono, per portarsi nelle varie località, esclusivamente di automezzi militari francesi.

Questi elementi tengono conferenze alla popolazione preventivamente convocata ad espongono i vantaggi dell'annessione alla Francia che si possono riassumere come segue:

-la Francia vittoriosa si risolleverà più rapidamente dell'Italia vinta;

-la Francia concederà alla valle una larga autonomia ed assicurerà lo sviluppo dell'economia locale;

-sarà concessa l'esenzione totale delle tasse ed imposte per 50 anni;

-entro tre anni verrà compiuto il traforo del Monte Bianco;

-i francesi faranno quell'epurazione che finora gli" italiani non sono riusciti a fare;

-la valle sarà governata da valdostani e non da italiani, stranieri alla popolazione per razza, lingua e modo di pensare.

In qualche località concetti del genere sono stati esposti alla popolazione direttamente da ufficiali francesi in uniforme. Tutta la propaganda fa capo ad una missione civile dipendente dal col. Voisin, che si è stabilito ad Introd dove risiedono anche i capi del movimento annessionista.

A riprova delle affermazioni di cui sopra si allegano i documenti seguenti:

al!. n. l -dichiarazione del comandante della 3a brigata Lys, Badery, Circa un colloquio da lui avuto con il col. Voisin su richiesta di quest'ultimo.

al!. n. 2 -dichiarazione del cap. Jorioz circa proposte fattegli dal cap. francese Moscardet che lo invitava a collaborare coi francesi, essendo giunto il momento di «cacciare gli italiani».

ali. n. 3 -relazione del capo della polizia della 3a brigata Lys.

al!. n. 4 -dichiarazione del comandante partigiano Matteotti circa una conferenza tenuta da un ufficiale francese (individuato per il ten. Barbier) a Moron, presso S. Vincent.

al!. n. 5 -dichiarazione del comandante partigiano Gallo sull'attività di certo Vincent Treves, valdostano annessionista.

al!. n. 6 -dichiarazione del serg. magg. Bonin Giovanni circa l'attività di elementi francesi e valdostani in occasione della dimostrazione del 18 maggio.

alt. n. 7 -dichiarazione di certo Marcoz (di Etroubles) circa le pressioni esercitate sui contadini per ottenere la firma del referendum annessionista.

al/. n. 8 -dichiarazione del serg. magg. Bonin Giovanni circa alcuni incidenti avvenuti durante la manifestazione del giorno 20 maggio.

al/. n. 9 -dichiarazione del dott. Pino Formento sull'attività di elementi annessionisti e sui metodi menzogneri con i quali la propaganda è condotta.

al/. n. 10 -copia di consegna per i delegati comunali del comitato di liberazione valdostano (annessionista) in merito ad una prevista prossima distribuzione di sale alla popolazione, offerto dalla Francia.

al/. n. 11 -dichiarazione del pastore evangelico Giuliani Giovanni in merito all'attività propagandistica nella valle del Gran S. Bernardo.

224

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. PER CORRIERE 2961. Roma, 29 maggio 1945.

Sabato scorso Couve de Murville ha chiesto di vedermi. In forma molto cauta e lievemente perplessa ha accennato, senza precisare, all'eventualità che il governo francese avanzi richieste di rettifiche di frontiera. Ha particolarmente sottolineato che parlava a titolo personale e senza istruzioni.

Gli ho risposto:

l -Che è principio per noi fondamentale che le questioni territoriali debbono eventualmente essere discusse soltanto al momento della pace e non prima. È chiaro che aprire oggi una discussione con la Francia in proposito, significa pregiudicare gravemente quel principio. Egli era troppo al corrente di quel che avviene alla nostra frontiera orientale perché fosse da parte mia necessario sottolineare quale danno e quale pregiudizio una discussione siffatta potrebbe arrecarci. È dunque da escludere che possiamo mutare atteggiamento.

2 -È questa la prima volta che ci si parla da parte francese di rivendicazioni territoriali. Salvo una qualche allusione al Fezzan fatta dallo stesso Couve al marchese Visconti Venosta mesi or sono, mai erano stati toccati argomenti siffatti. Avevamo anzi avuto esplicite assicurazioni da parte del generale de Gaulle che la Francia desiderava rispettare l'integrità territoriale italiana e vederla rispettata.

3 -Le conversazioni per Tunisi erano state da parte nostra, e riteniamo anche da parte francese, condotte e concluse in questo spirito e persuasione. Il regime degli italiani nella Reggenza fu sempre qualificato come il solo serio ostacolo al riavvicinamento italo-francese, sparito il quale non restava che iniziare, sia pure senza impazienza, la grande opera di chiarimento fra i due Paesi. Il sacrificio di posizioni importanti e del resto prefasciste fu da noi fatto onestamente e lealmente soltanto con questo animo.

4 -Non vi è dubbio che l'occupazione delle nostre regioni di frontiera, originata da esclusive ragioni di carattere militare, che avrebbe dunque dovuto esaurirsi con quelle e che invece continua e si complica di azione di propaganda e di amministrazione decisamente inimichevoli, suscita il più vivo e più giustificato allarme nell'opinione pubblica italiana. Ottima e urgente cosa sarebbe dunque se tale occupazione cessasse e le truppe rientrassero nei loro alloggiamenti di partenza.

5 -Eventuali rivendicazioni françesi, sia pure nella forma in cui si presentano di semplici rettifiche di frontiera per ragioni strategiche, susciteranno certamente il più vivo contrasto italiano. Tutti sanno che la frontiera occidentale è già strategicamente ottima da parte francese e che ulteriori eventuali acquisizioni anche modeste aprirebbero addirittura le nostre valli alla facile invasione all'Italia settentrionale. Alcuni aspetti particolari (ad esempio i territori di caccia ed eventuali scambi) potrebbero poi essere oggetto di pacata considerazione in altro momento. Affrontati ora, in piena psicosi di guerra, solleverebbero inquietudini che è necessario, invece, sopire.

Scopo della visit~ di Couve era certamente quello di saggiare le nostre reazioni. Occorre che anche l'E.V. si attenga alla linea di condotta e di linguaggio suesposta.

Naturalmente aprire oggi la questione ed in questi termini di occupazione ha anche una sostanza morale che male si inquadra con la necessità di porre le relazioni internazionali su un piano di ragionevole equità, che è poi reciprocamente il più utile. Ed allontana ed ostacola quel progressivo processo di riavvicinamento che riteniamo necessario ed indispensabile tra i nostri due Paesi e che da parte nostra facciamo del nostro meglio per agevolare ed affrettare, con piena coscienza della difficoltà del compito, ma con altrettanta buona volontà e buona fede.

225

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

L. 3/869. Roma, 29 maggio 1945.

Troverai nel telespresso annesso 1 un'esposizione riassuntiva del nostro punto di vista circa la situazione fra Italia e Francia.

Sono considerazioni giuridiche che hanno certamente il loro valore e peso, ma che, a mio avviso, debbono essere integrate sopra tutto sulla base di criteri e di motivazioni politiche, di ben altra portata e significato.

Tralascio la circostanza che non vi è, credo, giurista il quale possa ragionevolmente conciliare la presunta esistenza di uno stato di guerra con la conclusione di accordi quali quello per il regime degli italiani di Tunisi e per la ripresa di relazioni dirette2 che hanno condotto alla tua presenza a Parigi e di Couve a Roma.

1 Telespr. 12/8403/90, pari data, sullo stato giuridico dei rapporti fra Italia e Francia. 2 Vedi D. 73.

La questione mi pare un'altra e precisamente questa: si vuole veramente giungere, fra noi e la Francia, ad una distensione e riavvicinamento? Se si, è evidente che questo insistere su un presunto stato di guerra, non giova a nulla, o, meglio, a riportare il rapporto italo-francese su posizioni di partenza, che da parte nostra riteniamo di aver decisamente superato con l'accordo sulla Tunisia, con due· anni di cobelligeranza, con l'insurrezione generale in alta Italia, con la totale distruzione del fascismo, ecc.

Noi sappiamo d'altra parte perfettamente come le cose si sono svolte in materia di operazioni militari alla nostra frontiera occidentale. Il maresciallo Alexander ha chiesto al generale Eisenhower di dare ordini affinché azioni dimostrative fossero fatte dalle poche truppe francesi colà scaglionate, allo scopo di fissare sul posto le due divisioni tedesche attestate nella stessa zona. Le operazioni, di scarso o nessun rilievo, sono state effettuate; la resistenza tedesca è crollata per esclusivo effetto della spinta anglo-americana e della vittoriosa insurrezione italiana; ordini sono stati dati dallo stesso Eisenhower perché le truppe francesi rientrino a casa loro al più presto.

Ora, a distanza di parecchie settimane, queste truppe non si muovono; provvedimenti di occupazione sono attuati su scala relativamente vasta; un'azione di propaganda è condotta con mezzi e in forma decisamente inimichevoli; revisioni di frontiera sono improvvisamente avanzate da più parti e a diversi titoli.

L'opinione pubblica italiana si domanda che cosa tutto questo significhi e a che cosa conduca. E se per avventura non vi sia, da parte francese, il proposito malcelato di approfittare di una situazione per noi difficile e comunque di impotenza e di operazioni militari contingenti ed ormai concluse, per sollevare improvvisamente e inaspettatamente richieste che comunque si qualifichino, sono territoriali e per sollevarle-quel che è peggio -in termini di occupazione militare, cioè di colpo di mano e di forza.

Ora, io credo troppo nella necessità del riavvicinamento e della fiduciosa collaborazione fra Italia e Francia, perché mi ~ia lecito nascondere che questo atteggiamento francese rischia di ricreare fra i nostri due Paesi quell'atmosfera di sospetto e di diffidenza da cui è invece indispensabile farli uscire.

Con telegramma a parte 1 riceverai istruzioni sulla questione specifica dell'occupazione e rivendicazioni connesse.

Qui vorrei soltanto insistere perché tu batta con codesto governo, a mio nome e con ogni tua forza di convinzione, soprattutto su questo chiodo: il riavvicinamento fra Italia e Francia è certamente uno dei cardini fondamentali della pacificazione e della ricostruzione europea in generale, della rinascita dei nostri due Paesi in particolare. È altrettanto necessario per noi come per la Francia. È dunque opera di estrema importanza, che va affrontata con larghezza di animo e di visione. Occorre per conseguenza che dalle due parti questo generoso proposito non sia isterilito da meschine beghe artificiosamente create da elementi subalterni. Occorre nantenersi umani ed europei, occorre, insomma, tenere gli occhi all'avvenire, piuttosto che all'increscioso e doloroso passato.

So quanto il tuo compito sia complesso e difficile e lo seguo con ogni cordialità, molto contando sulla tua opera.

l Vedi D. 224.

226

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4183/131. Washington, 30 maggio 1945 1 (per. ore 8,30 del 2 giugno).

Telegramma di V.E. n. 2169/c. (ultimo capoverso) e mio telegramma n. 108 2 .

Ho avuto stamane nuovo lungo colloquio con Phillips al Dipartimento di Stato; tra l'altro mi ha spontaneamente argomentato questione di una nostra dichiarazione di guerra al Giappone. Era qui giunta attesa risposta Londra al parere chiesto dagli U.S.A., i quali si erano per parte loro dichiarati a ciò favorevoli.

Londra, in tono piuttosto evasivo, confutava Washington che non vedeva inconvenienti, ma stimava questione non fosse urgente e esame concreto potesse essere rinviato. Dipartimento di Stato ha per contro dato precise istruzioni -ambasciatore degli U.S.A. Londra discutere questione con Foreign Office onde ottenere una risposta precisa.

Mentre richiamo ad ogni buon fine considerazioni esposte con mio rapporto 88 3 , sarei grato a V.E. cortesi istruzioni telegrafiche 4 anche per norma di linguaggio e in altre prossime conversazioni con Phillips.

227

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 555/161. Parigi, 30 maggio 1945 (per. il 14 giugno).

«Ci tengo a calmare subito le vostre inquietudini. La valle d'Aosta, no». È con questa frase pronunciata con un tono di grande franchezza ed energia che il ministro degli Affari Esteri mi ha oggi ricevuto nel suo ufficio. «Certo, ha aggiunto, bisogna fare i conti con i militari che perseguendo certe loro ubbie strategiche rischiano di pregiudicare situazioni politiche generali. Ma la valle d'Aosta, ripeto, no. Ho vissuto da giovane sulla terra d'Ivrea nel collegio di Bollengo e porto con me un ricordo gradito dell'Italia». A questo punto mi son permesso di accennare al ministro che la località in cui ha trascorso alcuni anni della sua giovinezza mi è familiare mia madre essendo nata a Bollengo. Questo dettaglio lo ha interessato assai e mi ha permesso di dare al colloquio un tono veramente cordiale.

1 Inviato il 31 maggio, ore 12,16. 2 Vedi DD. 149 e 195. 3 Vedi D. 103. 4 Vedi D. 234.

«Del resto, ha aggiunto il ministro, non posso ammettere che si pratichi una politica ingiusta contro chi è caduto e non può reagire». Avendomi poi chiesto se avevo dei fatti positivi da segnalargli, sempre a proposito della valle d'Aosta, l'ho messo rapidamente al corrente del seguito di vicende che ci hanno giustamente allarmato.

Riferendomi alle note dichiarazioni di de Gaulle sulla rinunzia da parte della Francia a porre rivendicazioni territoriali, ho fatto cenno al grosso sacrificio da noi compiuto in Tunisia. Ho rilevato quanto ci avesse dolorosamente colpito il divario tra l'affermazione del signor Couve de Murville, per cui l'entrata di truppe francesi in Italia non sarebbe avvenuta che per dar modo ad esse di recarsi in Austria 1 , e la situazione creatasi invece all'atto della loro installazione in certe zone del Piemonte. Ho segnalato l'atteggiamento annessionistico di alcuni giornali e infine il noto comunicato di «France-Presse» presentato da Monde come ufficiale e come tale commentato e illustrato, ecc. ecc. Per completare il quadro ho legato il problema del comportamento dell'esercito francese nelle zone di frontiera con l'avvenuta irruzione e conseguente occupazione del consolato di Marsiglia in violazione degli accordi stipulati tra i due governi. A questo accenno il ministro ha manifestato un profondo stupore; con un brusco scatto, staccato l'apparecchio telefonico, ha in termini concitati chiesto schiarimenti su una situazione che ignorava e ha pronunciato al telefono la seguente frase: «Sappiate che quando si assumono degli impegni bisogna rispettar li; fate evacuare subito».

Ritornando verso di me si è espresso amaramente contro i militari col tono dell'uomo disgustato, ma deciso a non lasciarsi sopraffare.

«Bisogna vedere i grandi problemi; si tratta di salvare la nostra civiltà e considero che, superate alcune difficoltà, i rapporti tra i nostri due paesi debbono diventar assolutamente soddisfacenti». Avendogli io richiesto cosa intendesse per le accennate difficoltà, si è così espresso: «C'è un problema di leggeri ritocchi alla frontiera, ma vedrete che si tratta di cose che per la loro esiguità non mettono assolutamente in causa l'armonia tra i nostri due paesi. Del resto vedrò Couve e gli darò le istruzioni opportune». A questo punto, senza entrare sul problema di fondo dei ritocchi di frontiera, ho fatto presente al ministro quanto l'opinione pubblica italiana fosse sensibile ad ogni questione che interessasse l'integrità territoriale del paese. C'è oggi un patriottismo giacobino in Italia che sarebbe grave errore confondere col nazionalismo da tutti ripudiato. Il ministro mi parve apprezzare questo accenno. Mi pose in seguito una serie di domande sulla questione di Trieste, sulla situazione del ministero e dei partiti e sul problema istituzionale. Ho risposto a tutte le domande attenendomi rigorosamente al punto di vista ufficiale.

La conversazione continuò in tal modo à baton rompu, in un'atmosfera di schietta comprensione e cordialità. Ne approfittai per risollevare la questione dei prigionieri di cui prospettai il lato umano e politico. Il ministro mi ha riconfermate le assicurazioni già datemi in proposito dal presidente Jeanneney e congedandosi mi ha pregato di inviare i suoi saluti a V.E. e al signor Pietro Nenni.

Il ministro Bidault, tra tutti i capi politici emersi dalla resistenza che ho avuto occasione di avvicinare, è certo il più preparato. Nulla in lui del débraillé proprio di altri suoi giovani colleghi che ostentano una certa negligenza nel vestire e nei modi come la più conforme alloro spirito di «resistenti». L'autentico «resistente»

Vedi D. 137.

che è il ministro Bidault mantiene nei modi correttissimi e nell'urbanità del porgere una dignità che unita ad una evidente sincerità di convinzioni democratiche e a una larga e costruttiva consapevolezza dei problemi politici del nostro tempo, incute istantaneamente il rispetto e la stima.

Da informazioni raccolte si può considerare esatto quanto pubblica il Populaire intorno alle voci della sua sostituzione al ministero degli Esteri con un'altra personalità (mio telegramma stampa odierno n. 12) 1•

Il rimpasto ministeriale ventilato in seguito ai risultati delle elezioni amministrative e al ritorno dalla Germania di alcuni leaders democratici si è risolto però con un semplice rimaneggiamento che non interessa in ogni caso il dicastero degli Esteri. Il ministro Bidault rimane al suo posto, e, date le circostanze in cui è avvenuta la manovra per la valle d'Aosta e l'energica posizione antiannessionistica da lui presa sia in seno alla commissione degli Affari Esteri sia in seno al governo, si può ritenere che la sua riconferma alla testa del Quai d'Orsay costituisce un netto scacco per la politica antiitaliana dei gruppi militari dell'entourage del generale de Gaulle che fanno capo al signor Palewski.

È evidente che detti gruppi hanno approfittato dell'assenza del ministro Bidault per realizzare il loro progetto annessionistico preparato di lunga mano. La loro azione avrebbe dovuto essere coronata con la defenestrazione del ministro Bidault.

I fattori che hanno giocato a danno della manovra annessionistica sono, a mio avviso, in ordine di importanza i seguenti:

l ~ L'aumentato prestigio dell'Italia in ragione dell'azione liberatrice dei partigiani del nord.

2 ~ La pressione dell'Inghilterra e dell'America.

3 ~ L'azione energica dei partiti di sinistra (comunista e socialista) e di quello democratico-cristiano, in linea di massima ostili ad una politica antiitaliana.

4 ~ Le difficoltà sorte per la Francia nell'Africa del Nord e nel Medio Oriente che la sconsigliano di mettere troppa carne al fuoco.

È naturalmente sul terzo di questi fattori che questa ambasciata ha potuto esercitare un'azione concreta. Questa azione si è manifestata su due piani: quello dell'opinione pubblica attraverso informazioni per via della stampa intorno al reale apporto dato dai nostri partigiani alla causa comune; e quello dei contatti personali con esponenti della vita pubblica.

I colloqui cordiali avuti da me e dai miei collaboratori con il signor Thorez, capo del partito comunista francese; con Léon Blum, capo di quello socialista; con l'on. Vincent Auriol, presidente della commissione per gli Affari Esteri; con Gouin, presidente dell'Assemblea Consultiva; col presidente Jeanneney; con l'on. Le Troquer, presidente della municipalità di Parigi, e con altre personalità minori, ci hanno permesso di prospettare con successo il punto di vista italiano così conforme ai veri interessi della democrazia e dell'intesa franco-italiana. Abbiamo trovato sempre la massima comprensione che si è tradotta in una netta ed efficace presa di posizione nel senso auspicato dai giornali sia in seno alla commissione degli Affari Esteri, sia in seno al governo.

T. stampa 4169/12, non pubblicato.

Con la riconferma di Bidault agli Esteri e le dichiarazioni così esplicite e soddisfacenti da lui fattemi a proposito della valle d'Aosta, si può considerare chiusa la prima fase dei contatti di questa ambasciata. Tuttavia bisognerà vigilare affinché la posizione degli annessionisti, oggi così compromessa, non ritrovi l'occasione di riaffermarsi. A questo proposito confermo quanto ho già avuto l'onore di accennare intorno all'opportunità di conciliare una energica, dignitosa intransigenza sui problemi di fondo, con una larga comprensione delle aspirazioni della Francia sul piano della politica mondiale.

D'altro canto è mia convinzione che se per quel che si riferisce alla valle d'Aosta una ripresa della manovra annessionistica troverebbe opposizioni crescenti nell'opinione pubblica e in seno al governo, le cose stanno diversamente per la richiesta di una rettifica di frontiera secondo il criterio della «linea di cresta».

Per quel tanto che la frase «linea di cresta» ha di suggestivo e di soddisfacente di fronte alla coscienza popolare portata ad attribuire alle linee di demarcazione segnate dalla natura quasi una consacrazione solenne e misteriosa di diritti imprescindibili, ne viene che tutte le personalità politiche da me avvicinate, se hanno respinto senza reticenza alcuna l'ipotesi dell'annessione della valle d'Aosta, si sono espresse invece a favore di ritocchi della frontiera nel senso sopra accennato. Penso che non convenga, dato questo stato d'animo dominante in tutti gli ambienti, opporre pregiudiziali assolute, ma ventilare invece soluzioni possibili di compensazione qualora ne sorgesse l'opportunità.

Mi riservo di riferire ulteriormente a voce su questo delicato aspetto del problema franco-italiano 1•

228

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4200/133. Washington. 31 maggio 194J2 (per. ore 12 del 2 giugno).

Mio telegramma 1263 .

Continuo tenerrni contatto con Dipartimento Stato per questione Venezia Giulia. Stamane ho di nuovo insistito con Phillips necessità porre al più presto rimedio a situazione creatasi. Phillips mi ha assicurato che intenzioni americane ed anche quelle inglesi permangono come indicato nel mio telegramma riferito e cioè che occupazione truppe alleate proceda molto lentamente. Si desidererebbe, specie da parte inglese, ottenere concessioni progressivamente da Tito senza costringerlo mosse rapide e evitargli smacco troppo forte di prestigio. Mi ha detto che a Subasic, il quale è stato ieri ricevuto da presidente Stati Uniti, è stata riconferrnata posizione americana per Trieste. Mi ha confermato che Russia non ha finora qui appoggiato in via diplomatica richieste Tito.

1 Saragat partì per Roma il 3 giugno e ritornò a Parigi il 23. 2 Inviato il !0 giugno, ore 0,05. 3 T. segreto 4067/126 del 25 maggio, non pubblicato.

229

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4210/140. Washington, 31 maggio 1945 1 (per. ore 17 del 2 giugno).

Phillips mi invia ora testo dichiarazione relativa Italia che Grew farà oggi stesso giornalisti 2•

Mi astengo trasmetterla dato che provvederà stampa. Ho ringraziato Dipartimento di Stato per riconoscimenti ivi contenuti per opera governo, popolo e forze armate italiane, pur ribadendo urgente necessità che U.S.A. con gesti concreti aiutino moralmente e materialmente Italia superare sue attuali condizioni.

Sarei grato comunicarmi commenti nostra stampa.

230

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 467. Roma, ] 0 giugno 1945.

Ti mando la copm di una lettera dell'amm. Stone sulla questione di Val D'Aosta.

La notizia che il territorio è controllato dal governo militare alleato è confortante e ci lascia il tempo di studiare e meditare bene il problema che, come sai, è delicatissimo anche per le ripercussioni che una soluzione affrettata potrebbe avere in altre zone.

l Inviato il lo giugno ore 4,30.

2 La dichiarazione, ed. in United States and ltaly, cit., p. !54, era la seguente: «Our policy toward Italy has from the beginning been based on the view that Italy should be given every possible opportunity consonant with Allied military requirements to regain the respect of the world by proving that she is a democratic, cooperative, constructive element in Europe. Since October 1943 the Italian people, their Government, and their armed forces and patriot bands have cooperated fully with the forces of the United Nations against the common enemy. Wholly united again, they will be able to cooperate effectively in the common tasks that lie ahead. In the past 20 months the ltalian people have given substantial evidence of their love of freedom, attachment to democratic principles, and ability to rise above the shambles of Fascism and ruins of war. Ali Italy is now freed of the German yoke. There is no longer a division between an enemy-held north and a free south. The leaders of the various anti-Fascist parties throughout the country have been consulting on the formation of a new government representative of the whole country. That new government, as it comes to grips with the tremendous responsibilities facing i t, will be able to give us the measure of ltalian ability and determination to work together in rebuilding the country's economie and politica! structure and to work with the United Nations in the cause of world peace».

ALLEGATO

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. cc/1007. Roma, 28 maggio 1945.

La stampa romana di mercoledì 23 maggio scorso riportava che il C.L.N.A.I. di Milano aveva confermato la decisione del C.L.N. di Torino di concedere l'autonomia alla Val d'Aosta. Fu successivamente dichiarato che il C.L.N.A.I. aveva autorizzato il prefetto a porre in effetto tale decisione: «l 0 ) stabilendo come lingue ufficiali il francese e l'italiano; 2°) mediante una revisione dei confini comunali in conformità con quelli esistenti nel 1922».

Ho fatto fare le necessarie indagini su tutta la questione e vengo informato che non esiste alcun fondamento in merito alla notizia pubblicata. Sono anche informato che mentre la delegazione valdostana reclamò l'autonomia al C.L.N. di Torino, il C.L.N.A.I. ricevette tali richieste e ne prese atto in ciascun caso, ma nessuna dichiarazione, proclama o altro tentativo è stato fatto nella Val d'Aosta per affermare l'autonomia o la separazione.

Ella comprende, naturalmente, che il territorio in questione è controllato dal governo militare alleato e sarà, perciò, amministrato come tale.

231

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, Jo giugno 1945.

Ho posto al corrente oggi anche l'ambasciatore ·Kirk circa la situazione creata dai francesi sulla frontiera occidentale. Gli ho lasciato l'appunto scritto che accludo 1•

Contrariamente a quanto è sin qui avvenuto, sia da parte inglese che americana, Kirk lungi dal minimizzare la questione, ha affermato risultargli che le truppe francesi, nonostante gli ordini avuti dal Comando Supremo alleato, non solo non se ne vanno, ma allargano in qualche punto occupazione ed ingerenza.

Siamo dunque avviati verso una situazione parallela a quella esistente sulla frontiera orientale. Il governo di Washington ha preso netta e ferma posizione nei confronti jugoslavi e intende prenderla anche nei confronti francesi. Egli ritiene in conseguenza che se è stata cosa saggia da parte nostra mantenere sin qui, anche a seguito delle assicurazioni alleate, un atteggiamento di cautela e di remora, dati i recenti sviluppi della situazione e la circostanza che il problema sollevato dai francesi coinvolge una questione di principio sulla quale Washington tiene duro perché considera fondamentale, sarebbe ora necessaria una netta e ferma presa di posizione, che potrebbe, come nel caso della Jugoslavia, assecondare e utilmente fiancheggiare l'azione che inglesi e americani svolgono e continueranno a svolgere a Parigi nello stesso senso.

Il suo consigliere Dowling, con cui ho parlato dello stesso argomento subito dopo consiglia un energico passo presso Couve de Murville 2 in cui, pur riconfer

l Non pubblicato. L'appunto era stato già consegnato il 30 maggio a Charles. 2 Vedi D. 236.

mando i nostri propositi di amiCIZia verso la Francia ed anzi proprio a questo titolo, lo si preghi di portare a conoscenza del suo governo:

l) che tutte le ragioni militari che hanno consigliato i movimenti delle truppe francesi sono esaurite e ne attendiamo dunque il ritiro;

2) che le ingerenze francesi in tutta la zona. e la prolungata occupazione contrastano col principio fondamentale da cui non possiamo demordere che le controversie del genere debbono essere risolte alla pace e non con mezzi di violenza e di forza;

3) che le rivendicazioni territoriali che dovessero essere poste innanzi dalla Francia, sia pure nelle forme di rettifiche strategiche solleveranno certamente il più vivo contrasto italiano e compromettono seriamente i rapporti fra Roma e Parigi. Lo stesso Dowling ritiene opportuno che di tale passo sia data da parte nostra notizia ufficiale a Londra e a Washington. Potrebbe -a suo giudizio -~nche giovare una pubblica dichiarazione di governo -pacata ma ferma -nello stesso senso.

* * *

Ho visto Couve de Murville. Partirà per Parigi nella prossima settimana. Gli ho accennato al nostro crescente allarme e alla necessità in cui molto probabilmente ci troveremo di prendere pubblica e aperta posizione sull'argomento e di comunque reagire con ogni energia contro una situazione equivoca e intollerabile.

232

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, }O giugno 1945.

Il consigliere dell'ambasciata degli Stati Uniti mi informa che le consultazioni fra Londra e Washington, Alexander e Tito sono tuttora in corso. Mi ha comunque assicurato in termini espliciti che gli Stati Uniti non intendono recedere dal loro atteggiamento: controversie territoriali al tavolo della pace; amministrazione della Venezia Giulia affidata al governo militare alleato.

Nel frattempo Washington, assecondato del resto da Londra, ritiene suo dovere esplorare con cura, preventivamente, tutte le possibilità di regolamentazione pacifica della questione.

Nel corso della conversazione Dowling ha confermato di ritenere che i Soviet non abbiano intenzione di assecondare al cento per cento la politica aggressiva di Tito. Quando abbiano accertato che gli Stati Uniti resteranno fermi nel loro atteggiamento, è molto probabile che si guarderanno bene dallo spingere a soluzioni avventate.

La Russia è, a suo giudizio, molto più indebolita dall'enorme sforzo bellico compiuto di quanto generalmente si creda ed è anzi appunto in ragione di questo suo stato di relativo esaurimento che essa tenta di strappare ogni possibile vantaggio subito e non più tardi, quando forse non sarebbe più in grado di farlo.

233

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 2 giugno 1945.

Dowling (primo segretario dell'ambasciata degli U.S.A.) è di opinione che la vertenza circa l'occupazione della Venezia Giulia si avvia verso una pacifica soluzione, che sarà anche, però, una soluzione di compromesso. Gli Alleati non intendono transigere circa la completa occupazione da parte loro della zona a nord est di Trieste, necessaria ad assicurare le comunicazioni verso l'Austria, come pure intendono controllare Pola e la costa istriana occidentale. È probabile tuttavia che si conceda a Tito la occupazione della zona orientale. La linea di demarcazione tra le due occupazioni correrebbe all'incirca lungo la linea Wilson.

Anche Dowling aveva raccolto l'impressione che l'occupazione jugoslava avesse provocato benefiche reazioni a favore dell'Italia tra le stesse popolazioni slave che, messe di fronte ad un plebiscito, avrebbero in gran parte votato oggi a favore dell'Italia.

Gli ho fatto osservare, a proposito di plebisciti, che secondo nostri calcoli circa 120 mila italiani della Venezia Giulia si trovano attualmente fuori dai confini della regione. Per contro era da attendersi che Tito avrebbe fatto artificialmente immigrare un certo numero di slavi, onde sconvolgere definitivamente il rapporto tra le due stirpi componenti la popolazione.

Dowling ha risposto che stava a noi far rientrare alle loro case gli italiani, magari di nascosto («smuggle the Italians through »).

234

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. T.S.N.D. PERSONALE 2988/142. Roma, 4 giugno 1945, ore 17,30.

Ho letto con interesse sue successive segnalazioni circa una nostra eventuale partecipazione alla guerra contro il Giappone. Premetto che una iniziativa siffatta susciterebbe quasi certamente nell'opinione pubblica italiana reazioni in parte sfavorevoli, in parte di indifferenza, per ragioni generali di stanchezza, di estrema lontananza del teatro di operazioni, di preoccupazione e concentramento di attenzione, interna ed esterna, altrove. Non vi è d'altra parte uno specifico interesse nazionale da difendere che sottolinei in modo sufficientemente chiaro la necessità di quell'intervento, salvo quello, importante certamente ma generico, di rinserirci nelle grandi correnti della politica mondiale e avervi una qualche voce in capitolo. Non credo poi dalle indicazioni in mio possesso, che una nostra iniziativa in quel senso possa suscitare eccessivi consensi in Gran Bretagna e credo anzi probabile qualche contrasto a Mosca. Aggiungerò che, da quanto mi è dato giudicare da qui, non mi pare che una nostra iniziativa di partecipazione che fosse stata annunziata alla vigilia o subito dopo la fine delle ostilità in Europa, sarebbe stata destinata ad avere una forte risonanza appunto perché sommersa dalla ben altra ripercussione degli avvenimenti europei.

Ciò premesso, è mia opinione che un nostro gesto in questo senso non possa essere compiuto a titolo soltanto grazioso e gratuito, ma dovrebbe essere non direi negoziato, ma in qualche modo connesso con un effettivo e preventivamente concordato miglioramento della nostra situazione sia internazionale che economica. La questione, che non è sentita come nazionale, potrebbe così diventarlo e come tale essere apprezzata e valutata dall'opinione italiana. Tralascio qui di proposito ogni altra considerazione relativa ai modi con cui tale eventuale partecipazione potrebbe concretarsi, che andrebbero peraltro preordinati con cura e tempo (dovrebbe ad esempio trattarsi di collaborazione militare attiva e non di seconda linea e simili) e alla disponibilità dei mezzi per attuarla.

Qui vorrei soltanto pregarla di tenere presenti, nel corso delle sue conversazioni sull'argomento, le considerazioni che precedono le quali mi pare militino tutte in favore della tesi che convenga a noi non bruciare rapidamente una carta che sarebbe invece opportuno tenere in riserva sia per concretamente affrettare il processo di normalizzazione della nostra situazione, sia per provocarne la sistemazione definitiva più favorevole.

Ella mi informa nel suo ultimo telegramma (n. 108 dell5 maggio) 1 che contatti sono in corso sull'argomento fra Washington e Londra e sta bene. Il nostro proposito di assecondare sopra tutto gli Stati Uniti nella guerra in Estremo Oriente è dunque noto e allo studio. Conviene ora che ella cerchi di agganciare senza fretta (quel conflitto non è infatti risolubile nel giro di poche settimane) un'eventuale nostra iniziativa con una parallela e contemporanea iniziativa anglo-americana a nostro vantaggio. lo la informerò nel frattempo delle reazioni inglesi e sovietiche quali mi riuscirà di accertare 2•

l Vedi D. 195.

2 De Gasperi comunicò in pari data questo telegramma a Carandini con la seguente L. riservata personale 31900: «Tarchiani ha posto innanzi a Washington la questione di una nostra eventuale partecipazione alla guerra contro il Giappone. Il Dipartimento di Stato è favorevole e conversazioni pare. siano in corso fra Washington e Londra sull'argomento. Ho l'impressione che Tarchiani abbia forse bruciato le tappe. Ti accludo comunque un telegramma da me direttogli in data odierna e ti sarò grato se vorrai dirmi le tue impressioni e comunicarmi appena possibile il risultato dei tuoi accertamenti. Nel telegramma, la questione è, credo, posta in termini chiari. Regolati anche tu in conseguenza. È superfluo sottolineare che si tratta di questione grave e che va affrontata con molta ponderazione e calma».

235

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 30811195. Roma, 4 giugno 1945, ore 13.

Ci risulta che un'eventuale dichiarazione di guerra italiana al Giappone e una conseguente nostra partecipazione al conflitto -con mezzi e modalità tuttora da determinarsi-avrebbe larghe e favorevoli ripercussioni in tutta l'opinione pubblica nordamericana. Senza farne oggetto di passi speciali, ella voglia, la prego, fare costì, ma in forma e a titolo soltanto personali, qualche opportuno sondaggio, al fine di possibilmente accertare se una iniziativa che fosse ad un certo momento adottata da parte nostra in quel senso possa avere costì una qualche, favorevole o sfavorevole, ripercussione 1 .

236

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. PER CORRIERE 31152 . Roma, 4 giugno 1945, ore 19.

L'ambasciatore Couve de Murville ha chiesto ieri di vedermi. Mi ha parlato, sempre in tono lievemente imbarazzato, della situazione creata dai francesi alla frontiera occidentale.

Ho approfittato dell'occasione per esporgli ancora una volta, esplicitamente, il nostro pensiero soprattutto insistendo sui seguenti punti:

l) il principio del rinvio di ogni questione territoriale alla pace, con assoluta esclusione di ogni tentativo di fatto compiuto e di sopraffazione, è fondamentale per noi, e, non vi è dubbio, per gli anglo-americani. Su tale principio si appoggia, tra l'altro, tutta l'azione intrapresa da noi e dagli Alleati nella controversia ben altrimenti importante fra Italia e Jugoslavia. Non è dunque concepibile che si possa da parte nostra infirmare comunque tale principio e abbordare oggi una discussione con la Francia che riguardi un qualunque centimetro quadrato del nostro territorio.

2) Le ragioni militari che hanno motivato la iniziativa francese sono ormai evidentemente e completamente esaurite. Perché prolungare una situazione di occupazione che dovrà di necessità -visto il fermo atteggiamento inglese e americano -essere a un certo momento rettificata? È dunque necessario che le truppe francesi si ritirino e più presto meglio. Sarebbe evidentemente un errore far coincidere questa inevitabile ritirata con quella altrettanto inevitabile delle truppe jugoslave alla frontiera

l Per la risposta vedi D. 250. 2 Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra e Washington.

327 orientale. La questione, sin qui esclusivamente militare, rischierebbe di diventare di prestigio, con tutte le conseguenze connesse, tutte evidentemente spiacevoli.

Naturalmente sono anche tornato sull'argomento che V.E. conosce: cioè sulla inesistenza ripetutamente constatata dalle due parti di questioni territoriali fra Italia e Francia; sul vivissimo contrasto che il porle susciterebbe in Italia e più che mai con questi mezzi di forza; sul nostro recente sacrificio tunisino; sulla necessità di avviare il necessario riavvicinamento fra i nostri due paesi con reciproca buona volontà e buona fede.

Ho avuto l'impressione che Couve si renda perfettamente conto del nostro punto di vista. Mi è parso addirittura ch'egli vada in cerca di una qualche concessione formale da parte nostra che possa consentire alla Francia una ritirata onorevole e in qualche modo calmare la sete di prestigio dei suoi militari. Perché a un certo punto, pur sottolineando che si tratta naturalmente di questione interna italiana, mi ha chiesto con evidente interesse se e che cosa intendessimo fare per l'autonomia regionale valdostana. Al che ho risposto che era certamente nostra intenzione procedere a provvedimenti molto ragionevoli e liberali, soprattutto in materia di lingua, ma che mi pareva difficile stabilire una qualche connessione fra queste misure e gli interventi militari francesi.

Non so, ripeto, se la mia impressione sia esatta. Se lo fosse sarebbe significativa ed indicativa. Attendo di conoscere l'esito del suo colloquio con Bidault che ella mi preannuncia1 .

237

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 4384/154. Washington, 5 giugno 1945 2 (per. ore 12,45 dell'B).

Mio telegramma n. 1503 .

Al Dipartimento di Stato mi si è detto oggi che si era ormai deciso troncare tentativo Belgrado di tirare le cose in lungo, a base di note e contronote diramate nella questione Venezia Giulia e che quindi note testè consegnate governo jugoslavo dagli ambasciatori America e Inghilterra non avrebbero avuto da parte degli Alleati nuovi seguiti di carattere diplomatico. La questione sarebbe riportata sul terreno militare: Tito come è noto aveva offerto porre spedizione militare truppe nella Venezia Giulia alle dipendenze maresciallo Alexander; queste truppe dovevano pertanto ubbidire ordini loro comandanti che sono di sgomberare Trieste e le città abitate da italiani e di ritirarsi verso i confini. Al Dipartimento di Stato si mostrava

l Vedi D. 227.

2 Inviato il 6 giugno, ore 18.

3 Con T. segreto 4299/150 del 5 giugno Tarchiani aveva comunicato: «Phillips mi ha detto oggi che l'occupazione militare alleata va estendendosi nella regione di Trieste. Tito avrebbe perduto la speranza di essere sostenuto dalla Russia "con qualche cosa di più delle parole"».

328 un certo ottimismo circa effettuazione tale decisione. Mi si è aggiunto spontaneamente che contegno tenuto dalle truppe Tito era indegno di un popolo civile e che non era quindi ammissibile che esse partecipassero occupazione e amministrazione di territori non abitati da jugoslavi.

238

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 4411/155. Washington, 5 giugno 1945, ore 20,36 (per. ore 16 del 7).

Mio telegramma n. 121 1•

Ho chiesto al Dipartimento di Stato se fosse pervenuta attesa risposta di Parigi al passo americano. A quanto mi è stato detto, benché qui constasse si fosse in maggioranza propensi liquidare favorevolmente questione, permaneva opposizione di de Gaulle. Ambasciata degli Stati Uniti a Parigi aveva pertanto compiuto nuovo pressante passo. In relazione premure da me fatte mi è stato assicurato che qualora non si verificasse un miglioramento positivo, si era qui deciso agire anche nei riguardi Francia riaffermare maggiore fermezza.

Pur rendendosi conto difficoltà, al Dipartimento di Stato non si sarebbe alieni applicare anche nel caso de Gaulle la stessa procedura messa in opera nella questione Venezia Giulia in seguito anche a suggerimento quest'ambasciata: cioè una pubblica energica presa di posizione, cui all'occorrenza seguirebbe un proclama del maresciallo Alexander alle truppe americane quinta armata, alle quali spetta procedere occupazione territorio in parola. Nei due casi la questione di principio è identica.

239

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 4358/217. Mosca, 6 giugno 1945, ore l (per. ore 18,30 dell'B).

Telegramma di V.E. 1892 .

Questo ambasciatore di Cina mi ha detto che al suo telegramma personale Chang Kai-Shek ha risposto pregando di comunicare governo italiano per mio

I T. 3851/121 del 22 maggio: insistenze degli Stati Uniti per un sollecito sgombero delle truppe francesi dalle zone italiane di frontiera.

2 T. 30601189 del 2 giugno: intenzione italiana di nominare un ambasciatore in Cina non appena recuperata la disponibilità dei quadri diplomatici, ancora ridotta.

tramite che dopo San Francisco Cina dovrà occuparsi questioni europee. Essa intende in quanto è possibile esercitare in seno ai grandi Cinque azione moderatrice e conciliatrice: Cina non è però preparata su questioni europee ed ha quindi bisogno Potenza che le fornisca informazioni che le possono essere necessarie. Chang Kai-Shek memore collaborazione in passato con Italia pensa che Italia data sua situazione e sua mentalità possa meglio di altri Stati essere fonte informazioni imparziali; da parte sua è disposto informarci di quanto accade in seno ai «Grandi)) più di quanto gli altri siano forse disposti e nella misura possibile aiutarci. Per questo egli desidererebbe inviare Roma ambasciatore adatto allo scopo; per ragioni che noi dobbiamo comprendere non può però farlo se noi da parte nostra non inviamo ambasciatore Chung King. Se noi inviamo incaricato d'affari anche Cina sarà obbligata inviare incaricato affari e non sarà la stessa cosa. Si rende conto che attuale ministro Cina Santa Sede non è in ogni modo tramite adatto altro che per comunicazioni carattere amministrativo. Aggiungo che sebbene Cina a quanto posso giudicare da questo ambasciatore non è portata prendere troppo sul serio sua situazione grande Potenza, tuttavia se da parte nostra si desse impressione tardando troppo scambio ambasciatori non trattarla alla pari degli altri, finirà per offendersi.

240

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3161/149. Roma, 6 giugno 1945, ore 13,30.

Suo 135 1•

Le trasmetto a parte telegramma da me diretto oggi all'ambasciata a Londra 2 .

La prego di darne subito notizia costì. Ella vorrà ·aggiungere che siamo profondamente riconoscenti a codesto governo per l'avviso già espresso a Londra e più ancora lo saremo se esso vorrà appoggiare con la sua autorità il passo di Carandini per ottenere che tutta l'amministrazione della Venezia Giulia resti affidata agli anglo-americani, o, se ciò fosse assolutamente impossibile, per giungere a un tipo di amministrazione nella zona ad oriente della linea Wilson sulle linee di quella accennata nell'ultima parte del telegramma in alto citato.

Insista in modo particolare col Dipartimento di Stato sull'estrema difficoltà in cui soluzioni diverse porrebbero il governo italiano; sulla equità della nostra tesi; sulla necessità di ristabilire, anche in relazione agli avvenimenti alla nostra frontiera occidentale, la moralità internazionale 3•

1 T. segreto 4207/135 del 1° giugno con cui Tarchiani trasmetteva le notizie di cui al D. 241. 2 Vedi D. 241. 3 Per la risposta vedi D. 249.

241

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 3162/1871 Roma, 6 giugno 1945, ore 20.

Ambasciatore a Washington informa 2 aver appreso da fonte britannica che maresciallo Alexander tratterebbe con Tito sulle seguenti basi: fino a definitive disposizioni del trattato di pace, Jugoslavia conserverebbe controllo amministrativo e militare parte Venezia Giulia ad oriente linea corrispondente grosso modo quella di Wilson; parte della Vef!ezia Giulia occidente detta linea sarebbe invece occupata e amministrata esclusivamente da Alleati.

Tarchiani aggiunge che al Dipartimento di Stato gli è stato detto che U.S.A. sarebbero stati per parte loro d'avviso che A.M.G. amministrasse tutta la regione fino alla frontiera del 1939 conformemente alle assicurazioni a suo tempo dateci. Essi dovevano peraltro tener conto dell'atteggiamento dell'Inghilterra con la quale era necessario procedere d'accordo. Trattative con Tito procederebbero -secondo il Dipartimento -fra alti e bassi, mentre situazione locale resterebbe sfortunatamente invariata.

Non sfuggirà a V.E. gravità notizie telegrafate da Tarchiani, se confermate.

È per noi principio fondamentale che territorio nazionale sia, entro i confini del 1939, temporaneamente e successivamente posto sotto il controllo anglo-americano. Tale principio è, come ella sa, sancito dall'armistizio ed è stato in pratica applicato a tutte le regioni d'Italia. È altresì fondamentale mantenere fermo che controversie territoriali siano risolte alla pace. Infirmare questi principi, significa in sostanza ancora una volta avallare la politica dei colpi di mano e di forza e cioè rinnegare quegli stessi ideali di moralità e di giustizia internazionali per cui la guerra è stata combattuta.

Dobbiamo dunque insistere e con tanta maggiore convinzione in quanto si tratta di questione di principio che non riguarda noi soli, ma tutti, perché due fondamentali esigenze siano rispettate e non pregiudicate da soluzioni di compromesso che l'esperienza insegna a che cosa conducano.

Non sembra infatti dubbio che affidare oggi una qualunque parte del nostro territorio agli jugoslavi e nella specie le zone ad oriente della linea Wilson significa in sostanza entrare nel vivo della controversia territoriale e sancire ·senz'altro fin da ora e qualunque riserva si faccia per l'avvenire, una buona parte delle rivendicazioni di Tito, il quale non potrebbe esserne che incoraggiato ad esigere ulteriori concessioni al momento della pace.

Come ella sa, noi siamo disposti ad affrontare la questione della nostra frontiera orientale con larghezza di animo e con spirito sgombro da ogni preconcetto nazionalistico, ma alla condizione sine qua non che eventuali nostri sacrifici

1 Inviato, per conoscenza, alle ambasciate a Mosca (3162/204) e Washington (3162/150). 2 Vedi D. 240, nota l.

conducano effettivamente e realmente ad una feconda intesa con la Jugoslavia. La procedura cui Tarchiani accenna non condurrebbe invece a niente di tutto questo, ma anzi a scavare ulteriormente il solco fra i due Paesi piuttosto che a colmarlo.

La prego di far presente quanto precede con la maggiore urgenza al Foreign Office, presso il quale vorrà altresì avvalersi della dichiarata adesione degli Stati Uniti alla nostra tesi. Se non fosse assolutamente possibile che anche nella zona ad oriente della linea Wilson sia organizzata una amministrazione militare esclusivamente anglo-americana come sarebbe legittimo attendersi anche in conformità alle promesse fatteci, dovrebbe almeno essere attuato un qualche tipo di amministrazione mista, che desse anche agli jugoslavi una definita partecipazione nell'amministrazione di quella zona; a noi garanzia di obiettività e di giustizia; a tutti il senso che il tentativo di sopraffazione è stato sventato e la moralità internazionale ristabilita.

Insista, la prego, su quest'ultimo punto con ogni possibile argomento, anche ponendo innanzi la particolare fragilità della nostra situazione interna attuale e della nostra opinione, sulle quali soluzioni di ingiustizia provocherebbero indubbiamente pericolosi sbandamenti1 .

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK (2)

L. 15/8876/52 (Charles) 8877/65 (Kirk). Roma, 6 giugno 1945.

Mi si assicura che le conversazioni in corso tra il maresciallo Alexander e Tito sarebbero orientate verso l'organizzazione di una amministrazione anglo-americana a occidente della linea Wilson e di una amministrazione esclusivamente jugoslava ad oriente della linea stessa.

Non so se la notizia sia esatta. Se lo fosse, essa sarebbe per noi ragione di grave ansietà e turbamento.

Ella sa quale sia il nostro punto di vista ed è dunque superfluo riesporlo.Vorrei qui soltanto sottolineare in modo particolarissimo che, qualora le conversazioni effettivamente si svolgano in questo senso, la divisione della Venezia Giulia in due zone e l'affidare una di queste all'esclusiva amministrazione jugoslava, significherebbe in sostanza indubbiamente due cose:

l) venir meno al principio che l'amministrazione di tutto il territorio in discussione debba essere affidata agli anglo-a111ericani;

l Per la risposta vedi D. 246. 2 Ed. in inglese in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1179-1180.

2) avallare il colpo di mano jugoslavo consentendogli di dare i suoi frutti. Che tali frutti siano poi soltanto parziali non mi pare modifichi il fatto che il principio fondamentale di impedire i metodi di sopraffazione per sostituirli con mezzi e metodi più consoni alle nuove esigenze della convivenza internazionale, ne esca gravemente pregiudicato e compromesso.

Vorrei aggiungere che da una sistemazione siffatta, gli jugoslavi non potrebbero che sentirsi incoraggiati ad avanzare sempre ulteriori esigenze e a trasformare cioè il già acquisito conteggio in un trampolino di lancio per pretendere sempre più vaste concessioni. Ed è questa, come lei sa, la tecnica invariabile di tutti i colpi di forza.

È superfluo io le dica come siano vivamente presenti al mio spirito le gravi difficoltà che la questione presenta anche per i governi britannico e nord-americano e come profondo sia in questi momenti il nostro senso di solidarietà con Washington e Londra. Ma io sono veramente e profondamente convinto che il rinvio delle questioni territoriali alla pace, e la energica soppressione dei metodi di violenza siano veramente principi cardinali che debbono essere salvaguardati con ogni nostro potere.

Ed è per questo che mi permetto di pregarla di voler farsi interprete delle nostre preoccupazioni presso il suo governo, che ci ha dato in questa occasione prova così convincente di amichevole assistenza, e di volergli esprimere a nostro nome la speranza che, anche per la zona ad oriente della linea Wilson, qualora non sia assolutamente possibile addivenire, come sarebbe equo, ad una amministrazione anglo-americana, sia escogitata una formula mista che, pur dando una qualche ben definita partecipazione alla Jugoslavia, dia a noi garanzia di giustizia e di equità; e a tutti il senso che i principi fondamentali cui ho fatto cenno siano effettivamente e validamente salvaguardati 1 .

243

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 2446/2063. Londra, 6 giugno 1945 (per. il 16).

Ho già dato conoscenza a V.E. 2 delle dichiarazioni fatte da Churchill ai Comuni, nelle quali egli rende ampio e positivo riconoscimento al valido apporto della nostra marina dal momento dell'armistizio fino alla fine delle operazioni belliche in Europa. Quello che importa è di notare che ancora una volta ogni gesto di simpatia ci proviene da Churchill, il quale non perde occasione per creare un'atmosfera che ci sia favorevole. Non è del resto la prima volta che

I Per la risposta di Charles vedi D. 244. 2 T. 4387/287, pari data, non pubblicato.

dobbiamo riconoscere come il primo ministro dia tutta l'impressione di credere nell'utilità di un'Italia alleata e forte -e quindi più emancipata -a contrasto con la tesi -forse più popolare al Foreign Office :_ di un'Italia amica, ma debole e quindi più docile e controllabile. Sulla scelta fra le due strade potrà forse influire notevolmente il contributo maggiore o minore che potrà offrire all'Inghilterra la Francia, mentre buone relazioni tra noi e quest'ultima sono comunque auspicate a Londra come indispensabili al futuro equilibrio europeo. In altre parole, tutto tende a confermare l'ipotesi che, per quanto vinti, abbiamo buone probabilità di diventare un elemento essenziale e di prim'ordine, secondo le grandi linee della politica di Churchill. Persona amica ha del resto riferito di avere ascoltato, al momento dell'armistizio con l'Italia, dalla bocca del primo ministro: «Now we have t o make it easy for the Italians», e comincio a credere che se fosse dipeso soltanto da lui si sarebbe già fatta maggior strada con reciproco vantaggio.

Non direi per questo che la forzata assenza di Eden dal Foreign Office, anche se dovesse prolungarsi oltre il previsto, ci possa veramente giovare. È certo che egli porta in fondo negli affari di Stato quella mentalità così tipica del Foreign Office -del resto inviso a molti strati politici e dell'opinione pubblica -che tende a ritardare, scolorire e talvolta respingere anche le migliori iniziative. Il Foreign Office è infatti così dominato dalla tradizione da riuscire impopolare persino in un Paese tradizionalista come questo; ma esso offre in compenso una generale sensazione di sicurezza che, ad onta dell'apparente contraddizione, è quella desiderata anche dagli ambienti più ricettivi.

Senza il freno del Foreign Office diverso andamento avrebbero frequentemente preso le discussioni ai Comuni, dove si continua ad interpretare mirabilmente quanto l'elettore britannico si attende dai suoi governanti. Ma Eden rappresenta anche, agli occhi britannici, un felice compromesso tra le cautele e le riserve dei tecnici della diplomazia da un lato e la più spigliata linea di condotta dall'altro degli uomini del governo. Per questa sua impersonificazione della continuità della politica estera britannica, Eden è quindi di riflesso una solida garanzia di stabilita; indispensabile a coloro che intendono negoziare con l'Inghilterra. Recenti esperienze -ed ho riferito a suo tempo in proposito-hanno mostrato che lo stesso prestigio di Churchill, minacciato talvolta dalla sua stessa prontezza e genialità, ha trovato agli occhi del Parlamento una valvola ben sicura nel suo principale collaboratore del Foreign Office.

Finalmente, come si è già avuto occasione di osservare, se Churchill rappresenta una gloria, indubbiamente assai trasparente, del partito conservatore, Eden resta fino ad oggi l'uomo su cui esso conta per l'avvenire. Ed in vista delle prossime elezioni sembra essenziale per i conservatori di poter contare sull'efficienza di questo vecchio team che si completa in modo sorprendente. Sarebbe quindi da ogni punto di vista dannoso e pericoloso per l'Europa se Eden dovesse in questo momento diminuire considerevolmente la sua attività.

Per quel che più direttamente ci concerne mi sembra dover escludere che qualche cosa di definitivo possa aver luogo nei nostri riguardi prima che si conosca l'esito delle imminenti elezioni; e ciò non certo perché si debba soltanto considerare il presente gabinetto di caretakers come un governo di ordinaria amministrazione (che davvero non si può permettere di questi tempi l'Impero britannico) quanto per il fatto che, contrariamente a quanto è avvenuto in America durante le elezioni presidenziali, qualunque misura che fosse presa qui nei confronti dell'Italia verrebbe indifferentemente sfruttata dall'avversario e potrebbe influire sfavorevolmente sull'esito della campagna elettorale.

Se viceversa Churchill uscirà vincitore dalle urne e la politica tradizionale dei conservatori potrà riavere il suo corso incontrastato, sarà forse giunto il momento per l'Italia di risolvere la sua più grossa questione attuale, che mi pare quella di entrare a fare parte delle Nazioni Unite. I più grandi ostacoli di carattere tecnico, di cui si vale oggi il F oreign Office (e lo fa a ragione ed a torto) le gelosie di suscettibili alleati, considerazioni di opinione pubblica più o meno preparata, dovrebbero cadere quel giorno e tutto fa prevedere che si potrà iniziare un proficuo lavoro. Continueranno a sussistere prevenzioni ed esitazioni nei nostri confronti, ma sarà più facile convincere il Primo Ministro a seguire con maggiore determinazione la linea di condotta sua propria, che ci sarà, a mio avviso, tanto più favorevole, quanto più, finita la guerra, il governo britannico si troverà incline o costretto a «fare della politica estera».

È naturalmente da tenere presente che l'esito delle elezioni non è affatto sicuro. Si prevede oggi che, per quanto il Paese vada inequivocabilmente a sinistra, le probabilità di successo del partito conservatore permangono molto alte. Non soltanto esso dispone dei mezzi più larghi e della stampa, ma si presenta con un programma di riforme sociali ed economiche che soddisfano nelle diverse classi e lo mettono in netta concorrenza con i laburisti. Viceversa non esistono notevoli divergenze tra i diversi partiti in materia di politica estera, mentre, indipendentemente dalla personalità di Churchill, si riconoscono ai conservatori una migliore preparazione e la disponibilità di uomini più capaci. Si prevede quindi -e ne ho la prova attraverso conoscenze personali -che non pochi, anche tra i laburisti, voteranno per i candidati del partito opposto perché intendono appoggiare la politica, che è tuttora di guerra, del governo di Churchill e di Eden.

Circostanze imprevedibili potranno modificare o capovolgere la situazione e non si deve escludere a priori una vittoria dei laburisti, con la conseguente costituzione di un governo di sinistra. In tal caso potremo contare su di un atteggiamento apertamente favorevole o quanto meno scevro di tante riserve. I laburisti aspirano ad assumere il «leadership» delle sinistre democratiche in Europa e seguiranno quindi una politica estera più liberale e contano farsi amica l'Italia, dove vorrebbero veder prosperare un socialismo molto temperato, ostile ad una dittatura di sinistra, che non minacci nuove avventure di carattere internazionale. Bevin mi diceva a questo proposito che se, com'egli crede, il suo partito riuscirà vincitore alle urne, egli conta dedicarsi al più presto alla stipulazione di una pace provvisoria con l'Italia, che le consenta di uscire dal presente stato d'incertezza. Mi ha inoltre indirettamente confermato di aver effettivamente posto la sua candidatura per il Foreign Office, ciò che indubbiamente ci sarebbe utile, dati i buoni rapporti personali che ho con lui ed i sentimenti di amicizia che mostra verso il nostro Paese ed il sindacalismo italiano. Non bisogna peraltro farci soverchie illusioni: con tutta la migliore volontà i laburisti incontrerebbero sul terreno pratico delle gravi difficoltà a farci delle concessioni. Dovendo contare sull'appoggio delle masse, un governo laburista non potrà compromettere la sua popolarità per procurarci quei soccorsi e quelle facilitazioni di carattere commerciale o finanziario che per non breve periodo di tempo si renderebbero necessari alla ricostruzione dell'Italia, esigendo dal cittadino inglese dei sacrifici che sarebbero soltanto redditizi a lunga scadenza. Mentre per delle concessioni di carattere politico dovrebbe vincere prima l'ancor vivo risentimento degli strati più bassi della popolazione. Meno accessibili nelle questioni di forma o di principio, soltanto i conservatori vorranno impiegare a reddito sicuro, anche se non immediato, il loro capitale. E sarebbe pertanto in ultima analisi un governo conservatore quello che, pur facendoci pesare moralmente di più la nostra riabilitazione politica, si mostrerebbe più deciso a consentirci di riprendere il nostro posto nel mondo, proporzionato al suo proprio interesse alla nostra collaborazione.

Un governo laburista, essendo più incline al compromesso, ci darebbe probabilmente maggiori e più rapide soddisfazioni; ma sarà meno intransigente nella difesa degli interessi britannici -e quindi dei nostri interessi, ogni qualvolta che collimano con quelli dell'Impero.

Quale che sia il partito che assumerà il potere, sarà condizione fondamentale per collaborare con l'Italia che questa dia prova di sapersi dare a sua volta un governo valido, che spinga il popolo italiano alla ricostruzione, dimenticando le varie lotte di partito.

Un governo temperato in Italia sarà più idoneo a trattare con i conservatori. Un governo di sinistra potrà meglio intendersi con i laburisti. Certo è che nessun governo britannico sarà disposto a prendere in considerazione un'Italia distratta dalle passioni politiche, inquieta, e, tanto meno, rivoluzionaria.

P.S. Il contenuto di questo rapporto può sembrare contraddittorio, ma la verità è che la realtà è contraddittoria e non permette di fare più precise illazioni 1 .

244

IL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 145/388/45. Roma, 7 giugno 1945.

l. I have received your letter (15/8876/52) of the 6th June 2 , and bave read it, as you will understand, with very great sympathy. Throughout this anxious and difficult controversy with Marshal Tito, I have been very conscious of the principle at stake and of the practical importance which it holds for Italians especially.

2. Your Excellency will have read, no doubt, the statement issued by Field Marshal Alexander on May 20th, and will bave understood from it the purely

I Il post scriptum è aggiunto a penna da Carandini. 2 Vedi D. 242.

military ongm of the proposal to divide Venezia Giulia into two zones, to be occupied by Yugoslav and by Anglo-American forces respectively. That proposal is now before Marshal Tito in its fina! form. What his decision will be, I do not know. But I can assure you that if he accepts it, he will do so on the clear understanding that the military occupation and administration by Yugoslavia of parts of Venezia Giulia east of the dividing line in no way prejudices or affects the ultimate disposal of that area -which, according to my information, is overwhelmingly (though with certain exceptions) inhabited by people of Slav race and language.

3. I venture to make these personal observations to Y our Excellency solely with a view to alleviating, if I can, the anxiety which your letter expresses and I am, of course, bringing the contents of your letter to the notice of my Government by telegraph.

245

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

TELESPR. 15/9078/93. Roma, 8 giugno 1945.

Suo rapporto n. 138/12 del 23 aprile 1945 1•

Questo ministero ringrazia V.E. per il rapporto citato in riferimento e per le informazioni e considerazioni in esso contenute. Come l'E.V. avrà potuto rendersi conto dalle ulteriori comunicazioni pervenutele da questo ministero e, pel tramite del ministero stesso, dalle rappresentanze italiane a Washington e Londra, l'azione svolta da codesta ambasciata, in merito alla questione giuliana, appare conforme alle superiori direttive e istruzioni.

La posizione italiana nella questione della Venezia Giulia si riassume nei seguenti termini: l'armistizio concluso dall'Italia con le grandi Potenze alleate prevede l'occupazione di tutto il territorio italiano fino al confine del 1939 da parte delle truppe di queste Potenze. Le questioni territoriali dovranno essere esaminate al tavolo della pace e debbono intanto rimanere impregiudicate. La mossa jugoslava, intesa a porre gli Alleati e l'Italia dinanzi al «fatto compiuto», turba quell'ordine e quella moralità internazionale per la cui difesa si è svolta l'ultima guerra; è il ripetersi di quei sistemi che hanno caratterizzato la politica hitleriana e fascista. Si tratta di fenomeni di anarchia internazionale che se passivamente subiti ed accettati riescono pericolosi ad una convivenza internazionale quale si intende vedere ristabilita in Europa sotto gli auspici delle grandi Potenze. È questo un principio d'ordine etico-politico sul quale riteniamo insistere nell'interesse generale. In particolare la questione controversa tra l'Italia e la Jugoslavia non deve essere pregiudi

l Vedi D. 143.

337 cata dalle contingenti operazioni militari. L'occupazione alleata non pregiudica in qualsiasi modo neppure ai danni della Jugoslavia la soluzione definitiva che dovrà essere data alla zona controversa.

Come V.E. avrà rilevato dalle trasmissioni fattele tale appare del resto essere in massima il punto di vista delle Potenze che sono venute a trovarsi, sia per ragioni politiche generali, sia per motivi contingenti di necessità e interesse operativo, coinvolte nella questione. Ci rendiamo pienamente conto della valutazione che ella fa sull'atteggiamento sovietico nei nostri riguardi in relazione alla questione della Venezia Giulia e sulle considerazioni di ordine politico generale che influiscono su tale atteggiamento. Ci rendiamo conto anche della difficoltà e della inferiorità della nostra attuale posizione, ben diversa dal punto di vista sia oggettivo che soggettivo da quella del 1939 e valutiamo esattamente con V.E. la posizione della Russia sovietica nei Balcani ed in genere in tutta la sua così detta «zona d'influenza». L'Italia non può tuttavia obliare, anche se trovasi momentaneamente prostrata e tuttora in pieno travaglio di ricostruzione, che essa rappresenta pur tuttavia nella politica europea e particolarmente mediterranea un centro di riferimento politico adeguatamente considerato dalle altre grandi Potenze mondiali.

Questo ministero continuerà a tenerla informata dell'andamento della questione per sua opportuna conoscenza e norma e le sarà grato se, per parte sua, ella vorrà continuare a riferire, da costà, ogni utile informazione e impressione.

246

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 4546-4545/299-300. Londra, 9 giugno 1945, ore 22,35 (per. ore 18,30 dell'li).

Ho conferito dietro suggerimento Sargent continuamente impegnato con primo ministro nell'assenza Eden con Howard capo del Dipartimento Europa meridionale ed ho avuto comunicazione testo accordo Tito che prevede sostanzialmente:

l) vengano poste sotto controllo militare alleato intere zone ovest linea che passando un poco oriente Trieste include Gorizia Caporetto Tarvisio Pola città, ancoraggi !stria occidentale.

2) Distaccamento jugoslavo non più 2 mila uomini resterà occidente detta linea risiederà zona fissata Alleati che provvederanno vettovagliamento e non potrà accedere resto zona occupata.

3) Ristretto numero osservatori jugoslavi ammessi quartiere generale sa armata.

4) Truppe jugoslave ritirate entro il termine ore 8 antimeridiane 12 corrente.

5) Decide sorte forze irregolari. 6) Residenti predetta zona arrestati deportati da restituirsi unitamente proprietà confiscate asportate eccetto coloro che possiedono cittadinanza jugoslava prima anno 1939. 7) Accordo non compromette sorte definitiva zona ovest come est linea suddetta'.

Ho rappresentato tutti gli argomenti segnalati da V.E. 2 mettendo in evidenza dolorosa delusione che risulterà in Italia. Howard mi ha dichiarato che Inghilterra considera un successo i termini di questo settlement e che primo ministro è rimasto urtato dal contenuto nota italiana su questo argomento ultimamente trasmessagli a mezzo Charles3 essendosi personalmente attesa riconoscenza e non risentimento governo italiano per aver intanto sottratto Trieste e liberata popolazione ad ovest linea concordata dalla dominazione jugoslava.

Non so se questo risentimento non. vada anche posto in relazione con irritazione per aver dovuto tanto cedere alle pretese di Tito e sostanzialmente dei russi.

Per quanto riguarda atteggiamento America sulla questione mi è stato recisamente negato che vi siano state divergenze fra le due potenze, il testo dell'accordo essendo stato compilato in comune e assoluto accordo.

Prima dell'occupazione jugoslava Inghilterra aveva sottoposto all'America quattro soluzioni, una delle quali, scelta dall'America, prevedeva amministrazione tripartita (anglo-americana-jugoslava) di tutta Venezia Giulia. Successivi avvenimenti hanno reso inattuabile questa soluzione e hanno consentito come massimo possibile attuale divisione di zone proposta definitivamente dall'Inghilterra e dall'America ed accettata da Tito. Certe informazioni da Washington rispondono tendenza generale americana di attribuire a resistenza britannica ogni esito insoddisfacente per l'Italia di una politica comune. Di fronte al fatto compiuto non credo ci sia per ora nulla da fare salvo mantenere ben vivo principio riconfermato nell'accordo che l'attuale divisione di zone non deve pregiudicare future definitive

1 Il IO giugno De Gasperi fece all'ANSA la seguente dichiarazione: «Il governo italiano aveva fatto una questione di principio: i colpi di mano, l'occupazione con la forza non possono dirimere una controversia e creare una base sicura per la pace fra i popoli. Per questo avevamo insistito affinché l'intera Venezia Giulia venisse occupata provvisoriamente da forze alleate non coinvolte nella contesa. L'America e l'Inghilterra avevano accolto fin dall'inizio e fatto proprio questo punto di vista. Non abbiamo informazioni dirette sull'atteggiamento della diplomazia russa, ma è da ritenersi che essa abbia agito in senso conciliativo sulle presenti conclusioni. L'accordo che si annunzia non è l'applicazione integrale del principio e suscita perciò in noi qualche apprensione, per quanto esso contenga esplicitamente la riserva che ogni decisione di carattere territoriale è rimessa alla pace: è un compromesso di fatto, frutto di lunghe trattative e di uno sforzo tenace dei governi di Londra e di Washington che è giusto riconoscere e del cui valore in Italia si ha piena consapevolezza. Non ancora ci è giunta una comunicazione ufficiale né abbiamo sott'occhio la carta della linea di demarcazione concordata. Sembra però che oltre Trieste e Gorizia siano al di qua della linea, assieme a Pola, le città minori d'indiscutibile carattere italiano sulla costa istriana, e ciò ci procura grande soddisfazione. La popolazione italiana deportata rientrerà nei paesi evacuati e un nuovo sforzo conciliativo dovrà essere fatto per garantire la cessazione degli urti, assicurando la pacifica convivenza, e costruire su liberi accordi con la Jugoslavia e col concorso delle Nazioni alleate la pace definitiva che tutti desideriamo. I fratelli della Venezia Giulia non saranno dimenticati e tutta la Nazione deve essere concorde in una solidarietà che non esclude la giusta considerazione dei diritti degli altri popoli.

2 Vedi D. 241.

3 Vedi D. 242.

sistemazioni da adottarsi in sede trattato di pace. Occorre vedere in questa soluzione una ulteriore prova delle difficoltà cui debbono far fronte gli Alleati in ogni questione che implica diretto o indiretto interesse sovietico.

Per quello che può valere, non ho mancato far presente a Howard con ogni energia che questo nuovo compromesso non pregiudica solo interessi italiani ma anche prestigio britannico, risolvendosi fra l'altro in una violazione da parte Alleati dei termini di armistizio ed in una abdicazione evidente di fronte ad elementari criteri equità proclamati nelle prime manifestazioni ufficiali anglo-americane. Su questa faccenda ho osservato che l'attuale soluzione avrebbe preparato senza dubbio stato di fatto che la conferenza pace difficilmente potrà correggere e che è quindi foriero di un futuro conflitto italiano-jugoslavo.

Devo dire che le mie osservazioni hanno provocato una non favorevole reazione sul mio ascoltatore il quale rifletteva evidentemente stato d'animo di Churchill. Egli mi ha apertamente manifestato suo timore che una reazione opinione pubblica italiana potrebbe ripercuotersi sfavorevolmente sui rapporti fra i due Paesi che qui certamente non si ritiene siano migliorati con la liberazione Alta Italia.

247

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 9 giugno 1945.

L'ambasciatore Charles mi ha dato lettura di un telegramma direttogli dal Foreign Office in cui, a proposito della nostra lettera del 6 giugno 1 relativa all'allarme suscitato in Italia dalla notizia della divisione della Venezia Giulia in due zone di occupazione, si afferma che la lettera stessa ha provocato viva sorpresa a Londra. Il Foreign Office si attendeva infatti da parte nostra l'espressione della più viva riconoscenza per la soluzione raggiunta, piuttosto che di sentimenti di preoccupazione e di contrasto. Tale soluzione è stata infatti raggiunta a Washington e Londra attraverso fasi e sforzi di particolare delicatezza che hanno posto a rischio i rapporti inglesi e americani con terze Potenze ed il cui risultato non può essere considerato che soddisfacente. L'ambasciatore Charles aveva l'aria di disapprovare le istruzioni ricevute e si limitava a pregarmi di comunicarle a V.E., aggiungendo che egli avrebbe accomodato la faccenda direttamente.

Ho risposto che da parte nostra siamo perfettamente consapevoli degli sforzi effettuati in questa occasione da Washington e da Londra; della delicatezza e gravità della situazione anche per quanto concerne i rapporti fra i tre grandi Alleati; e che da tutto ciò i nostri sentimenti di riconoscenza e di solidarietà con gli anglo-americani uscivano indubbiamente rafforzati e consolidati.

I Vedi D. 242.

Da parte nostra si difendeva comunque una tesi conforme alle assicurazioni a suo tempo dateci e del resto sanzionate dal noto manifesto del maresciallo Alexander alle truppe, che la Venezia Giulia avrebbe cioè dovuto essere nella sua integrità amministràta temporaneamente dagli anglo-americani e che i colpi di forza debbono essere scoraggiati e repressi. L'accordo incide su questi due principi, sia pure parzialmente, sebbene salvaguardi sino alla pace l'assegnazione definitiva dei territori in contestazione.

Era dunque naturale che tutto ciò suscitasse in Italia ansietà e turbamento, ciò che non esclude peraltro che tali sentimenti sono accompagnati da altrettanto vivi sentimenti di gratitudine verso gli anglo-americani per gli sforzi compiuti a favore della tesi, che è poi la tesi italiana e, insieme, alleata.

248

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE 2448. Londra, 9 giugno 1945 (per. il 16).

Faccio seguito ai miei telegrammi nn. 299 e 300 1 per confermarti che nel fare le mie rimostranze per l'accordo stabilito con Tito, il quale sacrifica a favore degli jugoslavi la totalità della penisola istriana rappresentando un enorme peggioramento sulla linea Wilson, ho trovato un ambiente irritato e mal disposto verso la nostra legittima reazione.

Se Churchill si attendeva manifestazioni di riconoscenza italiana per questo netto ripiego dall'energica presa di posizione assunta inizialmente da Inghilterra ed America, ciò dimostra che egli non è esattamente informato dello stato della opinione italiana, né dell'essenziale ed universale carattere di principio che la questione dell'arbitraria occupazione jugoslava riveste nel nostro giudizio.

Io non ho cessato di far presente tutte le ragioni italiane ed europee che militavano a favore di un più fermo atteggiamento ed il Foreign Office ha costantemente convenuto con me in questo apprezzamento. Che le cose non volgessero favorevolmente mi era già stato rivelato dalla frase di Sargent riferita nel mio telegramma dell'8 corrente n. 291 2• Secondo me questo è senza dubbio un boccone amaro che gli anglo-americani hanno dovuto deglutire e l'episodio fa parte di tutto l'insoddisfacente quadro della difesa elastica e sfortunata contro le pretese russe.

Questa mi pare sia la vera ragione che sta al fondo della irritazione di Churchill.

È per me sommamente spiacevole di non poter avvicinare in questo momento Eden completamente isolato a cagione della malattia, e tanto meno Churchill completamente assorbito dal cumulo eccezionale dei suoi obblighi. Non escludo

t Vedi D. 246. 2 T. 4465/291, non pubblicato.

però di riescire a vedere quest'ultimo prima della mia partenza per Roma verso fine mese.

Ho assulutamente bisogno di un contatto diretto con te per illuminarti su vari aspetti che mi è difficile rappresentarti a distanza.

La mia impressione intanto è che non convenga esacerbare con eccessive reazioni la sensibilità del primo ministro che fondamentalmente fa quanto può in nostra difesa ma non può, come non può l'America, forzare la situazione. Tu mi intendi. Volendo essere realisti fino ai limiti del ragionevole questa sistemazione salva intanto Trieste. Il che non rappresenta certo una passività nella tua politica.

Devo aggiungerti che l'accenno di un preteso adattamento americano a resistenze inglesi verso una più soddisfacente sistemazione ha destato qui particolare irritazione ed ho francamente l'impressione che in questa occasione, come in altre precedenti, i due paesi abbiano esattamente condivisa la stessa pratica politica e la stessa responsabilità.

P.S.: Ho parlato ora con Hoyer Millar capo del Western Office (Italia-Francia-Spagna) reduce da Parigi ove si è attivamente occupato dei casi nostri. Mi ha detto di essere in definitiva ottimista e di confidare in una prossima favorevole soluzione. Ma chi si fida ormai di questi ottimismi. Quello che è certo è che il governo inglese influisce energicamente a nostro favore. Non bisogna dimenticare però che ha a che fare con un de Gaulle.

249

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 4543-4549/166-167. Washington, IO giugno 1945, ore 12,40 (per. il 12).

Telegrammi di V.E. n. 149 e 1501 .

Non appena in possesso telegrammi suindicati sono subito intervenuto ripetutamente presso Phillips consegnandogli anche due memorandum ed insistendo nel senso istruzioni di V.E. 2•

Purtroppo trattative iniziate sulla base segnalata miei telegrammi precedenti sono in questi ultimi giorni sboccate accordo noto V.E. che registra nuovo ripiegamento Alleati.

Stamani Dipartimento Stato mi ha comunicato testo accordo. Mi sono recato immediatamente Phillips cui ho espresso dolorosa sorpresa per compromesso accettato Stati Uniti d'America malgrado ripetute assicurazioni datemi. Phillips mi ha risposto che governo degli Stati Uniti suo malgrado aveva dovuto finire coll'aderire compromesso [essendo impossibile] far prevalere sua tesi primitiva.

l Vedi DD. 240 e 241. 2 Vedi Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1180-1184.

Alle mie naturali obiezioni di principio [esposte] fin d'allora che ne sarebbe derivata delicata situazione interna italiana Phillips ha risposto che pur rendendosi conto che accordo non poteva soddisfarei doveva pur riconoscere che:

l) «Punti chiave» Venezia Giulia saranno in salda mano anglo-americana ciò che costituisce garanzia per regolamento finale del problema.

2) Accordo costituisce il massimo ottenuto senza dover ricorrere alle armi data situazione gravemente pregiudicata.

3) Formulazione alquanto vaga accordo lascia campo ad eventuali successivi miglioramenti [e costituisce] un duro colpo inflitto prestigio Tito il quale si era sentito sicuro poter mantenere tutte le posizioni occupate.

Ho esaminato con Phillips e successivamente con alto funzionario Dipartimento di Stato vari articoli accordo chiedendo precisazioni ed avanzando qualche suggerimento a titolo personale. Ho avuto anche conversazione confidenzialissima con fonte britannica (che peraltro prego non citare in eventuale riferimento).

Riassumo queste mie informazioni:

l) Mi è stato detto che linea di cui articolo l o parte da dintorni Tarvisio incluso segue grosso modo riva orientale Isonzo e giuqge sino Capo d'Istria. Una prima carta geografica spedita qui da Alexander importava soltanto una specie testa di ponte intorno Pola. Successivamente Alexander ha comunicato non ritenere sufficiente territorio precedentemente richiesto e di riservarsi inviare nuova carta geografica. Anche da ciò formulazione varia articoli l e 3.

2) Non mi si è potuto precisare «distretti» dove saranno acquartierati i duemila militari jugoslavi. Fonte britannica ha accennato possibilità stiano Trieste «in modo rimanere sotto continuo controllo Quartiere Generale». Dipartimento Stato tendeva invece escludere tale eventualità. Al riguardo ho accennato a Phillips a titolo personale che evidenti ragioni di [opportunità suggeriscono] analogo trattamento per quanto riguarda militari ed osservatori presso Quartiere Generale Trieste dovrebbe essere riservato all'Italia, tanto più che formazioni R. esercito e CC.RR. dipendono già da Alexander.

Phillips ha accolto suggerimento con interesse. Alto funzionario Dipartimento Stato mi ha detto poi considerare la cosa con simpatia. Sarebbe stato opportuno che governo italiano prenda iniziativa interessando Commissione Alleata. Di qui si sarebbe telegrafato a Stone ed a Kirk. Segnalo peraltro che fonte britannica mi ha detto che la possibilità amministrazione quadripartita Venezia Giulia era stata esaminata e risolta negativamente da consulenti giuridici Foreign Office il che escluderebbe parità trattamento fra Italia e Jugoslavia per quanto suindicato.

3) Mi è stato detto unanimemente Tito aveva chiesto insistentemente che amministrazione civile jugoslava rimanesse al suo posto da ciò relative frasi articolo 3°. Sarebbe peraltro intenzione anglo-americani limitare moltissimo tale amministrazione restringendola ove del caso a località esclusivamente slave mentre si intenderebbe far largo uso elementi italiani.

4) Ho approfittato paragrafo quarto per chiedere che analoghe disposizioni vengano applicate per connazionali Fiume. Pur esprimendo [estrema] riserva Dipartimento di Stato non ne ha escluso future possibilità.

250

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 4614/227. Mosca, 11 giugno 1945 1 (per. ore 16 del 14).

Mi riferisco a telegramma V.E. 1952•

Dai sondaggi qui fatti a titolo personale ho riportato impressione che atteggiamento non sia favorevole. Italia ha adesso da affrontare, mi si è fatto osservare, troppi problemi gravi nella sua ricostruzione per imbarcarsi in una guerra che sarà lunga e difficile, per semplici ragioni di prestigio. A mio avviso ciò non è che un pretesto. Se noi dovessimo partecipare ad una guerra contro il Giappone a condizioni e con mezzi ben definiti, ciò significherebbe primo passo nostra rinascita militare navale, il che qui non è desiderato. È quindi da ritenere che non possiamo contare a questo riguardo su appoggio Russia. D'altra parte dato realismo politica sovietica se propositi cui accenna V.E. dovessero riuscire e Italia potesse uscire da sua attuale situazione completa impotenza, è probabile che in un secondo tempo saremo presi qui sul serio più di quanto non lo siamo ora.

Se poi la Russia.dovesse dichiarare guerra al Giappone è chiaro che diventerà nostro sacro dovere contribuirvi con tutte le nostre forze. Ritengo comunque per quanto ci sia possibile che sarebbe nostro interesse che la questione del nostro intervento contro il Giappone venga decisa prima dell'intervento russo cosa che in ogni caso non è imminente.

Prego V.E. in quanto lo ritenga compatibile con necessaria riservatezza di tenermi al corrente degli sviluppi delle nostre intenzioni date le loro possibili ripercussioni sulla nostra situazione qui.

251

IL CAPO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, Il giugno 1945.

L'accordo sull'amministrazione militare temporanea della Venezia Giulia, concluso a Belgrado il 9 c.m. fra i governi americano, britannico e jugoslavo, anche se non dà completa soddisfazione alle richieste italiane e costituisce dal punto di vista giuridico una parziale violazione dell'armistizio concluso con l'Italia, rappresenta politicamente un equo compromesso, poiché tende a conciliare le esigenze delle

l Inviato il 13 giugno, ore 10,48. 2 Vedi D. 235.

344 due parti in contrasto nei limiti consentiti dalle attuali circostanze sia di carattere locale che generale.

Mentre risulta confermato il principio sostenuto dal governo italiano che in nessun modo deve venire pregiudicata la questione dell'assegnazione definitiva della Venezia Giulia, che dovrà essere risolta in occasione della Conferenza della pace, vengono sottratte all'amministrazione militare jugoslava le importanti città di Trieste, Gorizia e Pola. Inoltre il governo jugoslavo si è impegnato a rimpatriare tutti i cittadini italiani residenti nella zona sottoposta all'amministrazione militare alleata che siano stati arrestati o deportati ed a restituire loro i beni confiscati o asportati.

La conclusione del predetto accordo è il risultato di labori.osi negoziati svoltisi per oltre un mese tra i governi di Londra, Washington e Belgrado, successivamente al concorde ed energico atteggiamento assunto dai governi britannico ed americano, la cui più caratteristica manifestazione è stato il noto proclama alle truppe del maresciallo Alexander, che ha duramente stigmatizzato l'azione di forza compiuta nella Venezia Giulia dal maresciallo Tito. Il governo italiano non è stato tenuto al corrente dello sviluppo della trattativa, essendosi i governi britannico ed americano limitati a dare fino all'ultimo ai nostri rappresentanti a Londra e a Washington, che hanno più volte prospettato il nostro punto di vista e le nostre apprensioni, delle generiche assicurazioni. Quanto al governo sovietico, esso ha sempre mantenuto nei riguardi della questione un atteggiamento strettamente riservato: solo nell'ultima fase dei negoziati i principali organi della stampa moscovita hanno preso apertamente posizione a favore della tesi jugoslava, rivelando così indirettamente l'atteggiamento assunto dal predetto governo.

Così stando le cose non sembra ormai più possibile ottenere una diversa soluzione della questione dell'amministrazione temporanea della Venezia Giulia rispondente alle nostre richieste, né chiedere di fare estendere l'amministrazione militare alleata anche al territorio della provincia di Zara. Si potrebbe tuttavia insistere acciocché i rappresentanti degli Stati Maggiori alleati nel fissare con quelli dello Stato Maggiore jugoslavo le modalità per l'applicazione dell'accordo in parola, facciano il possibile per salvaguardare i nostri interessi, richiedendo:

l) che, come è consentito al governo jugoslavo di avere una piccola missione quale osservatrice presso il Quartiere Generale dell'VIII Armata, così dei delegati militari anglo-americani possano risiedere con analoghe funzioni a Fiume e a Zara. In tal modo essi potrebbero esercitare un certo controllo sull'amministrazione militare jugoslava e sul trattamento fatto dalle autorità locali alla popolazione italiana, già tanto gravemente colpita;

2) che anche i cittadini italiani arrestati o deportati nelle zone sottoposte all'amministrazione militare jugoslava, sia nella Venezia Giulia che nella provincia di Zara, vengano rimessi in libertà e posti in grado di ritornare alle loro case, restituendo i beni confiscati o asportati;

3) che in tutti i territori facenti parte del Regno d'Italia nel 1940 vengano revocati i provvedimenti dei Comitati di liberazione nazionale locali o delle autorità jugoslave con cui è stata proclamata l'annessione di detti territori alla Slovenia o alla Croazia, o miranti a cancellare ogni traccia di italianità di quelle regioni.

Le predette richieste non possono non apparire legittime, costituendo, per quanto concerne la Venezia Giulia, il corollario del principio fissato dall'art. 7 dell'accordo, in cui è detto che l'accordo stesso non pregiudica e non influisce in alcun modo sulla assegnazione definitiva delle regioni della Venezia Giulia situate ad occidente e ad oriente della linea di demarcazione. Quanto alla provincia di Zara l'applicazione di detto principio dovrebbe considerarsi estesa per analogia.

Se nel compromesso raggiunto tra gli anglo-americani e gli jugoslavi circa la linea di demarcazione della duplice amministrazione militare temporanea della Venezia Giulia si può intravedere una specie di falsariga di quella che forse a parere degli Alleati dovrebbe essere la soluzione della questione dei confini orientali dell'Italia, ciò non toglie che da parte nostra convenga continuare nell'opera intesa a chiarire e ad appoggiare presso i vari governi, per il tramite delle nostre rappresentanze, quello che è a tale riguardo il nostro punto di vista.

A tal fine tornerà sempre utile continuare ad inviare alle predette rappresentanze ogni opportuna documentazione concernente il carattere italiano delle regioni in questione sia dal punto di vista etnografico che geografico, la loro importanza economica per l'Italia e l'amministrazione italiana della Venezia Giulia prima e dopo l'avvento del fascismo, mettendo in particolare rilievo a questo riguardo le opere di pubblica utilità compiute nella regione.

Di primaria importanza sarà poi, naturalmente, che quella solidarietà di atteggiamento dimostrata finora sulla questione dal popolo italiano si mantenga in Italia e si riproduca anche tra le nostre collettività all'estero, dove godiamo già dell'appoggio alquanto cauto, ma tuttavia promettente, dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, mentre più sollecito ed esplicito è già apparso il riconoscimento del nostro punto di vista da parte dei governi e dell'opinione pubblica di Spagna, Svizzera ed Irlanda. Quanto agli altri paesi non si hanno ancora elementi per giudicare del loro atteggiamento, ma sembra potersi attendere una particolare comprensione delle nostre richieste almeno da parte della maggioranza delle repubbliche dell'America latina.

252

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 846/242. Parigi, 11 giugno 1945 (per. il 30).

Sono stato stamane a fare una visita di cortesia al signor Couve de Murville, da qualche giorno a Parigi.

Nella amichevole conversazione protrattasi per quasi un'ora, sono stati toccati vari argomenti interessanti i nostri due paesi ed i loro presenti rapporti. Mi permetto segnalare a V.E. i punti che sembrano presentare qualche interesse.

Val d'Aosta. Avendo detto al signor Couve de Murville che, pur essendo le dichiarazioni del ministro Bidault al R. ambasciatore «definitive», alcuni accenni di giornali, le attività francesi in loco e la propaganda tra i valdostani di Parigi, potevan lasciar supporre che in alcuni ambienti la questione fosse ritenuta ancora aperta, il signor Couve de Murville ha tenuto ad assicurarmi che nessun dubbio può sussistere al riguardo e che, anzi, egli era venuto a Parigi soprattutto per far presente la necessità di accelerare lo sgombero francese della valle. «La nostra presenza, erroneamente interpretata in Italia, ha asserito, ha già sufficientemente intorbidato i nostri rapporti e provocato troppe reazioni nella vostra stampa», reazioni di cui il signor Couve de Murville mi è parso fortemente impressionato. Ci siamo trovati peraltro d'accordo che all'erronea interpretazione italiana non era stata estranea la condotta, per lo meno eccessivamente zelante, di alcuni ufficiali della zona.

Rettifiche di frontiera. Sulla questione non ufficialmente sollevata, ma che accenni di personalità governative e di giornali francesi davan l'impressione di essere «nell'aria», ho sviluppato al signor Couve de Murville gli argomenti ovvi -di carattere politico, spirituale e militare -in virtù dei quali ero certo che una eventuale richiesta francese, anche se presentata in un momento meno delicato dell'attuale, avrebbe incontrato una recisa resistenza da parte di qualsiasi governo italiano e dell'opinione pubblica del mio paese. Il signor Couve de Murville non si è sbottonato, facendo solo presente che il territorio in questione -a differenza della Val d'Aosta-era di superficie infima e con scarsissima popolazione. Gli ho obiettato che il punto di vista illustratogli non perdeva per ciò della sua validità. Avendomi accennato al forte di Chaberton, gli ho risposto che ove questa vetusta costruzione, facile preda dei moderni mezzi di distruzione, fosse ritenuta ancora un pericolo, nulla vietava, a mio modo di vedere, che essa venisse smantellata o distrutta, quasi a simbolo della rinata fiducia tra i nostri due paesi.

Prigionieri di guerra. Avendomi chiesto a quale punto fosse la questione, ho replicato che avevo ricevuto proprio un'ora prima la risposta del Quai d'Orsay alla nostra nota sull'argomento; non avevo avuto il tempo di studiarla, ma dovevo riconoscere che un soddisfacente progresso era stato ottenuto nel senso da noi richiesto. Gli ho parlato dello stato presente dei nostri prigionieri in Francia, ed il mio interlocutore mi è sembrato dolorosamente colpito dalla situazione fatta ai nostri ex prigionieri in Germania in mano francese. Quanto alle note dichiarazioni del ministro Pleven (vedi telegr. n. 24 del 5 maggio) 1 mi ha detto di averne parlato al Pleven stesso e che questi lo ha assicurato che nelle sue dichiarazioni non aveva accennato affatto a prigionieri italiani.

Colonie italiane. Nel corso della conversazione, avendo io accennato al nostro «ex impero coloniale», il signor Couve de Murville mi ha interrotto esclamando: «Perché "ex"? Nessuno pensa, credo, a togliervi le vostre colonie». Al che ho risposto che non ne dubitavo e che parlando di «ex impero» avevo alluso· all'Etiopia senza la quale, evidentemente, la qualifica di imperiale non potrebbe essere attribuita al complesso dei nostri possedimenti in Africa.

Tangeri. Una eventuale presa di posizi~ne francese ostile all'Italia nell'elaborando statuto di Tangeri, ho detto al signor Couve de Murville, motivata dall'atteggiamento del governo fascista nei confronti degli avvenimenti ivi svoltisi durante la guerra, non potrebbe essere giustificata in quanto, astraendo da ogni altra

1 T. 3358124: dichiarazione di Pleven che la Francia reclama un milione di lavoratori tedeschi e italiani per i suoi lavori di ricostruzione.

considerazione, muoverebbe da un principio il quale non potrebbe essere generalizzato senza paralizzare in gran parte ogni attività internazionale dell'Italia. Il signor Couve de Murville mi ha risposto, sorridendo, quasi a rassicurarmi, che sul futuro statuto di Tangeri, l'America avrà molto da dire.

Atmosfera francese nei nostri confronti. Il signor Couve de Murville mi ha chiesto le mie impressioni che, francamente, gli ho esposte. Non le riassumo anche per non allungare eccessivamente il presente rapporto; tengo solo a segnalare che il signor Couve de Murville ha esplicitamente riconosciuto con me che il principale, anzi quasi unico ostacolo ad una favorevole evoluzione nei rapporti italo-francesi, deve essere individuato in gruppi militari influenti nelle alte sfere.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK 1

L. PERSONALE URGENTE 3/952 ( Char/es) 953 (Kirk). Roma, 12 giugno 1945.

Nell'accordo sull'amministrazione militare temporanea della Venezia Giulia, quale è apparso sulla stampa, concluso fra i governi americano, britannico e jugoslavo, è detto fra l'altro all'art. l che saranno sotto il comando ed il controllo del comandante supremo alleato «Pola e gli ancoraggi sulla costa occidentale dell'Istria». All'art. 3 è detto inoltre che lo stesso comandante supremo amministrerà per mezzo del governo militare «Pola e quelle altre zone sulla costa occidentale dell'Istria che egli reputerà necessario».

l Questa lettera fu redatta in base al seguente appunto manoscritto di De Gasperi per Prunas dello stesso 12 giugno:

«l) I punti critici nella convenzione Alexander-Tito, che abbisognano di un chiarimento per renderla per noi tollerabile sono questi: gli ancoraggi "oltre Pola sulla costa orientale" comprendono: Muggia, Capo d'Istria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Orsera, Rovigno, Fasana, tutte città italiane? Bisogna assicurarsene e intervenire subito prima che si concluda sul dettaglio della demarcazione.

2) Bisogna cercare di salvare anche i borghi italiani dell'immediato retroterra, sempre sulla stessa costa come Dignano (6 Km dal mare), Buie (IO Km), Gallesano (3 Km), Valle e se possibile anche Montona e Visignano. Queste zone, o almeno queste, dovrebbero essere comprese in quelle zone deii'Istria che "comandante supremo crederà necessarie" (punto 3 dell'accordo). Se si prende come linea di demarcazione la strada nazionale Trieste-Pola, che passa per il monte Toso, si salva tutto, tanto sub l che sub 2.

3) Infine bisogna chiedere qualche garanzia per gl'italiani al di là, soprattutto Fiume, cioè almeno:

a) che chi vuole possa trasferirsi al di qua coi propri averi (ora soltanto 50 Kg); b) che ci sia una qualche commissione o italiana o alleata o osservatori che vigilassero anche nella zona orientale. Credo necessario e urgente comunicare un tanto subito agli ambasciatori o direttamente a Alexander. Non c'è tempo da perdere. Si consulti con Visconti Venosta sul modo migliore. Forse è meglio preparare una mia lettera confidenziale che potrò firmare ancora questa sera.

Mons. Santin, vescovo di Trieste, è qui, ma non vuole si sappia. È uomo di straordinario valore, già vescovo di Fiume e Pola, conoscitore profondo del problema, testimone di tutto. Farlo parlare con Charles e Kirk è importante. Riparte in aereo dopodomani mattina. Domani sarà dal Papa; dalle Il in poi è libero. Gli procuri, in via confidenziale, un incontro. Comunichi a me le ore, anzi le può comunicare direttamente a mons. Cippico tel. 50154».

l. Ora gli ancoraggi sulla costa orientale comprendono, oltre Pola, le seguenti città, che sono tutte italiane: Muggia, Capo d'Istria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Orsera, Rovigno, Fasana. Vi sono inoltre, nell'immediato retroterra dell'Istria occidentale, borghi italiani, quali Dignano (6 Km dalla costa); Buie (10 Km) Gallesano (3 Km); Valle, e, più in là, Montana e Visignano. Almeno queste città e questi borghi, tutti esclusivamente italiani, dovrebbero essere posti nella zona sotto il controllo alleato. Essi vi rientrerebbero tutti, qualora si prendesse come linea di demarcazione la strada nazionale Trieste-Pala, che passa per il monte Toso.

2. Sarebbe altresì equo se, in sede di discussione dei particolari di esecuzione -cui si accenna nell'accordo stesso -fosse possibile introdurre una qualche forma di garanzia per gli italiani al di là della linea di demarcazione e sopra tutto di Fiume. Tali garanzie dovrebbero comprendere:

a) libertà di trasferimento al di là della linea per chi lo voglia, coi propri averi; b) organizzazione di una qualche commissione o alleata o italiana locale di osservatori che abbia compiti di vigilanza nella zona orientale, come è parallelamente previsto per quella occidentale.

La prego di voler considerare questa mia lettera con quello spirito in cui essa è scritta; cioè di onesta e leale collaborazione con i governi alleati per giungere ad una soluzione che sia conforme, nella misura del possibile, all'equità e alla giustizia.

Tengo molto a confermarle ch'io mi rendo perfettamente conto delle gravi e serie difficoltà che la questione ha presentato e tuttora presenta anche per i governi alleati e dello sforzo, altrettanto serio e grave, che è stato necessario per superarle. Ne siamo tutti, governo e popolo italiano, riconoscenti e grati. Ella sa tuttavia che si tratta qui di incidere sul corpo vivo della Nazione italiana già così ferito e sconvolto. Ed ella comprenderà dunque -ne sono certo -il sentimento che mi muove nel pregarla di voler far presenti d'urgenza queste indicazioni, che io credo le più atte ad assicurare un minimo di giustizia, al Comando Supremo alleato, perché ne tenga il maggior conto possibile al momento di fissare sulla carta quel margine di misure e di disposizioni che l'accordo lascia tuttora disponibile.

È superfluo dirle quanto io le sarò grato del suo prezioso intervento 1•

254

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA RISERVATO. Roma, 12 giugno 1945.

Sono informato che il governo francese ha deciso di accedere alla sempre più pressante ed energica richiesta inglese ed americana di ritirare le sue truppe dall'I

I Charles rispose con L. 145/451/45 del 15 giugno di cui si pubblica il seguente brano: «This agreement is of course purely temporary and does not affect or in any way predetermine the ultimate disposal of the territory and populations concerned. Nevertheless I have submitted your proposals to my Government and at the same time have communicated them to the authorities at Caserta, so that due consideration may be given to the suggestions you have made».

349 talia. La ritirata sarà iniziata domani 13 corrente e continuerà senza interruzione sino alla fine del mese. Credo che l'ammiraglio Stone abbia informato oggi confidenzialmente di quanto precede il presidente Bonomi.

Aggiungo che gli americani avevano già da qualche giorno ritirato ai francesi, come mezzo di pressione, il munizionamento e le razioni alimentari.

255

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA RISERVATO. Roma, 12 giugno 1945.

Il console generale d'Olanda mi informa ufficialmente oggi che, a seguito del telegramma diretto in occasione della liberazione dei Paesi Bassi dal presidente Bo nomi al primo ministro olandese 1 , il suo governo ha deciso di riprendere le relazioni diplomatiche con l'Italia. La decisione, che è già stata adottata in massima, non potrà essere peraltro concretata immediatamente, in ragione della crisi ministeriale olandese tuttora in corso. Occorrerà dunque attendere qualche settimana che il nuovo governo sia formato e si assesti.

Il console generale aggiunge che il suo governo ha deciso che le relazioni debbano essere riprese in pieno, cioè senza ricorso a formule intermedie del tipo britannico.

Ho ringraziato il console generale della comunicazione fattami che dovrà essere tenuta per il momento riservata. Ho aggiunto di essere certo d'interpretare i sentimenti del presidente del Consiglio e di V.E. nel pregarlo di far pervenire al suo governo i sensi della nostra più viva soddisfazione per la decisa ripresa di relazioni che riporrà i due Paesi sul vecchio solco della tradizionale amicizia 2•

I T. 2412 del 7 maggio, di cui si pubblica il seguente brano: «La nuova Italia democratica che ha già ripudiato con estrema fermezza e sincerità ogni atto ed atteggiamento ostile che il crollato regime possa aver adottato nei riguardi dell'Olanda e del suo governo, che così coraggiosamente e legittimamente ha rappresentato il Paese negli oscuri anni oggi finalmente trascorsi, è lieto di constatare che, nonostante lo stato di guerra notificato dai Paesi Bassi nel dicembre 1941, nessun provvedimento eccezionale è stato tuttavia mai adottato nei riguardi dei sudditi e dei beni olandesi in Italia e rinnova oggi il suo voto che le relazioni fra i nostri due Paesi possano essere prontamente ristabilite e Italia e Olanda essere prontamente riposte nel vecchio solco della nostra tradizionale amicizia». Copia del telegramma fu inviata da Prunas a Crandijk con L. 3n35 del 6 maggio nella quale si affermava fra l'altro: «Com'ella vedrà ci è parso particolarmente propizio approfittare della felice occasione offerta dalla quasi contemporanea liberazione dei nostri due Paesi per rinnovare, nello spirito da lei a suo tempo indicatomi [vedi

D. 81] il nostro voto per una sollecita ripresa di relazioni fra Italia e Olanda. Ella voglia, la prego, illustrare al suo governo il telegramma del presidente Bonomi anche in questo senso ed a questo scopo». Crandijk dette assicurazioni in proposito con L. 1062 del 7 maggio. Gerbrandy rispose al telegramma di Bonomi con T. 3780 del 7 maggio, non pubblicato.

2 Le relazioni diplomatiche fra Italia e Paesi Bassi vennero effettivamente riprese nel novembre 1945.

256

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI

L. 225-A. Roma, 12 giugno 1945.

I have been instructed by Fie1d Marsha1 A1exander, Supreme Allied Commander, Mediterranean Theater, that any new Ita1ian Government wou1d be request to confirm adherence to the ob1igations under the Terms of Surrender subject to the reservation made in the Macmillan Aide-memoire of 24 February 1945. The ob1igation with respect to the Terms of Surrender which your Government gave 18 June 1944 and again on 10 December 1944 will therefore be modified as above indicated an d is attached hereto in the form of endusure "A".

I am a1so instructed by the Supreme Allied Commander that any new Ita1ian Government will be required to give the same undertaking regarding the institutional question as was given by your Government on 18 June 1944 and 10 December 1944, a copy of which is attached as enclosure "B" 1•

I am further instructed by the Supreme Allied Commander that appointments to the position of Minister of War, Minister of Marine, and Minister of Air and to certain other positions having military significance will require the approvai of the Supreme Allied Commander as set forth in Appendix "A" to the Macmillan Aide-Memoire of 24 February 1945, a copy of which is attached hereto as enclosure "C"2.

ALLEGATO A

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

Roma . ... giugno 1945.

On behalf of the Royal Italian Government I accept ali obligation towards the Allies entered into by the former Italian Governments since the conclusion of the Armistice signed on the 3rd September, 1943. It is understood that the rights under the Armistice and surrender instrurnent with respect to contro! of the Italian Government will be held in reserve in the matter of day to day administration, subject to overriding military needs.

I declare that every member of the Government has acquainted himself personally with the terms of ali such obligations including the terms of the Armistice signed on the 29th September 1943.

l Gli impegni di cui agli allegati A e B furono sottoscritti da Parri il 22 giugno. Per le modifiche di forma vedi DD. 360 e 438.

2 Vedi D. 68, Appendice A.

ALLEGATO B

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

Roma, ... giugno 1945.

Without the prior consent of the Allied Governments the Royal Italian Government undertake not to re-open the institutional question unti) such time as Italy has been liberated and the Italian people have the opportunity of themselves determining the form of Government.

257

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, 00 GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 13 giugno 1945.

L'ambasciatore Charles mi ha in via confidenziale mostrato una lettera direttagli in data del 21 maggio scorso da Finocchiaro Aprile, nella quale costui gli chiede conferma della notizia pubblicata tempo fa da un'agenzia di stampa circa il presunto interesse mostrato da alcuni ambienti britannici all'autonomia siciliana e al controllo della politica estera dell'isola da parte dell'Inghilterra; esprime la speranza che la notizia sia esatta; assicura illealismo della Sicilia verso l'Inghilterra; prega che di tali sentimenti l'ambasciatore si faccia interprete presso Churchill e Eden.

È probabile che una lettera analoga sia stata inviata a Kirk.

L'ambasciatore mi ha altresì mostrato la bozza della risposta da lui diretta a Finocchiaro Aprile, in cui si limita ad accusare ricevuta e a ricordare in termini secchi la dichiarazione fatta dal governo britannico ai Comuni a proposito del separatismo siciliano.

Ho ringraziato vivamente l'ambasciatore per la cortese comunicazione.

258

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 4658-4659/177-178. Washington, 14 giugno 1945, ore 15,18 (per. ore 17 del 15).

Mi risulta da recenti conversazioni confidenziali al Dipartimento di Stato, che da parecchie settimane uffici stanno lavorando in vista preparazione schema trattato di pace definitiva con l'Italia che regoli tutte le questioni territoriali, coloniali, in Africa Orientale ecc. Lavori hanno subìto ultimi tempi un certo rallentamento sia in seguito Conferenza di S. Francisco sia perché uffici politici sono stati impegnatissimi in questione Venezia Giulia ed itala-francese; per altro si conterebbe aver finito all'incirca tra un mese e forse anche prima. Mi è stato detto spontaneamente che le nostre questioni vengono qui studiate con spirito «molto più amichevole per l'Italia» che non altrove: così ad esempio gli Stati Uniti d'America non (dico non) intenderebbero «che l'Italia perda tutte le sue colonie» e al riguardo mi è stato accennato ad aspirazioni inglesi egiziani etiopici. Per quanto riguarda questione Venezia Giulia richiamo mio telegramma n. 122 1 anteriore peraltro compromesso.

Mi è stato in via molto generale accennato Alto Adige chiedendomi confidenzialmente dati su composizione etnica popolazione in seguito opzioni che pregherei inviarmi ad ogni buon fine insieme ad ogni altro utile elemento. Mi è stato detto infine che ultimato schema americano avranno luogo subito conversazioni con inglesi che faranno pervenire qui schema da loro preparato. Raggiunto un accordo anglo-americano, schema approvato da entrambi verrà sottoposto Nazioni Unite (Francia Jugoslavia Grecia Russia). È stato aggiunto che qualora tutti questi preparativi dovessero andare per le lunghe (si spererebbe qui averli ultimati entro tre mesi), si potrebbe anche provvedere nel frattempo ad una sostanziale revisione dell'armistizio a nostro favore.

Da questi ambienti britannici in conversazioni confidenziali si è avuto conferma che il Foreign Office sta anche esso lavorando da tempo a preparare schema trattato di pace definitivo con l'Italia. Schema avrebbe dovuto essere già rimesso al Dipartimento di Stato: vi sono stati dei ritardi ma si presume potrebbe essere qui probabilmente consegnato fine mese. Schema inglese conterrà fissazione definitiva frontiere nostro territorio metropolitano nonché varie clausole alcune delle quali concernenti «naviglio» (non si è potuto aver in proposito alcun dettaglio) ed altre di carattere economico: a tal ultimo riguardo si è rilevata con codesta ... 2 necessità che «siano pure riparati torti causati ad interessi anglosassoni da regime fascista anche prima guerra» accennandosi vagamente pregiudizi subiti da compagnie petroli. Non sarebbe infine ancora sicuro se il trattato debba regolare anche questione colonie italiane. Al Foreign Office vi sarebbe una corrente per lungimirante sistemazione in un secondo tempo. E ciò probabilmente in seguito opposizione Dipartimento di Stato ad alcuni punti concernenti Africa Orientale del progetto di cui miei telegrammi 136 e 1443 .

Secondo questi ambienti britannici vi sarebbe a Londra tendenza abbastanza forte concludere pace con l'Italia ed iniziare nuovo capitolo relazioni italo-inglesi entro breve tempo e comunque prima che altre potenze oggi assorbite da importanti problemi possano aver voce in capitolo. D'altra parte non si esclude possano aver sopravvento altre tendenze influenzate anche da supposte riserve attuale situazione interna italiana.

I Vedi D. 212. 2 Gruppo indecifrato. 3 T. 4208/136-141 del 31 maggio e T. 4199/144 del 2 giugno, non pubblicati.

259

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. URGENTE 3403/204. Roma, 14 giugno 1945, ore 17.

Suo 300 1•

Ambasciatore Charles ha espresso analoghi sentimenti disappunto 2•

Prego V.E. confermare subito Foreign Office termini più amichevoli che siamo pienamente consapevoli della gravità e dei pericoli che controversia jugoslava presentava anche per anglo-americani e riconoscenti per solidarietà manifestataci. Ella vedrà che questi argomenti sono stati toccati nella mia lettera Charles di cui trasmetto copia per corriere 3 .

Siamo stati peraltro, e tuttora siamo, tenuti perfettamente all'oscuro, non solo dell'andamento delle conversazioni, ma dei suoi risultati. Sicché, a tutt'oggi, ignoriamo che cosa l'accordo effettivamente contenga e quale tracciato effettivamente segua la carta che lo accompagna. In queste condizioni, dinnanzi questione per noi così grave che incide nel vivo nostra carne e in un momento così fragile della nostra vita nazionale, io mi domando se e come sarebbe stato a noi possibile adottare di fronte all'opinione pubblica italiana un atteggiamento diverso. V.E. sa che il problema ha profonde radici nel Paese; quale sia stata la ferma cautela nostro atteggiamento; la commozione suscitata dal proclama Alexander alle sue truppe.

Ora, se il principio del rinvio alla pace della questione di fondo è salvo, non può dirsi egualmente di quello altrettanto importante di mantenere sulle zone contestate la sola amministrazione anglo-americana. Il colpo forza di Tito ha dato cioè, sia pure parzialmente, i suoi frutti. Sappiamo benissimo, ripeto, quali pericoli e rischi gli Alleati abbiano affrontato per giungere soluzione attuale: ne siamo riconoscenti e grati e il nostro senso di solidarietà con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti è profondo e vivo.

Ma come ci è possibile assumere atteggiamenti più netti di fronte a soluzioni che tuttora non conosciamo? E come di fronte alla nostra opinione pubblica, senza grave pregiudizio di quelle correnti e partiti che hanno sostenuto soluzioni confortate sino ieri dal consenso alleato?

Ella voglia, la prego, particolarmente sottolineare queste ragioni di carattere interno che dovrebbero porre in più giusto rilievo il nostro atteggiamento e che sono per noi essenziali e far sapere al primo ministro che contiamo sulla sua comprensione oggi più che mai.

I Vedi D. 246. 2 Vedi D. 247. 3 Vedi D. 253 comunicato a Carandini con L. 3/968 del 15 giugno.

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3404/165. Roma, 14 giugno 1945, ore 19.

Suo telegramma n. 1721•

Sostituzione armistizio con strumento di pace è fondamentale postulato programmatico anche del costituendo nuovo governo, onde ella è pienamente autorizzata a insistere su questo ardente desiderio del popolo italiano.

Carandini informato 2 .

261

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 390/148. Mosca, 14 giugno 1945 (per. il 2 luglio).

L'Ufficio del Cerimoniale, dopo avere prese le istruzioni superiori, mi ha comunicato che per la presentazione delle mie credenziali occorreva procedere come se io fossi arrivato adesso. Ho quindi chiesto udienza a Molotov per presentargli la copia delle credenziali, e gli sono stato presentato dal capo del Cerimoniale come se non ci fossimo mai visti: quasi mi aspettavo che Molotov, secondo la formula tradizionale, mi chiedesse se avevo fatto buon viaggio.

La conversazione, puramente formale, è durata circa mezz'ora. Molotov ha cominciato col dirmi che l'opera militare dei partigiani italiani nell'Italia settentrionale e la pronta giustizia che essi avevano fatta di Mussolini e dei suoi principali collaboratori, avevano destata la sincera ammirazione dell'U.R.S.S.

Gli ho risposto che i patrioti italiani avevano dimostrato con i fatti quello che avrebbe potuto essere il contributo dell'Italia alla guerra contro la Germania se, invece di essere in realtà ostacolato in ogni senso, fosse stato accettato ed incoraggiato come noi avevamo sempre chiesto.

Era una questione molto complessa -mi ha detto -che si è incontrata con molte difficoltà anche di carattere materiale: del resto ormai è una questione del passato, e la guerra è finita.

Gli ho obiettato che non potevo condividere il suo punto di vista: ripercussioni e conseguenze di questo atteggiamento da parte degli Alleati si facevano e si sarebbero fatte sentire ancora. Agli italiani era stato detto che le clausole dell'armi

l Con T. s.n.d. personale 45871172, del 12 giugno Tarchiani aveva riferito che Dunn gli aveva fatto sapere di ritenere opportuno che il governo italiano sollecitasse ufficialmente la conclusione della pace.

2 T. s.n.d. 3405/205, pari data, non pubblicato.

stizio avrebbero potuto essere rivedute, in base all'apporto effettivo dell'Italia alla guerra contro la Germania. Siccome, invece di incoraggiarci a contribuire, è stato fatto tutto il possibile per impedircelo, era inevitabile che il popolo italiano, che ha la disgrazia di essere logico, ne deducesse che si voleva ridurre il nostro apporto alla guerra per non essere obbligati a rivedere le clausole dell'armistizio: di qui la convinzione diffusa che il popolo italiano era stato ingannato dagli Alleati. La maggior parte della stampa italiana è molto prudente sull'argomento, poiché non vuole creare difficoltà: però, si capiva benissimo dalla sua lettura che questo stato d'animo in Italia è ora ed era molto diffuso.

-Ma il regime di armistizio ha avuto delle importanti modifiche qualche mese addietro (mi ha detto Molotov). -Indiscutibilmente, ma lei conosce il testo integrale delle comunicazioni di Macmillan al governo italiano 1? -Conosco il testo che è stato dato ufficialmente alla stampa; non è forse quello il testo integrale?

-Sì e no: sono stati pubblicati tutti i paragrafi delle nuove disposizioni: ma praticamente ad ogni paragrafo è stato aggiunto un ma o un se, che ne riduce in varia misura il valore effettivo; e questi non sono stati pubblicati.

-Questo è interessante: ma allora perché il governo italiano non ha pubblicato il testo integràle e perché non ha detto tutta la verità al suo popolo?

-Non lo so: suppongo sia stato per non creare animosità contro gli Alleati. Lei ha visto, del resto, che il governo italiano si è sempre astenuto, per esempio, dal dare pubblicità a certe difficoltà che abbiamo con il governo sovietico per i nostri prigionieri e per i nostri liberati.

-Capisco. Cambiando subito discorso, mi ha chiesto come prevedevo sarebbe stata risolta la crisi governativa italiana. Gli ho esposta la situazione dei vari partiti, le discussioni fra i comitati del nord e del resto d'Italia. Mi ha chiesto se dopo la liberazione del nord la posizione dei singoli partiti, in seno al Comitato di liberazione, avesse subito delle modifiche. Gli ho risposto che era difficile dirlo. I sei partiti del C.L.N., i sette se vi si voleva aggiungere il partito repubblicano, come era accaduto nell'Italia del nord, rappresentavano senza dubbio, in blocco, tutte le principali correnti politiche esistenti in Italia, ad eccezione della tendenza ultra conservatrice. Ma quale fosse

effettivamente il peso specifico dei singoli partiti, quale il loro vero seguito fra le masse, era impossibile dirlo con certezza, senza elezioni. In questo senso la liberazione del nord non porta alcuna vera chiarificazione. Probabilmente si sarebbe avuta una maggiore precisazione dell'atteggiamento dei singoli partiti, di fronte a determinate questioni-chiave, in seguito ai congressi, pan-italiani, dei vari partiti che si stavano

tenendo, e la immissione, nei consigli direttivi dei singoli partiti, di elementi tratti dal movimento di resistenza dell'Alta Italia. Un grosso problema dell'Italia era la elaborazione dei suoi quadri politici dirigenti: in questo senso la selezione naturale che ha avuto luogo in Alta Italia, durante quasi due anni di resistenza, costituisce un passo avanti di cui si sarebbe tenuto conto. Mi ha detto Molotov:

1 Vedi D. 68.

-I partiti italiani discutono troppo di problemi teorici, istituzionali, di grandi questioni di politica estera; si litigano su questioni che non hanno nessuna importanza. Debbono occuparsi di più dei piccoli problemi della ricostruzione che hanno maggiore importanza e su cui è più facile realizzare un accordo. Le masse italiane possono finire col disgustarsi dei capi politici che discutono e non agiscono.

-Ella dimentica che la maggior parte dei grossi problemi pratici della ricostruzione italiana, per le clausole d'armistizio, per il regime di occupazione militare, per le distruzioni e per la mancanza di tutto, non possono essere risolti dal governo italiano con mezzi propri. Non potendo quindi occuparsi di problemi pratici, è inevitabile che nelle discussioni politiche italiane prevalga la teoria.

Cambiando di nuovo discorso, Molotov mi ha chiesto:

-Crede che Sforza potrebbe fare un buon presidente del Consiglio?

-Mi sembra che, almeno qualche tempo addietro, fosse possibile avere sul suo nome l'accordo dei principali partiti, ma resta la questione del veto inglese. -Persiste il veto inglese contro Sforza? -Formalmente non credo. Secondo il nuovo statuto, l'Italia non ha bisogno

di chiedere il nulla osta delle autorità alleate per la nomina dei ministri non militari: resta però da vedere se l'Italia, in fatto occupata dagli inglesi, può permettersi, per ragioni politiche, un presidente del Consiglio nei cui riguardi Churchill ed Eden si sono espressi in maniera così poco equivoca.

-Come si comportano gli inglesi di fronte alla candidatura Nenni? -Non lo so: ho letto nel bollettino stampa dell'ambasciata americana che l'attacco di Churchill contro i laburisti è stato interpretato, nei circoli politici italiani, nel senso che un presidente del Consiglio dei ministri socialista non sarebbe gradito agli inglesi. Non so quanto questo possa aver valore.

-Ma allora il governo inglese interviene nella politica interna italiana.

-Io non so quale sia la politica del governo inglese. So però che ci sono in Italia delle truppe anglo-americane in regime di occupazione: nelle mie esperienze non ho mai visto un caso di un generale, il quale si trovi in un Paese straniero, con qualche autorità, e che non cerchi di intervenire nella politica interna.

Cambiando ancora discorso, Molotov mi ha chiesto quale fosse lo stato d'animo della popolazione italiana.

Gli ho risposto che, per quanto potevo giudicare, l'opinione pubblica italiana era, nel complesso, scoraggiata e disorientata. La liberazione dell'Italia del nord, i danni relativamente pochi sofferti dal suo apparato economico, gli elogi alleati, la fine stessa della guerra avevano certamente creato una qualche euforia: ma il fatto stesso che all'Italia del nord, nonostante il contributo portato alla vittoria, fosse stato imposto lo stesso regime di occupazione militare, con lo stesso colonnello Poletti, doveva certamente avere prodotto una profonda disillusione.

Ma -ho continuato -a mio avviso, quello che più grava sullo stato d'animo degli italiani è la situazione di incertezza. Tra poco saranno due anni dalla conclusione dell'armistizio, e l'Italia resta ancora né in cielo né in terra. Non sappiamo che cosa accadrà di noi; se come e quando finirà il regime di occupazione, se e quali limitazioni ci saranno imposte alla nostra indipendenza politica, economica, militare; cosa accadrà delle nostre colonie, della nostra flotta, del nostro stesso territorio nazionale; se e che cosa dovremo pagare come spese di occupazione, come danni di guerra, se avremo diritto a riparazioni di guerra e molte altre questioni grosse e piccole. Questo stato di incertezza non può durare all'infinito: esso paralizza il governo italiano in qualsiasi sua azione costruttiva e genera nelle masse sfiducia nel governo. Il governo è bene o male una coalizione di vari partiti: fra di loro i partiti cercano, indiscutibilmente, di scolparsi di questo stato di cose, ma, per quanto io conosco gli italiani, credo che, alla fine, il discredito cadrà su tutti i partiti in blocco e le masse italiane possono rivolgersi a correnti attualmente al di fuori della vita politica italiana ma che, sia pure sotto forme diverse, possono risorgere.

-Lei ritiene quindi che bisognerebbe arrivare al più presto possibile alla conclusione della pace con l'Italia?

-Non sono autorizzato dal mio governo a fare una richiesta del genere: parlando come un semplice italiano, ritengo non sia possibile continuare a lungo in questa situazione di incertezza, senza gravi inconvenienti e non vedo altra soluzione che quella della conclusione della pace, sia pure provvisoria, lasciando così fuori qualche questione la cui soluzione immediata possa essere difficile. I Paesi che hanno capitolato all'U.R.S.S. sanno almeno quali saranno le loro frontiere e quali indennità di guerra devono pagare, noi non sappiamo nemmeno questo.

-Adesso che la guerra è finita ci dovremo occupare anche di questi problemi.

Per ultimo Molotov è passato alla questione di cui al mio telegramma n. 226 1 .

262

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 3911149. Mosca, 14 giugno 1945 (per. il 2 luglio).

Come è noto a V.E., il presidente del consiglio di presidenza dell'U.R.S.S. è Kalinin: dato il suo precario stato di salute, da molti mesi egli non appare in pubblico e le sue funzioni sono esercitate dal signor Schwernik.

Non essendovi qui la consuetudine dei discorsi, non ho potuto esprimere in un discorso ufficiale i sentimenti di gratitudine del governo e del popolo italiano come prescrittomi dal telegramma di V.E. n. 128 del 26 aprile u.s. 2 : l'ho fatto nel corso dell'udienza privata che, dopo la presentazione delle credenziali, mi è stata concessa dal vice presidente. Egli mi ha risposto confermando i sentimenti di amicizia che il popolo russo ha per il popolo italiano e mi ha espresso la speranza che in un avvenire non lontano i sentimenti dei due popoli possano trovare espres-

I T. 4558/226 dell'Il giugno: rapporti italo-francesi.

2 T. 2175/128, con cui De Gasperi dava istruzione a Quaroni, in occasione della presentazione delle credenziali, di «riaffermare fermissimo intendimento dell'Italia democratica dare ogni possibile incremento ai rapporti amichevoli con l'U.R.S.S., di cui ammiriamo magnifico sforzo bellico e sulla cui opera fiduciosamente contiamo per stabilimento pace giusta in Europa e nel mondo.

358 sione più concreta nel comune lavoro per il consolidamento della pace e per la ricostruzione economica del mondo. Ho risposto augurandomi che, al più presto possibile, con l'amichevole concorso dell'Unione Sovietica, sia ridata all'Italia quella posizione internazionale che le permetta di prestare il suo contributo morale e materiale, sia pure in forma modesta, all'opera della pace. Schwernik ha osservato che si stava procedendo per gradi, che del cammino ne era già stato fatto e che, per quanto di importanza più che altro formale, il fatto stesso che dopo poco più di un anno dal mio arrivo a Mosca io avevo presentato le mie credenziali, costituiva un nuovo passo innanzi per il regolamento dello status internazionale dell'Italia. Ho risposto che noi ce ne rendevamo conto è che appunto per questo il governo italiano mi aveva dato espresso incarico di ringraziare.

Dopo di che Schwernik è passato a chiedermi della situazione economica dell'Italia. Sulla base dei pochi dati in mio possesso gli ho spiegata la situazione nostra molto difficile: ho messo in rilievo come il fatto che l'Italia del nord era stata liberata con danni relativamente lievi ai principali impianti industriali rendeva, a mio avviso, le nostre prospettive di ricostruzione meno aleatorie che qualche mese addietro. Ho insistito sulle nostre principali difficoltà: mancanza di materie prime, mancanza di trasporti, difficoltà di riorganizzazione del nostro apparato economico, interferenze dovute agli strascichi della guerra e dello stato d'armistizio ed alla necessità per noi di aiuti dal di fuori. Noi non chiediamo elemosine, ho detto: il popolo italiano domanda di poter lavorare e di poter pagare, con i prodotti del suo lavoro, i prodotti stranieri di cui ha bisogno per la ricostruzione dell'Italia e per sollevarsi dal suo attuale stato di miseria. A titolo personale, ho aggiunto che gli accordi conclusi dall'U.R.S.S., per esempio, con la Polonia sulla base di pagamento di materie prime con prodotti finiti, mi sembravano un ottimo esempio di collaborazione internazionale nel campo economico, e che mi auguravo di vedere presto la possibilità di trattare accordi del genere fra l'U.R.S.S. e l'Italia. Schwernik mi ha risposto che, nel passato, l'U.R.S.S. era stata molto soddisfatta della collaborazione con l'Italia sul terreno economico, e che certamente molto sarebbe stato possibile di fare in avvenire nell'interesse dei due Paesi.

A sua richiesta, gli ho fornito dati di fatto sull'importanza del movimento dei partigiani nell'Italia del nord e sulle operazioni belliche da essi svolte in quest'ultimo periodo. Dopo avere espresso la sua ammirazione per l'opera svolta dai partigiani, mi ha chiesto :

-Cosa conta fare adesso il governo italiano di questi reparti partigiani? -L'Italia del nord è sotto l'amministrazione delle autorità militari alleate, quindi la questione dei partigiani sfugge alla competenza del governo italiano. Le

autorità militari alleate stanno procedendo al disarmo delle formazioni partigiane.

-E i partigiani italiani accettano di farsi disarmare.

-Cosa vuole che facciano? In base alla convenzione d'armistizio le autorità centrali alleate hanno il diritto di farlo: di fronte a questa situazione, alle formazioni partigiane non resta altra alternativa che di obbedire e di farlo con la massima buona grazia (ho citato l'esempio dei partigiani di Bologna che sono andati a deporre le armi in formazioni serrate e con musica in testa). Ogni tentativo in senso contrario non avrebbe potuto portare ad altro che ad «incidenti gravi» (Schwernik ha sorriso).

Avendomi egli chiesto della situazione politica, gli ho esposto brevemente la posizione ideologica e pratica dei singoli partiti, le discussioni fra il C.L.N. ed il

C.L.N.A.I. e le varie tendenze e proposte per la soluzione della crisi governativa. Come mia impressione personale, gli ho aggiunto che ritenevo che una vera chiarificazione della situazione politica italiana non era possibile fino a che non si fossero tenute le elezioni, che sole potevano realmente mostrare quale fosse il seguito ed il vero peso politico dei singoli partiti. Dubitavo, d'altra parte, che fosse possibile procedere ad elezioni prima del rimpatrio della maggior parte dei prigionieri e dei deportati italiani: dubitavo ancor più che fosse possibile avere delle elezioni serie in Italia fino a che durava, anche con tutte le possibili attenuazioni, il regime di occupazione, fino a che l'Italia restava nella sua situazione ibrida di nemico, cobelligerante, liberata ed occupata allo stesso tempo; fino a che, cioè, non si fosse arrivato per noi alla conclusione della pace ed alla restituzione della nostra completa indipendenza, non era possibile una vera chiarificazione della nostra situazione politica interna: e il principio serio del lavoro di ricostruzione non era a sua volta possibile, senza una chiarificazione della situazione politica interna. (Non mi ha chiesto nulla sulla situazione istituzionale).

Schwernik mi ha risposto dicendomi che, con la fine della guerra con la Germania, era ora possibile procedere alla organizzazione della pace, e che, m questo quadro, anche la situazione italiana avrebbe trovato la sua soluzione.

Ha chiuso la conversazione augurandomi successo per la mia missione.

Alla conversazione assisteva il vice commissario Lozowski che in assenza di Vyshinsky (in Germania) e Dekanozov (malato), è il vice commissario più anziano. Non ha praticamente preso parte alla conversazione.

Schwernik, al pari di Kalinin, ha pochissimo peso sulla vita politica dell'U.R.S.S.

263

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 34071167 (Washington) 206 (Londra). Roma, 15 giugno 1945, ore 10.

(Solo per Washington) Suoi 166 e 167 1 . Con telegramma a parte le trasmetto testo istruzioni dirette a Carandini 2•

(Per tutti) È bene ella sappia che, nell'ignoranza delle precise disposizioni dell'accordo e del tracciato di demarcazione, abbiamo da parte nostra richiesto l'inclusione nella zona affidata agli Alleati almeno di tutto il litorale istriano sino

l Vedi D. 249. 2 Vedi D. 259, comunicato a Tarchiani con T. 3406/166 del 15 giugno.

360 alla strada nazionale, o, meglio, sino alla linea ferroviaria P o la-Trieste; parallele garanzie nella zona affidata agli jugoslavi: cioè osservatori o missioni alleate o italiane'.

Insista la prego su questi punti anche da parte sua, nella forma che riterrà possibile e conveniente 2 .

264

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

TELESPR. RISERVATISSIMO 16/10003/100. Roma, 15 giugno 1945.

A telespresso n. 228/54 del 13 maggio c.a. di codesta R. ambasciata 3•

Questo ministero approva la linea di condotta seguita dalla E.V. al fine di assicurare agli italiani attualmente in Polonia il miglior trattamento compatibile con le circostanze presenti. Ella ha in tal senso interpretato le direttive di massima di questo ministero il quale non poteva ovviamente rimanere indifferente alla situazione in cui erano venuti a trovarsi i nostri connazionali in Polonia dopo la liberazione di quel Paese, e alla necessità di venire in loro soccorso.

Come era da prevedersi non sono tuttavia mancate, da parte di talune agenzie estere, interpretazioni all'accordo di cui trattasi, che vanno oltre allo spirito e agli scopi per cui tale accordo è stato stipulato, il che ha suscitato qualche apprensione di cui si sono fatti eco presso di noi i governi di Londra e di Washington. Questo ministero ha provveduto a fornire ai governi suddetti, nonché a quello polacco di Londra, quei chiarimenti atti a tranquillizzarli sul significato e sulla portata dell'accordo in questione. Le trasmetto la docùmentazione relativa, come pure richiamo la sua attenzione sul telespresso n. 2964/17 dell'8 marzo, col quale le fu inviata copia dei telegrammi di risposta ai telegrammi di V.E. nn. l e 5, allora non potuti spedire4 . Dall'insieme di tali documenti ella potrà trarre esatta conoscenza della situazione per suo opportuno orientamento e norma. Come è noto, i rapporti col governo polacco di Londra furono da parte nostra ristabiliti al momento della ripresa generale delle relazioni con tutte le Nazioni Unite nel novembre scorso, quando cioè non esistevano altre autorità polacche riconosciute.

In considerazione di quanto precede, conviene quindi che per ora V.E. si attenga ad una interpretazione. restrittiva dell'accordo e delle attribuzioni del delegato che si occuperà della sua esecuzione, il che corrisponde del resto a quanto ella stessa ebbe opportunamente a chiarire a codesto rappresentante polacco nel corso delle trattative e all'atto della firma dell'accordo stesso e della redazione del comunicato relativo.

l Vedi D. 253. 2 Per le risposte vedi DD. 269 e 275. 3 Vedi D. 194. 4 Vedi D. 35.

265

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 3457/226. Roma, 16 giugno 1945, ore 12.

Suo 217 1 .

Siamo particolarmente sensibili disposizioni amichevoli manifestateci da Chang Kai-Shek. Ella voglia fargli sapere, per il tramite del suo collega cinese, che anche da parte nostra ci proponiamo incoraggiare collaborazione fra nostri due Paesi in ogni possibile modo. Su ciò siamo dunque perfettamente d'accordo, come nella convenienza di scambiare ambasciatori piuttosto che incaricati d'affari. Lo faremo -da parte nostra -al più presto. Chieda se, per facilitare iniziativa e renderla più spedita, si è da parte cinese disposti a procedere subito a sistema compensazione in analogia a quanto è in atto fra noi e governo sovietico per rispettive rappresentanze Roma e Mosca 2•

266

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 3458/175 (Washington) 208 (Londra). Roma, 16 giugno 1945, ore 19.

(Solo per Washington) Suo 1703 .

(Per tutti) Ci è stato ufficialmente e riservatamente comunicato che Comando francese ha finalmente aderito sgomberare territorio italiano occupato. Sgombero dovrebbe essere stato iniziato sin da ieri ed essere portato a termine entro un mese. Credo che periodo di tempo evidentemente non breve fissato per sgombero, debba attribuirsi opportunità che esso abbia l'aria, per ragioni prestigio, essere volontariamente disposto dai francesi, piuttosto che imposto dai Comandi alleati.

Comunque la prego esprimere codesto governo sensi nostra profonda riconoscenza per azione intrapresa Parigi e per risultati ottenuti. Sappiamo perfettamente difficoltà ed i rischi che tale azione comportava e nostra gratitudine ne è vieppiù accresciuta. Dia, la prego, sue parole tono più caldo ed amichevole.

(Solo per Londra) Circa accenni specifici che le sono stati fatti al Foreign Office (suo te!. 294)4 rispondo a parte.

l Vedi D. 239. 2 Vedi D. 339. 3 T. segreto 4596/170 del 12 giugno, non pubblicato. 4 T. 4501/294 del1'8 giugno, non pubblicatg.

(Solo per Washington) Secondo comunicazione fattaci truppe francesi dovrebbero ritirarsi sino frontiera 1939. Ha fatto bene insistere subito su questo punto. Continui se occorre a farlo. Questa politica di pegni, qualunque cosa si affermi sull'integrità principio rinvio questioni territoriali alla pace, è particolarmente pericolosa.

267

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 4750-4772/187-189. Washington, 16 giugno 1945 (per. ore 15,10 del 18).

Mio telegramma n. 131 1•

Sottosegretario Grew, reggente Dipartimento di Stato, mi ha fatto rimettere questo pomeriggio una nota segreta con la quale «a seguito precedenti conversazioni» (le ultime delle quali da me riassunte telegraficamente erano di spontanea iniziativa americana), mi prega informare presidente Consiglio governo italiano che governo degli Stati Uniti accoglierebbe con piacere (would welcome) una dichiarazione di guerra italiana al Giappone. Nota rileva che «dichiarazione di guerra estenderà al conflitto col comune nemico in Estremo Oriente quella solidarietà con le Nazioni Unite che il governo e popolo italiano hanno recentemente dimòstrato nella lotta contro comune nemico in Europa».

Nota aggiunge che il governo Stati Uniti d'America «desidera porre in chiaro che detta dichiarazione di guerra non implicherebbe alcun impegno governo alleato provvedere materiali o navigli per la prosecuzione ostilità da parte dell'Italia Giappone».

Al riguardo mi è stato detto al Dipartimento di Stato che governo inglese, in seguito pressanti passi americani, aveva testé dato sua adesione. Ambasciata Inghilterra Roma riceverà istruzioni probabilmente oggi stesso presentare a V.E. nota analoga quella qui consegnatami.

In attesa istruzioni di V.E. 2 mi limito semplicemente a segnare ricevuta della nota del Dipartimento di Stato informando di averla trasmessa costà.

Note americana ed inglese superano evidentemente situazione quale prospettavasi quando V.E. mi inviava il suo telegramma su riferito, di cui ho ben valutato il fondamento specie per quanto concerne nostra situazione politica interna ed opinione pubblica.

Di fronte nuova situazione sento mio dovere riassumere brevemente questione quale appare vista obiettivamente da qui:

l) come è noto a V.E. fin dal mio arrivo qui-in seguito alle istruzioni ricevute a Roma e colloqui con presidente Bonomi, vice presidente Togliatti ed altre personalità governo -si parlò nostra intenzione allinearci con America ed altri alleati anche per quanto riguarda conflitto Estremo Oriente, con Roosevelt ed altre personalità meglio disposte verso l'Italia. Truman manifestò per progetto sua simpatia (egli stesso è stato

l Vedi D. 226. 2 Vedi D. 277.

363 uno degli esponenti corrente anti-nipponica fin dall'anno 1933). Dipartimento di Stato dopo [fase esitazione] iniziale dovuta ad ovvie considerazioni, si decise con poca speranza patrocinare offerta presso il Foreign Office. Quest'ultimo dopo aver cercato tirare le cose in lungo non desiderando evidentemente rafforzare nostra posizione trattative di pace, ha dato ora suo consenso in seguito pressioni Stati Uniti d'America.

2) Per Washington nell'attuale situazione bellica è diventato trascurabile ottenere partecipazione militare italiana alle operazioni Pacifico. Si poteva forse nel settembre scorso dopo Hyde Park trattare per qualche vantaggio immediato. Dopo Yalta alcuni Stati hanno colto premurosamente occasione loro data dichiarando guerra al Giappone. La quasi totalità Nazioni Unite lo ha fatto ed ultimamente Etiopia e Grecia hanno offerto volonterosamente dare propri contingenti.

3) Dopo fine ostilità in Europa ritengo poter recisamente escludere che, per quanto riguarda l'America, vi sia una carta da giocare. Oltre tutto qui ben conoscono -mi è stato anche rilevato -nostre effettive possibilità. D'altronde frase finale nota Dipartimento di Stato è di per sé esplicita per ciò che effettivamente ci si attende da noi, mentre ... 1 per sedare nostra opinione pubblica. Stessa frase della nota darebbe poi modo, qualora si presentasse richiesta contributo effettivo, di trattare eventualmente concreta contropartita.

4) Ritengo poter escludere che [atteggiamento] americano sia dovuto a calcoli di politica estera. Si è voluto invece compiere un gesto di fiduciosa amicizia verso nuova Italia, facilitare superamento attuale situazione morale e giuridica, assicurarle maggior simpatia. Ciò per quanto concerne sia nostra posizione in sede di pace e sia possibilità ottenere maggiore partecipazione americana alla nostra ricostruzione economica. Si profilano così possibilità di agganciamento, sia pure non repentino.

5) Non so se occasione ora offertaci, e che non è stato agevole [procurarci] (ha anche contribuito presenza «temporanea» di Phillips al Dipartimento di Stato), possa tornare a ripetersi fra qualche tempo. Aggiungo che alcuni circoli militari già calcolano che capitolazione giapponese sia da attendersi entro quest'anno. Il trascorrere del tempo non potrebbe che svalutare nostro gesto, ove ancora possibile.

268

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. cc 1008. Roma, 16 giugno 1945.

Replying to your letter of Il June2 , the enclosed is a copy of the agreement as I understand it was signed at Belgrade on behalf of the Supreme Allied Commander, Mediterranean, and Marshal Tito. If there were any last minute changes in the text, I am informed that they were of a minor nature.

l Gruppo indecifrato. 2 Non pubblicata.

There is also returned herewith your map with a rough indication of the military line so far as it is possible to reproduce it on your map. This, too, may be subject to minor adjustments. In addition, there is an area of four or five miles around Pola (a semi-circle of four or five mile radius with the center at Pola) which is also under the command of the Supreme Allied Commander.

As soon as I receive an official copy of the agreement as signed I shall be glad to forward it to you.

ALLEGATO

ACCORDO FRA IL COMANDANTE IN CAPO DELLE FORZE ALLEATE, ALEXANDER, E IL CAPO DELL'ESERCITO JUGOSLAVO DI LIBERAZIONE, TITO 1

Belgrado, 9 giugno 1945.

l. The portion of the territory of Venezia Giulia west of the line on the attached map which includes Trieste, the railways and roads from there to Austria via Gorizia, Caporetto and Tarvisio, Pola and anchorages on the west coast of !stria will be under the command and contro! of the Supreme Allied Commander.

2. -Ali naval, military and air forces west of the line on the attached map will be placed under his command from the moment at which this agreement comes into force. Jugoslav forces in the area must be limited to a detachment of regular troops not exceeding 2,000 of ali ranks. These troops will be maintained by the Supreme Allied Commander's administrative services. They will occupy a district selected by the Supreme Allied Commander west of the dividing line and will not be allowed access to the rest of the area. 3. -Using an Allied Military Govemment, the Supreme Allied Commander will govem areas west of the line on the attached ma p, Pola an d such other areas on the west coast of !stria as he may deem necessary. A small Jugoslav mission may be attached to the Headquarters of the 8th Army as observers. Use will be made of any Jugoslav civil administration which is already set up and which in the view of the Supreme Allied Commander is working satisfactorily. The Allied Military Govemment will however be empowered to use whatever civil authorities they deem best in any particular piace and to change administrative personnel at their discretion. 4. -Marshal Tito will withdraw Jugoslav regular forces now in the portion of Venezia Giulia west of the line on the attached map by (date to be inserted) 1945. Arrangements for retention of Jugoslav detachment referred to in paragraph 2 will be worked out between the Supreme Allied Commander and the Jugoslav High Command. 5. -Any irregu!ar forces in this area will, according to decision of the Supreme Allied Commander in each case, either hand in their arms to the Allied Military Authorities and disband, or withdraw from the area. 6. -The Jugoslav Government will return the residents of the area whom they have arrested or deported with the exception of persons who possessed Jugoslav nationality in 1939, and make restitution of property they have confiscated or removed. 7. -This agreement in no way prejudices or affects the ultimate disposal of parts of Venezia Giulia west of the line. Similarly the military occupation and administration by Jugoslavia of parts of Venezia Giulia east of the line in no way prejudices or affects the ultimate disposal of that area 2 .

l Ed. in United States and Italy, cit., pp. 155-156.

2 Con L. 3/1106 del 4 luglio De Gasperi sollecitò l'invio del testo ufficiale dell'accordo Alexander-Tito. Stone rispose con L. 522/200/Ec del 12 luglio che il testo ufficiale era identico a quello qui riprodotto.

269

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 47711190. Washington, 17 giugno 1945, ore 16,06 (per. ore 15,10 del 18).

Telegramma di V.E. n. 167 1•

In attesa telegramma preannunciatomi 2 ho immediatamente provveduto verbalmente e per iscritto sollecitare interessamento Dipartimento di Stato secondo le istruzioni di V.E. 3 . Ho chiesto pure se fossero esatte notizie diramate da codesto corrispondente United Press circa avvenuta conclusione accordo.

Mi è stato detto che tale notizia era prematura, dovuta forse circostanza trapelata che generale Morgan aveva telegrafato ad Alexander aver avuto «ottime giornate». Trattative sarebbero quindi molto inoltrate ma Alexander non aveva ancora ricevuto particolari richieste che si riservava approvare.

Si era saputo qui che duemila militari di Tito non sarebbero stati acquartierati né a Trieste «né in altre città italiane» (ossia Gorizia, Monfalcone e Pola), ma in località a popolazione slava. Risultava pure che truppe Tito continuavano ritirarsi.

Mi si è ripetuto che tutti i particolari dell'accordo erano stati demandati dai governi di Washington e di Londra ad Alexander. Di qui avrebbero comunque fatto presente nostro punto di vista e si riservavano agire anche a Londra dopo conosciuto istruzioni a Carandini da me preannunciate.

In relazione nostre richieste per la linea continua Trieste-Pola mi è stato detto infine che non era stato possibile impostare negoziati su linee ferroviarie giacché queste facevano troppo largo gomito ad oriente. Da notizie pervenute qui risultava che Morgan cercava trattare proprio su strada nazionale.

270

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 394/152. Mosca, 17 giugno 1945 (per. il 2 luglio).

Trasmetto a V. E., qui accluso, un articolo apparso sulle lsvestia del 16 corrente, a firma Rogov, sulle elezioni inglesi 4 .

L'articolo in questione è interessante perché rivela, abbastanza chiaramente, le difficoltà in cui si trovano i russi nel definire la loro posizione di fronte alle elezioni inglesi.

I Vedi D. 263.

2 Vedi D. 263, nota 2.

3 La nota di Tarchiani al Dipartimento di Stato è edita in Foreign Relations of the United States. 1945, vol. IV, cit., p. 1187.

4 Non si pubblica.

Evidentemente, per ragioni di ideologia generale, essi non possono dire apertamente che preferiscono una vittoria dei conservatori. È necessario aggiungere che la preoccupazione che l'articolista mette in bocca ai laburisti inglesi, che, cioè, un governo conservatore potrebbe significare una continuazione ed un rafforzamento dell'attuale politica inglese di appoggio agli elementi conservatori in Europa, è effettivamente una preoccupazione sovietica.

Non che il governo sovietico, in quanto governo, abbia una preferenza per i partiti di sinistra piuttosto che per i partiti di destra: ma nelle circostanze attuali della situazione europea, qui si ha l'impressione che i partiti conservatori europei, nella politica interna, si stiano sempre più orientando in senso marcatamente anti-comunista, e che questo anti-comunismo all'interno porta ancora come corollario una politica estera ostile all'U.R.S.S. La politica europea dell'U.R.S.S. è politica estera pura e semplice: se il governo sovietico fosse persuaso che, in un determinato Paese, gli elementi conservatori sono decisi ad una politica estera al 100% favorevole all'U.R.S.S. non esiterebbe ad appoggiare gli elementi conservatori: se agisce altrimenti è perché i fatti, fino ad ora, gli hanno dimostrato il contrario.

Ma il fatto è ~ e anche questo appare chiaramente leggendo fra le righe l'articolo di cui sopra ~che, per quanto concerne l'Inghilterra, qui si è molto più preoccupati di quello che potrebbe essere la politica estera di un governo laburista, che della politica estera di Churchill.

Per quanto concerne l'Europa, almeno apparentemente, oggi il conflitto era ed è più anglo-russo che russo-americano: anche recentemente, nelle due missioni parallele di Davies e di Hopkins, l'America ha piuttosto agito da paciere. In realtà però, sul piano ideologico, anche in assenza di punti di conflitto precisi, il contrasto russo-americano è più profondo. A parole, i russi sono contro la politica delle zone di influenza, dei blocchi etc.: in realtà essi intendono ~ e lo fanno ~ di avere il monopolio assoluto dell'influenza politica nelle loro zone di amicizia. I conservatori inglesi sono, invece, decisamente sulla via della divisione dell'Europa in zone d'influenza: il giorno ~ e verrà fatalmente ~ in cui i conflitti aperti o latenti fra i due gruppi dovranno essere risolti per la via di un compromesso, arrivare ad un compromesso con l'Inghilterra non è difficile: si tratta di definire le rispettive zone di influenza, già sufficientemente delimitate del resto, e mettersi d'accordo per ridurre, in un primo tempo almeno, al minimo possibile ogni intercambio fra le due zone. Anche a questo punto di vista gli inglesi sono disposti ad accedere, od almeno qui si è persuasi di questo.

Gli americani, invece, sono sostenitori della «porta aperta», politica a cui, apparentemente, a Yalta hanno aderito sia i russi che gli inglesi. Questa politica americana significherebbe che i russi avrebbero diritto di avere una maggiore influenza politica nell'Europa occidentale: e questo i russi sono pronti ad accettarlo; ma significherebbe anche che gli anglo-americani avrebbero diritto ad avere una loro influenza politica nell'Europa orientale e balcanica: e questo i russi non sono disposti ad accettarlo, quale che sia la formula che venga adottata.

Ora i russi temono che i laburisti inglesi pendano piuttosto per la politica americana della «porta aperta» che per la politica churchilliana delle zone d'influenza, ossia per una politica che essi appoggiano a parole, ma che non possono accettare in realtà e che male si presta, per il suo stesso carattere, ad una soluzione di compromesso.

Si aggiunga poi, sul terreno meno strettamente di politica estera, che, nonostante tutte le belle parole, qui si temono molto di più i socialisti ed i partiti ad essi affini (radicali, repubblicani, partito d'azione etc.) che non i conservatori; che si ha ben poca fiducia di poter mantenere, alla lunga, almeno nell'Europa occidentale, gli attuali patti d'unione o di accordo fra i partiti socialista e comunista. Si teme, quindi, che una vittoria del partito laburista in Inghilterra rafforzerebbe considerevolmente nell'Europa occidentale i partiti socialisti e finirebbe forse per sboccare in una Europa occidentale prevalentemente socialista, la quale -di questo i russi si rendono conto -potrebbe esercitare per alcuni Paesi delle loro zone d'influenza (specialmente Polonia e Cecoslovacchia) e per la stessa Germania, una forza di attrazione ben maggiore e più pericolosa per loro che non un'Europa occidentale francamente conservatrice. Ed in fondo qui si pensa che, con una Europa occidentale conservatrice, si potrebbe arrivare ad un patto di non intervento: con una Europa socialista, no.

È un altro di quei casi in cui, nella politica dell'U.R.S.S., fra le parole e i fatti ci corre una bella differenza 1•

271

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 5290/010. Mosca, 18 giugno 1945 (per. il 2 luglio).

Secondo quanto mi viene riferito da parte interessata la Commissione per le riparazioni che deve a giorni cominciare i suoi lavori a Mosca non prevede, in questo stadio, la partecipazione di rappresentanti altro che delle grandi Potenze.

Negli ambienti delle Potenze minori, si è in generale preoccupati di questa impostazione della questione poiché si prevede che, come per altre, le Potenze minori non saranno chiamate che a ratificare decisioni prese e che, per tutto quello che le interessa, saranno obbligate ad agire per il tramite dei loro protettori: vi si vuole vedere un'altra forma di consolidamento del sistema delle clientele.

Le Potenze minori occidentali sono anche preoccupate delle voci che qui corrono -e che non credo del tutto infondate -sull'idea che i russi hanno in materia di loro diritti di precedenza in fatto di riparazioni tedesche; per cui ritengono che ben poco resterà per gli altri.

Non sono riuscito ad appurare se la Commissione delle riparazioni dovrà occuparsi anche delle eventuali riparazioni dell'Italia alla Jugoslavia ed alla Francia od altri: mi è stato, però, detto da fonte attendibile che passi in questo senso sono stati già fatti dalla Jugoslavia presso i tre grandi alleati.

1 Questo telespresso venne comunicato ai rappresentanti a Londra, Parigi e Washington con il Telespr. 15/13397 del 20 luglio che richiedeva un parere circa la questione del divario fra i due principii della «porta aperta» e delle zone di influenza.

272

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, BONOMI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A. C., STONE

L. 335. Roma, 18 giugno 1945.

Rispondo alla sua lettera Il giugno n. 400 l /211/EC 1•

Ella riferendosi ad una sua lettera 25 maggio2 si dichiara non soddisfatta della risposta datale dal ministro degli Esteri De Gasperi (lettera 30 aprile) 3 e chiede che la Commissione Alleata sia continuamente e direttamente tenuta informata di tutti i negoziati che l'Italia possa iniziare con altri governi e che tali informazioni siano trasmesse direttamente all'ufficio del commissario capo.

Mi affretto a dirle che io non avrei difficoltà ad adottare una tale procedura, ma poiché il mio ministero è dimissionario e non può prendere impegni per l'avvenire è necessario che la richiesta sia rivolta al mio successore.

273

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA4 . Roma, 19 giugno 1945.

Questo consigliere degli Stati Uniti, d'ordine del suo governo, mi informa che il Dipartimento di Stato ci sarebbe particolarmente grato se si evitasse da parte nostra ogni pubblica dichiarazione o comunicato circa il disposto ritiro delle truppe francesi dall'Italia. Tali eventuali pubbliche manifestazioni rischierebbero -nel pensiero nordamericano -di essere controproducenti, irriterebbero Parigi, solleciterebbero ancora una volta il pericoloso tasto del prestigio.

Ho risposto che ero certo di interpretare il pensiero di V. E., nel pregarlo di assicurare il Dipartimento di Stato che non è assolutamente nelle nostre intenzioni di comunque sottolineare il ritiro delle truppe francesi con generiche o specifiche manifestazioni di soddisfazione o di giubilo.

Ho approfittato dell'occasione per pregarlo di far pervenire al suo governo i sensi della nostra riconoscenza per l'azione svolta a Parigi in questa occasione, azione di cui abbiamo adeguatamente apprezzato le difficoltà e i rischi.

Il consigliere Key mi ha confermato che il ritiro sarà totale, cioè sino alle frontiere del 1939. La stessa cosa ho assicurato anche a sir Noel Charles che mi ha fatto analoga richiesta.

l Vedi D. 218, nota l p. 299.

2 Vedi D. 218.

3 Vedi D. 158.

4 Il contenuto di questo promemoria fu comunicato alla rappresentanza a Parigi e, per conoscenza, a quelle a Londra e Washington con T. per corriere 3639 del 22 giugno.

274

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/991. Roma, 19 giugno 1945.

La ringrazio molto per la sua lettera n. 53/45/45 del 22 maggio 1 relativa alla missione in Egitto del sig. De Astis. Sta bene per la durata. Riterrei che i termini della missione dovrebbero essere approssimativamente i seguenti: il sig. De Astis dovrà prendere contatto con la comunità italiana, rendersi conto della sua situazione e delle sue necessità. Entro i limiti dell'azione di tutela degli interessi di tale comunità, egli sarà certamente condotto ad avvicinare le autorità britanniche ed egiziane competenti e a trattare con esse quelle questioni che fosse necessario cercare di risolvere per normalizzare la situazione degli italiani in Egitto che tanto duramente hanno sofferto in conseguenza degli avvenimenti di questi ultimi anni. Ella può contare che il sig. De Astis si atterrà a queste precise istruzioni ed al loro spirito, che ho preferito farle conoscere preventivamente perché ogni cosa si svolga nella più stretta intesa e collaborazione.

275

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 4879/3!3. Londra, 20 giugno 1945, ore 21,30 (per. ore 13 del 21).

Perdurando malattia Eden ho visto oggi lungamente sir Alexander Cadogan. Egli ha accolto con soddisfazione espressione gratitudine e con piena comprensione spiegazione e rimarchi di cui ai telegrammi di V. E. 204 e 2082 .

Mi ha dichiarato che il governo britannico si è adoperato ogni mezzo per soluzione Valle Aosta e non ha esitato affrontare pericoli per sistemazione Venezia Giulia. Trattative per precisa definizione zone occupazione sono in corso e mi fornirà precisi elementi su accordi finora raggiunti.

Ho colto occasione per affermare come perdurando cobelligeranza ritenevo non produttivo dopo 7 mesi permanenza a Londra continuare a discutere problemi inerenti nostra rinascita quando in definitiva tutto si arresta di fronte pregiudiziale nostra incapacità di diritto. Gli ho chiesto una indicazione sulle reali intenzioni governo inglese. Mi ha autorizzato dichiarare a V. E. che la modifica della cobelli

l Non pubblicata: adesione del governo egiziano alla missione di De Astis purché essa si limiti ad un'indagine sulla situazione della comunità italiana, non duri più di due mesi e non implichi il ristabilimento di relazioni diplomatiche.

2 Vedi DD. 259 e 266.

geranza in stato di pace è presentemente in studio avanzato e non è da escludere sia possibile gabinetto giunga ad una decisione di massima anche prima elezioni.

Pur auspicando che la sollecita firma uno strumento di pace possa favorire una costruttiva collaborazione italo-inglese, egli non mi ha nascosto la sua viva preoccupazione che questo atto possa risolversi in un temporaneo peggioramento nei rapporti fra i due Paesi. Non ho potuto appurare se le sue apprensioni si riferiscono, come mi ha accennato, al risentimento che provocherà negli italiani l'accettazione reale di rinunzie a cui sono solo teoricamente preparati, oppure se egli paventa l'effetto di imposizioni più dure di quelle che opinione italiana ha ormai scontato.

Gli ho detto che il popolo italiano era preparato ad accettare ogni sacrificio ragionevole e necessario, ma avrebbe respinto nella sua coscienza tutto quanto esulando dalla logica necessità e dalla giustizia suonasse sanzione intesa a diminuirci. Ho passato in rassegna tutti i settori di possibile amputazione esponendo caso per caso le ragioni che militano più o meno rigida nostra difesa, senza però riuscire ad ottenere alcuna reazione indicativa del mio interlocutore. Ho concluso che stava comunque alla saggezza inglese giudicare se l'amicizia e la piena collaborazione italiana in futuro tanto incerto valessero o meno la rinunzia da parte inglese a qualche acquisizione o garanzia non giustificata da una immediata necessità.

Questo il senso se non la lettera della mia replica. Su questo argomento intratterrò più ampiamente V. E. nella mia prossima venuta a Roma che giudico necessaria per prendere istruzioni su questo cruciale argomento che è ormai di immediata attualità. Conto partire giorno 26 corrente.

Mio colloquio con Cadogan è stato lungo ed improntato non solo a quella cordialità che sempre mi dimostra ma a confidenza maggiore del solito. Rivedrò Cadogan 25 corrente prima di partire. Segnalo all'E. V. intanto quanto sopra perché gli argomenti trattati richiedono vigilante osservazione e tempestivo intervento 1 .

276

IL CAPO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COPPINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 20 giugno 1945.

Il «punto» sulla situazione politica dell'Italia nei riguardi della Grecia può essere così definito:

l) La nostra collettività in Grecia è sotto la minaccia di una completa espulsione. Se tale disposizione non ha avuto ancora effettiva attuazione lo si deve alla mancanza di trasporti. Intanto i nostri connazionali sono soggetti a misure

l Per la risposta di De Gasperi vedi D. 282.

vessatorie e sono impediti nell'esercizio di qualsiasi attività economica. La loro situazione è penosa. I passi compiuti da questo ministero presso le autorità alleate perché intervenissero presso le autorità greche hanno ottenuto momentaneamente esito favorevole, poiché queste, nell'attesa della partenza dei nostri connazionali, si sono dichiarate disposte a contribuire al loro aiuto.

2) La politica greca tende, con le predette misure, a sradicare qualsiasi traccia di attività italiana in quello Stato. Noi dobbiamo tuttavia tener presente che in Grecia, oltre ai nostri connazionali, vi sono interessi economici e soprattutto attività culturali di importanza veramente notevole.

3) La questione del Dodecanneso è, agli occhi della Grecia, completamente definita. Il viaggio di Damaskinos a Rodi con il suo discorso nettamente annessionista, le dichiarazioni dei vari rappresentanti isolani che esprimono la cosiddetta volontà popolare di annessione alla Grecia, le dichiarazioni ufficiali alla radio e nella stampa greca danno apparentemente per risolta, a favore esclusivo della Grecia, l'appartenenza del Dodecanneso. A un certo momento si sarebbe potuto dire anzi che la questione si era trasformata in una vertenza greco-turca, senza tener conto degli interessi italiani, dopo che anche la stampa di Ankara e di Istanbul aveva iniziato un fac-simile di campagna nazionalista per le isole.

4) Qualsiasi tentativo di riprendere le relazioni con la Grecia, attraverso approcci presso membri della Commissione Consultiva in Italia, ha avuto esito negativo.

Gli Alleati hanno confermato che per quanto concerne il Dodecanneso la questione della sua appartenenza sarà risolta alla Conferenza della Pace e hanno quindi occupato quelle isole. Lo stesso reggente Damaskinos ha dovuto anzi limitare il suo soggiorno a Rodi a solo 24 ore.

Premessi questi cenni sulla situazione politica la quale può definirsi «fallimentare», non sembra opportuno che da parte italiana ci si mantenga a questo riguardo in un completo stato di quiete. A differenza delle nostre relazioni con la Jugoslavia e della connessa controversia per la Venezia Giulia, dove può sostenersi fondatamente che il tempo lavora a vantaggio dell'Italia, la sistemazione delle nostre relazioni con la Grecia non può che risentire danno da questo rinvio di affrontare il problema nella sua interezza. La nostra passività permette al governo greco: l) di agitare tranquillamente la bandiera annessionista per il Dodecanneso tanto che nei corridoi di S. Francisco i delegati greci parlavano di «promesse concrete di cessione di queste isole alla Grecia»; 2) di mantenere la finzione di uno stato di guerra con l'Italia e di considerare nemica la nostra collettività in Grecia, con tutte le conseguenze disastrose sopra accennate; 3) di mettere sotto sequestro e quindi danneggiare tutti i nostri interessi economici e culturali -e questi di notevole entità-senza che nessun organo italiano possa salvaguardarli; 4) infine di redigere liste di criminali di guerra per attività compiute in Grecia durante l'occupazione militare italiana 1941-43.

Per non arrivare ad uno stadio di assoluta inferiorità da parte nostra, talché si debba perdere qualsiasi frutto del lavoro e del risparmio italiano in Grecia e nel Dodecanneso, quale via può esser scelta? In realtà, eliminati il risentimento greco, il disagio morale nostro sopravvenuti dopo ed in forza del conflitto 1940-41, le relazioni italo-greche dovrebbero trovare facilmente il punto di contatto e direi quasi di accordo. È superfluo che qui si accenni all'importanza che realmente può avere, nel quadro della politica mediterranea, una leale e cordiale intesa italo-greca. Questa può servire alla Grecia in quanto essa troverebbe un contrappeso ed un equilibrio nella penisola balcanica. (Ed in questo campo noi potremmo trovare nel governo turco un contributo alla persuasione presso il governo greco). Ma può servire anche all'Inghilterra che deve auspicare un Mediterraneo pacificato nell'ambito della sua influenza. •

Su un solo punto sembra si possa far leva per ottenere che la Grecia accolga con simpatia (o quanto meno sia suscettibile di accettare i consigli in questo senso) la nostra profferta di amicizia e per riannodare quelle relazioni che ci consentano di «salvare il salvabile». Questo punto è il Dodecanneso. È chiaro che non possa essere ammesso un completo agnosticismo italiano sulla sorte di queste isole che per oltre trent'anni hanno appartenuto all'Italia e che da una condizione di quasi totale abbandono sono state portate ad un grado notevole di civiltà e rappresentano comunque il frutto di lunghi anni di lavoro e di risparmio italiano. Se per sventura di una guerra perduta ed anche per eventuali promesse alleate alla Grecia (per quanto ancora a noi non note), queste isole dovessero essere consegnate alla Grecia a titolo di compensazione, è assolutamente necessario che questa cessione -se da parte italiana si giunge alla convinzione dell'ineluttabilità e dell'opportunità che essa avvenga -si verifichi non a totale scapito da parte nostra.

l) Poiché il Dodecanneso rappresenta in realtà il solo mezzo per compensare la Grecia della nostra aggressione, è necessario che si richieda che questa concessione costituisca un effettivo pegno di leale e concreta amicizia fra i due popoli e ponga una pietra tombale sul passato e sulle diffidenze e malevolenze ai nostri riguardi.

2) Si deve poi mettere bene in rilievo, a tal fine, che in questo caso non si tratta di restituzione di terre appartenenti alla Grecia. Il Dodecanneso apparteneva alla Turchia che lo conquistò ai cavalieri di Rodi nel 1522. Dal 1912 questo gruppo di isole fu trasformato da un lavoro trentennale in una regione di alta civiltà, con una serie imponente di opere che la popolazione locale non avrebbe potuto compiere senza la direzione, l'impulso ed il sostegno tecnico, finanziario e morale di un Paese come l'Italia.

A questo scopo si sta preparando da parte dell'ambasciatore Lago, con l'aiuto del comm. Crivellari e del prof. Laurenzi, una documentazione di tipo espositivo che metterà in debita luce lo sforzo fatto dall'Italia in queste isole. L'ambasciatore Lago ha preparato anzi l'unito sommario dellavoro1 che si sottopone in visione e per l'approvazione delle direttive da lui tracciate.

3) Nel Dodecanneso vi è un gruppo notevole di imprese economiche quale risulta dall'elenco sommario qui allegato 1• Esse sono state attuate con capitale italiano ed attraverso gravissime difficoltà e con spirito di abnegazione degno del migliore elogio. Queste sono da annoverarsi fra le principali risorse dell'economia locale ed hanno i migliori requisiti per un felice sviluppo. La conservazione di questa attività italiana dovrebbe essere la dimostrazione tangibile che la Grecia, apprezzando il nostro gesto ed il nostro sincero desiderio di amicizia e di proficua

l Non pubblicato.

collaborazione, intende mettere fine ai risentimenti ed alla diffidenza circa future rivendicazioni nei riguardi del Dodecanneso.

4) Altra riprova di elevato significato morale sarebbe il consenso da parte della Grecia alla continuazione dell'esercizio di alcune scuole italiane nel Dodecanneso. A tale proposito va ricordato che esistono a Rodi delle scuole-convitto di I e di II grado fondate dall'associazione nazionale missionaria italiana e rette da religiose. Queste scuole dovrebbero essere conservate nello stato attuale adottando, s'intende, i programmi di studio secondo le norme dello Stato greco e destinate all'istruzione degli italiani di Rodi e del prossimo Levante.

Altrettanto significativo per la cultura italiana sarebbe il riconoscimento da parte greca della grandiosa opera compiuta nell'isola dagli archeologi italiani, concedendo all'archeologia italiana i seguenti privilegi:

a) diritto di pubblicazione del vastissimo e cospicuo materiale inedito proveniente dagli scavi italiani nel Dodecanneso, b) preferenza nella concessione di scavi, c) conservazione dell'organo scientifico specializzato esistente a Rodi o sotto la sua attuale denominazione di Istituto storico-archeologico o con altra costituzione, che permetta peraltro la conservazione in mani italiane del patrimonio librario e della sede dell'Istituto.

A conclusione di quanto sopra esposto è chiaro che l'attuale situazione politica presenta due soluzioni:

l) o una inerte attesa in una ottimistica ~per quanto non troppo fondata ~ ipotesi che alla Conferenza della Pace le Potenze alleate, ed in particolare l'Inghilterra (forse perché l'unione di Rodi alla Grecia non possa costituire un segno premonitore per aspirazioni greche su Cipro), vogliano trovare una soluzione diversa da quella dell'annessione alla Grecia. In questo caso tuttavia l'Italia corre il rischio (col consenso alleato alla Grecia per l'annessione) di perdere non solo il suo possedimento, ma di non avere più alcun mezzo per difendere i suoi diritti acquisiti, per tutelare i suoi connazionali e per riprendere, in una atmosfera normalizzata, le sue relazioni con la Grecia.

2) Oppure la suaccennata iniziativa da parte nostra di accedere al desiderio greco di annettere il Dodecanneso assicurandone peraltro i seguenti vantaggi:

a) che si normalizzino definitivamente i rapporti fra l'Italia e la Grecia e siano dichiarati estinti i crediti morali e materiali da loro pretesi in seguito al conflitto 1940-41 ;

b) che si concretino nuove relazioni che diano sicuro affidamento di una proficua e leale amicizia fra i due paesi;

c) che si tutelino e si salvaguardino le attività economiche e culturali italiane in Grecia e si revochi quindi ogni disposizione di espulsione o comunque vessatoria verso la nostra collettività in Grecia;

d) che si riconoscano le nostre benemerenze nel mirabile progresso del Dodecanneso e quale attestato di amicizia e di fiducia si conservino in mani italiane le attività culturali ed economiche cui si è accennato nell'esposto, mentre si assicuri libero esercizio della propria attività a quegli italiani che risiedono da un certo numero di anni nel governatorato ed il cui nome non figura nell'allegato elenco delle imprese italiane.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3591/184. Roma, 21 giugno 1945 1•

Suo 1872 .

Non ancora effettuato passo britannico. Mi rendo conto considerazioni ch'ella svolge nel suo telegramma 189 2 . Tengo a spiegare che non si trattava, nel mio pensiero, di negoziare nostra eventuale partecipazione, che vuoi essere naturalmente anche espressione di solidarietà con gli Stati Uniti, bensì di stabilire, com'ella giustamente osserva, se effettivamente iniziativa può giovare scongelare nostra situazione, e,in caso affermativo, in che momento può essere più tempestiva e propizia.

A seguito crisi ministeriale e conseguente necessità che nuovo governo si assesti e si orienti, esame nota nordamericana e decisioni in proposito subiranno comunque qualche ritardo. È bene preavvertire Dipartimento di Stato.

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. s.N.D. 3592/185 (Washington) 214 (Londra). Roma, 21 giugno 1945, ore 20.

(Solo Londra) Mio 206 3 . Ho telegrafato quanto segue R. ambasciata Washington:

(Solo Washington) Suo 1904 .

(Tutti) Ho avuto ieri da ammiraglio Stone visiOne confidenziale tracciato linea demarcazione di cui all'accordo Alexander-Tito del 12 corrente. Dipartendosi da monte Gialuz al confine jugoslavo, linea segue dappresso sponda sinistra corso Isonzo sino al Vodice donde si dirige a sud est fino Aidussina ripiegando quindi verso sud attraverso San Giacomo, Divaccia, Erpelle e raggiunge quindi costa immediatamente a mezzogiorno Trieste sotto Muggia. Nessuna indicazione è fatta nel tracciato delle installazioni portuali che pure sono citate nell'accordo né di

1 Inviato il 22 giugno, ore 13. 2 Vedi D. 267. 3 Vedi D. 263. 4 Vedi D. 269.

Pola la cui occupazione risulta peraltro assicurata per un raggw c1rca 6 km attorno città.

È chiaro da quanto precede che linea non solo è notevolmente più sfavorevole di quella Wilson al nord di Trieste, ma rischia lasciare altresì in mano jugoslava, qualora non completata con un tracciato ulteriore, tutta quanta indistintamente Istria, compresa zona nettamente italiana lungo coste occidentali penisola, nonché Lussino, con un complesso totale di oltre 150 mila italiani. È altrettanto evidente che, in queste condizioni, non solo accordo pregiudicherebbe principio che anglo-americani si erano prefissi di difendere, ma, anche nel campo del compromesso, rappresenta soluzione assolutamente sfavorevole interessi italiani e stessa composizione etnica regione. Infine, nonostante esplicita riserva circa assegnazione definitiva territori, non solo esso pone Jugoslavia in condizione di netto vantaggio tattico per quando dovrà affrontarsi discussione risolutiva, ma le permette consolidare sul posto il fatto compiuto.

Tracciato comunicatomi da Stone, quando fosse noto, non potrebbe dunque mancare di creare nel popolo italiano vivo allarme aggravato da mancanza alcun controllo alleato a tutela popolazioni italiane ad oriente di esso e continuo affluire notizie, concordi nel confermare loro precaria situazione.

Soluzione da noi richiesta e di cui al mio telegramma 167 1 (che includa cioè nella zona occupazione alleata strada nazionale Trieste-Vesinata-Pola e territori prevalentemente italiani ad ovest di essa) rappresenta pertanto minimo compatibile con equità e giustizia. Poiché accordo Alexander-Tito lascia, per parte istriana, una certa latitudine di interpretazione, che confidiamo non essere casuale, e poiché discussioni tra Alleati e jugoslavi sembrerebbero non essere ancora giunte conclusioni concrete, la prego continuare svolgere ogni possibile azione perché nostra tesi venga favorevolmente accolta2•

(Solo Londra) Quanto precede per sua opportuna conoscenza e per analoga azione che ritenesse opportuno svolgere costà.

279

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. RISERVATA 3/999. Roma, 21 giugno 1945.

La ringrazio della sua cortese lettera CC 1008 del 16 giugno corrente 3 .

Noto che la linea di demarcazione fra l'occupazione alleata e quella jugoslava, quale è tracciata sulla carta annessa alla sua lettera, si ferma, al sud, negli immediati dintorni di Muggia.

I Vedi D. 263.

2 La nota presentata da Tarchiani a Grew in esecuzione di queste istruzioni è edita in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1189-1191.

3 Vedi D. 268.

Noto altresì che nell'accordo firmato fra il maresciallo Alexander e Tito (art. l) si afferma tuttavia che «Pola and anchorages on the west coast of Istria will be under the command and control of the Supreme Allied Command». E che all'art. 3 è ripetuto che «the Supreme Allied Command will govern ... Pola and such other areas on the west coast of Istria as he may deem necessary».

Presumo in conseguenza che la linea dell'occupazione alleata dovrà comprendere, oltre quella segnata sulla carta che ella mi ha cortesemente trasmesso, anche una linea ulteriore in Istria occidentale.

Ho già avuto occasione di farmi a questo proposito interprete presso gli ambasciatori degli Stati Uniti e d'Inghilterra 1 di alcune considerazioni che hanno per noi interesse fondamentale e precisamente:

l) Gli ancoraggi sulla costa occidentale comprendono, oltre Pola, le seguenti città che sono tutte italiane: Muggia, Capo d'Istria, Isola, Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Orsera, Rovigno, Fasana. Vi sono inoltre, nell'immediato retroterra dell'Istria occidentale borghi italiani, quali Dignano, Buie, Gallesano, Valle, Montana, Visignano. Almeno queste città e questi luoghi, tutti esclusivamente italiani, dovrebbero essere posti nella zona sotto il controllo alleato. Essi vi rientrerebbero in gran parte, qualora si prendesse come linea di demarcazione la strada nazionale Trieste-Pala, che passa per il monte Toso, o, meglio, la strada ferrata Trieste-Pala.

2) In sede di disamina dei particolari di esecuzione dovrebbe essere introdotta una qualche forma di garanzia per gli italiani al di là della linea di demarcazione e sopratutto di Fiume, quale, almeno, l'organizzazione di una qualche commissione di osservatori, come è previsto per la zona occupata dalla Jugoslavia. .

Ripeto a lei quanto scrissi a questo proposito agli ambasciatori degli Stati Uniti e di Gran Bretagna: noi siamo cioè pienamente consapevoli dei pericoli e dei rischi che la questione ha presentato e tuttora presenta per gli Alleati e dello sforzo serio e grave che è stato ed è necessario per superarli. La piena coscienza di questi pericoli e di questi rischi ha certamente accresciuto e approfondito il senso di gratitudine del popolo italiano per la solidarietà dimostratagli in queste difficili circostanze dai governi di Washington e di Londra. Io la prego dunque di voler inquadrare le considerazioni che le espongo in quest'atmosfera di amichevole fiducia e di stretta collaborazione che esclusivamente ci anima e di volerle valutare in conseguenza, come espressione della nostra profonda persuasione che soltanto attraverso soluzioni di equità e di giustizia potrà l'Europa essere pacificata.

Le sarò vivamente riconoscente se ella vorrà trovar modo di prospettare ancora una volta al Comando Supremo Alleato le indicazioni che precedono, affinché ne sia tenuto il maggior conto possibile al momento della concreta esecuzione dei programmi di occupazione già stabiliti e da stabilirsi 2 .

l Vedi D. 253. 2 Per la risposta vedi D. 370.

280

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DE GASPERI

T. S.N.D. 49811205. Washington, 22 giugno 1945, ore 14,16 (per. ore 13 del 24).

Telegramma di V.E. 166 1 e mio telegramma n. 1722 .

Ho oggi intrattenuto confidenzialmente Phillips circa possibilità stipulazione trattato di pace con l'Italia. Egli mi ha detto a titolo personale che una nostra iniziativa in tal senso gli sembrava molto utile. Si sarebbe informato del definitivo pensiero americano al riguardo onde potermi dare -sperava nel più breve termine -una risposta «[debitamente] autorizzata».

Gli ho quindi accennato mia intenzione rendere visita al presidente Truman prima della Conferenza dei Tre per parlargli questioni italiane e qualora egli Phillips fosse stato in grado darmi risposta suddetta, anche sulla questione pace con l'Italia. Phillips ha subito aderito all'invito dicendo che ben volentieri mi farà fissare udienza al momento opportuno. Debbo peraltro far presente all'E. V. che prima chiedere udienza dovrei essere messo in grado rispondere una molto probabile domanda del presidente sulle intenzioni nuovo governo rispetto Giappone. Nel richiamare particolarmente mio telegramma 1893 sarei grato V. E. cortesi istruzioni telegrafiche anche su speciali argomenti di carattere nazionale che l'E. V. ritenesse opportuno che io sottoponessi al presidente.

281

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 3677/190 (Washington) 220 (Londra). Roma, 23 giugno 1945, ore 5.

(Solo per Londra) Ho telegrafato al R. ambasciatore a Washington quanto segue:

(Per tutti) Notizie ufficiali odierne circa effettiva linea demarcazione, confermando indicazioni ammiraglio Stone, danno maggior consistenza e peso considerazioni svolte nel mio precedente telegramma (Londra: 214 -Washington: 185)4 . Linea cosiddetta Morgan non segue alcun criterio geografico, militare, etnico, economico, storico o amministrativo. Assicura al controllo alleato strada ferrata e rotabile Trieste-Tolmino, e basta. Rappresenta in sostanza consacrazione pei nove decimi del fatto compiuto di Tito. Anche nel nuovo accordo manca ogni riferimento

1 T. 34061166 del 15 giugno, con cui venivano ritrasmessi i DD. 246 e 259. 2 Vedi D. 260, nota l. 3 Vedi D. 267. 4 Vedi D. 278.

ad una qualche forma di controllo alleato in zona occupazione iugoslava, che valga sopire nostre vive e giustificate preoccupazioni per sorte popolazioni italiane.

Si esprima in questo senso. Riprendendo argomenti contenuti nel mio telegramma diretto Londra col n. 204 e comunicato V.E. con n. 166 1 , confermi nostro pieno riconoscimento sforzo compiuto da anglo-americani nei confronti di una situazione che evidentemente supera controversia italo-jugoslava e incide sui rapporti stessi fra grandi Alleati con tutte le conseguenze connesse. Ponga in rilievo che governo italiano per parte sua, nonostante vive pressioni fattegli, ha finora evitato pronunciarsi su argomento, esercitando nel contempo a7jone moderatrice sulla stampa, né intende modificare tale suo atteggiamento, che si fonda sia sulla coscienza della gravità della questione anche per Alleati, sia sulla fiducia nel senso di giustizia dei dirigenti anglo-americani. Esso non può tuttavia disinteressarsi della situazione odierna e dell'avvenire di città e zone assolutamente italiane, che, salvo vana questione prestigio, non rappresentano assolutamente niente -né dal punto di vista economico né da quello militare-per popolo jugoslavo, mentre fanno parte integrante della Nazione italiana e della sua tradizione. Sappiamo che definitiva assegnazione territori non è pregiudicata, ma sarebbe di molto conforto per noi avere conferma che queste considerazioni sono presenti a codesto governo e che di esse, assieme a tutte le altre interessanti la regione, si terrà debito conto al momento opportuno.

In linea generale e per sua norma confidenziale, tenga presente che, nonostante dichiarazioni ufficiali in contrario, vi sono seri motivi preoccupazione che attuale linea demarcazione rappresenti tendenzialmente esperimento di una sistemazione definitiva. Dovremmo quindi evitare che problema si cristallizzi nei termini in cui è stato oggi posto e che si formi costà impressione che soluzione attuale possa in ultima analisi essere da parte nostra considerata come accettabile ed equa. È necessario ci si renda conto che essa rappresenterebbe al contrario, e sotto tutti gli aspetti-compreso quello della difesa nostra e dell'occidente-una amputazione illogica e dolorosa che non mancherebbe certo di reagire per molto tempo sulla politica interna ed estera italiana 2 .

(Solo per Londra) Svolga anche da parte sua ogni possibile opportuna azione nello stesso senso.

282

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 3678/221 3 . Roma, 23 giugno 1945, ore 7.

Suo 313 4 . Discorso fattole da Cadogan preoccupa. Suo accenno a possibile, sia pure temporaneo, peggioramento rapporti italo-britannici mi pare, se non esplicito, certo

I Vedi D. 259. 2 Per la risposta vedi D. 290. 3 Il telegramma venne comunicato, per conoscenza, a Tarchiani col n. 3678/191. 4 Vedi D. 275.

indicativo. Poiché ella deve, prima della partenza, rivederlo, gli dica a mio nome che una pace dura che ci fosse imposta oggi dopo due anni di cobelligeranza e le distruzioni e i sacrifici che tutti sanno sarebbe ingiusta e, insieme, impolitica. È questa poi una fase della vita interna italiana formativa di tendenze e orientamenti destinati a prolungarsi nel tempo e grave errore sarebbe da parte della Gran Bretagna intervenire oggi in questo processo con mano troppo pesante. Nostri sforzi per impedire eventuali slittamenti opinione pubblica sarebbero resi di altrettanto più ardui e rinascente democràzia italiana ne sarebbe scoraggiata e umiliata e dunque diminuite le sue possibilità di progressivo e ordinato sviluppo. Gli dica ancora che una costruttiva collaborazione italo-inglese è dato fondamentale della nostra politica e che tutto quanto può turbame rinascita, ci allarma e ci preoccupa estremamente. Parliamo per questo con la franchezza che l'alto e comune obbiettivo da raggiungere esige.

Se il momento, lo stato dell'opinione ed altre eventuali circostanze non consentissero oggi soluzioni temperate, preferiremmo ad una dura pace immediata e definitiva una prima fase di pace provvisoria che riservi le questioni più controverse e che rinserendoci subito nella comunità delle Nazioni Unite dia al tempo la possibilità e il modo di compiere il suo lavoro di pacificazione e consenta ai germi della rinascente amicizia italo-inglese di mettere più profonde e più salde radici.

Insista su questi punti e in modo particolare sull'ultimo.

283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 3679/192. Roma, 23 giugno 1945, ore 13.

Suoi 177 e 178 l.

Cadogan ha autorizzato Carandini informarci2 che la modifica della cobelligeranza in stato di pace è presentemente in studio avanzato e non è da escludere sia possibile gabinetto giunga ad una decisione di massima anche prima elezioni. Pur auspicando che sollecita firma strumento di pace possa favorire una costruttiva collaborazione italo-inglese, Cadogan non ha nascosto sua viva preoccupazione che questo atto possa risolversi in un temporaneo peggioramento nei rapporti fra Italia e Gran Bretagna. Carandini aggiunge non esser riuscito accertare se apprensioni manifestategli da Cadogan si riferiscano ·al risentimento che provocherà negli italiani l'accettazione reale di rinunzie a cui sono solo teoricamente preparati, oppure se egli paventi l'effetto di imposizioni più dure di quelle che opinione italiana ha ormai scontate.

Indicazioni Cadogan parrebbero dimostrare che quella corrente cui V.E. accenna, favorevole a una ragionevole ed equa sistemazione futura con l'Italia, rischierebbe di non prevalere di fronte altre tendenze più rigide e meno lungimiranti.

I Vedi D. 258. 2 Vedi D. 275.

Con telegramma a parte le trasmetto copia delle istruzioni che ho dato oggi a Carandini 1• Ella vi troverà argomenti per svolgere ogni possibile azione presso codesto governo per convincerlo della necessità che una dura pace immediata e definitiva sarebbe oggi gravissimo errore e che, se proprio non fosse possibile evitarla, sarebbe a nostro avviso migliore soluzione ripiegare su una prima fase di pace provvisoria, che ci dia la possibilità e il modo di rimontare la corrente.

Molto contiamo in questo momento sull'amicizia americana. Soltanto da Washington può giungerci effettivo sostegno e assistenza. Se è vero, come pare probabile, che esistono in Gran Bretagna due correnti divergenti nei nostri confronti, par certo che un deciso appoggio di codesto governo potrebbe far prevalere l'una piuttosto che l'altra. Molto confido sulla sua opera di persuasione.

284

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3680/193. Roma, 23 giugno 1945, ore 0,10.

Suo 203 2•

A tutt'oggi non ho ancora ricevuto alcuna comunicazione britannica. Mi faccia sapere se a suo avviso e ad avviso di Phillips eventuale nostra dichiarazione di guerra al Giappone può facilitare azione nordamericana di cui mio telegramma odierno3 , per indurre Foreign Office migliori consigli. È anche evidente che se criterio dura pace immediata dovesse prevalere, nostra iniziativa in quel senso riuscirebbe di altrettanto meno comprensibile per opinione italiana e di più complessa giustificazione. Ne inizieremo comunque esame subito 4 .

285

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 4461174. Mosca, 24 giugno 1945 (per. il 25 luglio).

Ritengo utile esporre all'E.V. l'atteggiamento di questo governo circa le varie questioni concernenti le nostre frontiere.

t Vedi D. 282.

2 T. s.n.d. 4884/203 del 20 giugno: richiesta da parte di Phillips di notizie circa la dichiarazione di guerra al Giappone.

3 Vedi D. 283.

4 Per la risposta vedi D. 287.

l) Frontiera con la Francia. Le varie personalità sovietiche con cui ho avuto occasione di parlare si sono limitate a chiedermi informazioni sulla portata delle rivendicazioni francesi, sull'azione delle autorità locali, sul corso delle nostre conversazioni dirette con Parigi. Il tono generale delle conversazioni è stato tale da permettermi di asserire che il governo sovietico non appoggia il governo francese: né mi risulta del resto che il governo francese abbia chiesto il parere del governo sovietico in proposito.

In genere l'atteggiamento del governo sovietico verso la Francia, in questo momento, è piuttosto riservato; formalmente si tratta di un governo amico, legato all'U.R.S.S. da un buon trattato: l'U.R.S.S., sempre nella parte formale, è molto scrupolosa nel riconoscere alla Francia il suo statuto di Grande Potenza. In pratica le cose sono alquanto differenti: questo ambasciatore di Francia mi ha detto che, in occasione della visita a Mosca del generale de Gaulle, gli era stato assicurato l'appoggio russo per la partecipazione della Francia alla prossima riunione dei Tre Grandi (la Conferenza di Crimea). Da parte russa si temeva allora, soprattutto per la questione tedesca, di trovare un fronte unico anglo-americano, non concordante in tutto colle idee della Russia: si desiderava quindi l'appoggio della Francia. Essendosi poi accorti, nei sondaggi diplomatici che hanno preceduto la Conferenza, che l'atteggiamento di Roosevelt non era quale essi temevano, non si sono più curati di farsi parte diligente per ottenere l'ammissione della Francia ai consigli dei Big Three, ritenendo di avere, formalmente, adempiuto al loro impegno coll'avere ottenuto la partecipazione della Francia al Comitato consultivo europeo e all'occupazione della Germania. Questo, naturalmente, non è piaciuto a Parigi.

In realtà, qui non si vede chiaro se de Gaulle riuscirà a sopravvivere o no. I russi preferirebbero che de Gaulle restasse, anche se, a parole, possono condannare il suo flirt con gli elementi più reazionari dell'esercito e la sua lenienza verso i collaborazionisti. La Francia essendo, in un certo senso, nella zona d'influenza anglo-americana, i russi preferiscono, a qualsiasi altro uomo di Stato francese, de Gaulle, contando che, desideroso come egli è di affermare la Francia come Grande Potenza, col suo atteggiamento indipendente rende difficile il consolidamento della politica inglese in Europa Occidentale: ritengono che qualsiasi altro uomo di stato

o raggruppamento politico francese sarebbe molto più anglofilo di lui. Riconoscono, però, che de Gaulle fa degli errori, sia in politica interna che in politica estera, e non sono sicuri che riuscirà a reggersi: non vogliono quindi troppo compromettersi con lui, per timore di reazioni interne, il giorno che dovesse cadere: vedono con piacere le sue dispute con gli inglesi, ma non vogliono impicciarsene.

I russi sono molto favorevoli ad un riavvicinamento franco-italiano, ed anche questo dal loro punto di vista è logico: la Francia, appoggiandosi sull'Italia, potrebbe essere ed agire in forma molto più indipendente. Per l'Italia, l'appoggio francese è l'unico mezzo di riacquistare una certa indipendenza della sua politica estera nei riguardi dell'Inghilterra, dato che la Russia, rispettosa delle zone d'influenza, ed impacciata dalla questione jugoslava, non può agire direttamente. In questo quadro, non trovano giustificato l'atteggiamento francese: con modificazioni territoriali di scarsa importanza, il cui raggiungimento non aumenterebbe il peso specifico della Francia in Europa e nel mondo, si rischia di creare un solco difficilmente colmabile fra l'Italia e la Francia. Ci raccomandano di intenderei direttamente con la Francia: e lo stesso consiglio darebbero ai francesi, se interessati in proposito.

2) Frontiere alto-atesine. Non me ne è mai stato parlato in dettaglio: mi è stato solo accennato che la questione non è stata studiata: la stampa sovietica l'ha, finora, ignorata. La mia impressione però è che, oggi, i russi non se ne interessano. Se la politica russa in Austria avesse continuato per la via iniziatasi con la creazione del governo provvisorio austriaco, se ne sarebbero certamente interessati, in senso più o meno favorevole a noi, a seconda di quello che, a loro giudizio, sarebbe stato l'atteggiamento dell'opinione pubblica austriaca. Avendo ora, con i recenti accordi, rinunciato all'inclusione dell'Austria nella loro zona d'influenza, la questione dell'Alto Adige non è di quelle che li interessino particolarmente. La seguiranno in tanto e per quanto la soluzione della questione alto-atesina possa servire di precedente o di oggetto di scambio per la questione della Carinzia, per la quale i russi sono disposti ad appoggiare i desiderata jugoslavi, sebbene non nella misura con cui sono disposti ad appoggiarli nella questione di Trieste. Così, a quanto mi risulta almeno, l'appoggio russo alla richiesta jugoslava di essere ammessa a partecipare all'occupazione dell'Austria, se pure c'è stato, è stato appena formale.

3) Frontiere con la Jugoslavia . Su questo punto è bene non farsi illusione alcuna. La Russia appoggia ed appoggerà tutte le richieste jugoslave, specialmente nella questione di Trieste. E ciò, collle ho già riferito altre volte, per pure ragioni politiche. Trieste in mano all'Italia, pure con tutte le garanzie internazionali che si vogliano per il porto di Trieste, rappresenta comunque una porta per una influenza economica e politica dell'Italia nell'Europa centrale e balcanica, o di altre Potenze attraverso l'Italia. Se per un assurdo si potesse trovare una combinazione per cui Trieste andasse alla Jugoslavia e la maggior parte del retroterra slavo all'Italia, la Russia sarebbe..più facilmente disposta ad accettarla, in sede di compromesso, che non il contrario. Non conosco i particolari dell'accordo Tito-Alexander, se non per quello -non del tutto chiaro -che ne ha detto la radio: sarò anzi grato a V. E. se vorrà farmi conoscere quello di più esatto che ne conosce. In complesso però mi sembra che, anche se non abbiamo ottenuto tutto quello che desideravamo, l'accordo rappresenta un grosso vantaggio per noi. Se gli jugoslavi fossero rimasti a Trieste, nemmeno il Padre Eterno sarebbe riuscito a sloggiarneli: il fatto stesso che, a quanto mi viene riferito, questi circoli jugoslavi sono fuori della grazia di Dio, sta a dimostrare che l'accordo è piuttosto a nostro favore.

Non c'è dubbio che la Russia abbia autorizzato e, anzi, incoraggiato Tito a tentare il fatto compiuto. Non era, però, sicura del fatto suo: per questo il governo russo non è uscito dal suo riserbo, se non con degli articoli di stampa, che pur esprimendo il pensiero del governo, non lo impegnano: si dichiara infatti, sempre ed a tutti, che la stampa essendo completamente libera, gli articoli non rappresentano che l'opinione del giornale o di chi lo scrive. Si sono tenuti nell'ombra, e ho anzi l'impressione che della questione si sia parlato e discusso a Mosca, fra russi e anglo-americani, molto meno di quanto generalmente si pensi. Quando hanno visto che gli inglesi avevano l'intenzione di fare sul serio, debbono aver consigliato agli jugoslavi di cedere: è anche probabile che si siano accorti che con il tentativo del fatto compiuto, Tito ha fatto un passo falso ed ha indebolito la sua posizione di fronte all'opinione pubblica anglo-americana; cercano ora di rimediare al male fatto, presentando la Jugoslavia come Paese che si sottomette ad una evidente ingiustizia per evitare di creare discordia fra le Nazioni Unite.

Ma, con tutto ciò, la questione di Trieste non finita. Alla Conferenza della pace, o a quella qualsiasi conferenza dei Big Three in cui si dovrà risolvere la questione delle nostre frontiere orientali, i russi faranno il possibile e l'impossibile per ottenere l'attribuzione di Trieste alla Jugoslavia. Su questo è bene non farci nessuna illusione: per cambiare l'atteggiamento della Russia sulla questione noi non possiamo fare nulla, tranne, forse, il gettarci completamente nell'orbita politica della Russia.

A mia impressione i russi, oggi, si rendono conto che il popolo italiano, inteso, il popolo, come lo concepiscono loro, non è indifferente alla questione di Trieste, anche se continuano e continueranno a dire che si tratta di mene fasciste. Si rendono anche conto che la soluzione, quale la vogliono loro, della questione di Trieste, rende difficile, se non impossibile, una politica di amicizia fra l'Italia e l'U.R.S.S. Ma, misurato il pro ed il contro, sono venuti nella conclusione che Trieste in mani fidate vale anche la mancata amicizia del popolo italiano: può anche essere che ritengano che, a fatto compiuto, si possano trovare modi e maniere di far ingoiare la pillola al popolo italiano: ma in ogni modo sono, queste, considerazioni che non li preoccupano gran che.

Ciò premesso, aggiungo subito che la questione di Trieste non è di quelle in cui la Russia sia disposta a giocare il tutto per tutto. Se così non fosse stato, la Russia non avrebbe mai consigliato a Belgrado di retrocedere, ma avremmo visto le truppe sovietiche sostituire le truppe jugoslave alle linee di demarcazione.

La sorte di Trieste dipende, quindi, da quello che intende fare l'Inghilterra: noi avremo cioè, del territorio contestato, quel tanto, e non più, che la Russia sarà persuasa che l'Inghilterra non è disposta a cedere, nemmeno dietro compensi da parte russa, in altre parti d'Europa e del mondo. La posizione degli Stati Uniti è estremamente importante, anzi decisiva, poiché i russi all'Inghilterra sola si sentono perfettamente di resistere: all'Inghilterra appoggiata dall'America, no. Però, se negli Stati Uniti c'è molta maggiore simpatia reale ed idealistica per la causa italiana di Trieste, come osserva l'ambasciatore Tarchiani, sul terreno concreto, almeno fino ad ora ed in Europa, il governo americano finisce per accettare il punto di vista inglese: punto di vista nel quale, pur senza negare le forti correnti idealistiche della politica inglese, finisce per prevalere il calcolo politico pratico.

Quindi, secondo me, se vogliamo salvare Trieste, e per salvare il massimo possibile del nostro territorio contestato, è a Londra che bisogna guardare.

Nella fase attuale della questione, gli inglesi sono stati tanto fermi quanto le circostanze permettevano loro di essere. Vi hanno contribuito molti elementi: mettere un limite ai fatti compiuti russi in generale e, in particolare, fare capire a Tito che se egli credeva, mettendosi interamente nelle mani della Russia, di poter ottenere tutto quello che voleva, si sbagliava di grosso. Ma nella sostanza della questione, come si vedono le cose da qui, sono tutt'altro che sicuro che, allo stato attuale delle cose, l'Inghilterra sia altrettanto decisa. In primo luogo, non è per me dubbio che non riusciremo a conservare all'Italia tutto il territorio contestato. Si tratta solo di sapere se e quanto ne potremo conservare.

Qui io non posso avere contatti che con elementi diplomatici, militari e navali inglesi: elementi importanti nella politica inglese in quanto depositari delle tradizioni, ma che non sono i soli: le elezioni inglesi, poi, possono introdurre nella vita politica inglese elementi del tutto nuovi. Con questa necessaria riserva, mi sembra di vedere alcune tendenze per noi pericolose.

l. L'Inghilterra non ha ancora rinunciato alle speranze di portare via la Jugoslavia alla Russia. Sia che essa conti su mutamenti della situazione interna jugoslava, sia che essa conti su ravvedimenti dello stesso Tito, poco importa. Ma il giorno in cui l'Inghilterra fosse convinta che lasciando Trieste alla Jugoslavia riuscirebbe a sottrarla all'amicizia esclusiva di Mosca, possiamo esser sicuri che Londra continuerebbe a sostenere il buon diritto dell'Italia a Trieste?

2. -Esistono ancora, negli ambienti britannici cui accennavo, forti prevenzioni contro l'Italia. Non è esatto, oggi almeno, parlare di antipatie, di risentimento o di altro. L'Inghilterra, durante questa guerra, si è accorta dd pericolo che per lei può rappresentare l'Italia. L'incomprensione tedesca dell'importanza strategica della posizione italiana, l'incapacità o la poca volontà italiana di far la guerra, per conto suo, hanno rese nulle o quasi le nostre possibilità: ma gli inglesi le hanno viste bene, e, per un momento, ne hanno avuto paura. Vi sono molti, in questi ambienti, i quali pensano che non conviene correre, per l'avvenire, il rischio di lasciare queste posizioni in mano di una Italia più efficiente o di un alleato più intelligente. Quale posto occupa Trieste (e Pola) in questo ordine di idee? Una soluzione dei nostri confini che polarizzasse le nostre aspirazioni, le nostre rivendicazioni e quindi la nostra politica estera in una determinata direzione, non sarebbe la migliore garanzia per l'Inghilterra? 3. -La politica inglese, o almeno la politica di Churchill, vede come sola possibilità di collaborazione colla Russia il sistema delle zone d'influenza, nettamente delimitate, e col minimo intercambio possibile fra di loro. Non credo che gli inglesi non vedano il pericolo futuro insito nella politica delle zone d'influenza, ma pratici come sono sempre lo ritengono, al momento presente, il solo modo possibile e accettabile dalla Russia di mettere un limite alla vera o presunta esapansione russa verso occidente. Essi sperano, poi, che in un avvenire più o meno lontano il peso assoluto o relativo della potenza russa possa diminuire e che i possibili errori della politica russa rendano più difficile e più problematico tutto il sistema di alleanze e di amicizie che la Russia sta cercando di mettere su nella sua zona d'influenza. E possono anche aver ragione sia nell'una che nell'altra ipotesi. Ora le zone d'influenza nel continente europeo sono ormai ben delimitate. Restano fuori i Paesi scandinavi, questione di cui, credo, non si è ancora parlato, la Jugoslavia e la Turchia. In questi ultimi due Stati, ad un certo momento, ad un accordo di compromesso bisogna pure venire: e non è da escludere che Trieste possa essere oggetto di compromesso.

I punti uno e tre sono al di fuori delle nostre possibilità di influire: il punto due, no.

Dato che una soluzione, favorevole ai nostri diritti e desideri della questione di Trieste ed in genere dei nostri confini orientali, dipende principalmente, se non esclusivamente, dall'atteggiamento inglese (e non è nemmeno la sola), tutti i nostri sforzi dovrebbero essere indirizzati a persuadere l'Inghilterra che la politica mediterranea dell'Italia portata ad absurdum dal fascismo, ma già delineatasi, agli occhi inglesi, durante la guerra 1914-18 (vorrei che V. E. vedesse, in proposito, un profetico rapporto inviato, alla vigilia di lasciare Londra, dal marchese Imperiali, nell'estate 1920) è stata definitivamente abbandonata. Compito non facile, perché la diffidenza inglese verso la politica italiana pre-fascista, fascista o post-fascista è assai profondamente radicata. Se non ci riusciamo è ben probabile che gli inglesi preferiscano, ad ogni buon conto, metterei in una condizione tale che !'«incognita» della politica italiana non sia in grado di dar loro fastidio. Ed in questo, sia pure per ragioni e in direzione differenti, possono trovarsi perfettamente d'accordo con i russi.

Con questo non voglio dire che, per la questione dei nostri confini orientali, non dobbiamo tener conto anche della Russia. Cambiare il suo punto di vista è al di fuori delle nostre possibilità: dato che il governo russo non è uscito dal suo riserbo, ci conviene far finta di non saperlo: e !imitarci a sostenere di fronte ai russi un punto di vista che è inattaccabile.

«No i desideriamo vivere in pace ed amicizia con i nostri vicini jugoslavi e, attraverso loro, con tutto il mondo slavo: per questo noi riteniamo, pur riconoscendo in pieno che le tre Grandi Potenze hanno il diritto di risolvere la questione delle nostre frontiere orientali con un Diktat (questo riconoscimento dell'onnipotenza della Triade è psicologicamente sempre necessario, nel trattare con i russi), che il miglior mezzo sia quello di intenderei direttamente con la Jugoslavia sulla base di ragionevoli concessioni reciproche».

I russi per ora non ci risponderanno: gli jugoslavi anche meno. Ma il giorno in cui i russi siano persuasi che l'Inghilterra non è disposta a cedere per Trieste, non vorranno che tutto il merito della soluzione vada all'Inghilterra, e probabilmente sceglieranno il metodo meno lesivo per il loro prestigio: consigliare alla Jugoslavia di mettersi d'accordo direttamente con noi, su basi più o meno concordate fra «i tre», e, eventualmente, aiutare i negoziati. Per non aggravare la situazione da parte russa, bisogna evitare di dar loro l'impressione che noi siamo coscienti di questo loro atteggiamento sulla questione di Trieste (dal momento che consentono di farcelo ignorare) e che l'opinione pubblica italiana non lo perdonerà mai: d'altra parte indicare noi stessi una via d'uscita, che non obblighi la Russia ad una perdita di prestigio.

Un altro punto ritengo necessario di rilevare, per quanto concerne la Russia. L'atteggiamento della Russia nella questione di Trieste non è suscettibile di cambiamento in relazione agli orientamenti della politica interna italiana. Ossia la Russia non è contraria a che Trieste vada all'Italia, perché ritiene che l'Italia abbia,

o almeno avesse fino a qualche giorno fa, un governo piuttosto orientato a destra, e cesserebbe di esserlo qualora l'Italia avesse un governo orientato a sinistra. La questione di Trieste è per la Russia una questione di politica estera. L'U.R.S.S. fa della politica estera e non della politica ideologica e, a meno che intervenga un poco probabile capovolgimento della politica interna russa, continuerà sempre più a fare della politica estera e non della politica ideologica. Se l'U.R.S.S. appoggia, qua e là i partiti «progressisti», lo fa in quanto e fino a quando è convinta che questi partiti, più çlegli altri, sono pronti ad accettare, senza discussioni, la politica estera russa quale essa è.

Ammetto che il tono della stampa russa è ben differente: ma le parole restano parole e i fatti, fatti. E per la Russia «democrazia e progresso» sono e restano parole, né più né meno di quanto siano e restano parole, altrove, i principi della Carta Atlantica.

So bene, affermando questo, di andare contro ad un'opinione molto diffusa: ma è un punto su cui non mi stancherò mai di insistere, poiché è essenziale per comprendere la politica russa. Una volta che lo si è ben compreso, si vede che non esiste il mistero e la contraddizione della politica estera russa: la politica estera russa potrà essere spiacevole, ma è fin troppo chiara e logica.

286

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. URGENTE 5047/243 Mosca, 25 giugno 1945, ore 1,50 (per. ore 18,20).

Martedì sera partiranno da Mosca diretti Varsavia, membri del governo provvisorio polacco e rappresentanti politici Polonia e gruppi emigrati, che hanno portato a conclusione discussioni per risoluzione problema polacco. Mercoledì o al più tardi giovedì verrà annunziata da Varsavia definitiva composizione «governo polacco provvisorio di unità nazionale» che sarà simultaneamente riconosciuto ufficialmente da anglo-americani. Per ragioni che ho già diffusamente esposto, ritengo, più che opportuno, necessario che l'Italia immediatamente dopo riconoscimento anglo-americano proceda ristabilimento delle relazioni diplomatiche con la Polonia. Converrebbe anche da parte nostra provvedere senza ritardo inviare Varsavia ambasciatore o almeno incaricato d'affari, con cui potrebbe recarsi capitale polacca tutto il personale che noi desideriamo destinare assistere nostri connazionali liberati.

Trattandosi questione notevole rilievo generale e di massima importanza per situazione materiale e morale nostri connazionali in Polonia, prego V. E. volersi compiacere di farmi conoscere al più presto possibile sue decisioni in proposito. 1

287

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5081-5112-5104/217-218-220. Washington, 25 giugno 1945 2 (per. ore 18,15 del 27).

Telegrammi di V. E. n. 184 e 193. 3

Questo pomeriggio ho avuto lungo colloquio con Phillips. Gli ho confermato ufficialmente quanto già precedentemente dettogli a titolo personale (e di cui mio

I Vedi D. 312. 2 Inviato il 26 giugno. 3 Vedi DD. 277 e 284.

387 telegramma 203) 1 , conformemente istruzioni di cui ultimi capoversi telegrammi di

V. E. suindicati. Ho altresì ritenuto esprimergli nostro vivo apprezzamento per posizione assunta dall'America nella questione nostra dichiarazione di guerra al Giappone e per amichevoli intendimenti verso l'Italia che l'avevano provocata. Phillips è rimasto sorpreso apprendendo che al riguardo, da parte inglese, nessuna comunicazione era al 22 corrente pervenuta a V. E. Nel confermarmi intesa intervenuta in proposito tra Washington e Londra, ha espresso, in via strettamente confidenziale, avviso che il ritardo inglese possa essere dovuto a nota mentalità alcuni elementi Foreign Office tuttora ancorati al recente infausto passato.

Io ho svolto allora considerazioni di cui al telegramma di V. E. n. 193. Phillips ha mostrato comprenderne fondamento e mi ha promesso fornirmi al più presto ogni possibile elemento di giudizio, anche per quanto riguarda nostra opinione pubblica, dopo aver sondato opportunamente terreno qui e a Londra. Si è riservato esprimermi suo avviso quando avrà potuto accertare effettive intenzioni Inghilterra nei confronti pace. Si rende pienamente conto grande importanza e urgenza due questioni che effettivamente possono oggi [tra loro] aver alcune connessioni dato incalzare del loro evento. Egli mi ha infatti confidato che «capitolazione Italia» è già iscritta ordine del giorno prossimo convegno a tre che dovrebbe avere inizio prima 15 luglio. Poiché V. E. ha voluto chiedere anche il mio avviso, mi permetto prospettarle convenienza che, qualora rapporti che io avrò nei prossimi giorni al Dipartimento di Stato (rivedrò domani mattina Phillips) lo [rendano] indispensabile, [dovrei] essere autorizzato dichiarare, in via preliminare e confidenziale, se mi sarà possibile allo stesso presidente Truman, che l'Italia è pronta dichiarare guerra al Giappone quale segno evidente sua volontà stabilizzare relazioni italo-americane. Qualora poi ciò lo rendesse necessario per interessi italiani, dovremmo essere in grado far seguire qui una qualche conferma ufficiale prima del convegno a tre. D'altronde, qualora decisioni tale convegno confermassero nostri timori circa dura pace, avremmo sempre ragioni plausibilissime per riconsiderare la questione e non impegnarci in atti concreti.

Il presidente partirà da Washington per convegno 8 luglio prossimo. Come ho segnalato con mio telegramma 2052 , spererei vederlo qualche giorno prima. Mi occorrerebbe pertanto avere risposta telegrafica urgente di V. E. come anche altri eventuali elementi che si ritenesse opportuno che io prospettassi al presidente. 3

Ho comunicato a Phillips4 notizie date da Cadogan (telegrammi di V. E. 191 e 192)5 e le di lui perplessità che sembravano [far] ritenere Inghilterra potesse orientarsi per una dura pace definitiva dell'Italia. Reazione Phillips è stata di viva sorpresa. A mie precise domande egli ha risposto:

l) che trovava assurdo Londra pensasse imporre all'Italia una pace tale da peggiorare rapporti fra i due paesi;

2) per parte sua ignorava quale fondamento potessero avere i timori di Cadogan;

I Vedi D. 284, nota 2. 2 Vedi D. 280. 3 Vedi D. 296. 4 Vedi TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., p. 82. 5 Vedi DD. 282 e 283.

3) che comunque l'America non aveva interesse né intenzione che all'Italia fossero fatte «dure condizioni di pace». Ho allora insistito, valendomi ogni utile argomento, sulla necessità che, in previsione possibile intenzione inglese nel senso suindicato e nella speciale situazione della Russia nei riguardi Jugoslavia, U.S.A. assumano, nell'imminente incontro a tre, posizione precisa onde evitare che possa poi capitarci il peggio. Phillips ne ha convenuto meco, dichiarando essere convinto

U.S.A. debbano dedicare più vigile attenzione al problema italiano. Mi ha assicurato che oggi stesso cominciava assumere informazioni per accertare intenzioni effettive Foreign Office nei riguardi suaccennati, così pure avrebbe fatto accelerare lavori in corso al Dipartimento di Stato in modo da far precisare punto di vista americano sulle varie questioni (a tale riguardo richiamo quanto ebbi già a segnalare con mio telegramma n. 177-178) 1• Phillips contava farmi avere notizie più precise al più presto possibile. Abbiamo preso appuntamento per domani. 2

288

IL MINISTRO A SOFIA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1035/262. Sofia, 25 giugno 1945 (per. il 27 luglio).

Telespresso ministeriale n. 15/5974/8 in data 26 aprile u.s. 3 .

Circa l'andamento e lo sviluppo della questione delle relazioni diplomatiche tra Stati ex-nemici (che so esattamente essere stata sollevata tra gli alleati da Sofia) ero stato informato da fonte alleata che mi aveva rivelato tanto la parte da cui l'iniziativa provenne, come aveva previsto la fon,pula che poi fu effettivamente adottata nei nostri riguardi.

Questo ministro degli Affari Esteri, dal canto suo, non volle mai ammettere che la questione potesse essere posta, e per quanto sia senza dubbio esattamente informato, sostenne sempre che l'accordo di armistizio non contempla nulla di simile, e che nessuno gli ha mai detto il contrario. Di più, dal momento della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Italia e Bulgaria, seguendo strettamente la formula che quanto era stato fatto dai precedenti governi nei riguardi del R. governo e della R. legazione è nullo e non avvenuto (con qualche ironia, ma anche con legittima fierezza noi pensiamo ai nove mesi di internamento, che, oltre tutto il resto, noi dovemmo sopportare con le nostre famiglie in questo paese), mi ha attribuito la qualifica di decano del corpo diplomatico. Nell'attuale situazione in Sofia tale qualifica può apparire come una sinecura. Tuttavia non sempre esattamente lo è. Dà in ogni caso un nuovo e innegabile prestigio alla nostra rappresentanza.

I Vedi D. 258. 2 Vedi D. 290. 3 Vedi D. 151.

Le missioni alleate, che per ora sono in qualche modo considerate, se non al di fuori, almeno a parte dal corpo diplomatico, non vi hanno fatto opposizione. Con esse abbiamo eccellenti rapporti, dopo qualche difficoltà iniziale con alcune. Siamo invitati a tutte le loro cerimonie ufficiali, a parte le relazioni personali, che non potrebbero essere migliori. È vero che molto cammino è stato fatto in questo senso negli ultimi mesi. Ma, se le missioni alleate continuano a ritenerci qui «esistenti solo di fatto» esse evitano accuratamente di mostrarlo. Anche la loro corrispondenza ufficiale ci viene indirizzata con piene qualifiche: R. legazione; R. ministro, ecc. Ancora una volta è da ricordare che, localmente, abbiamo percorso molto cammino in questo senso negli ultimi mesi.

Da parte sovietica vi è stato, negli ultimi tempi, il sistematico rifiuto, com'è ben noto a cotesto R. ministero, di concedere il visto ai nostri corrieri per Ankara. Ma i visti di ogni genere, da e per la Bulgaria, sono stati negli ultimi tempi sistematicamente negati non solo a noi. Per quanto qui si può arguire, sarebbe, credo, prematuro trame affrettate conseguenze nei nostri riguardi.

Poiché ho toccato tale argomento, collegato così strettamente con la nostra situazione, e di così evidente importanza, debbo, d'altra parte, confermare che non ho ricevuto il dispaccio ministeriale in argomento, annunciatomi come inviato con corriere diplomatico, con telegramma n. l 02 1 , e che non potrò evidentemente riceverlo prima che sia accordato il visto ad un nostro corriere per la Turchia, a meno di altra occasione da Ankara, che per ora non sembra prossima. Dal canto nostro ci valiamo di tutte le occasioni possibili, come spero che il presente invio per corriere potrà dimostrare, ma le occasioni non sono né frequenti né facili. Data la situazione vorrei pregare cotesto R. ministero di cercare anche dal canto suo ogni possibile mezzo per inviarci il corriere in partenza da Roma, per altra via che non sia quella di Ankara, che, sinché le circostanze non cambino, deve essere considerata sospesa. Gli americani e gli inglesi, che hanno frequenti mezzi aerei tra Bari e Sofia, o tra O!serta e Sofia, potrebbero facilmente risolvere tale problema, e mi permetto di suggerire passi a tale scopo, sempre che giudicati opportuni.

Tornando alla questione della rappresentanza bulgara in Roma, questo ministro degli Affari Esteri -trascurando se si vuole le cause, e considerando solo gli effetti -mi ripete ogni volta che ne parliamo, che la sua sola difficoltà è che gli Alleati gli negano il visto per il ministro ed il personale che vorrebbe mandare. In recente conversazione è giunto a dirmi che se conoscesse che vi sia in Italia persona bulgara, professionista od altro, con un minimo di qualità necessarie, non esiterebbe ad affidargli l'incarico provvisorio di reggere la legazione, e rappresentare il governo bulgaro costì. Ma non conosce che vi sia tale persona e mi ha pregato di fargli avere se possibile informazioni in argomento. Mi sembra che tale idea debba se possibile essere, data la situazione attuale, incoraggiata, e prego cotesto R. ministero di valeria considerare, informandomi se esistono attualmente in Italia persone bulgare i cui nomi potremmo eventualmente suggerire.

1 T. 2900/102 del 26 maggio, non pubblicato.

289

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5140/249. Mosca, 26 giugno 1945 1 (per. ore 18,30 del 28).

Questo ambasciatore di Cina, al quale avevo parlato a titolo personale argomento di cui a telegramma di V. E. n. 1952 , mi aveva chiesto a quali condizioni Italia sarebbe intervenuta guerra contro Giappone. Gli dissi, sempre a titolo personale, che presumibilmente noi desideravamo in primo luogo potervi partecipare chiaramente come alleati e con forze militari e navali aventi individualità propria. Fu Ping-Chang mi ha comunicato ieri di aver riferito a Chang Kai-Shek nostra conversazione e che questi gli aveva dato istruzioni comunicare per mio tramite a governo italiano che governo cinese essendo interessato per ragioni facilmente comprensibili a che maggior numero potenze partecipi guerra contro Giappone, è pronto fare tutto quanto è suo potere presso Inghilterra e Stati Uniti perché desiderata Italia siano accettati.

290

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5159-5139-5136/223-224-225-226. Washington, 26 giugno 1945 3 (per. ore 19,30 del 28).

Telegramma di V. E. 193 e miei 217 e 1874 .

Oggi mio colloquio con Phillips si è iniziato con la seguente dichiarazione che ripeto testualmente: «Governo americano è di parere che una dichiarazione di guerra al Giappone migliorerebbe situazione politica e giuridica dell'Italia nell'attuale momento e rispetto al prossimo convegno a tre e rispetto alle Nazioni Unite».

A mia richiesta, mi ha autorizzato riferire quanto precede a V. E. Per quanto riguarda mancata comunicazione britannica a Roma, Phillips, nel ripetermi che Londra aveva fatto conoscere suo nulla osta, mi ha domandato se Carandini avesse chiesto ufficialmente assenso governo inglese. Ho risposto ignorarlo.

Phillips mi ha detto di non aver potuto ancora accertare alcunché di preciso circa interpretazione da dare alla comunicazione fatta da Cadogan a Carandini 5 .

I Inviato il 27 giugno, ore 13. 2 Vedi D. 235. 3 Inviato il 27 giugno. 4 Vedi DD. 284, 287 e 267. 5 Vedi D. 283.

Poteva però oggi assicurarmi, in seguito preoccupazioni da me manifestategli ed a mie sollecitazioni di ieri, «che gli U.S.A. non avrebbero mai apposto la propria firma ad un trattato che fosse ingiusto ed oppressivo contro l'Italia [e che egli] avrebbe, a cominciare dalla conferenza dei tre, fatto tutto il possibile perché un tale proposito non avesse a prevalere, se eventualmente fosse stato portato in discussione».

A titolo personale e riservandosi darmene conferma ufficiale in giornata, desiderava inoltre informarmi essere intenzione U.S.A. sostenere che l'Italia non dovesse essere messa di fronte ad un Diktat ma dovesse essere consultata sul trattato di pace definitivo. Al riguardo infatti Phillips mi ha più tardi dettato per telefono la seguente comunicazione, che costituisce evidente[mente] posizione ufficiale Dipartimento di Stato: «Contiamo (it is our expectation) che, prima che un trattato di pace con l'Italia sia [stipulato] in modo definitivo, sia data al governo italiano piena opportunità discuterlo e presentare sue osservazioni».

Nel nostro colloquio odierno inoltre, a mie precise domande Phillips ha risposto:

l) nell'incontro a tre non dovrebbero discutersi particolari, ma tracciare eventualmente grandi linee pace con l'Italia rinviando il resto a più tardi;

2) egli non poteva comunicarmi quali fossero punti di vista Stati Uniti America su tali grandi linee non essendovi ancora progetto definitivo americano che, quando ultimato, avrebbe comunque dovuto essere approvato dal presidente.

Rivedrò nuovamente Phillips prima sua partenza da Washington che, a sua richiesta, avverrà, a quanto egli mi ha detto, probabilmente sabato prossimo quando Dunn sarà tornato da San Francisco.

Ho consegnato a Phillips nota verbale in cui ho esposto tutti gli argomenti comunicatimi coi telegrammi di V. E. 185, 190 e 167 1 che ho inoltre illustrati verbalmente. Ho particolarmente insistito su gravi conseguenze attuali e future deprecata decisione che zona !stria a popolazione italiana rimarrebbe sotto occupazione jugoslava deludendo anche legittime aspettative italiane conformità ad articoli l o e 3° accordo Belgrado del 9 corrente.

Phillips mi ha risposto che non aveva ancora modo fo!lllarsi idea concreta della situazione derivante da accordo Alexander-Tito non essendo ancora pervenuta al Dipartimento di Stato attesa carta geografica con tracciata linea demarcazione mentre telegrammi ricevuti davano solo notizie frammentarie. Ha però ricordato nuovamente che tutta la questione Venezia Giulia dopo azione unilaterale jugoslava era gravissimamente, quasi disperatamente compromessa e che in seguito atteggiamento deciso U.S.A. era stato possibile rimediarvi sia pure in parte. Ha aggiunto che non si tratta di soluzione definitiva ma di un temporaneo compromesso che potrebbe essere anche migliorato. Al che gli ho rinnovato legittime apprensioni del governo e opinione pubblica italiana.

Vedi DD. 278, 281 e 263.

291

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

L. 4001/240/Ec. Roma, 26 giugno 1945.

On 25th May 1 I wrote to your predecessor drawing his attention to paragraph 3 of the aide-memoire left with him on 24th February by Mr. Macmillan and myself2. This paragraph required that the Italian Govemment keep the Allied Commission informed of any negotiations in which it might engage with other govemments and suggested that a periodic summary be fumished of all negotiations completed and pending with other govemments.

In reply I receive a letter from the Minister of Foreign Affairs (reference 3/685 dated 30th April) 3 which stated that all discussions of an economie character pass directly through the Allied Commission Sub-Commission concemed and Allied Commission was thus perfectly well informed. In addition it was stated that negotiations of a politica! character are published in the official communiques and newspapers at the time they are completed.

On 11th June 4 I wrote to Signor Bono mi explaining that this summary handling of the situation was not satisfactory and asking for his acknowledgment that the Italian Govemment fully understood their obligation in this matter. Signor Bonomi in his reply n. 335 dated 18 June 1945 5 told me that he accepted the obligation of the Italian Govemment to keep the Allied Commission continuously and directly informed of all negotiation, either concluded or pending, and further that this information be passed on directly to this Office.

I shall be grateful if I can receive your assurance that this procedure will be adopted by the new Govemment 6 .

292

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5138-5187/227-228. Washington, 28 giugno 1945, ore 19,29 (per. ore 9,30 del 30).

Seguito telegrammi 220, 225 e 2267 .

l Vedi D. 218. 2 Vedi D. 68. 3 Vedi D. 158. 4 Vedi D. 218, nota l p. 299. s Vedi D. 272. 6 Vedi D. 451. 7 Vedi DD. 287 e 290.

Da sondaggio presso questi ambienti britannici (per quanto possano essere solo parzialmente informati), si sono potuti desumere elementi di cui appresso circa possibile intendimento Foreign Office nei riguardi pace con l'Italia.

l) Non si riterrebbe qui che progetto britannico pace a causa continu[i mutamenti] sia ultimato (infatti mi consta che qui non è ancora pervenuto). Probabilmente vi sarebbero tuttora a Londra incertezze circa soluzione alcune questioni territoriali e coloniali nonché clausole finanziarie ed altri punti. Prima che schema definitivo trattato possa essere sottoposto Washington esso dovrà essere approvato oltre che da gabinetto britannico, da Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda; Canadà avrebbe invece comunicato in occasione precedente consultazione imperiale proprio disinteressamento.

2) Circa questioni territorio metropolitano italiano esse potrebbero limitarsi -a quanto almeno riterrebbero detti ambienti -a fissazione nuovi confini italo-jugoslavi. Nessuna comunicazione da Foreign Office sarebbe finora pervenuta circa Alto Adige (ciò che induceva interlocutori ritenere improbabili serie modificazioni territoriali a nostro danno in quel settore). Si tenderebbe considerare del tutto irrilevanti note pretese francesi. Si escluderebbe che Inghilterra accampi pretese su Pantelleria o altre isole italiane per le quali si chiederebbe soltanto totale smobilitazione.

3Y Circa questioni coloniali sarebbe finora acquisita soltanto decisione Londra per: a) cessione Dodecanneso alla Grecia; b) esecuzione impegno pubblicamente assunto coi Senussi nel 1940. Al riguardo si sarebbe pensato in un primo tempo a trusteeship egiziano per soddisfare anche desiderio Cairo. Senussi si opporrebbero sicéhé si pensa trusteeship britannico data pregiudiziale che Senussi non debbono tornare sotto tutela italiana. (Non è stato finora possibile accertare estensione zona Cirenaica da sottoporre trusteeship salvo che essa andrebbe dal confine Sudan al mare).

4) Questione generale colonie, sulla quale ho già riferito in precedenza telegraficamente, è stato incidentalmente accennato che del resto Italia date sue difficoltà finanziarie non avrebbe da far valere che considerazioni di prestigio (rilevo quanto precede atitolo di eventuale indicazione per tempestivamente controbattere).

5) Data pratica impossibilità prendere a brevissima scadenza decisioni definitive circa soluzione gravi questioni suindicate (forse anche nel timore di non poter fare accettare da U.S.A. alcuni punti di vista), sarebbe andata prevalendo al Foreign Office tendenza a fare pace con l'Italia in due tempi.

6) Data mentalità anglosassone che considera profondamente ingiusto far attendere ancora a lungo «paziente in attesa operazione chirurgica» (sic) si temerebbe a Londra che detta preferita soluzione possa essere considerata particolarmente dura e [inopportuna] dall'Italia e dal governo U.S.A. Effettivamentè in linea di principio non si transigerebbe su sottigliezze e mezzi termini di una pace che non risolva tutte le questioni sul tappeto.

7) Si temerebbe anche a Londra che pace provvisoria e parziale con l'Italia, data situazione economica mondiale, non possa migliorare condizioni economiche, trasporti, rifornimenti materie prime ecc. dell'Italia con conseguente reazione anti-inglese nostra opinione pubblica.

8) Si afferma inoltre non conoscere esattamente se e quali questioni italiane debbono essere decise nelle grandi linee dai tre nel prossimo convegno. Data avvenuta approvazione mia risposta trusteeship si potrebbe decidere circa sorte colonie italiane ciò che (vedasi anche mio telegramma n. 178) 1 non sarebbe bene accetto Foreign Office.

9) Al Foreign Office si riterrebbe che quando sarà giunto momento pace, una volta comunicato schema anglo-americano, subito dopo o anche contemporaneamente presentazione schema agli Stati rappresentati consiglio consultivo per l'Italia, esso verrebbe sottoposto nostro governo con invito inviare propri rappresentanti conferenza pace. Questa potrebbe aver luogo Londra o Washington.

Per intuibili motivi prego V.E. voler considerare che trapelazione provenienza predette notizie potrebbe provocare spiacevoli conseguenze.

293

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5160/233. Washington, 28 giugno 1945. ore 1,41 (per. ore 19,30).

Telegrammi di V.E. 190 e 193 e miei telegrammi 225 e 228 2 . Sulla base comunicazioni fattemi da Phillips ed informazioni raccolte permettomi sottoporre a V.E. seguenti considerazioni:

l) Convegno dei Tre a quanto almeno ho appreso al Dipartimento di Stato dovrebbe decidere su conclusione pace con l'Italia ed in caso affermativo su linea generale questioni più importanti.

2) Non conosco ancora esattamente che cosa Stati Uniti intendano per trattato «ingiusto ed oppressivo» (mio telegramma 225), richiamo comunque quanto comunicato con mio telegramma 1771 . Ripeto inoltre che qui [fare pace] in due tempi sarebbe in massima considerato come molto duro ed inopportuno.

3) Secondo questi ambienti britannici Foreign Office, almeno fino tempi recentissimi, preferiva invece fare pace con l'Italia in due tempi. Il che coinciderebbe con il punto di vista espresso -in via subordinata -nel telegramma di V.E. 190.

Se pertanto ciò fosse confermato sarebbe opportuno lasciare al governo inglese iniziativa in materia anziché facilitarla.

Poiché finora almeno punti di vista americani non sarebbero ancora cristallizzati su questioni più importanti, ed in relazione anche colloqui che potrò avere nei prossimi giorni, pregherei V.E. volermi telegrafare d'urgenza eventuali suggerimenti su questioni per noi vitali che, nei limiti di quanto mi è possibile, cercherei far prendere in considerazione qui, presentandoli -ove ritenuto preferibile -a titolo personale.

I Vedi D. 258. 2 Vedi DD. 281, 284, 290 e 292.

294

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI DEGLI STATI UNITI, KIRK, E DELL'U.R.S.S., KOSTYLEV, AI RAPPRESENTANTI DI FRANCIA, COUVE DE MURVILLE, E DI GRAN BRETAGNA, CHARLES 1

L. 3/1057le. Roma, 28 giugno 1945.

Ho l'onore di trasmetterle l'accluso memorandum che riassume il nostro pensiero circa la partecipazione italiana agli atti relativi alla resa incondizionata della Germania.

Mi permetto attirare la sua particolare attenzione su tale questione che è per noi di molta importanza, sia in considerazione della necessità di definire giuridicamente la situazione dell'Italia come Potenza partecipante alla guerra contro la Germania, sia di provvedere in qualche modo alla tutela degli interessi e dei cittadini italiani in territorio tedesco.

È superfluo sottolineare che, dopo pressoché due anni di cooperazione militare italiana nella guerra contro i tedeschi, le nostre richieste hanno un fondamento di equità che sembra evidente e sono d'altra parte intese a regolare una situazione di diritto e di fatto che non potrebbe essere, senza vantaggio per alcuno ma con nostro grave pregiudizio, ulteriormente lasciata nello stato attuale.

Le sarò vivamente grato se ella vorrà prospettare la questione al suo governo con cortese sollecitudine.

ALLEGATO

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE RAPPRESENTANZE A ROMA DI STATI UNITI, U.R.S.S., GRAN BRETAGNA E FRANCIA

MEMORANDUM 2 Roma, 28 giugno 1945

Con lettera 12 settembre 1944 del sottosegretario di Stato marchese Visconti Venosta, diretta agli ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna a Roma3 , il governo italiano poneva la questione della partecipazione dell'Italia all'armistizio che si prevedeva sarebbe stato imposto alla Germania.

In seguito all'atto di resa incondizionata della Germania, firmato il 7 maggio 1945 dai rappresentanti del Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate e dell'Alto Comando sovietico da una parte e dell'alto Comando tedesco dall'altra, con lettera 12 maggio 19454 il segretario generale del ministero degli Affari Esteri, richiamandosi alla precedente lettera del marchese Visconti Venosta del 12 settembre 1944, ritornava sulla questione, facendo presente

1 Ed. in inglese in Foreign Relations of the United Sta t es, 1945, vol. III, European Advisory Commission; Austria; Germany, Washington, United States Government Printing Office, 1968, pp. 348-351. 2 Il memorandum fu preparato in base a due appunti di Perassi del 14 e 21 giugno. Ne esistono

due minute. con correzioni di Prunas e di Perassi.

3 Vedi serie decima, vol. I, D. 400.

4 Vedi D. 189.

che se gli atti militari di resa fossero stati seguiti da altri atti precisanti le condizioni della resa e dell'armistizio essi avrebbero dovuto essere stipulati anche a nome e nell'interesse dell'Italia, essendo cobelligerante contro la Germania.

Con note verbali sostanzialmente identiche in data 26 e 29 maggio 1945 1 le ambasciate americana e britannica, riferendosi alla richiesta fatta nella lettera del marchese Visconti Venosta che l'Italia fosse messa in condizione di partecipare all'armistizio che sarebbe stato imposto alla Germania dalle Nazioni Unite, comunicavano che tale richiesta è stata esaminata dai rispettivi governi e che, in conseguenza, il governo italiano viene invitato a sottoporre in forma non ufficiale le sue vedute, nei riguardi degli accordi relativi alla resa della Germania, ai rappresentanti in Roma degli Stati Uniti, del Regno Unito, dell'U.R.S.S. e del governo francese per esame ed eventuale sottoposizione alla Commissione Consultiva europea. Le due note aggiungevano che è inteso, naturalmente, che i governi alleati non accettano preventivamente qualsiasi impegno per quanto concerne la possibilità di dare effetto alle vedute del governo italiano.

Il ministero degli Affari Esteri, riferendosi all'invito che gli è stato rivolto, espone quanto segue:

l. L'atto di resa incondizionata della Germania, firmato il 7 maggio 1945 a Reims c confermato a Berlino 1'8 maggio 1945, è il solo avente la forma di atto stipulato dai Comandi Supremi alleati coi rappresentanti della Germania. In seguito all'effettiva occupazione di tutto il territorio germanico, il 5 giugno 1945 venivano ufficialmente pubblicati alcuni atti concernenti la Germania, e precisamente:

a) una dichiarazione concernente la disfatta della Germania e l'assunzione della suprema autorità rispetto alla Germania da parte dei governi degli Stati Uniti d'America, dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del Regno Unito e del governo provvisorio della Repubblica francese. In essa, premesso che non v'è governo o autorità centrale in Germania in grado di assumere la responsabilità per il mantenimento dell'ordine, per l'amministrazione del paese e l'adempimento delle richieste delle Potenze vincitrici, i rappresentanti del Comando Supremo delle quattro Potenze dichiarano che i governi di queste Potenze assumono l'autorità suprema in Germania, compresi tutti i poteri posseduti dal governo tedesco, dall'Alto Comando e da qualunque governo o autorità statale, municipale o locale, e che l'assunzione, per gli scopi enunciati, della detta autorità e dei poteri non comporta l'annessione della Germania. Nella dichiarazione sono formulate le richieste alle quali la Gern1ania deve adempiere in seguito alla completa disfatta ed alla resa incondizionata;

b) una dichiarazione dei governi degli Stati Uniti d'America, dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del Regno Unito e del governo provvisorio della Repubblica francese concernente le zone di occupazione in Germania nei confini esistenti al 31 dicembre 1937;

c) una dichiarazione dei governi degli Stati Uniti d'America, dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del Regno Unito e del governo provvisorio della Repubblica francese concernente il meccanismo del controllo in Germania. In essa è dichiarato che nel periodo in cui la Germania sta adempiendo alle richieste fondamentali della resa incondizionata l'autorità suprema in Germania sarà esercitata, su istruzioni dei rispettivi governi, dai comandanti in capo americano, sovietico, britannico e francese, ognuno nella propria zona e congiuntamente nelle questioni riguardanti la Germania nel suo insieme. I quattro comandanti in capo costituiscono il Consiglio di Controllo, le cui decisioni dovranno essere prese all'unanimità. Sotto il Consiglio di Controllo sarà istituita una Commissione permanente di Coordinamento, composta di un rappresentante per ciascuno dei comandanti in capo, ed un ufficio esecutivo, ripartito in diverse sezioni. Il collegamento con gli altri governi di Nazioni Unite principalmente interessati sarà stabilito per mezzo della nomina da parte di tali governi di missioni militari, che possono comprendere membri civili presso il Consiglio di Controllo. È infine dichiarato che le precedenti disposizioni saranno applicate durante il periodo di occupazione successivo alla resa tedesca, quando la Germania starà adempiendo alle richieste fondamentali della resa incondizionata, e che le disposizioni per il periodo successivo formeranno oggetto di un accordo separato;

Vedi D. 219.

d) una dichiarazione dei governi degli Stati Uniti d'America, dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, del Regno Unito e del governo provvisorio della Repubblica francese relativa alla consultazione coi governi di altre Nazioni Unite.

2. Il governo italiano, agli effetti di esporre, a seguito dell'invito che gli è stato rivolto, le sue vedute per quanto concerne la posizione dell'Italia nei riguardi degli accordi relativi alla resa della Germania, stima di dover necessariamente assumere, come punto di partenza, la situazione della Germania quale risulta dagli atti sopra ricordati.

Il primo punto che, nell'opinione del governo italiano, richiede di essere considerato deriva dal fatto che l'Italia non ha direttamente partecipato all'atto di resa incondizionata della Germania, come era stato prospettato nella lettera del marchese Visconti Venosta del 12 settembre 1944. Anche altri Stati, che si trovano in stato di guerra con la Germania, non hanno direttamente partecipato al detto atto, ma essi sono compresi fra le Nazioni Unite in nome delle quali il Comando Supremo alleato ha accettato e firmato l'atto di resa della Germania. L'Italia, non essendo una delle Nazioni Unite, si è venuta a trovare in una situazione, che agli effetti giuridici dovrebbe essere regolarizzata.

A questo riguardo il governo italiano, riferendosi alla dichiarazione del 5 giugno 1945, secondo la quale i governi delle quattro Potenze occupanti, in assenza di un governo centrale germanico, hanno temporaneamente assunto l'esercizio della «suprema autorità in Germania», esprime il desiderio che i detti governi vogliano riconoscere, in debita forma, che gli atti relativi alla resa incondizionata della Germania sono valevoli anche nei confronti dell'Italia, quale Potenza cobelligerante avente partecipato attivamente alle operazioni militari contro la Germania. La domanda di tale riconoscimento è giustificata non soltanto dalla necessità di definire giuridicamente la situazione dell'Italia come Potenza partecipante alla guerra contro la Germania, ma anche dall'importanza particolare degli interessi italiani in Germania e dalla necessità di tutelarli.

La posizione dell'Italia come risulterebbe da tale riconoscimento sia nei riguardi della Germania sia nei rapporti coi governi delle quattro Potenze occupanti, dovrebbe poi comportare, secondo l'avviso del governo italiano, le seguenti conseguenze:

a) la estensione ai prigionieri di guerra e internati italiani in Germania delle condizioni imposte alla Germania per quanto concerne i prigionieri di guerra e i cittadini delle Nazioni Unite internati nel Reich;

b) la estensione a favore delle navi italiane, che alla data del 5 giugno 1945 si trovavano a disposizione della Germania o sotto il controllo germanico, delle disposizion~ adottate per le navi delle Nazioni Unite che alla data suindicata si trovavano nelle stesse condizioni, salvo ulteriori accordi col governo italiano;

c) la estensione ai cittadini, ai beni e agli interessi italiani in Germania, per il periodo dell'occupazione alleata, della stessa protezione e degli stessi trattamenti in diritto e in fatto riservati ai cittadini, ai beni e agli interessi delle Nazioni Unite:

d) la facoltà del governo italiano di nominare una sua missione presso il Consiglio interalleato di controllo in Germania, come è riconosciuta agli «altri governi di Nazioni Unite principalmente interessati» dal paragrafo 5 della dichiarazione del 5 giugno 1945, relativa al meccanismo del controllo in Germania. La missione italiana presso il Consiglio di Controllo avrebbe specialmente il compito di costituire un collegamento fra il governo italiano e il Consiglio di Controllo per le questioni relative agli interessi italiani in Germania (interessi patrimoniali dello Stato e dei cittadini italiani) e per la tutela dei cittadini italiani che si trovano in territorio germanico;

e) la presa in considerazione anche del governo italiano agli effetti della dichiarazione con la quale i governi delle quattro Potenze hanno annunciato la loro intenzione di consultarsi con altri governi per quanto concerne l'esercizio dell'autorità suprema da essi assunta in Germania.

Il governo italiano, esponendo le sue vedute per quanto concerne la posizione dell'Italia nei riguardi dello stato attuale della Germania, fa riserva per le sue domande di riparazione a carico della Germania da presentarsi in sede di negoziati di pace, ai quali ritiene necessaria la sua partecipazione come Potenza che ha preso parte, con le Nazioni alleate, alla guerra contro la Germania.

Il R. ministero degli Affari Esteri prega l'ambasciata degli Stati Uniti d'America (di Gran Bretagna di Francia dell'U.R.S.S.) di voler cortesemente portare a conoscenza del suo governo quanto precede, ed esprime la fiducia che il governo americano (inglese dell'U.R.S.S. francese), come i governi delle altre Potenze occupanti il territorio germanico, vorrà prendere in sollecita e benevola considerazione i desiderata del governo italiano con quello spirito di amichevole comprensione che soltanto può assicurare la effettiva pacificazione europea 1 .

295

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3810/211. Roma, 29 giugno 1945, ore 20.

Dichiarazione programmatica governo, dopo aver affermato che ordine e serietà nostro lavoro sono la condizione necessaria per ottenere aiuto e solidarietà degli Alleati, offre ancora una volta alle Nazioni Unite sua leale collaborazione alla comune opera di ricostruzione pacifica e democratica del mondo. Dichiarazione continua quindi testualmente: «Governo sollecita perciò coi suoi voti fine regime armistiziale e conclusione della pace. Italia non può non essere elemento vitale per Europa di domani e ritiene poter legittimamente aspirare a riprendere il suo posto fra le libere Nazioni Unite».

Ella potrà avvalersi di quanto precede in relazione al mio telegramma n. 165 2 e alla indiretta richiesta fattale a suo tempo da sottosegretario aggiunto Dunn (suo 172)3 circa opportunità che governo rinnovi ufficialmente suo desiderio sollecitare conclusione pace4. ·

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3831/212. Roma, 29 giugno 1945, ore 20.

Suoi 217 e 2185.

Sino ad oggi 28 corrente6 nessuna comunicazione ufficiale ci è stata fatta da parte britannica. Cadogan parlandone giorni fa con Carandini si è limitato dirgli

1 Couve de Mourville accusò ricevuta con L. 614 del 30 giugno, Hopkinson con L. 336/27/45 del 4 luglio e Kostylev con lettera del 18 luglio.

2 Vedi D. 260.

3 Vedi D. 260, nota l.

4 Il telegramma venne inviato anche a Londra (T. s.n.d. 3810/266) con la seguente istruzione: «Ella potrà anche da parte sua attirare l'attenzione del Foreign Office sul testo soprascritto». Analogo telegramma venne inviato a Mosca il 30 giugno (T. s.n.d. 3852/259).

5 Vedi D. 287.

6 Evidentemente il telegramma fu redatto il 28 giugno.

non ritenere che iniziativa potesse particolarmente giovarci e avrebbe anzi potuto costituire inutile dispersione di energie in momenti in cui dovevamo concentrarle tutte all'interno, per la nostra ricostruzione. Ma che, insomma, se volevamo proprio attuarla, facessimo pure. Nessuna allusione egli ha fatto ad intese in proposito con l'America, che forse ignorava. Allo stato degli atti preferirei dunque attendere ancora conoscere sia risultato accertamenti disposti in proposito da Phillips, sia una qualche più precisa ed ufficiale indicazione britannica. Tengo comunque presente imminenza suo colloquio Truman.

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3832/213 1 . Roma, 29 giugno 1945, ore 24.

Suo 220 2 .

Ambasciatore Carandini, dopo ulteriore colloquio con Cadogan, chiarisce che preoccupazioni già espressegli erano soltanto di carattere generico; che nessuna discussione ha avuto finora luogo fra Washington e Londra a proposito pace con l'Italia e quindi sulle questioni conseguenti e connesse; che non sarebbe pertanto esatto che da parte nord-americana si sia già avuto occasione di esporre tesi e affacciare eventuali soluzioni più benevole di quelle inglesi, appunto perché ogni cosa sarebbe tuttora in gestazione e scambio concreti punti di vista fra le due parti non ancora avviato.

Tenga presente che quest'ultimo argomento circa presunto atteggiamento britannico più rigido di quello nord-americano suscita sempre una qualche irritazione al Foreign Office. Ed è dunque un tasto che va toccato, ma con opportuna prudenza e soltanto per incitare codesto governo ad attuare una politica italiana più attiva e a più attivamente sostenerla.

Da tutte le indicazioni in nostro possesso risulta comunque in modo certo che modifica cobelligeranza in stato di pace è allo studio, e, a quanto pare imminente. Risulta altresì che Londra e Washington preparano progetti e proposte ciascuno per conto proprio che scambieranno e discuteranno per poi eventualmente sottoporli ad altre Potenze interessate. Ora, piuttosto che mantenere un atteggiamento passivo di attesa di quelle qualunque soluzioni che ci verranno imposte, è in questo periodo, a mio giudizio, indispensabile attivamente agire da parte nostra per far sì che quelle soluzioni siano le migliori possibili e cioè tengano il massimo conto del punto di vista italiano.

l Inviato, per conoscenza, a Londra (T. s.n.d. 3832/228). 2 Vedi D. 287.

Le ho già prospettato nel mio telegramma n. 192 1 la questione preliminare della pace provvisoria (con riserva cioè dei punti più controversi) e della pace definitiva. Ripeto qui che mi par chiaro che un rinvio indefinito è assurdo, un lungo rinvio non desiderabile. Ma non vorremmo si corresse all'eccesso opposto e si volesse cioè imbastire in qualche giorno una pace sommaria, e, cioè, fuolto probabilmente, ancora impregnata di vendetta, perché non sufficientemente staccata dagli avvenimenti e dai sentimenti di guerra. Preferiremmo in questo caso la pace provvisoria che lasciasse impregiudicate le questioni più controverse, dandoci intanto subito possibilità e modo di reinserirci fra le Nazioni Unite e di rimontare la corrente. Questo ragionamento naturalmente cadrebbe se questa immediata pace definitiva dovesse invece essere senz'altro concepita e attuata in termini di giustizia.

Mi riservo comunque, nei prossimi giorni, di esporle il nostro pensiero e atteggiamento sui singoli problemi che più ci interessano in vista di ogni sua possibile azione nel senso anzidetto e del suo prossimo probabile colloquio con Truman.

298

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 2939/2389. Londra, 29 giugno 1945 (per. il 17 luglio).

Telespresso di codesto R. ministero n. 21 /06616/c. A.P. Uff. VI del 5 maggio

u.s. 2 .

Per poter valutare quali siano gli orientamenti britannici nei confronti della questione coloniale conviene innanzi tutto tener presente il prezioso contributo fornito dall'Impero nella lotta contro la Germania. Tutti i territori infatti del Commonwealth si sono fin dal primo istante automaticamente schierati a fianco della Gran Bretagna la quale, anche nelle ore più critiche, quando era sola ad affrontare tutto il peso della potenza militare tedesca, ha potuto sempre fare assegnamento sulle sue risorse imperiali.

La guerra inoltre ha rafforzato la convinzione nel popolo inglese che, come per il passato, la Gran Bretagna potrà sempre tener testa e sconfiggere qualsiasi potenza continentale manovrando attraverso le linee esterne che le sono garantite dai suoi possedimenti di oltre mare. Così i vincoli che legano il Commonwealth si sono andati sempre più stringendo e mentre prima della guerra non poche voci si elevavano a criticare e denigrare il vigente sistema coloniale, oggi invece gli ambienti responsabili, la stampa e l'opinione pubblica di ogni colore politico sono concordi nel riconoscere la necessità di conservare e consolidare il vasto e complesso organi-

I Vedi D. "283.

2 Non pubblicato: notizie della stampa internazionale circa la sistemazione di colonie c mandati nel dopoguerra.

401 smo imperiale. Lo spostamento inoltre nell'equilibrio fra le grandi potenze avvenuto in seguito alla sconfitta tedesca spinge la Gran Bretagna a rafforzare vieppiù i legami morali e materiali con il suo Impero e a dover riconoscere che soltanto disponendo di questo potente strumento potrà essere garantita la sua posizione ed il suo prestigio nel mondo ed ascoltata la sua voce nei consessi internazionali.

In secondo luogo l'avvenire economico della Gran Bretagna dipenderà in massima parte dalla possibilità di trovare uno sbocco per le sue esportazioni, dato che soltanto così potrà essere assicurato lavoro alle maestranze inglesi e il mantenimento dell'alto livello di vita da essi preteso (è di pochi giorni or sono il grido di allarme dell'influente ministro della Produzione, signor O. Lyttelton, secondo cui senza importazioni questo paese non sarebbe in grado di mantenere che 15 milioni di abitanti (vedi Times 5 giugno u.s.). I mercati coloniali dovranno essere quindi mantenuti ed incoraggiati come pure i traffici con i Domini.

L'Inghilterra quindi per ragioni politiche, strategiche ed economiche, dovrà fare sempre più affidamento sul suo Impero e la sua politica sarà determinata da concetti realistici e tradizionali. Come il signor Churchill ebbe a dichiarare qualche tempo fa, interpretando ancora una volta i sentimenti della massa dei suoi connazionali: « What we have we w ili hold». Ciò però non significa che la Gran Bretagna intenda praticare una politica passiva e gretta nel campo coloniale e nei suoi rapporti con i Domini; al contrario oggi più che mai viene riconosciuta la necessità di aiutare e incoraggiare lo sviluppo del benessere morale e materiale dei territori dipendenti, fornendo loro la possibilità di progredire sempre più rapidamente sia nel campo politico come in quello economico.

Prova di questo aumentato interesse nelle questioni coloniali è fornita dal Colonia! Development and Welfare Bill, mediante il quale nel febbraio u.s. il governo

. ha stanziato la somma di Lst. 120 milioni per «lo sviluppo economico ed il benessere sociale delle colonie, protettorati e mandati». Tale somma, che supera notevolmente tutte quelle precedentemente destinate a tale scopo (la più alta fu di 5 milioni annui stabilita nel 1940), dovrà essere ripartita in dieci anni a cominciare dal lo aprile 1946. Il governo si è inoltre preoccupato di assicurare che le sue decisioni non rimangano nel campo teorico, come è avvenuto altre volte in passato, ed ha perciò creato presso il ministero delle Colonie un apposito ufficio con l'incarico di esaminare la situazione economica di ciascun possedimento consigliando quindi il governo circa la migliore ripartizione dei fondi a disposizione. Non è stata esclusa la possibilità che vengano in seguito costituiti altri enti e commissioni allo scopo di coadiuvare il Colonia! Office nel suo compito di incrementare le risorse dei territori dipendenti avviandoli, attraverso lo sviluppo economico ed un conseguente più alto tenore di vita e di educazione, ad acquistare una sempre maggiore maturità ed autonomia politica.

Tale infatti appare essere la meta generale che si prefigge il governo britannico e se ne può osservare l'applicazione nel caso della Birmania, a cui è stata promessa la concessione del self-government non appena le sue condizioni generali lo permetteranno: nel caso dell'India, dove viene fatto ogni sforzo per raggiungere un accordo che dia a quel paese lo status di Dominio; nel caso infine delle colonie delle Indie occidentali, per cui è stata suggerita la costituzione di un governo a carattere federale che raggruppi gli otto possedimenti in una sola unità politica ed economica. Il governo di Londra mira così, basandosi sulla sua lunga esperienza passata, a fare gradatamente raggiungere a tutti i suoi possedimenti coloniali l'autonomia politica ed a farli entrare a far parte della famiglia del Commonwealth.

Ma se da un lato la Gran Bretagna preferirebbe forse proseguire in questo suo delicato e paziente compito indisturbata a determinare i suoi rapporti coloniali ed imperiali, tuttavia essa non può sottrarsi a nuovi doveri verso i propri alleati, né misconoscere soprattutto l'importanza e la opportunità di raggiungere ed applicare una comune linea di condotta nei confronti delle questioni internazionali. Essa cercherà quindi di limitare per quanto possibile la discussione dei problemi coloniali a questioni generali e di principio, evitando di assumere impegni categorici che potrebbero compromettere gli scopi che essa si prefigge per proprio conto. Così è da osservare che mentre sembra che nell'incontro di Yalta siano stati trattati problemi coloniali, tuttavia il comunicato non ne ha fatto parola e così pure le discussioni che dovevano tenersi prima della conferenza di San Francisco tra i rappresentanti delle Grandi Potenze non hanno avuto luogo per ragioni imprecisate, ma certo con non soverchio dispiacere di questo governo. ·

Anche a San Francisco la Gran Bretagna ha mostrato di restare fedele ai suoi concetti tradizionali: ed alla formula promettente l' «indipendenza» ai territori coloniali, avanzata dal governo sovietico, essa ha opposto quella meno impegnativa del self-government. Soltanto dopo laboriose e prolungate discussioni è stata decisa una definizione di compromesso che in sostanza lascia impregiudicata la tesi britannica. È infatti stato stabilito che il nuovo sistema di trusteeship ha lo scopo di conferire ai territori amministrati «l'indipendenza, oppure il self-government, a seconda delle diverse condizioni di ciascun territorio e dei suoi abitanti» (art. 76b dello statuto di San Francisco). Inoltre, secondo l'articolo 77 del citato statuto, che elenca i territori a cui potrebbe essere applicato il sistema del trusteeship, sarà oggetto di successivo accordo lo stabilire quali dei territori compresi nelle categorie di cui sopra verranno posti sotto il regime del trusteeship ed a quali condizioni. Resta quindi in definitiva in mano alle singole potenze la massima libertà di azione e decisione.

Per quanto riguarda le nostre colonie viene mantenuto in questi ambienti responsabili un atteggiamento di massimo riserbo che non permette di avanzare sicure previsioni: non è stato infatti ancora possibile di controllare quanto riferito in proposito dalla R. ambasciata in Washington (telegramma di V.E. 9 giugno u.s.

n. 3194) 1• Tale riserbo, a parte la necessità di tener dietro a più pressanti questioni, è probabilmente dovuto al principio accettato e per quanto possibile seguito, che nessuna decisione di carattere territoriale deve essere presa prima della Conferenza della pace. Questo governo crede infatti sinceramente alla opportunità di attendere che sia meglio delineata e chiarita la situazione generale in Europa, che porterà anche ad una migliore definizione dei rapporti fra gli stessi alleati e contribuirà quindi a creare quella desiderata atmosfera di fiducia da cui siamo oggi ancora troppo lontani. Dato del resto il temperamento inglese, così alieno dal prendere decisioni innanzi tempo, è perfettamente verosimile che il destino dei nostri possedimenti coloniali non sia stato ancora fissato, nemmeno ipoteticamente, tanto

I Non·pubblicato: notizie confidenziali raccolte dall'ambasciatore a Washington circa un progetto britannico per la sistemazione delle colonie italiane.

più che esso dovrebbe comunque essere discusso fra gli alleati; ed è quindi anche possibile che il piano americano, cui si riferiva l'ambasciatore Tarchiani, venga considerato come base di partenza. Per ammissione corrente noi perderemo l'Etiopia, per quanto non si abbiano qui eccessive illusioni sulla capacità di auto-governo degli abissini e venga in genere riconosciuto che, per evitare che quel paese ricada in uno stato di barbarie e di anarchia economica, sarà necessario mantenervi un controllo straniero, tanto più che il contributo bianco nel campo industriale, agricolo e delle comunicazioni sarà altrettanto indispensabile.

Per quanto riguarda le nostre altre colonie indubbiamente vi saranno pressioni degli ambienti militari. e navali intese ad ottenere basi strategiche per assicurare le linee di comunicazione imperiali ed allontanare la possibilità di ogni minaccia futura nel Mediterraneo. Fino a qual punto ciò possa pesare nell'assetto definitivo dipenderà non tanto dallo stato dei nostri rapporti con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, quanto dalla situazione generale e dalle circostanze del momento che sfuggono ambedue al nostro controllo e che sarebbe comunque ben difficile valutare fin d'ora.

299

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 460/188. Mosca, 30 giugno 1945 (per. il 25 luglio)

Ho parlato lungamente della questione di Trieste col ministro degli Esteri di Polonia. Il signor Vincenzo Rzymowski è stato a lungo in Italia come giornalista, è stato messo in prigione dal governo fascista, parla benissimo l'italiano ed ha molta affezione per il nostro Paese. Non ho avuto, quindi, nessuna difficoltà a fargli comprendere quale sia l'attitudine di tutto il popolo italiano sulla questione di Trieste, e quali potrebbero essere le conseguenze, sia nel campo interno sia nel campo internazionale, di una soluzione della questione contraria al diritto ed al desiderio dell'Italia.

Passando, poi, al concreto gli ho detto che l'Italia desidera vivere in pace e buona amicizia colla nuova Jugoslavia. La politica di ostilità e diffidenze, seguita dai due Paesi nell'intervallo fra le due guerre, e della quale la responsabilità non è solo italiana -il signor Rzymowski ha convenuto ampiamente su questo punto -è risultata in un disastro per i due Paesi. Sembra a noi che, forti dell'esperienza del passato, sarebbe interesse sia dell'Italia che della Jugoslavia di evitare che un simile stato di cose, che può giovare a terzi Stati, ma non certo ai due interessati, debba ripetersi. Senza contare che, nel nuovo ordinamento europeo, uno stato di conflitto aperto fra Italia e Jugoslavia può rendere difficili, se non impossibili, relazioni di buona amicizia e collaborazione fra l'Italia e i Paesi slavi, Russia e Polonia comprese.

Il governo italiano non si rifiuta e non si rifiuterà di discutere ed accettare revisioni delle frontiere quali erano prima della guerra, principalmente allo scopo di mettere i rapporti tra l'Italia e la Jugoslavia su una base solida e duratura, ma questo con due riserve:

l) bisogna che dalle due parti si tengano a freno i nazionalismi estremi. I programmi massimi dei due Paesi non sono realizza bili: bisogna quindi che si cominci a discutere su basi ragionevoli ed accettabili;

2) è necessario, prima che si cominci a trattare, che sia in Italia che in Jugoslavia ci sia un governo solidamente basato sulle elezioni, ed in grado di parlare a nome del Paese.

Per questo noi riteniamo che, allo stadio attuale della questione, lasciando il territorio contestato nelle mani di una amministrazione imparziale, la migliore cosa sarebbe che le due parti procedessero, con buona volontà, alla creazione di un'atmosfera di reciproca comprensione e fiducia la quale, a sua volta, faciliterà la discussione e la risoluzione dei problemi che ci interessano. Noi abbiamo proposto ripetutamente alla jugoslavia, anche per mio tramite, di ristabilire relazioni dirette allo scopo di iniziare e di coordinare questo lavoro di comprensione: da parte jugoslava non abbiamo avuta nessuna risposta, e si preferisce il sistema della polemica stampa e radio. È un sistema che, a nostro avviso, non darà nessun risultato pratico a favore degli jugoslavi, come ha dimostrato la fase attuale della questione, e può soltanto invelenire l'atmosfera. Noi insistiamo sul nostro punto di vista e sul nostro desiderio e siamo pronti, ad ogni momento, ad iniziare l'opera di riavvicinamento, ma bisogna che anche l'altra parte mostri di essere disposta a fare altrettanto.

Il signor Rzymowski mi ha detto di comprendere e di condividere il punto di vista del governo italiano. Gli ho detto, allora, che se il governo polacco riteneva di poter svolgere a Belgrado opera di persuasione in questo senso, il governo italiano gliene sarebbe stato grato. Mi ha chiesto quale fosse l'atteggiamento del governo russo. Gli ho detto che il governo russo, in fondo, era favorevole alla tesi jugoslava, soprattutto, ritenevo, perché non voleva comprendere l'atteggiamento e la reazione dell'opinione pubblica italiana in merito alla questione di Trieste. Ufficialmente però non si era pronunciato: gli ho chiesto se comprendeva l'espressione italiana del «pesce in barile». Rzymowski ha riso ed ha aggiunto che era il grande difetto della politica russa non voler capire certe reazioni sentimentali dei popoli occidentali, Polonia compresa. Rzymowski mi ha allora detto che avrebbe visto quello che era in grado di fare in proposito e che potevo essere sicuro che se avesse potuto in qualche modo essere utile all'Italia, sarebbe stato ben lieto di farlo. Non è il caso naturalmente di farsi troppe iiiusioni su quello che può fare la Polonia, sono però sicuro che, date le disposizioni personali del signor Rzymowski verso l'Italia, il futuro rappresentante italiano a Varsavia troverà in lui una persona disposta a fare tutto quello che gli sarà possibile.

Una lunga conversazione sull'argomento ho avuta anche col primo ministro cecoslovacco, signor Fierlinger. Mi sono espresso con lui negli stessi termini. Ma mi faccio ancora meno illusioni sulla sua possibile azione in proposito, poiché, a parte le considerazioni generali sulla situazione in Cecoslovacchia che molto giustamente fa il comm. Guidotti," egli è troppo ligio ai russi e ha troppe questioni sue sulle spalle per potersene prendere delle nostre. Ho parlato con lui soprattutto sapendo che la mia conversazione sarebbe stata riportata per filo e per segno ai russi. Il signor Fierlinger si è limitato a rispondermi, senza compromettersi, che conosceva ed apprezzava il desiderio del governo italiano di mettere le relazioni colla Jugoslavia su piede di vera amicizia e comprènsione.

300

IL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

Roma, 1° luglio 1945.

Ho l'onore ?i esprimere a V.E. le congratulazioni del governo di S.M. del Regno Unito in occasione dell'assunzione della sua carica di presidente del Consiglio dei ministri. Il governo di S.M. britannica ha notato con interesse le parole realistiche con le quali V.E. ha annunciato la formazione del nuovo governo al popolo italiano. Il governo britannico spera che l'appoggio dei sei partiti e gli sforzi di un popolo unito daranno modo al suo governo di perseguire lo scopo che V.E. ha loro additato. Sono autorizzato ad assicurare V.E. di tutta la simpatia del governo di S.M. britannica nel difficile compito di condurre il suo Paese sulla via della ricostruzione democratica.

V.E. ha avuto la cortesia di esprimere la sua gratitudine per la comprensione dimostrata dagli Alleati per le necessità dell'Italia. Per quanto riguarda il governo britannico, esso ha promesso all'Italia una giusta parte di quegli aiuti materiali di cui dispone. Si deve però tener presente che una guerra implacabile è in corso nell'altra parte del globo e che le necessità delle popolazioni continueranno ancora per qualche tempo ad essere superiori ai quantitativi disponibili dei prodotti più generalmente e urgentemente rièhiesti.

301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3892/216. Roma, 3 luglio 1945, ore 11.

Telegramma di codesta ambasciata n. 197 del 19 corrente2•

Notizia trasmessa da codesta ambasciata con telegramma suindicato, circa intenzione americana sostituire attuale capo Commissione Alleata in Italia, ammiraglio Stone, con personalità politica è stata confermata in conversazioni avute con funzionari americani presso Commissione stessa. È stato anche detto che intenzione americana troverebbe resistenze da parte inglese che non considererebbe opportuna simile sostituzione momento attuale. In tal senso tappresentanti Stato Maggiore Imperiale avrebbero ricevuto istruzioni di esprimersi a Washington.

1 Non si è rinvenuto l'originale inglese di questo documento. 2 T. 4859/197, non pubblicato.

Ciò premesso la prego far presente nella forma più opportuna al Dipartimento di Stato che molto apprezziamo desiderio americano di trasformare in organi politici organi che sono stati sin qui militari. Nella specie peraltro l'ammiraglio Stone è un vecchio amico, che è in Italia sin dall'inizio, che abbiamo imparato a apprezzare e a stimare. Da parte nostra cioè non avremmo obiezione alcuna acchè Stone sia possibilmente e temporaneamente confermato nei suoi compiti ed anzi sinchè la Missione alleata duri vedremo con piacere l'ulteriore sua permanenza fra noi.

302

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5347/247. Washington, 3 luglio 1945, ore 18,16 (per. ore 17,10 del 4).

Telegramma di V.E. n. 213 1 .

Desidero far presente a V.E. che non ha questa ambasciata toccato di sua iniziativa tasto atteggiamento britannico più rigido di quello americano. Non si desisterà da tale linea di condotta anche in avvenire. V.E. avrà d'altronde rilevato da informazioni trasmesse anche ultimamente come questa ambasciata abbia stabilito attivi rapporti personali con locali ambienti ufficiali britannici. Trattasi invece confidenze fatte da interlocutori americani i quali tenevano far rilevare che [America] ci era più favorevole in alcune questioni di quanto non ci fosse [Inghilterra].

Ho ritenuto mio dovere segnalarle a codesto ministero a titolo confidenziale e segreto e non perché Foreign Office ne avesse conoscenza, ma soltanto a scopo indicativo affinché, ove ritenuto del caso, si potesse più vantaggiosamente far leva su Washington consolidando sentimenti ed intenzioni americane. Tali benevole disposizioni americane per l'Italia sono del resto note ad ambienti britannici tanto che hanno provocato scorsi mesi qualche amichevole rilievo inglese al Dipartimento di Stato. Per quanto riguarda poi accenni confidenziali di cui miei telegrammi 177 e 178 2 circa questione coloniale V.E. avrà rilevato da miei telegrammi 136 e 1443 che Inghilterra aveva precedentemente fatto esporre al Dipartimento di Stato alcune sue vedute su questione stessa. Circa infine questione pace telegramma suddetto V.E. si è incrociato con 228 e 233 4 . Ringrazio per preannunciato invio punto di vista [italiano].

l Vedi D. 297. 2 Vedi D. 258. 3 T. 4208/136-141 del 31 maggio e T. segreto 4199/144 del 2 giugno, non pubblicati. 4 Vedi DD. 292 e 293.

303

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 5352/332. Londra, 3 luglio 1945, ore 20 (per. ore 10 del 4).

Suo 229 1•

Dispaccio Reuter 26 giugno di cui trasmetto testo originale con telegramma 331 2 non è stato riprodotto da questa stampa che, in occasione ripartizione zone occupazione Austria, si è limitata breve accenno Sud Tirolo segnalato con telegramma stampa 1583 .

Dispaccio in questione è stato redatto, secondo quanto Reuter mi ha comunicato confidenzialmente e con preghiera mantenere informazione molto riservata, da suo corrispondente diplomatico in base elementi fornitigli da Foreign Office.

Stesso dispaccio, ignorato qui, avrebbe invece suscitato vivo interesse all'estero essendo stato ripreso da varie stazioni radio straniere nonché dalla Pravda.

304

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 3 luglio 1945.

l. Le istruzioni date all'ambasciatore Tarchiani al momento della partenza, a proposito di una nostra eventuale partecipazione alla guerra contro il Giappone, erano in sostanza del seguente tenore:

«Limitarsi ad accertare se una nostra eventuale iniziativa in questo senso potesse giovare a scongelare la situazione armistiziale italiana, e comunicarci, in caso affermativo, in che momento potrebbe essere più tempestiva e propizia».

2. La questione è stata sollevata dall'ambasciatore Tarchiani nel suo primo colloquio col presidente Roosevelt (8 marzo )4 e da lui trattata successivamente col segretario di Stato Stettinius, il presidente Truman, il ministro della Giustizia Biddle,

1 T. 38411229 del ! 0 luglio: richiesta del testo integrale di una dichiarazione «ufficiale» sull'Alto Adige riportata dalla Reuter.

2 T. 5371/331 dello stesso 3 luglio, con il quale veniva trasmesso il seguente testo :«South Tyrol will not form part of British occupation zone in Austria it officially stated London today. Present legai position is that former Austrian province of south Tyrol forms part of Italy which received it at end last war. It is now under contro! of Allied Command at present charged with occupation North Italy. Were Italy's claim to south Tyrol to be officially disputed by Austrian Authorities matter would of course be referred to peace scttlement. Informed quarters London believe Austrian occupation zones now been agreed by four occupying powers and be announced shortly».

3 T. stampa 5151/158 del 27 giugno, non pubblicato.

4 Vedi D. 85.

408 l'ambasciatore britannico Halifax. L'ambasciatore Tarchiani ha riferito di aver trovato presso tutti i suoi interlocutori americani la più viva simpatia per una eventuale iniziativa italiana in questo senso.

3. Il 17 giugno scorso il reggente il Dipartimento di Stato sottosegretario Grew trasmetteva all'ambasciatore Tarchiani una nota segreta con la quale lo pregava di informare ufficialmente il governo italiano che il governo degli Stati Uniti accoglierebbe con piacere una dichiarazione di guerra al Giappone 1• La nota sottolineava che «la dichiarazione di guerra italiana estenderà al conflitto col comune nemico in Estremo Oriente quella solidarietà con le Nazioni Unite che nella lotta contro il comune nemico in Europa hanno recentemente dimostrata il governo e il popolo italiano».

«Il governo degli Stati Uniti d'America -aggiungeva la nota -desidera porre in chiaro che detta dichiarazione di guerra non implicherebbe alcun impegno da parte dei governi alleati di provvedere materiali e naviglio per la prosecuzione delle ostilità contro il Giappone da parte dell'Italia».

4. -In pari tempo Washington compieva pressanti passi a Londra per ottenere l'adesione britannica al punto di vista degli Stati Uniti, adesione che ci è stata verbalmente comunicata sia tramite l'ambasciatore Carandini, sia dall'ambasciatore Charles. 5. -È stata, nel frattempo, posta da parte nostra al Dipartimento di Stato esplicitamente la domanda se esso ritenesse che una nostra dichiarazione di guerra al Giappone potesse facilitare l'azione intrapresa da parte degli Stati Uniti a Londra per facilitare il nostro passaggio dalla cobelligeranza alla pace, e, sopratutto, per alleggerire le condizioni che ci saranno imposte. In data del 27 giugno il sig. Phillips, del Dipartimento di Stato, ha fatto in proposito la seguente dichiarazione: «Il governo degli Stati Uniti è del parere che una dichiarazione di guerra al Giappone, migliorerebbe la situazione giuridica e politica dell'Italia nell'attuale momento sia rispetto al prossimo convegno a tre sia rispetto alle Nazioni Unite» 2 . 6. -Ciò premesso, è bene tener presenti le seguenti considerazioni: a) nell'attuale situazione bellica è diventato evidentemente pressoché trascurabile per Washington ottenere la partecipazione militare italiana alle operazioni nel Pacifico. Gli Stati Uniti conoscono del resto quali siano le nostre effettive possibilità. La frase finale della nota del Dipartimento di Stato su riferita è d'altra parte di per sé esplicita per ciò che effettivamente si attende da noi. La nostra iniziativa dovrebbe, almeno in un primo tempo, restare dunque soltanto simbolica. La stessa frase darebbe poi, qualora intendessimo presentare una richiesta di effettivo intervento, il modo di trattare eventualmente un'ulteriore contropartita concreta.

b) È da escludere che la proposta nordamericana sia dovuta a calcoli di politica estera. Si è invece voluto molto probabilmente compiere verso la nuova

I Vedi D. 267. 2 Vedi D. 290.

409 Italia un gesto di fiduciosa amicizia, facilitare il superamento dell'attuale posizione giuridica e morale, assicurarle maggiori simpatie presso larghi, influenti strati dell'opinione pubblica americana. E ciò in vista sia della nostra posizione in sede di pace, sia della possibilità di ottenere una maggiore partecipazione americana alla nostra ricostruzione economica.

c) Se l'iniziativa che -ripeto -ha, almeno in un primo tempo, carattere e sostanza soltanto simbolici, dovrà essere da parte nostra attuata, conviene essa sia attuata subito. E ciò sia per non guastare l'effetto di spontanea iniziativa italiana di solidarietà verso le Potenze -occidentali in generale, gli Stati Uniti in particolare; sia perché essa produca i suoi frutti prima e durante l'imminente convegno a tre (17 luglio) e, sopra tutto, reagisca favorevolmente sul corso delle conversazioni per la pace con l'Italia, attualmente in atto.

d) Naturalmente l'iniziativa italiana reagirà favorevolmente anche nei confronti della Cina. Il maresciallo Chang Kai-Shek ci ha fatto sapere infatti che, in questo caso, la Cina (che dopo tutto copre uno dei 5 seggi permanenti del Consiglio della nuova .Società delle Nazioni) è disposta e desiderosa di sostenere il punto di vista dell'Italia durante e dopo le trattative di pace 1•

e) Dai sondaggi effettuati a Mosca si è riportata l'impressione che la Russia non veda con particolare favore una iniziativa italiana in questo senso 2 . Si è infatti fatto osservare che l'Italia ha troppi problemi gravi da affrontare per imbarcarsi in una guerra che si giudica tuttora lunga e difficile per semplici ragioni di prestigio. L'obbiezione naturalmente cade se, come si è detto, l'iniziativa è destinata a restare, almeno in una prima fase, soltanto teorica. È tuttavia da rilevare che, dato il realismo della politica sovietica, se l'Italia dovesse, anche attraverso questa iniziativa, uscire dal suo stato attuale di minorità e di impotenza, la Russia non mancherebbe certamente di registrare la nostra iniziativa come un successo e lentamente rettificare la sua politica nei nostri confronti. Comunque non sono affiorati da parte sovietica opposizioni o contrasti apparenti e sen.

In sostanza dunque:

L'iniziativa resterà simbolica. Il momento della sua attuazione sembra opportuno e tempestivo: vigilia del Convegno a tre; imminenza del trattato di pace con l'Italia. Gli Stati Uniti la appoggiano e la sollecitano; la Gran Bretagna aderisce al punto di vista americano; la Russia non mostra di osteggiar! a. Guadagnamo inoltre la Cina alla nostra causa.

Una nostra partecipazione in Estremo Oriente tende inoltre a rinserirci nelle grandi correnti della politica internazionale e a darci in conseguenza una maggiore voce in capitolo. Essa, sopratutto, ci assicura il favore e l'appoggio del governo degli Stati Uniti, in un momento per noi cruciale, alla vigilia, cioè, della pace e delle trattative conseguenti, il cui risultato fisserà per un avvenire indefinito le nostre sorti.

l Vedi D. 289. 2 Vedi D. 250.

0

senso a Washington è destinato a incontrare la piena approvazione e il pieno consenso degli Stati Uniti che, come si è detto, sono infatti già orientati in questo senso. Naturalmente se gli Stati Uniti potranno parlare, oltre che per se stessi, anche fiancheggiati dai latini d'America, l'azione complessiva ne sarà di altrettanto rafforzata e di altrettanto più efficace. Essa sarebbe comunque un'azione panamericana, che inquadrerebbe perfettamente con le linee della generale politica delle due Americhe verso l'Europa.

5. -Un passo analogo dovrebbe essere fatto anche a Londra. Esso rafforzerebbe indubbiamente quelle correnti più obiettive e serene che tendono ad iniziare con l'Italia una politica più lungimirante e più costruttiva e ad imporre conseguenti, meno rigide, condizioni di pace. 6. -Qualunque azione il governo decidesse di compiere, essa dovrebbe comunque

00 o

essere fatta immediatamente. I progetti di pace sono infatti già in discussione: il convegno a Tre è imminente; l'elaborazione e la discussione delle condizioni dovrebbe essere ultimata a breve scadenza.

7. Dovrebbe sopratutto essere fatto presente che se l'Italia dovesse essere mutilata nelle sue frontiere (alla frontiera orientale, ad esempio, l'attuale linea di demarcazione fra l'occupazione jugoslava e la cosidetta linea Morgan, è assolutamente ingiustificabile ed iniqua sia dal punto di vista etnico che economico e strategico); privata delle sue vecchie colonie; o costretta a cessioni della sua flotta che per due anni si è battuta a fianco degli Alleati; o ad accettare, dopo le distruzioni e le sofferenze subite, condizioni finanziarie gravi o limitazioni umilianti della sua sovranità ecc., non solo sarebbe gravemente ostacolato il suo già iniziato sviluppo democratico, ma essa sarebbe indubbiamente ricondotta ad uno stato di indisciplinato disordine e di scontento favorevole a tutti gli estremismi e che impedirebbe comunque la progressiva e necessaria pacificazione europea.

L'Italia intende ricostruirsi col lavoro dei suoi figli e con l'assistenza degli Alleati e vivere in pace e in concordia col mondo esterno. Occorre iniziare nei suoi confronti una politica veramente costruttiva e veramente lungimirante, nell'interesse dell'Europa e di tutti.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 3940/268. Roma, 4 luglio 1945 1•

Suo 249 2 . Faccia sapere subito Chang Kai-Shek che è estremamente probabile e forse imminente nostra dichiarazione guerra al Giappone.

Nostra iniziativa è mossa sopra tutto profondo desiderio popolo italiano combattere militarismo e sopraffazione da per tutto dove ancora sussistano; solidarizzare in modo pieno e completo con Nazioni Unite; dare alla Cina, che è più vecchia combattente contro aggressore nipponico, prova certa nostra amicizia.

l Inviato il 5 luglio, ore l ,30. 2 Vedi D. 289.

Faccia pervenire Chang Kai-Shek espressione nostra profonda riconoscenza per appoggio offertoci. Gli faccia sapere che è -a quanto sembra -imminente la conclusione pace con Italia da parte anglo-americana. Tutto quanto egli potrà fare per far presente a Londra e a Washington desiderio cinese che condizioni che ci saranno imposte siano eque e giuste e non di vendetta o di umiliazione sarà da noi profondamente apprezzato. Qualunque passo in questo senso deve essere peraltro effettuato subito, prima dell'incontr'il dei Tre.

Gradiremmo sopra tutto che Cina esprimesse avviso che questione nostra frontiera orientale sia regolata rispettando principio delle nazionalità sopra tutto in !stria; che vecchie colonie italiane ci siano conservate o affidate; che nuova Italia democratica sia posta insomma in condizioni vivere e ridiventare, coi suoi 45 milioni di abitanti, che è complesso demografico più vasto e più compatto in Europa, dopo quello russo e germanico, elemento ordine stabilità equilibrio.

Sottolinei in modo particolare parallelismo fra Italia e Cina, culle ambedue civiltà millenarie e solidarietà ideale e simbolica che nostra dichiarazione guerra al Giappone e assistenza cinese per nostra rinascita indubbiamente stabiliscono e sottolineano.

Telegrafi a suo tempo esito sua azione 1•

307

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 3946/222. Roma, 4 luglio 1945 2 .

La autorizzo informare, per ora in via soltanto preliminare e confidenziale, presidente Truman che governo italiano è di massima favorevole dichiarare guerra Giappone. Illustri nostra iniziativa prima di tutto come gesto solidarietà nei confronti Washington; ulteriore prova nostro proposito schierarci contro sopraffazione e militarismo ovunque si trovino; segno evidente nostro desiderio far causa comune con Nazioni Unite, anche dove e quando nostri interessi specifici non siano direttamente in gioco.

È peraltro evidente stretta connessione fra nostro gesto e concreta possibilità che esso incida favorevolmente su condizioni pace che ci saranno imposte, attualmente in corso di elaborazione. Dichiarazione fattale al riguardo da Phillips (suo 224)3 è del resto esplicita e su di essa contiamo. Ed è superfluo le dica e la preghi far sapere quanto e come noi siamo riconoscenti che anche governo nord-americano ritenga che due questioni possano essere utilmente connesse.

I Vedi D. 319. 2 Inviato il 5 luglio, ore 4. 3 Vedi D. 290.

Desidero ripeterle che non è questo tentativo di negoziare o mercanteggiare iniziativa che ha e deve conservare motivazioni ideali autonome e indipendenti, ma piuttosto il naturale atteggiamento di chi deve in modo plausibile e chiaro essere in grado a suo tempo di giustificarla anche e sopratutto con motivi nazionali di fronte al Paese.

Non le nascondo ed è anzi necessario ella sappia che nel corso discussione che ha avuto luogo consiglio di Gabinetto 1 è affiorata evidente divisione di animi e di propositi circa nostra partecipazione alla guerra, che nota direttale da Grew (suo 187)2 tenderebbe almeno per il momento ad escludere e che alcuni vorrebbero invece effettiva e concreta.

È mio avviso che nel fare comunicazione riservata di cui sopra ella faccia esplicito accenno nostra volontà di diretta e attiva partecipazione (flotta, aviazione, corpo volontari) in modo lasciare porta aperta, cioè senza pregiudiziali negative, possibilità che essa possa a più o meno breve scadenza concretarsi.

Comunicazione di massima che ella farà deve essere, ripeto fatta per ora in via soltanto preliminare e confidenziale. Poiché essa è, nel nostro pensiero ed in quello nordamericano, destinata produrre determinati effetti, io vorrei che stesso Dipartimento di Stato ci desse indicazione precisa circa momento più propizio e più tempestivo in cui, a suo giudizio, essa potrà da parte nostra essere ufficialmente confermata, appunto in vista di determinare ed agevolare quei risultati benefici che se ne scontano, di rafforzare cioè azione di Washington per una pace di equità e di giustizia.

Mi informi subito esito suoi passi 3 .

308

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3945/2214. Roma, 4 luglio 1945, ore 23,30.

Mio telegramma odiernos.

Per sua personale informazione e perché ella abbia più precisi elementi valutazione tenga presente che in Consiglio di Gabinetto Nenni e Togliatti hanno ripetutamente insistito su questione procedurale, cioè sulla possibilità che richiamandosi all'armistizio qualche Potenza maggiore o minore possa comunque intralciare nostra iniziativa, onde ritenevano indispensabile ottenere in materia preventiva assicurazione americana 6 . Non credo personalmente tale preoccupazione fondata visto che dei due custodi dell'armistizio, uno, Stati Uniti, ci spinge anzi agire, l'altro, Gran

I Vedi D. 308, Allegato. 2 Vedi D. 267. 3 Vedi D. 315. 4 Autografo. 5 Vedi D. 307. 6 Vedi Allegato.

Bretagna, ci dichiara non aver obbiezioni al riguardo. Ella voglia comunque esporre codesto governo preoccupazioni anzidette ed agire in conseguenza.

Sul fondo stesso della questione Nenni ripugnava poi da dichiarazione di guerra destinata restare soltanto simbolica e sosteneva in conseguenza opportunità intervento effettivo sia pure limitato. Togliatti illustrava invece punto di vista opposto ritenendo partecipazione effettiva difficilmente sostenibile e giustificabile.

Presidente Parri, Brosio e Ruini hanno espresso l'avviso che, per ora, si procedesse senz'altro alla dichiarazione di guerra, rinviando secondo tempo ulteriori decisioni circa concreta partecipazione contro la quale non hanno del resto pregiudiziali e che presidente personalmente ritiene anzi moralmente doverosa.

ALLEGATO

RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI GABINETTO

APPUNT01 . Roma, 3 luglio 1945.

Nenni: Possibilità di farla: elemento. Dubbi sull'opportunità, ma molto avanzate. Dire che a noi ripugna.

Togliatti: Condivido le osservazioni di Nenni, ma comprendo che in diplomazia si devono fare atti gratuiti. Non possiamo intervenire, che valore ha? Ma negativa, è difficile. Se Charles torna, non potremo subire umiliazione terribile. Voi sapete che non possiamo fare dichiarazione di guerra, vedete situazione in cui siamo. Farei risposta interlocutoria: saremo disposti. Circa il fondo: di fronte al paese dovremo far sapere subito ch'è simbolica. Ricordarsi l'altra volta: diserzioni. Il paese non può sopportare guerra.

Ruini: Di fronte a Grew non si può tornare indietro. Non possiamo fare nulla? La marina? 15 mila Ceylon (Mr. Brain). Volontari? Occupazione?

Parri: Niente machiavelli credo conveniente, perché uno schieramento legale di un atto morale. Ma sarebbe necessario impiego vero. Impiego unità superfice, cantieri, forze aeronautiche, corpi volontari già domande in Africa italiana, commandos. Una minima partecipazione concreta dovrebbe ottenersi. Come procedura: Stati Uniti assumano garanzia dell'accettazione. Si, nel suo interesse, ma piena dignità, ma non vorrebbe piatire (Jugoslavia, Grecia contro).

Nenni: Sono ancora molto più perplesso: l) faremo quando ci fosse riconosciuto diritto di farlo; 2) contro, se fosse solo simbolico e non fossimo informati dai 3 ministri guerra di quello che potremo fare; che non andiamo a fare solo simboli.

Parri: Non è possibile chiedere prima armistizio abolito.

Ruini: Accertare due cose.

Brosio: Se non ci fosse ingaggio preventivo, sarei contrario. Oggi anche per la simbolica alla dichiarazione si aggiunga buona volontà di concorrere.

Ruini: Siamo disposti.

Togliatti: Sarebbe per procedura: a) dichiarazione guerra; b) trattare poi partecipazione.

Parri: Fin dall'origine nostro volere intervento limitato, benché non conditio sine qua non, ma esprimere desiderio.

I Autografo.

Nenni: Dichiarazione più precisa. Oramai difficile tornare indietro: problema compromesso. Una risposta dev'essere netta: piacere risposta Stati Uniti, l'inglese non è esplicita e il sovietico: l) quindi chiarire problema interalleati jugoslavi, greci; 2) che gli alleati s'impegnino di rendere effettiva partecipazione.

Togliatti: Interviene; ma la seconda è no.

Parri: Insiste.

Nenni: Pregiudiziale: mantiene perplessità.

Togliatti: Effettiva è irrealizzabile.

Parri: Superata e assicurata questione pregiudiziale, dichiararsi favorevole dichiarazione

aggiungendo desiderio partecipazione (non condizione). Togliatti: Insiste, è contro partecipazione effettiva, difficile corpo volontari e susciterebbe

gelosia della Francia. Parri: Assicurare a Francia che non abbiamo interessi Pacifico. Nenni: Dichiararlo subito nell'informazione a Tarchiani.

309

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 3968/278. Roma, 4 luglio 1945 1•

Suo 227 2• Completo, per sua norma di azione e di linguaggio, quanto in parte già si desume dal mio telegramma odierno n. 268 3 relativo alla Cina.

È bene ella sappia che, in seguito a nostre aperture, il governo nordamericano ci ha riservatamente informati che Stati Uniti accoglierebbero con piacere nostra dichiarazione di guerra al Giappone; che hanno chiesto e ottenuto adesione britannica al riguardo; che, a nostra esplicita richiesta, ci hanno infine dichiarato ritenere che ciò potrà migliorare situazione giuridica e politica dell'Italia nel momento attuale sia rispetto al convegno a Tre sia rispetto alle Nazioni Unite4 .

È bene ella sappia altresì che è attualmente in corso a Londra e a Washington esame ed elaborazione progetto pace con l'Italia, destinato a sostituire armistizio e cobelligeranza e regolare nostre sorti in conseguenza. Questione italiana sarebbe stata già d'altra parte iscritta ordine del giorno prossima riunione Berlino.

Aggiungo che abbiamo ragione ritenere vi siano in Gran Bretagna correnti che tendono imporci pace dura, mentre predomina negli Stati Uniti proposito giungere pace di equità e di giustizia.

1 Inviato il 5 luglio, ore 19. 2 Vedi D. 250. 3 Vedi D .. 306. 4 Vedi DD. 267 e 290.

Ella vedrà da quanto precede stretta connessione esistente fra due questioni e cioè dichiarazione di guerra al Giappone e possibilità che questa incida favorevolmente sulla pace futura.

Preciso infine che abbiamo oggi comunicato a Washington 1 , per ora soltanto in via preliminare e confidenziale, che R. governo è in massima favorevole alla dichiarazione di guerra.

Ciò premesso, ella potrà, nei modi e nelle forme che crederà più convenienti, informare codesto governo della possibilità che la questione della nostra dichiarazione di guerra al Giappone possa riaffiorare a breve scadenza. È ciò che ho fatto, ma soltanto in via di accenno, fin dal 30 giugno con ambasciatore Kostylev. Ella potrà altresì inquadrare la notizia con qualche sommario accenno a quanto precede, che ha peraltro carattere di riservatezza.

Nel suo telegramma citato V.S. informa che nostra iniziativa non avrebbe incontrato favore governo sovietico, ma che se, in definitiva, essa avesse contribuito farci uscire attuale stato minorità, realismo russo avrebbe probabilmente indotto Mosca a migliore valutazione delle cose nostre. È quel che speriamo.

Ella si adoperi intanto in ogni possibile modo per chiarire e illustrare nostro atteggiamento2•

310

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 475/194. Mosca, 4 luglio 1945 (per. il 24).

Credo opportuno riferire più ampiamente a V.E. la conversazione che ho avuto con Vyshinsky sull'argomento in oggetto 3 , i cui punti più importanti ho già riferito per filo 4 .

Ho esposto a Vyshinsky il contenuto della risoluzione del Consiglio dei ministri5 riportando testualmente la parte concernente il desiderio dell'Italia di sostituire alla convenzione d'armistizio un regolare trattato di pace, e di entrare a far parte delle Nazioni Unite. Ho continuato osservando che, ora che la guerra è finita ed il territorio dell'Italia liberato, il primo compito del governo italiano è quello di mettere mano alla ricostruzione del Paese. Ora un serio piano di ricostruzione non è possibile fino a che perdura l'incertezza su tutto e per tutto, conseguenza dello stato d'armistizio. Noi non possiamo procedere a rimettere in ordine le nostre finanze fino a che non sappiamo se e quanti oneri, spese d'occupazione e riparazioni ci saranno imposte, le nostre forze armate se non sappiamo se e quali limitazioni ci

I Vedi D. 307. 2 Per la risposta vedi D. 335. 3 Conclusione della pace con l'Italia. 4 T. 5443/257, partito il 5 luglio, ore 11,12, non pubblicato. 5 Vedi D. 295, nota 4.

saranno imposte, le nostre economie se non ci vengono tolte le limitazioni ancora esistenti per la disposizione dei nostri commerci, del nostro naviglio mercantile, delle nostre fabbriche. Alla sua domanda circa la solidità del nuovo governo italiano ho risposto che, in un certo senso, si doveva considerare solido il governo italiano, in quanto rappresentante di tutte le principali correnti di opinione pubblica: dall'altra parte un governo veramente forte in Italia non ci sarebbe potuto essere se non dopo le elezioni, e a sua volta era molto difficile fare delle elezioni serie finché durava uno stato di cose per cui, di fatto se non di diritto, qualsiasi sottotenente inglese o americano aveva la possibilità di interferire nei nostri affari. Era una situazione a cui occorreva mettere fine al più presto possibile, se si voleva evitare il caos completo in Italia: qui mi sono riferito alle espressioni da lui usate nel noto articolo dell' Izvestia del 1944.

Vyshinsky mi ha detto di essere al corrente di quanto io avevo detto al riguardo e Molotov e a Schwernik1 , e di comprendere questo desiderio del popolo e del governo italiano: «fra poco saranno due anni che l'Italia è uscita dalla guerra: se vuoi uscire da questa situazione non può darle torto».

Ho aggiunto che la situazione mi sembrava tanto più matura, in considerazione particolarmente dei partigiani del nord d'Italia che, avendo dato tutto per la lotta contro i tedeschi, si sentivano, a ragione, in diritto di non essere considerati degli ex-nemici.

-I partigiani italiani meritano tutto il nostro rispetto -ha risposto Vyshinsky. Poi, continuando:

-Insomma il governo italiano chiede che si concluda la pace con l'Italia prima della Conferenza generale della pace.

-Non è ancora sicuro, mi sembra -ho risposto -se una conferenza generale e solenne della pace ci sarà mai. D'altra parte, se per conferenza generale della pace si intende una pace anche con la Germania, bisognerà che ci sia un governo tedesco per firmarla: come stanno andando avanti le cose, è possibile che ci vorranno degli anni prima che ci sia un governo tedesco, e l'Italia non può aspettare per degli anni ancora.

-È giusto. Debbo considerare questo suo passo come una domanda formale dell'Italia di concludere la pace?

-Le mie istruzioni sono di portare a conoscenza del governo sovietico la risoluzione del Consiglio dei ministri. Il governo italiano ha fatto tante domande che sono, nel migliore dei casi, rimaste senza risposta: probabilmente non vuoi fare una nuova domanda formale per non andare incontro ad un nuovo rifiuto: quindi ha preferito, penso, una dichiarazione che dà forme concrete a quelle che sono le aspirazioni del governo, dei principali partiti politici e di tutto il popolo italiano. Il governo sovietico era libero di considerarle come una richiesta formale,

o la formulazione di una aspirazione nazionale. Del resto, se lei desidera, posso chiedere al mio governo di essere autorizzato ad avanzare al governo sovietico una richiesta formale.

l Vedi DD. 261 e 262.

-Non è necessario: ai fini pratici, basta quanto lei mi ha detto. Quando è stata presa questa risoluzione dal Consiglio dei ministri? -Non so esattamente: suppongo negli ultimi giorni di giugno.

-È strano che Kostylev non ce ne abbia informato. Il governo italiano intende sottomettere delle proposte concrete circa i termini del trattato di pace?

-Non so: per il momento noi non sappiamo ancora se il trattato di pace ci sarà imposto puramente e semplicemente, oppure se saremo ammessi a discuterlo e a far valere il nostro punto di vista, le nostre aspirazioni.

-È vero: voi avete capitolato senza condizioni.

-Preferirei non sentirmi ricordare queste espressioni molto dure. -Noi non abbiamo chiesto ai Paesi che hanno capitolato a noi la resa senza condizioni: non facevo che constatare un fatto, è il governo italiano che ha accettato la resa senza condizioni.

-Non so se al momento dei negoziati avremmo potuto fare altrimenti. -Non lo so nemmeno io: osservo soltanto che, nel periodo preparatorio, avete bussato a tutte le porte per prendere contatto con gli Alleati, ma non avete mai pensato a noi: forse noi ci saremmo condotti altrimenti. Cambiando argomento mi ha chiesto:

-Ci possono essere alcune questioni territoriali che può essere difficile risolvere subito e che sarebbe meglio risolvere, insieme a molte altre, alla Conferenza della pace: crede lei che il governo italiano accetterebbe di concludere un trattato di pace che rimandasse ad un periodo più lontano alcune questioni territoriali?

-Non ho istruzioni in proposito: suppongo che il governo italiano preferirebbe vedere risolte tutte le questioni che lo interessano: qualora però fosse proprio impossibile risolverle tutte, penso che il governo italiano preferisca un trattato di pace che regoli la maggior parte delle questioni, all'attuale regime di armistizio che le lascia tutte in sospeso. Se vuole posso chiedere delle precisazioni in proposito.

-No, non importa. Sa lei cosa ne pensino gli inglesi e gli americani?

-Non so: ho però qualche ragione di ritenere che il governo americano

non sia, e da tempo, del tutto contrario ad entrare in questo ordine di idee. -Credo anche io. -Del resto, il governo italiano si rende perfettamente ·conto che non si

tratta di una questione esclusivamente italo-russa, e che il governo sovietico non può deciderla se non d'accordo con i suoi alleati.

-Questo è esatto per quanto riguarda le decisioni: ciò non toglie, però che il governo sovietico può avere una opinione in proposito ed anche esprimerla.

-È certo: potrei sapere quale è l'opinione del governo sovietico?

-Non sono in grado di darle una risposta senza consultarmi e prendere istruzioni.

-Non può proprio dirmi niente?

-Pochi giorni addietro lei ha presentato le sue credenziali: anche questa è, dal punto di vista formale, una cosa che ha la sua importanza. È stato un atto che il governo sovietico ha voluto, in considerazione che una grande nazione come l'Italia ha diritto a certi riguardi: ciò le dovrebbe servire intanto come indicazione generale.

-E per quanto concerne il riconoscimento dell'Italia quale Nazione Unita?

-Questa è una cosa più complessa: col tempo essa verrà naturalmente, ma bisogna procedere per gradi: la prima cosa è passare dallo stato di armistizio allo stato di pace: la risoluzione del Consiglio dei ministri ha, del resto, giustamente detto che è con l'ordine e con il lavoro che l'Italia deve acquistarsi la fiducia degli alleati.

L'impressione generale che ho riportato dalla conversazione con Vyshinsky, confermata del resto da sondaggi vari che avevo fatto precedentemente, è che, per quanto concerne il governo sovietico, possiamo considerarlo favorevole a che si proceda alla conclusione di un trattato di pace con l'Italia. Resta da vedere se e fino a che punto, nei consigli degli alleati, i russi sono disposti a spingere perché la nostra domanda venga accolta. Ciò dipenderà, in maggior misura, dallo stato dei rapporti fra alleati e, in misura minore, se si consideri o meno qui la opportunità di un gesto amichevole verso l'Italia. Questo atteggiamento è del resto perfettamente in linea colla politica generale del governo sovietico che preferisce fare subito operazioni, anche se radicali e dolorose, piuttosto che lasciare trascinare le questioni.

Questo per quanto concerne la questione di principio. Sarebbe però errato, da parte nostra, dedurre che il governo sovietico, nella discussione dei termini del trattato di pace, sarà, di massima almeno, un elemento favorevole a noi. In particolare, a mia impressione, l'atteggiamento sovietico può essere così previsto:

lo il governo sovietico insisterà per avere da noi una indennità di guerra, in natura evidentemente: potrà essere più o meno, ma il fatto è inevitabile;

2° sull'atteggiamento del governo sovietico nella questione di Trieste ho già riferito;

3° frontiera del Brennero: indifferente;

4° frontiera colla Francia: in massima favorevole;

5° colonie: data la posizione assunta dal governo sovtetlco sul problema coloniale non c'è da contare su di un appoggio sovietico, perché le nostre vecchie colonie ci siano lasciate. L'U.R.S.S. insisterà certamente perché esse siano oggetto di un trusteeship, inteso nel senso più largo possibile, e con la massima possibile partecipazione dell'U.R.S.S. Il suo atteggiamento è suscettibile di revisione solo nel caso che le nostre colonie vengano prese da altri, in particolare dall'Inghilterra;

6° flotta: l'atteggiamento russo sarà, temo, fortemente influenzato dalla posizione che prenderanno, in proposito, Francia e Jugoslavia. Se vedrà, però, di non poter evitare che una eventuale ripartizione della nostra flotta vada a precipuo vantaggio dell'Inghilterra, preferirà che sia lasciata a noi;

7° esercito: anche qui si lascia influenzare dalla Francia e dalla Jugoslavia. In genere, però, ritengo che, data l'opinione piuttosto negativa che i russi hanno delle nostre capacità militari, non saranno partigiani di riduzioni e limitazioni radicali;

8° economia italiana: ritengo che in linea di massima i russi saranno favorevoli a !asciarci quanto più possibile libertà di azione. In generale è da ritenere che i russi non saranno favorevoli a limitazioni permanenti o, quanto meno molto prolungate, della sovranità degli Stati vinti.

Queste, secondo me, le disposizioni della Russia, dedotte, per la più parte, più che da sondaggi da me fatti, dalla logica della politica russa che è un elemento che non si può mai abbastanza sottolineare. E, salvo circostanze contingenti, non vedo ora cosa noi possiamo fare per mutare le disposizioni sovietiche, là dove esse non coincidono con i nostri desideri.

Una volta fatte, secondo loro, le necessarie operazioni, la politica russa potrà essere amichevole e anche molto amichevole verso di noi, ma prima bisogna passare per la fase della punizione per il passato. Circa l'atteggiamento russo sulla questione della nostra ammissione fra le Nazioni Unite, riferisco con rapporto a parte 1•

311

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1355/383. Parigi, 5 luglio 1945 (per. il 13).

Su mia richiesta il ministro degli Esteri Bidault mi ha ricevuto questa mattina alle ore 12 e 30 al Quai d'Orsay.

Ho presentato al ministro i deferenti saluti del presidente Parri, del vice presidente Nenni e del ministro De Gasperi. Lo ho ringraziato per l'ordine dato alle truppe francesi di sgomberare i territori italiani da esse occupati. Tale azione, ho affermato, ha prodotto la più favorevole impressione in Italia dove ci si augura che l'evacuazione sia, non appena possibile, completata per tutti i territori italiani occupati. Il ministro Bidault ha manifestato il suo vivo compiacimento per questa eliminazione di un fattore negativo che si collocava come ostacolo alla ripresa di relazioni veramente amichevoli tra i due paesi.

Ho pure ringraziato il ministro per le istruzioni che il Quai d'Orsay ha assicurato di voler dare alla delegazione francese a Quebec per la riammissione dell'Italia al B.I.T. qualora la questione fosse posta in discussione alla Conferenza stessa. Il sig. Bidault ha affermato che la Francia continuerà ad assicurarci il suo appoggio su questo problema che si può sperare di veder risolto rapidamente a nostro favore.

I Vedi D. 314.

Passando dal particolare al generale, il ministro degli Esteri ha fatto allusione ai buoni sentimenti che si nutrono nei nostri confronti in America, ed ha aggiunto che se n'era reso personalmente conto in occasione di un colloquio da lui avuto col presidente Truman. «Nous avons parlé de l'Italie», ha detto il ministro, lasciando intravedere che se ne era parlato nei termini più amichevoli per noi.

Sulla questione di Tangeri, ho accennato al ministro che l'Italia è rimasta un po' delusa di non essere stata invitata alle riunioni di espehi che devono aver luogo a Parigi. Ho spiegato le buone ragioni che l'Italia, nazione mediterranea di quarantacinque milioni di abitanti, può avere di essere rappresentata in consessi in cui si discutono problemi di quella natura. Il ministro Bidault mi ha fatto notare come non la Francia, ma l'Inghilterra si sarebbe opposta ad una nostra partecipazione alla riunione di Parigi. Ha manifestato il suo malumore per l'errore tattico della diplomazia americana a cui sarebbero da attribuirsi le richieste della Russia di cui non ho ricavato l'impressione che il ministro Bidault fosse particolarmente entusiasta. Per concludere, mi ha amichevolmente fatto intendere di non sollevare ufficialmente la questione, e ciò per evitare di trovarci esposti ad un rifiuto delle grandi Potenze.

Passando alle questioni particolari dei rapporti franco-italiani ho, conformemente alle istruzioni di codesto ministero, accennato al problema tunisino, ed ho chiesto esplicitamente che venissero iniziate conversazioni per regolare tutte le questioni che si pongono in seguito alla rinuncia da parte nostra ai diritti delle convenzioni del 1896. H ministro, senza eludere la mia richiesta, ha affermato che non era possibile equiparare la situazione degli italiani di Tunisi a quella degli italiani residenti nella metropoli. Tuttavia pensava che nel quadro di una sistemazione definitiva dei rapporti franco-italiani-sistemazione definitiva che dovrebbe essere preceduta dalla sollecita soluzione di un paio di problemi particolari -non sarebbe stato difficile regolare in modo conveniente le sorti dei nostri connazionali residenti nel Protettorato.

Sulla natura dei «problemi particolari» che, con ogni probabilità, sono quello della ligne de crete e quello delle spese di occupazione, non ho ritenuto di chiedere delucidazioni, convinto della opportunità di non sollecitare eventuali richieste del genere. Penso infatti che il tempo lavora per noi e che, quanto più la Francia è costretta a rinviare le sue richieste, tanto più dovrà moderarne i termini.

In linea generale il ministro ha manifestato una viva comprensione per la buona volontà manifestata dall'Italia nei confronti del problema tunisino e mi ha fatto intendere che a questa buona volontà italiana avrebbe corrisposto una pari buona volontà da parte francese.

Prendendo atto della nota sulla riapertura degli uffici consolari in Francia pervenutaci recentemente dal Quai d'Orsay, ho fatto notare al ministro che qualora essa fosse applicata integralmente, metterebbe detti uffici nella pratica impossibilità di funzionare. Lo ho informato che erano in atto conversazioni al riguardo con uffici competenti del suo ministero affinché siano rivedute alcune di tali decisioni unilaterali dell'autorità francese. Il ministro, che non mi parve al corrente del problema, mi ha lasciato però intendere che la cosa si sarebbe potuta risolvere in via amichevole e che non dava al testo di quella nota particolare importanza.

Sui prigionieri di guerra ho espresso il nostro compiacimento per il miglioramento morale e materiale che si lasciava intravedere nel recente noto promemoria.

Tuttavia mi sono riservato di trasmettere al ministro alcune considerazioni relative al problema in generale, sopratutto in riferimento al carattere piuttosto vago della situazione attribuita ai prigionieri liberati. Il ministro ha dichiarato che avrebbe esaminato con molto interesse la nostra risposta.

Uscendo dalle considerazioni di carattere particolare, e allargando il quadro del problema all'insieme dei rapporti tra Francia e Italia, ho esposto al ministro Bidault l'opportunità per la Francia di assumere nei confronti dell'Italia una posizione più definita di quanto non sia avvenuto fino ad ora. «Ignoro-gli ho detto-se il nostro ambasciatore a Londra sia veramente latore, come sostengono alcuni giornali, di proposte concrete del governo inglese; so però che si sta notando una rapida evoluzione della diplomazia anglo-americana nei confronti dell'Italia a tutto favore del nostro Paese. Perché la Francia, invece di attendere gli avvenimenti e lasciarsi rimorchiare nel solco di una politica i cui sviluppi sono inevitabili, non prende essa l'iniziativa di un gesto amichevole nei confronti dell'Italia manifestando in tal modo, con un vero riflesso da grande Potenza, la sua volontà di promuovere lo sviluppo dei fattori necessari alla creazione di una pace solida?».

Il ministro mi è parso particolarmente colpito dalla mia richiesta, e dopo un istante di silenzio ha risposto che questa era precisamente la sua idea. «È assurdo -mi ha detto -che la Francia si adatti sempre a marciare in coda, sopratutto in questa circostanza ove avrebbe l'opportunità di marciare alla testa. Questa è la mia politica; ma purtroppo un uomo solo non può far tutto, e trovo degli ostacoli che però spero di poter superare. C'è ancora in Francia chi si attarda su concezioni superate e non vede la realtà delle cose. Le mie buone intenzioni nei confronti dell'Italia -ha detto il ministro -non saranno però arrestate, ma soltanto rallentate nella loro esecuzione da questa mentalità contraria ai veri interessi della stessa Francia. Del resto -ha aggiunto -penso che dovremo continuare a discutere di queste cose, e sono lieto di informarla che nella seconda quindicina di luglio ella sarà invitata a pranzo alla mia tavola al Quai d'Orsay».

Su questo invito, formulato nei termini più cordiali, si è concluso il colloquio che è durato circa quaranta minuti.

Il ministro, nel corso della conversazione ha voluto essere informato della situazione interna italiana, della situazione di Trieste, e ha fatto un accenno amichevole a voci che correvano al Quai d'Orsay sul mio desiderio di abbandonare l'ambasciata di Francia per coprire una carica politica in Italia. Naturalmente ho smentito queste voci dichiarando al ministro quanto stessero a cuore di tutti gli uomini politici italiani i rapporti tra i nostri due paesi, e la mia volontà di lavorare con tutte le mie forze al ristabilimento di una situazione di vera amicizia tra la Francia e l'Italia.

Il tono del colloquio è stato estremamente cordiale e ne riporto la convinzione che il ministro Bidault desidera sinceramente giungere nel più breve tempo ad un accordo sostanziale tra i nostri due paesi. A vendo gli fatto osservare che avevo l'impressione non volere la Francia definire la sua linea politica nei confronti dell'Italia prima dell'Assemblea Costituente, ha ribattuto nel modo più energico che questa non era la sua posizione, né quella del governo francese. Il ministro Bidault pensa al contrario che il problema dei rapporti franco-italiani è ormai maturo per essere avviato ad una definitiva soluzione.

312

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 3990/273. Roma, 6 luglio 1945, ore 13.

Suo telegramma n. 243 1•

Informi subito codesto ambasciatore Polonia che governo italiano deciderà oggi riconoscimento governo polacco di unità nazionale. Aggiunga che siamo particolarmente lieti riprendere e rinsaldare quei contatti tra i due Paesi che, del resto, erano stati nella misura del possibile già ristabiliti con reciproca soddisfazione sin dalla conclusione del noto accordo assistenziale 2 . Informi di quanto precede anche codesto governo e ponga in rilievo come, nonostante molte difficoltà, nostro atteggiamento nei confronti Varsavia è stato, ripeto, nella misura del possibile, obiettivo e realistico 3 .

313

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 6 luglio 1945.

l. Ho comunicato al ministro Hopkim~ che il Consiglio dei ministri discuterà stasera la questione del riconoscimento del governo polacco di Varsavia. Non vi era alcun dubbio che, dopo l'avvenuto riconoscimento da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, anche l'Italia avrebbe adottato immediatamente una iniziativa analoga.

2. L'ho informato che il ministro De Gasperi avrebbe oggi pregato il Consiglio di attendere a dare pubblica notizia dell'avvenuto riconoscimento che di esso fossero prima informate le ambasciate di Gran Bretagna e degli Stati Uniti, ciò che appunto, dietro sue istruzioni, facevo. Si rende conto che non ci è possibile agire altrimenti nei confronti della Polonia.

Gli ho chiesto notizia della procedura che avrebbe adottato il governo britannico nei riguardi del governo polacco di Londra. Mi dice che il suo governo considera, a quanto gli risulta, che il riconoscimento di Varsavia importa automaticamente il disconoscimento del governo polacco a Londra. La cosa avverrà dunque senza pubblicità e lentamente.

I Vedi D. 286.

2 Vedi D. 154.

3 Con T. 5572/468 del 9 luglio Quaroni assicurò di aver fatto la comunicazione prescritta all'ambasciatore di Polonia, il quale aveva espresso viva soddisfazione.

Gli ho fatto presente la delicatezza della questione per noi, in considerazione della presenza in Italia del corpo di spedizione polacco che oggi ammonta a 110.000 uomini bene armati ed equipaggiati.

Se ne rende conto. Mi informa che il generale Anders avrebbe comunque assicurato il maresciallo Alexander che la disciplina sarà mantenuta. È d'accordo sull'opportunità che sia da parte nostra menagée in qualche modo la situazione nei confronti del governo polacco di Londra e della sua rappresentanza a Roma, ad evitare incidenti sempre possibili e forse probabili.

Gli ho dato notizia delle discussioni in corso fra Polonia e Italia circa il carbone.

3. Ho fatto analoga comunicazione all'ambasciata degli Stati Uniti. Il consigliere Key ha ringraziato della comunicazione e ha molto apprezzato che essa gli sia stata fatta prima della sua diramazione alla stampa.

314

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 477/196. Mosca, 6 luglio 1945 (per. il 24).

Come ho già accennato a V.E. col mio rapporto n. 475/194 del 4 corr. 1 , sia dalla conversazione avuta con Vyshinsky, sia da sondaggi da me fatti in precedenza, sono dovuto venire alla conclusione che la> Russia non è, per il momento, favorevole alla ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite. Questo, del resto, è perfettamente in linea coll'orientamento ideologico della politica sovietica. L'organizzazione delle Nazioni Unite deve essere un'associazione di Paesi democratici, amanti della pace, e pronti però sempre a battersi per la pace e contro il fascismo in tutte le sue forme: per questo essa ha chiesto l'esclusione dei neutri per professione, Svezia e Svizzera, dei fascisti, Spagna e Portogallo, si è opposta alla ammissione dell' Argentina, ha ostacolato quella della Turchia. Noi siamo stati fascisti ed aggressori, abbiamo, è vero, cambiato strada, abbiamo dato delle prove evidenti della nostra conversione, ma stiamo ancora «sotto osservazione»: non possiamo essere ammessi fra le Nazioni Unite fino a che i nostri tutori non ci abbiano riconosciuti «guariti» dai mali passati. Questo vale per noi, come per gli altri Stati satelliti: essi non debbono domandare: sarà loro comunicato, quando le cose avranno maturato, che essi non si trovano più sotto interdetto.

Questo, come impostazione generale del problema: per quanto riguarda però specificatamente l'Italia, ci sono due altre ragioni principali che determinano l'atteggiamento dell'U.R.S.S.:

I Vedi D. 310.

1° Noi chiediamo l'ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite come riconoscimento dell'apporto della nuova Italia alla vittoria delle Nazioni Unite. Ma è evidente che noi vogliamo diventare una Nazione Unita, nella speranza logica che, una volta che lo siamo, il trattato di pace non ci potrà essere imposto come un diktat, ma dovrà essere liberamente discusso da noi e con noi. Ora è precisamente questo che la Russia non vuole. Qui non c'è né odio, né risentimento, né desiderio di vendetta verso l'Italia: c'è un freddo realistico calcolo politico. La politica italiana, pre-fascista e fascista, si è svolta su· linee che, in molti casi -principalmente nei Balcani e nell'Europa centrale -si sono scontrate con quelle che sono state le direttive tradizionali della politica russa, e che oggi, in seguito alla vittoria, la Russia si sente in grado di realizzare. Si può supporre che l'Italia, almeno come tale, non abbia oggi né la volontà, né le possibilità di riprendere questa sua politica, ma è meglio non correre rischi ed approfittare del fatto che l'Italia, avendo perduta la guerra, si trova alla mercé dei vincitori, per tagliarle le unghie ed assicurarsi realisticamente contro ogni possibile futura velleità italiana. Trasportata sul terreno ideologico, questa direttiva della politica russa, si definisce così: il trattato di pace deve essere la base conclusiva del periodo di espiazione, e dalla misura con cui questo trattato espiativo sarà accettato dall'Italia a «viso allegro» si giudicherà della sua conversione. Si noti che qui ci si rende perfettamente conto che il popolo italiano non si sente colpevole per il passato, ed è appunto questo che, in certo senso, preoccupa per l'avvenire. È inutile che aggiunga che in questo atteggiamento russo, lo scopo politico che si persegue è la realtà, la sua impostazione ideologica è soltanto l'etichetta.

2° Qui si segue con molta attenzione l'evoluzione del pensiero politico italiano, quale esso risulta attraverso la stampa: e vi si discernono chiaramente, come tendenze della maggioranza dei partiti politici, tre direttive: unione europea, protesta contro il sistema delle zone d'influenza, diffidenza verso il sistema del direttorio delle tre o quattro o cinque, come si vuole, grandi Potenze. Ossia tre direttive che sono nettamente in contrasto con le direttive della politica russa: se ne deduce quindi che l'Italia, una volta ammessa nei consigli delle Nazioni Unite, vi andrebbe a rafforzare il blocco, già considerevole, degli Stati che vi lavorano in senso non favorevole alle direttive russe. Ragione di più per tenervela fuori, almeno in questo periodo organizzativo in cui molto è ancora allo stato fluido.

Questo atteggiamento russo potrebbe, col tempo, essere modificato soltanto da una evoluzione, unanime, della stampa italiana, per quanto concerne i due gruppi di questioni, in senso più aderente alle direttive della politica russa, evoluzione impossibile in regime di libertà di stampa.

Questa la posizione della Russia in merito alla nostra ammissione fra le Nazioni Unite: naturalmente la Russia non impegnerà ima battaglia campale su questo argomento; e se Inghilterra, America, Francia e Cina dovessero dichiararsi fermamente favorevoli alla nostra ammissione, non è su di una questione come questa che essa impegnerà il suo diritto di veto.

Ciò premesso mi permetto di fare una domanda: conviene a noi insistere in questo momento per ottenere l'ammissione fra le Nazioni Unite? Mi rendo perfettamente conto del risentimento morale degli italiani per questa esclusione e della speranza che sembrerebbe permetterei la nostra ammissione. Mettendosi però sul terreno realistico, mi sembra vi siano alcune serie ragioni da addurre in contrario.

lo Io non so quale sia l'atteggiamento dell'Inghilterra e degli Stati Uniti in proposito; forse piuttosto favorevoli gli Stati Uniti, piuttosto sfavorevole l'Inghilterra. Ma è certo che dovremo contare su molte opposizioni oltre la Russia: probabilmente la Francia, certamente Jugoslavia, Grecia, Etiopia e con esse molte altre nazioni minori che per oltre venti anni noi abbiamo seccate. Non sono sicuro che, in Italia, ci si renda conto chiaramente di quanto un'atmosfera fra risentimento e disprezzo verso l'Italia sia diffusa nel mondo -qui assai meno che altrove -atmosfera che richiede molti anni di serio e paziente lavoro per essere modificata. La nostra domanda di ammissione, sarà aspramente discussa, ed in forma non sempre piacevole per il nostro amor proprio ed ha molte probabilità di essere respinta. Secondo me, sarebbe molto meglio, per la nostra dignità di Nazione, !imitarci a chiedere solo quello che siamo ragionevolmente sicuri di poter ottenere.

2° Il trattato di pace che ci sarà presentato alla firma sarà duro: su questo credo sia bene non farsi illusioni. Il popolo italiano, anche nella sua parte più colta ed intelligente, non mi sembra, a giudicare dalla stampa italiana, ci sia affatto preparato. Mi sembra che l'opinione pubblica italiana, a parte le franche e coraggiose dichiarazioni di Luigi Sturzo, non sia stata che assai poco preparata a riconoscere la dolorosa realtà che l'Italia avendo fatto l'errore di dichiarare la guerra a mezzo mondo, ci sono molti.Stati e governi i quali ritengono non si debba perdere una magnifica occasione per togliere di mezzo, per un periodo ragionevole di tempo almeno, la noiosa «incognita» della politica italiana.

Mi auguro che il trattato di pace sia meno duro di quanto io me lo aspetto, ma in ogni modo sarà molto e molto più duro di quanto non si aspetti l'opinione pubblica italiana. Cosa accadrà allora? Può essere pure che sia difficile trovare un Parlamento italiano il quale accetti di ratificare il trattato di pace, nel qual caso, dato che fossimo stati già ammessi fra le Nazioni Unite, dovremmo ritirarcene, o magari esserne cacciati. Ci terrà poi tanto un'opinione pubblica italiana, evidentemente e giustamente risentita per il trattamento fattoci -ed il risentimento sarà più forte proprio in quegli elementi che più hanno dato nella lotta contro fascisti e tedeschi -a sedere in una assemblea di Nazioni che l'hanno trattata così duramente?

3° A quali condizioni noi entreremmo a far parte delle Nazioni Unite? È evidente che se noi dovessimo entrarci oggi, non possiamo contare di entrarci che come piccola Potenza. Passato l'entusiasmo dei primi giorni, possiamo noi essere sicuri che l'opinione pubblica italiana non si risentirà di essere trattata alla pari del Paraguay o dell'Arabia Sa udita? Dovremmo subito, quindi, cominciare una lunga, noiosa e forse inutile lotta per ottenere una posizione migliore, analoga a quella svolta, per esempio, da Polonia e Spagna in seno all'antica Società delle Nazioni, lotta che polarizzerebbe e paralizzerebbe ogni nostra altra attività.

Ritardando invece la nostra ammissiOne, non è impossibile che la nostra situazione possa cambiare: parlo naturalmente della situazione giuridica, non di quella di fatto. Evidentemente, di grandi Potenze per diritto proprio non ci sono che l'U.R.S.S., gli Stati Uniti, e, fino ad un certo punto, l'Inghilterra: già la Francia è grande Potenza non per diritto proprio, ma per grazia altrui. La Cina ancora di più, per ora almeno. Ora non è detto affatto che la lista delle grandi Potenze, diciamo così di secondo grado, non debba estendersi: mi sembra anzi, come ho già riferito, di vedere già l'inizio di manovre altrui in questo senso. D'altra parte c'è già un gruppo di Potenze, capeggiato dal Canadà, che domanda venga definita la situazione di «media Potenza»: qualche cosa, in un senso o nell'altro, per forza delle circostanze, col tempo, sarà necessario di fare: e questo qualche cosa potrebbe permetterei di entrare fra le Nazioni Unite in una forma -senza inutili vanterie -più consona alla nostra dignità ed al nostro passato.

Oggi i Paesi contano soltanto per i cannoni e i carri armati che possono mettere in linea: sotto questo punto di vista noi non siamo e non possiamo essere che una piccolissima Potenza. Ma la guerra e la psicologia della guerra, sono pure destinate a passare: verrà un giorno in cui, accanto ai cannoni, ci saranno altri valori e principi un po' meno brutali che avranno il loro peso: quel giorno l'Italia, specialmente se sarà riuscita a mettere a posto le cose proprie, può avere un peso maggiore di quello che ha oggi.

Il governo italiano ha perfettamente ragione quando afferma, nella sua risoluzione, che l'organizzazione della pace non è possibile senza il contributo dell'Italia. Ma il guaio è che gli Stati e gli uomini che oggi ancora dirigono i destini del mondo non lo riconoscono: ai loro occhi, purtroppo adesso, l'Italia più che l'Italia è la questione italiana. Io ritengo che sarebbe molto meglio per noi attendere che la realtà dell'impossibilità dell'organizzazione della pace, senza il concorso dell'Italia, venga più generalmente riconosciuta. Riconoscimento che verrà tanto più presto quanto più presto noi saremo -come ha detto il governo italiano -col lavoro e colla concordia, riusciti a rimettere in piedi l'Italia, economicamente, moralmente e politicamente.

In altre parole, a me sembra sia più consono alla nostra dignità, e agli interessi del nostro Paese, attendere che ci venga chiesto di far parte delle Nazioni Unite, e di farne parte a condizioni consone a quello che l'Italia rappresenta, non come forza materiale, ma per le sue tradizioni e il suo passato, inteso questo senza inutili deformazioni o vanterie. Non è questo il momento più opportuno per citare i precedenti della politica tedesca. Ma, nel caso concreto, mi sembra che l'atteggiamento della Germania di Weimar, che non ha chiesto ma ha aspettato di essere richiesta di far parte della Società delle Nazioni, e ha poste le sue condizioni, potrebbe essere per l'Italia più degno e più conveniente.

Mi auguro sinceramente di sbagliarmi e di essere troppo pessimista nelle mie previsioni del futuro immediato dell'Italia. Avrei tuttavia ritenuto di mancare al mio dovere, non prospettando a V.E. il mio punto di vista su questa importante questione, pur sapendo che esso non coincide con quelle che, mi sembra almeno, siano le direttive della nostra politica.

315

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5522-5541/257-258. Washington, 7 luglio 1945, ore 18 (per. ore 17 del 9).

Suo telegramma n. 222 1•

In attesa sue istruzioni mi ero astenuto per le ragioni già esposte mio telegramma n. 205 2 dal chiedere Dipartimento di Stato fissazione udienza presso Truman. Appena decifrato telegramma suddetto giunto ieri nel pomeriggio mi sono subito dopo recato sottosegretario di Stato informandolo urgente comunicazione da fare al presidente. Grew mi ha detto purtroppo non era possibile più farmi avere udienza promessa a causa imminente partenza Truman (questi lascerebbe infatti Washington stanotte o domani).

Grew mi ha assicurato che governo Stati Uniti guarda con molto interesse all'Italia e tiene quotidianamente presenti suoi problemi come ha del resto ripetutamente dimostrato ultimi tempi. Il medesimo in questi giorni in vista incontro a tre aveva personalmente redatto per il presidente «col più vivo spirito di comprensione e di simpatia» alcuni memoriali riguardanti le questioni italiane.

L'ho pregato allora di voler anche far pervenire al presidente un mio memorandum preparato ieri sulle nostre principali questionj3. Mi ha detto che Truman lo avrebbe avuto certamente con sé e sarebbe stato tenuto presente. Ho colto occasione per ricordare formali assicurazioni avute da Phillips prima che egli lasciasse Dipartimento di Stato (mio telegramma n. 225) 4 per le quali ad ogni buon fine gli ho lasciato anche ringraziamenti scritti.

Ho pregato Grew fare a mio nome al presidente, in via preliminare e confidenziale, nota comunicazione che ho opportunamente illustrato con tutti gli argomenti indicatimi, accennando esplicitamente nostra volontà diretta ed attiva partecipazione.

Conformemente istruzioni gli ho fatto parola, in via strettamente confidenziale e senza precisi riferimenti, [della] «preoccupazione», indicata nel suo telegramma 221 5 . Gli ho quindi chiesto se Dipartimento di Stato riteneva poter dare indicazioni circa momento più utile e tempestivo per conferma ufficiale nostra iniziativa.

Grew mi ha risposto riteneva improbabile che, una volta compiuto nostro gesto, qualche Stato potesse assumersi responsabilità tentare di impedire all'Italia un'azione di solidarietà presso gli Stati Uniti d'America i quali avevano ormai chiaramente definito propria posizione approvando iniziativa italiana. Ad ogni modo egli avrebbe personalmente studiato incartamento relativo e qualora ne avesse tratto sufficienti prove che ogni dubbio sia infondato, perché adesioni ricevute sono esplicite, governo italiano avrebbe potuto dichiarare guerra subito al Giappone.

I Vedi D. 307. 2 Vedi D. 280. 3 Vedi Foreign Relations of the United States, The Conference of Ber/in ( Potsdam), 1945, Washin

gton, United States Government Printing Office, 1960, vol. I, pp. 695-699.

4 Vedi D. 290.

5 Vedi D. 308.

Qualora invece egli non fosse in grado di fare tale assicurazione, avrebbe consegnato incartamento con le proprie osservazioni a Byrnes affinché segretario di Stato, ove del caso, portasse la questione al Convegno dei Tre.

Urge pertanto farmi avere una risposta. Per parte mia ritengo dover nuovamente confermare considerazioni già esposte nel mio telegramma 1891 , non potendo escludere che Dipartimento di Stato, dopo esplicite dichiarazioni già fatte da Phillips e dato andamento assunto dalla questione, possa non desiderare impegnarsi ulteriormente ed assumere nuove responsabilità nei confronti nostri per facilitare un gesto che ritiene soprattutto rispondente ai nostri interessi.

316

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 7 luglio 1945.

Ho illustrato a mons. Montini gli ultimi sviluppi della situazione e le conversazioni in corso relative all'elaborazione di un trattato di pace con l'Italia.

Sarebbe ~ho sopratutto sottolineato -urgente ed estremamente importante se la Santa Sede volesse in questo momento prestarci ogni possibile aiuto e assistenza per fare in modo che la pace che ci sarà imposta sia una pace giusta.

Mons. Montini mi ha dato formale assicurazione in questo senso.

317

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

L. AC/45/8/LG. Roma, 8 luglio 1945.

The intention of your Government to cali together the Constituent Assembly at the earliest possible date, as evidenced by committing to one of the Vice Presidents of the Council of Ministers the task of preparing the requisite measures to this end, is a matter of the highest interest to the Allies, who have followed and will follow with the closest attention the progress towards this, the first democratic consultation of the people for so many years. I should accordingly value it if the Italian Government would, from time to time, keep me informed as to the development of their plans in this connection. The departments of the Government charged with the preparatory studies will no doubt formulate projects upon such

l Vedi D. 267.

matters as the franchise to be adopted and the disqualifications for voting that are to be applied, the electoral system to be adopted and the mechanism to be prescribed for the recording of votes.

It is my earnest desire that there should be the closest possible exchange of information and collaboration between your Government and the Allied Commission on ali such matters to the intent that our common desire and objective may be fully and speedily realized, namely, that the Italian people as a whole pronounce upon their future constitution under conditions of the greatest possible freedom, independence and authority.

318

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 5558/143-144-145-146. Parigi, 9 luglio 1945, ore 13,15 (per. ore 18 del 10).

Palewski, capo Gabinetto de Gaulle, durante pranzo da me offerto 7 corr. presso questa ambasciata cui assisteva ambasciatore U.R.S.S., mi ha confermato disposizioni favorevoli generale nei confronti Italia. La Francia, ha dichiarato, desidera vivamente che la Tripolitania rimanga all'Italia. In quanto altre colonie, ha aggiunto, voi non ignorate interessi che noi francesi abbiamo per Assab ma purtroppo definizione di questo problema non dipende più da voi italiani ma da Inghilterra.

Palewski si è espresso nei termini più lusinghieri per Couve de Murville. Peccato, ha concluso, che dovremo presto utilizzarlo per altra missione. Riferendosi al problema generale rapporti franco-italiani Palewski si è espresso in questi termini «L 'amitié franco-italienne c'est la vie». Senso di alcuni atteggiamenti francesi in questi ultimi tempi, anche quello che si riferisce rettifiche di frontiera, è stato snaturato da agenti provocatori. Gli ho accennato al nostro desiderio di giungere presto a pieno ristabilimento amicizia fra due Paesi.

«Voi vedrete de Gaulle -ha risposto Palewski -e udrete da lui quanto sia profonda in noi volontà di giungere ad accordo sostanziale». L'ho pregato di affrettare mio colloquio con generale e ne ho ottenuto formale assicurazione.

Concludendo colloquio Palewski ha dichiarato che per rompere definitivamente 'ultime perplessità di una parte opinione pubblica francese nuova Italia dovrebbe fare un gesto solenne di amicizia per Francia. Ho risposto accennando nostra rinunzia convenzione '96, fingendo interpretare sua richiesta trattarsi ormai di un gesto puramente simbolico.

Ritengo quindi che stampa italiana dovrebbe mettere in simpatica luce figura de Gaulle cui posizione è sempre fortissima e sottolineare l'importanza della Francia come fattore civiltà e progresso.

Riferisco per rapporto' su conversazione da me avuta nella stessa occasione con Bogomolov.

l Non pubblicato.

319

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5555/266. Mosca, 9 luglio 1945, ore 15,30 (per. ore 18 del 10).

Ho fatto comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 268 1 direttamente al primo ministro cinese in presenza questo ambasciatore di Cina. A vendo già in precedenza spiegato a questo ambasciatore Cina reale situazione nostre frontiere orientali e posizione governo italiano, spiegazioni che erano state riferite a Chung-King e che ho perciò potuto facilmente richiamare, ho toccato solo leggermente questione colonie poiché è noto a V.E. atteggiamento cinese su questioni coloniali in genere e ai fini del passo odierno ritenevo più opportuno evitare impressione che noi teniamo a restare potenza coloniale. Ho quindi posto questione seguenti termini: Italia è favorevole liquidazione generale sistemi coloniali nel senso indipendenza popoli soggetti; qualora pure tale soluzione non fosse accettata popolo italiano non meriterebbe umiliazione non gli fosse riconosciuto diritto partecipare anche in minima parte opera civilizzazione sviluppo popoli ancora arretrati.

Ho anche di mia iniziativa comunicato a primo ministro cinese dichiarazione Consiglio ministri di cui al telegramma di V.E. 259 2 , illustrandola come desiderio governo italiano concludere pace anche con Cina. Non so se comunicazione del genere sia stata fatta altrove a Cina: ho creduto ad ogni buon fine preferibile esser sicuro che non ci eravamo dimenticati di essere giuridicamente in guerra anche con Chung-King. Primo ministro e ambasciatore mi hanno assicurato che avrebbero immediatamente telegrafato a Chang Kai-Shek contenuto mia comunicazione. Hanno aggiunto che Cina ha sempre sostenuto in seno Consigli alleati necessità fare pace giusta e non di vendetta verso tutti nemici Giappone compreso: erano quindi sicuri che Chang Kai-Shek avrebbe dato corso nostra richiesta sia per la sua amicizia verso Italia sia anche perché logica conseguenza suoi principi; lo avrebbe fatto certamente con la necessaria urgenza poiché trattato di pace con l'Italia essendo primo del genere è destinato creare precedente, come a suo tempo armistizio italiano. Primo ministro, nel frattempo tanto era sicuro disposizioni generalissimo cinese, si riservava parlarne personalmente a Stalin suo prossimo colloquio. Ha terminato dicendomi che sangue che soldati italiani verseranno in Cina per causa libertà cinese costituirà migliore legame futura amicizia collaborazione due paesi. Avverto ad ogni buon fine che basandomi su testo telegramma di V.E. 1953, ho sempre detto ad ambasciatore Cina che nostra dichiarazione di guerra al Giappone non sarebbe stata semplice gesto ma che Italia intendeva partecipare guerra anche se solo con quei mezzi modesti che sue circostanze attuali permettevano.

Prego V.E. assicurarmi che ho correttamente inteso suo pensiero4 .

l Vedi D. 306. 2 Vedi D. 295, nota 4. 3 Vedi D. 235. 4 Per la risposta vedi D. 334.

320

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 9 luglio 1945.

l. Le relazioni diplomatiche con il governo polacco di Londra sono state ristabilite, all'atto della ripresa generale dei rapporti con tutte le Nazioni Unite, nel novembre 1944. Cioè quando non esisteva che il governo polacco di Londra. I polacchi di Lublino non erano allora che un comitato di liberazione non ancora costituitosi a governo e, quindi, non riconosciuto da alcuno, Russia compresa. È per conseguenza inesatto affermare che il nostro riconoscimento del governo di Londra possa aver costituito gesto ostile verso chicchessia.

2. -È perfettamente esatto che il governo di Londra nominò subito un incaricato d'affari a Roma. Non fu mai tuttavia nominato un rappresentante italiano a Londra, nonostante le pressioni perché ciò facessimo. È chiaro che codesto rappresentante non fu mai nominato sia per non fare atto che potesse essere interpretato sfavorevolmente dai Soviet (nel frattempo il comitato di Lublino si costituì infatti a governo provvisorio), sia perché era nostro convincimento sin da allora che un nuovo governo avrebbe dovuto costituirsi a Varsavia, come risultato di un compromesso fra le tre Grandi Potenze, come infatti avvenne. 3. -Il 28 aprile 1945 è stato firmato a Mosca fra il governo italiano e il governo polacco di Varsavia un accordo assistenziale 1 che, quantunque non implicasse un riconoscimento politico esplicito e dichiarato, pur tuttavia rappresentava in certo modo un riconoscimento de facto. Ciò indubbiamente costituiva il massimo sforzo che, nella nostra situazione armistiziale, fosse possibile compiere e suscitò infatti, da parte britannica e nord-americana, vivo allarme e insistenti e ripetute richieste di chiarimenti quasi sino alla vigilia della formazione del nuovo governo polacco di unità nazionale. L'allarme fu, ripeto, vivo, e le richieste insistenti. Ciò che dà l'esatta misura della portata politica di quella iniziativa. 4. -È perfettamente inesatto che i nostri rapporti col governo di Varsavia siano stati freddi. È vero invece che l'accordo assistenziale ha dato i frutti che da esso ci attendevamo, con vantaggio di oltre 100.000 italiani, fra militari e civili, che trovansi in territorio polacco. Ed è vero altresì che le nostre relazioni con Varsavia sono da molti mesi improntate alla maggiore cordialità e alla maggiore comprensione. Tanto è vero che la proposta di un accordo commerciale e di forniture di carbone ci è stata fatta ed è stata da noi accettata prima del riconoscimento anglo-americano e nostro del nuovo governo. 5. -È inesatto affermare che il riconoscimento italiano è avvenuto dopo il riconoscimento anglo-americano. È vero invece che esso ha avuto luogo-come è

t Vedi D. 154.

stato di proposito specificato nel comunicato ufficiale -contemporaneamente a quello anglo-americano.

Resta per conseguenza dimostrato:

l. che il riconoscimento italiano conserva tutto il suo valore anche sul terreno internazionale, in quanto strettamente connesso ai precedenti riassunti;

2. -che il ministero degli Esteri si è reso perfettamente conto della situazione e ne ha previsto gli sviluppi, orientandosi, decisamente, sin da molti mesi or sono, attraverso l'accordo assistenziale e i contatti stabiliti a Mosca fra Varsavia e Roma, verso la soluzione cui si è giunti or sono pochi giorni; - 4. -che, ripeto, data la nostra condizione armistiziale e la evidente necessità di non adottare una politica in deciso contrasto con l'America e la Gran Bretagna, esattamente nel momento in cui ci era estremamente necessario il loro appoggio alle nostre frontiere occidentale e orientale, almeno per controbilanciare l'appoggio sovietico a Tito, il ministero degli Esteri ha seguito in questi mesi nei confronti della questione polacca una politica realistica e lungimirante, che i fatti hanno dimostrato perfettamente adeguata alle circostanze.

Tutte le affermazioni di cui sopra possono essere documentate. Evidentemente la questione, esposta entro questo quadro, ha carattere riservato. È altresì evidente che questa politica è stata da noi seguita sia per ragioni specifiche italo-polacche, sia per ragioni generiche non meno importanti; di agire cioè ed operare tenendo conto anche degli interessi e del punto di vista sovietico in quelle regioni.

321

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 480/199. Mosca, 9 luglio 1945 1•

Col riconoscimento del nuovo governo polacco da parte dell'Inghilterra e degli Stati Uniti, si chiude una questione che, allo stato acuto ormai da oltre un anno, costituiva uno dei punti più gravi di attrito fra gli anglo-sassoni e l'U.R.S.S.

Ma la questione polacca non è per questo finita: per essere più esatti, bisognerebbe dire che si chiude una fase e se ne apre un'altra.

La prima avvisaglia della «seconda fase» è contenuta nei termini della comunicazione britannica per il riconoscimento, in cui si ricorda al governo polacco che esso si è impegnato ad indire delle libere elezioni con voto segreto ecc.: già nel corso delle ultime conversazioni di Mosca, i russi avevano proposto che il governo di nuova formazione venisse riconosciuto semplicemente come «governo polacco»,

l Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo.

gli americani non ne facevano una questione, gli inglesi hanno invece insistito perché venisse riconosciuto soltanto come «governo provvisorio polacco». Non so se il governo britannico abbia realmente intenzione di aprire una seconda fase della questione polacca: io temo però che essa si aprirà da sé, per il solo fatto della presenza materiale di un ambasciatore inglese a Varsavia.

La situazione interna in Polonia è tutt'altro che stabile: su questo è bene non farsi illusioni. Le organizzazioni militari alle dipendenze dell'ex governo di Londra sono soltanto passate dallo stato legale allo stato illegale, e cospiratori nati come sono i polacchi per tradizione più che secolare, continueranno ad esercitare la loro attività, di cui il processo Okulicki non ha rivelato che una minima parte. La Polonia è probabilmente uno dei paesi che, in tutti i sensi, ha più sofferto della guerra: la nuova Polonia ha, in potenza, gli elementi necessari per diventare uno Stato più omogeneo, più ricco e più solido della Polonia di prima: ma non può diventarlo che attraverso un lungo e difficile periodo di assestamento. L'attività, la buona volontà, la capacità del governo possono accelerare il processo, possono alleviare delle difficoltà, ma non eliminarle: anche la Polonia deve passare, e sta già passando, attraverso il periodo della «disillusione della liberazione», attraverso il quale passano tutti i paesi di Europa, più o meno. È inevitabile che in concreto questa disillusione si riversi sugli uomini che sono al governo: questo si rilevava già: adesso la speranza di tutti si concentrerà sugli uomini nuovi: siccome anche essi non possono fare dei miracoli, finiranno presto o tardi per essere pure essi coinvolti in questo sentimento di sfiducia.

La presenza in Polonia di truppe sovietiche, le ingerenze inevitabili delle autorità militari, le diffidenze e l'atteggiamento di amante geloso del governo sovietico creano altre difficoltà. Il precedente governo di Varsavia si trovava già nella delicata situazione di essere considerato troppo russo dai polacchi, e troppo polacco dai russi: gli uomini nuovi, specie Mikolajczyk e Stanczyk, che, in un certo senso, l'insistenza inglese per averli a far parte del governo, può aver già compromesso agli occhi dei russi, si trovano in condizione anche più difficile.

L'Inghilterra invierà probabilmente a Varsavia un diplomatico di carriera del suo tipo tradizionale. Ammettiamo anche che-il futuro ambasciatore d'Inghilterra sia animato dalle migliori intenzioni ed abbia le migliori istruzioni. Come persona, egli avrà ben poco in comune con la nuova classe dirigente, e tutto in comune con la vecchia: nella sua vita privata, sarà portato a stare più a contatto con i vecchi elementi, furiosi contro il nuovo regime perché ha portato via loro le terre, e che faranno di tutto per metterlo su contro il governo. D'altra parte, la sua sola presenza servirà da catalizzatore di tutte le forze che sono contro il presente governo e, più o meno in buona fede, contro la Russia. C'è pure sempre il pericolo che qualcuno, o anche molti degli uomini nuovi, scontento della sua posizione, pensi alla possibilità di giocare la carta inglese. Indipendentemente da quelle che possono essere le reazioni del governo polacco, ciò non può non destare i sospetti dei russi, sospetti che si manifesteranno in nuove ingerenze nella politica interna polacca. Questo se il nuovo ambasciatore inglese avrà istruzioni di non occuparsi degli affari interni polacchi: figuriamoci poi se le sue istruzioni non saranno proprio in questo senso o se è una persona che ha la tendenza a darsene.

È dunque da temere che assisteremo ad una nuova fase della questione polacca, meno appariscente, ma forse non meno acuta, la fase della lotta anglo-russa su linee di politica interna. Ho ritenuto mio dovere di segnalare a V.E. quanto pree:ede, in vista delle istruzioni che bisognerà dare al nostro rappresentante a Varsavia.

A me sembra che la questione polacca non è una questione che tocca i nostri interessi: in ogni caso non siamo in grado di farci niente. In sé e per sé, il nostro rappresentante a Varsavia non avrà una posizione di primo piano, quindi, poco importerebbe quello che fa e chi frequenta, ma può essere sempre sospettato dai russi di lavorare per conto dell'ambasciata inglese, e sopratutto sarà, fin dal primo giorno, sospettato dai russi di essere la longa manus del Vaticano: e il conflitto fra Russia e Vaticano, è, come spiegherò in apposito rapporto 1 , in realtà un conflitto per la Polonia, in primo luogo.

Mi rendo perfettamente conto che noi, essendo, anche per riconoscimento dei russi, nella zona d'influenza inglese, dobbiamo tener conto della politica inglese; mi rendo conto di quello che rappresenta il Vaticano nella vita italiana. Mi rendo anche conto della reazione che ci può essere in Italia per l'atteggiamento duro e poco comprensivo della Russia in quasi tutte le questioni che ci interessano, e la sensazione che si può essere creata che colla Russia non c'è niente da fare. Ma, a mia impressione, quale che sia la situazione attuale dei nostri rapporti con la Russia, mi sembra che ci convenga di non rompere i ponti con lei, e sopratutto di non irritarla inutilmente: certe incomprensioni passate sulla questione polacca ci hanno già fatto qui un danno non indifferente.

La politica russa verso l'Italia può cambiare: in ogni modo, ci piaccia o non ci piaccia la politica russa, quali che siano le nostre disposizioni ideologiche verso la Russia, ci sia la Russia più o meno amica, tutto questo non toglie che dobbiamo tener conto di un fatto reale: la Russia esce da questa guerra come la più grande potenza militare del mondo: nessuno, in Europa, può permettersi il lusso di ignorarlo e di non tenerne conto. E, salvo avvenimenti imprevisti e imprevedibili, il peso specifico e comparativo della forza russa è, nei prossimi anni, piuttosto destinato ad aumentare che a diminuire. Questo fatto può essere, per ragioni speciali e contingenti, non ben chiaro da Roma; ma da Mosca esso è fin troppo chiaro, e se noi non ce ne rendiamo conto a tempo, possiamo andare incontro a dei seri inconvenienti. Può essere, per molte ragioni, anche un fatto sgradevole, ma noi non ci possiamo far niente e dobbiamo accettarlo quale è.

Io comprendo e condivido le simpatie italiane per la sorte della Polonia. Ora la salvezza della Polonia è, secondo me, nella non ingerenza delle Potenze anglo-sassoni e occidentali nella politica estera della Polonia. I russi non fanno della politica estera ideologica, fanno della politica estera. Essi non vogliono instaurare in Polonia il comunismo, vogliono in Polonia un governo integralmente amico della Russia: se essi sono oggi contro i pilsudskiani e le classi sociali che li appoggiavano, non è per ragioni ideologiche, ma perché essi sono convinti che rappresentano una tradizione storico-politica di ostilità irriducibile alla Russia: hanno cercato di intendersi con loro, non ci sono riusciti. Sono venuti nella conclusione che bisogna toglierli di mezzo.

L'esistenza stessa della Polonia è ancora in pericolo e continuerà ad esserlo per qualche tempo, fino a che l'Europa è allo stato fluido, fino a che l'esercito

1 Vedi D. 331.

russo resta in Polonia. Durante questo periodo critico c'è una sola cosa che possa salvare la Polonia: fare una politica estera di assoluta lealtà e amicizia verso l'Unione Sovietica, senza giri di valzer in direzione opposta. Se essa lo farà, potrà svilupparsi in politica interna nelle sue linee naturali, che sono chiaramente un graduale rafforzarsi del partito agrario, orientato non certo all'estrema sinistra, potrà restare sicuramente e ardentemente cattolica quanto vuole. Se non lo farà, data l'importanza chiave della Polonia per la Russia, in tutto il suo sistema di «Stati amici», qualsiasi cosa può accadere. Una volta superati gli anni critici, molte cose potranno anche cambiare e non in Polonia soltanto.

I veri nemici della Polonia sono oggi quei polacchi che, in massima parte in buona fede, ~parano contro l'esercito rosso o contro gli uomini di Varsavia, e quegli Stati esteri che per ragioni più o meno altruistiche, vorrebbero vedere fare dalla Polonia una politica più «indipendente».

Sia nell'interesse nostro, sia per amicizia verso la Polonia, ritengo sia dovere di raccomandare una politica di amichevole neutralità nei riguardi del governo polacco, e che al nostro rappresentante a Varsavia siano date istruzioni precise in questo senso. Si può svolgere a Varsavia un'attività importantissima nel campo economico, con evidente immediato vantaggio del nostro paese assai più proficuo che non una parvenza di attività politica che non può che creare inconvenienti sia all'Italia, sia alla Polonia.

322

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5557-5595/263-264. Washington, IO luglio 1945, ore 1,05 (per. ore 10 del 12).

Miei telegrammi 257 e 258 1 .

Mi perviene ora la risposta del sottosegretario di Stato Grew alla nota da me fattagli sabato. Trascrivo integralmente testo di detta nota: «Con riferimento alla nostra conversazione di ieri nella quale ella mi ha informato decisione governo italiano dichiarare guerra al Giappone, non ho bisogno di assicurarla che questa notizia sarà salutata con soddisfazione (greeted with approva[) dal popolo americano.

Il momento dell'annunzio è naturalmente questione che spetta decidere al governo italiano. Governo britannico francese e sovietico, che sono già stati informati approvazione americana alla intenzione italiana di dichiarare la guerra al Giappone non vi hanno posto alcuna obiezione e governo americano naturalmente spera verrà fatto quanto prima (at an early date)».

Come ella rileverà Grew ha voluto ritenere decisa la nostra dichiarazione di guerra al Giappone. E ciò perché già da vari mesi Dipartimento di Stato conosceva

l Vedi D. 315.

disposizioni governo italiano in massima favorevoli a tale intervento e le aveva patrocinate a Londra e altrove con la propria azione diplomatica. Per parte mia riterrei ormai assolutamente inopportuni ulteriori precisazioni o chiarimenti su nostre posizioni nella questione giacché rischieremmo seriamente raffreddamento o addirittura annullamento disposizioni U.S.A. nei nostri confronti. Circa momento annunzio ufficiale dichiarazione di guerra, Dipartimento di Stato pur !asciandoci libertà di azione esprime avviso che esso avvenga al più presto.

D'altra parte è evidente che America [vista] assicurazione già data (miei telegrammi 224 e 225) 1 ritiene già posizione profilasi favorevole. Grew quindi non ha ritenuto accennare alla «connessione» (di cui al telegramma di V.E. n. 222)2•

Dopo ricevuta comunicazione di Grew questa ambasciata si è rimessa in contatto con Dipartimento di Stato facendo presente questione «connessione».

È stato risposto quanto segue:

l) Il governo italiano è certamente consapevole della costante iniziativa di Washington [circa] alleggerimenti situazione Italia dopo l'armistizio e dell'interessamento svolto nella questione della Venezia Giulia e dei confini nei riguardi Tito.

2) Stati Uniti America desiderano sinceramente aiutare l'Italia a risollevarsi riacquistando pertanto la posizione internazionale che le spetta.

3) Evidentemente l'Italia si attenda che il futuro le comporterà dei sacrifici dolorosi. Stati Uniti che debbono decidere [avvenire] Italia non possono impedirli integralmente; peraltro è da tener presente che l'Italia avrà la possibilità di discutere le condizioni della pace e di impostare i suoi punti di vista (mio telegramma 225) perché tale è il desiderio degli Stati Uniti d'America.

4) La nostra tempestiva dichiarazione di guerra al Giappone rientra, nel pensiero del Dipartimento di Stato, entro questo quadro. Per raggiungere il suo più utile effetto essa dovrebbe aver luogo prima del Convegno dei Tre: ciò si è fatto già chiaramente intendere con la nota dichiarazione Phillips (mio telegramma 224) nonché con la comunicazione Grew. Delegazione americana a Berlino ne trarrebbe infatti partito sia per sue intenzioni che nella sua azione eventuale decisione di massima meno pregiudizievole per noi. Questa azione iniziata nel convegno dei Tre continuerebbe poi nell'opera redazione definitiva trattato di pace e per quanto concerne punti di vista sulle singole questioni che [intende] sottoporre.

Nel dire quanto precede al segretariato di Stato degli Affari Esteri si è apertamente affermato che a Washington non [si comprendono] esitazioni italiane nel compiere subito un gesto che corrisponde secondo il pensiero americano ai nostri interessi. Si è espresso avviso che nostra iniziativa non dovrebbe attendere oltre ed al riguardo si è manifestato desiderio di almeno conoscere la data della nostra eventuale dichiarazione per poter preparare qui quanto necessario ed informarne il presidente degli Stati Uniti e la delegazione americana a Berlino.

Richiamo su quanto precede l'urgente considerazione di V.E.

I Vedi D. 290. 2 Vedi D. 307.

323

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5602/269. Mosca, IO luglio 1945, ore 21,35 (per. ore 7,40 del 12).

Telegramma di V.E. 278 1 .

l) Data suscettibilità questo governo, sarebbe opportuno che della nostra dichiarazione di guerra al Giappone informassimo preventivamente, ossia almeno 24 ore prima comunicato ufficiale, anche governo sovietico.

2) A precisazione mio telegramma 227 2 osservo che migliore valutazione Italia da parte U.R.S.S. è subordinata a fatto che noi partecipiamo effettivamente guerra contro Giappone con alleati e con forze militari navali aeree nostre in modo che ciò possa significare inizio rinascita Italia come Potenza militare, sia pure di proporzioni modeste ed inizio larghi aiuti americani per ricostruzione nostro potenziale economico. Qui Stati vengono considerati solo in proporzione loro potenziale militare ed economico. Qualora invece nostra dichiarazione di guerra a Giappone dovesse avere valore puramente simbolico essa non (ripeto non) avrebbe nessuna influenza su valutazione russa Italia. Per mia norma linguaggio e per chiarire illustrare nostro atteggiamento mi sarebbe necessario essere informato su intenzioni e previsioni governo italiano 3 .

3) Sono portato ritenere che anche questo governo sia stato consultato per elaborazione progetto pace con Italia, la tendenza sovietica è per una pace punitiva ma farà possibile per farne ricadere responsabilità su altri.

324

IL CAPO DI GABINETTO, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATO. Roma, IO luglio 1945.

Il presidente Parri ha telefonato, in via riservata, pregando di comunicare al ministro De Gasperi che egli ravvisa l'utilità di formulare un invito ufficiale al presidente Truman di recarsi in Italia quale nostro ospite durante il viaggio di andata o di ritorno da Potsdam.

I Vedi D. 309. 2 Vedi D. 250. 3 Per la risposta vedi D. 333.

Il presidente prega quindi il ministro De Gasperi di effettuare gli opportuni sondaggi presso l'ambasciatore Kirk per accertare quale sia il pensiero suo e del suo governo. Nel caso affermativo sarebbe necessario far comunicare con la massima urgenza l'invito al presidente Truman 1 il quale è in procinto di imbarcarsi, se non si è già imbarcato, per il viaggio in Europa. Il presidente Parri attende con urgenza la risposta.

325

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5596/269. Washington, 11 luglio 1945, ore 1,22 (per. ore IO del 12).

Mio telegramma 264 2 .

Reber (vice direttore Affari Politici Europei) mi ha detto stasera di sua iniziativa che è «di straordinaria importanza per Italia e per l'amichevole atteggiamento del Dipartimento di Stato in nostro favore che dichiarazione di guerra al Giappone avvenga subito e cioè prima del Convegno Berlino». Anche Dowling commenda nel modo più caldo stesso consiglio.

326

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. SEGRETO 5633/151. Parigi, 11 luglio 1945, ore 17,30 (per. ore 17,15 del 12).

Ora che truppe francesi si sono completamente ritirate da territori italiani permanenza anche in misura minima di un irredentismo francese in quelle regioni indebolirebbe notevole resistenza che desideriamo opporre a qualsiasi richiesta rettifica frontiera franco-italiana che il governo francese si propone di avanzare.

Mi permetto pertanto suggerire che subdola azione svolta in quei territori da truppe francesi di occupazione venga oggi con molta saggezza controbattuta e sopratutto smascherata, senza peraltro dar luogo a rappresaglie o vendette che potrebbero provocare risentimento rinfocolare un irredentismo oggi affatto inesistente. Ciò naturalmente non dovrà dare però prova di debolezza, ma al contrario, di giusta fermezza.

l Vedi D. 329. 2 Vedi D. 322.

327

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5646/270. Washington, 11 luglio 1945, ore 20,50 (per. ore 17,15 del 13).

Mio telegramma n. 264 1 . Con riferimento punto 3) del telegramma suindicato, in conversazioni confidenziali avute oggi al Dipartimento di Stato si è appreso quanto segue:

l) A Berlino i Tre dovrebbero decidere se concludere pace con l'Italia ed in caso affermativo line generali questioni più importanti. Redazione definitiva trattato di pace avverrà successivamente secondo procedura indicata nei miei telegrammi n. 177, 225, 228 2 : specialmente si prevede soluzione questione comporterà un certo tempo.

2) Da confidenze avute memoriali accennati da Grew (mio telegramma 257) 3 che presidente e Byrnes portano seco a Berlino, concernono questione Venezia Giulia, Alto Adige, rivendicazioni territoriali francesi, colonie italiane. Non è stato fino ad ora possibile avere elementi su pareri espressi da Dipartimento di Stato in quanto presidente si è riservato prendere sue decisioni al Convegno Berlino. (Ed a tale riguardo è stata esplicitamente rilevata da parte americana benefica influenza che potrebbe esercitare nostra tempestiva dichiarazione di guerra al Giappone).

3) Da stessa fonte è stato accennato decisione circa cessione Dodecanneso alla Grecia. Richiamo in proposito anche mio telegramma n. 227.

4) È stato sostanzialmente ripetuto da parte americana quanto già riferito coi telegrammi n. 136, 1444 , 177, 178,227, circa vedute britanniche su sistemazione colonie italiane tranne per quanto concerne confidenze fatte da questi ambienti britannici circa eventuale partecipazione a trusteeship in Africa Orientale. Sono state del pari confermate pretese etiopiche su Eritrea.

328

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5621/274. Washington. 11 luglio 1945 (per. ore 13,30 del 12).

Mio telegramma n. 2641 e telegramma stampa odierno n. 205 .

Oggi al Dipartimento di Stato ho cercato di accertare eventuale fondamento notizie stampa visita presidente degli Stati Uniti Italia. Ho sondato anche terreno

l Vedi D. 322. 2 Vedi DD. 258, 290 e 292. 3 Vedi D. 315. 4 T. 4208/136-141 del 31 maggio e T. segreto 4199/144 del 2 giugno, non pubblicati. 5 T. stampa 5623/20, non pubblicato.

in via incidentale, a titolo confidenziale e strettamente personale, su possibilità eventuale incontro con presidente del O;msiglio e V.E. Questo accenno è stato accolto con simpatia ed interesse. Mi si è quindi detto che presidente poco prima della partenza aveva informato dirigenti Dipartimento di Stato che egli, compatibilmente con possibilità pratiche e durata della Conferenza a Tre, si riservava personalmente di decidere suo programma ed accettare qualche invito che gli fosse rivolto per visita paesi Europa occidentale dopo Conferenza Berlino. Era peraltro esclusa, almeno per il momento, possibilità di un invito da parte francese, essendo già stabilito in massima che de Gaulle sarebbe venuto qui, siccome sua richiesta, nel mese agosto. Richiamo su quanto precede considerazione facendo presente peraltro che eventuale iniziativa in tal senso non può non essere anche collegata argomenti mio telegramma citato 264. Qualora decisione fosse affermativa, potrei approfondire sondaggi presso Dipartimento di Stato e in caso favorevole dovrei essere in grado trasmettere subito invito ufficiale opportunamente redatto per visita Italia o richiesta per intervista in località che il presidente preferisse.

Intanto, nel pensiero che ho constatato venuta a Roma di Truman potrebbe essere facilitata da suggerimento visita Sommo Pontefice. Ne intratterrò confidenzialmente domani questo delegato apostolico 1 .

329

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 311129. Roma, 11 luglio 1945.

Abbiamo pregato l'ambasciatore Tarchiani 2 di voler comunicare ufficialmente e d'urgenza al Dipartimento di Stato, perché a sua volta ne informi subito il presidente Truman che il governo italiano sarebbe particolarmente lieto se il presidente stesso, durante il suo soggiorno in Europa, volesse trovar modo di accogliere l'invito che con estrema cordialità il presidente Parri gli rivolge di trascorrere in Italia, come nostro ospite, quel qualunque periodo che egli avesse disponibile.

La visita potrebbe aver luogo a Roma, o, se ciò non fosse possibile, in quella qualunque località che meglio potrà adattarsi all'itinerario del viaggio, alla stagione, ai desideri del presidente.

È superfluo le dica, caro ambasciatore, con quale animo amichevole il governo italiano ha rivolto l'invito stesso e con quale grata simpatia ne accoglierebbe l'accettazione. Certo, sarebbe, nel nostro pensiero, un'occasione più che mai propizia perché il presidente possa rendersi conto della profonda amicizia che lega il popolo

1 Con T. s.n.d. urgente 5647/275, partito alle 20,43 dello stesso Il luglio, Tarchiani comunicò: «Questo delegato apostolico mi ha stamane assicurato che avrebbe subito telegrafato alla Segreteria di Stato di Sua Santità suggerendo e raccomandando vivamente un invito presidente Truman di visitare Sommo Pontefice. Egli ritiene che non potranno sorgere difficoltà per circostanza che segretario di Stato è passato dal cattolicesimo al protestantesimo».

2 T. urgentissimo 4113/233 dell'Il luglio, non pubblicato.

italiano a quello nordamericano e darebbe a noi per la prima volta la possibilità di esprimere direttamente alla più alta autorità degli Stati Uniti la nostra riconoscenza per tutto quello che dobbiamo al suo Paese e le nostre speranze per l'avvenire.

Ella ricorda d'altra parte certamente che il primo ministro Churchill fu, or è qualche mese, già in Italia ed i benefici effetti che da quella visita risultarono 1•

Ho comunque voluto subito informarla della nostra iniziativa anche perché ella voglia, con la sua abituale cortesia e comprensione, appoggiarla in tutti quei modi che le parranno opportuni.

330

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5684/282. Washington, 12 luglio 1945, ore 20,29 (per. ore 18 del 13).

Miei telegrammi 274, 275 2 e 28P.

Al Dipartimento di Stato nel desiderio realizzare possibilità scambi vedute personali fra il presidente degli Stati Uniti ed esponenti nostro governo, si è consigliato a questa ambasciata, in linea strettamente confidenziale ed amichevole, di avanzare eventuali proposte subordinate che presidente Parri e V.E. possano in incognito recarsi incontrare Truman in località estero di sua convenienza, se impegni di quest'ultimo non gli consentissero assolutamente venire in Italia. Data necessità di far presto ho accolto consiglio ed ho rimesso a Grew una nota nella quale dopo aver insistito su tutta la importanza che Nazione italiana ripone effettuazione visita presidente in Italia ed aver nuovamente raccomandato nostro invito (che egli del resto approva ed appoggia), ho anche avanzato -in via subordinata -suggerimento suddetto, beninteso a titolo del tutto personale.

Prego V.E. telegrafarmi sue urgenti istruzioni per mia norma di azione 4 .

331

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 502/214. Mosca, 12 luglio 1945 (per. il 26).

Attiro l'attenzione di V.E. sull'articolo a firma Melnikov e intitolato «Il Vaticano e i problemi dell'organizzazione post-bellica», pubblicato nel numero 3 della rivista Tempi Nuovi, già. trasmessa a codesto Ministero.

1 Vedi serie decima, vol. I, DD. 346, 353, 365.

2 Vedi D. 328 e nota l p. 442 allo stesso.

3 T. urgentissimo 5705/281, pari data: presentazione a Grew dell'invito ufficiale del governo italiano a Truman a recarsi in Italia.

4 Vedi D. 345.

V.E., del resto, sa meglio di me, come per la stampa e per la radio russa, non passi, si può dire, giorno, senza un attacco più o meno violento contro il Vaticano. Sia l'Osservatore Romano, che la stampa cattolica italiana, almeno da quel poco che ne vedo, rispondono a questa campagna, come se si trattasse di una campagna antireligiosa, e ne traggono le conseguenze, sia per quanto concerne la Russia, che per qualche altro paese, di insincerità del nuovo atteggiamento dei comunisti verso la religione.

Se si tratta di un atteggiamento dei comunisti verso la religione, di politica interna italiana, è una questione che non mi riguarda. Ma se questo atteggiamento è invece assunto in buona fede, devo far rilevare che l'atteggiamento del governo russo verso il Vaticano è dettato da ragioni di politica estera e non religiosa: in altre parole, il governo sovietico attacca il Vaticano, perché la politica estera del Vaticano, specialmente in Polonia, è contraria alla politica estera sovietica.

Io non so se e fino a che punto il Vaticano si rende conto che tutta la insistenza antivaticana della Russia è conseguenza, in primissimo luogo, della politica della Santa Sede in Polonia. Probabilmente c'è ignoranza da tutte e due le parti. La Santa Sede, meno ancora di tanti altri governi e persone, non si è ancora resa conto di come le cose siano cambiate e di come la Russia faccia non la politica mondiale del comunismo, ma la politica estera mondiale e imperiale della Russia. Essa pensa quindi, in buona fede, che osteggiando la Russia, combatte il comunismo, quale elemento distruttore della religione. Egualmente, da parte russa, non si comprende e non si vuoi comprendere questo elemento puramente religioso dell'atteggiamento vaticano, e vi si vuoi vedere soltanto la politica estera antirussa di un ente internazionale. Ma questo non toglie che il fatto resta. I russi ed i polacchi si rendono perfettamente conto, i secondi più che i primi, dell'importanza della religione cattolica in Polonia, ed hanno, finora, fatto tutto il possibile per non prenderla di fronte -vedi legge sulla riforma agraria -: evidentemente essi vorrebbero evitare che agli altri guai della Polonia si dovesse aggiungere una lotta religiosa. Ma ci sono dei limiti alla tolleranza dei polacchi e soprattutto dei russi.

La stampa sovietica ha pubblicato una dichiarazione della Santa Sede secondo cui e'ssa avrebbe dichiarato che continua a riconoscere il governo polacco di Londra. Se la notizia è vera, è una vera e propria dichiarazione di guerra, le cui conseguenze possono essere assai pericolose per la sorte della religione cattolica in Polonia. Il governo polacco di Londra, ed i suoi elementi in Polonia, si sono irrigiditi su di una linea politica che, quali che ne siano le ragioni e i principi, è una politica antirussa. Se la Santa Sede si schiera a favore del governo di Londra, il clero polacco dovrà seguirla. Il clero cattolico in Polonia diventerà, quindi, un elemento, forse un elemento principale, della lotta contro la politica di amicizia verso l'U.R.S.S.. I russi, quindi, ed il governo polacco con loro, dovranno iniziare la lotta a fondo contro il clero cattolico. Nel mio rapporto n .... 1 ho già accennato ai pericoli che questa lotta può significare per l'esistenza della stessa Polonia: lo stesso vale per la religione cattolica in Polonia. E quello che ho detto per la Polonia, può valere per l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Croazia e la Slovenia; in una parola, per tutti gli Stati e le regioni cattoliche della zona d'influenza russa.

Tutti quelli che sono stati in Polonia, hanno potuto constatare che c'è risentimento forte fra i polacchi -e anche fra il basso clero polacco -per il fatto che

l Il numero manca.

la Santa Sede avrebbe consentito a sostituire, nella Polonia occidentale su richiesta dei tedeschi, vescovi polacchi con vescovi tedeschi. Mi si dice che c'è, in Croazia, forte risentimento per l'atteggiamento dell'alto clero cattolico verso il governo di Pavelic, e manifestazioni analoghe in Slovenia. Non so fino a che punto questo sia vero e so in ogni modo che, anche se vero, le ragioni ne sono ben altre che quelle che gli ambienti ostili sogliono addurre. Ma, quale che sia la realtà, non bisognerà chiudere gli occhi al fatto che questo risentimento esiste, la propaganda ostile ne fa capitale, e la propaganda prende piede.

Io considero questa situazione molto pericolosa per la stabilità del mondo cattolico. La reazione russa, il giorno che si sarà persuasa che col Vaticano non c'è niente da fare, non prenderà forme violente di persecuzione antireligiosa, ma forme più sottili e più pericolose. In Jugoslavia sarà la propaganda per la conversione all'ortodossia, in Cecoslovacchia si punterà sui ricordi hussiti e sui fratelli moravi, in Ungheria sui calvinisti: in Polonia e altrove si cercherà di incoraggiare separazioni e scissioni e, diciamolo pure francamente, dovunque si possono trovare persone più o meno oneste, disposte a prestarsi al gioco: e saranno poi loro a perseguitare e opprimere i cattolici rimasti fedeli: le conseguenze possono essere imprevedibili.

Il Vaticano lavora sub specie aeternitatis: in molti casi ha avuto ragione: ma non bisogna anche dimenticare un caso in cui una «lotta di frati» non compresa a tempo, ha avuto delle conseguenze che durano tuttora. Oggi, ma per poco, è ancora possibile evitare tutta questa confusione, con un atteggiamento dei cleri locali, non contrario alla politica estera russa, più o meno ufficialmente dettato, e con l'eliminazione di qualche personalità più compromessa: domani può essere troppo tardi: e una volta messa in movimento la lotta, essa non si frenerà più. La rinascita della Chiesa ortodossa russa, con la sua tradizione antilatina, rende il problema, da parte sovietica, più complesso che all'epoca della lotta antireligiosa. Il cav. Messeri, sta, per mio incarico, preparando un lungo studio su tutti gli aspetti di questa complessa questione, che invierò a V.E. appena esso sarà stato ultimato. È quindi altrettanto almeno come cattolico che come ambasciatore di Italia che ritengo però mio dovere di segnalare a V.E. l'aspetto politico urgente del problema dei rapporti U.R.S.S.-Vaticano.

332

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOL't.JTA 4191-4216/238. Roma, 13 luglio 1945, ore 17.

Suo 264 1 .

In data odierna ho dato telegrafiche istruzion.i R. ministro Stoccolma 2 pregare governo svedese, che ha protezione nostri interessi in Giappone, notificare immediatamente al governo nipponico che l'Italia si considera in stato di guerra col

l Vedi D. 322. 2 T. s.n.d. 4192/161, non pubplicato.

Giappone a partire dal giorno 15 (quindici) luglio corrente. Dichiarazione guerra è motivata dal proposito estendere al conflitto contro il regime di aggressione nipponico quella stessa piena solidarietà con le Nazioni Unite e principalmente con gli Stati Uniti d'America e con la Cina, già dimostrata nella guerra contro l'aggressore tedesco in Europa dal popolo italiano.

Sino al giorno 15, data in cui verrà da parte nostra diramata a mezzo comunicato ufficiale, notizia sarà tenuta segreta.

Nell'informare immediatamente codesto governo di quanto precede, ella vorrà una volta ancora ufficialmente riaffermare nostro proposito che partecipazione italiana al conflitto sia effettiva.

Ella voglia esprimere a nome del governo e nei termini più caldi, nostra vivissima soddisfazione poter compiere un concreto gesto di solidarietà verso gli Stati Uniti che sarà indubbiamente apprezzato dal popolo nordamericano con lo stesso spirito di profonda amicizia col quale esso è da parte nostra compiuto.

Ringrazi ancora una volta Dipartimento di Stato per connessione che ha inteso stabilire fra nostra dichiarazione di guerra al Giappone e azione che si prepara a svolgere per alleggerire condizioni pace italiana, sia nel convegno a Tre, sia nelle discussioni susseguenti. La nostra riconoscenza è viva e profonda.

Riassumo in breve il nostro pensiero;

È certo che un diktat che ci fosse imposto stroncherebbe, umiliandolo e esautorandolo, ogni possibilità di ordinato sviluppo governo democratico con tutti effetti connessi e conseguenti. Prima fondamentale necessità dovrebbe dunque essere questa: liberazione dall'armistizio e riabilitazione internazionale che ci permetta di intervenire attivamente discussioni di pace che ci riguardano.

Ho appreso con estremo interesse e soddisfazione assicurazione datale Dipartimento di Stato che Stati Uniti sostengono appunto questa tesi: che l'Italia abbia cioè possibilità discutere e esporre suo punto di vista preventivamente. Su questa assicurazione contiamo. Come del resto sull'altra, altrettanto importante, che Stati Uniti non apporranno propria firma a trattato di pace che giudicheranno iniquo od ingiusto 1•

Ci giungono peraltro da Londra ulteriori indicazioni su propositi britannici di pace «destinata a suscitare in Italia inevitabile impopolarità e contrasti nei confronti Gran Bretagna, in ragione dei sacrifici, finanziari e territoriali, che comporterebbe».

Sono presso a poco stesse parole dette a suo tempo da Cadogan a Carandini 2 .

Ora se quell'azione che Stati Uniti si propongono svolgere in favore nostro dovesse trovare ostacolo e difficoltà di questo genere, faccia sapere codesto governo a nostro nome (in conformità del resto a quanto già ebbi occasione di dirle con mio telegramma n. 213)3 che preferiremmo di molto soluzioni provvisorie che lascino aperte questioni più controverse (Venezia Giulia, colonie, flotta).

È questa una strada di attesa e di prudenza cui saremmo estremamente grati a codesto governo se volesse, occorrendo, orientarsi e che darebbe a noi possibilità di rimontare la corrente, una volta raggiunta in via generica nostra riabilitazione internazionale, e al tempo e all'evoluzione degli avvenimenti europei in generale e

l Vedi D. 290. 2 Vedi D. 275. 3 Vedi D. 297.

balcanici in particolare, possibilità di lavorare-come speriamo ed è probabilea nostro favore e a favore di più lungimirante e costruttiva sistemazione europea.

Tenga presente che Vyshinsky ha posto esplicitamente a Quaroni domanda «se governo italiano fosse disposto a concludere trattato di pace che lasciasse in sospeso alcune questioni territoriali cui soluzione potrebbe essere difficile» 1 . E che gli è stato risposto che si aveva ragione di supporre che, pur desiderando equa soluzione di tutti problemi che ci toccano, avremmo tuttavia preferito trattato di pace anche incompleto, pur di essere subito internazionalmente riabilitati.

Sebbene tendenza sovietica sia, secondo Quaroni, per pace punitiva, è questa peraltro indicazione utile, di cui è bene codesto governo sia al corrente 2 .

333

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOLUTA 4211/290. Roma, 13 luglio 1945, ore 18.

Suo 269 3 .

Informi subito codesto governo che abbiamo in data odierna pregato governo svedese notificare ufficialmente e immediatamente a Tokio che Italia si considera in stato di guerra col Giappone a partire dal giorno 15 (quindici) luglio corrente. Notizia sarà mantenuta segreta sino al giorno indicato e sarà quindi diramata a mezzo comunicato ufficiale. Motivazione dichiarazione di guerra è proposito italiano affermare contro regime aggressione nipponico quella stessa solidarietà con le Nazioni Unite che venne attuata dal popolo italiano contro l'aggressione tedesca in Europa.

Preciso che è nostro intendimento partecipare alla guerra attivamente.

Nostra effettiva partecipazione è peraltro strettamente connessa alle decisioni che potranno essere in proposito adottate dagli anglo-americani. Sia a Londra che a Washington nostro proposito è stato comunque esplicitamente e ripetutamente riaffermato.

È bene ella sappia che, secondo il pensiero del governo nordamericano, nostra dichiarazione di guerra al Giappone rientra nel quadro generale di quell'azione che Washington si propone di svolgere a favore nostro sia nell'imminente convegno a tre sia nelle conversazioni che lo seguiranno.

Illustri, la prego, nostra attuale iniziativa, di cui abbiamo voluto informare governo sovietico alla stessa data in cui ne informiamo Washington e Londra, in quei termini e forme che varranno a darle, a suo giudizio, luce e rilievo più favorevoli.

I Vedi D. 310. 2 Della decisione italiana di dichiarare guerra al Giappone furono informati in pari data Carandini

(T. s.n.d. 4212/246) e Saragat (T.s.n.d. 4215/84). La seconda parte di questo telegramma (da «Ringrazi ancora una volta ... ») fu inviata anche a Londra e Mosca con lo stesso numero 4216 e la seguente istruzione: «Agisca da parte sua in conformità queste direttive e orientamenti».

3 Vedi D. 323.

334

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 4214/291. Roma, 13 luglio 1945, ore 24.

Suo 266 1• Faccia subito anche codesto ambasciatore Cina comunicazione analoga quella per governo sovietico di cui al mio telegramma odierno 2 .

Ponga in rilievo che dichiarazione guerra che sarà presentata Tokio menziona esplicitamente Cina come una delle Nazioni verso la quale insieme agli Stati Uniti è in modo particolare rivolto nostro gesto solidarietà.

Sottolinei nostro fermo intendimento partecipare guerra attivamente. Come Chang Kai-Shek sa vi è stata in passato una fruttuosa collaborazione italo-cinese in materia di aeronautica militare. Si potrebbe riprenderla subito sopra tutto attraverso l'invio di piloti, se accorressero. Ciò naturalmente è questione a parte, che non riguarda partecipazione militare vera e propria, che è in discussione e in esame.

Sta bene quanto ella ha detto al primo ministro cinese. Mi richiamo per il resto mio telegramma per Washington di cui le invio a parte testo 3 e ov'ella troverà più precisi orientamenti4 .

335

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5745/278. Mosca, 14 luglio 1945, ore 1,40 (per. ore IO del 15).

A telegramma di V.E. 278 5 .

Ho informato Lozovski che dichiarazione guerra al Giappone da parte dell'Italia è molto probabile. Richiesto circa data gli ho detto che ciò dipendeva da conversazioni in corso, specialmente Washington, su questo argomento ed altri connessi. Lozovski subito interessato mi ha chiesto su che cosa vertessero conversazioni Washington. Ritenendo più utile non dare nessun particolare ho risposto di non essere informato, di sapere solo che nostra partecipazione guerra Giappone

' Vedi D. 319. 2 Vedi D. 333. 3 Vedi D. 332, nota 2 p. 447. 4 Per la risposta vedi D. 354. 5 Vedi D. 309.

era vista con molto favore da Stati Uniti e approvata da Inghilterra. Ha mostrato una certa sorpresa su quest'ultimo punto e mi ha chiesto se ne fossi proprio sicuro: ho risposto affermativamente. A sua richiesta gli ho detto di ritenere che nostro intervento non sarebbe stato soltanto sulla carta ma effettivo nella misura modesta in cui ~ostre circostanze ce lo permettevano. Lozovski non ha fatto commenti ma nel complesso mi è sembrato questa volta abbastanza interessato alla questione.

336

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5776-5780/285-286. Washington, 14 luglio 1945, ore 20,26 (per. ore 18 del 16).

Suo 238 1•

Appena ricevuto telegramma su indicato nella tarda serata di ieri ho informato Grew, a casa sua, della nostra decisione. Egli mi ha manifestato sua viva soddisfazione.

Stamane prima pervenisse telegramma successivo, gli ho portato al Dipartimento di Stato nota scritta redatta sulla base di tutti gli elementi comunicatimi 2 . Dopo aver letto la mia nota segretario di Stato reggente mi ha detto che si felicitava per il fortunate event e che era ben lieto del nostro gesto.

Ho insistito su desiderio italiano dare effettivo contributo militare al trionfo causa comune. L'ho ringraziato per interesse da lui manifestato personalmente per nostra iniziativa, cui, come poteva constatare, governo italiano aveva corrisposto con slancio nell'intento rafforzare sempre maggiormente legami amicizia con U.S.A. e loro buone disposizioni verso Italia. Grew mi ha risposto che avremmo sempre potuto contare su suoi naturali spontanei sentimenti amicizia per l'Italia.

Nel mio colloquio con Grew ho colto occasione nostra dichiarazione guerra Giappone per rilevare grande opportunità effettuazione visita Truman in Italia che dopo prova inappellabile dell'amicizia italiana verso U.S.A. darebbe maggior vigore solidarietà itala-americana. Grew mi ha riaffermato interessamento confermando che nostro invito accompagnato da sua lettera al presidente erano subito partiti e sarebbero tempestivamente a destinazione. Da altra fonte del Dipartimento di Stato ho avuto conferma che Grew aveva espresso propria «speranza» che presidente accettasse invito recarsi in Italia.

l Vedi D. 332. 2 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 962-963.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MIGONE

TELESPR. RISERVATO 11 /12782/c. Roma, 14 luglio 1945.

(Per Washington) Telegrammi di codesta ambasciata n. 136, 141 e 144 del 1° e 2 corrente1 e telegramma di questo ministero n. 213 del 29 corr. 2 .

(Per Londra) Telegrammi di questo ministero n. 3194 del 9 corr. 3 e n. 228 del 29 cor.2

Si è provveduto ad esaminare attentamente quanto comunicato dall'ambasciatore a Washington coi telegrammi citati in riferimento e, per quell'azione che le riuscisse possibile di svolgere, in relazione ai noti progetti di pace con l'Italia, si ha il pregio di esporle le considerazioni che seguono:

l) Nella nostra politica estera tradizionale dal Risorgimento in poi, abbiamo sempre considerato le nostre colonie e la nostra attività coloniale non come una causa di attriti, anzi al contrario come un terreno di collaborazione amichevole con la Gran Bretagna e con le Potenze occidentali in genere. Siamo andati a Massaua nel 1885, per suggerimento di Londra; siamo andati in Somalia per sventare i tentativi germanici di affermarsi colà; siamo andati in Libia mediante gli accordi con la Gran Bretagna e la Francia che segnarono, nel 1901-1904, l'inizio della nostra adesione all'Entente prima dell'altra guerra mondiale (vedi telespresso

n. Segr. Poi. 541 e studio allegato) 4 . A tale politica noi siamo fermamente decisi di tornare; e perciò siamo intanto sinceramente desiderosi che la questione attuale delle nostre colonie sia oggetto, possibilmente, di un ampio e amichevole esame e ciò sarà tanto meglio se fatto d'intesa e col benevolo appoggio dei governi di Londra e Washington.

2) Nell'esame della questione delle colonie italiane bisogna anzitutto tener presente che, per noi, le colonie sono particolarmente valutate in relazione alla nostra emigrazione, tanto più che l'Italia non solo non può assorbire i molti italiani stabiliti nell'ultimo cinquantennio nei suoi territori coloniali, ma deve anzi attendere nel dopoguerra a potenziare al massimo grado la sua emigrazione. Si aggiunga che l'emigrazione italiana nelle nostre colonie è il risultato di parecchi decenni di sacrifici finanziari e di lavoro svolti in condizioni di ambiente fisico spesso assai sfavorevoli.

3) Le nostre colonie non sono costruzioni politiche recenti che sia facile diversamente rimaneggiare. S'intende che la soluzione da noi auspicata sarebbe il

1 T. 4208/136-141 del [0 giugno e T. segreto 4199/144 del 2 giugno, non pubblicati. 2 T. s.n.d. 3832/213 (Washington) 228 (Londra) del 29 giugno, non pubblicato. 3 Vedi D. 298, nota 2 p. 401. 4 Non pubblicato.

ripristino della nostra sovranità sulle colonie nei limiti dello status quo anteriore alla guerra etiopica. Se tuttavia l'eventuale negoziato cui vivamente ci auguriamo di giungere, avesse bisogno di elementi di souplesse, parrebbe conveniente ricercarli piuttosto nella «intensità» della nostra sovranità sulle colonie anziché nei limiti territoriali di queste. In altri termini, se ci venissero fatte difficoltà contro il ripristino dello status quo sarebbe preferibile per noi accettare per qualcuna delle nostre colonie o per determinate regioni di esse il trusteeship, anziché addivenire a cessioni territoriali.

4) La Libia non è soltanto un problema africano. Uno spostamento della sovranità a nostro danno in quei territori implicherebbe una modifica dell'equilibrio del Mediterraneo: ciò che non può essere indifferente per nessuno. Noi, beninteso, teniamo (e in maniera fondamentale) alla Libia, che, come è noto, è, per leggi vigenti, parte del territorio nazionale, divisa in provincie come il rimanente dell'Italia peninsulare. Essa era abitata nel 1939 da 118.718 italiani su di un totale di 800 mila abitanti, percentuale altissima se si tiene conto che il resto della popolazione è composto di genti assai diverse: arabi, berberi, ebrei indigeni, negri sudanesi, ecc. La Libia ha svolto, nel complesso dell'emigrazione italiana nel bacino del Mediterraneo una sua particolare funzione in quanto, mentre nel 1911 gli italiani di Libia costituivano la più piccola comunità italiana nei territori dell'Africa e del Levante, oggi essi rappresentano la più numerosa comunità di connazionali in quei territori. Della Libia, la parte che più si presta alla colonizzazione è quella orientale, come è provato dal fatto che nella sola Cirenaica erano stabiliti 65 mila italiani. Una documentazione sulla colonizzazione della Cirenaica è stata inviata a codesta ambasciata (vedi telespresso n. Segr. Poi. 74/c. del 27 gennaio u.s.) 1 , ed è anche in possesso del Dipartimento di Stato che l'aveva richiesta. Da parte britannica, dopo quanto avvenuto negli anni scorsi, si vede con una certa diffidenza la nostra presenza in Cirenaica; da ciò la tendenza inglese ad estrometterei attraverso concessioni all'Egitto ed ai Senussi, concessioni che, anche indipendentemente dal danno che ce ne deriva, provocherebbero il rapido declino di una regione da noi già avviata verso un effettivo progresso economico e civile.

Per quanto si riferisce ai Senussi è da chiarire che essi non sono un gruppo di popolazioni, ma una confraternita religiosa mussulmana (non da tutti ritenuta ortodossa), che ha la sua sede nelle oasi del deserto libico tra l'Egitto, la Cirenaica e il Sahara francese. Essi hanno un lungo passato di lotte e di accordi, successivamente con francesi, inglesi ed italiani. La questione senussita era stata risolta dall'Italia nello spirito più largo nel 1920 con il noto accordo che attribuiva ai Senussi l'amministrazione delle oasi del deserto libico nelle quali la confraternita ha le sue sedi. Questo accordo non ha poi funzionato, anche per le discordie interne degli stessi Senussi. Comunque, poiché, come si è accennato, l'atteggiamento inglese sembra dettato soprattutto da considerazioni di ordine strategico, converrebbe ricercare se alla questione non potrebbe essere data una soluzione che tenga soprattutto conto di tali apprensioni: a parte il fatto che nella nuova organizzazione per la sicurezza dovrebbe risultare sensibilmente ridotta la possibilità di aggressione,

l Non pubblicato.

l'Italia non sarebbe aliena dal dare ulteriori garanzie locali. Queste garanzie locali potrebbero essere concordate riprendendo l'antica partizione geografica della Libia in Tripolitania, Cirenaica e Marmarica e dando alla Marmarica (che si differenzia per aspetto fisico e per l'importanza del suo porto di Tobruk, dal finitimo altipiano cirenaico) un particolare regime internazionalmente concordato che potrebbe anche estendersi ai cosidetti luoghi santi senussiti. La proposta non dovrebbe trovare sfavorevole accoglimento: il porto di Tobruk è forse destinato ad aumentare d'importanza in seguito al nuovo regime che sarà stabilito per gli Stretti. In tal modo l'altopiano cirenaico che è essenziale per la colonizzazione italiana resterebbe all'Italia come campo aperto alla nostra emigrazione, mentre tra la Cirenaica e l'Egitto verrebbe costituito un territorio comprendente la zona costiera di interesse militare e quella interna delle sedi senussite.

5) L'Eritrea è talmente legata alla storia dell'Italia per eventi tristi e lieti che la Nazione italiana sentirebbe duramente un sacrificio di quella colonia. E tanto più grave ciò sarebbe se i sacrifici dovessero esserci imposti in favore dell'Etiopia e cioè non soltanto come durissima umiliazione nostra, ma anche con sicuro danno del territorio così sacrificato che sarebbe destinato a sicuro decadimento, dopo un cinquantennio di nostra opera civilizzatrice (vi sono 72 mila italiani su 600 mila abitanti). Tale umiliazione sarebbe poi anche immeritata se si tiene conto di quel che noi abbiamo fatto e speso in Eritrea per dotarla di una attrezzatura moderna, che può anche essere ulteriormente ampliata con sicuro vantaggio per lo sviluppo economico di quella parte dell'Africa.

6) Per quanto si riferisce allo «sbocco al mare» a favore dell'Etiopia, cui si è ventilata l'idea di cedere Assab, è da tener presente che l'Etiopia è un paese di montanari che in nessun periodo della sua storia, almeno dal Medioevo in poi, ha avuto un proprio sbocco al mare. La zona costiera del Mar Rosso è abitata da popolazioni che non sono abissine, ma somale e dancale differenti dagli abissini per religione (mussulmana), lingua, razza. La questione dello sbocco al mare dell'Etiopia se intesa come cessione territoriale, implicherebbe quindi, oltre tutto, la soggezione a quello Stato africano di popolazioni che non ne hanno mai fatto parte. D'altra parte vi sono molti paesi che non hanno un proprio sbocco al mare pur avendo un commercio estero assai superiore a quello dell'Etiopia. Se invece lo sbocco al mare va inteso dal punto di vista economico, ricordiamo che l'Italia è il solo Stato confinante con l'Etiopia che sin dal 1928 le ha concesso, a seguito del trattato di amicizia, una zona franca nel porto di Assab. Tale trattato prevedeva la costruzione di una camionabile da Assab a Dessié, camionabile che abbiamo costruito tra il 1936 ed il 1940. Siamo pronti ad offrire ad Assab le più larghe facilitazioni all'Etiopia.

7) La Somalia italiana, colonia di carattere tropicale, ha comparativamente assai più progredito civilmente che le finitime regioni abitate egualmente da somali e soggette alla sovranità di altri Stati. Se tuttavia si intendesse costituire, come fatto cenno nel telegramma dell'ambasciatore Tarchiani, un gruppo di trusteeships dei territori somali: Somalia britannica, Somalia francese, Ogaden etiopico, Somalia italiana compreso l'oltre Giuba che è abitato da popolazioni somale, noi saremmo anche disposti ad accettare tale trusteeship per il territorio attualmente di nostra pertinenza e a collaborare cordialmente in tale campo.

Naturalmente premessa indispensabile a far valere il nostro punto di vista e le nostre ragioni, e quindi primo risultato che dobbiamo cercare di ottenere, è che la questione non venga decisa al di fuori di noi, ma con noi amichevolmente esaminata.

Per quanto si riferisce alla nostra opera di valorizzazione coloniale si richiama ad ogni buon fine l'allegato al telespresso n. Segr. Poi. 300/c. (per Londra) e Segr. Poi. 272 (per Washington) 1 di cui si fa riserva di trasmettere quanto prima vari esemplari in lingua inglese 2 .

338

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. RISERVATO 506 /218. Mosca, 14 luglio 1945 (per. il 30).

Telespresso ministeriale n. 15/8944/c. del 16 giugno u.s. 3 .

Non mi sento di condividere l'opinione espressa dal signor Dowling circa il relativo esaurimento della Russia. È esatto che lo sforzo della Russia è stato enorme, che le vittime umane, dirette ed indirette, della guerra ammontano a cifre vertiginose, che le distruzioni compiute dall'invasore sono state enormi, ed il lavoro di ricostruzione non procede con quella rapidità e con quel successo che si tende a far credere. È vero anche che il popolo russo è stanco della guerra, delle privazioni, ed aspira soltanto ad un po' di pace e di benessere. Ma quando da tutto questo si fa la deduzione del relativo esaurimento della Russia, il signor Dowling e tutti quanti quelli che pensano come lui, e sono molti, commettono l'errore di ragionare in termini americani, o, se si vuole, europei e non in termini russi; ossia, se gli Stati Uniti avessero sofferto e perduto quello che la Russia ha sofferto e perduto, si troverebbero in uno stato di relativo esaurimento che influirebbe sulla loro politica estera, in Russia il caso è differente.

Si dimentica che il popolo russo è da anni, da secoli, abituato a sopportare quello che nessun altro popolo avrebbe la capacità di sopportare; la maniera spietata e completa con cui la dittatura di Stalin lo tiene in mano, l'ondata di nazionalismo intenso che ha pervaso tutta la nazione dall'alto al basso, l'ubriacatura della vittoria, tanto più sentita in quanto da oltre un secolo la Russia non aveva che delusioni e sconfitte.

A mio avviso, ci sono due cose sole, che nel futuro prossimo prevedibile, potrebbero sensibilmente diminuire la potenza russa. Una è che Stalin, per ragioni teoriche, abbandoni la tendenza che ho chiamato «esercito», e nella quale la grande maggioranza del Paese è con lui, per orientarsi verso la tendenza «partito». L'altra

l Si tratta di una pubblicazione illustrativa sulle colonie italiane.

2 Un telespresso dal contenuto analogo a questo, assai più succinto, venne inviato il 18 luglio a Parigi col n. 13206.

3 Comunicazione del D. 232.

è la morte di Stalin che provocherebbe la crisi inevitabile di ogni paese in cui tutto è accentrato nelle mani di una persona sola, che non ammette intorno a sé che personalità di secondo piano, sottomessi, anche se abili, esecutori della sua volontà, nulla lascia prevedere oggi la prima eventualità, la seconda è nella mani di Dio.

Ma se l'una o l'altra delle due eventualità non deve verificarsi, la potenza e la volontà di potenza della Russia non sono, a mio avviso, destinate a diminuire. Stalin si fermerà soltanto là, dove e quando sentirà di provocare, procedendo oltre, un conflitto armato con l'America.

La forza reale ed effettiva dei due mondi, anglosassone e russo, può essere differentemente stimata. Ma c'è un elemento assai importante che pesa a favore della Russia. Se domani Stalin lo vuole, può dichiarare la guerra all'Inghilterra od all'America, o a tutte e due, trascinando con sé esercito e popolo senza una reazione seria, senza bisogno di preparazione psicologica, di consultazioni, di preavvisi. Per Truman e per Churchill o per il suo successore la cosa sarebbe assai più difficile e problematica.

339

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 509/221. Mosca, 14 luglio 1945 (per. il 28).

V.E. ha già rilevato da mie varie comunicazioni, le buone disposizioni generiche della Cina verso di noi. Esse sono dettate da ricordi di una passata amicizia italiana verso Chang Kai-Shek personalmente, dall'attitudine generale di tolleranza e di equilibrio della politica cinese, ma anche, e vorrei dire soprattutto, dalla situazione particolare della Cina.

Non sono molti anni che l'Italia ebbe a sostenere una lotta abbastanza aspra per far mandar giù all'Inghilterra, ed agli Stati Uniti l'elevazione della nostra legazione in Cina ad ambasciata 1• Poi, di colpo, la Cina si è trovata bombardata «Grande Potenza» alla pari con l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la Russia.

A dire il vero, almeno a quanto posso giudicare di qui, questa inattesa promozione non ha ancora dato alla testa ai cinesi: questo ambasciatore di Cina continua a parlare con un certo humour della posizione di «Grande Potenza» della Cina. Consci della realtà della situazione, i cinesi cercano disperatamente qualche Paese, non dei minori, che sia disposto a prenderla abbastanza sul serio: e l'Italia, che, come che sia, ha in Cina e in Asia in generale, una posizione di prestigio un po' superiore a quella di tanti altri Stati minori d'Europa, sembra, ai cinesi, il Paese psicologicamente più adatto. La posizione odierna della Cina ricorda, sotto molti aspetti, la posizione dell'Italia dopo l'altra guerra, quando, diventata «Grande Potenza» per cortesia, cercava disperatamente dei Paesi che fossero disposti a pigliarla sul serio.

1 Vedi serie settima, vol. XVI, D. 13.

Ma anche tenuto conto dello spirito di saggia filosofia dei cinesi, anche essi hanno la loro suscettibilità e questo stato di cose per cui, dopo ormai due anni, noi, avendo coperto tanti posti, non abbiamo ancora trovato nemmeno un incaricato d'affari da mandare in Cina, urta la sensibilità cinese. Se noi non vi provvediamo, e presto, finiranno per prendersela a male e le buone disposizioni che esistono, e che, in un momento come questo, per poco che valgano, non bisogna disprezzare, possono dileguarsi e allora dovremo andare a mendicare quello che oggi ci viene offerto.

Oltre a ciò, nello sviluppo della politica mondiale, l'Oriente, sia Medio che Estremo, è destinato ad avere una parte sempre più grande; e Chung King specialmente adesso che l'asse di gravità della guerra si sposta verso l'Estremo Oriente, è destinato a diventare un posto di osservazione di primo ordine. In questi difficili momenti, in cui la nostra politica estera è una navigazione pericolosa fra gli scogli, è di assoluta, vitale importanza per noi potere valutare esattamente i rapporti di potenza fra i «Tre Grandi» e i loro sviluppi in un avvenire prevedibile. Ora, finché noi non avremo nel Medio ed Estremo Oriente qualche rappresentante veramente intelligente e capace, la nostra valutazione sarà imperfetta, perché ci sfuggiranno degli elementi che oggi e in un prossimo avvenire hanno, nella politica mondiale, una importanza maggiore che non gli elementi europei.

Negli avvenimenti del giugno 1940, in quanto errore di valutazione delle reali possibilità delle forze contrapposte, ha avuto importanza grande, se non decisiva, il fatto che noi, nonostante la tanto vantata politica imperiale, conoscevamo solo l'Europa, e quella stessa non tutta bene, e ignoravamo il resto del mondo. È un errore che ci è costato caro assai e bisogna che almeno ne tiriamo le conseguenze: la politica di oggi non è più europea ma mondiale anzi assai più extraeuropea che europea e se non vogliamo ricadere in altri errori fatali, bisogna che impariamo a conoscere il mondo e le forze che sono in gioco in tutti i continenti.

Mi rendo conto di tante difficoltà materiali che ci impacciano, ma bisogna però che noi pensiamo anche che, nel mondo di oggi allo stato fluido, le occasioni si presentano un momento e sfuggono, e spesso, col tempo che ci vuole per esaurire una pratica secondo le tradizionali regole burocratiche l'occasione è passata, la situazione è già un'altra.

Per quanto concerne il finanziamento dell'ambasciata in Cina, ho dato corso per debito d'ufficio alla richiesta di V.E., di cui al telegramma n. 226 1 , ma in sé la cosa è assurda. Per quali ragioni noi dovremmo spendere, sia pure in lire italiane, per l'ambasciata in Cina venti volte di più di quanto ci costerebbe in dollari U.S.A. in biglietti di banca?

So che il governo italiano non ha dollari, ma so anche che in Italia si possono trovare dollari, in biglietti di banca, sul mercato nero, pagandoli solo due o tre volte di più del loro valore nominale. Ora mi sembra ci converrebbe di più acquistare ogni mese 1000-1500 dollari U.S.A. sul mercato nero pagandoli quello che costano, e mandarli per corriere a Chung-King, che pagare i dollari cinesi venti volte di più di quanto ci verrebbero a costare avvantaggiandosi del mercato nero cinese.

I Vedi D. 265.

So che proporre all'amministrazione degli Esteri una duplice operazione di mercato nero è andare contro tutte le tradizioni: ma dovrà pure venire un giorno in cui, in casi come questo, noi ci rendiamo conto che non si può sempre andare avanti a forza di precedenti.

Come che sia, ritengo mio dovere insistere presso V.E. sulla urgente necessità di inviare in Cina subito un incaricato d'affari ed al più presto un ambasciatore: non è possibile, per lungo tempo, ottenere risultati seri per vie indirette, per quanto influenti esse possano essere.

340

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. URGENTE 4260/244. Roma, 15 luglio 1945, ore 12.

Voglia inoltrare urgenza presidente Truman seguente messaggio del presidente del Consiglio:

«Nel giorno in cui la nuova Italia democratica dichiara guerra al Giappone, desidero esprimerle nostra unanime profonda soddisfazione per l'operante solidarietà che ci stringe ormai col vostro paese e cogli Alleati dall'Europa all'Estremo Oriente. Che il nostro allineamento con le Nazioni Unite contro il Giappone coincida col Convegno di Postdam è per tutti gli italiani ragione di fede e di speranza in quell'avvenire di giustizia di cui ella è, signor presidente, l'interprete più alto ed efficace. Accolga, al momento del suo arrivo in Europa, i voti più cordiali e più caldi del governo e del popolo italiani. Ferruccio Parri».

341

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 3/1152 1• Roma, 16 luglio 1945.

Le trasmetto qui accluso il testo della dichiarazione 2 dell'Il corrente che il Consiglio dei ministri ha approvato nella seduta in merito alle direttive che il governo italiano intende adottare nei confronti dei cittadini del Regno di lingua diversa da quella italiana. Alla dichiarazione segue un impegno circa l'autonomia locale che verrà concessa alla Val d'Aosta.

1 Analoghe lettere vennero inviate in pari data a Stone e Charles. 2 Non si pubblica.

Non occorre ch'io le sottolinei che i principi adottati dal Consiglio dei ministri costituiscono un solenne impegno nei confronti dei cittadini italiani di tutte le stirpi e di tutte le regioni, impegno che troverà la sua concreta espressione giuridica nelle leggi che sanciranno l'ordinamento democratico della nuova Italia.

La dichiarazione del governo, come lei constaterà, prevede non solo la tutela dei diritti individuali di libertà, ma anche quella dei diritti pubblici di tutti i cittadini, garantita da opportuni istituti politici e amministrativi. Essa è stata fatta nello stesso spirito di libertà per cui sono scese in campo le Nazioni Unite e sono certo che sarà pertanto accolta con favore dall'opinione pubblica di tutti i Paesi veramente democratici.

Ma soprattutto vorrei aggiungere che i principi approvati dal Consiglio dei ministri, conformemente alla più alta tradizione giuridica italiana, vogliono costituire -e ritengo costituiscano di fatto -un contributo concreto a quella equa e pacifica soluzione dei problemi relativi alle zone di frontiera del Regno che, sono· certo, è desiderata dal governo degli Stati Uniti non meno che dal governo italiano.

342

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 523/222. Mosca, 16 luglio 1945 (per. il 2 agosto).

Mi riferisco al telespresso di V.E. n. 15/9078/93 1• Ringrazio V.E. dei chiarimenti fornitimi col telespresso sopra citato, e delle informazioni di Washington e di Londra inviatemi con i due ultimi corrieri.

Per quanto mi concerne, non posso che confermare e sottolineare quanto riferiscono gli ambasciatori a Londra e a Washington, sulla necessità di valutare con molta cautela le assicurazioni formali dei due governi, quando si tratta di questioni in cui essi vengono a trovarsi in contrasto con gli interessi russi.

In tutte le questioni in cui gli interessi russi e anglo-sassoni si sono trovati in contrasto, la politica russa è stata sempre identica. Fatto compiuto, accompagnato da una violenta campagna di stampa e di propaganda, sia all'interno che all'estero, diretta a dimostrare che il fatto compiuto non è un fatto compiuto, ma una soluzione della questione conforme, secondo i casi, al vero spirito degli accordi intervenuti fra gli alleati, al desiderio dei popoli, ai veri principi democratici, agli interessi della pace e che, chi vi si oppone è un fascista, un sabotatore della collaborazione fra le grandi Nazioni Unite, premessa indispensabile per il mantenimento della pace etc.

Di fronte a questa offensiva Londra e Washington cominciano coll'asserire una tesi opposta, altrettanto intransigente; accusano, più o meno apertamente, l'U.R.S.S. o i suoi satelliti, di mala fede. Intanto i negoziatori anglo-americani

I Vedi D. 245.

avanzano delle soluzioni di compromesso che i negoziatori sovtetlct respingono sdegnosamente, appoggiandosi al rispetto necessario del grande principio che, nel caso singolo si è creduto di mettere avanti. I negoziatori anglo-americani rispondono con nuovi progetti di compromesso sempre più favorevoli alla tesi russa. Quando i russi si sono accorti di aver portato i loro opponenti al massimo delle concessioni possibili in quel momento, si passa all'ultima fase, il contatto personale con Stalin. E Stalin, ottimo figliuolo, fa qualche concessione che i suoi negoziatori avevano aspramente rifiutato, l'accordo è raggiunto e tutti si dichiarano soddisfatti. Se il protagonista dell'ultima fase è stato un inglese, cosa abbastanza rara del resto, si dice che in politica bisogna essere realisti; se il protagonista è un americano si mette soprattutto in rilievo l'opera personale di Roosevelt, di Hopkins o di Harriman, secondo i casi, che sa così bene trattare con Stalin, in cui Stalin ha tanta fiducia, che può ottenere da lui tutto quello che vuole. Poi, sulla stessa questione, dopo qualche tempo, i russi ricominciano da capo, generalmente in tema di interpretazione degli accordi ultimi. Il caso polacco è tipico di questo sistema di negoziazioni, e non è stato e non sarà il solo.

Non ho il minimo dubbio sulle ottime intenzioni degli americani verso l'Italia, in generale, e la questione della Venezia Giulia, in particolare: ma dubito molto delle loro capacità e volontà di realizzare queste buone intenzioni. L'atteggiamento inglese è già molto meno deciso, e questo è già di per se stesso un fatto che alla lunga finirà per influire molto sulla decisione del Dipartimento di Stato. lo penso che Truman ha molte volte ragione quando dice (telespresso di V.E. n. 9839/c.) 1 che sono illusioni le speranze britanniche di potere efficacemente controbattere l'influenza dell'U.R.S.S. in Jugoslavia. Purtroppo già gli inglesi pensano diversamente, o, per lo meno, non vogliono rinunciare senza avere tentato l'impossibile per arrivarci, a spese nostre. I russi, da parte loro, terranno duro, sia direttamente, sia, più probabilmente, continuando a far agire Tito.

Se gli Stati Uniti si impuntano veramente, e là e dove si impunteranno, possono riuscire a trascinare dietro gli inglesi, e certamente i russi cederanno: ma quando si decideranno a farlo? Un miglioramento indubbiamente c'è. Dopo la capitolazione della Germania, gli americani hanno un po' tenuto duro, i russi hanno fatto delle concessioni e soprattutto nelle questioni nuove, Trieste e provincie orientali turche, hanno adottato una tattica più prudente e tale da permettere maggiori ritirate.

In tutti gli ambienti americani di qui, giornalistici, militari e diplomatici, l'opinione è, si può, dire, unanime: la politica americana di «accordo ad ogni costo» con l'U.R.S.S., nella sua applicazione pratica di mollare dappertutto, non fa che incoraggiare i russi ad avanzare sempre maggiori pretese. Sono tutti più o meno unanimi nel condannare la condotta di Harriman che, a torto o a ragione, viene considerato uno dei principali esponenti di questa politica: e pongono molte speranze in Truman che, meno legato ai precedenti della politica di Roosevelt e più realista, sarebbe propenso a mostrare ai russi una mano dura. Resta a vedere se questo è vero e fino a che punto. L'essersi fatto accompagnare a Potsdam da Davies non mi sembra un sintomo molto incoraggiante.

I Non pubblicato.

In pratica, guardando la realtà delle cose, come essa appare da Mosca, m1 sembra, per quanto ci concerne, si debba arrivare alle seguenti conclusioni:

l) L'impegno degli Alleati di mettere tutto il territorio italiano al 1939 sotto amministrazione militare alleata dovrebbe essere considerato ormai come un pezzo di carta e nulla più. Può essere che inglesi ed americani fossero in buona fede quando ci hanno dato le assicurazioni suddette: oggi, nella situazione creatasi, è fuori delle loro possibilità di realizzarle. È possibile, secondo me, che se al momento della capitolazione della Germania, Alexander avesse fatto puramente e semplicemente marciare le sue truppe contro quelle di Tito, non sarebbe accaduto proprio niente, né da parte jugoslava, né da parte russa. Ma non è stato fatto, ed è inutile recriminare.

2) La linea di demarcazione Tito-Alexander ha molte probabilità di diventare la base di discussione per la frontiera definitiva. È doveroso e necessario che noi si faccia il possibile per migliorarla a nostro favore, ma, dato come stanno le cose, sarebbe bene che noi ci preoccupassimo soprattutto di assicurarci, in quanto è possibile, che nel caso di futuri negoziati essa non venga ancora peggiorata: il che è tutt'altro che impossibile.

3) In linea realistica ed in previsione di una discussione della questione fra i «Tre Grandi», sia che noi siamo ammessi a far valere il nostro punto di vista ufficialmente o no, continuo a ritenere che ci convenga di esaminare la opportunità di insistere su di una soluzione della controversia a mezzo di plebiscito. Il plebiscito è, ritengo, pericoloso per noi se si parte dal punto di vista di conservare tutto o la massima parte di quello che avevamo al 1939. Ma siccome, a quanto almeno si può giudicare di qui, una simile soluzione è fuori di questione, ci converrebbe, credo, di studiare seriamente quanta parte del territorio contestato abbiamo la possibilità di conservare in base ad un plebiscito fatto, in quanto è possibile, onestamente.

Altra proposta possibile, e che del resto non esclude il plebiscito, potrebbe essere la divisione della zona contestata secondo una linea che, su basi etnografiche serie, lasciasse all'incirca un numero uguale di slavi in territorio italiano e di italiani in territorio jugoslavo, completando poi la nuova frontiera con uno scambio di popolazioni.

La nostra impostazione della questione, in base ad una serie di affermazioni di principio, è eccellente ed inattaccabile, come spunto polemico. Sono i principi che i «Tre Grandi» proclamano ad ogni momento, ma a cui nessuno crede in realtà e che, in nessuna delle questioni che sono state poste e risolte, hanno avuto nemmeno il più lontano principio di applicazione. Ammetto che la questione delle nostre frontiere, toccando un punto dove le forze armate delle due parti contendenti sono egualmente presenti, offra delle possibilità di discussione che non aveva, per esempio, la questione polacca. Ma la discussione verterà sul terreno politico e non sul terreno teorico, e, a quanto posso giudicare da qui, le due soluzioni da me proposte, specie quella del plebiscito, hanno, più di ogni altra, una certa possibilità, in via di compromesso, di essere accettate dai tre contendenti.

In materia di scambio di popolazioni, il Consiglio dei ministri ha preso, ho visto, una serie di disposizioni per la futura posizione degli allogeni e degli alloglotti nel territorio italiano. Abbiamo fatto benissimo a prenderle, per la nostra posizione di Nazione civile. Ma, all'atto pratico, io considero un pericolo gravissimo lasciare, dopo la definizione delle frontiere, anche un solo slavo in territorio italiano. Ciò significa, è vero, rinunciare, per sempre, ad ogni vestigia di italianità nelle terre che resteranno al di là delle nostre frontiere, e mi rendo conto di quanto questa nostra rinuncia possa essere per noi dolorosa. Ma il mondo slavo è in pericoloso fermento di risveglio nazionale e nazionalista. La Russia lo sostiene e Io ispira, e dato il rapporto reale delle forze in presenza, in Europa, ogni minoranza slava che resta sul nostro territorio, rappresenta per la nostra integrità territoriale una continua incognita, quale che sia l'orientamento futuro della nostra politica. Minoranze nazionali in territorio altrui, fino a che i rapporti fra gli· Stati restano quelli che sono (e nonostante le belle parole essi non accennano a cambiare) costituiscono delle posizioni offensive. L'Italia, presto o tardi, quali che siano le condizioni di pace che le verranno imposte, risorgerà dal suo stato attuale di prostrazione: ma per presto e bene che essa si rimetta in piedi, è destinata, di fronte al mondo slavo centrato a Mosca, al pari di tutta l'Europa occidentale, a restare in posizione difensiva. È quindi, per me, oltremodo pericoloso lasciare sul nostro territorio delle posizioni offensive slave.

Mi dispiace, in questa questione così delicata e dolorosa per tutti noi, di trovarrni sempre a dover marcare una nota pessimista. Non desidero che di sbagliarrni, ma data la posizione della Russia nella questione delle nostre frontiere orientali, tutto quello che vedo, da un anno a questa parte, non è troppo incoraggiante.

343

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 526/225. Mosca, 16 luglio 1945 (per. il 2 agosto).

Il signor Antonov, che parte in questi giorni per l'Italia, conie rappresentante a Roma dell'lnformbureau, è venuto a vedermi. È un comunista della vecchia guardia, amico personale di Lozovsky; è stato per molti anni in Italia prima e dopo la rivoluzione, ultimamente come rappresentante dell'agenzia «Tass».

Nel corso della conversazione, è venuto lui stesso sull'argomento di Trieste. Gli ho parlato del valore sentimentale e nazionale che Trieste ha per tutti gli italiani, del nostro desiderio di stabilire con la Jugoslavia rapporti di vera e sincera amicizia, e di evitare che la questione della Venezia Giulia sia decisa in modo da creare in Italia risentimenti difficilmente colmabili che avrebbero, in avvenire, resi difficili, se non impossibili, rapporti di vera amicizia con tutto il mondo slavo, U.R.S.S. compresa; gli ho parlato degli sforzi da noi fatti per ristabilire i rapporti con la Jugoslavia. Tra le reazioni, molto caute, del signor Antonov rilevo alcuni punti che possono essere interessanti:

l) ha ammesso, a mia osservazione, che nell'entourage, anche immediato, di Tito si trovano oggi, mascherati come democratici progressisti o anche come comunisti, degli elementi ultra nazionalisti i quali esercitano una influenza nefasta sulla politica jugoslava.

2) Mi ha accennato, in forma abbastanza chiara, alle difficoltà che la Russia stessa può incontrare per moderare le aspirazioni jugoslave. C'è in Jugoslavia, mi ha detto, come conseguenza della vittoria e della liberazione una vera ubriacatura patriottica contro la quale Tito non si può mettere, né la Russia chiedergli di mettersi, senza compromettere la sua posizione in Jugoslavia. Alla mia osservazione che però, d'altra parte, l'atteggiamento jugoslavo, se non infrenato, poteva gravemente mettere in forse l'avvenire della democrazia in Italia, in forma vaga e cortese mi ha fatto comprendere che alla Russia la Jugoslavia importava più che l'Italia.

3) Mi ha detto di ritenere che l'U.R.S.S. non sia favorevole ad una risoluzione della questione della Venezia Giulia sotto forma di decisione dei Big Three ma che preferisca un accordo diretto fra l'Italia e la Jugoslavia, o qualora questo fosse impossibile, un plebiscito. Si è trovato d'accordo con me nel riconoscere che, condizione necessaria per un plebiscito che dia garanzie di riuscita è che la zona in contestazione sia, fino al plebiscito, occupata ed amministrata da Potenze non direttamente interessate, limitandosi ad osservare che gli inglesi stanno facendo in Venezia Giulia una politica antidemocratica.

Ho approfittato dell'occasione per parlargli, in base alle informazioni fomitermi da codesto ministero, di come le autorità jugoslave si sono comportate in Venezia Giulia durante la loro occupazione.

Dato come funzionano le cose qui, sarei molto sorpreso che il signor Antonov non fosse stato autorizzato a parlarmi e debitamente imboccato: si tratta di persona che non è negli alti segreti della politica russa. Quanto egli mi ha detto corrisponde, del resto, a quanto ho sempre riferito a V.E., che cioè la Russia avrebbe cercato di evitare che, quale che sia la soluzione che in definitiva sarà adottata per le nostre frontiere orientali, tutto l'astio di una soluzione più sfavorevole a noi cada su di lei, e tutto il merito di una soluzione più favorevole vada agli Stati Uniti e all'Inghilterra.

Attiro in ogni modo l'attenzione di V.E. sul punto 2, nel quale ci potrebbe essere del vero, più di quanto non possa sembrare a prima vista.

344

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. PER CORRIERE 4271/296. Roma, 17 luglio 1945, ore 19.

l) Da parte ambasciate Londra e Washington è stato segnalato che sarebbe in corso Londra esame questione relativa sorte futura nostre colonie. Sembra quindi conveniente, per la possibile eventualità che codesto governo venga chiamato esprimere suo avviso nella questione, che ella illustri costì nostro punto di vista in merito. Italia desidera naturalmente poter conservare sue vecchie colonie che a differenza Etiopia non furono conquistate a seguito atti aggressione ma acquisite in pieno accordo con varie Potenze (Russia compresa) e senza che venisse comunque soppressa indipendenza Stati sovrani locali. Libia era infatti colonia turca, Eritrea era possedimento egiziano, e Somalia possedimento Sultano Zanzibar dal quale la riscattammo.

2) Libia ed Eritrea costituiscono elementi fondamentali equilibrio politico Mediterraneo e Mar Rosso. Spostamento sovranità nei loro confronti, a vantaggio di chiunque avvenga, altererebbe profondamente tale equilibrio con evidenti conseguenze anche sulla situazione generale Medio Oriente, mentre mantenimento nostro possesso non implicherebbe danno per alcuno e, specie nelle nuove nostre condizioni, costituirebbe garanzia di pacifica collaborazione con tutti.

3) Territori predetti presentavano al momento nostra acquisizione seguenti caratteri fondamentali: scarsità popolazione locale e deficienze risorse economiche. Date nostre ben note necessità demografiche abbiamo cercato in cinquanta anni intenso lavoro immettere in quei territori folti gruppi nostri lavoratori. Sviluppo territori si è avuto quindi attraverso formazione popolazione italiana immigrata che oggi costituisce forte percentuale popolazione totale (Libia 120 mila italiani su 800 mila abitanti; Eritrea 72 mila italiani su 600 mila abitanti) e attraverso creazione nuove risorse economiche, particolarmente agricole in Libia e Somalia e commerciali e industriali in Eritrea.

4) Non abbiamo nulla sottratto economia primitiva quelle rare popolazioni locali, ma abbiamo anzi creato con tecnica moderna nuova situazione economica da cui stesse popolazioni locali ricavano beneficii. Questa nuova situazione è imperniata su pacifica convivenza in ciascun territorio fra italiani (tecnici e lavoratori) e indigeni. Ulteriore sviluppo economico e politico tali territori non può quindi ormai prescindere da questa situazione e non potrebbe ottenersi attraverso distacco totale dalla madre patria, ma deve necessariamente compiersi secondo linea sinora seguita per giungere con ulteriore aumento nostra emigrazione e col naturale accrescimento ed evoluzione popolazione locale ad una equiparazione (sia pure con ampia autonomia) con il territorio metropolitano. Ciò che già stava del resto avvenendo per provincie libiche e che sostanzialmente viene incontro alla tesi sostenuta dall'U.R.S.S. a S. Francisco in materia di trusteeship. È anche da tener presente tale riguardo che mentre mancano nella popolazione indigena gruppi etnici unitari ed evoluti (che sia possibile avviare verso completa effettiva indipendenza) prevalgono qualitativamente elementi immigrati italiani, e che nelle nostre colonie non si trovano risorse naturali e materie prime da mettere a disposizione mercati mondiali, ma soltanto sudati risultati di decenni di lavoro nostri contadini.

Nostra opera colonizzatrice, essendo appunto diretta favorire emigrazione e sistemazione lavoratori, non presenta aspetti capitalistici. Principali imprese colonizzazione sono opera dello Stato che ha direttamente provveduto stabilimento lavoratori agricoli su terre demaniali (vedi telespr. Segr. Poi. 74/c. 1 relativo colonizzazione Cirenaica). Eventuale perdita colonie priverebbe nostri lavoratori in esse immigrati frutto loro sacrifici e porrebbe problema, oggi per noi insolubile, loro riassorbimento in Italia. Mentre nostra necessità è poter migliorare progressivamente loro tenore vita nei territori ove risiedono e favorire in tali territori ulteriore nostra emigrazione; il che presuppone interessamento e impone onere che sono possibili solo se Italia conserverà sia in sovranità sia anche, eventualmente, in amministrazione fiduciaria possesso territori stessi.

I Non pubblicato.

6) È ovvio che nei nostri territori africani, così come in Italia, necessità ricostruzione e abbandono politica autarchia ci imporranno un indirizzo economico di collaborazione con tutti; conservazione nostre colonie quindi non solo non condurrebbe a costituzione in esse di mercati chiusi, ma anzi implicherebbe ampie possibilità cooperazione con iniziative altrui.

345

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 4308/250. Roma, 17 luglio 1945, ore 17,45.

Suo 282 segreto 1 .

Sarebbe naturalmente nostro vivissimo desiderio che visita presidente potesse aver luogo a Roma, come del resto avvenne, quantunque in forma non ufficiale né ufficiosa, per primo ministro Churchill. Se ciò non fosse possibile, saremmo lietissimi, come le dissi nel mio 233 2 , se fosse in suo luogo prescelta quella qualunque altra località italiana che meglio potrà adattarsi alla stagione, ai desideri del presidente, all'itinerario. Ma se neanche quest'ultima soluzione potesse essere accolta, non avremmo naturalmente alcuna difficoltà ad incontrarci in località estera da designare. Ed ella ha dunque ben fatto ad esprimersi in questo senso.

L'importante è, per noi, stabilire un contatto personale e diretto col presidente e qualunque soluzione che lo assicuri, sarà dunque ottima cosa. Ma è certo che se egli decidesse in definitiva di venire in Italia, si raggiungerebbero effetti di più ampia risonanza e portata sia all'interno che all'estero. Ed egli potrebbe poi constatare di persona la popolarità di cui gli Stati Uniti godono fra noi e la nostra riconoscenza.

346

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1544/438. Parigi, 17 luglio 1945 (per. il 1° agosto).

Alle ore 16,30, presso la sede del ministero della Guerra, il gen. de Gaulle mi riceve con grande semplicità e affabilità. Privo di ogni affettazione, il suo comportamento è quello di un capo politico che, pur avendo coscienza dell'altezza del suo

l Vedi D. 330. 2 Vedi D. 329, nota 2.

compito, non fa pesare sull'interlocutore alcun complesso di superiorità affidandosi unicamente al prestigio della sua opera e alla calma e fredda esposizione delle cose. Tipico rappresentante dei francesi del nord, il gen. de Gaulle si manifesta nel corso della discussione abile dialettico, tenace negoziatore, sensibile bensì agli argomenti di carattere generale ma non disposto a cedere facilmente sui dettagli ai quali riserba un'attenzione particolare.

È chiaro che il tono ampolloso di certi suoi discorsi deriva da una deliberata concessione ai gusti del midi e contrasta col suo vero temperamento, freddo, ostinato, calcolatore ed alieno da ogni lenocinio retorico. Non fotogenico, com'è ben noto, ma esprimente dalle fattezze tutt'altro che volgari della parte mediana ed inferiore del viso una notevole finezza intellettuale che contrasta curiosamente con la fronte angusta, il generale de Gaulle parla in uno stile semplice e chiaro con un débit lento e monotono non già, come mi parve, per sottolineare l'importanza di quanto espone, ma piuttosto per non perdere il filo del discorso.

Sul suo invito inizio la conversazione prospettando il punto di vista nostro intorno al problema dei rapporti franco-italiani che inquadro in quello generale della ricostruzione democratica dell'Europa. Sviluppo il tema ben noto della necessaria creazione sul nostro continente di un raggruppamento di nazioni libere, pacifiche, democratiche raccolte intorno alla Francia per creare quel necessario terreno di mediazione tra i tre grandi alleati che è la garanzia maggiore, se non unica, di un vero progresso della civiltà nella pace sicura. Mi valgo degli argomenti più acconci per sottolineare la funzione eminente della Francia in quest'opera di ricostruzione, e quella del suo capo attuale le cui responsabilità da questo punto di vista trascendono gli stessi limiti nazionali per assurgere a significato europeo.

Colloco il problema dei rapporti franco-italiani nel quadro di questa situazione generale e ne sottolineo l'importanza eminente. Dopo avere affermato che il popolo italiano, come risulta ormai da innumerevoli testimonianze, non ha voluto la guerra ed è stato vittima di un regime criminale, aggiungo che l'antifascismo profondo del paese non lo sottrae purtroppo alle dolorose conseguenze dei delitti del fascismo. Il popolo italiano le accetta con animo virile, ma ha il diritto di prospettare alla Francia tre cose: la prima è che il l O giugno fu un giorno di lutto nazionale; la seconda, che è da quel giorno che la rivolta morale e materiale contro il fascismo assunse un carattere di universalità che esploderà poi nell'epoca partigiana; la terza è che la Francia, prendendo coscienza del vero volto dell'Italia, non deve trarre pretesto dai delitti del fascismo per chiedere al nostro paese il prezzo di una riconciliazione per realizzare la quale il nostro popolo, combattente il comune nemico, ha già versato tanto sangue generoso. Concludo invitando la Francia ad accogliere questa speranza italiana e ad assecondare un grande ideale di fraternità che, realizzato, segnerà una data gloriosa nella storia della civiltà umana.

Il generale, che ha seguito attentamente la mia esposizione senza interrompere mai e più d'una volta annuendo con cenni del capo, risponde con un'analisi completa della situazione.

«Voi avete detto che bisogna fare l'Europa, ed è chiaro che l'Europa non si può fare senza un profondo accordo tra la Francia e l'Italia. Certo in seguito alla guerra sono rimasti nel popolo francese dei ricordi amari. Non crediate però, che si tratti di rancore, ma piuttosto di accoramento. C'è nell'attuale risentimento francese come il senso di una solidarietà latina che è stata violata. Però questo passerà, aggiungo che sta già passando. La Francia ha i suoi problemi. Problemi di politica interna prima di tutto». E qui il generale mi parla con un tono particolarmente cordiale, come si farebbe ad un amico che si voglia mettere al corrente dei propri guai. «Voi avete rovesciato un regime, noi ne abbiamo rovesciati due (allude a Vichy ed alla III Repubblica). Dobbiamo creare una nuova costituzione. Tutto questo impegna le energie del paese e ci vorrà molta saggezza, molta ponderazione.

Problemi di politica economica: conoscete le nostre difficoltà per il carbone, per i trasporti, e così via. Problemi infine di politica estera. Anche noi, se pure in modo diverso da voi, subiamo la pressione dei cosiddetti (sic) alleati. Non ci sentiamo ancora completamente svincolati, e questo si è visto in parecchie occasioni. Perciò un'intesa franco-italiana contribuirebbe a determinare un migliore equilibrio europeo.

Bisogna però procedere a gradi. Vediamo del resto i termini di questa intesa. Niente Valle d'Aosta e vi aggiungo: noi non vogliamo Susa (sic). C'è stato da noi qualcuno che ha accolto tendenze separatiste, ma tutto questo è finito. Del resto la soluzione da voi data al problema valdostano, quantunque sia un problema interno vostro, è da noi considerata con simpatia. Niente dunque Valle d'Aosta. C'è però qualche problema di rettifica di frontiera che va posto. Briga e Tenda sono al di qua delle Alpi, ed è legittimo che vengano a noi. Già nel plebiscito del '60 si erano pronunciate per noi. Ho le prove del resto che le popolazioni di quei comuni vogliono diventare francesi. C'è poi qualche rettificazione da apportare nella zona di Briançon (la parola Chaberton non è da lui pronunciata, ma l'allusione è evidente). Come vedete si tratta di cose di poco conto -e con tono che vuoi essere scherzoso aggiunge: niente Elba, niente Sardegna, niente Sicilia. •

Per le frontiere orientali noi desideriamo che Trieste rimanga italiana. In quanto al Mediterraneo noi pensiamo che convenga metterei d'accordo. L'Inghilterra è troppo invadente. La Russia a sua volta vuoi metterei il suo zampino. Tutto questo non è nel nostro comune interesse. Si è nel Mediterraneo c'è qualcosa che ci deve unire. Considerate per esempio la vostra facciata mediterranea dell'Africa. Noi non vediamo affatto con dispiacere la vostra presenza in Tripolitania. Aggiungo che la presenza di un'altra potenza anche attraverso la mascheratura di un governo arabo in Cirenaica non ci garba. Anche per la Cirenaica quindi voi potete contare sul nostro appoggio. Ma questo può essere il risultato di un accordo intorno alla faccenda delle frontiere. È un secondo passo. Aggiungo che il Fezzan ci interessa in modo particolare. Quando si va in aeroplano dalla nostra Africa del nord alla nostra Africa equatoriale, è così comodo farvi scalo. Per ~oi il Fezzan non ha alcuna importanza, per noi invece ne ha.

Per quel che si riferisce alle indennità che vi chiederemo, state tranquilli, che saremo molto, ma molto moderati.

Come conclusione generale si potrà venire in seguito ad un accordo di fondo tra i nostri due paesi. E allora potremo marciare uniti per creare veramente l'Europa e far sì che essa non divenga un futuro campo di battaglia tra gli attuali cosiddetti (sic) alleati.

Ma dovrete cominciare a trattare direttamente con noi. Anche per la Valle d'Aosta avreste dovuto trattare con noi senza mettere di mezzo gli inglesi e americani. Anche adesso avete chiesto di far parte delle Nazioni Unite e vi siete rivolti alla Russia, all'America, all'Inghilterra, e a noi non avete chiesto nulla. Perché? Avreste dovuto farlo. Non ve ne sareste trovati male.

Vedete: la Francia oggi si dibatte in gravi difficoltà per le materie prime. Ma le supererà e potrebbe aiutarvi. Potrebbe aiutarvi, per esempio, al fine di farvi ottenere dalle miniere di Germania la quota parte di carbone che voi ricevevate prima. Se un giorno avrete bisogno di esportare della mano d'opera, noi potremo riceverla e tutto questo andrà a vantaggio vostro e nostro. Ma, ripeto, trattate con noi, non cercate mediazioni o aiuti da altri. Ve li farebbero pagare troppo cari. Ma pensate davvero che sia meglio correre il rischio di perdere la vostra facciata mediterranea dell'Africa piuttosto che cedere alla Francia un paio di montagne disabitate e sei (sic) comuni?»

Il generale ha finito e rispondo in tono pacato, ma fermo che, d'accordo su molti punti della sua esposizione, dissento in modo assoluto su quel che si riferisce alle rettifiche di frontiera. Affermo intanto la mia sorpresa di veder sollevato un problema che le stesse dichiarazioni fatte in altre occasioni dal generale facevano considerare escluso. Accenno alla dolorosa ma solenne rinuncia nostra alle convenzioni del '96. Faccio notare incidentalmente come tra le conseguenze più notevoli della lotta anti-nazista sia da annoverarsi il risveglio di un patriottismo giacobino che rende il popolo italiano giustamente sensibile ai problemi di frontiera. Sul fondo del problema faccio notare come la natura sia già stata matrigna verso l'Italia con un tracciato della displuviate alpina che vede la catena digradare lentamente verso la valle del Rodano e incombere a picco su quella del Po, per cui uno spostamento anche di millimetri spalanca le porte di casa nostra. Sottolineo come il problema delle frontiere occidentali implichi quello delle frontiere orientali per cui ogni richiesta della Francia si ripercuote con eco moltiplicata sulla Venezia Giulia offrendo argomenti a Tito.

Affermo infine, ed è la sostanza della mia argomentazione, che la vera garanzia per la Francia è l'esistenza di un'Italia libera, democratica, e non già il possesso di qualche nuova montagna. Perché, anziché favorire lo sviluppo di questa Italia democratica, ferirla con una dolorosa richiesta che getterebbe un fermento malsano all'origine di un accordo che l'interesse comune consiglia di elaborare con criteri non angusti, ma larghi e fraterni?

A questo punto la conversazione, che si era svolta sin qui per esposizioni non interrotte dei due interlocutori, si rompe, pur mantenendo sempre un tono di grande cortesia, in un dialogo più serrato e un tantino più vivace nel quale il generale interviene conferendo alle sue parole un significato di particolare gravità.

«La Francia è stata invasa ed è legittimo che essa prenda delle precauzioni, benché minime, per l'avvenire».

Gli obietto che la frontiera francese è tra le più sicure del mondo.

Mi risponde che dalla cima dello Chaberton i cannoni hanno sparato su Briançon, e da Tenda i fascisti sono scesi a Nizza.

Gli rispondo che la storia non si giudica a decenni, ma a secoli e che essa dimostra quanto la frontiera alpina sia favorevole alla Francia e sfavorevole all'Italia. Ma evito accuratamente di riferirmi in modo esplicito alle invasioni francesi.

Il generale, riferendosi ad una mia precedente dichiarazione per cui il popolo italiano, pur essendo innocente, accetta virilmente le conseguenze dei delitti fascisti, dice testualmente: «La vostra dichiarazione è leale e anche abile, ma essa implica che bisogna fare qualche sacrificio».

Gli rispondo che i sacrifici gli italiani li fanno con il loro sangue e non col loro territorio. Gli faccio notare che il criterio della ligne de crete che era implicito nelle rivendicazioni di Tenda e Briga, contrasta del resto con le richieste di rettifica nella regione di Briançon. Se è vero che dalla cima dello Chaberton si domina Briançon, è pur vero che molte sono le cime francesi -e gliene cito alcune -da cui si dominano valli italiane. Ribadisco il concetto che la vera garanzia della Francia è nell'esistenza di un'Italia democratica e non in rettifiche di frontiera che inseriscono un elemento negativo nel processo di riavvicinamento dei due popoli. Concludo ribadendo la nozione dello statu quo e dichiaro che informo il mio governo dei termini del colloquio.

«Ma il governo italiano ne è già informato -dice il generale -quello che ho detto a voi l'ho già detto dopo la liberazione di Roma al vostro segretario generale al quale ho parlato nei termini stessi con cui mi sono espresso a voi 1 . Cosa sarebbe avvenuto di noi se fossimo stati vinti? No, non commettete l'errore di chiedere in queste due faccende che interessano esclusivamente i nostri due paesi la mediazione o addirittura l'appoggio anglo-americano. Gli americani, vedete, se ne disinteresserebbero e gli inglesi si farebbero pagare troppo caro l'appoggio che potrebbero concedervi.

Questo colloquio importante deve costituire l'inizio di un esame graduale dei nostri problemi ed un progressivo sviluppo verso l'accordo completo. Adesso i Tre Grandi sono a Postdam. Quello che decideranno per l'Adriatico varrà quello che varrà, ma la Francia si riserva di esprimere la sua opinione. Credete a me, voi avete tutto l'interesse a trattare direttamente con noi. Ci sono grandi problemi, grandi interessi in gioco». E il generale, col tono confidenziale di chi vuole mettere un amico a parte dei suoi più reconditi disegni, mi introduce nella sancta sanctorum

l

della politica francese: il problema germanico.

«La Francia non vuole distruggere il popolo tedesco, non vuole sopprimerlo. Il popolo tedesco vivrà e nessuno pensa a fargli del male, ma il grande Reich non risorgerà mai più». Con questo accenno, espresso con una fermezza contenuta in cui si sentiva però ardere una passione profonda e affiorare una volontà di ferro, la parte sostanziale del colloquio è terminata. Il generale mi prega di metterlo al corrente della situazione italiana e, parlando a mio nome personale, gliela prospetto nei suoi termini politici ed economici. Sottolineo soprattutto la grande vitalità del nostro paese che mercè il lavoro indefesso dei suoi figli già sta risorgendo dalle rovine ed apprestandosi a riprendere nell'opera di ricostruzione del mondo il posto che ha il diritto di occupare.

Il generale mi ringrazia e prendo congedo alle ore 17,40. Il colloquio è durato un'ora e dieci minuti.

Prima del colloquio col generale ho avuto un breve abboccamento col signor Palewsky suo capo di gabinetto il quale mi ha incoraggiato a battere soprattutto

l Vedi serie decima, vol. I, D. 280.

467 sul chiodo della funzione europea della Francia. Prevedendo le richieste del generale in materia di rettifiche di frontiera e le sue larghezze in tema coloniale, non ho creduto inopportuno far osservare al signor Palewsky che per l'Italia questa è l'ora di Clemenceau e non quella di Ferry.

Con prossimo corriere farò seguire altro rapporto 1 con le considerazioni generali che ho potuto trarre dal colloquio col generale de Gaulle.

347

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO 595. Roma, 18 luglio 1945.

Le ragioni per le quali le relazioni diplomatiche fra l'Italia e la Finlandia non sono ancora state riprese, possono così riassumersi:

l) La Finlandia pur essendo desiderosa di riprendere le relazioni con l'Italia esita a farlo, nella sua attuale situazione politica e giuridica, senza un preventivo assenso sovietico. D'altra parte esita a chiedere tale assenso sia per una ragione di principio, sia per evitare una eventuale risposta negativa.

2) La Finlandia, nelle sue attuali condizioni finanziarie, ritiene troppo grave onere per essa il mantenere a Roma due legazioni dato anche che la legazione presso il Vaticano è praticamente in grado di svolgere il normale lavoro informativo e dato che non vi è attualmente possibilità per i due Paesi di trattare concrete questioni di comune interesse politico o commerciale.

Il ministro di Finlandia presso la Santa Sede, nel fornire qualche mese fa, in via confidenziale, tali informazioni, si chiedeva, e ci chiedeva, se non fosse stato conveniente esaminare la possibilità di accreditare anche a Roma il ministro di Finlandia in Svizzera e di accreditare anche a Helsinki il ministro d'Italia a Stoccolma2• Tale progetto veniva incontro a proposte allora formulate nello stesso senso da Guarnaschelli il quale riferiva che, per ragioni di economia, 'litri Paesi (Turchia e Portogallo) avevano accreditato in Finlandia i loro rappresentanti in Svezia.

Tale progetto non poté allora essere preso in considerazione perché:

l) La Svizzera era ancora separata dall'Italia dall'occupazione nazi-fascista della valle padana.

2) Il nostro rappresentante in Svezia era stato a Helsinki come rappresentante italiano anteriormente all'8 settembre 1943.

1 Vedi D. 351. 2 Vedi D. 90.

Tale situazione è venuta meno con la liberazione dell'Italia settentrionale e con la nomina a Stoccolma del ministro Bellardi Ricci. .

Si potrebbe pertanto riprendere la questione; chiedere alla Finlandia se ritiene di poter procedere ad uno scambio di legazioni vere e proprie; in caso di difficoltà ripiegare nella soluzione proposta (Bema e Stoccolma) insistendo almeno perché a Roma e Helsinki risiedano i primi segretari delle rispettive legazioni 1•

348

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 528/227. Mosca, 18 luglio 1945.

Telespresso di V.E. n. 16/10003/100 del 15 giugno u.s. 2• Ringrazio V.E. delle comunicazioni trasmessemi. Mi dispiace di aver creato una simile tempesta in un bicchier d'acqua: i fatti però mi hanno dato ragione.

Confesso che è molto divertente leggere oggi le indignate domande di chiarimenti degli ambasciatori di Gran Bretagna e di America, ancora a pochi giorni di distanza dalla completa capitolazione dei due governi sulla questione polacca. Tutta l'agitazione di Londra e di Washington avrebbe benissimo potuto essere evitata se queste ambasciate di Gran Bretagna e degli Stati Uniti avessero chiesto il testo dell'accordo italo-polacco direttamente a me, che avrei potuto fornirlo subito, mentre V.E. per pure ragioni materiali, non ha potuto darlo che dopo un considerevole lasso di tempo. È uno degli inconvenienti che derivano dagli scarsi contatti fra questa ambasciata e le ambasciate degli Stati Uniti e di Gran Bretagna.

Al mio arrivo qui, data la situazione di allora, feci chiedere dal decano del corpo diplomatico agli ambasciatori di Gran Bretagna e degli Stati Uniti se avessero gradita una mia visita. A risposte affermative ho fatto le visite che mi sono state correttamente restituite. Nel corso di queste visite credetti opportuno di dire ai due ambasciatori, che desiderando, per quanto mi concerneva, non diventare una sorgente di malintesi, ero pronto, in qualsiasi momento e forma, a fornire, sia all'uno che all'altro qualunque informazione potessero chiedermi sulla mia attività a Mosca.

Da fonte a latere fui informato che l'ambasciata inglese aveva ricevuto precise istruzioni di co/d shoulder me. Non so fino a che punto ciò fosse esatto: certo è che l'atteggiamento dell'ambasciata d'Inghilterra verso di me e del mio personale, pure se formalmente corretto, è stato tale da giustificare questa impressione. Gli americani sono stati un po' più cortesi, ma non molto. Del tutto indifferente, invece, l'atteggiamento degli ambienti militari, navali e giornalistici. Più che cordiali i Dominions, specialmente il Canadà.

I Annotazione a margine di Prunas: «Si d'accordo. Ma a Helsinki il solo ministro». 2 Vedi D. 264.

Nel dicembre scorso, nel corso di una conversazione con l'ambasciatore d'Inghilterra, gli ripetei che ero sempre pronto a dargli ogni informazione e schiarimento sulla mia attività, e gli aggiunsi anche, dietro ad una sua mezza domanda, che avevo in proposito decise istruzioni da Roma. Non era esatto, ma ho ritenuto, nel dire così, di non far male. Sir Archibald Clark Kerr mi ha risposto: «Dovrei forse dirle che questo mi interessa molto?». Prendendo la cosa in ischerzo, gli ho risposto: «Credo che dovrebbe dirmi che le ho tolta la più grossa preoccupazione che lei avesse a Mosca».

È molto probabile che tutto ciò sia solo dovuto al fatto che la mia missione a Mosca è cominciata in un'atmosfera di risentimento per le circostanze che avevano portato alla mia presenza in Russia; che però poco sia cambiato da parte inglese, non mi sorprende molto; mi sorprende più da parte americana, vedendo dalle comunicazioni del ministero che i nostri rapporti con Washington sono tutt'altro che compassati.

V.E. comprende bene, spero, che io posso benissimo vivere a Mosca anche se gli ambasciatori di Gran Bretagna e degli Stati Uniti hanno poco desiderio di trattarmi. Attiro l'attenzione deii'E.V. su questo stato di cose, sia per l'opportunità di evitare che in avvenire possa sorgere qualche altra questione che, sul posto, potrebbe essere chiarita in un momento, sia perché non vorrei che le due ambasciate qui avessero l'impressione che io sono una specie di centro di intrighi anti-anglosassoni, il che potrebbe avere delle conseguenze non desiderate né desiderabili nell'apprezzamento generale della politica italiana 1•

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T.S.N.D. 5903-5983/363-364-365. Londra, 19 luglio 1945, ore 13,30 (per. ore 18 del 22).

Da concordi informazioni raccolte mio arrivo risulta confermata intenzione stabilire Potsdam basi generali pace con l'Italia. Incognita atteggiamento russo toglie fondamento ogni previsione e conferisce speciale valore atteggiamento americano

l Prunas comunicò questo telespresso a Tarchiani e Carandini con la seguente lettera 16/15588/250 del IO agosto: «Le accludo un rapporto dell'ambasciatore Quaroni che a proposito del noto accordo assistenziale da noi firmato con le autorità di Varsavia quando queste non erano state ancora riconosciute come governo dalle Potenze anglo-sassoni, tocca l'argomento dei suoi rapporti con quei rappresentanti britannico e nord-americano. La questione particolare relativa alla Polonia è, come ella sa, ormai felicemente risolta. Quello che mi preme segnalarle è, piuttosto, il secondo argomento. Tutto ciò che ella potrà fare per dissipare, se ci fossero, le eventuali diffidenze nord-americane (britanniche) nei confronti della nostra rappresentanza a Mosca, sarà cosa ben fatta. Confermi che abbiamo dato e confermiamo ancora a Quaroni istruzioni di tenersi in cordiale contatto coi suoi colleghi americano ed inglese. Soprattutto insista sulla circostanza che sarebbe completamente falso qualificare la nostra rappresentanza a Mosca come centro di eventuali intrighi anti-anglosassoni. È vero invece che Quaroni ci informa onestamente e seriamente sulle cose russe e con una spregiudicatezza che non riuscirebbe certamente gradita a Mosca, ma che è sempre improntata a verità e spirito nazionale. È superfluo le dica che tutto ciò va fatto col tatto e la tempestività che le sono abituali, appunto per non rischiare di accreditare quelle impressioni che vogliamo invece sopire».

cui influenza nostro favore è qui auspicata come elemento equilibrio. È mia impressione che con avvicinarsi fase risolutiva casi italiani siano considerati qui con freddezza che supera limiti di obiettivo realismo. È evidente che ci si prepara a raggiungere soluzione europea anche scapito diritti italiani. Si ammette, in massima l'ipotesi di una insoddisfacente soluzione del problema di Trieste e dell'Istria, prevedesi come è logico il distacco dall'Italia del Dodecanneso, di tutta la Cirenaica, dell'Eritrea; per la Somalia si considera una trusteeship con non definita partecipazione italiana. Pare esclusa ogni pretesa su Pantelleria o Lampedusa. Per Alto Adige si è favorevoli mantenimento statu quo. Ammiragliato pare favorevole assegnarci limitata flotta con esclusione grandi unità. Quanto precede non rappresenta probabilmente il piano di pace elaborato a Londra ma indica solo quali sono i sacrifici che Inghilterra è evidentemente pronta richiederci, se necessario.

Sulla base di queste informazioni non ufficiali ma attendibili, data varietà delle fonti ho incontrato oggi in lungo ed esplicito colloquio Sir Orme Sargent assistente sottosegretario (che sostituisce Cadogan) e assistente sottosegretario per l'Europa occidentale Oliver Harvey. Ho esposto chiaramente tutte le considerazioni suggerite da V. E. e dalla presidenza del Consiglio prospettando nei suoi crudi termini ragioni riabilitazione italiana in funzione di una non illusoria riabilitazione europea. Partendo da questo punto di vista ho potuto esprimermi con particolare energia. Foreign Office conosce quindi ora esattamente nostra situazione e nostra determinatezza accettare unicamente pace di giustizia che riconosca su uno stesso piano nostri doveri e nostri diritti. Esso è in grado se non altro di misurare conseguenze di ogni imposizione che non tenga conto di questi due ordini di esigenze. Domani signor Hoyer Millar partirà per Potsdam e informerà Eden. In concreto Sargent è personalmente contrario alla pace provvisoria. La considera un atto privo di sostanziale effetto. Ritiene che rimandare difficoltà all'avvenire significa complicarle e cristallizzarle. Considera un errore di non aver fatto pace con l'Italia due anni fa. Evidentemente prevede situazione internazionale possa ulteriormente aggravarsi e che convenga approfittare di questa già tardiva occasione per tentare risolvere in condizioni meno sfavorevoli caso italiano. Sargent mi è sembrato inquieto sul problema Venezia Giulia perché in questo settore le buone disposizioni anglo-americane possono trovare opposizione insuperabile. In ogni caso linea Wilson è giudicata da lui troppo favorevole a noi e !imitatrice delle opposte pretese. È evidentemente favorevole assicurarci Trieste e costiera istriana fino a Pola ma considera questa soluzione difficilmente acquisibile. Gli ho dichiarato che una soluzione negativa in questo momento rappresenterebbe per attuale governo colpo insostenibile e che dovevo ritenere maggioranza forze in esso governo rappresentate non avrebbe mai accettato una simile mutilazione, risultando così irrimediabilmente compromesso ultimo esperimento coalizione che nell'attuale situazione è sola capace garantire al Paese un certo ordine civile ed un reale avviamento democratico. Gli ho specificato che non intendevo con questo avanzare larvate minacce ma mettere in grado lui onestamente e confidenzialmente di valutare se interesse pace europea meritasse da parte inglese la più energica difesa contro pretese che realmente minacciano non solo integrità italiana ma anche stessi valori morali questa guerra. Ad una fredda abbiezione di Sargent ho risposto che se una frazione Inghilterra fosse sottoposta orrore attuale regime istriano popolo inglese rivendicherebbe con stessa energia stessi diritti.

Per quanto concerne amputazione di tutta la Cirenaica ho osservato che ciò avrebbe carattere puramente punitivo e che cessione ai Senussi è artificio trasparente. Tutti sanno e nessuno meglio di noi che Stato senussita non esiste. Cirenaica ai Senussi significa Cirenaica ad Inghilterra ed Egitto il che contrasta con dichiarazioni primo ministro che Inghilterra non ha rivendicazioni territoriali da soddisfare. Ho affermato ancora che cessione Dodecanneso non deve esserci imposta poiché ciò ci priverebbe della possibilità e vantaggio di farne oggetto di libera negoziazione con Grecia intesa al riavvicinamento dei due Paesi indispensabile all'armonia e sicurezza mediterranea. La cessione dell'Eritrea all'Etiopia rappresenterebbe una brutale offesa ad interessi italiani risultanti da un mezzo secolo di onesta colonizzazione e illuminata amministrazione. Anche in questo settore giustizia vuole che si giunga ad una soluzione capace di garantire la preminenza italiana nella tutela di interessi essenzialmente italiani. Queste considerazioni sono state integrate da tutte le argomentazioni di cui disponevo in modo da conferire loro il carattere più convincente. Ho aggiunto che se veramente avessero a risultare escluse possibilità di pace provvisoria, ritenevo personalmente, che non si potesse negare all'Italia la possibilità di esprimersi prima che irrimediabili decisioni avessero a concretarsi a sua insaputa ed ai suoi danni.

Premettendo che non avevo ricevuto da V.E. alcuna istruzione in proposito e che agivo sotto la mia personale responsabilità, ho affermato che consideravo mio dovere informare Foreign Office sui limiti entro i quali ritenevo opinione pubblica italiana poteva essere indotta ad accettare doloroso prezzo di riconquista nostra indipendenza e capacità internazionale. Non intendevo con questo esprimermi e tanto meno impegnarmi sulla precisa entità dei sacrifici che Italia può disporsi in extremis ad accettare ma semplicemente tracciare limiti oltre i quali gravità offesa avrebbe certamente provocato reazioni di non misurabile portata. Ritenevo potere così delineare quadro di questi limiti:

Venezia Giulia: linea Wilson con qualche possibilità di rettifica;

Dodecanneso: libera negoziazione tra Italia e Grecia per cessione isole compensata da adeguate garanzie per interessi italiani;

Cirenaica: riconoscimento interessi senussiti sulla Marmarica (ad oriente di Tobruk) con piena sovranità ad occidente di Tobruk;

Eritrea, Somalia: regime di trusteeship con preponderante rappresentanza italiana e piena tutela nostri interessi e diritti acquisiti; ·

Alto Adige: rispetto frontiera attuale con ogni garanzia da parte nostra alle popolazioni allogene. Il tutto interdipendente da discutere e concretare nel più ampio quadro della sistemazione soddisfacente ed equa di ogni altro problema italiano.

Ho compreso Sargent considerava insoddisfacenti nel loro complesso queste soluzioni indicative. Mi ha dichiarato che l'Inghilterra è persuasa necessità aiutare Italia come elemento del nuovo equilibrio europeo perché con scomparsa Germania e affievolimento Francia essa rappresenta più forte e promettente complesso democratico in Europa Occidentale. Ma Inghilterra non è sola a decidere nostra sorte e dovrà essere tenuto conto esigenze Paesi che noi abbiamo aggredito e della necessità di regolare a loro favore questioni che noi stessi abbiamo riaperto. Ho risposto che confidavo Inghilterra non intendesse costruire avvenire con i residui del passato.

Una politica intesa soddisfare tutte le pretese nostri ex-nemici a spese dell'Italia non potrebbe che dare esiti negativi sul piano superiore della creazione nuova Europa.

Sargent mi ha domandato se attuale governo italiano che non ripete suo mandato da regolari elezioni ha autorità sufficiente e titolo per firmare una pace che potrebbe essere invalidata dalla Costituente. In questo senso egli avrebbe auspicato che elezioni potessero aver luogo prima dell'inverno in modo che potessero essere debitamente ratificati gli impegni assunti dal governo. Gli ho risposto che attuale governo ripete suo valido mandato dai Comitati Liberazione. Come esso ha mantenuto condizioni armistizio, potrà assumere responsabilità piena firmando pace equa in nome popolo italiano. In complesso sono riuscito rompere il freddo dando ai colloqui carattere rude e sincero. Spero effetto sia stato salutare ma ho l'impressione che dovremo affrontare grande battaglia dalla quale tanto meglio usciremo quanto più dimostreremo coraggio accettare inevitabili necessità e nel difendere nostri diritti sopravvivenza. Confido V.E. non disapproverà mio operato. Mi sono regolato in modo da influire con energia e lealtà su mio interlocutore sì da consentirgli di rappresentare a Eden, in modo non equivoco nostra consapevole preparazione ad affrontare con illuminato realismo ma con la necessaria intransigenza crisi che ci attende. Comunque Sargent mi è parso ritenere che non è ancora certo che a Potsdam si prenderanno decisioni definitive e dettagliate nei nostri riguardi. Mi riservo quindi di parlare con Eden e di avvicinare finalmente Churchill al suo ritorno regolandomi in base alle ulteriori informazioni che certamente potrò assumere ed alle conseguenti istruzioni di V.E. È qui impressione generale che se risultato elezioni consentirà Churchill di governare ci si potrà attendere decisivo miglioramento nella politica inglese verso Italia.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 5912/291. Washington, 19 luglio 1945, ore 18,31 (per. ore IO del 21).

Suo telegramma n. 4216 1•

Non ho mancato informare Dipartimento di Stato quanto formava oggetto telegramma suddetto. Stamane poi ho consegnato personalmente a Grew due mie lettere: la prima per prendere atto ufficialmente a nome governo italiano delle note comunicazioni di cui al mio telegramma n. 2252 ; la seconda per insistere sia su nostra prima fondamentale necessità riabilitazione internazionale e sia su nostra preferenza, in caso di ostacoli, per soluzioni provvisorie che dovessero riservare note questioni per l'Italia 3•

l Vedi D. 332. 2 Vedi D. 290. 3 Vedi Foreign Relations ofthe United States, The Conference of Ber/in, cit., vol. II, pp. 1082-1083.

Circa mia prima lettera segretario di Stato reggente ha riconfermato pienamente le note precedenti dichiarazioni del Dipartimento di Stato. Circa altri argomenti Grew mi ha ripetuto quanto già comunicato con miei telegrammi nn. 226, 233 e 2701 relativi compiti Conferenza Berlino la quale non redigerà schemi di trattati di pace con l'Italia mi ha aggiunto testualmente: «Conoscete l'atteggiamento americano nei confronti dell'Italia. U.S.A. vogliono che l'Italia sia tenuta in particolare riguardo e rimessa onorevolmente a riprendere suo posto nel mondo. A Berlino il presidente e Byrnes facilitati dalla vostra dichiarazione di guerra al Giappone sono animati dalle migliori disposizioni per l'Italia. Sapete del resto che sono compresi nella nostra delegazione alti funzionari perfettamente al corrente problemi italiani, dei quali conoscete buone disposizioni; essi saranno consultati ogni qual volta dovesse essere presa una importante decisione. Siate certo che il nostro governo farà tutto quanto potrà in favore dell'Italia».

Ho allora accennato, sulla base informazioni che ella mi ha fornito, a possibili difficoltà da parte altre due delegazioni alla Conferenza. Grew non ha fatto alcuna osservazione per quanto riguarda tendenza sovietica. Per quanto concerne disposizioni Gran Bretagna mi ha invece dichiarato di dubitare che oggi l'intero governo inglese sia deciso imporre all'Italia pace molto dura; sfavorevoli disposizioni nei confronti nostri sarebbero probabilmente limitate ad alcune persone. Mi ha assicurato che nostro punto di vista sarebbe stato giustificato da presidente degli Stati Uniti Mi ha infine ripetuto con espressioni più convincenti amicizia e vigilanza sua in favore dell'Italia.

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IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1650/476. Parigi, 19 luglio 1945 (per. il 31).

Quando il generale de Gaulle mi disse che i francesi nutrivano verso l'Italia un sentimento non di rancore, ma di accoramento come di fronte ad una solidarietà latina violata 2 , esprimeva una cosa indubbiamente vera. Certo il generale de Gaulle aveva tutto l'interesse a porre la dichiarazione di guerra dell'Italia fascista contro la Francia su un piano particolare. Troppo recenti e frequenti sono le testimonianze che provano come la Francia fosse stata a un pelo dallo schierarsi con Pétain a fianco della Germania contro l'Inghilterra. Di qui il desiderio di de Gaulle di sottrarre la Francia al pericolo di comparazioni che la porrebbero in una luce ancor più sfavorevole che non l'Italia fascista. Si crea quindi un caso speciale scaturente da una fraternità di sangue e di tradizioni che non esisterebbe che tra Italia e Francia per cui la guerra tra i due popoli assumerebbe un carattere di particolare mostruosità, quasi di orrendo fratricidio. Ma se queste considerazioni,

l Vedi DD. 290, 293 e 327. 2 Vedi D. 346.

come io penso, è probabile che non siano estranee alla formulazione della frase di de Gaulle, certo è che essa rimane obiettivamente e psicologicamente vera.

Ero a Parigi mescolato con la folla dei boulevards il giorno in cui gli altoparlanti trasmettevano attraverso un tragico comunicato di Reynaud la funesta notizia. Non dimenticherò mai l'espressione di immenso accoramento che lessi negli occhi della gente. No, non c'era né odio né rancore, ma un'infinita amarezza che parve per un istante togliere alla Francia il gusto di vivere. De Gaulle ha quindi ragione e converrà tener conto accuratamente di questo stato d'animo che, appunto perché di natura psicologica e direi quasi morale, se rende così delicati i progressi dei nostri rapporti con la Francia, sottolinea però la prospettiva, il giorno in cui fosse definitivamente cancellato, di un'intesa veramente fraterna fra i due popoli.

Altra osservazione. Durante tutto il colloquio non ho avuto neppure per un istante l'impressione di trovarmi di fronte a un diktat sia pure di minuscole proporzioni. È difficile definire i limiti in cui le richieste della Francia cessano di apparire come il prezzo a cui essa offrirebbe i suoi buoni uffici di difensore dei diritti dell'Italia in materia coloniale per diventare il risarcimento, da essa considerato legittimo, di un torto subito. Nelle richieste francesi tutte queste cose si legano, e ai motivi suggeriti dalle considerazioni accennate, se ne possono aggiungere altri: premunirsi strategicamente per le eventualità future e magari anche -cosa forse non estranea al pensiero di de Gaulle -approfittare della congiuntura sfavorevole in cui si trova l'Italia per realizzare un piccolo guadagno territoriale.

Dietro a de Gaulle ci sono gli uffici di Stato Maggiore che elaborano i tracciati più convenienti, invocando le necessità della difesa del territorio; c'è il français moyen a cui l'idea della ligne de créte pare soddisfare un'esigenza legittima della storia; c'è il nazionalista, magari lavalliano sino 'a ieri, ma sempre pronto a mettere la mano sui territori degli altri; ci sono, purtroppo, ed è la cosa più preoccupante, i comuni delle regioni di frontiera che per ragioni di interesse locale non esitano a votare mozioni per il rattachement à la mère patrie di questo o quel villaggio italiano, come è avvenuto recentemente a Nizza dove Briga e Tenda hanno fatto le spese di una mozione votata all'unanimità da un consiglio municipale composto in prevalenza da socialisti e comunisti. Ed è noto che questi atteggiamenti, per i loro riflessi elettorali, trovano udienza presso i deputati di quelle regioni. Sarebbe tuttavia un errore di valutazione pensare che l'opinione pubblica in generale si occupi e preoccupi seriamente della cosa. Se il problema non verrà posto pubblicamente dal governo, nessuno penserà di sollevarlo, e qualora anche lo fosse da qualche gruppo ostinato, sarebbe facile superare l'ostacolo. Mi pare quindi ovvio che il primo e più importante tentativo da fare, è esercitare sul governo francese, e in particolare su de Gaulle e i suoi consiglieri, un'azione di persuasione al fine di invitarli a desistere dalle loro richieste territoriali.

Ho la sincera convinzione che questa sia la buona strada, e che a seguirla con tatto e con fermezza, si arriverà allo scopo da noi voluto: mantenere inalterati i confini occidentali. Ho avuto ieri un abboccamento con i maggiori esponenti di un grande partito democratico e ho trovato non soltanto un'adesione sincera al nostro punto di vista, ma promesse di appoggi autorevoli.

Per condurre con profitto quest'azione, ispirata del resto al più schietto desiderio di fondare il rinnovamento della fraternità franco-italiana su basi sane, occorre tenere presenti alcuni elementi essenziali.

In primo luogo ritengo che il metodo che ha dato buoni risultati per la questione della Valle d'Aosta sarebbe contro-producente nel caso che ci preoccupa. Allo stato attuale della questione l'intervento eventuale degli Alleati o una pubblica discussione, avrebbero come effetto di irritare il generale de Gaulle, la cui posizione è fortissima, ed è e rimarrà ancora per molto tempo, certo fino alla Costituente e alla pace, l'arbitro della politica francese, e di irrigidirlo sulle sue posizioni.

In secondo luogo, nell'opera di persuasione al fine di convincere questo governo dell'errore che esso commetterebbe gettando alle basi di un accordo franco-italiano un fermento malsano quale è quello rappresentato da una richiesta di rettifica di frontiera sul territorio metropolitano, converrà non irrigidirsi in posizioni puramente negative, ma al contrario far intendere che l'appoggio francese in materia coloniale potrebbe trovare una contropartita su quello stesso terreno, ecc.

In terzo luogo, ed è questa la lezione più importante che ho ric$vuta dal colloquio col generale de Gaulle, occorre rendersi conto che ormai la Francia sta entrando nell'ordine di idee di assecondare la formazione di un raggruppamento democratico europeo di cui l'accordo Francia-Italia costituirà l'elemento essenziale. Se noi favoriremo con un acconcio orientamento della nostra stampa lo sviluppo di questa tendenza, creeremo rapidamente un'atmosfera di fiducia reciproca sotto la cui tonificante influenza svaniranno gli irritanti residui di una mentalità legata ai ricordi di un funesto passato.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 525/224. Mosca, 20 luglio 1945 (per. il 3 agosto).

Mi riferisco al telespresso di V.E. n. 21/8386/85 del 29 maggio u.s. e alle informazioni di cui ai telespressi n. 9833/c. del 14 giugno u.s. e 2118735/c. della stessa data 1 .

Dato che ormai è generale impressione che la Russia prenderà parte alla guerra contro il Giappone, è naturale che si cerchi di indovinare quali sono le idee della Russia per la sistemazione del mondo estremo-orientale L'ipotesi avanzata da alcuni giornalisti americani che la Russia intende, analogamente a quanto ha fatto in Europa, circondarsi di una serie di Stati amici, e che questi Stati amici, sia pure con formule differenti, possono essere il Turkestan cinese, le due Mongolie, la Manciuria, le Corea e magari anche un governo della Cina del nord piuttosto sotto l'influenza dei comunisti, non è, in vista delle esperienze europee, una ipotesi che possa escludersi a priori. Dalle informazioni che ho potuto raccogliere ci sono per ora due punti fermi: la Russia si riprenderà la punta giapponese di Sakhalin, e sia i cinesi che gli anglo-americani hanno «ammesso» gli interessi russi in una Corea indipendente; formula, questa, non meglio precisata ancora: mi risulta sol-

l Non pubblicati.

476 tanto che a Tashkent esiste già, da un pezzo, un comitato coreano il quale, quando che ciò sia necessario, può trasformarsi in governo provvisorio.

Ho già in un mio precedente rapporto espresso a V.E. la mia opinione che l'U.R.S.S. avrebbe preso parte alla guerra contro il Giappone: io ritengo che l'intervento russo può anche essere prossimo, poiché credo che la Russia non entrerà in guerra all'ultimo momento, con partecipazione più che altro nominale, ma che intende prendervi una parte sostanziale, con forze armate almeno considerevoli e ciò per due ragioni:

l) il desiderio di Stalin di rivendicare, in Estremo Oriente, l'onore delle armi russe compromesso dai risultati della guerra russo-giapponese. Per questo è necessario che l'esercito rosso batta in campo aperto l'esercito imperiale giapponese quando questo è ancora una forza reale e non quando è ridotto agli ultimi aneliti.

2) I russi sono troppo asiatici per non rendersi ·conto dell'importanza che ha in Asia il prestigio militare. E non vogliono che, dopo la guerra, il prestigio militare americano in Estremo Oriente, sia preponderante. Per questo hanno bisogno di vittorie non meno ad effetto che le vittorie americane.

Un intervento quasi solo diplomatico nella guerra contro il Giappone non risponderebbe a queste necessità della politica russa, sia interna che estera. Ciò premesso, la mia opinione è che la politica russa in Estremo Oriente sia, in linea generale, quella di assicurare gli interessi imperiali russi e quella di impedire una sistemazione estremo-orientale che sancisca troppo apertamente una supremazia nordamericana. Ma per quanto concerne il come realizzare questa politica, ritengo che le idee russe non siano ancora definite.

Questa incertezza dipende principalmente da due ragioni:

l) l rapporti dell'U.R.S.S. colla Cina. Gli americani non hanno mai fatto mistero che colla loro politica di aiutare la Cina a divenire indipendente e forte, politicamente, economicamente e militarmente, essi mirano a costituire un contrappeso orientale all'U.R.S.S. Di questo i russi se ne sarebbero accorti anche se gli americani non ne avessero parlato. Se quindi realmente la Cina di Chung King dovesse uscire dalla guerra come governo sotto l'influenza preponderante americana, è logico che i russi farebbero di tutto per indebolirlo. In questo caso, la politica di secessione di quanto più è possibile della Cina, sotto forma di Stati più o meno indipendenti, sul genere della Repubblica popolare mongola, e altrettanto legati all'U.R.S.S. sarebbe per i russi la politica più logica e realistica. Tanto più che, per ragioni geografiche, gli americani potrebbero strillare quanto si vuole, ma non avrebbero altro mezzo di impedire la realizzazione della politica russa che quello di far la guerra alla Russia e di vincerla. Esattamente il caso della Polonia in Europa.

Ma è poi la Cina di Chang Kai-Shek così sicuramente nelle mani dei nordamericani? Per dare a questo quesito una risposta, occorrerebbe naturalmente avere una persona sul posto. Ma come si vedono le cose da Mosca, sembra lecito di dubitarne. Chang Kai-Shek ed il Kuomintang hanno cominciata la loro esistenza come amici della Russia. Il Kuomintang è, almeno ufficialmente, dominato ancora dall'ombra di Sun Yat-Sen, almeno tanto quanto la Russia sovietica è dominata dall'ombra di Lenin. Ora esiste una dichiarazione comune di Lenin e di Sun Yat-Sen sulle posizioni rispettive della Russia e della Cina, attualmente dimenticata, ma che potrebbe domani ritornare in onore. Chang Kai-Shek ha, è vero, «tradito», la Russia sotto le mura di Shanghai, e da allora i contatti fra lui e la Russia sono stati non dei più cordiali. L'attuale visita del presidente dello Yuan esecutivo è il primo contatto ufficiale. Ma sono stati realmente rotti tutti i contatti? Non bisogna dimenticare che russi e cinesi sono tutti e due orientali, e se i russi mostrano di capire poco la psicologia occidentale, capiscono benissimo la psicologia orientale con tutte le sue tortuosità.

Che cosa è accaduto in Cina, fra cinesi e americani, in questi ultimi anni, non è affatto chiaro: quali sono state le ragioni delle dimissioni di Stilwell, dell'ambasciatore e di altre personalità non è ben chiaro. Ma è chiaro, secondo me, che c'è qualche cosa che non va: i cinesi si lagnano apertamente, lo ha fatto recentemente lo stesso Chang Kai-Shek, che gli americani non aiutano sufficientemente la Cina e lo fanno in forma come per dire: gli americani non vogliono che i cinesi si liberino con i mezzi propri. Da parte russa si è, almeno da quando il lead della lotta contro il Giappone, prima o dopo Pearl Harbour, è stato assunto dall'America, sempre piuttosto battuto freddo nei riguardi di Chung King. Ufficialmente si è sempre detto che la Russia essendo neutrale nella guerra col Giappone, non poteva prendere parte alle conversazioni a cui partecipava anche la Cina: la stampa sovietica ha sempre accusato Chung King di essere un governo reazionario, a causa della sua politica contro i comunisti cinesi. Ma in tutto questo non c'è nulla di definitivo.

A mia impressione, la visita di Soong Tso-Ven a Mosca è un avvenimento di grande importanza potenziale. In sé era già molto importante il fatto che il presidente dello Yuan esecutivo venisse in visita ufficiale a Mosca, dove è stato ricevuto con tutti gli onori riservati alle sole Grandi Potenze. Ma io credo si stia andando molto più in là. Gli ambienti cinesi e russi sono estremamente riservati, anche nei riguardi degli anglo-americani. Tuttavia mi sembra possa essere già accettato come fatto reale, che le due parti, forse per iniziativa russa, hanno constatata la possibilità di una intesa assai più vasta e comprensiva di quanto non fosse originariamente previsto. Da parte cinese, mi è stato detto: «noi abbiamo viste le difficoltà degli alleati in Europa che sono derivate dal fatto che essi non hanno voluto a tempo accordarsi colla Russia su tutte le questioni che presumibilmente potevano sorgere: non vogliamo ripetere questo errore». A mia richiesta se alla fine dei colloqui le intese raggiunte sarebbero state rese di pubblica ragione, mi è stato risposto: «Certamente no, esse appariranno in misura dello sviluppo degli avvenimenti». Da parte russa, mi è stato detto: «quando è possibile noi siamo sempre in favore di un accordo che regoli tutte le questioni, che non lasci nulla in sospeso, e siamo ben contenti quando troviamo l'altra parte nello stesso stato d'animo». Evidentemente tutte queste sono delle belle parole: ma mi sembra di vederci questo di concreto: la Russia vede, e certo non soltanto da oggi, la possibilità, parlando brutalmente, di portar via la Cina all'America. Fintanto che questa possibilità esiste, può ritenersi preferibile a Mosca una politica diretta a staccare certe parti della Cina, lasciando il resto alle buone grazie degli Stati Uniti. Tanto più che, poi, con una Cina amica, si possono trovare mille ed una formula, per assicurare gli interessi russi, mettiamo, nel Sin-kiang e in Manciuria, salvaguardando la sovranità cinese. Sotto questo punto di vista, a me non sembra di poter accettare come accidentale il fatto che il maresciallo Tschoibalsang, primo ministro di Mongolia, abbia scelto per venire a Mosca proprio il momento in cui c'era anche Soong Tso-Ven.

2) La politica generale russa in Asia. La Russia sovietica ha una posizione del tutto speciale in Asia, che le viene, fra l'altro, da alcune peculiarità della sua politica coloniale, già evidenti sotto il tsarismo, e poi accentuatesi dopo la rivoluzione. Ed è anche noto che tutti i popoli dell'Asia che aspirano a liberarsi del controllo coloniale europeo, guardano alla Russia come al loro alleato naturale. Questa posizione la Russia ha affermato con quella molto netta assunta a San Francisco sul problema coloniale.

Ora, in Europa qualsiasi Potenza può crearsi delle colonie, questo non fa impressione sui popoli asiatici, ma in Asia è tutt'altra cosa. La politica russa in Iran, l'atteggiamento nazionalistico, imperialista della Russia di oggi, cominciano già a far sorgere qualche dubbio sul vero volto della Russia. Una politica russa che, mascherata come essa po~sa essere, sarebbe in sostanza quella di portar via alla Cina una parte abbastanza considerevole di quello che essa considera come il suo territorio e le proteste cinesi, dato il prestigio e l'affetto che si ha per esempio in India per la Cina, potrebbero danneggiare le posizioni russe.

La posizione ideologica della Russia sovietica, nei riguardi del problema dei popoli coloniali e semi-coloniali era, in tempi rivoluzionari, la seguente: «La potenza della borghesia capitalista dei grandi paesi imperialisti è basata sullo sfruttamento dei paesi coloniali e semi-coloniali che assicurano loro un margine tale di prosperità da permettere loro di dividerlo, in parte, cogli strati superiori del loro proletariato e così tenerlo asservito. Appoggiamo il movimento di indipendenza nazionale dei paesi coloniali e semi-coloniali: indeboliremo così le basi della potenza della borghesia capitalista e renderemo così possibile la rivoluzionarizzazione del proletariato europeo». Si noti che queste erano le tesi di Stalin contrapposte alle tesi di Trotzki sull'azione diretta.

Trasformiamo queste posizioni ideologiche in posizioni politiche di oggi e abbiamo: il giorno che l'Inghilterra abbia perduta l'India e i paesi arabi per non parlare che delle posizioni principali avremo talmente indebolita la posizione dell'Inghilterra in modo che essa non sarà più per la Russia un avversario degno di essere preso in considerazione. Sia dunque che si ritenga che la Russia faccia ancora della politica comunista, sia che si ritenga, come faccio io, che essa faccia soltanto della politica russa, la questione dell'indipendenza dei paesi coloniali e semi-coloniali, e la posizione che può avere la Russia in tutto questo mondo, il giorno in cui siano diventati indipendenti, è un elemento troppo importante perché possa essere sacrificato alla leggera per vantaggi più immediati e brutali. Esistono qui, ritengo, elementi e circoli che, diventati più semplicemente nazionalisti e imperialisti, possono spingere e spingono sulla via di una politica immediata di potenza, senza guardare troppo a considerazioni di un avvenire più lontano. Ma per quanto concerne l'Asia, essi trovano, in una politica che ha gettato più profonde radici, delle resistenze maggiori che in Europa. Non posso certamente escludere che essi non finiscano per avere il sopravvento. Evidentemente la Russia mira a ristabilire in Estremo Oriente una situazione almeno simile a quella che essa aveva prima dei disastri della guerra russo-giapponese. Quanto ai mezzi però di realizzare questo fine, allo stato delle cose di oggi, mi sembra che la politica russa in Estremo Oriente non sia ancora del tutto definita e, che, nella sua realizzazione pratica molto dipenderà dallo sviluppo delle sue relazioni con la Cina.

353

IL MINISTRO DELLA GUERRA, JACINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. RISERVATA PERSONALE 217 /MG. Roma, 21 luglio 1945.

Nella riunione di ieri del Comitato di difesa ho tratteggiato le varie forme di contributo che potrebbero essere chieste all'esercito italiano per la guerra contro il Giappone, e gli aspetti, positivi o negativi, di ciascuna di esse.

Per l'eventualità peraltro che non ci vengano rivolte richieste, ma che noi stessi dobbiamo formulare un'offerta, sia pure generica, di collaborazione, indico i termini di quest'ultima:

l) Specie ed entità. Contributo operativo di un corpo di spedizione volontario, composto delle varie armi, al comando di un generale, della forza complessiva da 6 a 8 mila uomini. Pronto a muovere entro quattro mesi dal termine della consegna di tutto quanto è necessario per vestirlo, equipaggiarlo, armarlo, vettovagliarlo, consentirne un moderno funzionamento.

2) Esigenze fondamentali.

Nei confronti degli Alleati:

a) Completa provvista del vestiario, dell'equipaggiamento, dell'armamento, del materiale in genere. Vettovagliamento e trasporto;

b) parità di trattamento, morale e materiale, colle altre truppe combattenti;

c) adeguato periodo di acclimatamento del corpo di spedizione.

Nei confronti del paese:

a) costituzione del corpo di spedizione esclusivamente con volontari di classi giovani (sino al 30° anno), tratti dall'esercito e da tutto il paese;

b) quando la costituzione del corpo venga decisa, azione di propaganda della stampa e dei partiti, perché i volontari affluiscano numerosi, al fine anche di poterli selezionare: il corpo di spedizione, pel nostro prestigio, dovrebbe essere una rappresentanza di qualità;

c) trattamento economico: per il presente (assegni) e per l'avvenire (assicurazione sulla vita e di invalidità, impiego dei reduci, facilitazioni per l'emigrazione da concordare con gli A.A., ecc.) molto favorevole: quello presente non inferiore al trattamento dei pari grado alleati.

Il successo del reclutamento volontario è particolarmente subordinato alle condizioni b) e c) 1•

l Non si pubblicano le proposte della marina e dell'aeronautica per la partecipazione alla guerra contro il Giappone, datate rispettivamente 20 e 25 luglio.

354

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6018/292. Mosca, 23 luglio 1945, ore 1,30 (per. ore 19).

Telegramma di V.E. 2911.

Ho fatto a qùesto ambasciatore Cina comunicazione prescrittami, che ho illuminato in base a nuovi elementi fornitimi da V.E. per quanto poteva servire a completare passo già da me fatto presso primo ministro di Cina (mio 266) 2 . Ho fatto anche offerta invio piloti direttamente alla Cina. Foo Ping-Sheung mi ha detto che su questo punto avrebbe telegrafato subito personalmente a Chang Kai-Schek. Presumeva governo cinese avrebbe dovuto consultarsi con governo americano. Gli ho detto che ciò era naturale; che noi avremmo desiderato che qualche cosa in questo senso potesse essere fatta per marcare nostra volontà collaborazione diretta lotta indipendenza cinese.

Ambasciatore di Cina essendosi interessato su possibilità effettiva nostra partecipazione, gli ho detto che potenzialmente nostra partecipazione avrebbe potuto avere proporzioni abbastanza considerevoli, ma che ciò era strettamente connesso con: l) conclusione pace giusta con Italia, altrimenti reazione opinione pubblica italiana sarebbe stata di ben scarsa comprensione guerra contro Giappone; 2) forniture, specie da parte americana, necessario equipaggiamento. Marcando stretta connessione fra questione conclusione pace e riabilitazione internazionale Italia e nostra partecipazione effettiva guerra con Giappone, ho ripetuto che per questo noi avevamo sollecitato intervento Cina. Se Cina era interessata a che sforzo bellico italiano contro Giappone fosse nella misura in cui governo italiano lo desiderava, occorreva esercitasse presso suoi alleati quella pressione che poteva in nostro favore. Foo Ping-Sheung mi ha detto che primo ministro cinese aveva perfettamente compreso connessione e che, rientrando Chung King, si riservava prendere direttamente in mano questione e vedere quello che di pratico Cina poteva fare per noi. Egli si interessa Italia sopratutto perché prevede possibilità vasta cooperazione avvenire. Ambasciatore Cina mi ha detto pure che primo ministro aveva parlato a Stalin. Stalin gli aveva risposto che U.R.S.S. non era in favore pace vendicativa: suo atteggiamento generale verso Italia era stato ispirato a realistica comprensione. Esempio del resto condizioni armistizio imposte da

U.R.S.S. a Romania Finlandia e Ungheria era migliore prova della generosità dell'U.R.S.S. verso suoi nemici. Attiro attenzione di V.E. su quest'ultima parte risposta Stalin, che dimostra come nostra concezione pace giusta sia molto differente da quello che qui si intende per pace giusta generosa: vedi specialmente caso Romania. Ambasciatore di Cina spera di potermi dire presto qualche cosa di concreto su azione governo cinese.

I Vedi D. 334. 2 Vedi D. 319.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 4465/266. Roma, 23 luglio 1945, ore 11,45.

Messaggio United Press da Washington, riportato stamani da tutta la stampa, afferma sapere da «fonti molto autorevoli» che governo americano avrebbe concretato in un documento scritto «suo punto di vista definitivo» circa condizioni territoriali pace per Italia. Esse sarebbero: l) revisioni territoriali a favore Jugoslavia in Istria; Trieste all'Italia, probabilmente con una amministrazione internazionale; 2) Alto Adige all'Austria; 3) Dodecaneso alla Grecia; 4) Tripolitania alla Francia, Cirenaica e Somalia alla Gran Bretagna, Eritrea all'Etiopia.

È superfluo sottolinei allarme che notizie del genere suscitano nell'opinione pubblica italiana, tanto più in quanto messaggio afferma averle attinte da parte molto autorevole. Molto converrebbe una opportuna rettifica per questo ultimo punto, veda, se le è possibile, provocarla 1•

356

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6028/299. Mosca, 23 luglio 1945, ore 23,20 (per. ore 10,30 del 24).

Telegramma di V.E. 4394/c. 2

Mentre interesse russo per Manciuria è innegabile non ritengo politica russa sia ancora definita. Molto dipenderà da risultato attuali conversazioni fra governo russo e cinese nel corso delle quali sembra i russi abbiano dato concrete assicurazioni per Manciuria. Riferisco più ampiamente per rapporto. Circa intervento sovietico contro Giappone, impressione generale è che esso potrebbe essere molto prossimo. Da buona fonte americana mi viene assicurato che Truman si sarebbe recato Potsdam pronto a fare grandi concessioni Russia in Europa, se Russia consente aderire in massima punto di vista americano per sistemazione post-bellica Estremo Oriente.

I Per la risposta vedi D. 358.

2 Del 20 luglio: notizie da Washington circa le aspirazioni sovietiche alla Manciuria e a Port Arthur e il probabile intervento sovietico contro il Giappone.

357

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, CON L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, KOSTYLEV

APPUNT0 1 . Roma, 24 luglio 1945.

Il presidente gli ha parlato di carbone. Ora è in grado di dare una risposta. Per decidere il governo russo ha bisogno di avere dati concreti circa la quantità che richiederebbe l'Italia per i prossimi cinque mesi (fino al l o gennaio 1946): quali altre merci voi desiderate comprare, su quali navi di qual bandiera le trasportereste, compreso il carbone; quale e quanta quantità di merce fornireste voi in compenso. Non si tratta di aiuto, ma di conguaglio.

Circa scambio lettere prigionieri, chiesto da presidente, si richiama a comunicazione fatta da Martino v già il 6 gennaio 1945 al ministero Esteri: i parenti consegnino lettere a Croce Rossa italiana, che deve spedirle in sacchi speciali con sigillo in due lingue «posta di prigionieri», indirizzata Comitato Esecutivo Unione Croce Rossa e Mezzaluna Unione Sovietica, Mosca: e viceversa.

Manifestazione o appello per la stampa: almeno cinquanta organi sono contro l'Unione Sovietica 2•

358

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6131/305. Washington, 25 luglio 1945, ore 7,50 (per ore 9,30 del 27).

Suo telegramma 266 3 .

Testo messaggio United Press, richiesto questa ambasciata a direzione generale detta agenzia, è molto diverso sia nella forma che nella sostanza da pubblicazione che ne sarebbe stata fatta da nostra stampa. Ritengo utile pertanto inviarne ampio riassunto con telegramma stampa 294 mentre ne rimetto testo integrale per corriere.

In succinto «fonti autorevoli» hanno dichiarato ad United Press che punto di vista americano non è definitivo e subirà presumibilmente modificazioni sino a quando non sarà stato concluso trattato di pace Italia. Stesse fonti avrebbero

1 Autografo.

2 De Gasperi comunicò a Parri il contenuto del colloquio con Kostylev con L. 3/1234 del 27 luglio, non pubblicata.

3 Vedi D. 355.

4 T. stampa 6146/29 del 25 luglio, non pubblicato.

soltanto indicato grandi linee future decisioni definitive su questioni italo francesi, su rivendicazioni jugoslave Istria e su probabile cessione Dodecaneso Grecia. Ho già al riguardo riferito con alcuni precedenti telegrammi come anche su aspirazioni inglesi ed etiopiche riguardo nostre colonie.

359

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 4534/270. Roma, 25 luglio 1945, ore 11,30.

Ambasciata Buenos Aires comunica 1 che ambasciatore Argentina a Washington ha compiuto presso Dipartimento di Stato passo di cui al telespresso ministeriale

n. 581 del 13 corrente2 ricevendo da Grew assicurazione favorevoli disposizioni governo amencano.

Passo analogo sarebbe anche stato compiuto da altre rappresentanze latino-americane. In particolare governo peruviano, secondo quanto comunica ambasciata Londra 3 , ha fatto presente a governi Washington e Londra suo interesse a che venga offerta all'Italia pace con giustizia e a condizioni meno dure possibili. Incaricato d'affari del Perù a Londra ha anche avuto istruzioni prendere iniziativa passo congiunto rappresentanze latino-americane. Anche codesto ambasciatore Cile avrebbe ricevuto da suo governo incarico coordinare, se possibile, sforzi latino-americani favore Italia.

360

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1212. Roma, 25 luglio 1945.

In relazione all'impegno da me sottoscritto, a nome del governo italiano il 22 giugno 19454 le sarò grato se vorrà cortesemente interessarsi presso il maresciallo Alexander perché nell'impegno stesso la frase «the Armistice and surrender instrument» possa essere sostituita con l'altra «the Armistice and Additional conditions of September 29th 1943».

I T. 5814/281 del 16 luglio, non pubblicato. 2 Non pubblicato: comunicazione del D. 305. 3 T. 5743/352 del 13 luglio, non pubblicato. 4 Vedi D. 256, Allegato A.

Tale mia richiesta è fondata sul disposto del primo comma del protocollo del 9 novembre 1943 1 il quale espressamente sancisce che il titolo del documento firmato a Malta il 29 settembre 19432 debba essere cambiato in «Additional conditions of Armistice with ltaly».

Se, come non dubito, il maresciallo Alexander vorrà aderire a questa nostra richiesta sarebbe mio desiderio sostituire l'attuale mia lettera d'impegno con altra modificata nella frase in questione.

361

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6163/306. Washington, 26 luglio 1945, ore 10,56 (per. ore 18,30 del 27).

Suo 266 e mio 305 3 .

Secondo accenni fatti a questa ambasciata da direzione generale United Press, informazioni noto messaggio proverrebbero almeno in parte da qualche funzionario Dipartimento di Stato. Anche Dipartimento ha ricevuto al riguardo un telegramma da Kirk.

Alle richieste di chiarimenti di questa ambasciata è stato risposto amichevolmente che, come del resto sapevamo, (miei telegrammi 257, 270 e 272)4 , Dipartimento aveva preparato per il presidente degli Stati Uniti e delegazione americana a Berlino alcuni memorali su questioni territoriali italiane, preparati con spirito maggiore comprensione per l'Italia. Tali memoriali, che sarebbero i «documenti scritti» del messaggio United Press, contengono dati circa aspetti delle singole questioni esaminate. Dipartimento, in seguito a noti passi questa ambasciata su conformi istruzioni di V.E. (suoi telegrammi 213 e 4216/c.)S, non avrebbe patrocinato alcuna soluzione definitiva su questioni controverse (che d'altronde per quanto riguarda U.S.A. solo presidente potrebbe prendere), e si éra anzi studiato dare memoriale forma quanto più «elastica» possibile. Dipartimento mancano finora notizie circa discussioni eventualmente svolte a Berlino su questioni italiane. Pur prevedendo da tempo che i Tre potranno esaminare proposte pace con l'Italia (miei telegrammi 226, 233, 270) 6 , Dipartimento ritiene che non dovrebbe prendersi a Berlino alcuna decisione definitiva.

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 69. 2 lbid., D. 20. 3 Vedi DD. 355 e 358. 4 Vedi DD. 315 e 327. Il T. s.n.d. 5645/272 dell'Il luglio non è pubblicato. 5 Vedi DD. 297 e 332. 6 Vedi DD. 290, 293 e 327.

Dopo Berlino Foreign Office farebbe qui conoscere suoi concreti dettagliati punti di vista su questioni particolari trattato di pace (miei telegrammi 227, 228) 1 , cui eventualmente verranno contrapposte osservazioni americane. Redatto uno schema unificato anglo-americano avremo possibilità discuterlo e presentare nostre vedute (miei telegrammi 224, 225, 264, 291) 2•

362

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 6120-6226/307-316. Washington, 26 luglio 1945, ore 7,09 (per. ore 9,30 del ] 0 agosto).3

Conformemente istruzioni suo telegramma 213 4 non ho mancato agire con tutti possibili mezzi sia mobilitando funzionari e personalità favorevoli a questo ufficio, molte delle quali hanno telegrafato a Truman, a Berlino, sia insistendo con Dipartimento di Stato avvalendomi nostra dichiarazione di guerra al Giappone per ... 5 minor danno possibile secondo noto mio intervento e promesse qui avute.

In relazione anche suo telegramma 266 6 , riferisco con successivi telegrammi ultime conversazioni confidenzialissime che [ho avute] impegni assunti Dipartimento di Stato su singole questioni territoriali metropolitane e coloniali che brevemente riassumo. Opinione espressa a questa ambasciata da Dipartimento, è che dette questioni avranno soluzione definitiva solo con conclusione trattato di pace che potrebbe essere peraltro stipulato entro periodo relativamente breve: quindi sino apposita conferenza internazionale della pace vi sarebbe possibilità ottenere modificazioni. Mi sembra tuttavia data esperienza passata che qualora i Tre prendano effettivamente decisioni di massima circa linee future -Truman, dati essenziali interessi americani dovrà tener conto anche propositi inglesi e sovietici -potrebbe essere difficilissimo, se non impossibile ottenere effettivo sostanziale miglioramento.

Dipartimento di Stato ha espresso intenzione porre al corrente questa ambasciata deliberazioni conferenza Berlino concernenti Italia, dopo ritorno qui delegazione americana. È stato intanto raccomandato caldamente, nel modo più amichevole, che nostro governo provveda [memoriali] convincenti e ben impostati su predette questioni territoriali. Qualora codesto ministero potesse inviarmi al

l Vedi D. 292.

2 Vedi DD. 290, 322 e 350.

3 Questo documento fu inviato a Roma con dieci successivi telegrammi (6202/308, 6203/309, 6217/310, 6177/311, 62211312, 6164/313, 6219/314, 6218/315), partiti fra il 26 e il 28 luglio ed arrivati fra il 27 luglio e il lo agosto. Si indicano qui la data ed ora di partenza del primo telegramma e la data ed ora di arrivo dell'ultimo.

4 Vedi D. 297.

5 Gruppi indecifrati.

6 Vedi D. 355.

486 più presto schemi detti memoriali, questa ambasciata, data collaborazione esistente con Dipartimento di Stato, potrebbe tempestivamente presentirlo per consigli e orientamento.

Rivendicazioni francesi confini occidentali: secondo le notizie pervenutemi, e di cui peraltro non ho sino ad ora potuto avere sicura conferma, la nota promessa Francia, di cui mio telegramma n. 272 1 , conterrebbe anche accenni a Valle Aosta e a rettifiche linee cresta frontiera. Uffici competenti Dipartimento di Stato affermano tuttora non aver avuto visione sensazionali documenti che però Truman potrebbe avere portato seco. Quest'ultimo, che già ebbe a intervenire nel modo più risoluto ed energico per sgombero truppe francesi, rimane favorevole nostra nota posizione.

Come è noto alla Conferenza della pace. Versailles anno 1919 delegazione americana propugnò una linea Wilson per confini itala-austriaci. Indubbiamente esistono qui alcune correnti per sostanziali rettifiche a vantaggio Austria. Sembra che Roosevelt vi fosse nettamente favorevole. Ignorasi atteggiamento Truman. Al Dipartimento di Stato furono fatti tempo fa accenni generici a informazioni su numero optanti in base noto accordo (vedi mio telegramma n. 177)2 . Come ella sa Truman ha seco un memoriale degli Stati Uniti su Alto Adige.

Ultimamente questa ambasciata è ritornata sulla questione presso Dipartimento prospettando atteggiamento simpatia per allogeni di ... 3 ed autorità alleate (rapporto della stampa testè pervenuto con telespresso in data 6 corrente). Al Dipartimento è stato detto che anche per questione Alto Adige, di cui non si nega esistenza, non sarebbe stata ancora adottata linea definitiva americana. A titolo confidenziale e personale si è peraltro lasciato intendere che -salvo improvvise qui inattese deliberazioni Berlino-sorte [finale] in sostanza potrebbe dipendere in larga misura da situazioni interne in Italia e in Austria al momento decisione.

Venezia Giulia: Pur rendendosi conto estreme difficoltà modificare a nostro favore situazione tra le quali da ultimo accordi Alexander-Tito, questa ambasciata ha continuato premere presso Dipartimento di Stato avvalendosi dichiarazioni che compromesso era temporaneo e che poteva anche essere migliorato. Al Dipartimento si prosegue studio accurato per soluzione grave questione ritenendosi anche che noti impedimenti non consentiranno trattative dirette italo-jugoslave. Parecchie riunioni tenute ultimamente presso il Dipartimento miravano sulla base dei dati etnografici (è stato anche accennato a numerosi slavi in provincia Udine), ed economici, ad evitare sacrifici troppo dolorosi per locale popolazione italiana nonché cercare assicurare all'Italia [bacini] minerari -si è citato Arsa-per cui da parte nostra si è continuato vivamente insistere. In queste riunioni è stata riscontrata estrema difficoltà tracciare linee di confine rispondenti principi assoluta equità dati criteri anche strategici che occorreva tenere presenti: a tale ultimo riguardo è stata menzionata intenzione americana che Pola rimanga all'Italia. È stato detto che [linea confine] non risponde neanche ora allo scopo -miniere essendo al di là e che si rendevano necessari sacrifici dalle due parti. In proposito ambasciata ha

l Vedi D. 361, nota 4. 2 Vedi D. 258. 3 Gruppi indecifrati

fatto nuovamente presente avvalendosi dati forniti da codesto ministero situazione sacrificatissima Zara, Fiume, Lussino ecc. Esiste indubbiamente volontà americana venirci incontro per quanto possibile. Concorrono anche forti prevenzioni contro Tito. È comunque interessante notare che Dipartimento non riterrebbe impossibile revisione a noi favorevole attuale confine e, per quanto è in sua facoltà, sarebbe per frontiera continua. Mi sarebbe quindi molto [utile] poter ricevere istruzioni e documentazioni chieste con mio telegramma 122 1 data opportunità continuare stimolare intenzioni Dipartimento e ciò benché non mi nasconda ovvi ostacoli per concrete realizzazioni.

Dodecaneso. Coi miei telegrammi 227 e 2702 ho segnalato decisione anglo-americana già in massima acquisita per cessione isole italiane dell'Egeo alla Grecia. Questa ambasciata è peraltro ritornata sulla questione presentando memorandum di cui al telespresso ministeriale in data 3 corrente 3 secondo le istruzioni impartite ed illustrando verbalmente necessità tutelare interessi economici e popolazione italiana costà stabilita. Dipartimento di Stato pur mostrando rendersi conto nostri argomenti non ha celato che questione è ormai da ritenersi giudicata. Secondo esso Inghilterra avrebbe tutto l'interesse che Dodecaneso sia in mano Grecia, che essa controlla completamente anziché sottoposto a trusteeship con ingerenza altre grandi Potenze. Pertanto solo Russia potrebbe preferire tale ultima soluzione. Al riguardo sono sintomatici accenni contenuti noto messaggio U.P. di cui al telegramma di V.E. n. 2664 .

Libia e Tripolitania: Memoriale fatto avere a Truman da questo ambasciatore di Francia conterrebbe anche accenni a richieste francesi, sia per rettifica confini a suo favore (trattasi probabilmente Ghadames, Ghat, Tibesti), sia per partecipazione Francia alla pari grandi altre Potenze ad eventuale trusteeship per Tripolitania. Al Dipartimento di Stato (che non avrebbe avuto visione tale memorandum), si è ricordato che giornale a servizio Bidault avrebbe pubblicato tempo fa dichiarazioni su richiesta rettifica attuale frontiera Tripolitania.

Cirenaica: Presso Dipartimento di Stato sono stati confermati nuovamente intendimenti britannici circa proprio trusteeship sul territorio Senussi. Continuo ad insistere e mi avvarrò adesso ultimi elementi comunicatimi per consolidare intendimenti americani che mirerebbero impedire «Italia perda tutte le sue colonie». Mi accorrerebbero però urgentemente dati esaurienti circa effettiva estensione nel passato dominio senussita e sue reali caratteristiche.

Eritrea: Dipartimento di Stato ha confermato ancora ieri aspirazione Etiopia su Eritrea. Secondo questi ambienti britannici tendenze Foreign Office e Colonia] Office sarebbero per incorporazione Eritrea ad Etiopia anche per assicurarvi esclusiva influenza inglese. In America vi sono tendenze per libero accesso Etiopia al mare su proprio territorio e indennizzo territoriale per conquista fascista. Si è insistito presso

l Vedi D. 212. 2 Vedi DD. 292 e 327. 3 Non pubblicato. 4 Vedi D. 355.

488 Dipartimento di Stato su grave ingiustizia che verrebbe arrecata sia a Italia che a popolazione Eritrea. Sono stati fomiti al Dipartimento vari dati specie di carattere economico. Si è ritenuto anche comunicare opportunamente a titolo riservatissimo note informazioni trasmesse da codesto ministero che sono state qui accolte con vivo interesse. Con riferimento pure a queste ultime, a titolo confidenziale strettamente personale, è stato genericamente accennato qualora informazioni in nostro possesso circa sentimenti governo etiopico e popolazioni Eritrea nei riguardi Italia fossero ben fondate, si potrebbe forse rinnovare tentativo procedere a trattative dirette con Etiopia sia per quanto riguarda accesso diretto al mare, sia per altre eventuali rettifiche di frontiera ecc. Nonostante situazione di occupazione britannica in Eritrea, non sarebbe forse inutile qualora codesto ministero con elementi maggiori in suo possesso lo ritenesse del caso, considerare opportunità atteggiamento ufficiale in tal senso cambiando relative proposte. Riferiscono che anche Francia, malgrado sua limitata voce in capitolo, non dovrebbe essere favorevole progetto inglese ed aver quindi interesse mantenimento nostre posizioni in Eritrea.

Somalia: sondaggi ultimamente fatti presso questi ambienti britannici porterebbero conclusione che secondo idee finora [espresse] Foreign Office e circoli di Corte ammiragliato amministrazione futuro trust somalo dovrebbe essere esclusivamente affidata ad un solo Stato cioè Inghilterra. Partecipazione italiana, qualora ammessa (e -non è stato celato -quella eventuale francese), potrebbe anche ridursi a presenza Mogadiscio di un rappresentante con generiche funzioni ispettive. D'altra parte al Dipartimento di Stato si continua impugnare questione detto trust con intenzioni almeno finora non esclusiviste. Non mancherò seguire questione. Per motivi particolari prego non menzionare fonte suddetta informazione. Al Dipartimento di Stato è stato confermato confidenzialmente a questa ambasciata che governo degli Stati Uniti, differentemente da altre Potenze, non intende chiedere riparazioni finanziarie all'Italia.

Flotta da guerra: al Dipartimento di Stato da più conversazioni confidenziali è stata oggi toccata fra l'altro anche questione flotta da guerra. E stato risposto che era intenzione americana che Italia. avesse una «limitata» marina da guerra e così pure limitato esercito ed aviazione a scopo difensivo. Quanto sorte nostra flotta: data dichiarazione di guerra Giappone e nostra offerta partecipazione, questione avrebbe [potuto essere] risolta dopo fine tale guerra. Dipartimento avrebbe comunque avuto scambio di vedute con Dipartimento Marina. Si è poi incindentalmente chiesto dal Dipartimento se ambasciata avesse informazioni recenti su intenzione [U.R.S.S.] cui -è stato ricordato -erano state date navi americane e inglesi. Al nostro accenno amichevole che navi da battaglia in disarmo acque egiziane avrebbero potuto essere da noi utilizzate in Estremo Oriente qualora guerra si prolungasse, è stato risposto genericamente che esse si credevano non utilizzabili nel Pacifico (a tale riguardo richiamo sintomatici accenni fattimi da Roosevelt che non lasciavano molta speranza e di cui al mio rapporto 8 marzo) 1• Gradirei istruzioni per mia norma di linguaggio con Dipartimento di Stato e ove ritenuto del caso con ministro della Marina.

l Vedi D. 85.

363

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 4546/273 (Washington) 267 (Londra). Roma, 26 luglio 1945, ore 18.

Il telespresso n. 12872 del 14 luglio 1 illustra il nostro punto di vista in materia coloniale. Com'ella vedrà, è per noi principio fondamentale -e che dovrebbe del resto, a nostro avviso, essere generalizzato per ed a tutte le questioni che ci riguardano -che quella qualunque soluzione cui in concreto si giungerà in materia di colonie italiane, deve non esserci imposta dal di -fuori e autoritariamente, ma amichevolmente e preventivamente discussa con noi.

Ciò corrisponde d'altra parte alle assicurazioni spontaneamente dateci da parte nordamericana, secondo le quali dovrebbe appunto esserci consentita piena opportunità di discutere il trattato di pace prima che esso sia definitivamente redatto e di presentare e illustrare le nostre ragioni e il nostro punto di vista.

Ella vedrà altresì che, partendo da un massimo (status quo anteriore alla guerra etiopica) la nostra tesi è tuttavia sufficientemente flessibile per adattarsi ai criteri e alle tendenze che oggi sembrano prevalenti. Essa include, ad esempio, sia un regime internazionalmente concordato per la Marmarica (che risponderebbe sia alle preoccupazioni strategiche britanniche sia ai sedicenti impegni a suo tempo assunti da Londra con l'Egitto e i Senussi), sia un regime di tutela per la Somalia italiana, conglobata con le altre regioni finitime; sia, infine, le più larghe facilitazioni economiche per il porto di Assab, a favore dell'Etiopia.

Tutto sommato, si tratta di un complesso di proposte, che andrebbero naturalmente approfondite e specificate, ma che sono indubbiamente ispirate a criteri di equità e di giustizia ed, insieme, a quei principi di pacificazione europea e mediterranea sui quali è soltanto possibile ricostruire qualche cosa di effettivamente durevole.

La prego per quanto concerne lo specifico problema coloniale di attenersi a queste direttive di massima.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. 3/1231 2 . Roma, 27 luglio 1945.

Trasmetto accluso un pro-memoria sulle frontiere del Brennero 3 , che riassume il punto di vista italiano sull'argomento: cioè il mantenimento del confine settentrionale attuale nella sua integrità, dall'Ortles a Monte Forno.

l Vedi D. 337.

2 La stessa lettera fu trasmessa il 30 luglio a Tarchiani (311243) e il 31 luglio a Saragat (311262) e a Quaroni (3/1252).

3 Non pubblicato.

Nel promemoria sono sommariamente illustrate le ragioni di varia indole: tecniche, politiche, economiche, strategiche a conforto del nostro buon diritto.

Sarebbe, credo, errore anche tattico da parte nostra aprire ufficialmente o ufficiosamente una questione, quale quella del Brennero, che, almeno sinora, non è stata sollevata da alcuno. Rischieremmo, fra l'altro, di trasformarla in compenso di eventuali amputazioni altrove, che avrebbero dunque l'aria di essere di altrettanto giustificate. Comunque è bene tu l'abbia ad ogni buon fine utile e come precisa indicazione del nostro pensiero in proposito.

Vorrei qui semplicemente aggiungere che la frontiera del Brennero, oltre che convalidata da tutta una serie di oneste e serie ragioni, è sopratutto, evidentemente, una frontiera in funzione antigermanica. E sarebbe strano da una parte e pericoloso dall'altra se, in un momento in cui tutti i popoli europei prendono a ragione le loro garanzie e precauzioni contro l'eventuale e sia pure remota possibilità di una ripresa della Germania, fosse al solo popolo italiano precluso il naturale baluardo già in suo pieno e legittimo possesso, atto a salvaguardarlo da quel pericolo. Ciò sarebbe tanto più grave in quanto l'opinione tedesca conserva e conserverà per un pezzo raddoppiato rancore verso l'Italia, che fu infatti il primo paese a scuotere il giogo tedesco e a passare dalla innaturale alleanza cui fu costretta alla guerra dichiarata ed aperta. Si è scavato dunque tra i due popoli un solco profondo che nulla varrà a colmare se non il saldo e non controverso possesso di quei confini, attraverso i quali passa (Brennero e alta valle dell'Adige) la via maestra delle invasioni germaniche.

365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

L. PERSONALE 3/1233. Roma, 27 luglio 1945.

L'ambasciatore Tarchiani mi informa 1 che egli ha, nei giorni scorsi, continuato ad insistere presso il Dipartimento di Stato, a proposito di un'eventuale visita del presidente Truman in Italia, nonostante che notizie giunte da Berlino facessero ritenere che il presidente avrebbe, per mancanza di tempo, dovuto rinunciare a tutti i suoi progetti di visita nei Paesi dell'Europa occidentale.

Il segretario di Stato reggente ha informato ora Tarchiani che «il presidente ha vivamente apprezzato il pensiero del governo italiano di invitarlo a visitare l'Italia. Egli è assai spiacente (deeply regrets) che i molti affari urgenti da esaminare dopo la conclusione della Conferenza di Potsdam, gli impediscano di prolungare il suo soggiorno all'estero e di accettare quindi il nostro invito. Sarebbe stato per lui un grande piacere visitare l'Italia, anche in considerazione della vecchia e rinnovata amicizia del popolo degli Stati Uniti d'America per il popolo italiano».

I T. 6103/302 del 24 luglio, non pubblicato.

Con successiva lettera lo stesso segretario di Stato informava Tarchiani di avere ricevuto un messaggio personale di Truman, nel quale, dopo avere espresso il suo vivo apprezzamento per la nostra proposta, lo prega di voler rendersi interprete del suo rincrescimento per dover posporre il piacere di un incontro personale col presidente del Consiglio Parri, dati gli urgenti affari che reclamano il suo rapido ritorno in patria.

366

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6508/320. Mosca, 28 luglio 1945 1 (per. ore 10,45 del 6 agosto).

Questo ministro di Siria, giunto in questi giorni, mi ha accennato alla possibilità di stabilire relazioni diplomatiche tra la Siria e l'Italia; mi ha anche accennato ad un certo disappunto da parte siriana per il fatto che noi non abbiamo fatta nessuna dichiarazione riconoscimento indipendenza. Gli ho fatto vedere articoli stampa italiana circa questione levante, facendogli rilevare come opinione pubblica italiana si occupi molto della questione e in generale in senso favorevole alla Siria. Per quanto concerne rapporti diplomatici, sono rimasto nel vago non sapendo se in questo momento, nel quadro nostri rapporti colla Francia, sia per noi conveniente sollevare questione. Se in ogni modo la cosa interessa, prego

V.E. volermi far avere istruzioni 2• Ministro siriano è il signor Faiz el Kuri che è stato varie volte ministro degli Esteri.

367

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 3320. Londra, 28 luglio 1945 (per. il 15 agosto).

Due righe affrettate prima che si chiuda il corriere.

Il mio telegramma 3 ti ha detto in succinto quale è la mia impressione. Questo grande rivolgimento è avvenuto nella più edificante calma. Le conseguenze per noi possono essere di essenziale importanza. Fra le figure laburiste di primo piano, Bevin è l'uomo che più stimo e meglio conosco. L'ho avuto a colazione il giorno

l Inviato il 4 agosto, ore 23,30. 2 Vedi D. 407. 3 T. 6198/387 del 27 luglio sull'esito delle elezioni in Gran Bretagna, non pubblicato.

in cui ha dato le dimissioni da mm1stro del Lavoro e gli ho predetto il suo prossimo ritorno a posto di alta responsabilità. Si era allora espresso con me in termini molto calorosi riaffermando il suo proposito di dare una mano efficace al nostro paese. È un uomo fisicamente forte, di grande capacità di lavoro e di ferrea volontà. La designazione a ministro degli Esteri è caduta fortunatamente su di lui. Date le nostre buone relazioni mi sarà facile avvicinarlo e parlargli in piena confidenza. Anche con Attlee sono in buoni rapporti e immagino potrò senza difficoltà vederlo al suo ritorno da Potsdam. Tanto lui che Bevin partono oggi per Potsdam e non mi è materialmente possibile avere un colloquio in questo scorcio di poche ore. Debbo però ritenere che siano ambedue animati dalle migliori intenzioni nei nostri riguardi. A parte le loro inclinazioni personali, una realistica revisione della politica verso i Paesi liberati mi risulta essere parte dell'immediato programma laburista.

Naturalmente molto del lavoro personale che ho compiuto in questi mesi è da riprendere da capo, per quanto sia tutt'altro che perduto. La mia posizione presso i laburisti è buona perché non ho mai trascurato i contatti con loro. Naturalmente chiederò di vedere in questi giorni Eden e Churchill per accomiatarmi da loro e per non perdere contatto e appoggio presso la futura opposizione.

Mi guardo dal farmi o dal suggerirti eccessive illusioni, ma ho ragione di confidare in qualche favorevole sviluppo. Ti posso solo assicurare che sorveglio la nuova situazione in modo da trame ogni utilità ragionevolmente attendibile.

368

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S. N.O. URGENTISSIMO 4707/326. Roma, 29 luglio 1945, ore 12.

La prego chiedere subito, tramite codesto ambasciatore Polonia, il gradimento del governo polacco alla nomina del dott. Eugenio Reale ad ambasciatore d'Italia a Varsavia. Com'ella sa, il dott. Reale è attualmente mio sottosegretario agli Esteri e milita da tempo nelle fila del partito comunista, della cui direzione fa parte.

Mi riservo trasmetterle con successivo telegramma sommario curriculum vitae.

Ella voglia frattanto sottolineare sin da ora che designazione sottosegretario Reale è prova evidente dell'importanza che attribuiamo alla nuova Polonia e della nostra fiducia nel progressivo amichevole sviluppo delle relazioni fra i due Paesi.

Aggiunga che confidiamo che al più presto un'analoga iniziativa venga adottata anche da parte polacca 1•

l Quaroni rispose con T. urgente 6402/327, del 2 agosto, che il governo polacco aveva accordato il gradimento a Reale e contava di procedere al più presto alla nomina di un ambasciatore a Roma.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6266/312. Mosca, 29 luglio 1945, ore 23,10 (per. ore 19,45 del 30).

In conversazione avuta a questo commissariato Esteri ho tenuto a rilevare come cambiamento governo in Inghilterra possa avere grande ripercussione su questione attualmente in discussione trattato di pace con l'Italia, dato che leaders laburisti avevano a più riprese date precise assicurazioni a personalità politiche italiane con cui erano entrati in contatto circa buone disposizioni partito laburista verso nuova Italia democratica. Ciò mutava situazione poiché dei tre grandi erano note disposizioni molto favorevoli Italia Stati Uniti: quanto a Russia ho detto <<Una serie di atti a cominciare da ripresa rapporti diplomatici ci aveva già permesso di conoscere disposizioni governo sovietico verso Italia»; unico ostacolo restavano certi elementi Inghilterra conservatrice cui influenza era ora eliminata.

Ho ritenuto opportuno fare d'urgenza questa messa a punto poiché, come ho riferito più volte a V.E., governo sovietico, pur essendo favorevole pace punitiva per Italia, non desidera apparire in prima linea e preferiva nascondersi dietro Inghilterra. Timore quindi che governo laburista possa realmente capovolgere politica verso Italia può avere considerevoli ripercussioni su atteggiamento sovietico. Per quanto riguarda atteggiamento U.R.S.S., mi è stato risposto: «Posizione assunta da U.R.S.S. nei riguardi Italia è consacrata in documenti di cui ancora non è possibile parlare». Quanto ho detto circa atteggiamento laburisti verso Italia ha fatto molta impressione: si è cercato di sapere quali assicurazioni fossero state fatte: avrei ritenuto logicamente preferibile restare nel vago anche se le avessi sapute. 1

370

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 552/240/Ec. Roma, 30 luglio 1945 (per. stesso giorno).

On 30th June I wrote 2 to infotm you of the action I had taken in regard to your letter of 21st June3, in which you suggested that the existing agreement between the Supreme Allied Commander and Marshal Tito, in respect of the area known as Venezia Giulia, should be modified to provide special protection for the interests of ltalians living beyond the demarcation line.

I Per la risposta vedi D. 384. 2 L. 552/183/Ec, non pubblicata. 3 Vedi D. 279.

The contents of your letter ha ve been considered by the Supreme Allied Commander, who has directed me to inform you as follows:

(a) -The areas coming under Allied contro! are defined in the Agreement of 9th June as the Territory of Venezia Giulia W est of the line drawn on the map, of which you bave a copy. As finally demarcated these areas include Trieste, the railways and roads from there to Austria via Gorizia, Caporetto and Tarvisio, as well as Pola. They do not include the islands and coastal towns to which you refer in your letter. There is no intention of extending the zone of occupation to include further territory in Western !stria. (b) -As you are no doubt aware, it is specifically noted in the agreement signed at Belgrade on 9th June 1945, that the final disposition of the whole territory is not determined by the present areas of occupation. The claim that the populations of certain towns, villages and islands are predominantly ltalian should be submitted through diplomatic channels for consideration at the Peace Conference or whenever the disposition of the disputed territories is finally decided. (c) -It is not the intention of the Supreme Allied Commander to seek revision of his existing mili!ary arrangements with the Yugoslav Army. (d) -The Italian Government are, of course, at liberty to raise the question at any time through diplomatic channels. In this connection it is noted that you bave in fact already addressed communications on the subject to the British and American Ambassadors.
371

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 30 luglio 1945.

Con riferimento al telegramma del 19 corrente 1 in cui l'ambasciatore Saragat riferisce il suo colloquio con il generale de Gaulle, reputo utile ricordare che nel mese di ottobre u.s. avevo proposto a Couve de Murville di non limitare l'accordo allora in discussione alla sola Tunisia ma di esaminare tutti i problemi italo-francesi nel loro insieme. Dopo qualche esitazione, in un successivo colloquio Couve mi obiettò che la cosa era prematura poiché non si poteva fare una pace italo-francese in corso di guerra europea ed avulsa dalla pace generale. Che de Gaulle reputi che l'ora per trattare sia ora giunta può sembrare logico.

Nel corso dei colloqui avuti con me, Couve de Murville indicò chiaramente che la Francia, mentre favoriva la permanenza dell'Italia nelle antiche colonie, intendeva rivendicare il Fezzan. Nel contempo alluse a lievi modifiche di frontiera,

1 T. 3803/167 non pubblicato; ma vedi DD. 346 e 351.

definendole senza grande importanza. Gli dissi allora: «Forse intendete alludere a quelle anormalità nel tracciato di frontiera che furono ammesse al momento della cessione della Savoia per lasciare intatte le riserve di caccia di Re Vittorio Emanuele?». L'ambasciatore di Francia non si pronunciò in proposito, ma si limitò a ripetere che si trattava di rettifiche di poco momento.

Ora de Gaulle parla della Valle della Roja. È questa una presa di posizione ben diversa da quella adottata a Napoli in luglio ed a Roma, poiché in verità non saprei quale più importante e più significativa alterazione di frontiera potrebbe essere desiderata dai francesi a meno di adottare senz'altro nei nostri riguardi una politica non più di modifiche di frontiera a carattere geografico-strategico, ma bensì una vera e propria politica annessionistica.

In vista di eventuali trattative avvenire ho ritenuto dover mio rievocare con precisione il ricordo dei colloqui dello scorso autunno.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6347/319. Mosca, 31 luglio 1945, ore 19,30 (per. ore 10,15 del 2 agosto).

Ho portato subito a conoscenza di questa ambasciata Polonia contenuto telegramma di V.E. 3141 che risponde in parte mio telegramma 305 2 . Ho esposto situazione rappresentante polacco, sottolineando vivo sincero desiderio governo italiano assicurare protezione interessi polacchi, mettendo debitamente in rilievo nostre limitazioni e difficoltà particolarmente frapposte da presenza corpo d'armata aderente ex-governo emigrato Londra e su cui noi non abbiamo alcuna autorità. A questo proposito ho fatto presente opportunità che governo Varsavia interessi direttamente Londra e Washington circa frizioni presenti e avvenire tra opera rappresentanti Polonia in Italia e atteggiamento militari dissidenti che trovansi nella penisola.

Ambasciata ha particolarmente apprezzato sollecitudine risposta italiana e manifestato soddisfazione per riconferma nostra migliore disposizione. Mi ha assicurato avrebbe immediatamente portato conoscenza governo Varsavia mia comunicazione data particolare sensibilità governo polacco per quanto concerne trattamento suo personale. Prego V.E. voler fare urgentemente qualche cosa in merito questione punti 2 e 3 mio telegramma 305, senza tenere troppo conto situazione Markowski.

l T. 4575/314 del 26 luglio: opportunità che Markowski riceva un incarico ufficiale che gli dia effettiva capacità di agire in nome del suo governo.

2 T. urgente 6166/305 del 26 luglio: protesta dell'ambasciata di Polonia perché il governo italiano non avrebbe preso le necessarie misure per proteggere la persona di Markowski e i beni di proprietà dello Stato polacco in Italia.

A quanto mi sembra comprendere governo polacco non desidera dargli posizione ufficiale e non vorrei troppo insistere trattandosi persona che non mi sembra molto desiderabile; mi è stato assicurato che Varsavia sta preparando intanto invio Roma incaricato d'affari. Ma intanto ai fini sopra tutto prossime trattative per carbone è bene tenere presente che ogni cortesia usata Markowski sarà interpretata Varsavia come cortesia verso governo polacco e come tale apprezzata.

373

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1137/455. Ankara, 3) luglio 1945 (per. il 16 agosto).

Giorni sono, in un colloquio che ho avuto con l'ambasciatore Açikalin, segretario generale del ministero degli Affari Esteri, l'argomento è caduto sulla questione del Dodecaneso.

Egli mi ha detto senza ambagi quanto cerco di riassumere quasi testualmente: «La Turchia non ha sollevato né intende sollevare la questione fin tanto che la situazione permane nello statu quo. Ma il giorno che essa dovesse essere modificata la Turchia spera, e crede di aver diritto, di essere sentita. Alcune isole toccano troppo da vicino i suoi interessi e sono troppo prossime alle sue coste perché questa speranza e questo diritto non appaiano legittimi. Quanto dico del resto non si riferisce solo al Dodecaneso, Il}.a a tutti i territori situati analogamente» (qui mi è parso che la mano del mio interlocutore che additava alla carta geografica sulla parete si appuntasse particolarmente su alcune isole greche quasi aderenti alla costa anatolica, ed anche su Cipro). ·

Osservo che l'atteggiamento indicato dall'ambasciatore Açikalin sembra conforme alla politica generale della Turchia, sulla quale ho riferito altrove. Soprattutto in questo periodo, in cui essa vive cercando di mostrarsi serena ma in fondo è presa dall'angoscia delle intenzioni dell'U.R.S.S. nei suoi riguardi, la Turchia tende a rimanere sul piede di casa. È tuttavia comprensibile che, trattandosi di sue immediate adiacenze, essa sia interessata a dire la sua parola nel caso che si intenda procedere a sistemazioni diverse dall'attuale stato di cose esistente. Altro è prevedere se la sua parola sarà ascoltata oppure se un nuovo ordine sarà senza più stabilito dalle Grandi Potenze.

Segnalo con l'occasione l'unito sunto 1 di articolo comparso il 24 corrente sul giornale di Istanbul Tan, a firma dell'antico ministro degli Affari Esteri sig. Riistii Aras. La sua personalità è ben nota a codesto ministero. Posso aggiungere che egli è qui generalmente considerato come esponente di tendenze molto comprensive nei riguardi dell'U.R.S.S. Si ritiene che egli speri di avere una posizione di importanza

I Non pubblicato.

in un eventuale futuro governo, e che queste sue speranze siano ben viste a Mosca. Egli è però uomo ormai di età e dà l'impressione di essere un po' stanco. Sostanzialmente il sig. Riistii Aras, alla fine del suo articolo, suggerisce per il Dodecaneso una specie di regime internazionale ma la direzione dovrebbe far capo al trinomio Turchia Inghilterra Grecia.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 581/257. Mosca, 31 luglio 1945 (per. il 17 agosto).

È lecito prevedere, come cohseguenza della vittoria dei laburisti alle elezjoni inglesi -vittoria qui non preveduta e meno ancora desiderata -qualche cambiamento della politica russa nei riguardi dell'Europa occidentale e, in particolare, d eli' I tali a.

Qui si considerava la politica europea del governo conservatore inglese come la più favorevole per l'Unione Sovietica. L'appoggio dato, se non proprio dal governo britannico, almeno dalle autorità britanniche sul posto, in molti Paesi europei alle forze di estrema destra, finiva per irritare contro l'Inghilterra tutte quelle forze politiche che, altrimenti, per tradizione, per formazione mentale sarebbero state naturalmente portate ad orientarsi verso le grandi democrazie occidentali. Risultato, quindi, l'impossibilità pratica di creare in tutta l'Europa occidentale dei governi realmente forti, con l'appoggio sincero dei settori più vasti dell'opinione pubblica; l'impossibilità, o almeno l'improbabilità di un vero consolidamento delle sfere d'influenza anglo-americana. Quod erat in votis.

Ora qui ci si attende che il governo laburista cambi la politica britannica nell'Europa, liberata od occupata che dir si voglia e ci si rende sufficientemente conto che una politica britannica orientata verso gli elementi ragionevolmente progressivi dell'Europa occidentale può avere un successo, sia immediato che di più larga portata, ben differente.

Sebbene sia questo un terreno su cui è difficile pronunciarsi con sicurezza, ritengo tuttavia di poter dire che qui si guarda con molto scetticismo alle possibilità vere dei partiti comunisti in tutta l'Europa occidentale, e che anche i successi innegabili dei partiti stessi, per esempio in Italia ed in Francia, vengono considerati qui come dovuti a circostanze contingenti e come tali non definitivi. Abituati come sono ad un esame marxista della situazione interna dei vari Paesi, essi si rendono conto della presenza in Europa occidentale di una vasta massa di borghesia, media, piccola e minuta, la quale può essersi staccata dalla grande borghesia capitalista, può aver fatta una considerevole evoluzione a sinistra ma, andando appunto a sinistra. è destinata ad avere una influenza molto forte sull'atteggiamento dei partiti, dal centro alla sinistra. Si rendono conto, in altre parole che, astrazione fatta dalle circostanze contingenti della crisi della liberazione, in Europa occidentale le masse sono più riformiste che rivoluzionarie, nel senso classico della parola. Si rendono conto quindi che mentre un'Inghilterra conservatrice, che assumesse, mutatis mutandis, la funzione dell'Austria di Metternich dopo il periodo napoleonico, _non esercitava una vera forza d'attrazione sull'Europa occodentale, una Inghilterra laburista può avere, con essa, una comunità di idee molto più solida e profonda che non l'Unione Sovietica. Non solo, ma che questa forza di attrazione può estendersi, domani, anche alla Germania ed a quei Paesi della zona di influenza russa, come la Polonia e la Cecoslovacchia che, per un complesso di ragioni, fanno parte piuttosto dell'Europa occidentale che di quella orientale.

Può essere -non ne sono certo -che ad un governo laburista inglese riesca di dissipare il timore che si stia organizzando una futura crociata contro l'Unione Sovietica. Quello che è certo è che qui dal punto di vista della lotta d'influenza in Europa, si considera un'Inghilterra laburista come un avversario assai più temibile che non un'Inghilterra conservatrice. E questa considerazione dovrà fatalmente, presto o tardi, portare ad una revisione della politica europea della Russia, revisione che potrà essere tanto più rapida e radicale, quanto più rapido e radicale sarà il cambiamento dell'atteggiamento del governo inglese di fronte ai problemi politici dell'Europa.

La stampa sovietica, è stata, fino ad oggi, molto cauta nel commentare i risultati delle elezioni inglesi: si è limitata a rilevare come nella politica estera, soprattutto nella politica di collaborazione cogli Stati Uniti e coll'U.R.S.S. i principali partiti inglesi sono d'accordo; non sono quindi da prevedere mutamenti nella politica estera della Gran Bretagna. La lotta elettorale si è svolta sul terreno della politica interna. Rilevo, a questo riguardo, che tutta la stampa sovietica si è ben guardata dal dire che, dopo tutto, l'Inghilterra ha oggi un governo socialista. Ma l'atteggiamento della stampa sovietica non è che facciata: il governo sovietico si rende ben conto che siamo in presenza di un avvenimento storico e riserva il suo giudizio.

Io non so fino a che punto ci si renda conto di quanto in questi ultimi mesi, l'U.R.S.S. ha perduto di simpatie nelle masse europee: e questo esclusivamente per il fatto di non sapere o di non voler tener conto della differente psicologia dell'Europa occidentale. Come V.E. sa, per quanto riguarda l'Italia, io non ho mancato ripetutamente e onestamente di attirare l'attenzione di questo governo sulle ripercussioni nell'opinione pubblica italiana di tante piccole e grandi cose. E, come me, hanno fatto molti altri rappresentanti stranieri. A questa incomprensione ha contribuito, ritengo, molto l'atteggiamento dei rappresentanti sovietici all'estero. Essi non sono più del calibro dei vecchi ambasciatori dell'U.R.S.S.: non c'è più nessuno fra di loro che abbia il coraggio o senta il dovere di dire onestamente le cose come le vede. Le circostanze li portano, li obbligano a sottolineare piuttosto l'ammirazione, l'entusiasmo per Stalin, per la sua politica, per il suo genio. Si aggiunge a questo la sensazione che l'U.R.S.S. si poteva permettere un grosso margine di errori perché, per quanti ne facesse, l'Inghilterra ne faceva anche di più grossi.

Tuttavia, per quanto imperfettamente, qualche cosa di questa reazione è arrivata fin qui: e il viaggio di Molotov in America ha avuto le sue ripercussioni. Ora, con il cambiamento avvenuto in Inghilterra, il problema diventa più acuto e più urgente; e se i dirigenti di questo Paese non sono proprio imbecilli -e fino ad ora non c'è ragione di supporlo-dovranno tenerne conto. Non posso ancora dire con sicurezza se questo avrà una ripercussione sull'atteggiamento della Russia

verso di noi, per quanto concerne le trattative per la conclusione di pace con l'Italia. Logicamente si. La Russia, per ragioni che ho spiegate ampiamente a V.E., vuole una pace punitiva per l'Italia e tutto il suo atteggiamento sulle piccole questioni è stato sufficientemente eloquente. Ma per sua considerazione di avvenire, non vuole figurare in primo piano. Per questo l'atteggiamento ostile di una parte almeno del governo britannico le faceva comodo: era l'Inghilterra che prendeva l'iniziativa: l'U.R.S.S. non aveva che a lasciar fare e dire, poi, a noi, come Io ha detto tante volte: «nella questione italiana dobbiamo procedere d'accordo con i nostri alleati». Se, come dovrei desumere dal rapporto dell'ambasciatore Carandini, tràsmessomi col telespresso di V.E. n. 10474/c. 1 è probabile che il governo laburista adotti un atteggiamento differente, ritengo assai poco verosimile che la Russia prenda lei l'iniziativa della durezza verso l'Italia. Si limiterà probabilmente a domandare per sé delle riparazioni, e ad appoggiare, più o meno decisamente, a seconda dell'atteggiamento anglo-americano, le richieste jugoslave. Ma in massima lascerà che gli altri prendano l'iniziativa: saranno quindi, Grecia, Jugoslavia, Etiopia a chiedere per una pace dura, e l'America e l'Inghilterra eventualmente a prendere le nostre difese.

Ma una volta concluso il trattato di pace, sia esso provvisorio o definitivo, comincia la politica verso l'Italia. Questo sarebbe accaduto, anche se non ci fossero stati cambiamenti nel governo britannico. È nelle linee della politica sovietica: con il trattato di pace si liquida il passato, il peccatore riceve la sua penitenza ed è in certo senso assolto; si ricomincia una vita nuova. Solo che, se realmente il governo britannico intende mutare la politica inglese verso l'Italia, questa evoluzione russa può essere più marcata. È bene quindi che da parte nostra si tenga conto di questa probabile evoluzione della politica sovietica verso di noi, in modo da sapere già che cosa vogliamo fare. Sarei molto sorpreso di vedere, da parte russa, una evoluzione brusca: si comincerà probabilmente con delle piccole cose e, soprattutto sul terreno economico, io considero l'accenno fattomi, di sua iniziativa, da Dekanozov come il primo passo in questa direzione.

La tendenza sovietica, nel campo economico, è stata sempre quella di vedere le cose in grande e per periodi abbastanza lunghi; e credo che questa tendenza sarà piuttosto accentuata che attenuata nel periodo del dopo guerra. Quello che i russi probabilmente vorranno, al di là dei primi accordi temporanei e limitati, soli possibili nel nostro periodo di riassestamento, è un piano a lunga portata e di vasta envergure, che preveda anche, se necessario, qualche adattamento della nostra economia alle circostanze dei nostri traffici con l'Unione Sovietica. Poiché, almeno come prima della guerra, le nostre possibilità di acquisti nell'Unione Sovietica sono limitate solo dalla nostra possibilità di vendere qualche cosa in cambio.

Nel complesso, qui si ha un buon ricordo dei rapporti economici passati con l'Italia, ed è possibile che si pensi a noi, in una certa misura almeno, anche per quelle richieste di tecnici e di specialisti di cui questo Paese avrà ancora bisogno. Non è possibile ancora farsi un'idea di quella che sarà la politica russa in materia di acquisti di prodotti di largo consumo; tuttavia, come prima della guerra, si continuerà a preferire acquisti di macchine, navi, ecc. La Russia è un mercato

l Non pubblicato.

immenso, anche se ancora non completamente sviluppato, e, mi sembra per la ripresa della nostra economia non possiamo trascurarlo; e non dobbiamo nemmeno ]asciarci spaventare da eventuali timori di una dipendenza economica del mercato russo; per noi, il problema primo è quello di dar lavoro agli italiani. Bisogna, quindi, che cominciamo, fin da ora, a prepararci seriamente a queste trattative commerciali, studiando accuratamente quello che possiamo chiedere, quello che possiamo dare, in qual senso possiamo trasformare o sviluppare le nostre possibilità di produzione. Avremo a che fare qui 'con gente preparata e che sa il fatto suo; bisognerebbe evitare che si ripeta lo spettacolo penoso, a cui ho dovuto assister molte volte nel corso della mia carriera, di una delegazione sovietica perfettamente preparata di fronte ad una delegazione italiana incompetente.

Ma presto o tardi, dovremo entrare anche nel campo politico. Nel campo politico, il fine massimo a cui si può arrivare è un patto, più o meno del genere del patto franco-sovietico. Per forza di cose, da Mosca, ci sono molti elementi che mi sfuggono. Con questa premessa mi sembra che la politica che, entro i limiti della nostra possibilità, ci converrebbe, è una politica di indipendenza e di equidistanza fra i due gruppi contendenti. Intendendo questa politica, non come una politica di mediazione per la quale, oggi almeno, non esistono le possibilità sia per noi che per altri, né come quella che si chiama la politica tradizionale italiana di pescare nel torbido, ma la politica dignitosa di un Paese che vuole essere lasciato in pace e vivere in pace, in quanto possibile, con tutti. Se i due gruppi riusciranno a vivere d'accordo, tanto meglio, questa politica non sarà che più facile; se non ci riusciranno, mi sembra che valga la pena di seguire una linea che ci possa permettere di sperare di poter restare neutrali in caso di conflitto; nelle due ultime guerre avremmo benissimo potuto restare neutrali se avessimo voluto; non è detto che ciò non possa riuscirei una terza volta. Bisogna tener presente che il concetto russo della sicurezza in Europa è prevalentemente difensivo.

Partendo da questo punto di vista, non sarei favorevole alla conclusione di un patto con l'Unione Sovietica a meno che fosse possibile, contemporaneamente o quasi, concludere un patto analogo con l'Inghilterra. E, se questa sarà la politica americana, anche con gli Stati Uniti. Ma, escluso il patto, questo non toglie che dovremo fare tutto il possibile, con atti o con parole, per persuadere l'Unione Sovietica che non le siamo ostili e che non siamo disposti ad entrare in coalizioni dirette contro di lei. A questo scopo, ritengo dovere dire subito, è in primo luogo necessario dare l'impressione qui che i nostri rapporti con l'U.R.S.S. non sono in funzione di politica interna italiana, che non ci sono cioè partiti politici italiani che sono anti sovietici perché sono anti comunisti all'interno e viceversa. Bisogna che noi ci abituiamo a considerare, in politica estera, la Russia come Russia, e non come Stato più o meno comunista. Questa è oggi la politica della Russia e la migliore maniera di persuadere la Russia della opportunità per lei di continuare in questa via è appunto quella di non confondere, all'interno, le due cose.

Se noi riusciamo a persuadere la Russia, e ci vorrà del tempo e della pazienza, e molta, che la vecchia Italia agitata e mestatrice è realmente finita e che al suo posto è venuta una nuova Italia tranquilla, seria, dignitosa, che vuole nel mondo il posto che naturalmente le spetta senza fare passi più lunghi della gamba, indipendentemente da quello che sarà l'assetto interno che si darà all'Italia, ci saremo assicurati da questa parte rispetto e tranquillità. È un'opera lunga paziente e difficile, poiché abbiamo a che fare con un governo naturalmente sospettoso: un'opera in cui avranno la massima importanza le piccole cose, a cui qui si fa la massima attenzione, mentre noi abbiamo una inveterata tradizione di non darvi importanza; ma che, secondo me, vale la pena di essere tentata.

Ho ritenuto mio dovere di esporre a V.E. francamente il mio pensiero sull'argomento. È una questione non della massima urgenza poiché si riferisce al periodo, forse non immediato, per la parte politica almeno, che seguirà alla conclusione della pace: abbiamo quindi tutto il tempo per rifletterei e per decidere. Ma è però abbastanza urgente da farmi ritenere opportuno chiedere a V.E. di mettermi in grado di conoscere il pensiero del governo italiano in proposito. Qui tutto deve essere preparato con lunghe e ripetute conversazioni preliminari: e già mi è stato accennato qui da varie fonti che sarebbe il tempo di cominciare a parlare di altre cose, che non delle piccole questioni di ordinaria amministrazione.

375

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6388/395. Londra, 1° agosto 1945, ore 22 (per. ore 9,30 del 3).

Conferenza di Potsdam si prevede non si chiuderà prima della fine settimana data lieve indisposizione Stalin. Non si avrà quindi lista completa nuovo governo fino ai primi entrante settimana.

Circa accordo finora raggiunto a Potsdam ho avuto da fonte riservata, ma di cui non posso assumere responsabilità, indicazioni seguenti: Stati ex nemici sarebbero stati divisi in tre categorie a seconda proprie responsabilità. Nella prima figurerebbero Italia e Finlandia, ammesse ad una pace molto prossima. Nella seconda Stati satelliti occupati dalla Russia cui sorte sarebbe decisa in un secondo tempo. Nella terza Germania e Giappone per cui si prevede prolungata occupazione militare e sistemazione coercitiva.

Per quanto riguarda Italia, l'America assunto atteggiamento nettamente favorevole ad una pace generosa. La Russia sarebbe stata propensa piuttosto ad una pace punitiva ma disposta a non insistere di fronte deliberato diverso avviso anglo-americano. Inghilterra avrebbe influito in senso a noi favorevole accostandosi tesi americana.

In complesso pare che programma Potsdam siasi limitato linee generali ed abbia a concretarsi in programma di carattere generale tipo carta atlantica.

Negli ambienti laburisti si mette qui in evidenza possibilità distensione anglo-russa nel cui quadro questioni italiane potrebbero trovare più facile soluzione sfuggendo all'influenza di più vasto ordine competizioni. Quanto precede per notizia, riservandomi informazioni precise dopo aver avvicinato al suo ritorno Bevin.

376

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1164/475. Ankara, fO agosto 1945 (per. il 16).

Dai miei primi contatti con personalità turche ho riportato l'impressione che non mancano sensi di comprensione e di simpatia per l'Italia, e spesso l'intenzione di impostare i rapporti fra i due Paesi su basi amichevoli e di franca cooperazione.

Il turco ha la memoria lunga, e non ha certo dimenticato l'impresa libica del 1911 che precorse e in parte determinò i successivi· avvenimenti balcanici disastrosi per la Turchia. Ancora meno ha dimenticato le intenzioni italiane in Anatolia durante l'altra guerra e subito dopo; né le smargiassate e truculenze fasciste, che furono in un certo periodo accortamente sottolineate, esagerate e sfruttate dagli inglesi a nostro danno; né la paura, se anche dimostratasi poi infondata, che l'Italia ha fatto per lungo tempo alla Turchia. La nostra presenza nel Dodecaneso ha naturalmente aumentate le apprensioni di questo Paese e la sua ostilità verso di noi. Sopraggiunto il nostro crollo, questi sentimenti sono andati e vanno progressivamente svanendo. Riaffiorano, è vero, ogni tanto, sopratutto quando traspare dalla stampa od altrimenti qualche intenzione alleata di aiutare l'Italia a risollevarsi (vedi tra l'altro il telespresso di questa ambasciata del 7 marzo u.s., n. 86) 1 . Sono ritorni sporadici di diffidenza e di sospetto. Ma in realtà ai turchi noi non incutiamo e almeno per un certo tempo non incuteremo più timore.

Questo senso di accresciuta sicurezza verso l'Italia -sopratutto in un Paese di grandi tradizioni militari come questo-è certo, dati i motivi che lo determinano, per noi assai penoso: può risolversi, e senza dubbio spesso si risolve, in menomazione di rispetto e di stima, in scapito del nostro prestigio. Ma tale è la dura realtà. L'Italia riacquisterà la considerazione del mondo solo col suo lavoro e con la sua disciplina, dando prova di carattere, di serietà, di coraggio, di senso di realtà, di spirito di organizzazione. Io ho già cominciato a battermi-e credo mio primo dovere battermi ad oltranza -per convincere questa gente della capacità e della volontà di ripresa dell'Italia. Ed ho speranza di trovare terreno propizio. Ma naturalmente è il contegno del nostro Paese quello che sarà il fattore determinante. Comunque, i turchi sono realisti. Vedono nell'Italia un Paese di 44 milioni di abitanti, in una posizione geografica di eccezionale importanza. Sanno che gli italiani sono un popolo di tenaci e intraprendenti lavoratori, dotati di senso pratico e di formidabile vitalità. Sono portati -ed in questa direzione io andrò incoraggiandoli -a farci credito.

D'altra parte bisogna sempre tener presente che il problema essenziale della politica estera turca sta nell'incubo dell'U.R.S.S. La Turchia cerca ogni via per creare un contrappeso al formidabile e intraprendente vicino. Spera di trovarlo in primo luogo nell'Impero britannico, per il quale essa ha, tra l'altro, la funzione di

I Non pubblicato.

Stato cuscinetto: ed in tale speranza essa si prodiga in manifestazioni di simpatia e di amicizia di ogni genere verso l'Inghilterra e gli inglesi, e ad ogni buon fine verso gli americani, dai quali inoltre confida di avere assistenza finanziaria.

Ma oltre che negli anglo-sassoni, se anche in scala parecchio minore, la Turchia attende solidarietà ed eventualmente appoggio dall'Italia e dalla Grecia. Giudica entrambi i Paesi altrettanto e solidalmente interessati a resistere alla minaccia che il Mediterraneo orientale diventi un mare slavo. Crede che tanto l'Italia quanto la Grecia saranno spinte ed aiutate dall'Inghilterra in tale atteggiamento di difesa. Spera che riuscirà agli inglesi di appianare le difficoltà e spegnere le diffidenze fra i due Paesi, in un comune superiore interesse.

Quanto alla Francia il mio giudizio non è ancora definitivo. Ma, a prima vista, e da accenni che ho creduto di cogliere, mi sembra che essa ha perduto qui moltissimo terreno. Le sue recenti vicende in Siria non le hanno certo giovato. L'ambiguità della sua politica generale è notata anche qui: in particolare non è chiaro il posto che occupa fra l'U.R.S.S. e gli anglo-sassoni. Tanto più se finisse per essere estromessa dalla Siria, la stessa posizione geografica sua e delle sue colonie la fanno apparire come una estranea nel Mediterraneo orientale.

Come puo concretarsi una cooperazione italo-turca? Nelle attuali contingenze non vedo la cosa attuabile nel campo della politica militare e della politica pura. Anche le relazioni culturali hanno poca probabilità di notevole sviluppo nei tempi fortunosi che attraveresiamo, in cui tutto è difficile. Rimane la possibiltà di creare ed alimentare fra i due Paesi una atmosfera di fiduciosa comprensione e di reciproca buona volontà. Sarà mia cura di adoperarmi in questo senso nei limiti delle mie possibilità e delle mie risorse. E sarebbe certamente utile, per esempio, che codesto ministero inspirasse, in qualche giornale e rivista seria, qualche articolo sobrio ma comprensivo e simpatico per la Turchia, la sua posizione, i suoi ideali. E rimane sopratutto la convenienza di ristabilire e sviluppare con la Turchia una vasta corrente di scambi commerciali. Mi richiamo, al riguardo ai miei telespressi del 12 e 16 luglio nn. 943/357 e 990/381 1• La possibilità c'è, e la effettuazione potrebbe avere prossimo inizio. Anche le difficoltà di ordine finanziario e quelle connesse con i trasporti sembrano non insuperabili.

A Istanbul prenderò contatto con quel mondo degli affari e vedrò se sia possibile suggerire iniziative più ampie che non il semplice scambio di merci. Ma cerchiamo di incominciare da quello che è presto attuabile. Quando l'Italia credeva, ed in qualche momento dava l'illusione, di essere una Grande Potenza, aveva rapporti a tu per tu coi potenti della terra. E la piccola gente che la governava credeva elegante di trattare con ostentata degnazione i Paesi meno forti. Ora che quella politica ci ha portati allo sbaraglio, e che stiamo cominciando a risalire faticosamente la china della rispettabilità e del buon nome fra le Nazioni, è nostro interesse e nostro preciso dovere curare con ogni impegno i rapporti in tutti i campi con tutti i Paesi disposti a collaborare con noi. Uno di questi, e non degli ultimi, indubbiamente, è la Turchia.

l Non pubblicati.

377

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 6427-6408/332-333. Washington, 2 agosto 1945, ore 21,41 (per. ore 11,50 del 4). Mio telegramma n. 307 1 .

Alle tre pomeridiane mi è stata data conoscenza comunicato finale Conferenza Berlino. Non potendo avere subito comunicazione telefonica con Roma mi sono astenuto trasmetterlo.

Al Dipartimento di Stato si è mostrata soddisfazione per la parte concernente prossimo trattato di pace per l'Italia sulla cui redazione si è convinti abbia prevalentemente influito delegazione americana la quale ha tenuto porre evidenza meriti acquisiti dalla nuova Italia democratica e nostra partecipazione guerra Giappone. Così pure si era lieti non fosse stata accolta proposta di decidere immediatamente circa territori da sottoporre a trusteeship e che soluzione definitiva fosse stata demandata alla conferenza di Londra dei cinque ministri degli Affari Esteri.

Circa quest'ultima è stato accennato che in detta conferenza parte decisiva spetta Potenze anglo-sassoni. Si confida che Cina potrà allinearsi con Stati Uniti d'America. Quanto alla Francia almeno ... 2 alcune questioni interesse comune (Eritrea, Somalia, ecc.).

Si pensa al Dipartimento di Stato che trattato di pace potrebbe essere definito e concluso in periodo brevissimo: forse già per fine mese settembre. Ad esplicita sollecitazione fatta ad ogni buon fine da questa ambasciata sono state confermate note assicurazioni americane di cui al mio telegramma n. 291 3 . Al Dipartimento non si è ancora in grado di dare dettagli su relativa procedura: si presume che ci potrà essere comunicato parte stesso progetto trattato in maniera che governo italiano possa discuterlo e presentare subito sue vedute.

Al Dipartimento non si hanno ancora .notizie circa andamento discussioni Berlino di cui si avrà conoscenza soltanto al ritorno delegazione americana. Ci si daranno allora possibili elementi.

Da vari mesi, da quando, come ella sa, avemmo notizie che inglesi ed americani si preparavano alla pace con l'Italia, questa ambasciata si è assiduamente adoperata per creare al Dipartimento di Stato atmosfera a noi favorevole sulle singole questioni di vitale importanza che dovranno essere definite con trattato di pace. Comunicato finale convegno Berlino pone ormai precisi limiti di tempo per inizio conferenza cinque ministri Affari Esteri Londra e si riafferma qui convinzione che potrebbe essere assai rapida conclusione trattato di pace con l'Italia.

In tale stato di cose, che non sembra attualmente consentire possibilità di procrastinare, diventa urgentissimo, direi vitale, che questa ambasciata, oltre ele

t Vedi D. 362. 2 Gruppi indecifrati. 3 Vedi D. 334.

menti già pervenuti sulle varie questioni già utilizzati, possa disporre al più presto possibile delle bozze delle memorie che il nostro governo -secondo le intenzioni americane -dovrà presentare su nostre questioni territoriali, metropolitane (frontiera con Francia, Venezia Giulia, Alto Adige) e coloniali, e su questioni economiche, in modo poter discutere concretamente al Dipartimento di Stato e maggiormente orientarne per quanto è possibile decisioni prima partenza della delegazione americana per Londra. Stesso Dipartimento ha ancora oggi ripetuto nuovamente raccomandazioni di cui al mio telegramma n. 307 rilevando speciale interesse conoscere tempestivamente nostro punto di vista. Dette bozze di memorie dovrebbero pertanto pervenire qui con la maggiore celerità già redatte in lingua inglese e preparate in guisa tale da renderne possibile immediata presentazione, sì da evitare perdita di tempo tenuto conto del limitato personale di cui questa ambasciata dispone. Sarebbe preferibile forse stamparle (in modo da poter disporre di un certo numero di copie ben presentabili) e corredarle di dati storici, geografici, etnografici, economici, diagrammi e fotografie in modo esporre, con opportuna obiettività, nostre buone ragioni. Documenti del genere gioverebbero anche per quanto concerne Zara, Fiume, Dodecaneso, Etiopia, Tunisia, (entità concessioni fatte alla Francia, argoment [azioni] favorevoli per quanto concerne occupazioni militari Grecia e Jugoslavia), in modo da rendere edotti U.S.A. dei grandi sacrifici anche economici e finanziari (capitali spesi e ancora investiti) sopportati dall'Italia [in tali] regioni; e ciò sia ai fini valutazione globale onerosa pace per indurre maggiormente U.S.A. non acconsentire eccessive pretese territoriali ai nostri danni, sia per tentare di limitare richieste riparazioni da parte della Francia, Grecia, Jugoslavia, Etiopia. Il tempo utile a disposizione nostra per perfezionare lavori di orientamento qui [necessari] è [valutato] non più di tre settimane.

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RIUNIONE MINISTERIALE PER LA CONFERENZA DELLA PACE 1

VERBALE. Roma, 2 agosto 1945.

De Gasperi: Si tratta di prendere delle decisioni di massima. Non sappiamo ancora quale sarà la procedura per la prossima Conferenza ma sembra che potremo far presenti le nostre ragioni. Occorre quindi essere preparati sulle varie questioni che ci interessano e che potranno venire in discussione. Esse sono d'altra parte intimamente concatenate tra loro. La principale e più minacciosa è quella della Venezia Giulia; poi Alto Adige; poi Francia: il tutto inquadrato nella questione mediterranea e nel problema delle colonie e del Dodecaneso. Su queste due ultime non dobbiamo farci molte illusioni. Il problema coloniale è compromesso da passate dichiarazioni inglesi nonché dagli interessi dell'Impero britannico. Forse è opportuno

l Alla riunione parteciparono De Gasperi, Visconti Venosta, Saragat, Prunas, Chatrian e Cerulli.

iniziare la discussione sulla questione coloniale poiché ad essa è connesso il nostro atteggiamento verso la Francia.

Visconti Venosta: È sua opinione che per salvare qualcosa delle nostre colonie dobbiamo basarci sulla formula di difendere i risultati del lavoro italiano. Da conversazioni confidenziali avute risulta che a Potsdam si è ammesso il principio di mantenere la sovranità italiana su Tripoli. Il resto dovrebbe tutto andare sotto trusteeship. È stata ammessa la partecipazione russa ai trusteeships coloniali. Gli Stati Uniti sarebbero favorevoli ad un trattamento più favorevole per noi ma essi cozzano di fro~te alla opposizione dell'Inghilterra la quale poggia le sue argomentazioni sull'esperienza dell'ultima guerra. Visconti ritiene improbabile che l'Inghilterra ammetta una sovranità italiana sull'altopiano cirenaico o l'Eritrea. Converrebbe rinviare il problema, se possibile, a quando saremo ammessi tra le Nazioni Unite. Il tempo lavora per noi. In linea generale è d'opinione che data la nostra disastrosa situazione finanziaria, il trusteeship può offrirei la migliore possibilità per riportare il lavoro italiano nelle nostre colonie.

Saragat: Ha impressione che de Gaulle ci sosterrà per la conservazione della nostra sovranità sulla Tripolitania e la Cirenaica. È noto d'altra parte che il generale abbina l'appoggio francese alla concessione da parte nostra di rettifiche in Africa e sulla frontiera franco-italiana ma forse è possibile sganciare i due problemi.

Cerulli: È d'accordo con Saragat nel senso che non sia da escludere a priori la restituzione di una parte almeno delle colonie alla nostra piena sovranità. D'altronde nell'esame della questione occorre tener presente il carattere particolare ed i particolari aspetti delle singole nostre colonie. Prendiamo anzitutto la Cirenaica. La zona che meglio si presta alla colonizzazione è per l'appunto l'altopiano, oltre che per ragioni climatiche anche perché è praticamente spopolato. Per stabilire tuttavia nostri coloni nella misura che vogliamo è necessario conservare la piena sovranità. Tra l'altro uno dei principi fondamentali del trusteeship è quello di cristallizzare il rapporto attuale tra le varie popolazioni esistent.i nei territori presi in esame. Stando a questo principio noi non potremmo quindi superare la cifra di 60 mila coloni italiani, cifra troppo esigua. C'è un altro aspetto: la Cirenaica è, assieme a Creta, uno dei piloni dell'ingresso dall'Egeo nel Mediterraneo orientale. Conviene all'Inghilterra ammettere la Russia ad un controllo di questa zona? Quanto ai Senussi è da ricordare che il movimento è di origine algerina. Si è quindi stabilito nel deserto libico e di là si è diramato in confraternite le quali tuttavia non si trovano solo in Cirenaica ma ad esempio anche in Africa Equatoriale francese. Vi è del resto un'aperta lotta tra la confraternita senussita e le popolazioni cirenaiche. Volendo anche dare ai Senussi uno sbocco al mare, si potrebbe offrire la Marmarica o il porto di Tobruk. Per quanto infine riguarda eventuali compensi alla Francia potremmo senz'altro cedere le oasi della Libia meridionale le quali non hanno utilità. Noi abbiamo infatti solo due interessi: a) il mantenimento della striscia di territorio che difende la zona di colonizzazione italiana; b) l'opportunità di mantenere il Fezzan come moneta di scambio verso i Senussi e l'Inghilterra. Anche per l'Eritrea il sistema del trusteeship -a meno che non venisse affidato unicamente all'Italia -offre insormontabili inconvenienti. Asmara è nettamente italiana. È da prevedere inoltre che se si trattasse di istituire un trusteeship collettivo ci troveremmo di fronte alla pretesa di una partecipazione etiopica che sarebbe assolutamente intollerabile. Essa sarebbe infatti o fonte continua di attrito con le popolazioni locali, molto più evolute di quelle etiopiche, oppure nel caso di una coalizione tra i due gruppi africani essa condurrebbe ad una situazione per noi insostenibile. Occorre d'altra parte ricordare che l'occupazione italiana fu assolutamente pacifica. Non vi è alcuna base per le rivendicazioni etiopiche. La pretesa abissina di uno sbocco al mare è una cosa nuova. Potremo anche trovare una base di accordo nella eventuale cessione di Assab: ma è da tener presente che ogni concessione del genere sarebbe malvista dalla Francia perché rovinerebbe Gibuti. Sotto questo aspetto vi è quindi una possibilità positiva di stabilire una azione concorde con la Francia. Quanto alla Somalia è da tener presente che essa non fa ombra a nessuno. La parte settentrionale non ha alcun valore. È priva di porti e la sua unica ricchezza è rappresentata dalle saline che hanno importanza per il commercio con l'India. La parte meridionale è invece un piccolo miracolo e l'Italia vi ha costruito due ottimi centri agricoli: il villaggio Duca degli Abruzzi per la produzione dello zucchero e del cotone; Genale per la produzione di banane; ed infine il basso Giuba. Anche questa parte non può dar ombra ad altri né dal punto di vista marittimo, né da quello geografico. Riferendosi alle osservazioni del marchese Visconti Venosta circa la precarietà della nostra situazione finanziaria avvenire, Cerulli afferma che si tratta di considerazioni che conviene non sopravalutare. Sotto molti aspetti le nostre colonie si trovano in condizioni anche migliori della madre patria. L'Eritrea è intatta ed in buone condizioni economiche. La Somalia si sta avviando verso una indipendenza economica. Anche in Tripolitania le condizioni sono buone. Solo la Cirenaica è gravemente colpita con la aggravante dell'effettuato esodo di 60 mila nostri coloni per iniziativa di Rommel. D'altra parte il tentativo inglese di far occupare le nostre aziende dagli arabi ha battuto un tempo di arresto. In conclusione Cerulli ritiene che dobbiamo assolutamente tentare di difendere la nostra sovranità su tutti i territori coloniali e che in questo abbiamo buone possibilità di intesa con la Francia.

De Gasperi: Anche se questa intesa potesse essere raggiunta solo a costo delle 'nostre frontiere continentali?

Saragat: De Gaulle effettivamente ha agganciato le due questioni ma VI è speranza che esse possano essere isolate.

Visconti Venosta: È senz'altro favorevole a trattative con la Francia sopratutto perché se è forse scarso l'aiuto che ci può dare, notevole è il male che ci potrebbe fare. Occorre tuttavia che non ci facciamo illusioni. L'Inghilterra ha già dichiarato quattro volte, ai Comuni, di essere contraria alla restituzione delle colonie all'Italia. La Russia desidera entrare nei trusteeship e ha già ottenuto a Potsdam il riconoscimento di tale principio, giocherà contro di noi perché è interessata al Mediterraneo. Gli Stati Uniti ci sono favorevoli ma anzitutto non entreranno in dissidio con l'Inghilterra e, in secondo luogo, avendo essi inventato il trusteeship, non possono rinunciarvi. È d'opinione quindi che all'infuori della Tripolitania non si parlerà della restituzione di altre colonie alla nostra sovranità. Conferma quindi l'opinione che ci conviene possibilmente rinviare la discussione.

Prunas: È esatto che gli inglesi erano contrari. Ma ci sono due fatti nuovi: la richiesta russa ed il nuovo governo laburista. Il fatto che non si sia trattato il problema coloniale a Potsdam dimostra che non si riteneva possibile arrivare ad una decisione. Quindi c'è ancora margine per una nostra azione e dobbiamo non abbandonarlo.

De Gasperi: Tornando sulla questione della opportunità o meno di cercare di ottenere l'appoggio francese, osserva che evidentemente ciò dipende dal fatto se la contropartita sia o no troppo onerosa. Se il problema fosse mantenuto sull'ambito dei compensi in Africa non vi può essere dubbio che ci conviene trattare. Ma se si parla di confini occidentali?

Saragat: Ripete le dichiarazioni fattegli da de Gaulle 1: niente val d'Aosta, niente Susa. Rimangono ancora in sospeso le questioni del Monginevro e quella di Briga e Tenda. Viceversa de Gaulle si è mostrato favorevole a che noi si mantenga la Tripolitania e la Cirenaica, chiedendo a questo riguardo «se noi vorremmo compromettere il nostro fronte mediterraneo pel bene di soli tre comuni». Saragat cercherà comunque di interpretare il preciso pensiero dei francesi. Si tratta in gran parte di interessi locali e spera quindi che la nostra resistenza sia possibile ed efficace.

Nella discussione generale che segue si conviene che convenga senz'altro cedere per quanto riguarda le terre di caccia, resistendo tuttavia contro la cessione di Tenda e Briga, cioè basandosi sopratutto su considerazioni di carattere economico (centrali elettriche).

Saragat: Chiede se per quanto riguarda le nostre frontiere terrestri non sia possibile un gesto di grossa risonanza come ad esempio offrire la smilitarizzazione completa delle nostre frontiere: ciò tanto più che è probabile che ce lo impongano lo stesso.

Chatrian: Ritiene la smilitarizzazione estremamente pericolosa. Rispondendo a domanda di Saragat dichiara preferibile perdere Tenda e Briga che non dover subire una smilitarizzazione totale della frontiera. Saragat insiste sostenendo che il potenziale francese è estremamente basso e che quindi non vi può essere alcun pericolo di aggressione da parte della Francia. Anche l'industria francese è in piena decadenza. Chatrian insiste che il potenziale bellico francese è comunque enormemente superiore a quello italiano. La Francia inoltre è ricca ed ha possibilità di rifornirsi all'estero. Dopo la Russia è il solo Paese in grado di mettere in piedi un esercito forte. Occorre non dimenticare che essa ha ben l 05 mila militari di carriera.

Saragat: È senz'altro favorevole a difendere la italianità di Trieste. In questo possiamo anche contare sull'appoggio francese. Molto più dubbia è la situazione per quanto riguarda l'Istria.

De Gasperi: Alto Adige. Uno dei nostri principali argomenti è che gli allogeni hanno nel 1939, quando l'Italia era ancora neutrale, preferito diventare tedeschi.

I Vedi D. 346.

509 Ben 80 mila di essi hanno già perfezionato l'acquisto della cittadinanza germanica. Occorre inoltre sottolineare l'enorme sviluppo industriale da noi dato alla regione. Infine molti degli allogeni hanno effettivamente desiderio di rimanere italiani.

Visconti Venosta: Ha l'impressione che la questione dell'Alto Adige sia stata già decisa a nostro favore.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. 4903/c. Roma, 3 agosto 1945 1•

Sarebbe stato in via di massima già deciso a Potsdam di rimandare la questione della pace con l'Italia all'esame e alla decisione di una conferenza dei tre ministri degli Esteri, britannico, nordamericano e sovietico che sarebbe stata, fissata per i primi del prossimo settembre.

Non si esclude peraltro che possa sin da ora essere deciso a Potsdam un nostro mutamento di status, che, assumerebbe forma e sostanza di modus vivendi. È quel che sapremo nei prossimi giorni. La questione italiana è stata comunque affrontata e accenno sommario sarebbe stato fatto alle principali condizioni che ci saranno imposte od offerte. Esse sarebbero particolarmente dure in materia sopratutto coloniale, nei confronti della quale prevarrebbe il concetto di una generale trusteeship in comune, russi compresi.

Ci è stato assicurato da fonti buone che governo sovietico ha sostenuto in sostanza, sia in materia coloniale che di riparazioni, teoria e prassi pace punitiva. Secondo stesse fonti mutamento governo britannico dovrebbe in definitiva giocare in nostro favore.

Sono, queste, notizie che ho ragione di ritenere attendibili, ma tuttora approssimative e sommarie.

Sta comunque di fatto che abbiamo dinanzi a noi oltre un mese per chiarire ai diversi governi i nostri punti di vista, esporre le nostre tesi, illustrare le nostre esigenze. Ed è quel che faremo. Le ho già spedito un promemoria riassuntivo sulla frontiera del Brennero 2 . A giorni seguirà un secondo promemoria sulla frontiera orientale. In materia coloniale e la conosce già, per sommi capi, la nostra tesi. Continueremo ad attrezzarla e documentarla al meglio. Conto molto ed il Paese conta, in questo periodo per noi decisivo, sulla sua opera e sulla sua attività.

l Il 3 agosto il telegramma venne inviato solo a Washington, alle altre sedi fu inviato il 4. 2 Vedi D. 364.

380

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. PERSONALE 4904/484. Roma, 3 agosto 1945, ore 19.

Conviene ella sappia che pressioni interne per revisione nostri rapporti diplomatici con Spagna si sono in questi giorni -anche evidentemente in seguito avvento governo laburista britannico -rafforzate e andranno certamente intensificandosi.

È mia persuasione che -nelle circostanze economiche in cui siamo -sia dovere nostro esplorare a fondo effettiva possibilità riprendere quanto ci è dovuto: cioè limitare nella piena misura del possibile danni già gravissimi che intervento in Spagna ha arrecato al popolo italiano.

Per ciò fare, cioè per resistere alle pressioni cui le accennavo, ho bisogno che codesto governo dia concreta e rapida prova voler seguirei su questa strada. Ad esempio, se già concordata transazione grano olio potesse effettivamente aver luogo entro prossimi giorni, ciò varrebbe certamente facilitare mio compito e agevolare partenza nostra delegazione per regolamento debiti.

Paese avrebbe sensazione che nostro atteggiamento -come in fatto esso è è èffettivamente e unicamente dettato da concreto interesse nazionale. Faccia, la prego, l'uso che riterrà migliore di quanto sopra con quel senso di opportunità e di tatto che le è abituale. La ringrazio.

381

IL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. URGENTE 463/37/45. Roma, 3 agosto 1945 (per. stesso giorno).

On the instructions of Mr. Ernest Bevin I ha ve the honour to transmit herewith the text of the paragraphs in the final communiqué of the Potsdam Conference which relate to the conclusion of peace with Italy, and to the subsequent admission of Italy to the United Nations.

ALLEGATO

FINAL COMMUNIQUÉ OF THE POTSDAM CONFERENCE (ITALY)1

The three Govemments consider it desirable that the present anomalous position of Italy, Bulgaria, Finland, Hungary and Roumania should be terminated by the conclusion of peace treaties. They trust that the other interested Allied Govemments will share these views.

1 Ed. in United States and Italy, cit., p. 161, in Foreign Relations of the United States, The Conference of Ber/in, vol. Il, cit., p. 1492, e in Documents on British Policy Overseas, serie I, vol. I, 1945, London, Her Majesty's Stationery Office, 1984, p. 1273.

For their part the three Governments have included preparation for a peace treaty with Italy as the first among the immediate important tasks to be undertaken by the new Council of Foreign Ministers. Italy was the first of the Axis powers to break with Germany, to whose defeat she has made a materia! contribution, and has now joined the Allies in the struggle against Japan. Italy has freed herself from the fascist régime and is making good progress towards the reestablishment of a democratic Government and institutions. The conclusion of such a peace treaty with a recognised and democratic Italian Government wi!l make it possible for the three Governments to fulfil their desire to support an application from Italy for membership of the United Nations.

382

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6464/330. Mosca, 4 agosto 1945, ore 16,08 (per. ore 9,30 del 6).

Mio telegramma 292 1•

Ambasciatore di Cina mi comunica: 1°) Chang Kai-Shek è stato personalmente molto lieto offerta governo italiano mettere disposizione piloti italiani per servizi aviazione cinese contro Giappone: ringrazia governo italiano e spera fare uso nostra offerta in tempo relativamente breve e si riserva ulteriori comunicazioni a questo riguardo per mio tramite; 2°) per decisioni prese Potsdam cinque ministri degli Affari Esteri dovranno riunirsi Londra in data prossima in ogni modo prima del lo settembre per decidere condizioni pace Italia.

Nuovo ministro Esteri Cina giungerà Mosca fra pochi giorni per accompagnare Soong per conclusione trattative con Russia. Chang Kai-Shek desidera che durante suo soggiorno Mosca egli si metta in contatto con me per essere messo al corrente nostro punto di vista su principali questioni relative Italia che saranno in discussione in modo che egli possa presentarsi Conferenza Londra con necessaria preparazione. Chang Kai-Shek assicura che ministro Esteri cinese farà uso tutta sua influenza prossima conferenza per assicurare Italia pace giusta generosa sia per simpatia per Italia sia perché ciò corrisponde principio politico generale Cina che ritiene pace durevole non possa essere assicurata che su base di giustizia. Ambasciatore Cina mi ha aggiunto confidenzialmente che partecipazione Cina è stata richiesta particolarmente da America per avere sicuro appoggio. È mia impressione che Cina cercherà farsi valere prossima conferenza per marcare sua intenzione essere presente politica europea. Trattasi suo primo intervento questioni europee. Prego V.E. volermi far avere con necessaria urgenza tutti elementi utili, oltre quelli che già ho, per le mie conversazioni con ministro Esteri di Cina. Avverto ad ogni buon fine che per quanto concerne Cina, per ragioni ora asposte, non conviene insistere su questione colonie 2•

l Vedi D. 354. 2 Per la risposta vedi D. 408.

383

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. PERSONALE 6512/336. Washington, 4 agosto 1945 (per. ore 9,15 del 6).

In commenti a dichiarazioni Berlino, attribuiti a te e a presidente del Consiglio da corrispondente New York Times e qualche altro giornale, si apprezza opera nuovo governo laburista per riconoscimento contenuto detto comunicato e per possibilità nostro intervento negoziati pace. Da detta corrispondenza non apparirebbe invece apprezzamento per opera Truman e Dipartimento di Stato di cui sono noti, perché ripetutamente espressi, sentimenti, propositi ed [azioni] concrete.

Ritengo dover attirare attenzione tua e governo su effetti negativi che possono derivare a Washington nel non vedere riconosciuta attiva predominante opera

U.S.A. a favore Italia. Ciò tanto più che è indispensabile continuare agire qui affinché U.S.A. ci aiutino ad evitare quella «pace dura» già accennata da Londra, di cui non è eliminato pericolo. Segnalo quindi opportunità, ove già non fatto, di provvedere in tal senso informandomene ad ogni buon fine 1•

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 4983/347. Roma, 5 agosto 1945, ore 23.

La prego di rendersi interprete presso codesto governo dei nostri sentimenti di apprezzamento per la sostanza e la forma in cui la parte italiana del comunicato conclusivo di Potsdam è stata concepita e redatta e che consideriamo come le migliori premesse ideali dei trattati di pace che saranno elaborati in settembre.

Ella ha benissimo fatto a procedere alla messa a punto urgente di cui al suo telegramma n. 3122 , essendo perfettamente esatto sia che gli Stati Uni ti ci hanno dato impegnative assicurazioni favorevoli, sia che molti dei dirigenti britannici attuali, e fra i più autorevoli, hanno avuto frequente occasione di esprimersi nello stesso senso. Non vi è per conseguenza dubbio che il laburismo darà sollecito avvio a una politica italiana più costruttiva e lungimirante, anche per evidenti ragioni di affinità ideologiche più marcate con la rinascente democrazia italiana, che non il precedente governo conservatore, più restio a superare i risentimenti di guerra.

l Vedi D. 399. 2 Vedi D. 369.

Manovra sovietica cui ella accenna riuscirà per conseguenza di molto pm ardua esecuzione ed è bene che codesto governo ne abbia la precisa sensazione, affinché possa trame tutte le conseguenze che essa comporterebbe sia nei confronti dell'opinione pubblica italiana in generale, sia dei partiti che le sono più prossimi in particolare.

Tenga, ad esempio, presente che già comincia a filtrare Italia, non so con quanto fondamento, che l'atteggiamento più rigido nei nostri confronti è stato a Potsdam quello della delegazione sovietica 1 .

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 4984/296. Roma, 5 agosto 1945, ore 24.

Ho pregato questo ambasciatore d'Inghilterra 2 rendersi interprete presso suo governo dei nostri sentimenti di apprezzamento per la sostanza e la forma a cui la parte italiana del comunicato conclusivo di Potsdam3 è stata concepita e redatta e che consideriamo come le premesse ideali di quella giusta pace che sarà elaborata in settembre. La prego di fare altrettanto anche da parte sua e con eguale spirito amichevole.

È bene che Foreign Office sappia che governo sovietico, pur essendo, a quanto Quaroni informa 4 , favorevole pace punitiva per l'Italia, non desidera affatto apparire in prima linea come promotore di siffatta politica, preferendo celare tale atteggiamento dietro quello britannico che presume altrettanto rigido.

Sicché quando Quaroni ha or è qualche giorno fatto rilevare al governo sovietico come avvento governo laburista possa anche modificare atteggiamento britannico quale era stato precedentemente fissato dai conservatori, la possibilità di questo eventuale raddrizzamento della politica inglese nei nostri confronti ha suscitato evidente impressione, e, insieme, la viva richiesta di conoscere quali eventuali assicurazioni ci fossero state date e quali prove di mutate disposizioni.

Par cioè certo che atteggiamento laburista che ci fosse favorevole inciderebbe certamente per il meglio anche su quello sovietico, non fosse che per evitare tutto quel che di ostile isolato contrasto comporterebbe da parte dell'opinione pubblica italiana, e, sopratutto, conseguenze connesse nei confronti dei partiti politici che alla Russia sono più prossimi.

1 Con successivo T. s.n.d. urgentissimo 5002/350 del 6 agosto De Gasperi trasmise a Quaroni il quinto capoverso del D. 375 «perché ella possa opportunamente valersene costà nelle sue conversazioni>>. Per la risposta di Quaroni vedi D. 397.

2 Vedi D. 389.

3 Vedi D. 381, Allegato.

4 Vedi D. 369.

386

IL VICE DIRETIORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 5 agosto 1945.

I governi alleati, e particolarmente quello americano, stanno insistendo perché l'Italia prenda parte più attiva alla guerra economica. In varie occasioni (sequestro dei beni in Spagna, sorveglianza sulle assicurazioni, lettere dell'ammiraglio Stone al presidente del Consiglio circa le facilitazioni concesseci in materia finanziaria e di trattative con l'estero ecc.) la questione della guerra economica continuava a venirci presentata come una condizione essenziale per la normalizzazione dei nostri rapporti con l'estero.

Ho preso contatto con funzionari dell'ambasciata di America e della Commissione Alleata, ai quali ho tenuto a spiegare tutto quello che l'Italia ha già fatto in materia, applicando ai cittadini tedeschi, giapponesi ed ai fascisti i disposti della legge di guerra e della legge per l'avocazione dei profitti del Regime, e chiedendo mi venisse detto una buona volta che cosa precisamente l'America desidera per vedere se ci è possibile liquidare la questione.

Sostanzialmente i loro desiderata sono due:

a) Accordi di Bretton Woods. Gli americani sono i primi a rendersi conto che non possiamo applicarli integralmente anche perché essi comporterebbero, come hanno fatto Spagna e Portogallo, il sequestro o quanto meno la denunzia dei beni dei cittadini di paesi già occupati dall'Asse, e cioè dei beni francesi, belgi, jugoslavi, greci ecc. L'America si contenta perciò che noi dichiariamo sequestra bili i beni appartenenti a cittadini di detti Paesi, asportati dai tedeschi e nascosti anche per interposta persona in Italia. Ciò è facile, e )ungi dal presentare un inconveniente, può rappresentare un vantaggio in quanto ci permetterà di chiedere un reciproco trattamento per i beni italiani asportati dai tedeschi.

b) Liste nere. Tale questione è assai più grave. L'America desidera che noi adottiamo in blocco le liste nere angloamericane, le quali contemplano cittadini e ditte di Paesi neutrali e di italiani o di oriundi italiani stabiliti in detti Paesi.

Ora, noi avevamo dato istruzioni alle ambasciate di Londra e Washington di far presente la nostra disposizione ad adottare dette liste, purché gli italiani ne venissero previamente cancellati, salvo a reincludere, di comune accordo, taluni nomi da convenirsi. Gli americani invece pretendono che la nostra accettazione delle liste sia totale, compresi quindi gli italiani, salvo a cancellare questi ultimi di comune accordo in un secondo momento, pur promettendo la massima comprensione e le maggiori facilitazioni. Tutti i miei argomenti si sono spuntati contro l'ostinazione americana, talché si è disposta una riunione interministeriale per esaminare se realmente dobbiamo accettare questa pretesa, ed eventualmente con quale formula che permetta almeno di diminuirne l'effetto, pratico ed ottico. La questione, ripeto, è grave, e su di essa desidero richiamare l'attenzione del signor ministro, non solo per gli effetti politici che il provvedimento può avere, almeno in un primo tempo, sulle nostre colonie all'estero, ma anche per tutto quanto una simile pretesa può voler nascondere. Infatti, non si capisce bene quale pratico apporto la nostra azione potrebbe produrre: e perciò è da temere che gli americani perseguano indirettamente lo scopo o di intromettersi o di sfasciare le nostre antiche relazioni con l'estero: senza contare, poi, che dovremmo fidarci su promesse generiche per la cancellazione delle nostre ditte, una volta che le loro liste fossero state da noi adottate.

D'altro canto, il resistere sembra difficile, dato, come ho detto, che la questione è un «motivo» ricorrente in qualsiasi momento delle nostre relazioni economico-finanziarie con gli americani. Perciò cercheremo di studiare, e di far accettare, una formula che tenga il maggior possibile conto delle nostre aspirazioni: cioè, adozione delle liste da parte nostra, ma con promessa di immediato e benevolo esame per la cancellazione delle ditte italiane, promessa da far risultare anche dal decreto che dovremmo emanare, in modo da salvaguardare per quanto possibile la nostra dignità.

A riunione interministeriale avvenuta, avrò l'onore di riferire nuovamente: ma fin da adesso ho tenuto a far presente la serietà di questo problema, poiché esso coinvolge tanti interessi ed ha un contenuto e più ancora una parvenza politica che non può venir celata.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BENZONI

T. 5003/126. Roma, 6 agosto 1945, ore 19,30.

Esprima subito ed ufficialmente a codesto governo il nostro compiacimento per l'inclusione della Francia nel Consiglio dei ministri degli Esteri che elaborerà i trattati di pace con l'Italia 1• Confidiamo che interessi Europa occidentale troveranno in questa occasione efficace protezione e difesa in vista di quella futura feconda collaborazione fra i nostri due Paesi che è nei voti comuni 2 .

388

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PER CORRIERE 6955/13/4. Praga, 6 agosto 1945 (per. il 17).

Il ministro Vanek si prepara a tornare a Roma mercoledì prossimo, 8 corrente. È noto a V.E. che il suo ritorno in sede è stato tutt'altro che sicuro sino all'ultimo momento. A Londra mi era già stata comunicata ufficiosamente la nomina di Paulini

l Ciò era stato deciso alla Conferenza di Potsdam da Stalin, Truman e Churchiii-Attlee.

2 Con T. 6927/208 del 9 agosto Benzoni riferì di aver effettuato la comunicazione al segretario generale agli Esteri francese, il quale gli aveva assicurato che l'Italia sarebbe stata soddisfatta dell'atteggiamento della Francia nei suoi riguardi.

516 Toth, uno slovacco, professore universitario, a mm1stro Cecoslovacchia a Roma. Quando sono arrivato qui mi è stato detto al Protocollo che la nomina non era ancora decisa, che il ritorno di Vanek sembrava probabile. Da altra fonte sono venuto a sapere che Paulini Toth avrebbe confidato ad un amico italiano, professore dell'Istituto di cultura italiana in Slovacchia, che la sua partenza avrebbe dovuto essere rimandata. La ragione sarebbe che le relazioni fra l'Italia e Cecoslovacchia sono entrate «in una fase difficile», che il governo cecoslovacco avrebbe dovuto promettere al maresciallo Tito il suo appoggio nella questione di Trieste. Non ho modo di comunicare con il professore italiano al quale questa confidenza sarebbe stata fatta. Non ho avuto neppure occasione propizia per controllare sul posto la notizia perché, giunto in sede, il 31 luglio, ho avuto sinora soltanto scarsi contatti ufficiali. Masaryk, che avevo veduto a Londra due giorni prima di partire, si prepara a tornare a Londra.

Il sottosegretario di Stato, Clementis, è malato da vari giorni e non potrà riprendere le sue funzioni per qualche tempo. Tuttavia ho l'impressione che qualcosa di vero ci sia, nella comunicazione che mi è stata riferita. Ad esempio, Masaryk, con il quale ebbi una conversazione molto cordiale, mi disse nel congedarmi che avrei potuto contare sul suo appoggio, ma che non dovevo meravigliarmi se avessi incontrato qualche difficoltà iniziale nella mia missione perché, così si espresse testualmente, «Tito è l'uomo potente del momento e noi dobbiamo essere gentili con lui». Altri sintomi: il capo del Protocollo mi ha fatto un accenno, in termini scherzosi, alle nostre relazioni con la Jugoslavia ed ai dispiaceri che lo stato attuale di queste relazioni poteva dare alla Cecoslovacchia; avendo chiesto un'udienza del presidente mi sono sentito rispondere che Benes in questo momento era molto occupato ma. che si sarebbe trovata presto una occasione «per un incontro». Ho risposto che il presidente non aveva nessun dovere protocollare di ricevermi, come incaricato d'affari, ma che se avesse voluto ricevermi, io avrei avuto anche comunicazioni da fargli (mi propongo infatti di rammentargli la promessa fatta all'ambasciatbre Carandini di informarlo su quanto avrebbe potuto fare per Trieste) e che il mio scopo non era perciò soltanto quello di una semplice visita di cortesia.

Ritengo che l'impegno di appoggiare Tito, se impegno c'è stato, sia cosa recente; forse maturata a Mosca durante l'ultima missione del presidente del Consiglio, e certamente molto posteriore alla partenza del governo cecoslovacco da Londra. Non dovrebbe essere impossibile accertarlo, e mi propongo di informarne

V.E. non appena abbia elementi più precisi.

389

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 13/15093/87. Roma, 6 agosto 1945.

La ringrazio della sua lettera n. 463/3 7/45 del 3 agosto 1 con cui ella mi ha cortesemente trasmesso il testo del paragrafo relativo all'Italia del comunicato conclusivo della Conferenza di Potsdam.

l Vedi D. 381.

La prego di voler rendersi interprete presso il suo governo dei nostri sentimenti di apprezzamento sia per la sostanza che per la forma in cui tale paragrafo è stato concepito e redatto.

Il riconoscimento della priorità italiana nella rivolta contro la Germania nazista; dell'importanza del nostro contributo alla lotta comune; delle reali motivazioni che ci hanno mosso a partecipare alla guerra contro il Giappone, costituiscono già di per sé un atto di giustizia che tocca profondamente il governo e il popolo italiano, i quali accolgono altresì con particolare compiacimento la constatazione fatta dalla Conferenza di Potsdam che l'Italia, liberatasi dal fascismo, procede con lealtà di spiriti e di intenti verso la sua progressiva democratizzazione.

Mi consenta, signor ambasciatore, di esprimerle la mia profonda fede nel senso di equità e di giustizia degli uomini di Stato che elaboreranno in un prossimo avvenire i trattati di pace italiani, di cui la Conferenza di Potsdam ha posto in termini precisi le premesse ideali, e la mia fiducia fermissima che la riammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite comporterà tutto ciò che questa qualifica necessariamente implica e da quelle premesse consegue 1•

390

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 596/262. Mosca, 6 agosto 194J2.

Mentre assicuro V.E. che, per quanto mi concerne, farò tutto quello che mi è possibile di fare, durante questo periodo che ci separa dall'inizio della riunione dei cinque ministri degli Esteri, per fare presente il nostro punto di vista sulle varie questioni che ci riguardano, ritengo mio dovere segnalare a V.E. la necessità di farsi ben poche illusioni su quello che sarà per noi il trattato di pace, e su quello che possiamo ancora fare per migliorarlo. Il concetto di pace dura e di pace giusta è un concetto abbastanza elastico. Non avendo avuto la possibilità di un contatto diretto con V.E., non ho potuto avere un quadro completo di quello che pensa il governo italiano in materia di trattato di pace. Ma mettendo assieme le istruzioni che mi sono state inviate, in varie occasioni, dovrei ritenere che da parte nostra, per pace giusta si intende una pace che ci dia per le frontiere orientali una linea Wilson migliorata, che per il resto lasci intatte le nostre frontiere, che ci lasci le nostre colonie pre-fasciste, con possibile eccezione per la cessione del Dodecaneso; che ci lasci la flotta e la piena libertà di avere quell'esercito e quell'aviazione che ci piacerà di avere; che riduca le riparazioni che dovremmo pagare ad un minimo indispensabile.

1 Charles accusò ricevuta di questa lettera con L. 463/41/45 del 14 agosto che termina con la frase seguente: «I ha ve no doubt that the hope expressed in the las t paragraph of your letter will be very sympathetically received in London».

2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo.

Dall'altra parte invece si considerano appena una pace dura le condizioni che, fra termini dell'armistizio e decisioni della Conferenza di Potsdam, si stanno preparando per la Germania. Teoricamente, date le nostre colpe, gli Alleati ritengono di avere il diritto di imporre all'Itali" lo stesso trattamento che stanno facendo alla Germania: tutto quello che c'è in meglio fra il trattamento tedesco e il trattamento italiano è generosità alleata o, se si preferisce, riconoscimento di quanto l'Italia ha fatto per mostrare di essersi convertita e per aiutare i grandi Alleati alla vittoria.

Questa guerra è stata combattuta da parte alleata sotto il segno di magnifici principi, culminati nella «Carta Atlantica:>>. Si direbbe che noi ci crediamo ancora e che non ci siamo accorti dell'assoluto cinismo che, all'atto pratico, prevale in tutte le decisioni dei problemi derivanti dalla guerra. Noi ci riportiamo all'ambiente di Versailles, dove, con tutti gli errori che possono essere stati commessi, regnavano,

o si riteneva ancora necessario di rispettare, certi prinicipi, certi ideali, a cui si poteva fare appello, e che nessuno osava apertamente rinnegare.

Ora ci troviamo di fronte ad una mentalità del tutto differente. I «Tre Grandi» sono i depositari, per diritto divino, della giustizia internazionale, i «Tre» sono diventati oggi quello che nella Chiesa antica erano i concili ecumenici, le loro decisioni sono ispirate dallo Spirito Santo: V.E. voglia scusarmi questa specie di bestemmia.

La politica dei «Tre Grandi» è guidata in realtà da un concetto solo: il desiderio di andare d'accordo ad ogni costo, il desiderio di mantenere in piedi, fin tanto che è possibile, la loro alleanza e la loro collaborazione, quale unica alternativa, ad un nuovo conflitto, più disastroso di quello che sta per finire. Siccome, in verità, non c'è un principio a cui realmente credono tutti e tre e su cui siano d'accordo, così la loro collaborazione non può andare avanti che in base ad una serie di compromessi, naturalmente a spese di terzi.

L'occupazione della Cecoslovacchia da parte di Hitler ha aperto un nuovo capitolo della storia di Europa: l'Europa oggetto di politica coloniale. Hitler ha mostrato come, in pieno secolo XX, era possibile crearsi delle colonie in Europa. Il piano hitleriano di trasformare tutta l'Europa in un impero coloniale tedesco è fallito, ma non è fallito perché la cosa in sé era impossibile; è fallito perché le altre Potenze mondiali non hanno accettato e all'atto pratico esse si sono rivelate più forti della Germania. La Germania essendo stata vinta da una coalizione, per decidere della sorte del bottino non ci sono che due alternative, o una guerra fra vincitori, o la spartizione, il compromesso. Vorrei far rilevare a questo riguardo che, così com'è redatta la formula del trusteeship elaborata a S. Francisco, non esclude affatto che essa possa anche essere applicata ad uno Stato europeo. Ne deriva di conseguenza che per la soluzione delle questoni territoriali in Europa si adoperano, in fatto, non i principi dell'autodecisione dei popoli, ma i principi di delimitazione delle zone coloniali.

V.E. mi ha fatto pervenire due memorie sulle nostre frontiere settentrionali ed orientali, nelle quali vengono esposte le ragioni storiche, economiche, etnografiche e strategiche che militano in favore delle nostre tesi. Son tutti argomenti eccellenti e che un tribunale imparziale dovrebbe, almeno in massima parte, accettare. Ma che impressione possiamo noi sperare che facciano sui «Tre Grandi» alla luce di quanto è già stato fatto finora in materia di sistemazioni territoriali?

Prendiamo un caso che ha qualche analogia col nostro: il caso della Romania. I russi le hanno portato via la Bessarabia: con quale diritto? Storico no, la regione fino alla metà del secolo scorso ha sempre fatto parte dei Principati. Etnico no. La regione è stata annessa alla Repubblica Moldava: sarebbe come annettere la Francia alla Svizzera romanza. Cosa sono i moldavi se non dei rumeni, in quanto la Romania è l'unione della Mo!davia e della Valacchia? La Transilvania, con le sue minoranze ungheresi, è stata lasciata ai rumeni: quali garanzie ci sono che la Romania democratica tratterà le minoranze ungheresi meglio di quanto una Ungheria democratica avrebbe trattato le minoranze rumene? Nessuna. È stato deciso così puramente e semplicemente perché la Russia ha voluto così: punto e basta.

Per le provincie orientali della Polonia si può ammettere che, etnograficamente parlando, la Russia aveva, se non tutte, almeno molte buone ragioni da far valere a profitto della sua tesi: ma la forma in cui ciò è avvenuto risponde ai principì della «Carta Atlantica»? No certo. Alla Polonia è stata assegnata la Prussia orientale in gran parte, la Slesia tedesca, parte del Brandemburgo e della Pomerania: la formula di Potsdam, con tutte le sue apparenti riserve, è l'accettazione integrale da parte anglo-americana del fatto compiuto russo-polacco. In base a che diritto? Si dice, al XII secolo erano delle terre polacche: è più o meno vero, ma se si dovesse rifare tutta la carta d'Europa in base alla situazione del XII secolo, si potrebbero avere delle interessanti trasformazioni. È stato fatto così perché la Russia ha voluto così.

Quando col Trattato di Versaglia è stato assegnato alla Polonia il famoso corridoio che, poi, in realtà era, etnicamente parlando, polacco, tutti hanno avuto la sensazione che si stava facendo una ingiustizia alla Germania e c'è stata, dappertutto, una forte reazione a favore della Germania. Oggi si fa alla Germania una mutilazione molto più grande e che, nulla, salvo il diritto del vincitore ed il concetto della punizione, giustifica, e praticamente nessuno ci trova niente da ridire. Questo differente atteggiamento è un sintomo sufficiente della differente mentalità che presiede ai due trattati di pace.

La questione delle nostre frontiere orientali è dunque soltanto una questione di delimitazione «di sfere d'influenza» fra Russia e anglo-sassoni: i diritti, le aspirazioni, i sentimenti dell'Italia e della Jugoslavia sono elementi di nessun conto; al più possono servire ai due contendenti per mascherare le loro reali intenzioni. La posizione della Russia su questo punto è logica, vista la sua politica. Logicamente l'Inghilterra dovrebbe assumere la posizione contraria e difendere fino all'ultimo le nostre frontiere prebelliche. Purtroppo per noi l'Inghilterra si illude ancora di riuscire a portar via la Jugoslavia alla Russia, e quindi ha esitato ad andare a fondo. Se si riuscisse a persuadere l'Inghilterra: a) che finché c'è Tito al potere la Jugoslavia sarà sempre nell'orbita russa, qualsiasi cosa l'Inghilterra faccia per accattivarsela; b) che l'unica maniera di scuotere il prestigio di Tito e di indebolire la sua posizione interna sarebbe proprio quella di fargli avere un fiasco completo nelle sue rivendicazioni, sia austriache che italiane, forse riusciremmo a salvare la maggior parte della Venezia Giulia, perché anche la Russia vuole lasciarsi aperta una possibilità di portar via l'Italia all'Inghilterra. Ma purtroppo gli inglesi mancano di immaginazione e persuaderli di questo è un compito al di sopra delle forze umane; se ne accorgeranno fra qualche anno, quando sarà troppo tardi per riparare a quello che è stato fatto.

Ora prendiamo il problema delle colonie. Guardiamo un po' cosa sta accadendo intorno a noi non per noi che siamo degli ex-satelliti della Germania, dei vinti, ma per gli alleati al 100% come la Francia di de Gaulle, il Belgio, l'Olanda. Non vediamo forse, di giorno in giorno, come l'Inghilterra e l'America, sia pure con finalità differenti, stanno cercando delle formule per portar via a Francia, Belgio e Olanda i loro imperi coloniali, mentre la Russia, con la formula dell'«indipendenza» sta cercando per conto suo di portar via le colonie a tutti quanti, Inghilterra compresa? In queste condizioni, che impressione pensiamo che possano fare sui «Tre Grandi» tutti gli argomenti, in sé ottimi, che noi possiamo portare in favore della tesi che le colonie nostre pre-fasciste ci siano lasciate? È logico che i russi sostengano la tesi del trusteeship: lo fanno per le stesse ragioni per cui essi sostengono l'indipendenza della Siria e del Libano di fronte alla Francia: lo spezzamento del fronte coloniale, nel suo punto di minore resistenza. Che gli anglo-americani accettino, che ammettano la partecipazione russa nel trusteeship nelle nostre colonie e vedranno che razza di uragano hanno suscitato; che magnifica piattaforma di propaganda hanno dato alla Russia per minare le loro posizioni in tutte le loro colonie. Se si accorgono della sciocchezza enorme che stanno facendo, c'è una possibilità che noi possiamo mantenere, più o meno in enfiteusi, una parte almeno delle nostre antiche colonie. Se, come è più probabile, si illudono, facendo una concessione alle idee della Russia in quanto concerne le nostre colonie, di acquistarsene la acquiescenza in quanto concerne le loro colonie, allora le nostre chances sono ben poche.

E così si potrebbe continuare su tutti gli altri argomenti che ci interessano flotta, riparazioni, ecc., Nelle comunicazioni che mi sono state fatte relativamente alla conclusione della pace con l'Italia, torna l'argomento del pericolo che una pace punitiva possa mettere in forse le possibilità di stabilire in Italia una sana democrazia. Ora crediamo noi realmente che ci sia qualcuno al mondo, parlo dei governanti, s'intende, a cui importi qualcosa che si costituisca o no in Italia una sana democrazia? È certamente azzardato dire da Mosca cosa ne pensino a Londra ed a Washington: non posso quindi al riguardo far altro, in vista di quanto sta succedendo nelle zone che ho sotto osservazione, che esprimere i miei dubbi. Per quanto concerne Mosca, non esito ad affermare che qui non importa niente a nessuno.

I varì governi interessati, per istituzioni democratiche intendono in realtà un governo a loro ligio. Per l'Italia i conservatori inglesi avrebbero preferito un governo monarchico e conservatore, i laburisti probabilmente preferiranno un governo democristiano o socialista, ma non perché onestamente ritengono che è il miglior governo che convenga all'Italia, ma semplicemente perché ritengono che è il governo che dà loro migliori garanzie di avere un'Italia legata alla loro politica ed ai loro interessi. È possibile che gli americani, più ingenui e più novellini in politica estera siano più propensi a favorire, realmente, una sana democrazia. Quanto alla Russia, il cinismo in materia è portato all'estremo. Se per miracolo Mussolini potesse risorgere dalla tomba e impadronirsi del potere, in circostanze sia interne che internazionali da dare una seria garanzia che la sua politica estera sarebbe decisamente orientata verso la Russia, egli sarebbe subito definito un «vero democratico» ed avrebbe senza difficoltà tutto l'appoggio russo. Purtroppo, il trattato di pace con l'Italia che si sta preparando sarà un trattato redatto in assenza dell'Italia, inteso questo non nel senso letterale, in quanto, più o meno per la forma, è probabile che saremo ammessi a discuterlo, ma nel senso che, nella decisione delle singole questioni che ci riguardano, nessuno terrà conto degli interessi dell'Italia, ma ci si preoccuperà soltanto di trovare una formula di compromesso per i vari interessi contrastanti su tutto quello che concernerà l'Italia. Noi non siamo più un soggetto, ma un oggetto di politica internazionale: questa è la triste verità della nostra situazione.

In linea puramente teorica, quello che ci converrebbe di più sarebbe la conclusione di una pace provvisoria, che lasciasse in sospeso le questioni territoriali, le questioni coloniali, il destino della nostra flotta e si limitasse in un certo senso a toglierei tutte quelle limitazioni, materiali e morali, della nostra sovranità che sono conseguenza dello stato di armistizio. In America, in Inghilterra, malgrado tutto, ci sono ancora delle forze idealistiche che la prevalenza delle armi ha ridotto al silenzio o quasi, ma che, col tempo, possono tornare ad avere un peso maggiore di quanto abbiano oggi. In questo momento i «Tre» sono onnipotenti: ma è lecito supporre che, come è accaduto dopo l'altra guerra, con l'andare del tempo, la loro onnipotenza diminuisca, di fronte alle difficoltà loro, principalmente interne, del dopoguerra. In ultimo -e questo vale principalmente per la Russia -si può sperare anche che la nostra ricostruzione interna possa fare qualche progresso e che si debba venire alla conclusione che non si può e non conviene trattare l'Italia come quantité négligeable. Perché, è inutile negarlo, almeno qui questo è il principale ostacolo ad un apprezzamento più sereno delle cose italiane. La rivolta dei partigiani ha senza dubbio qui fatto una certa impressione, ma non sufficiente a questo fine: quello su cui qui si concentra l'attenzione sono la lotta dei partiti, il caos interno, lo sfasciamento dell'organismo statale, il disordine economico con l'inefficienza generale, tutto un complesso di impressioni generali ed esagerate anche dalle nostre stesse polemiche, la cui conseguenza è che si dubita ancora della opportunità o della necessità di tenere conto delle reazioni italiane.

Qui prevalgono ancora due impressioni: che il popolo italiano si preoccupa più del problema della vita che dei problemi di politica estera: quindi con qualche aiuto economico che permetta di accelerare la ricostruzione dell'economia italiana si farà mandar giù al popolo italiano, senza difficoltà, tutte le durezze, in altri campi del trattato di pace. Tutto questo complesso di impressioni e di interpretazioni storte della situazione e della mentalità italiana, non si possono modificare con delle dichiarazioni e con degli avvertimenti; solo i fatti possono cambiarle, perché i fatti possano parlare ci vuole tempo.

Quindi, ripeto, teoricamente, la cosa che converrebbe più sarebbe quella di rimandare la soluzione delle principali questioni che ci interessano a un periodo più lontano e presumibilmente più favorevole. È purtroppo anche questo un problema quasi insolubile, poiché ci sono dappertutto, ma sopratutto in Inghilterra e qui delle forze che desiderano invece la liquidazione, ad ogni buon fine, di posizioni potenzialmente offensive dell'Italia (Venezia Giulia e colonie) e che si rendono conto, altrettanto quanto noi, della possibile difficoltà di farlo più tardi. E tendono a pigliarci per il collo: ossia a creare una situazione -e l'hanno fatto -che ci porti ad accettare qualsiasi cosa pur di liberarci dalle strettoie dell'armistizio. E di fronte a questo atteggiamento cinico o realistico che dir si voglia, pochi o nulli sono gli argomenti che possono avere un peso. La nostra sola speranza è che, nelle varie questioni che interessano l'Italia, la lotta di interessi fra le due parti sia così

aspra che in un momento in cm maiora premunt si trovi preferibile adottare il comodo sistema del rinvio.

L'altra possibilità che ci resta aperta è quella che il Parlamento italiano si rifiuti di ratificare il trattato di pace. Mutatis mutandis, l'atteggiamento dell' Assemblea Nazionale di Turchia di fronte al Trattato di Sèvres. Questo significherebbe continuazione dello stato di armistizio, con tutto quello che esso comporta. Ma è l'Italia e il popolo italiano pronto a sopportarne le conseguenze? Se si, sarebbe certamente il mezzo migliore per mostrare al mondo che non siamo una quantité négligeable; ma bisogna tenere ben presente quello che ciò significa, quali sono le conseguenze che bisogna sopportare: se va fatto, va fatto a ragion veduta: non bisognerebbe ripetere la partenza precipitata della delegazione italiana a Parigi nel 1919 e il suo altrettanto precipitoso ritorno o i gesti inutili del conte Brockdorff Rantzau. È un gesto che può portare i suoi frutti anche prima di quanto non si pensi, ma bisogna affrontarlo seriamente e ragionatamente. Se l'una o l'altra delle due alternative non dovessero essere realizzabili, non ne abbiamo altra che quella di accettare il trattato di pace più o meno quale esso ci sarà presentato; ed è su questo, in sostanza, che i Big Three contano.

Non voglio dire con tutto questo che noi non dobbiamo continuare a cercare di appellarci ai principì superiori di giustizia e di umanità, cercare di mobilitare quelle forze-America Latina e Cina-che all'appello di questi principi sono più suscettibili di rispondere. Anche se oggi essi sono messi in non cale, essi rappresentano sempre una forza nel mondo, dobbiamo almeno sperarlo, per la quale vale la pena di combattere.

Alla situazione dell'Italia subito dopo l'altra guerra ha fatto enormemente male l'essersi lasciata creare l'impressione che noi sostenevamo una causa ingiusta. La convinzione che sia stato fatto oggi un torto all'Italia può giovare alla nostra posizione morale nel mondo e può anche facilitarci quell'aiuto estero che ci sarà necessario per rimetterei in piedi. Ci conviene quindi di continuare a dire, apertamente e serenamente, le nostre ragioni.

Quello su cui volevo attirare l'attenzione dell'E. V. è solo la necessità di non farci illusioni su quello che l'attenerci a questi principi può ancora darci, sulla questione che attualmente ci interessa, i termini del trattato di pace. A meno di un miracolo, i termini del trattato di pace saranno duri, almeno in paragone a quello che il popolo italiano, che ha creduto alla propaganda fatta durante la guerra ed alle promesse fatteci al momento dell'armistizio e dopo, ed ha agito in conseguenza, ritiene di essere in diritto di attendersi. E quello che è peggio i «Tre Grandi» asseriranno di essere stati generosi con noi, e si offenderanno che noi non siamo stati abbastanza riconoscenti, di non aver pensato abbastanza a quello che avrebbe potuto essere la nostra sorte. Noi non abbiamo che due alternative: ribellarci o accettare.

A questa triste realtà bisogna che noi ci prepariamo, che prepariamo, in quanto è possibile, anche il popolo italiano, senza farsi illusioni sul valore delle speranze che ancora si possono nutrire di poter migliorare, nello spazio di tempo che ancora ci rimane, la nostra situazione. Le sorti dell'Italia sono state decise e decise da un pezzo, dai tre governi interessati ognuno dal punto di vista dei suoi veri o presunti interessi: la Conferenza dei ministri degli Esteri non ha altro scopo che quello di concordare, in un documento diplomatico, e con i necessari compromessi, i differenti punti di vista.

391

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 5004/310. Roma, 7 agosto 1945, ore 7.

Ho pregato gli ambasciatori a Londra e a Mosca 1 di volersi rendere interpreti del nostro apprezzamento presso i rispettivi governi per la sostanza e la forma in cui il comunicato di Potsdam è stato concepito e redatto. La prego di fare altrettanto costì e con tanta maggiore cordialità in quanto presumiamo che molto sia dovuto al benevolo intervento nordamericano.

Naturalmente il nostro compiacimento è commisto di perplessità. In quanto, sopra tutto, e sia pure al primo posto, ci troviamo tuttora catalogati con altri Paesi vinti i cui titoli sono di gran lunga minori di quelli attribuiti all'Italia e che lo stesso comunicato di Potsdam elenca.

Riconfermasi comunque la nostra ferma fiducia nell'assistenza nordamericana per una pace giusta e onorevole e la nostra viva e cordiale gratitudine.

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 5006/c. Roma, 7 agosto 1945, ore 13.

Portavoce Foreign Office avrebbe ieri l'altro precisato:

l) che trattati di pace con l'Italia non sarebbero automaticamente imposti, ma sarebbero oggetto di negoziati durante i quali sarà da parte nostra possibile «cercare» di far valere le nostre ragioni.

2) Jugoslavia e Grecia non prenderanno parte ai negoziati pei trattati di pace con l'Italia.

Il comunicato di Potsdam spiega d'altra parte che il Consiglio dei ministri degli Affari Esteri, composto di rappresentanti americano, britannico, sovietico, francese, cinese, sarà autorizzato a proporre trattati di pace, da sottoporsi alle Nazioni Unite. Si aggiunge che per quanto riguarda i suoi diversi compiti, il Consiglio sarà composto dai rappresentanti degli Stati firmatari dei termini di resa imposti allo Stato nemico di cui trattasi. La Francia sarà a tale effetto considerata come firmataria. Altri membri saranno poi invitati a partecipare quando siano in discussione questioni che li riguardino direttamente.

Al territorio «già italiano» il comunicato di Potsdam fa cenno al capitolo II che ha per titolo «amministrazione fiduciaria internazionale». È precisato inoltre che la

I Vedi DD. 384 e 385.

questione territoriale italiana deve essere decisa «in rapporto» con la preparazione

di un trattato di pace, lasciando dei dubbi se il problema territoriale sia vero e

proprio oggetto di tale trattato, o se lo si debba considerare soltanto «in rapporto»,

cioè quale materia possibile di altra disciplina o disciplinabile in altra sede e momento.

È evidente importanza che ciascuno dei punti indicati ha per noi. Converrebbe

ella effettuasse urgenti accertamenti al riguardo telegrafando risultati 1•

393

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

T. s.N.D. 5019/c.2. Roma, 7 agosto 1945, ore 13.

Ho comunicato oggi ufficialmente ed in via assolutamente riservata agli ambasciatori di Inghilterra e degli Stati Uniti che il governo italiano, presa visione del paragrafo del comunicato di Potsdam relativo alla Spagna, condivide pienamente il punto di vista delle tre Potenze ed è disposto ad allinearsi, anche in questo settore, nonostante i vasti interessi italiani in Spagna, con l'atteggiamento che Londra e Washington riterranno di dover adottare al riguardo. Ho pregato in conseguenza i due predetti ambasciatori di volermi preventivamente informare se l'attuale presa di posizione possa eventualmente condurre a una modificazione dei rapporti diplomatici fra i tre Paesi, in vista di un'nione concordata e comune.

Ho infine aggiunto che il governo italiano continuerà nel frattempo negoziati in corso con Madrid per cercare definire la questione dei debiti spagnoli verso l'Italia, che è questione di estremo interesse nazionale, nella speranza di giungere al più presto ed in tempo utile a una sistemazione dei debiti stessi.

394

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 6637/837. San Sebastiano, 7 agosto 1945, ore 23 (per. il 9).

Ringrazio per importante comunicazione telegramma n. 484 3 che mi illumina su ultimi aspetti situazione e che forma oggetto mia massima attenzione. Contenuto

1 Il telegramma venne comunicato, per conoscenza, alle rappresentanze a Mosca e a Parigi con la seguente istruzione: «La prego di fare altrettanto se le è possibile». Carandini smentì con T. s.n.d. 6729/420 del IO agosto che alcun portavoce autorizzato avesse fatto le dichiarazioni riportate in questo telegramma.

2 Inviato, per conoscenza, ai rappresentanti a Londra, Washington, Mosca e Parigi. Agli ultimi due fu trasmessa anche la seguente istruzione: «Faccia, la prego, e negli stessi termini ufficiali e segreti, la stessa comunicazione a codesto governo».

3 Vedi D. 380.

coincide con linea di condotta da me fino ad ora seguita. Fu mio sforzo costante far comprendere al governo spagnolo che relazioni fra i due Paesi erano minacciate da avversi larghi strati opinione pubblica italiana e che per giustificarle bisognava dare ad esse un contenuto positivo che si imponesse con realistica evidenza a giudizio popolare. In forza di questo argomento, delle tre questioni di capitale interesse affidatemi come precipuo obiettivo mia missione, già ottenni risolvere in via diplomatica livellamento clearing con credito straordinario ora in corso attuazione (mio telegramma n. 373) 1 e impegno per transazione olio-grano. Quanto debiti di guerra mi fu possibile istradare trattative su nuove basi con intesa di massima per pagamento in alimentari e materie prime che con prossimo arrivo esperti dovrebbe concretizzarsi.

A proposito transazione olio-grano devo ricordare che essa oggi sarebbe già attuata se nostro ministero Alimentazione non avesse sollevato, dopo già intervenuto accordo esecutivo, alcune obiezioni che praticamente hanno procrastinato di oltre due mesi realizzazione. In seguito poi, mutamenti ministeriali nonché stasi estiva che in questo paese porta notevole intralcio affari in corso, hanno ancora ritardato esecuzione che in questi giorni forma oggetto studio modalità, come mi ha riconfermato questo direttore politica economica. Come riprova buona volontà spagnola chiederò affrettare tali pratiche e fissare data partenza merce.

Nuovo ministro Affari Esteri 2 assente da S. Sebastiano non ha ancora preso contatto con corpo diplomatico. So tuttavia che recentissimo Consiglio dei ministri ha deciso favorevolmente in linea generale riguardo nostre questioni, e confido che miei colloqui, nello spirito prospettato telegramma di V.E. potranno concludere desiderate soluzioni non solo in materia economica ma anche riguardo altre questioni pendenti. Telegraferò.

395

IL SEGRETARIO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, BOMBASSEI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 7 agosto 1945.

In seguito a mia analoga richiesta, sono stato informato -molto confidenzialmente-che la Commissione Alleata ha «raccomandato», al Comando Supremo delle Forze Armate, che la provincia di Bolzano venga restituita all'amministrazione italiana contemporaneamente alle altre provincie dell'Italia del nord.

Finora nessuna decisione definitiva è stata presa al riguardo.

La data suggerita dalla Commissione Alleata è il lo settembre; mi è stato però fatto osservare che finora tale data non può essere considerata che come una semplice indicazione generica.

Il mio informatore mi ha pregato di far presente al ministro degli Esteri che le informazioni di cui sopra devono essere considerate come riservate.

l T. 2265/373 del 3 aprile, non pubblicato. 2 Alberto Martin Artajo.

396

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6682-6665-6670/357-358-360. Washington, 8 agosto 1945, ore 10 (per. ore 18 del 10).

Suo 310 1 e mio 3542 .

Questo pomeriggio mi sono recato da Grew a presentare ringraziamenti governo per riconoscimento meriti dell'Italia democratica contenuti nel comunicato Berlino e che, a quanto gli constava, erano in gran parte dovuti alle buone disposizioni U.R.S.S. Inghilterra e Francia azione personale Truman e Dipartimento di Stato. Gli ho espresso, pregandolo voler informarne presidente ferma e grata fiducia nostro governo nell'assistenza nord-americana per una pace giusta ed onorevole. Mi ha risposto con calore che tutti al governo americano e Dipartimento di Stato era:go animati dal più vivo interessamento per sorte nostro Paese e avrebbero compiuto ogni sforzo per aiutarlo a uscire dalla presente situazione e riprendere suo cammino. Gli ho allora parlato nostra perplessità per le soluzioni che potrebbero venire date alla Conferenza della pace alle questioni nostri confini e colonie e gli ho accennato opportunamente alla «equazione Venezia Giulia -territori oltremare» di cui all'ultimo capoverso suo telegramma 4734/c. 3 . A riguardo ho ribadito necessità intervento americano per impedire soluzione ingiusta e dannosa. In risposta a mie domande Grew mi ha detto che per maggiore sicurezza ne avrebbe subito chiesto specificatamente a Byrnes tornato stamane al Dipartimento e mi avrebbe dato una risposta fra poche ore.

In relazione ad altra mia domanda, sottosegretario di Stato mi ha confermato che questo governo non ha ancora preso decisione finale circa varie nostre importanti questioni: relativi progetti sono ancora allo stato fluido (mio telegramma n. 306 e seguenti) 4 . Ne ho tratto occasione per ribadire opportunità che si intensificasse cooperazione con questa ambasciata per chiarimenti [circa] nostri problemi affinché al Dipartimento di Stato si potesse disporre ogni elemento per [definire] posizione americana a Londra e gli ho preannunciato che avremmo tra breve precisato ufficialmente nostro punto di vista.

Mi permetterò telegrafare fra qualche giorno suggerimenti concreti mentre resto in attesa preannunciati elementi circa Venezia Giulia che al caso pregherei comunicarmi telegraficamente. Grew mi ha assicurato che ne avrebbe subito parlato con segretario di Stato e con uffici competenti.

Ho infine parlato a Grew della mia intenzione fare visita al presidente degli Stati Uniti per sottoporgli in tempo utile prima della Conferenza di Londra le vedute governo italiano per una soluzione equa. Ha pienamente assentito e mi ha assicurato che Dipartimento di Stato avrebbe per parte sua cooperato affinché visita potesse aver luogo nel momento più favorevole interessi ital\ani.

1 Vedi D. 391.

2 T. s.n.d. 6634/354 del 7 agosto, non pubblicato.

3 Del Jo agosto: comunicazione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington di un riassunto del D. 349 e del T. s.n.d. 60911373-374 del 24 luglio da Londra, relativo ad un nuovo colloquio Carandini-Harvey. 4 Vedi D. 361.

Sottosegretario Grew mi ha parlato della dichiarazione sovietica di guerra al Giappone come di nuovo colpo decisivo, dopo quello della bomba atomica, e rallegrandosi come nostra iniziativa avesse preceduto questo evento. Ormai qui si prevede che capitolazione nipponica non si farà attendere molto.

Questa sera Grew mi ha confermato per telefono avergli segretario di Stato nettamente precisato che i Tre Grandi non hanno preso aicuna decisione circa soluzione questioni nostri confini nella prossima sistemazione nostre colonie.

397

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6671/340. Mosca, 8 agosto 1945, ore 23,30 (per. ore 9,30 del IO).

Telegramma di V.E. 347 1•

Per mia norma prego telegrafarmi se sia da parte americana che da parte attuali dirigenti britannici ci siano state date precise definite assicurazioni circa loro atteggiamento su differenti questioni che ci interessano oppure ci abbiano soltanto assicurato genericamente loro desiderio pace equa per Italia. Trattasi punto che ha massima importanza per azione che intendo svolgere qui nella linea di cui al mio telegramma 3122 poiché come esperienza dimostra espressione pace equa prestasi differenti interpretazioni. Qualora notizie circa atteggiamento delegazione russa Potsdam abbiano trovato espressione in qualche manifestazione stampa anglo-americana consiglierei dare ad esse massima diffusione stampa italiana. Dato che di fronte reazione opinione pubblica italiana a disposizioni trattato di pace ci sarà inevitabile palleggiamento responsabilità fra i Tre Grandi, credo sia opportuno mettere in chiaro fin da adesso che non è possibile imbrogliare opinione pubblica italiana con dichiarazioni generiche buone disposizioni a cui non risponde nulla di concreto3 .

398

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6701-6699/412-413. Londra, 9 agosto 1945, ore 8 (per. ore 16,05 dell'II).

Seguito ulteriori contatti avuti non posso che confermare situazione parlamentare e previsioni generali esposte mio rapporto 3 corrente 4 . Situazione è tuttora

I Vedi D. 384. 2 Vedi D. 369. 3 Per la risposta vedi D. 409. 4 Non pubblicato.

caratterizzata da effetto inaspettato mutamento che ha sorpreso stessi laburisti. Discorso della Corona atteso come rivelazione reale portata piani nuovo governo.

Negli ambienti laburisti si constata prevista riforma politica interna implica mutamento di rotta politica internazionale, intesa da un lato a schietta chiarificazione rapporti con la Russia, dall'altro a più strette relazioni con democrazie Europa occidentale cui collaborazione economico-politica si ritiene necessaria nuova soluzione che si intende dare a problemi inglesi. Sotto tale aspetto è lecito contare su più favorevoli disposizioni nostri confronti.

Da fonte attendibile e riservata sono venuto a conoscenza primitivo piano inglese pace Italia. Si trattava evidentemente di un massimo di richieste comprendenti largo margine sicurezza su cui cedere in sede discussione con Stati Uniti. Detto piano non garantiva Trieste all'Italia, prevedendone possibile internazionalizzazione, considerava distacco colonie italiane prevedendo ripiego soluzione trusteeship generale con non definita partecipazione italiana, stabiliva cessione Dodecaneso Grecia. In pratica atteggiamento Churchill Eden nella prima fase Potsdam, è stato a quanto mi risulta assai meno intransigente, in parte per maturata convinzione, in parte per reazione intenzioni punitive russe, in parte per compiacere americani. Ritengo che queste essenziali determinanti si sono non, dico non, inutilmente accompagnate dichiarazioni da me fatte al Foreign Office (mio telegramma 363) 1 e da questo tempestivamente trasmesse Potsdam. Ciò non ostante resto convinto ci troveremo di fronte condizioni dure. Poco conto potendo farsi influenze psicologiche dobbiamo preparare energica difesa fondata preparazione tecnica perfetta. Un primo elemento è acquisito nostro favore: il comunicato Potsdam si è espresso nei riguardi nostri in termini precisi costituenti impegno per alleati e giustifica sul piano morale resistenza che noi potremo opporre a condizioni di pace che non concordino con il loro senso.

Se a Londra Consiglio Cinque tratterà per prima questione italiana, ci troveremo di fronte eventi decisivi improrogabilmente imminenti. Dopo forzata inazione dovuta assenza Eden elezioni politiche e crisi governo vedo avvicinarsi fase estremamente attiva di cui avverto tutta la responsabilità. Mentre assicuro usare mia capacità e influenza faccio presente necessità assoluta sia fornita entro il mese, come promessomi, ogni ulteriore più ampia e precisa documentazione a integrazione degli elementi che già possiedo sulle varie questioni. V.E. voglia tener presente inoltre la possibilità che si renda qui necessaria presenza di capaci esperti italiani sulla questione alto atesina, giulia, francese, coloniale e in materia economica e di diritto internazionale. Considero la presenza sul posto di tali esperti, se consentita, come di vitale importanza per quegli immediati interventi presso i delegati ed esperti delle varie delegazioni alleate sui quali sarà necessario esercitare un'opera di informazione tecnica che è essenziale sussidio ad ogni efficace politica influenza. Tanto più necessaria loro presenza nel caso, non da escludersi, che la E.V. avesse ad essere invitata a partecipare ad una fase delle discussioni venendosi così a trovare in una posizione polemica ben più immediata e responsabile della mia.

Ad esempio uomini come il prof. Antoni, per la questione giulia, de Strobel di cui ho letto i rapporti per la questione alto atesina, sarebbero qui di ausilio prezioso.

l Vedi D. 349.

Le delegazioni alleate si presenteranno qui solidamente corredate di ogni informazione e sostenute da specialisti interessati disponibili sostenere particolari tesi politiche. Qualunque sia accesso diretto o indiretto che ci sarà consentito al dibattito, la nostra influenza sarà scarsa se non disporremo di una difesa egualmente efficiente.

Vedrò domani Cadogan dal quale attendo vari essenziali chiarimenti. Attendo di essere ricevuto da Bevin, dopo di che potrò finalmente riferire a ragione veduta.

399

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 5092/316. Roma, 9 agosto 1945, ore 19,30.

Suo 336 1•

Né presidente Parri né io abbiamo espresso apprezzamenti, in occasione dell'avvento del governo laburista, che possano comunque essere interpretati come disconoscimento del moltissimo che dobbiamo al presidente Truman in particolare, al Dipartimento di Stato in generale. Abbiamo cioè pienissima consapevolezza, e con noi tutto il popolo italiano, dell'attiva predominante opera degli Stati Uniti a nostro vantaggio. È ciò ripetiamo in tutte lettere ed in ogni occasione.

Ponga, la prego, in chiaro quanto precede, in modo che non sussista al riguardo alcun dubbio. Continueremo ad agire in tal senso sulla nostra stampa 2 .

400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1313. Roma, 9 agosto 1945.

By letter n. 3/1312, dated August 8th, 19453 , I have informed you of the attitude that certain officials of the Allied Military Government in Alto Adige have taken with regard to the generai question of the 1939 Italo-German agreements, for the transfer of the German speaking population, and with respect to the citizenship status of those who had taken advantage of exercising the option faculty.

I wish now to cali your kind attention upon a report, which has come to me from a creditable and reliable source: i.e., that municipal Authorities in the Merano region have been issued orders to be ready to receive about 8000 persons originally

l Vedi D. 383. 2 L'ultima frase è aggiunta a penna da De Gasperi. 3 Non pubblicata.

530 of that district and who emigrated to Germany in conformity with the 1939 agreements, these persons now being sent to ltaly by the Allied Authorities.

Leaving out any consideration as to whether the 1939 agreements are to be considered obsolete -and I do wish to point out that from a juridica1 point of view the ltalian Government deem they are stili fully effective -I am especially anxious to stress that ali those -whether they acquired the German citizenship under option or not -who voluntarily acquired a foreign nationality bave automatically 1ost their Italian citizenship.

This is exactly the case of those who exercised the option right after emigrating to Germany and following their becoming German subjects by naturalization.

Should the above report prove true, it becomes a question of a plan for the transfer to ltaly of eight thousand German citizens by full right. Once this is admitted as a principle, it is quite justifiable to imply that it is only the beginning of further transfers of the same kind.

There is no need for me to point out how "serious the occurrence would be, if confirmed: above ali it could only be construed as a contradiction to previous assurances given the ltalian Government that the military occupation of certain territories is not intended to prejudice in any way their fina! status.

I shall therefore be very grateful to you, dear Admiral Stone, if you will kindly cause an inquiry to be made in the matter, and I shall greatly appreciate it if you will Jet me bear from you on this subject in due time.

I deem it fit to add, for your information, that the Italian Government firmly intend to adopt a policy inspired by conceptions ofliberty and respect ofhuman values, a policy which will ensure a harmonious co--existence, within the peninsula boundaries, of non-Italian speaking people. However the ltalian Government cannot allow, as a matter of principle, the right t o the options revision by the parties concerned; much the less that such revision-implying as delicate a question as the eventual granting of the Italian citizenship -be accomplished outside any regular legislative procedure 1•

401

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6698/416. Londra, 10 agosto 1945, ore 2,42 (per. ore 11 dell'Il).

Ho visitato stamane Cadogan. Riassumo essenziali informazioni che ho da esso avuto. Salvo imprevedibili insindacabili decisioni resta confermato che Consi

l Copia di questa lettera fu inviata a Parri, Kirk, Charles, Tarchiani, Carandini e Saragat. Stone rispose con la seguente l. 4/45, AlCA del 13 settembre: «l am anxious to assure you that every effort is being made to investigate the report which you brought to my notice in your letter of 9 Aug. '45, stating that the municipal authorities in the Merano Region have received orders to be ready to receive 8,000 persons, originally from that district and who emigrated to Germany in conformity with the 1939 agreements. You can rest assured that the Allied Military Government is in entire agreement with the ltalian Government that citizens of ltaly who opted for Germany and actually left for Germany, have automatically lost their Jtalian citizenship».

531 glio Cinque si radunerà a Londra il 1° settembre e che tratterà per prima questione italianà. Conferenza secondo lui potrà durare massimo 15 giorni. Clausola comunicato Potsdam ammissione altre Nazioni interessate non si applicherà Italia nella prima fase conferenza durante la quale cinque Grandi Potenze si accorderanno sulle proposte di pace previe eventuali consultazioni altre Nazioni Unite. In una seconda fase conferenza, Italia sarà messa al corrente proposte e invitata fare sue osservazioni. Cadogan non sa se una prima comunicazione condizioni concertate verrà fatta all'Italia in via riservata preliminare a mio tramite oppure se si farà luogo senz'altro comunicazione ufficiale. Ad ogni modo governo italiano potrà discuterne condizioni. Il governo inglese non ha ancora formulato definitivamente sue proposte perché si sta consultando con Stati Uniti e Dominions.

Sono ritornato su tutti i punti essenziali mia comunicazione precedente Sargent 1 di cui Cadogan era stato informato a Potsdam, insistendo nuovamente conseguenze irreparabili ordine interno e internazionale che le condizioni prospettate implicheranno per l'Italia. Cadogan mi ha ripetuto che l'Inghilterra è decisa sostenere una pace giusta ma che per ovvie ragioni egli era nell'impossibilità fornire elementi sui quali atteggiamento inglese non è oggi definitivamente fissato. Per quanto riguarda questione Venezia Giulia sulla quale ho particolarmente insistito Cadogan mi ha dichiarato che egli confida nella possibilità di una equa e soddisfacente soluzione.

Data estrema riservatezza dell'uomo, dichiarazione mi è sembrata sintomatica. A mia richiesta mi ha confermato che a Potsdam non si è solo deliberata in linea generale la questione della pace con l'Italia ma è avvenuto un concreto scambio di idee anche sulle condizioni di carattere territoriale che essa comprende.

Cadogan è favorevole alla venuta a Londra prima della fine mese corrente dei nostri esperti che dovrebbero intanto figurare come temporaneamente aggiunti al personale di questo ufficio. Desidera conoscere al più presto nomi onde prendere tempestive disposizioni per il loro viaggio. Prego quindi, se V.E. concorda con le proposte dei miei telegrammi 412 e 413 2 , telegrafarmi d'urgenza nominativi limitandosi a non più di cinque. Per la mia visita a Bevin dovrei seguire ordine protocollare della precedenza nei confronti di altri ambasciatori ma in vista contingenza eccezionale e mia irregolare posizione otterrò un incontro particolare precedenza.

402

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 616/266. Mosca, 10 agosto 1945 (per. il 31).

Ritengo opportuno riportare in dettaglio all'E.V. il mio colloquio con Dekanozov su cui ho già riferito brevemente per filo 3 .

l Vedi D. 349. 2 Vedi D. 398. 3 T. s.n.d. 6715/354, pari data, non pubblicato.

Ho cominciato, in base alle istruzioni di V.E. 1 , coll'esprimere la soddisfazione del governo italiano per i termini con cui il comunicato di Potsdam si era riferito all'Italia. Dekanozov mi ha risposto prendendo atto della mia comunicazione e facendomi rilevare come l'Italia era stata messa in una situazione a parte nei confronti degli altri Stati ex alleati della Germania. «È un punto-mi ha dettosu cui tutti si sono trovati subito d'accordo: non è possibile trattare l'Italia alla pari degli altri, data la sua situazione di grande nazione ed il contributo effettivo che essa ha dato alla guerra contro la Germania».

Ho continuato dicendo che, per incarico del governo italiano, venivo ora a domandare quale era la procedura che si intendeva seguire per la conclusione del trattato di pace con l'Italia.

-La procedura è indicata dal comunicato di Potsdam. -mi ha risposto -l cinque ministri degli Esteri si riuniranno a Londra e redigeranno un progetto di trattato di pace che verrà poi sottoposto al governo italiano.

-Cosa si intende per Potenze firmatarie dell'armistizio? Significa questo che i rappresentanti di tutte le Potenze che sono state in guerra con l'Italia faranno parte della commissione che deve redigere il progetto di trattato?

-No. Il comunicato è chiaro a questo riguardo: Grecia, Jugoslavia e Etiopia saranno consultate dai cinque ministri degli Affari Esteri per le questioni concernenti il trattato di pace con l'Italia che le riguardano specificatamente.

-Il comunicato di Potsdam dice che le questioni territoriali saranno risolte dal trattato di pace in generale. Significa questo che il trattato di pace con l'Italia lascerà in sospeso, in attesa del futuro trattato di pace generale, le questioni territoriali che interessano l'Italia?

-No. Il trattato di pace coll'Italia deve essere completo: abbracciare tutte le questioni che concernono l'Italia.

-Vyshinsky mi aveva accennato alla eventualità che certe questioni avrebbero potuto essere rimandate a trattative ulteriori: debbo desumere che questa idea è stata abbandonata?

-Era stata ventilata l'idea di una pace provvisoria coll'Italia, idea che è stata poi abbandonata. A titolo personale le aggiungo che se, per qualche ragione speciale, non fosse possibile raggiungere un accordo su di una determinata questione, potrebbe essere utile rimandarne la soluzione ad un periodo ulteriore: ma è questa una idea mia personale e non so se sarà accettata dal governo sovietico e dagli altri allea ti.

(Nota. I'funzionari sovietici non hanno l'abitudine di avere delle idee personali: si tratta evidentemente di una eventualità che il governo sovietico ha già preso in esame).

Ho chiesto allora a Dekanozov cosa si intendeva per discussione: a sua domanda di chiarimento gli ho detto che teoricamente a Versailles la Germania fu chiamata ad esaminare e a discutere il trattato di pace -in pratica poi dovette accettarlo così come era: la mia domanda era intesa quindi a precisare

I Vedi D. 384.

533 che cosa il governo sovietico intendeva per «discussione» del trattato di pace. Dekanozov ha risposto:

-La situazione dell'Italia è molto differente da quella della Germania a Versailles. L'Italia fa parte delle Nazioni Unite e quindi la discussione del trattato avrà luogo come la discussione di una questione fra Nazioni Unite.

-Il comunicato di Potsdam dice soltanto che le tre Potenze si impegnano ad appoggiare l'assunzione dell'Italia fra le Nazioni Unite. Debbo interpretare quello che lei mi dice nel senso che l'Italia sarà ammessa fra le Nazioni Unite prima che si inizino le discussioni per il trattato di pace?

-No. Volevo dire semplicemente che dal momento che le tre Potenze appoggiano l'ingresso dell'Italia fra le Nazioni Unite ciò significa che l'Italia fa già virtualmente parte delle Nazioni Unite.

-Sarebbe a dire che i Tre avendo deciso che l'Italia farà parte delle Nazioni Unite, tutte le altre Nazioni Unite non hanno che da accettare e la sua entrata ufficiale nella organizzazione non è che una formalità senza valore?

-Lei mette la cosa un po' troppo brutalmente, sebbene sostanzialmente quello che dice è esatto. Intendevo dire che essendo state riconosciute all'Italia, in forma solenne e amichevole, per le ragioni elencate nel comunicato, le qualifiche necessarie per entrare e far parte delle Nazioni Unite e questo significa che i Tre la riconoscono già virtualmente come Nazione Unita e si sono quindi moralmente impegnati a trattarla come tale al momento della discussione del trattato di pace.

-È questa l'opinione del governo sovietico o di tutti i Tre? -Il comunicato è firmato dai Tre: di più non le posso dire per quanto concerne Inghilterra ed America: le posso confermare che questo è il punto di vista dell'Unione Sovietica.

È poi passato a dirmi che quando saranno resi di pubblica ragione i negoziati per l'armistizio con le Potenze che hanno capitolato all'U.R.S.S. si vedrà fino a che punto la Russia ha ammesso la discussione delle clausole di armistizio da parte dei vinti. Se questa è stata la condotta dell'U.R.S.S. all'indomani della guerra, come si poteva pensare che l'U.R.S.S. concepisse come un diktat il trattato di pace coll'Italia che ha rotto colla Germania da due anni, che è già cobelligerante, e che ha contribuito in maniera efficace alla vittoria contro la Germania? L'Italia sarebbe stata pienamente ammessa a discutere il trattato di pace ed a far valere il suo punto di vista. Ciò non significava naturalmente che tutte le richieste dell'Italia sarebbero state accolte: ogni trattativa è un compromesso nel quale ~i deve tener conto del punto di vista delle varie parti. Ciò accadeva anche nelle riunioni fra i Tre: questo valeva ancora di più nel caso di una trattativa che metteva fine ad una guerra di aggressione.

Ho risposto che, una volta ammesso questo principio, mi sembrava potesse essere utile che il governo sovietico venisse messo al corrente del punto di vista del governo italiano sulle principali questioni che erano in discussione prima della Conferenza di Londra. Visto che si doveva discutere coll'Italia il trattato di pace, tanto valeva, secondo me, che il governo sovietico fosse informato, prima, di quello che ne pensava il governo italiano. Se il progetto di trattato fosse già redatto tenendo conto, in quanto era possibile, del nostro punto di vista, questo avrebbe potuto abbreviare le discussioni post factum e affrettare la conclusione della pace, il che era nell'interesse di tutti.

-Lei vorrebbe dunque cominciare a discutere con noi dei termini del trattato di pace prima della Conferenza di Londra? -mi ha chiesto Dekanozov.

-Non chiedo tanto: chiedo soltanto di poter esporre al governo sovietico il punto di vista del governo italiano sulle varie questioni e di illuminarlo convenientemente. Non domando nemmeno che il governo sovietico mi dica cosa ne pensa: domando soltanto che mi stia a sentire.

-Una simile richiesta è stata avanzata anche a Londra e a Washington?

-Non mi risulta, ma non mi sembra che la cosa abbia importanza. Capisco che quando si tratta di decidere su di una questione di principio, che concerne l'Italia, il governo russo si debba consultare con gli altri alleati: ma questa è soltanto una formalità di procedura: una volta stabilito il principio della discussione, che questa abbia luogo prima o dopo non è una cosa che ha importanza: il governo sovietico può agire anche indipendentemente dai suoi alleati. Aggiungo a questo che gli altri due alleati, per il fatto di occupare l'Italia e in conseguenza degli avvenimenti ai nostri confini orientali e occidentali hanno avuto maggiori contatti con il governo italiano ed hanno avuto maggiori probabilità di conoscere a priori il punto di vista italiano.

-È giusto che questa è una questione di procedura in cui ognuno dei tre governi può agire come meglio ritiene. È anche esatto che durante tutto questo periodo il governo italiano ha avuto molto più contatti con l'America e con l'Inghilterra che con l'Unione Sovietica.

-Questo non è per colpa nostra. Lei sa che molte volte ho cercato di parlare di questioni che c'interessavano e molto, fra gli altri anche con lei, ed il meno che posso dire è che non sono stato incoraggiato a farlo.

-Ogni cosa a suo tempo. Era perfettamente inutile di parlare della questione italiana fino a che i tre alleati non avevano deciso la linea di condotta da tenere nei riguardi dell'Italia. Ora che questo è stato fatto, la sua idea mi sembra buona e la riferirò subito al governo sovietico. Non posso darle una risposta adesso: ritengo però che la sua proposta sarà accettata, sopratutto visto che lei non domanda che il governo sovietico prenda posizione.

-Va bene. Le aggiungo però, a titolo personale, che, dato che nelle varie questioni i Tre non saranno sempre perfettamente d'accordo, sarebbe bene, prima

o dopo non importa, che si conoscano i punti di vista dei singoli governi sulle singole questioni. Il trattato di pace può provocare delle reazioni nell'opinione pubblica italiana: ed è bene che l'opinione pubblica italiana sappia chi è stato favorevole all'Italia e chi contrario.

-Non vedo molto l'utilità di questo. Tanto ci sarà sempre della gente in Italia e all'estero che vorrà buttare la colpa di tutto sull'Unione Sovietica.

-Il segreto diplomatico è una cosa molto relativa. Presto o tardi si riesce sempre a sapere la verità: tanto è dirla subito.

-Lei è autorizzato a presentare il punto di vista italiano per iscritto?

-Non sono espressamente autorizzato a farlo: ma sono pronto a farlo sulla mia responsabilità se il governo sovietico lo richiede. -È probabilmente meglio: un documento scritto si studia più facilmente.

Quasi contemporaneamente alla mia conversazione con Dekanozov, Messeri parlava con il vice direttore della l a sezione europea. In merito al futuro trattato di pace il signor Kulagenkov gli ha detto che alcune decisioni sulle questioni che c'interessano erano già state prese a Potsdam, ma che nulla egli poteva dire sul loro contenuto.

La conversazione col signor Dekanozov è stata forse la più cordiale che ho avuto con lui da quando lo conosco. Appare chiaro che, almeno all'interpretazione del governo sovietico, noi saremo ammessi a discutere il progetto di trattato che ci verrà sottomesso .e a far valere il nostro punto di vista.

Preso al suo valore letterale, tutto quanto egli mi ha detto, specialmente il fatto che il trattato di pace dovrebbe essere negoziato come fra Nazioni Unite, non potrebbe essere più incoraggiante per noi. Ritengo però mio dovere consigliare

V.E. a prendere tutte queste dichiarazioni cum grano salis, anzi con molto.

Può essere che il mio interlocutore abbia voluto gettarmi del fumo negli occhi: può essere anche che in vista di un possibile differente atteggiamento del governo laburista verso l'Italia la Russia, come ho sempre detto, ritenga opportuno di mutare il suo atteggiamento. Credo utile aggiungere che due dei comunisti italiani qui residenti mi hanno riferito su conversazioni avute col signor Lozovsky, alle cui dipendenze quale capo dello Informburo essi si trovano, nel corso delle quali egli ha dato molte assicurazioni, sia pure generiche, sulle buone disposizioni della Russia verso l'Italia. È anche da rilevare che da qualche settimana a questa parte, per tutto quello che concerne le piccole questioni c'è indiscutibilmente un certo miglioramento nell'atteggiamento delle autorità sovietiche, miglioramento che, in un paese in cui tutto è controllato, non è spiegabile che come ordine dall'alto.

Le grosse difficoltà continuano ad essere nel fatto che fra il nostro ed il loro concetto di pace giusta ed onorevole ci corre un abisso. Per questo, ripeto, ritengo non sia il caso di prendere troppo alla lettera le dichiarazioni del signor Dekanozov e di farsi troppe illusioni su quello che il futuro ci riserva.

403

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 7685/963. Washington, 10 agosto 1945 (per. il 25).

Telegramma di V.E. n. 4903/c. del 3 agosto c.a. 1•

Riassumo qui di seguito le informazioni ottenute, a titolo confidenziale, in varie recenti conversazioni al Dipartimento di Stato, circa le discussioni svoltesi a

l Vedi D. 379.

Potsdam sulla questione italiana ed il retroscena delle note decisioni riportate dal comunicato finale della Conferenza.

Il presidente Truman e la delegazione americana erano partiti per il convegno animati dalla volontà di favorire al massimo la riabilitazione internazionale dell'Italia e di ottenerne l'ammissione fra le Nazioni Unite. Come questa ambasciata aveva a suo tempo telegrafato (mio n. 233 del 27 /6) 1 il Dipartimento di Stato aveva nutrito la convinzione che fosse più equo concludere coll'Italia una pace definitiva che liquidasse tutte le questioni territoriali ed economiche da risolvere giacché, per la mentalità anglosassone e per l'opinione pubblica degli Stati Uniti sarebbe stato considerato molto duro e poco fair lasciare ancora languire il popolo italiano in attesa dei sacrifici -sempre dolorosi -che il trattato di pace doveva pur comportare. Peraltro ai passi svolti da questa ambasciata in conformità alle istruzioni impartite da codesto ministero affinché, qualora non si fosse sicuri di una pace buona se ne concludesse intanto una «provvisoria», rinviando a più tardi le questioni più controverse, il Dipartimento di Stato ed il presidente Truman avevano finito per aderire alla nostra tesi, che era poi la tesi prevalsa al Foreign Office (miei telegrammi sull'argomento).

A quanto è stato detto allo State Department (e che conferma notizie raccolte, a suo tempo, in conversazioni amichevoli con questa ambasciata britannica) vi era stato negli ultimi tempi un graduale mutamento a nostro favore nei circoli dirigenti di Londra. Secondo il pensiero del Dipartimento, i migliori consigli che andavano prevalendo nel governo inglese per quanto ci concerne, oltre che a motivi di politica generale europea ed all'azione chiarificatrice svolta da codesto ministero e dalla R. ambasciata a Londra, erano dovuti anche alla precisa sensazione delle intenzioni favorevoli all'Italia degli Stati Uniti, i quali avevano fatto intendere che non avrebbero, dal canto loro, consentito a che ci fosse imposta una pace «ingiusta ed oppressiva». Benché parecchie delle notizie al riguardo avute al Dipartimento abbiano ora, col nuovo governo laburista, solo valore retrospettivo, può essere non inutile accennare che-secondo l'opinione qui espressa-Churchill (il quale, al momento di lasciare Roma, dopo la sua visita dello scorso anno, aveva dichiarato a Charles ed al suo seguito che «gli era impossibile odiare l'Italia») era stato rafforzato nel proposito di un effettivo consolidamento delle relazioni italo-britanniche, miranti al futuro, dal favorevole rapporto presentatogli da uno dei suoi consiglieri politici, sir Desmond Morton da lui inviato costà or è qualche tempo, nonché dalle relazioni di codesto ambasciatore di Inghilterra che è qui ritenuto un amico del nostro Paese. Peraltro vi erano -e vi sono probabilmente tuttora -al Foreign Office alcuni alti funzionari animati da ostinate pregiudiziali antitaliane, i cui consigli erano appn;zzati da Eden, (sui sentimenti del quale verso il nostro Paese si esprimevano qui giudizi non unanimi). In sostanza, al Foreign Office prevaleva il parere che con;tenisse, in una pace prossima con l'Italia, accantonare le questioni territoriali della Venezia Giulia e delle colonie; e ciò nell'intenzione di darvi quella soluzione che fosse apparsa più conveniente in relazione anche all'evoluzione della situazione interna italiana.

l Vedi D. 293.

Checché ne sia, a Potsdam, la prima delegazione britannica, capeggiata da Churchill e da Eden e col pieno consenso di Attlee, si associava a quella degli Stati Uniti quando il presidente Truman, nel quadro dei provvedimenti da adottare per dare la pace all'Europa, faceva la questione della riabilitazione dell'Italia e della sua ammissione fra le Nazioni Unite e nella nuova organizzazione per la pace e la sicurezza mondiale.

Le proposte delle delegazioni anglosassoni, come sarà del resto noto a codesto ministero, avrebbero incontrato una decisa e tenace opposizione della delegazione sovietica, la quale rifiutava che si accordasse all'Italia un «trattamento privilegiato» e chiedeva insistentemente che analoghe. condizioni fossero fatte agli altri Stati dell'Europa centro orientale già satelliti dell'Asse-Rumania, Bulgaria, Ungheria e Finlandia -da essa patrocinati. (Può essere utile ricordare per incidens, che, in occasione del precedente Congresso di Yalta, una consimile opposizione dell'U.R.S.S. motivata da identici argomenti, ed allora appoggiata od almeno non contrastata dall'Inghilterra, aveva impedito a Roosevelt -a quanto egli stesso ebbe a dirmi nel marzo scorso -di svolgere una efficace azione per la nostra presenza, sia pure nella forma limitata di «osservatori» a San Francisco. Mentre, poi, durante quella conferenza, l'atteggiamento e le richieste russe, unite all'influenza personale esercitata da Eden su Stettinius ed alla presenza di alcuni Stati ostili, avevano del pari insterilito e paralizzato le generiche buone disposizioni americane a nostro favore).

A Potsdam, la delegazione americana, pur essendo ben disposta a che un buon trattamento fosse fatto alla Finlandia che riscuote negli Stati Uniti molta simpatia, non aveva particolare motivo di associare a tale trattamento gli altri tre Paesi, anche perché il Dipartimento di Stato non aveva ancora iniziato gli studi per i trattati di pace da concludersi con tali Nazioni. Tuttavia, di fronte all'irriducibile atteggiamento russo, sia America che Inghilterra acconsentivano a che si facesse la pace anche con i quattro Stati, pur insistendo a fondo affinché fosse dato un pubblico riconoscimento ai meriti acquisiti dall'Italia democratica e la posizione di questa fosse, per quanto possibile, distaccata da quella degli altri Paesi considerati. La delegazione russa finiva con l'accettare e, pur essendo venuta al Convegno con diversa intenzione, acconsentiva anche ad associarsi alle due Potenze anglo-sassoni nel promettere di patrocinare una sollecita ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite.

Al Dipartimento di Stato, pur ponendosi in rilievo il pieno accordo con la delegazione britannica accentuatosi nella seconda edizione di questa con Attlee e Bevin, si rivendica alla delegazione americana il merito della redazione della parte del comunicato finale di Potsdam riguardante l'Italia. Ci si è fatto osservare che il marchio di fabbrica statunitense è evidente nel particolare rilievo dato alla partecipazione italiana alla guerra contro il Giappone (che effettivamente, come è noto a codesto ministero, non aveva avuto, a S\4.') tempo, una entusiastica accoglienza al Foreign Office).

Una volta ammesso dalla delegazione sovietica il riconoscimento dei meriti acquisiti dalla nuova Italia democratica e la preminenza nostra rispetto ai noti quattro Stati con le importanti conseguenze di carattere morale che ne dovrebbero derivare ai fini delle condizioni di pace, si apriva la discussione su queste ultime. Le Potenze anglosassoni recedevano dalla proposta di concludere con noi una pace provvisoria, la Russia desiderando una pace definitiva per gli Stati da essa patrocinati. La delegazione sovietica avanzava, a sua volta, le seguenti richieste:

l) -richiamandosi ai principì generali convenuti a Yalta circa i trusteeships ed alle relative clausole dello Statuto di San Francisco, che tutti i nostri possedimenti d'oltremare acquisiti prima del fascismo, diventassero «territori sotto curatela delle Nazioni Unite», ossia chiedendo implicitamente una partecipazione sovietica in misura analoga a quella di altre grandi Potenze;

2) -che l'Italia dovesse dare all'U.R.S.S. «riparazioni» per una cifra di trecento milioni di dollari, per un ammontare analogo, cioè delle riparazioni imposte dall'Unione Sovietica alla Finlandia ed all'Ungheria, nelle relative convenzioni di armistizio.

La domanda sovietica di aver parte, con eguali diritti, nella amministrazione dei trusteeships per i possedimenti italiani d'oltremare, raffreddava considerevolmente le primitive intenzioni del Foreign Office che-considerandosi anche impegnato dalle note dichiarazioni di Eden in Parlamento -aveva progettato da tempo, per parte sua, che la Cirenaica e la Somalia divenissero suoi esclusivi trusteeships, mentre l'Eritrea avrebbe potuto al caso essere condivisa con l'Etiopia, e la Tripolitania avrebbe potuto rimanere sempre come trusteeship all'Italia.

La prospettiva che la Russia acquistasse nuove posizioni in Mediterraneo, mediante sue ingerenze nel Dodecanneso ed in Libia, riusciva assolutamente sgradita a tutta la delegazione britannica, mentre, da parte sua, la delegazione americana -sono note al riguardo le intenzioni, a suo tempo espresse dal Dipartimento di Stato -era partita da Washington col proposito di non pregiudicare la sorte delle nostre colonie che, almeno in parte, si volevano mantenere all'Italia. Sia Gran Bretagna che Stati Uniti avevano poi un interesse generale a non facilitare un insediamento della Russia in Africa. Il problema sollevato dalla richiesta sovietica veniva superato col rimettere la decisione di tutte le nostre questioni territoriali alla conferenza dei cinque ministri degli Affari Esteri. Per quanto riguarda la terminologia non del tutto chiara del paragrafo 11 del comunicato di Potsdam -.ed in particolare la frase former Italian territories -al Dipartimento di Stato si tende a non attribuirvi significati reconditi; essendo il risultato di varie correzioni accavallatesi e richieste dalla delegazione sovietica e dalla prima delegazione britannica.

La domanda sovietica circa le «riparazioni» da" imporsi all'Italia e circa la cifra di trecento milioni di dollari che avremmo dovuto riconoscere all'U.R.S.S., è stata categoricamente respinta dalla delegazione americana, appoggiata da quella britannica. Del pari è stata rifiutata senz'altro una seconda proposta sovietica, secondo la quale l'U.R.S.S., sulla predetta somma avrebbe soddisfatto oltre che quelle proprie anche le «riparazioni» rivendicate, nei nostri confronti, dalla Jugoslavia e dall'Albania. La delegazione americana ha fatto valere, come argomento decisivo, che gli Stati Uniti, nell'intento di rendere possibile la ricostruzione della dissestata economia italiana, avevano ritenuto indispensabile accordare all'Italia il proprio aiuto finanziario ed economico. Sicché in sostanza l'unico mezzo col quale noi avremmo potuto soddisfare richieste di riparazioni sarebbe stato quello di destinare allo scopo gli aiuti concessi dall'America, a cui carico quindi sarebbero andate, in ultima analisi, le «riparazioni» stesse, con un evidente assurdo. Sembra allora che da parte russa si sia invocato, anche per quanto ci concerne, il precedente tedesco della rimozione di macchinari, di fabbriche ecc. Da parte anglosassone si sarebbe accennato a possibilità di «restituzioni in natura», qualora possibile, e ad indennizzi per danni arrecati in casi ben specifici. Comunque, di fronte all'atteggiamento della delegazione russa, le altre due delegazioni hanno tagliato corto alle discussioni sulle questioni italiane, rinunziando al previo desiderio di Washington e di Londra di ottenere che a Potsdam venisse deciso e proclamato lo stato generico di pace tra l'Italia e le Nazioni Unite.

In conclusione, al Dipartimento di Stato si considera che, date le gravi difficoltà esistenti, le decisioni prese nei nostri riguardi costituiscono un notevole successo e per l'Italia e per le Potenze anglosassoni 1•

404

IL MINISTRO A LISBONA, ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 6776/234. Lisbona, 11 agosto /945, ore 22,45 (per. ore 10 del 13).

Questo ministro del Messico è venuto oggi vedermi per pregarmi far presente a codesto ministero, in conformità di analoghe istruzioni pervenutegli, che governo Messico gradirebbe venisse provveduto, quanto prima possibile, a nomina rappresentante italiano in Messico tanto più perché, non appena venne decisa nell'ottobre scorso ripresa relazioni diplomatiche fra i due Paesi, esso si affrettò a nominare intanto un incaricato d'affari in Roma.

Predetto ministro mi ha aggiunto che comunicazione veniva fatta per suo tramite perché ripresa dei rapporti diplomatici fra l'Italia e Messico era stata a suo tempo concretata tramite le due legazioni a Lisbona e perché governo messicano non è ancora in grado di comunicare [direttamente] con propria legazione in Roma (288/179 in data del 31 gennaiO u.s.) 2•

1 Ritrasmettendo a Quaroni questo documento con L. 3/1397 del 24 agosto Prunas scriveva: «Ci è perfettamente noto che il governo sovietico è, in via di massima, per la pace punitiva. Ma le due proposte in materia di colonie e di riparazioni mi pare tendano, la prima, anche a controbattere e neutralizzare le intenzioni predatorie britanniche, cioè abbia sopratutto motivazioni antinglesi e soltanto indirettamente antiitaliane; la seconda a stabilire parità di trattamento con la Finlandia, Ungheria, Romania, ecc. Se ciò è vero, e potrebbe anche esserlo almeno sino ad un certo punto, la opportunità di giungere ad un compromesso fra le due tesi britannica e sovietica in materia coloniale potrebbe forse indurre gli inglesi a mollare almeno parte delle loro pretese pur di escludere la partecipazione sovietica, e parallelamente i sovietici a non insistere, o ad insistere meno, sulla loro tesi della partecipazione: ciò che potrebbe evidentemente migliorare la nostra posizione. Ci sarebbe dunque fra noi e Mosca un terreno d'intesa nel comune proposito di limitare al minimo le ingerenze inglesi, dirette o indirette, sulle nostre colonie. E questo è anche il proposito francese. Sono questi elementi di valutazione, per quel che potranno valere, di cui mi pare necessario tu sia al corrente».

2 Non pubblicato.

405

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE l 0069/090. Parigi, 11 agosto 1945 (per. il 12 ottobre).

Telespresso di codesto ministero n. 13206 del 18 luglio u.s. 1 .

In varie conversazioni avute cogli uffici competenti del Quai d'Orsay, verrebbero in linea di massima confermate le dichiarazioni del generale de Gaulle circa gli intendimenti francesi nei riguardi della sorte delle colonie italiane.

A parte eventuali relazioni che potrebbero porsi tra il concretarsi di tale atteggiamento francese e la soluzione di problemi concernenti altri settori, per quanto riguarda le richieste francesi nel settore africano sembra che gli uffici stessi avrebbero allo studio le seguenti questioni:

l) conclusione di un accordo per la Tunisia che assicuri alla Francia la rinuncia completa dell'Italia ad ogni rivendicazione presente e futura su tale territorio;

2) qualche rettifica a favore della Francia sul confine occidentale e meridionale della Tripolitania. Le rettifiche richieste sembra dovrebbero essere particolarmente estese nel territorio, del resto in gran parte desertico, del Fezzan;

3) una piccola rettifica che potrebbe venire chiesta sul confine della Somalia francese a spese del territorio eritreo (naturalmente oltre alla restituzione della zona ceduta dalla Francia in base agli accordi franco-italiani del 1935).

Mi riservo di riferire ulteriormente al riguardo.

406

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 3487. Londra, 11 agosto 1945.

Ti scrivo affrettatamente prima di chiudere il corriere. Ho giornate estremamente piene, diviso come sono fra i contatti locali e le visite che sono costretto a fare negli intervalli a tutte le zone dell'Inghilterra in cui sono dislocati i nostri prigionieri «non cooperatori» presso i quali faccio opera di persuasione per una generale «cooperazione» che è urgentemente desiderata dal War Office e che avrà risultati morali e pratici spero decisivi. Ma su questo argomento ti informerò non appena avrò portato a buon punto le trattative che ho in corso. Domani parto per l'ultimo giro che mi porterà fino nel nord della Scozia a Edimburgo. Sarò qui di

Vedi D. 337, nota 2 p. 453.

ritorno mercoledì mattina m tempo per l'incontro con Bevin di cui al mio telegramma odierno 1 .

Ti accludo copia della lettera con cui Bevin ha risposto al messaggio che gli avevo diretto. Mi pare che il tono sia buono. Le mie personali relazioni con lui, come già ti ho detto, sono ottime.

All'inizio del colloquio di cui ti ho telegraficamente riferito 2 , Cadogan mi ha affermato che il cambiamento avvenuto alla testa del Foreign Office non implica una modificazione della politica inglese verso l'Italia, politica che già si era venuta maturando in un atteggiamento sempre più amichevole e che troverà nelle intenzioni e negli atti del governo laburista la sua logica continuazione. Questa è una affermazione che il Foreign Office tende ad accentuare. In pratica sono persuaso che, pur valutando cautamente le opportunità che la nuova situazione ci offre, si possa contare senz'altro su un più chiaro ed attivamente favorevole atteggiamento nei nostri riguardi. Ricevo dall'ambiente laburista continue manifestazioni di simpatia per il nostro Paese. Utilizzerò queste nuove possibilità con quella avveduta misura che è qui necessaria e di cui vorrei che alcune correnti italiane troppo affrettatamente ottimistiche si rendessero conto.

Siamo ad una svolta decisiva. Attendo con ansia il mio colloquio con Bevin. È un uomo di eccezionale tempra, di carattere leale ed aperto, direi di temperamento mediterraneo. Ho per lui una viva personale simpatia, sento di riscuotere la sua fiducia e sono certo che i propositi di appoggio alla causa italiana che mi ha in passato manifestato, sono sincera e ferma espressione di un suo intimo sentimento e convincimento politico. Questo è quanto ti posso dire. Certo; non è lui solo a decidere di noi, ma la sua influenza personale, affiancata al deciso atteggiamento americano, avrà un peso da cui ci è lecito sperare un trattamento che risponda, se non a troppo facile generosità, a meditata giustizia e opportunità politica. Ti telegraferò subito il risultato del colloquio ed attendo prima di esso tue eventuali particolari istruzioni telegrafiche 3 .

Circa le forme in cui si concreterà il nostro intervento presso il Consiglio dei Cinque, Cadogan stesso non disponeva di precise indicazioni trattandosi di un particolare che dovrà essere deciso dal Consiglio. Quello che conta intanto è il fatto, accertatomi categoricamente da Cadogan, che dopo la prima fase della Conferenza in cui verranno concretate le proposte di pace, noi saremo chiamati ad esprimere il nostro parere. Cadogan, come ti hò telegrafato, prospetta per conto suo due ipotesi: a) una prima comunicazione in via riservata al governo italiano delle condizioni convenute dai Cinque (specie di cuscinetto elastico precedente la notifica ufficiale); b) la notifica ufficiale pura e semplice e l'invito a presentare eventuali osservazioni. In quale forma queste osservazioni dovranno essere presentate? Sarà invitata qui una nostra delegazione da te capeggiata? Si farà luogo, invece, ad uno scambio di vedute dirette fra i due governi? È quanto non ho potuto appurare perché non è cosa decisa. Saprò mercoledì quali siano intanto i propositi personali di Bevin su questo punto.

I T. s.n.d. urgente 6772/422, non pubblicato. 2 Vedi D. 401. 3 Vedi D. 413.

Comunque, spero tu condividerai con me l'opinione che convenga assolutamente avere qui un gruppo di esperti per l'epoca della apertura della Conferenza. Nella prima fase essi saranno necessari per appoggiarmi con ogni opportuno elemento nei contatti che avrò, a titolo non ufficiale, coi capi delle delegazioni e coi loro consiglieri ed esperti. Nella seconda fase essi si troveranno già sul posto orientati ed ambientati come elementi tecnici della nostra eventuale delegazione.

Se mandi un esperto finanziario, e tanto più se non lo mandi, occorre studiare subito a fondo la questione degli investimenti statali italiani nelle varie aree di possibile amputazione (Venezia Giulia, Dodecaneso, colonie e naturalmente anche l'Albania) poiché queste attività patrimoniali italiane stanno oggi come parziale contropartita del nostro debito pubblico. Questi investimenti patrimoniali (porti, strade, ferrovie, acquedotti etc. etc.) rappresentano una base per il computo della quota di debito pubblico che grava sui vari comprensori e da cui dovremo essere sollevati quando i comprensori stessi avessero ad essere sottratti alla nostra sovranità e quindi alla nostra utilizzazione economica e fiscale. Da contatti che ho avuto negli ambienti della Banca d'Inghilterra e Tesoro mi risulta che qui è vivissima la preoccupazione: a) per gli effetti di bancarotta che una concentrazione del nostro debito pubblico su un più ristretto territorio ed una più ristretta popolazione avrebbe inevitabilmente sull'economia italiana; b) per l'onere enorme che implicherebbe per gli Alleati la assunzione di una proporzionale quota del nostro debito pubblico. Questo è un elemento finanziario che, se da noi adeguatamente sollevato, può avere una influenza non indifferente sulla ampiezza e forma delle menomazioni territoriali che ci si intende infliggere. Mi permetto di richiamare su questo punto la tua attenzione onde tu possa in tempo predisporre i necessari elementi di prova.

Per quanto riguarda la situazione generale non posso che confermarti il mio rapporto 3 corrente n. 3422/2637 1 , tutt'oggi valido, e che ritengo fondamentale per la obiettiva informazione tua e di Parri. Altri particolari sto raccogliendo di cui ti informerò organicamente con prossimo rapporto riservato.

Ti assicuro che sto servendoti e ti servirò con ogni mia capacità e volontà. Se avrò il conforto di vederti arrivare a Londra, eventualità per cui mi adopero attivamente, sarà per me un immenso sollievo.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI BRITANNICO, BEVIN, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. Londra, 29 agosto 1945.

I was very pleased to receive your letter of the 28th July and I should like to thank you for the words which you addressed to my country as well as to me personally.

Since you wrote, the Potsdam Conference has issued its resolution concerning the conclusion of a Peace Treaty with Italy and, thereafter, her admission to the ranks of the United Nations. I particularly welcome this pronouncement, because the fulfilment of the measure which it foreshadows constitutes, in my opinion, the only sure basis for the understanding between our two countries which we both desire.

I Non pubblicato.

You have spoken of Italy's democratic re-birth. In this connexion I note that your Government intends at an early date to hold elections on both a national and a regional basis. You will readily understand what satisfaction this step will cause in this country; and you can be assured that the British people will watch with interest and sympathy the revival of democratic institutions in Italy.

407

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 5186/366. Roma, 13 agosto 1945, ore 13.

Suo 320 1•

Come noto Italia riconobbe indipendenza Siria e Libano fino da quando Ginevra approvò fine mandato siriano. Questione stabilimento rapporti diplomatici fra Italia e Siria e Libano venne esaminata alcuni mesi fa per nostra iniziativa a Londra con governo britannico il quale non sollevò obiezioni da parte sua ma consigliò procedere d'accordo con governo francese. Ambasciata Parigi ricevette istruzioni in proposito ma susseguenti avvenimenti nel Levante consigliarono soprassedere, data anche convenienza attendere normalizzazione situazione internazionale Italia e chiarimento rapporti italo-francesi. Nei suoi contatti con codesto ministro di Siria, che risulterebbe essere fratello attuale presidente del Consiglio, ella potrà valersi di tali elementi d'informazione, aggiungendo essere nostro vivo desiderio procedere appena possibile scambio rappresentanze diplomatiche.

408

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 5225/368. Roma, 13 agosto 1945, ore 13.

Suo 3302•

Ringrazi ministro degli Esteri cinese e lo preghi di ringraziare Chang Kai-Shek per assistenza così amichevolmente offertaci e sulla quale moltissimo contiamo. Le spedirò a giorni sommario riassunto telegrafico del nostro punto di vista sulle maggiori questioni che ci interessano e che saranno dibattute in settembre a Londra. Voglia, la prego, comunicarlo e illustrarlo subito e in via confidenziale al ministro degli Esteri. Ho fatto cenno a questo ambasciatore degli Stati Uniti delle buone disposizioni cinesi nei nostri confronti. La notizia è stata accolta con evidente soddisfazione e compiacimento.

I Vedi D. 366. 2 Vedi D. 382.

Dica al primo ministro Soong che amicizia dimostrataci in questa occasione ci tocca profondamente e non sarà dimenticata. Aggiunga che oltre l'offerta di aviatori, era stato da parte nostra ultimato lo studio per una relativamente larga parte_cipazione italiana alla guerra in Estremo Oriente, che avrebbe compreso la flotta, l'aviazione, e un corpo di volontari specialmente addestrati. Siamo profondamente lieti che la fine delle ostilità ponga termine a questi piani di guerra, ma dolenti di non aver potuto dare alla Cina questa concreta prova di solidarietà e di amicizia. Occorre ora avviare al più presto fra i nostri due Paesi la collaborazione per le opere di pace.

409

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D..5233/371. Roma, 13 agosto 1945, ore 13.

Suo 340 1•

Da parte americana assicurazioni sono state esplicite e formali, ma pur sempre generiche. Cioè senza precisazione di tesi o punti di vista che Stati Uniti si impegnino a sostenere nei confronti di questioni specifiche. Da parte britannica è certamente in corso un lento processo di revisione delle primitive tesi conservatrici, che erano indubbiamente orientate verso condizioni dure. Atteggiamento sovietico a Potsdam nei nostri confronti non ha dato luogo a manifestazioni speciali anglo-americane. Ma è sopratutto da fonti britanniche che abbiamo appreso tendenze russe per pace punitiva, affiorate a Potsdam, specie riguardo colonie.

Questioni che ci riguardano sembrano però tuttora allo stato relativamente fluido e suscettibili ancora di essere variamente risolte a seconda degli avvenimenti, necessità di soluzioni di compromesso ecc.

410

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6844/858. San Sebastiano, 13 agosto 1945, ore 17 (per. ore 9,15 del 15).

Telegramma ministeriale 5019/c. 2 .

Informato ambasciatori Stati Uniti e Gran Bretagna circa linea di condotta adottata dal R. governo nei riguardi Spagna in seguito deliberazioni Potsdam:

I Vedi D. 397. 2 Vedi D. 393.

entrambi ambasciatori avevano avuto telegramma dei loro governi in proposito. I due miei colleghi espressero vivo compiacimento ripromettendosi intensificare stretta nostra collaborazione in corso in questo importante settore. Mio e loro punto di vista e giudizio situazione coincidono perfettamente.

È da ritenere che per il momento azione alleata non (dico non) andrà oltre intensificazione pressione per rapida evoluzione regime, sempre che resistenza Franco non determini opinione pubblica democrazie ad esigere più radicali atteggiamenti.

Tanto più necessario mi appare perciò approfittare del momento per giungere rapidamente a concrete e definitive conclusioni trattative con Spagna avvalendoci ogni mezzo e persona più adatta allo scopo (mio telegramma n. 843) 1•

411

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 6843/366. Washington, 13 agosto 1945, ore 20,45 (per. ore 9,15 del 15).

Mio telegramma 354 e suo 4734/c. 2•

In seguito ultimi contatti e mentre conto sottoporre alla S.V. Illustrissima al più presto ogni ultimo elemento circa posizione americana in relazione prossima conferenza internazionale della pace di Londra ( ove del caso venendo in aereo di persona per un paio di giorni), faccio presente opportunità mantenere nel frattempo indirizzo...3 adatto irrigidimento su nostre posizioni territoriali metropolitane e coloniali in attesa assumere linea definitiva in singole questioni.

Mi risulta intanto che atteggiamento britannico sta sempre più mutando a nostro favore e che Foreign Office anche in seguito tendenze manifestate Berlino e favorevole disposizione U.S.A. verso Italia sta attualmente rivedendo sue previe condizioni pace. Al riguardo pregherei trasmettermi telegraficamente riassunti principali articoli nostri accordi anno 1920 [di Regima] con Senussi.

Sarei vivamente grato voler riscontrare telegraficamente miei telegrammi 3504 e precedente circa eventuale nostra politica verso Etiopia e possibilità chiedere interessamento americano per contatti con Addis Abeba e ciò per tentare non trovarci a Londra di fronte una Etiopia ostile ed irrigidita in pretese annessione Eritrea, mentre Negus potrebbe essere indotto riflettere su convenienza confinare con tre Potenze europee anziché due o una sola.

Per quanto riguarda Dodecaneso non posso che confermare mio 311 5 e in particolare ultimo capoverso.

l T. 66511843 dell'S agosto, non pubblicato. 2 Vedi D. 396, note 2 e 3. 3 Gruppo indecifrato. 4 T. s.n.d. 6616/350 del 7 agosto, non pubblicato. s Vedi D. 362.

412

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 5238/c. Roma, 13 agosto 1945, ore 23,10.

(Londra e Mosca). Ho telegrafato quanto segue R. ambasciata Washington:

(Tutti) Ritengo indispensabile e urgente che venga attirata attenzione di codesto governo su questione partecipazione italiana ad atti di resa e di armistizio che saranno firmati col Giappone. È infatti necessario che in tali atti sia fatta espressa menzione che essi sono stipulati anche a nome e nell'interesse dell'Italia, ad ogni effetto. Italia è in stato di guerra col Giappone e sua cobelligeranza in tale guerra è stata anche ufficialmente e solennemente riconosciuta nella dichiarazione della Conferenza di Potsdam. Ove tale menzione non apparisse, Italia -che non è ancora Nazione Unita e quindi atto sipulato a nome Nazioni Unite non la comprenderebbe -rimarrebbe giuridicamente ancora in stato di guerra con Giappone. Ma oltre ad assurdo giuridico, esclusione Italia rappresenterebbe nuova umiliazione per popolo italiano, che dopo due anni di lotta e di sacrifici si sentirebbe considerato ancora una volta ai margini della comunità delle Nazioni.

Sappiamo che questo non è l'intendimento di codesto governo e confidiamo quindi particolarmente sull'azione che Dipartimento di Stato vorrà svolgere per evitarlo. È, in questo senso, di buon auspicio odierna notizia stampa da Washington secondo la quale governo italiano verrà tenuto al corrente di... 1•

Nel rivolgere pertanto formale richiesta a codesto governo per partecipazione italiana ad atti di resa o di armistizio col Giappone e nell'illustrarla con argomenti indicatile, aggiunga verbalmente che tale partecipazione potrebbe avere la forma di quella che fosse accordata a qualsiasi altra Potenza diversa dalle quattro principalmente interessate.

(Solo Washington). Siamo certi Dipartimento di Stato vorrà anche in questa occasione dimostrarci quell'amichevole comprensione che abbiamo sempre constatato e di cui gli siamo particolarmente grati 2•

Telegrafato anche Londra e Mosca.

(Solo Londra e Mosca). Voglia V.S. rivolgere analoga richiesta codesto governo.

(Solo Mosca), e, tramite codesto ambasciatore di Cina, governo cinese.

l Frase non completa. 2 Per la risposta vedi D. 429.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5284/313. Roma, 14 agosto 1945, ore 14.

Suo 422 1•

Alla vigilia del suo incontro con Bevin desidero ella sappia che approvo impostazione da lei data ai precedenti colloqui con Sargent, Harvey, Cadogan (suoi 363, 364, 373, 416) 2 .

Dica a Bevin delle speranze che l'avvento del laburismo al potere ha suscitato in tutto il popolo italiano. Gli confermi la mia profonda convinzione che l'ordinato sviluppo della rinascente democrazia italiana dipende veramente e quasi automaticamente dall'atteggiamento che la democrazia britannica vorrà e saprà adottare nei nostri confronti e la mia altrettanto profonda persuasione che la generosità ripaga, sopratutto in politica e più che mai nelle dolorosissime e tormentatissime circostanze che l'Italia ha attraversato ed attraversa. Da una pace generosa e soltanto da questa potrà uscire una solida e permanente intesa itala-britannica. Ciò che se oggi può sembrare poca cosa, potrebbe essere assai più domani.

E poiché è bene ella esca dalle generalità della «pace con giustizia» per entrare nel vivo delle questioni concrete, gli confermi, parlando ancora a suo nome personale, ma esprimendo la persuasione che quanto ella dice corrisponde al pensiero del governo italiano, il piano sommario già esposto nei suoi precedenti colloqui e cioè Brennero, linea Wilson con qualche rettifica, sistemazione diretta con la Francia, assestamento coloniale quale le è stato indicato nelle mie precedenti comunicazioni.

Tocchi il tasto dell'ostilità sovietica nei nostri confronti, che è in sostanza il tentativo di indebolire e scalzare posizioni che si presumono britanniche o di influenza britannica, e del pericolo di larghe infiltrazioni sovietiche in Africa e nel Mediterraneo centrale e occidentale, che la sistemazione coloniale da noi proposta potrebbe, meglio di qualunque altra soluzione, evitare, nell'interesse stesso di quella chiarificazione anglo-russa che è uno degli scopi della politica estera laburista.

Dica infine a Bevin, a mio nome personale, che in questo periodo per noi decisivo, molto contiamo sulla umana e generosa saggezza politica sua e della grande democrazia ch'egli rappresenta3 .

t Vedi D. 406, nota l p. 542. 2 Vedi DD. 349 e 401. Il T. s.n.d. 6091/373-374 del 24 luglio non è pubblicato. 3 Vedi D. 420.

414

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 623/273. Mosca, 14 agosto 1945 (per. il ] 0 settembre).

Telegramma per corriere di V.E. n. 4401 del 20 luglio u.s. 1•

Fino ad ora, al commissariato degli Affari Esteri, non mi è stato mai parlato dell'atteggiamento di parte della stampa italiana. Può essere che ciò sia anche dovuto al fatto che non ho ritenuto opportuno lagnarmi degli articoli poco benevoli verso l'Italia che, ogni tanto, appaiono sulla stampa sovietica.

In sé e per ciò non bisogna prendere sul tragico le proteste di Kostylev. I rappresentanti sovietici all'estero si trovano, a questo riguardo, in una situazione molto analoga a quella dei rappresentanti italiani sotto il regime fascista: bisogna che protestino, e protestino anche violentemente, sotto pena di vedersi sospettati di poco entusiasmo per il regime. Le proteste servono di pretesto per dei rapporti a Mosca, di cui il rappresentante si serve per far vedere quanto è zelante nel difendere il prestigio della Russia ed il suo regime. Se Kostylev non lo facesse, e non lo facesse anche con una certa insistenza, potrebbe finire male. Da questo però non bisogna fare la deduzione che poco importa quale sia l'atteggiamento della stampa italiana verso l'U.R.S.S. e specialmente della stampa democristiana.

Prego V.E. di voler scusare la mia franchezza che ritengo però, in questo caso, doverosa. Da un complesso di elementi ho l'impressione che qui si comincia a rendersi conto dell'importanza che ha il partito democristiano in Italia e che si è inclini a credere che detto partito possa uscire dalle elezioni se non addirittura come il partito più forte almeno certamente come uno dei partiti più forti: e ci si rende conto anche della forza di attrazione che il partito democristiano può esercitare su altri partiti moderati minori. Poco importa se la stampa sovietica lo qualifica invariabilmente di reazionario o quasi: si rendono benissimo conto della sua importanza. E dato che quello che qui importa, per quanto concerne l'Italia, è la politica estera, l'attenzione che si presta all'atteggiamento del partito democristiano è aumentata dal fatto che V.E. ne è il capo.

Ora è inutile che io sottolinei a V.E. che l'atteggiamento del partito democristiano verso la Russia, appunto nel campo della politica estera, è qui guardato con sospetto. La ragione principale è che qui, come del resto in molti altri Paesi del mondo, non si comprendono le relazioni fra il partito democristiano e il Vaticano. Sotto l'influenza, forse, di informazioni tendenziose e come conseguenza della tendenza che qui prevale a volere ridurre tutto a formule sempliciste, si considera il partito democristiano come uh semplice strumento del Vaticano nella vita italiana. Abituati come si è qui a vivere in ambiente di categorie assolute, non riescono a capire come si possa essere buon cattolico e nello stesso tempo riconoscere che in politica estera il Vaticano può prendere delle cantonate. Ora, per le ragioni che ho

l Non pubblicato: proteste dell'ambasciata sovietica per articoli giornalistici ostili all'U.R.S.S.

esposto a V.E. nel mio rapporto n .... del ... 1 il Vaticano è una delle bestie nere, se non la bestia nera numero uno dell'U.R.S.S.

Il ministero degli Esteri mi invia regolarmente i ritagli della stampa italiana relativi alla Russia. E debbo onestamente riconoscere che, messi insieme, essi danno l'impressione di un indirizzo nettamente contrario alla Russia. In campo di politica interna italiana io comprendo facilmente le ragioni per cui conviene alla stampa democristiana di assumere un atteggiamento di opposizione al comunismo: ma quello che, secondo me, è inutile e dannoso, ai fini dei nostri rapporti colla Russia, è quello di mescolare l'opposizione al comunismo, in politica interna, coll'opposizione alla Russia, in politica estera. Tutto l'atteggiamento della stampa democristiana sulla questione di Polonia, sulle questioni relative alle zone d'influenza russa nei Balcani e nell'Europa centrale è sostanzialmente contrario alla Russia e appunto mescola la politica interna italiana con la politica estera russa.

Questo Paese, come tutti i Paesi a dittatura personale e totalitari, è insofferente di ogni critica: lo sono stati sempre ed ora, gonfi come sono della vittoria, lo sono anche di più. Essi ammettono, sia pure a malincuore, una critica posata della politica estera russa: ammettono, alle stesse condizioni, la critica di qualche manifestazione della vita russa: ma la connessione della politica estera russa colla diffusione del comunismo nel mondo è una cosa che li fa andare in bestia. In alcuni suoi rapporti che il ministero mi ha inviati per conoscenza, l'incaricato d'affari a Bucarest ha messo in rilievo l'assoluta spregiudicatezza della Russia in materia di politica interna rumena. Se questo accade nei riguardi di un Paese che è nella zona d'influenza russa, figuriamoci per quel che riguarda l'Italia che ne è fuori.

Prego V.E. di volermi credere quando le assicuro che la Russia, almeno in questo stadio della sua politica, se ne infischia altamente dei comunisti degli altri Paesi. Personalmente io ritengo che essa vada più in là, che essa anzi guardi con crescente diffidenza i comunisti stranieri rendendosi conto che essi sono molto più comunisti della Russia e sopratutto che essi mantengono una forte dose di quell'idealismo internazionalista che è in netto contrasto colla politica realista, nazionalista, imperialista dell'Unione Sovietica: e che questo idealismo finirà presto o tardi per metterli in contrasto colla Russia.

I russi guardano alla politica interna dell'Europa occidentale con realismo. Vogliono vedere quali sono i raggruppamenti politici più forti, e quale è il loro atteggiamento in politica estera verso la Russia. Per forza di circostanze io sono portato a vedere la situazione da Mosca e ci sono quindi molte cose che mi sfuggono. Se da parte di V.E. e del partito democristiano questo atteggiamento in un certo senso anti-russo è voluto, per le sue ripercussioni in altri Paesi, non ho nulla da obbiettare. Pregherei soltanto V.E. di farmelo sapere chiaramente, in modo che io possa regolarmi e, in quanto è possibile, misurarne le conseguenze qui. Se invece non è voluto, ma è solo conseguenza di insufficiente apprezzamento della situazione e delle ripercussioni locali, allora riterrei mio dovere di consigliare V.E. di modificar! o, nel senso appunto che ho indicato: quante polemiche si vuole col comunismo italiano, ma non tirare in ballo la Russia. E non farsi eco, possibilmente, della polemica fra Mosca e il Vaticano.

1 Manca l'indicazione del rapporto ma deve trattarsi del n. 502/214 del 12 luglio (D. 331).

Come ho detto, il governo sovietico, per i suoi calcoli politici futuri, sta già facendo una specie di inventario delle forze politiche nei vari Paesi dell'Europa occidentale e del loro atteggiamento verso la Russia nel campo della politica estera: ed è su questo inventario che si baserà la sua linea di condotta. Mi si dirà che questo è intervento nella politica interna: certamente, ma non sulla linea che generalmente si crede. Del resto chi è che non interviene nella politica interna degli altri Paesi, solo che ne abbia la possibilità?

A questo fine, se, alla persuasione che il partito democristiano è politicamente il partito più forte d'Italia, si aggiungesse la convinzione che il partito democristiano non è, per principio, ostile alla Russia, se ne potrebbero avere delle conseguenze non disprezzabili nell'atteggiamento della Russia verso l'Italia.

415

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6921/371. Washington, 15 agosto 1945, ore 3,17 (per. ore 8,45 del 18).

Mio telegramma 358 1 .

Sin dal 10 agosto da quando cioè capitolazione nipponica si è profilata imminente questa ambasciata ha subito prospettato uffici Dipartimento di Stato opportunità Italia non sia dimenticata in istrumento resa giapponese anche [causa] noti inconvenienti verificatisi per capitolazione tedesca . sulla quale si era già attirata attenzione americana. Uffici assicurarono loro migliore interessamento.

Questione è stata tenuta viva in conversazioni amichevoli avute in codesti ultimi giorni Dipartimento di Stato nel corso delle quali si è appreso ambasciata di Francia aveva fatto passi ufficiali per ottenere diretta partecipazione resa Giappone e che tali passi subito risaputi avevano destato qualche sfavorevole commento in questi ambienti politici e giornalistici essendosi interpretati come manifestazione esteriore di prestigio.

Comunque oggi in occasione mia visita sottosegretario di Stato Grew ho tratto pretesto dal telegramma di V.E. n. 329 2 per consegnargli breve memorandum confidenziale per raccomandare che l'Italia sia menzionata in eventuale convenzione resa accennandogli che nostro Paese avrebbe molto apprezzato tale soddisfazione morale, data anche prossimità Conferenza pace di Londra. Grew mi ha risposto che si rendeva conto fondatezza motivi mia richiesta la quale veniva esaminata. Nel riservarsi darmi risposta [mi ha detto che] qui non si era ancora deciso circa forma da attribuire capitolazione. Era possibile intanto si procedesse stipulazione separata armistizio fra i capi militari vari teatri operazione. Ha d'altra parte indicato difficoltà citare in atti del genere tutti gli Stati che avevano dichiarato guerra Giappone e che sono circa cinquanta. Mi ha comunque assicurato sua comprensione ed interessamento.

l Vedi D. 396.

2 T. 5196/329 del 13 agosto: piani predisposti per una partecipazione effettiva dell'Italia alla guerra contro il Giappone.

416

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6945/374. Washington, 15 agosto 1945, ore 13,45 (per. ore 2,15 de l 17). Mio telegramma 315 1•

Come è noto delegazione americana a Berlino appoggiata anche da britannica respinse richieste sovietiche ottenere «riparazioni» da Italia su base analoga quella presentata da Russia vari paesi Europa orientale.

Attuale tendenza sembra essere che Italia non debba pagare riparazioni a nessuna Nazione Unita ma consentire soltanto «legittime restituzioni in re» (ad esempio oro jugoslavo, albanese, navi affondate Brasile ecc.) e qualche specifico indennizzo ad esempio in macchinari e materiali qualche nostra fabbrica adibita esclusivamente produzione bellica o comunque ormai non economicamente utile. Per questione eventuali danni subiti a causa guerra da proprietà private cittadini americani e inglesi sembra prevalere concetto indennizzare mediante beni italiani negli Stati Uniti d'America e Inghilterra che potrebbero pertanto rimanere bloccati. Gran Bretagna pur mutando sue primitive esigenze circa riparazioni per allinearsi con atteggiamento Stati Uniti d'America, manterrebbe peraltro noti prospetti e non concessione corrispettive amlire ecc. Si è posto in rilievo presso Dipartimento di Stato nostri contributi economici sforzo bellico Nazioni Unite. Dipartimento ha assicurato che si adopererà perché Conferenza sia regolamento generale di conti e ha chiesto avere al più presto cifre globali che illustrino opportunamente predetti nostri contributi.

Onde proprio compito venga facilitato Dipartimento ha chiesto anche insistentemente conoscere punto di vista italiano circa richieste restituzioni e indennizzi che riteniamo possano essere legittimamente presentate da vari Paesi minori nonché ogni possibile argomentazione a nostro favore.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 5337/3412. Roma, 15 agosto 1945.

Suo 3543 . Governo nordamericano ci ha sinora dato assicurazioni di benevolenza e di appoggio frequenti ed esplicite, ma generiche di cui siamo estremamente riconoscenti

I Vedi D. 362.

2 Il presente telegramma fu successivamente inviato anche alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi (T. 5340/c. del I 7 agosto 1945).

3 T. s.n.d. 6634/354 del 7 agosto, non pubblicato.

552 e di cui valutiamo appieno portata. Ma sarebbe ora fondamentale importanza riuscire ad indurlo a più definite prese di posizione sulle singole questioni che ci riguardano. Oserei dire che codesto governo non si rende forse conto, o non a sufficienza, della decisiva influenza che un suo fermo atteggiamento al riguardo potrebbe indubbiamente esercitare, ad esempio, su quello sovietico. Tutte le informazioni di un osservatore acuto come Quaroni concordano nel riaffermarlo. La fine del conflitto in Estremo Oriente consente d'altra parte oggi agli Stati Uniti una libertà di azione e autorità di decisione ancora maggiori.

Dovremo dunque uscire dalle generalità della «pace equa» per entrare nel vivo delle questioni concrete. Ed è ciò che che vorremmo che gli Stati Uniti facessero, anche perché sono i soli che possono veramente farlo con spirito di obiettività e di giustizia. Noi sappiamo del resto che la Cina svolgerà, in seno al Consiglio dei Cinque, un'azione decisamente a noi favorevole e faremo di tutto per giungere con la Francia a una preventiva intesa che possa assicurarcene l'appoggio, o, almeno, neutralizzarne il contrasto. Carandini, pur riaffermandosi convinto che ci troveremo di fronte condizioni dure, informa d'altra parte che atteggiamento britannico risulta meno intransigente, in parte per maturata convinzione, in parte per reazione intenzioni punitive russe, in parte per compiacere americani 1 .

Una delle questioni per noi più gravi è evidentemente la salvaguardia del territorio metropolitano in generale e la onesta sistemazione della frontiera giuliana in particolare. Importantissima cosa sarebbe dunque se codesto governo precisasse sin da ora il suo punto di vista al riguardo, almeno dichiarandosi disposto ad appoggiare la nostra tesi, che è, in breve, la seguente:

Tralascio di proposito ogni considerazione relativa al nostro leale ripudio della politica di aggressione fascista all'esterno, di aggressione delle minoranze slave all'interno. Tralascio anche di sottolineare ancora una volta la nostra volontà di giungere con la Jugoslavia ad una fiduciosa e ragionevole intesa diretta. Delle prime ella è perfettamente al corrente, della seconda il meno che si possa dire è che è necessario essere in due. Non vi è da parte di Tito né volontà né interesse per una trattativa diretta.

È ferma opinione del governo italiano che una volta abbandonato il confine attuale e cioè lo spartiacque alpino, unica base per una onesta soluzione potrebbe essere fornita, con qualche integrazione (carboni dell'Arsa, bauxite Cherso Lussino) da linea proposta ufficialmente nel 1919 dal presidente Wilson. Ella sa quale valore quasi di simbolo questo nome eserciti da per tutto e particolarmente in America. Ma occorre anche ricordare che la linea Wilson fu il risultato di accuratissimi studi condotti sulla base di proposte elaborate dagli stessi ambienti jugoslavi di Londra nel 1917 e rappresenta certamente l'unico tracciato che, contemperando le varie esigenze, è solidamente fondato sugli elementi geografici, difensivi, storici ed economici della regione. Prendendo ispirazione dalle conclusioni raggiunte in precedenza da vari studiosi, tra cui Salvemini, le proposte Wilson poggiano sostanzialmente sull'unica linea che ad occidente del confine del Nevoso, offre una visibile continuità fisica ed una corrispondenza con le condizioni topogral'iche e generali della regione: la linea cioè così detta degli altipiani (Panique, Tarnova, Nanos),

t Vedi D. 398.

prolungata a sud-est del monte Aquila lungo la cresta dei monti Vena-Caldiera fino a raggiungere il mare nel golfo del Quarnaro. Dal punto di vista etnico essa offre un'accettabile soluzione in quanto permetterebbe di ridurre di circa 100 mila gli slavi entro il territorio italiano contro un gruppo di circa 70 mila italiani che lascerebbe oltre i nuovi confini. Tale soluzione sarebbe tanto più accettabile se integrata da accordi atti a facilitare il trasferimento di coloro che desiderino riunirsi al proprio ceppo nazionale; nonché da speciali statuti atti ad assicurare alle rispettive minoranze (e le dichiarazioni già fatte in proposito dal governo italiano sono solenni ed impegnative) le più larghe possibilità di vita democratica e di tutela dei particolari interessi di lingua, religione, cultura, costumanze. È superfluo aggiungere che il governo italiano è per parte sua senz'altro disposto a partecipare, insieme agli altri Stati maggiormente interessati, a tutti gli accordi internazionali che potranno essere decisi per assicurare la funzione internazionale del porto di Trieste e la sua migliore utilizzazione.

È anche opinione del governo italiano che ogni accordo per delimitazione nuove frontiere dovrebbe essere completato da accordi intesi a garantire una pace adriatica inspirata a senso di giustizia. Tali accordi dovrebbero, in linea di massima, inspirarsi ai seguenti principì: indipendenza dell'Albania con garanzie di ordine internazionale; neutralizzazione e demilitarizzazione di alcuni porti adriatici; regime speciale per Fiume (possibile ristabilimento dello Stato libero o quanto meno corpus separatum) e per Zara.

È questo, a grandi linee, il nostro pensiero nei confronti della frontiera Giulia. Ripeto qui che, ancora prima del tentativo jugoslavo di creare quel fatto compiuto che ha purtroppo condotto alla anche provvisoriamente ingiustificabile linea Morgan, il governo italiano ha ripetutamente manifestato il suo desiderio di trattare la questione direttamente con la Jugoslavia, nell'intento di conseguire quel mutuo e libero accordo che, basato su fattori permanenti e su criteri di reale equità, possa condurre alla piena e definitiva riconciliazione tra i due Paesi. Questo suo appello non è stato, almeno sinora, raccolto, e molto dubitiamo che mai lo sia. Ma è questa una ragione di più per riconfermarlo oggi ancora una volta e col maggiore impegno. Perché corrisponde al nostro convincimento più profondo e agli effettivi e permanenti interessi nostri e jugoslavi.

Ella vorrà inquadrare quanto precede nelle argomentazioni generali che le sono note: necessità di evitare mutilazioni gravi e ingiustificate; di sostenere la rinascente democrazia italiana; di consentire all'Europa occidentale, di cui l'Italia è l'elemento più attivo e operante, la ripresa della sua naturale funzione di civiltà e di equilibrio ecc.

Ella vorrà soprattutto insistere sulla certezza che un deciso atteggiamento nordamericano è destinato ad incidere profondamente sull'atteggiamento di tutte le altre delegazioni e quindi dipende in definitiva da Washington se saranno evitate soluzioni che portino in sé la congenita e permanente debolezza di tutte quelle imposte con la forza e con la forza subite 1•

1 Annotazione a margine: «Autorizzato telefonicamente a premere».

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. 3/1354. Roma, 15 agosto 1945.

Grazie della tua lettera n. 3320 del 28 luglio 1 .

L'avvento del governo laburista da una parte, la richiesta russa di partecipazione all'amministrazione fiduciaria delle nostre colonie in Africa dall'altra, sono, certamente, elementi atti ad incidere sulla situazione in modo serio e, io spero, in nostro favore. Su questo tasto dovresti dunque insistere: l'accettazione della nostra tesi coloniale significherebbe cioè, in sostanza, non soltanto equità e giustizia nei nostri confronti, ma, anche e sopra tutto, costruzione di argini e dighe nell'interesse di tutti.

419

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO SEGRETO 7694/972. Washington, 15 agosto 1945 2 .

l. Premessa. Alla fine dello scorso aprile, l'ambasciata d'Italia a Washington ebbe notizia, e da locali fonti britanniche e da fonti americane, che le due Potenze anglosassoni, coll'imminente fine della guerra in Europa e la già avvenuta liberazione totale del territorio italiano, cominciavano a pensare seriamente e concretamente alla stipulazione di un trattato di pace coll'Italia. La necessità di una pace sollecita era apparsa evidente al Dipartimento di Stato, in occasione della Conferenza di S. Francisco, in seguito sia alle manifestazioni promosse in favore dell'Italia da personalità americane e da organizzazioni ed associazioni italo americane, sia alle favorevoli disposizioni delle delegazioni di Nazioni amiche. Da parte sua, il Foreign Office-ben conscio di queste tendenze americane favorevoli all'Italia -comunicava al Dipartimento di Stato che nella prima metà di giugno gli avrebbe consegnato il proprio schema di trattato di pace coll'Italia. Lo schema inglese e quello americano avrebbero dovuto poi essere unificati e quindi sottoposti alle altre Nazioni Unite direttamente interessate ed all'Italia. Nei mesi di maggio e giugno l'azione unilaterale jugoslava in Venezia Giulia e quella francese nei nostri territori prossimi alla frontiera occidentale polarizzavano l'attenzione e l'azione del Dipartimento di Stato, rallentando gli studi per la pace. Sistemate provvisoriamente tali questioni, per noi tanto importanti, grazie specialmente

I Vedi D. 367.

2 Annotazione a margine di Prunas: «Consegnato personalmente dall'ambasciatore Tarchiani al ministro De Gasperi il 26 agosto 1945».

all'energica presa di posizione degli Stati Uniti a favore dell'Italia, riprendeva l'attività degli uffici del Dipartimento tendente ad una sollecita riabilitazione internazionale dell'Italia; alla sua ammissione fra le Nazioni Unite; alla conclusione di una pace equa che risolvesse le questioni pendenti territoriali, coloniali ed economiche, tenendo conto, nella più larga misura possibile, degli interessi più importanti dell'Italia. Allo scopo di rafforzare, nel frattempo, la posizione morale e giuridica dell'Italia, Washington decideva di patrocinare una nostra dichiarazione di guerra al Giappone e, dopo aver superato le ben comprensibili esitazioni del Foreign Office, otteneva l'assenso delle altre Grandi Potenze. In relazione a tale dichiarazione di guerra, il Dipartimento di Stato ci dava le seguenti assicurazioni ed affidamenti: l) che al Convegno di Potsdam e successivamente da parte americana si sarebbe fatto tutto il possibile a nostro favore; 2) che gli Stati Un-iti non avrebbero mai apposto la propria firma ad un trattato di pace «ingiusto ed oppressivo» per l'Italia; 3) che, prima che il trattato di pace fosse stato redatto definitivamente, l'Italia sarebbe stata ammessa a discuterlo ed a presentare le proprie vedute. È nota l'azione indubbiamente decisiva svolta a favore dell'Italia dal presidente Truman e dalla delegazione americana nella Conferenza di Potsdam e di cui è prova la parte che ci concerne nel comunicato finale della Conferenza.

2. Attuale stadio dei preparativi del Dipartimento di Stato per la Conferenza della pace di Londra. Da vari mesi l'ambasciata d'Italia a Washington sta adoperandonsi in tutti i modi possibili per orientare il Dipartimento di Stato verso le decisioni più favorevoli o meno pregiudizievoli agli interessi italiani. Questa azione è stata intensificata al massimo nelle ultime settimane con ogni mezzo a disposizione. Gli Stati Uniti nutrono indubbiamente, in via generica, amicizia e simpatia per il nostro Paese. Questi favorevoli sentimenti sono poi sostanziati: l) dall'interesse di politica generale, che l'Italia rimanga saldamente aderente alla concezione occidentale di democrazia e legata quindi da questa concezione di vita, e dai comuni interessi che ne derivano, al mondo occidentale. La questione ovviamente è di grande importanza per Washington ai fini di ristabilire un equilibrio in Europa e quindi nel mondo; 2) dall'interesse del partito democratico al potere di ottenere il voto italiano alle elezioni che avranno luogo l'anno prossimo per la rinnovazione della Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato. Al riguardo va ricordato che il partito democratico può considerare perduto il voto polacco in seguito al riconoscimento accordato al governo di Varsavia ed il voto germanico colle decisioni del Convegno di Potsdam. Attualmente al Dipartimento di Stato si stanno ultimando gli studi e concretando le posizioni americane circa le varie nostre questioni da risolversi alla Conferenza di Londra. Decisioni pressoché definitive verranno adottate prima della partenza della delegazione americana, che dovrebbe avvenire fra il 28 ed il 30 corrente. Secondo confidenze fatte, all'ambasciata, in via personale e riservatissima, l'orientamento attualmente prevalente sulle singole questioni parrebbe essere il seguente:

3. Questioni territoriali metropolitane.

a) Rivendicazioni francesi. L'ambasciata di Francia a Washington, dopo il noto memoriale fatto pervenire al presidente Truman prima della sua partenza per Berlino (e di cui ai noti telegrammi) 1 , ha recentemente indirizzato una nota al Dipartimento di Stato, protestando contro il ritiro dell' A.M.G. dalla zona del nostro confine occidentale e ricordando, sembra, l'esistenza di questioni insolute fra Francia ed Italia. L'orientamento attuale del Dipartimento di Stato, che sarebbe condiviso -secondo confidenze americane -dal Foreign Office, è che, alla Conferenza di Londra, né dalla delegazione americana, né da quella britannica, verrà dato alcun appoggio alla tesi francese e ciò «tanto per le rivendicazioni di trecento metri di territorio italiano e tanto più per quelle di venti chilometri». Come è noto, il 22 agosto corrente il generale de Gaulle verrà in visita a Washington. È da presumere che troverà in materia di rivendicazioni verso l'Italia, qualora sollevasse l'argomento, lo stesso risoluto atteggiamento qui manifestato al ministro degli Esteri Bidault (telegramma n. 132 del 30 maggio u.s. 2 e conversazione Saragat Bidault del 6 luglio u.s.) 3 . Da parte nostra si continuerà a vigilare.

b) La questione dell'Alto Adige. La pos1z1one americana nella questione risente indubbiamente delle simpatie che una certa parte dell'opinione degli Stati Uniti nutre per l'Austria, per Vienna e per l'ospitalità ed i costumi tiro lesi. Una recentissima conferma di questo interessamento statunitense è data dalla richiesta presentata dalla delegazione americana, in modo imperativo, all'attuale congresso londinese dell'U.N.R.R.A. perché l'Austria, alla pari dell'Italia, sia ammessa ad ottenere larghi aiuti da tale ente internazionale. Il presidente Roosevelt condivideva queste simpatie, cui si aggiungeva una personale amicizia sua e della moglie per Zita e per Otto d'Asburgo 4 . Risale a vario tempo fa, quando egli era ancora vivo (probabilmente al tempo del Convegno di Mosca del 1943 che proclamò la ricostituzione in vita dell'Austria a Stato indipendente, una decisione di massima americana di restituire a questa l'Alto Adige. Attualmente i pareri al Dipartimento di Stato sono ancora divisi: una parte degli alti funzionari, forse la maggiore, sarebbe per il mantenimento della precedente decisione e farebbe valere al riguardo la necessità di rafforzare l'indipendenza dell'Austria ed i partiti austriaci non marxisti, con questo territorio e con una popolazione che si ritiene orientata in senso molto cattolico e piuttosto conservatore, e per di più si nota che la maggioranza degli abitanti sarebbe per l'unione all'Austria. Un'altra tendenza del Dipartimento di Stato sostiene invece i diritti dell'Italia alla propria attuale frontiera naturale, usando sia l'argomento delle opzioni avvenute nel 1939 per la Germania nazista, sia quello dello scarso affidamento che offrirebbe alle democrazie occidentali la nuova Austria, che sembra attualmente dominata dalle concezioni democratiche orientali. Questa tendenza come sua «linea di ripiegamento» contrappone poi alla tesi della cessione

1 Vedi D. 362 e il T. s.n.d. 5645/272 dell'Il luglio, non pubblicato.

2 Riferimento errato; si tratta probabilmente del telegramma di cui al D. 238, nota l.

3 Recte del 5 luglio, vedi D. 311.

4 Nota del documento: «Anni fa, quando l'Italia era in guerra cogli Stati Uniti, il presidente Roosevelt, aderendo a richiesta di Otto d'Asburgo, con ordine impartito personalmente per telefono al segretario di Stato per la Guerra, autorizzò la costituzione di formazioni volontarie militari austriache che, al lato dell'esercito americano, avrebbero dovuto combattere per la resurrezione dell'Austria. Otto emanò un proclama ai cittadini dei suoi ex Stati, compresi quelli di origine italiana! Sembra che solo ventitre risposero all'appello, fra cui il di lui fratello arciduca Felice, qui residente anche ora. Sicché l'iniziativa abortì completamente».

totale dell'Alto Adige all'Austria, la linea Wilson del 1919, che, come è noto, lascia all'Italia Bolzano ed il territorio a sud. A rafforzare questa tendenza a noi favorevole, l'ambasciata a Washington provvede a consegnare al Dipartimento di Stato, il memorandum riservato rimesso in argomento dal ministero degli Affari Esteri. Benché vi è [sic!] da sperare che una decisione definitiva non sia stata ancora adottata da Byrnes, tuttavia è da tener presente la possibilità che, in questa e forse unica questione, l'atteggiamento della _delegazione americana possa non esserci favorevole. Si aggiunge che, secondo confidenze dello State Department, anche il nuovo governo laburista inglese potrebbe non essere contrario alla tesi austriaca. Va rilevato, infatti, che attualmente a Londra si stanno sottoponendo a revisione, sembra molto radicale, le decisioni precedentemente adottate sulle questioni italiane dal governo conservatore.

c) Questione della Venezia Giulia. La tendenza che sembra attualmente prevalere allo State Department per la soluzione della questione della Venezia Giulia è di prendere come base la linea Wilson del 1919; con rettifiche a favore dell'Italia nella parte inferiore deii'Istria in maniera da !asciarci la zona dell'Arsa (come del resto previsto anche nella variante alla stessa linea Wilson proposta dalla delegazione americana a Versailles col memorandum del 9 dicembre 1919), e compensi a favore della Jugoslavia in zone che non sono state ancora precisate, forse a nord di Gorizia, dove la popolazione slovena sarebbe assolutamente compatta. Il Dipartimento non si nasconde la grande difficoltà di mandar via le forze di Tito da quella parte dell'Istria, oltre il tracciato della linea Morgan, che dovrebbe esserci restituita: sembra peraltro nutrire fiducia nella potenza anglosassone cui Tito dovrebbe sottostare. Certo si è che per l'opinione pubblica nordamericana e per il partito democratico al potere, che ha ripreso ora in pieno le tradizioni Iegategli da Wilson, la linea prediletta dal defunto presidente, esercita un fascino: e se, nel 1919, essa veniva ritenuta un equo compromesso, venticinque anni di dominio italiano costituiscono un consolidamento del giusto titolo allora riconosciutoci. A questi motivi positivi pro Italia si aggiungono poi motivi negativi contro Tito. Il recente discorso del maresciallo jugoslavo -che toglie validità al compromesso realizzato qualche mese fa con Pietro II mentre qui ed a Londra non si era perduta ogni speranza di allargare la base dell'attuale governo di Belgrado e che, per di più, attacca le democrazie occidentali -ha accresciuto ancora l'animosità di Washington verso l'attuale regime jugoslavo. E non vi è dubbio che questa situazione giuoca in nostro favore molto più che se a Belgrado governassero oggi Re Pietro II ed il suo generale Mihailovich, anche essi del resto favorevoli al confine jugoslavo aii'Isonzo. Purtroppo, nulla vi è da fare per quanto riguarda il possesso di Fiume e Zara, mentre qualche speranza vi è ancora -per quanto riguarda l'attuale posizione americana -per le isole del Quarnaro e specie per Lussinpiccolo. Naturalmente a Londra vi sarà da fare i conti con l'atteggiamento russo, e parecchio potrà dipendere dalla posizione che saprà prendere la delegazione jugoslava, la quale dovrebbe partecipare insieme a noi alle discussioni riguardanti la Venezia Giulia. Altro elemento importante da tener presente, per quanto riguarda la psicologia americana, è che al Dipartimento di Stato non si è favorevoli alla nuova prassi dello scambio delle popolazioni.

4. Territori di oltre mare.

a) Dodecaneso. Si conferma che tanto gli Stati Uniti quanto l'Inghilterra sono favorevoli alla annessione del Dodecaneso alla Grecia. E ciò benché qui si riconoscano sia i benefici materiali portati dall'Italia a quelle isole e sia anche il fatto che probabilmente le locali minoranze mussulmane ed israelite possano preferire l'amministrazione italiana a quella greca. Non si esclude al Dipartimento di Stato che la Russia, conformemente del resto all'atteggiamento di massima assunto a Potsdam, possa proporre a Londra che il Dodecaneso diventi un trusteeship delle Nazioni Unite, proposta che sarebbe certo combattuta dalle due Potenze anglosassoni. Per quanto riguarda, infine, i beni ed interessi privati italiani nonché i nostri connazionali colà stabiliti, la delegazione americana appoggerebbe una nostra richiesta per la concessione di giuste garanzie per un trattamento discriminatorio da parte greca.

b) Africa. A quanto risulta dalle note confidenze ottenute a varie riprese da locali fonti britanniche, sino alla Conferenza di Potsdam prevaleva a Londra il criterio generale che tutte le nostre colonie africane, tranne forse l'Eritrea riservata all'Etiopia, dovessero essere sottoposte al nuovo regime dei trusteeships, previsto dalla decisione di Yalta e dallo Statuto delle Nazioni Unite. Non si era a Londra contrari a !asciarci probabilmente la Tripolitania, sempre sotto forma di trusteeship, mentre la Cirenaica, col pretesto dei Senussi, e la Somalia sarebbero divenute «tutele» britanniche. La richiesta russa a Potsdam di partecipare, a parità di diritti, a tutti questi trusteeships ha molto raffreddato le intenzioni del Foreign Office e del Colonia! Office, i quali non vogliono né un rafforzamento della Russia nel Mediterraneo né ingerenze dell'U.R.S.S. in Africa. Di conseguenza le precedenti decisioni adottate in materia dal governo conservatore -a quanto è stato qui detto al Dipartimento di Stato -sarebbero a Londra sottoposte a revisione. Attualmente vi sono al Dipartimento di Stato due tendenze: la prima, che parrebbe di minor peso, per considerazioni ideologiche preferirebbe mantenere il sistema dei trusteeships per le nostre colonie: pur contemplando una partecipazione italiana in ciascuno di essi. La seconda tendenza, che sembra ora prevalente, vorrebbe invece lasciar tutta la Libia alla diretta sovranità italiana: per quanto concerne i famosi Senussi, ritenençlosi qui che essi sarebbero «poco felici» sia se affidati alla tutela egiziana sia se amministrati dagli inglesi, non si escluderebbe la possibilità di !asciarli all'Italia, sotto una forma di autonomia del genere, od eventualmente più larga, di quella concessa dall'accordo di Regima del 1920. Va tenuto presente che anche i sostenitori della tesi americana per il mantenimento della nostra sovranità in Tripolitania e Cirenaièa prevedono la probabilità di moti od insurrezioni della popolazione araba contro il nostro ritorno come avvenne dopo l'altra guerra mondiale e come recentemente la Francia ha dovuto constatare in Nord Africa, etc., ma ritengono che tali reazioni potrebbero verificarsi, forse in misura maggiore, contro qualsiasi altra Potenza. Sempre secondo l'opinione dei predetti, Tobruck verrebbe probabilmente sottoposta ad un regime di trusteeship come «area strategica», mentre una o più basi aeree, con eguale formula, potrebbero essere stabilite in Cirenaica (aeroporto nei dintorni di Bengasi?) e forse in Tripolitania. Per quanto concerne le possibili rivendicazioni francesi, esse non sembrano avere né l'appoggio americano né quello britannico. Per quanto riguarda l'Eritrea si sono avute recentemente parecchie conversazioni confidenziali al Dipartimento di Stato. In un primo tempo è stata manifestata la speranza che la parte settentrionale dell'Eritrea potesse esserci conservata qualora fosse stato possibile addivenire ad intese con l'Etiopia per qualche rettifica di frontiera e per cederle un adeguato sbocco al mare in Dancalia. Successivamente sono stati espressi dei dubbi sulle possibilità del mantenimento di una nostra sovranità, pur ritornando sull'argomento di nostre dirette prese di contatto con Addis Abeba e non escludendo a priori la possibilità di un tramite americano, ritenendosi che il Negus possa avere un interesse, ai fini dell'indipendenza etiopica, a confinare con più Stati europei. Ultimamente si è al riguardo parlato, sempre in linea confidenzialissima, della eventuale possibilità di far pervenire al Negus, per tramite del ministro degli Stati Uniti ad Addis Abeba, un messaggio del governo italiano e ciò al fine di tentare di evitare eccessive ostilità ed irrigidimenti della delegazione etiopica alla Conferenza di Londra. Circa questi approcci è stato riferito dall'ambasciata con vari telegrammi (nn. 313, 320, 350 e 366) 1• Comunque va tenuto presente, ad ogni buon fine, che gli Stati Uniti non sono affatto favorevoli ai progetti del Foreign Office e del Colonia! Office di assoggettare l'Etiopia alla esclusiva influenza britannica e di trovare nell'Impero del Negus il più sostanziale guadagno coloniale dell'attuale guerra. In proposito, il linguaggio tenuto negli scorsi mesi da questi ambienti ufficiali britannici, che arieggiava da presso gli argomenti fascisti del 1935, non lasciava adito a dubbi. È, peraltro, possibile che il nuovo governo laburista con continui, od addirittura ripudii, i progetti del precedente Gabinetto conservatore.

Circa, infine la Somalia italiana, in questi ultimi giorni l'opinione espressa confidenzialmente al Dipartimento di Stato è che si tratti di un territorio improduttivo, non suscettibile di adeguata colonizzazione bianca e quindi di un inutile onere finanziario per l'Italia nelle sue attuali condizioni economiche. È possibile anche che si intenda, almeno per tale nostra colonia, dare soddisfazione alle richieste britanniche, motivate, come è noto, dallo scopo altruistico di riunire in unico trusteeship tutte le genti somale, in modo da indirizzarle verso il progresso, che è loro possibile raggiungere con unità di intenti e di amministrazione. Comunque non si esclude al Dipartimento di Stato che l'Italia possa avere una sua partecipazione in tale trusteeship (telegrammi 136, 141 e 314) 2•

5. Clausole militari e navali. Secondo il Dipartimento di Stato, non sarebbe intenzione americana, in linea di massima, di sottoporre l'Italia, nel trattato di pace, a limitazioni di carattere permanente nel campo militare, salvo, forse, la probabile smilitarizzazione di alcune delle nostre isole del Mediterraneo, che sarebbe richiesta dall'Inghilterra (telegramma n. 227)3 . Qui si riterrebbe, infatti, che anche in questo campo, non dovremmo essere sottoposti a menomazioni di sovranità ed a controlli che ci pongano in condizioni di inferiorità rispetto ad

1 Vedi DD. 362 e 411; i telegrammi s.n.d. 6222/320 del 28 luglio e 6616/350 del 7 agosto non sono pubblicati.

2 Vedi D. 362; il T. 4208/136-141 del l" maggio non è pubblicato.

3 Vedi D. 292.

altri paesi. Queste considerazioni di equità sono, d'altra parte, suffragate dalla convinzione americana che per alcuni decenni non potremmo, anche volendo, costituire una minaccia per altri paesi, mentre la nostra situazione finanziaria non ci permetterebbe esorbitanti spese di carattere militare. Per quanto riguarda la nostra attuale marina da guerra, in questi ultimi giorni da parte americana si è espressa la buona intenzione di !asciarci anche le nostre nuove navi da battaglia: e ciò perché, secondo calcoli fatti dal Dipartimento della Marina, occorrerebbe la somma di circa 20 milioni di dollari per ciascuna onde metterle in condizioni di parità con le navi da battaglia della flotta statunitense. D'altra parte qui non si vuole che dette navi vadano alla Russia mentre è possibile non si conosca ancora l'attuale punto di vista inglese. Peraltro al Dipartimento di Stato sembra acquisito il punto che, in conformità al principio generale qui accolto del nostro obbligo di procedere a «restituzione in equivalente» di beni sottratti durante la prima fase della guerra, si debbano restituire o sostituire le navi da guerra prese alla Francia, alla Grecia ed alla Jugoslavia. Si tratterebbe, secondo il Dipartimento, di circa tre (?) navi da guerra francesi e di qualche unità greca e jugoslava. L'ambasciata ha osservato che forse l'Italia potrebbe preferire l'alternativa di costruire, nei propri cantieri, per tali paesi nuove unità da guerra, date le attuali esigue dimensioni della nostra marina (e ciò per l'eventualità che sia convenuta una generale sospensione o limitazione di nuove costruzioni navali). Al Dipartimento è stato obiettato molto genericamente che non sembrava che l'alternativa potesse convenirci per motivi finanziari. Va comunque rilevato che qui si apprezzano la nostra marina ed i nostri equipaggi. ·

6. Rapporti economico-finanziari. Il Dipartimento di Stato intende che il trattato di pace regoli tutti i rapporti economico-finanziari e ciò sia per quanto riguarda i rapporti fra Stati che quelli di diritto internazionale privato.

I concetti a cui gli Stati Uniti sembrano oggi ispirarsi sono i seguenti:

-Nessuna politica di oppressione economica. L' Italia non potrà costituire in avvenire una minaccia; essa «deve» quindi essere messa in grado di riprendere al piu presto il suo posto nel mondo e costituisce un elemento di stabilità e di ordine nel campo economico.

-È necessario si cancelli in modo definitivo e totale il passato e che l'Italia possa subito accingersi, sgombra da preoccupazioni, alla sua ricostruzione.

-Il governo americano è quindi fortemente contrario a soluzioni che si trascinino per anni né, in relazione ad eventuali richieste di altri Stati, intende minimamente consentire decisioni che in definitiva obbligherebbero la stessa America a fornire all'Italia i mezzi di pagamento mentre fiaccherebbero maggiormente l'economia italiana.

-La Conferenza di Londra deve costituire anche un regolamento di tutte le partite di dare e avere, un «generai settlement of accounts»: a Londra dovrebbero quindi essere regolati anche i problemi derivanti dalle forniture degli Alleati all'Italia («civilian supplies») e dalle controprestazioni italiane agli Alleati nella seconda fase della guerra.

-La delegazione americana dovrà però tutelare gli interessi di cittadini americani per i danni da loro subiti a causa della guerra con l'Italia. Se tale tutela venisse a mancare, è facile prevedere che si avrebbe una reazione sfavorevole dell'opinione pubblica e la questione finirebbe di essere sollevata in Congresso, con il pericolo di una mancata ratifica del trattato.

-Il governo americano è peraltro vivamente interessato a conoscere il punto di vista italiano sui vari problemi e ad ottenere da parte italiana tutti quei dati e quegli elementi, che potranno facilitare il compito della sua delegazione nei contatti con i terzi Stati.

-È ovvio che il governo americano non potrà declinare le richieste che verranno avanzate da tali terzi Stati, che hanno sofferto aggressioni da parte del governo fascista. Esso confida comunque che sarà possibile giungere ad un componimento degli interessi in giuoco, che consenta all'Italia di riprendere presto quella solidità economica, che costituisce un fattore essenziale della politica europea.

Questi i concetti generali che sembrano ispirare l'atteggiamento amencano. Sui vari problemi specifici è stato possibile accertare quanto ~egue:

a) Riparazioni. Dati i princìpi sopra esposti, l'America non chiede riparazioni all'Italia e si oppone acché richieste analoghe vengano presentate da altri Stati. Risulta in realtà da informazioni confidenziali che a Potsdam la Russia aveva richiesto per sé 300 milioni di dollari di riparazioni. Di fronte alle nette obbiezioni americane, a cui si erano aggiunte quelle inglesi, la Russia aveva mantenuto la richiesta, assumendo però l'onere di dare parte della somma ad altri Stati reclamanti (la Jugoslavia e l'Albania). L'atteggiamento fermo assunto sulla questione da parte americana e inglese ha impedito l'accettazione della richiesta russa. Lo stesso atteggiamento la delegazione americana ha intenzione di tenere in caso di rinnovo di simili richieste alla Conferenza dei cinque. D'altra parte sembra dovremo rinunziare ad ottenere «riparazioni» dalla Germania.

b) Restituzioni, indennizzi. Da parte americana ci si rende conto che si dovrà però in qualche modo venire incontro alle richieste che verranno avanzate dagli altri Paesi. Ci si va orientando quindi verso soluzioni «sussidiarie», limitate nell'entità e negli scopi. È anche possibile che la delegazione americana non giungerà a Londra con delle proposte definitive nel dettaglio, ma che discuterà prima con gli Alleati maggiori e poi con i singoli Stati interessati sulla base seguente: l'Italia dovrà procedere alla «restituzione in re» di quanto da essa sottratto ai Paesi occupati. Ci verrà richiesta la restituzione dell'oro sottratto ai Paesi occupati (oro jugoslavo), si parla anche di restituzione dell'oro all'Albania. L'Italia dovrà corrispondere indennizzi in natura, in casi ben specifici di danni arrecati, che potranno essere costituiti ad esempio dalla cessione di macchinari dell'industria di guerra e delle industrie «ormai economicamente inutili», (probabilmente industrie nettamente autarchiche), o da prodotti manifatturati. È però intenzione americana che il processo di restituzione o di cessione di materiali o macchinari non si trascini troppo a lungo nel tempo, né sembra ancora stabilito, nel caso prevalesse la tesi predetta con quali modalità tali cessioni verrebbero

effettuate. Circa la riserva aurea della Banca d'Italia non sembra siano state qui prese decisioni definitive. Comunque non parrebbe da escludere che un'aliquota dell'oro possa essere utilizzata ai fini di eventuali indennizzi: il governo americano si rende però chiaramente conto che se si utilizzasse una grande parte della riserva aurea agli scopi predetti si verrebbero in definitiva ad assumere decisioni in contrasto con tutta la tendenza prevalente, di agevolare cioè una rapida ripresa economica italiana e di non compiere sottrazioni atte a fiaccare maggiormente 1ft finanza e l'economia italiana.

c) Marina mercantile. Il governo americano si rende conto che, per le sue caratteristiche geografiche, per la sua dipendenza da mercati esteri di approvvigionamento, per la sua tradizione marinara e per la rilevante massa di gente di mare da impiegare, l'Italia ha un bisogno vitale di marina mercantile. Le raccomandazioni fatte dagli uffici tecnici competenti alla delegazione americana sono state formulate, a quanto dagli stessi uffici affermato, su una base «larga e liberale» (broad and libera!) e sono state ispirate alla consapevolezza delle necessità di naviglio per l'Italia. In tali raccomandazioni si è tenuto particolare conto dei bisogni per l'Italia di avere assicurati i suoi trasporti marittimi locali, che «hanno per la vita economica italiana la stessa importanza della rete di trasporti ferroviari terrestri in un paese continentale». Non chiaro, invece, sembra essere l'atteggiamento americano nei riguardi del mantenimento di servizi di linea, soprattutto adibiti al trasporto passeggeri, o di linee operanti in perdita quali ad esempio quella del periplo africano. Il trattato di pace potrebbe prevedere la restituzione di navi sottratte ad altri Stati, e il rimpiazzo di navi affondate, (navi greche, jugoslave, brasiliane); da parte americana sembra però aversi l'intenzione di assicurare all'Italia il maggior numero possibile di navi attualmente operanti nel «pool» marittimo.

d) Debiti prebellici. Con questi non si suole accennare ai debiti contratti in relazione alla guerra mondiale n. l, per i quali per dichiarazione americana, sembra prevedersi un totale colpo di spugna. Si accenna invece ai vari prestiti contratti dallo Stato da enti e da compagnie italiane, per i quali si desidera qui un regolamento atto a tutelare gli interessi americani. I contatti avuti in argomento dall'ambasciata e le proposte formulate dall'addetto finanziario dovrebbero, secondo il suggerimento americano, concretarsi in un programma ufficiale del governo italiano con cui la questione potesse essere integralmente risolta. È da prevedersi che menzione specifica verrà fatta anchy a tale particolare problema nelle clausole del trattato.

e) Danni alle proprietà di cittadini americani a causa della guerra con l'Italia. Questo sembra essere il punto in cui la delegazione americana avanzerà richieste precise. Il governo americano non intende provvedere i mezzi con cui l'Italia possa far fronte a eventuali indennizzi agli stessi cittadini americani. Tali mezzi debbono essere procurati direttamente da parte italiana e dato che le sole attività in dollari disponibili per il governo italiano sono costituite dalle proprietà italiane negli Stati Uniti non è da escludersi che si debba far ricorso a tali proprietà. Un analogo atteggiamento sembrerebbe sia stato assunto anche da parte britannica, canadese, etc. È quindi da prevedersi che tali attività italiane rimarranno bloccate fino a una definizione completa dell'entità dei danni subiti da parte americana.

f) Controprestazioni italiane. Come si è sopra accennato è intenzione americana che al trattato di pace vengano regolate tutte le questioni pendenti, e di conseguenza anche le partite di dare e avere che si sono costituite fra noi e gli Alleati nella seconda fase della guerra. Sembra si vada ormai abbandonando il concetto che le nostre controprestazioni derivino da un obbligo armistiziale e che quindi non deve esser dato ad esse alcun riconoscimento. D'altra parte però è da attendersi che, in qualche forma adeguata, le controprestazioni stesse andranno poste a sconto di quanto fornito dagli Alleati.

g) Rapporti economici privati. Altre questioni che si intendono regolare nel trattato di pace riguardano i contratti tra privati sospesi per causa della guerra, contratti di assicurazione, diritti di autore, brevetti, etc.

7. Considerazioni generali. Come si è accennato in principiO, è precipua intenzione degli Stati Uniti che il trattato di pace sia «giusto» e non ci venga imposto. Per quanto riguarda tale ultima condizione, si sembra ammettere implicitamente l'eventualità che la nostra delegazione possa, oltre che discutere le varie clausole e presentare i suoi punti di vista, anche rifiutare di accettarlo e firmarlo. Evidentemente è nostro interesse che una tale ultima eventualità possa verificarsi solo per motivi di speciale gravità, riconosciuti giusti dall'opinione pubblica americana. Il caso è stato prospettato al Dipartimento di Stato, il quale ha lasciato intendere che questo governo sarebbe contrario ad esercitare par

ticolari pressioni specie di carattere economico: prolungandosi lo stato attuale di armistizio non verrebbero cioè a mancarci gli aiuti economici e le materie prime, carbone etc.

8. La delegazione americana a Londra. La delegazione degli Stati Uniti partirebbe per Londra fra il 28 e il 30 corrente. Ne farebbero parte, oltre il nuovo segretario di Stato Byrnes, gli assistenti segretario Clayton e Duno, il direttore degli Affari Politici Europei Matthews, il signor Sam Reber, con tutta probabilità codesto ambasciatore americano Kirk, ed una quantità di esperti. Circa la durata della Conferenza di Londra ed il tempo necessario per la definitiva redazione e firma del trattato di pace di fanno al Dipartimento di Stato le previsioni più diverse. I più ottimisti calcolano che il mese di settembre dovrebbe essere sufficiente (telegramma n. 332) 1 , secondo altri avremo sicuramente la pace per la fine dell'anno. È stato vivamente raccomandato al Dipartimento di Stato di mantenere assolutamente segrete le notizie riferite sull'atteggiamento americano circa le questioni territoriali, coloniali, etc. Si è accennato al riguardo che si nutre qui ben poca fiducia nella segretezza della nostra cifra e dei nostri corrieri.

1 Vedi D. 377.

Osservazioni e proposte sulle questioni finanziarie che verranno probabilmente esaminate alla Conferenza di Londra.

Restituzioni, indennizzi. Dato e concesso che venga totalmente abbandonato il ricorso al metodo delle riparazioni, occorre prepararci a far fronte alle richieste di natura sussidiaria, (restituzioni, indennizzi) che ci potranno venir formulate. Sembra quindi necessario:

l) apprestare una dettagliata documentazione di quanto noi riteniamo che legittimamente ci potrebbe venir richiesto e di cui noi saremmo favorevoli ad effettuare la restituzione.

2) Per ciò che concerne gli indennizzi in re e tenendo presente che questi potrebbero venirci richiesti soprattutto da Albania, Etiopia, Jugoslavia, Grecia, si sottopongono qui alcune considerazioni, anche in relazione a contatti avuti in argomento con questo Dipartimento di Stato.

-Occorrerebbe lumeggiare nella misura maggiore possibile le migliorie da noi apportate all'economia dei paesi predetti (in particolare Etiopia e Albania, e per la Grecia isole del Dodecaneso ), onde farle giocare possibilmente a compenso totale delle richieste di indennizzo per distruzioni eventualmente sofferte dai paesi stessi.

-Utile appare anche il documentare la delegazione americana circa i contributi in generi alimentari, in lavori pubblici, ecc. recati durante l'occupazione dei territori greco e jugoslavo (l'ambasciata ha già consegnato i pro-memoria sull'opera da noi svolta in Grecia e nel Dodecaneso e ha già verbalmente intrattenuto il Dipartimento di Stato in merito all'azione compiuta nei territori jugoslavi).

-Per l'eventualità che si voglia procedere al trasferimento a titolo di indennizzo di certe nostre industrie, occorrerebbe prepararci a lumeggiare la vitale importanza del mantenimento del nostro apparato industriale fornendo dati sulle industrie italiane e cercando di ridurre al minimo l'elenco di quelle, nettamente di guerra e autarchiche, di cui si potrebbe accettare, ove necessario, lo smantellamento. La delegazione americana appare interessata a essere opportunamente documentata sui nostri problemi industriali e sulle diverse categorie delle nostre industrie ed ha chiesto insistentemente dati in argomento.

-Ritenendosi poi meno dannoso all'economia nazionale fornire prodotti manifatturati (cotonate, autocarri, automobili) ai paesi predetti a titolo di indennizzo, piuttosto che soggiacere a esportazioni di macchinari sarebbe opportuno far, fin da ora, conoscere al governo americano quali sarebbero le nostre intenzioni al riguardo e in particolare di quali prodotti potrebbe trattarsi.

-Per quanto concerne poi il caso specifico della Russia, è stato accennato al Dipartimento di Stato come non sia ancora chiaro, a seguito del Convegno di Potsdam, se alla Russia competa il diritto di impossessarsi soltanto dei materiali tedeschi delle zone da essa occupate e controllate, o anche di quelli di altra origine che potrebbero essere in tali zone rinvenuti, o se piuttosto gli alleati occidentali avranno ancora una possibilità di controllo ai fini economici in tali zone. Poiché peraltro, dati i metodi seguiti dai russi e i propositi che essi manifestano, come spesso segnalato dal nostro ambasciatore a Mosca, vi sono da fare ben scarsi affidamenti sulla possibilità di rientrare in possesso di materiali italiani trovantisi nelle zone predette, vi è da domandarsi se non ci converrebbe tacitare, almeno parzialmente, le richieste russe con la dichiarazione che siamo preparati a cedere i materiali già trovantisi nelle loro zone (vedi ad esempio il caso tipico del materiale rotabile in Rumania). Meglio, in sostanza, offrire con dati precisi quello che ci risulta essere già in mani russe o chiedere che ci venga conteggiato a sconto degli indennizzi, piuttosto che insistere per il rientro in possesso di materiale che, già ci consta, non ci verrà mai restituito.

Comunque, occorre tener presente che il Dipartimento di Stato sembra vivamente interessato ad ottenere un maggior numero di dati sui problemi sopra specificati. Occorrerebbe pertanto, ove ritenuto possibile ed opportuno, corrispondere a tali richieste, fornendo in particolare quegli elementi che più possano confortare le tesi che verranno da noi sostenute.

Marina Mercantile. Date le intenzioni manifestate, di cui sopra è cenno, si tratta per questo particolare delicatissimo argomento di vedere quali opposizioni noi potremmo fare alle eventuali richieste di indennizzo per perdite subite da parte della marina mercantile dei paesi già in guerra con l'Italia. Occorre al riguardo tener presente come non si escluda qui che noi dobbiamo procedere alla restituzione e al rimpiazzo di navi affondate alla Grecia, alla Jugoslavia e alla Francia. L'accettazione di un simile principio ci porterebbe su un terreno estremamente pericoloso, soprattutto date le richieste che potrebbero esserci formulate da parte inglese. Non si è mancato qui di chiedere se per le 28 navi « vested» prima dello scoppio delle ostilità fra Italia e America, erano da prevedersi clausole nel trattato di pace. Dalla risposta ricevuta sembrerebbe che la questione non verrebbe contemplata in tale sede, il che potrebbe anche significare che la disponibilità di tutte le navi sequestrateci nei vari porti delle nazioni amiche verrebbe ad essere regolata in trattative dirette. Sembrerebbe quindi del tutto necessario che da parte nostra si imposti subito il problema per evitare che si debba ricevere eventualmente il duplice danno di un incameramento delle navi sequestrateci da parte di altri Stati prima o al momento della dichiarazione di guerra e, oltre a ciò, di un obbligo di rimpiazzo con navi nostre attualmente nel «pool» alleato. Comunque, se il pericolo sopradetto potrà essere sventato nel caso degli Stati Uniti la cui politica in tema di marina mercantile è quella di sbarazzarsi delle navi vecchie, tale pericolo è certo da tener presente nel caso di altri Stati. Da notarsi che è accertato che il Brasile ci chiederà indennizzi per le navi brasiliane che si pretendono affondate dai nostri sommergibili atlantici: come è noto i beni e interessi italiani, comprese le navi, incamerati dal Brasile sono di valore infinitamente superiore. Se il nostro ministero della Marina avesse preparato la convincente documentazione chiestagli dallo scorso gennaio, sarebbe molto opportuno ed urgente disporre subito di una copia da comunicare immediatamente al Dipartimento di Stato.

Debiti pubblici. In relazione a quanto già segnalato più, sopra sembra del tutto consigliabile la formulazione di precise disposizioni sulla questione da parte del governo italiano. Questo almeno è quanto ha precisamente richiesto il Dipartimento di Stato.

Danni ai privati. Dato il netto atteggiamento americano parrebbe opportuno tener presente la necessità di:

-attrezzarci convenientemente per confutare le pretese che ci verranno avanzate nei negoziati ed essere in grado di dimostrare la buona amministrazione delle autorità italiane nei riguardi delle proprietà sequestrate.

-A vere per quanto possibile una completa documentazione sulle proprietà straniere in Italia già sequestrate, tenendo presente al riguardo che, quale che sarà la forma che verrà data ai risarcimenti sugli assets italiani in America, i negoziati potranno implicare l'esame di vere e proprie compensazioni in termini finanziari.

-Offrire, nei casi di distruzione di proprietà, la ricostruzione in Italia delle proprietà stesse, il che comporterebbe il vantaggio di effettuare tali ricostruzioni con mano d'opera italiana e spese in lire piuttosto che sottostare ai risarcimenti in dollari prelevati dai beni italiani in America.

Controprestazioni. Come ripetutamente segnalato, è assolutamente necessario che la nostra delegazione si presenti alla Conferenza con dati globali relativi alle nostre controprestazioni di natura economica (amlire, requisizioni, forniture e servizi). È ovvio che più si potrà da parte nostra documentare il nostro contributo economico e più si potrà far conteggiare tale contributo a sconto di quanto fornitoci e impiegare eventuali rimanenze per farle giuocare ai fini degli indennizzi.

Rapporti economici privati. Lo State Department si augura che si giunga da parte italiana alla Conferenza in grado di discutere ed arrivare al più presto possibile ad una soluzione anche di tali questioni.

420

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 6969/439. Londra, 16. agosto 1945, ore 20 (per. ore 8,45 del 18).

Malgrado celebrazioni ho potuto vedere stamane signor Bevin estremamnte occupato. Mi ha accolto nel modo più caloroso. Gli ho comunicato in linea generale contenuto telegramma 313 1 aggiungendo espressioni miei personali sentimenti di fiducia nell'opera sua e di simpatia verso nuovo governo. Signor Bevin mi ha dichiarato che per tutte le questioni inerenti alla pace ha bisogno di aver con me lungo colloquio nei primi giorni entrante settimana. Potrà allora dedicarmi il tempo necessario e sarà preparato a rispondermi.

Intanto mi ha pregato trasmettere a V.E. ed al presidente del Consiglio la sua pressante raccomandazione perché elezioni politiche siano affrettate superando ad

I Vedi D. 413.

ogni costo difficoltà tecniche in modo da giungere prima dell'inverno ad una chiarificazione e definizione della nostra posizione democratica. Egli considera essenziale che in Italia, come in Grecia, il cammino sia sgomberato preliminarmente da ogni questione politica ed istituzionale secondo soluzione definitiva e che rappresenti la certa volontà del Paese. Resta sempre mia impressione che, a parte queste considerazioni, permane nel Foreign Office preoccupazione, già da me segnalata di vedere immediatamente convalidate da una regolare assemblea le condizioni di una pace che l'attuale governo potrà sottoscrivere e che implicherà ammissione Italia fra le Nazioni Unite.

Per quanto riguarda prigionieri di guerra mi ha dichiarato che si sta predisponendo un piano per il loro rimpatrio e che si riserva studiare possibilità attuare la mia proposta intesa a consentire che, a vantaggio produzione inglese e a sollievo nostra disoccupazione, quanti desiderano restare possano essere ingaggiati come liberi lavoratori a piena retribuzione. Anche di ciò si è riservato essermi preciso nel prossimo colloquio.

Sarebbe certo molto opportuno io ricevessi informazioni circa intenzioni governo in merito alle elezioni in tempo utile per rispondere a Bevin. Confido avere ulteriori informazioni da Cadogan che vedrò quest'oggi 1•

421

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 16 agosto 1945.

Il ministro Hopkinson, di ritorno da un viaggio in Alto Adige, mi informa di aver trovato colà la situazione più tesa. A giudizio suo e dei migliori osservatori inglesi ed americani che trovansi ormai sul posto da qualche mese la tendenza per un'annessione all'Austria è controbilanciata dal timore di un'Austria bolscevica o bolscevizzante. Sicché, forse, prevarrebbe il desiderio di uno Stato libero del Tirolo, cui potrebbe essere annesso il Voralberg.

La situazione sarebbe altresì caratterizzata da una vasta e palese diffidenza verso Roma, nella cui buona volontà nei riguardi alto atesini nessuno mostra di credere. A suo avviso, sarebbe estremamente necessario ed urgente che il governo agisse immediatamente sulle stesse linee e con le stesse direttive con cui è stato affrontato il problema valdostano.

È vero che la questione dell'Alto Adige non è stata ancora internazionalmente posta, ma è vero altresì che essa potrebbe esserlo sia immediatamente prima che durante la prossima conferenza dei cinque ministri degli Esteri.

Eventuali campagne in questo senso tanto in Gran Bretagna che negli Stati Uniti potrebbero essere molto efficacemente controbattute da provvedimenti che il

I Vedi D. 426.

568 governo italiano annunziasse subito e concretasse il più rapidamente possibile per assicurare l'autonomia della regione.

Il ministro Hopkinson ha parlato a titolo esclusivamente personale e confidenziale, non avendo egli né il diritto né il proposito di entrare in faccende che non lo riguardano. Ma tiene a farci sapere come amico dell'Italia e per evitare in ogni modo che la frontiera del Brennero, che ci è a suo giudizio necessaria, sia eventualmente riposta in discussione, che questo è l'avviso di tutti gli osservatori alleati più autorizzati e qualificati 1•

422

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA SEGRETO. Roma, 16 agosto 1945.

L'ambasciatore Exindaris comunica che il suo governo, aderendo alle nostre ripetute richieste, ha in via di massima deciso di riprendere le relazioni diplomatiche dirette con l'Italia. Per ora si tratterebbe di una ripresa di relazioni sul tipo britannico e francese.

Gli ho risposto che ero certamente interprete dei sentimenti sia del ministro De Gasperi che dell'intero governo nel pregarlo ·.Ii esprimere ad Atene il nostro più vivo compiacimento per l'iniziativa che ci trova, naturalmente, perfettamente consenzienti. L'ambasciatore si propone di parlare nei prossimi giorni col ministro De Gasperi per concretare le formalità ed il momento della ripresa. La notizia dovrebbe restare nel frattempo assolutamente segreta per evitare eventuali reazioni contrastanti dell'opinione pubblica ellenica, ancora divisa nei nostri confronti.

Credo che l'ambasciatore si proponga di giungere alla ripresa attraverso un comunicato da concordare a suo tempo che dia una qualche soddisfazione alla Grecia in materia di ripudio definitivo di ogni politica di sopraffazione e di aggressione da parte italiana.

Ho accennato alla questione del Dodecaneso e alla possibilità di un accordo diretto tra Grecia e Italia. Osserva che la questione dipende dalla volontà delle Grandi Potenze e non ritiene possa, in questa fase, essere utilmente trattata fra Atene e Roma. Lo potrà certamente essere appena riprese le relazioni diplomatiche.

Gli ho anche accennato alla necessità che quando la Grecia sarà consultata in materia di trattato di pace con l'Italia, essa non prenda posizioni di contrasto contro di noi ed anzi sostenga i nostri punti di vista sopratutto nei confronti della questione giuliana e coloniale. Tutte cose che potranno certamente essere concordate, a suo giudizio, appena la ripresa sarà concretata.

Abbiamo insieme constatato che tra Italia e Grecia si è andato stabilendo in questi ultimi tempi un vasto terreno di interessi politici ed economici comuni, su cui una intesa fra i due Paesi potrà solidamente poggiare.

l Vedi D. 465.

423

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 2239/612. Parigi, 16 agosto 1945 (per. il 20).

Il generale de Gaulle insiste per ottenere Tenda e Briga. Nel corso della conversazione col vice presidente Nenni il generale ha esplicitamente escluso ogni rivendicazione su Ventimiglia. All'obiezione mossagli dal vice presidente Nenni sul carattere particolarmente grave della richiesta francese in ragione della presenza nei territori rivendicati di importanti centri di energia elettrica, il generale ha risposto che detti centri sono situati in una zona non rivendicata dalla Francia.

Privo come sono di ogni documentazione intorno ai territori che sono oggetto delle richieste francesi, non ho modo in base alle dichiarazioni del generale, di situare esattamente sulla carta la portata di simili affermazioni. Cosa intende il generale per i sei comuni di cui ha fatto cenno con il nostro vice presidente? Parrebbe che, contrariamente alle mie precedenti supposizioni, i sei comuni in questione, anziché riferirsi a tutte le eventuali rettifiche di frontiera, si localizzino in quella del Colle di Tenda. Ma se Ventimiglia e i territori in cui si trovano le centrali elettriche, che suppongo installate lungo il corso medesimo della Roia, sono esclusi dalle rivendicazioni francesi non mi riesce di individuare i comuni in questione. D'altro canto non intendo sollecitare più esplicite dichiarazioni da questi ambienti ufficiali per non pregiltdicare in alcun modo la nostra linea di condotta ispirata alla più intransigente difesa del vecchio tracciato almeno per quel che si riferisce al tratto che va dalla Cima del Diavolo al mare.

Il generale non ha fatto cepno né allo Chaberton né ai Colli del Piccolo San Bernardo e del Moncenisio. È chiaro che le richieste francesi si precisano e si localizzano per la zona Tenda-Briga. Prima di analizzare il significato della richiesta francese e i moventi da cui è ispirata, nonché il valore della contropartita offertaci, mi permetto di attirare la sua attenzione su un fatto che ho già sottolineato nei miei precedenti rapporti, ma che considero necessario sottolineare ancora in ragione sopratutto della diversa influenza che potrebbero esercitare sul suo alto giudizio certi rapporti di origine militare di cui mi fu trasmessa copia e che, in coscienza, ritengo assolutamente privi di ogni valore critico ed informativo.

La verità è che la posizione personale del generale de Gaulle è fortissima e, salvo avvenimenti imprevedibili, sarà un ministro di de Gaulle quegli che a Londra discuterà con gli altri quattro Grandi le condizioni di pace da applicare all'Italia. Il recente processo di Pétain ha completato la liquidazione del vecchio personale politico. Né Reynaud, né Daladier, né gli stessi Herriot e Blum possono seriamente essere presentati come eventuali successori del generale.

Nessuna personalità politica francese è in grado oggi di dare minimamente ombra all'alta autorità del capo del governo provvisorio. Certo, permane l'incognita della Costituente. Ma se mi fosse lecito azzardare un'ipotesi, non esiterei fin d'ora a considerare come più che probabile la rielezione del generale a capo dello Stato almeno per tutta la durata dei lavori della Costituente, vale a dire per un periodo che eccederà la durata dei lavori dei cinque ministri preposti alla negoziazione delle condizioni di pace con l'Italia.

È quindi con la fortissima personalità di de Gaulle che dovremo fare i conti. È in questo senso che ho orientato fin dal mio arrivo a Parigi i miei contatti, ed è in questo senso che intendo proseguire. Tutto quel che si può fare con i capi .dei grandi partiti e con i ministri in carica non è certo inutile. Ma su tutte le questioni di politica estera o rivestenti un carattere militare, è l'opinione personale del generale quella che in definitiva prevale.

La forza del generale risiede negli immensi servizi da lui resi alla Francia, nella fiducia che è riuscito ad ispirare ai leaders dei partiti democratici, nella popolarità di cui gode sopratutto in provincia, e nel fascino che la sua intelligenza acutissima esercita sugli spiriti più eletti della Nazione. (Uomini di diversa origine politica e culturale, come Maritain e Blum, da me interpellati, sori.o stati unanimi nel vantarmi l'altissima intelligenza di de Gaulle).

Converrà quindi aver presente la natura del pensiero politico del generale. Il nostro vice presidente Nenni, prendendo congedo da lui, molto obbiettivamente e finemente gli disse: «Avete reso un grande servizio alla Francia: sta a voi ora di rendere un grande servizio all'Europa». Penso che sia questa la nota a cui il generale è più sensibile, come quella che sottolinea la sua preoccupazione fondamentale: fare un'Europa di cui il centro animatore sia la Francia. Non chiuso negli schemi di un vieto nazionalismo, ma aperto alle visioni dei grandi problemi umani, il generale, per la sua intimità religiosa, l'assoluta nobiltà morale della sua vita privata, la larga esperienza delle cose e degli uomini, appartiene alla classe dei veri uomini di Stato che sanno porre le loro ambizioni personali a servizio di una causa che trascende i limiti della «volontà di potenza».

Il generale de Gaulle, ideologicamente egualmente distante dal mondo anglo-sassone e da quello russo, accarezza il sogno di una Europa democratica facente centro alla Francia e suscettibile di sviluppo autonomo. Non intendo analizzare il valore di questa concezione che, a mio avviso, viene resa utopistica dall'esclusione dal complesso europeo, implicita nel pensiero di de Gaulle, della Gran Bretagna.

Giudicata però come movente profondo di tutta la politica di de Gaulle, essa acquista un valore concreto e obiettivo non fosse altro perché essa spiega la sincerità delle sue aspirazioni ad un accordo profondo con l'Italia, accordo che di questa politica è evidentemente lo strumento essenziale. Nessun dubbio quindi sulla sincerità di de Gaulle quando tende la mano al nostro Paese. Ma nessun dubbio anche sulla volontà fanatica di volere che l'accordo si risolva in un rafforzamento del prestigio francese affinché alla Francia non sfugga il primato di questa nuova Europa vagheggiata.

La politica di de Gaulle nei confronti dell'Italia è quindi in fondo quella stessa che praticava Churchill: l'alleanza, dopo aver però impresso su di noi il sigillo di una inferiorità permanente che ci tolga ogni velleità di competizione per raggiungere, non diciamo il primato, ma semplicemente l'eguaglianza.

Tenda e Briga, al di là delle ragioni strategiche evidenti per cui sono richieste dalla Francia, costituiscono il pegno tangibile tanto di un prezzo che l'Italia dovrebbe pagare per il proprio riscatto morale e politico, quanto di un riconoscimento simbolico del primato della nazione vicina. Tenda e Briga significano che la Francia non ha dimenticato e non intende dimenticare il coup de poignard dans le dos; e che quel tanto di irreparabile che è avvenuto fra i due paesi, troverà la sua permanente denunzia nella amputazione di un lembo del territorio nazionale. La Francia col nuovo tracciato di frontiera intende incidere sul suolo della nostra patria a caratteri giganteschi come le vallate e le montagne il segno della sua vittoria e della no~tra sconfitta.

Questa è la gravità della richiesta francese, questo è il significato vero di Tenda e Briga. Di fronte a questa richiesta la Francia, consapevole dell'entità del sacrificio impostoci, ci offre il più largo appoggio al tavolo della pace. Se l'interpretazione che io do del pensiero politico di de Gaulle è esatta, nessun dubbio può sussistere sulla sincerità dell'offerta francese. Ignoro quanto l'appoggio francese al tavolo della pace potrà essere efficace, ma sono certo che esso sarà largo e sincero. A parte, forse, alcune velleità di ripristino della potenza austriaca che potrebbero collocare la Francia su una linea divergente dalla nostra per ciò che concerne l'Alto Adige, certo è che per la frontiera orientale e il problema coloniale, noi la troveremo apertamente al nostro fianco 1•

Ho voluto prospettare i termini del problema come essi, mi pare, si presentano qualora vengano inquadrati nello schema della concezione politica del generale de Gaulle.

Ho pregato l'ambasciatore Carandini di raggiungermi a Parigi per sincronizzare il nostro lavoro e in vista anche di un mio eventuale viaggio a Londra che mi darebbe l'opportunità di entrare personalmente in contatto col nuovo ministro degli Esteri e col nuovo premier britannico.

Sollecito intanto con cortese urgenza le istruzioni che ella deciderà di inviarmi qualora ritenesse che i recenti colloqui del nostro vice presidente Nenni col ministro Bidault e col generale de Gaulle 2 offrissero materia per un riesame delle direttive della nostra politica nei confronti della Francia.

Permango, salvo ordini contrari, sulla linea di una assoluta intransigenza, per quel che si riferisce alla integrità della nostra frontiera.

424

L'INCARICATO D'AFFA~I A PRAGA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 88/26. Praga, 16 agosto 1945 (per. il 29).

Ho avuto ieri il mio primo colloquio col sottosegretario agli Affari Esteri, dott. Clementis, appena tornato al suo posto dopo una malattia.

Il dott. Clementis è comunista ma, a differenza degli altri del suo partito che sono ora al governo, ha passato tutto il tempo della guerra a Londra. È chiamato perciò il comunista di Benes sebbene, durante l'esilio, non abbia mai fatto parte

1 Con T. s.n.d. per corriere 6975/093, dello stesso 16 agosto, Saragat suggerì che da parte americana fosse fatto presente a de Gaulle e Bidault durante la loro permanenza a Washington che le rivendicazioni francesi alla frontiera occidentale con l'Italia potevano indebolire la promessa della Francia di difendere gli interessi italiani alla frontiera orientale.

2 Sul colloquio fra Nenni e Bidault Saragat aveva riferito con T. 6827/226-227 del 13 agosto, non pubblicato.

del cerchio più intimo dei collaboratori del presidente. La sua poslZlone attuale sembra essere molto forte. In realtà, da quando il governo cecoslovacco si è trasferito a Praga, egli è stato il vero ministro degli Affari Esteri. La particolare posizione di Masaryk, le sue prolungate assenze (sinora Masaryk non è stato a Praga più di sette giorni) l'opinione generale che egli non debba rimanere a lungo ministro degli Esteri, la sfiducia che i russi gli dimostrano, sono tutte circostanze che hanno contribuito a consolidare la posizione del sottosegretario. Nonostante la sua giovane età egli è considerato da molti come il possibile successore del suo attuale ministro.

Ho cominciato col ringraziarlo di quanto le autorità cecoslovacche hanno fatto per gli italiani, ex prigionieri di guerra e internati civili, che transitano da Praga in attesa di rimpatrio. Al tempo stesso gli ho fatto presente che nelle provincie, in alcuni casi i comitati nazionali locali avevano preso contro gli italiani stabilmente residenti nel paese, misure gravi, dirette contro la persona e la proprietà, che apparivano completamente ingiustificate, o non sufficientemente giustificate.

Gli ho chiesto poi se avesse qualche notizia più particolareggiata di quelle pubblicate sinora dalla stampa circa la procedura che saPebbe stata seguita per la conclusione del trattato di pace con l'Italia, specialmente per quanto riguardava la consultazione delle nazioni che, ai termini della dichiarazione di Potsdam erano definite «interessate». Gli ho chiesto in sostanza se gli risultasse che la Cecoslovacchia sarebbe stata interrogata in proposito.

Mi ha risposto che non sapeva nulla di preciso per ora, ma che certamente la Cecoslovacchia «aveva molto interesse per Trieste». Avendogli detto che l'Italia avrebbe molto apprezzato una favorevole presa di posizione della Cecoslovacchia nella questione di Trieste, che anzi, proprio per questo loro interesse al quale il governo italiano sarebbe stato ben lieto di venire incontro, noi ci attendevamo un amichevole appoggio cecoslovacco, Clementis mi ha chiesto quale era la posizione del governo italiano nella questione di Trieste. Gliel'ho illustrata con i noti argomenti: indiscutibile italianità della città, apprensione italiana per la linea provvisoria stabilita dal comando inglese sulla frontiera orientale, in quanto questa linea lasciava fuori tutta l'Istria, e nell'Istria città italiane di popolazione e di sentimento, come ad es. Pola. Clementis mi ha interrotto dicendo: «in sostanza quello che voi volete è il ritorno allo status quo». Ho replicato vivamente che questo non era affatto il sentimento del governo italiano, che Trieste non era una questione che poteva essere risolta isolatamente ma che faceva parte dell'intera e maggiore questione dei nostri confini con la Jugoslavia. Con questa volevamo vivere in pacee concordia, e per far ciò eravamo disposti a quei sacrifici che fossero giudicati ·necessari, nelle zone con indiscutibile prevalenza di popolazione slava. Che però non era possibile seguire meccanicamente un criterio puramente etnico in regioni nelle quali le campagne erano state colonizzate in epoca recente con elementi stranieri. In sostanza la stessa linea e gli stessi argomenti fatti valere a Londra dall'ambasciatore Carandini.

Clementis mi ha allora chiesto cosa pensassi di Trieste città libera, con uno statuto simile a quello di Danzica. Ho risposto scherzosamente, ma nettamente, che l'esempio mi sembrava pessimo.

Il sottosegretario mi ha ringraziato degli schiarimenti datigli, ma si è mantenuto sino alla fine del colloquio riservato sulla linea che avrebbe seguito il suo governo. In realtà ho l'impressione che sarebbe essenziale a questo punto conoscere quale sarà la procedura seguita nelle trattative di pace, e se la Cecoslovacchia sarà consul

tata o meno. Mi sembra improbabile nonostante quello che ha detto Vanek (mio telegramma per corriere n. 01 del 6 agosto) 1 che questo governo si voglia impegnare a fondo, e di sua iniziativa, in nostro favore. Tutto quello che si può sperare è che si mantenga neutrale, che di sua iniziativa non chieda di essere consultato per esprimere una opinione favorevole alla Jugoslavia. Se dovesse essere consultato, che si astenga dall'appoggiar in pieno la tesi di Tito, che riconosca in qualche modo l'italianità di Trieste, che su questa base manifesti il suo interesse ai traffici di porto.

Naturalmente non lascerò passare un'occasione per insistere sui nostri argomenti e per illustrare il nostro diritto. Tuttavia, se V.E. concorda con quanto ho detto più sopra, sarò grato se vorrà fornirmi le indicazioni necessarie, specialmente per quanto riguarda il punto essenziale della consultazione della Cecoslovacchià nella procedura del trattato di pace con l'Italia.

425

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 5360/c. 2. Roma, 17 agosto 1945, ore 17.

Suo 354 3 .

Con telegramma a parte4 le ho trasmesso copia delle istruzioni inviate a Washington in materia di frontiera orientale. Tali istruzioni e quelle precedenti relative al Brennero, colonie, Dodecaneso le forniranno un quadro d'insieme abbastanza preciso dei termini in cui concepiamo da parte nostra una pace giusta.

Non credo convenga a noi, come le è stato accennato, mettere in questa fase col governo sovietico niente per iscritto. Conviene anzi ella continui a parlare, sempre a titolo personale, pur esprimendo la certezza che quanto ella dice corrisponde al pensiero del governo italiano. La prego fare altrettanto con codesto ambasciatore di Cina (mio telegramma n. 368)5 . Quando poi saremo ufficialmente consultati, come par certo, metteremo allora le carte in tavola.

Tenga presente che sono in corso conversazioni dirette fra noi e la Francia per la definitiva sistemazione di quanto concerne i due Paesi, compresa la frontiera occidentale, per la quale ci sono state poste alcune rivendicazioni che cercheremo di contenere nei limiti più ragionevoli possibili. Comunque, per ora, è questa materia di discorso particolare fra noi e i francesi. Il cui scopo finale, qualora un accordo si raggiunga, è quello di concretare un'intesa generale tra i due Paesi sulle basi più solide possibili.

Le telegraferò ulteriormente.

I Non pubblicato. 2 Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington il 18 agosto. 3 T. s.n.d. 6175/354, del IO agosto, non pubblicato, ma vedi D. 402. 4 Vedi D. 417, nota 2. s Vedi D. 408.

426

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7043/442. Londra, 17 agosto 1945, ore 21,30 (per. ore 8,45 del 20).

Avuto lungo colloquio con Cadogan il quale, almeno in questa fase di transizione, esercita funzioni di primissima importanza sia per sua insostituibilità e competenza sia per suo ufficio di garante continuità politica estera inglese. Mi ha confermato che in settimana entrante Bevin mi intratterrà su questioni pace. Ancora si attende risposta Dominions per formulare definitivamente proposte inglesi. Ho recisamente insistito necessità di essere messo tempestivamente in grado di informare mio governo su prevedibili condizioni pace per permettergli esaminarle ponderatamente e orientare in tempo opinione pubblica oggi pericolosamente agitata dalle più contraddittorie ed infondate informazioni giornalistiche. Cadogan ha perfettamente compreso questa esigenza e mi ha assicurato che verrò tenuto informato prima apertura conferenza. Mi è impossibile ottenere informazioni da fonte diversa perché politica estera inglese è accentrata nelle mani di Bevin e Cadogan mancando ancora quell'ambiente di collaboratori informati sui quali in normali condizioni potrei far conto.

Circa procedura intervento italiano seconda fase conferenza nulla è deciso. È il primo argomento su cui i Cinque dovranno decidere. Circa nostre elezioni ho fatto presente che prossimo autunno potrà essere epoca per assicurare minime garanzie ordinata espressione volontà popolare, ma che avevo trasmesso raccomandazione Bevin 1 mio governo il quale ne avrebbe tenuto conto compatibilmente possibilità tecniche ed opportunità politiche. Cadogan ha aggiunto con insistenza che governo inglese, pur non volendo intervenire, gradirebbe fosse dato modo votare ai nostri prigionieri onde assicurare più vasto ed impegnativo concorso suffragi. Tutto ciò mette ancora in rilievo preoccupazioni inglesi circa validità degli impegni internazionali che governo italiano e Costituente saranno chiamati assumere e ratificare. Circa pace Giappone Cadogan mi ha detto che tutte le Nazioni in stato di guerra interverranno firma atti cessazione ostilità. Questione pace Estremo Oriente non si presenta ora perché Giappone sarà soggetto lungo regime occupazione come Germania con la sola differenza che comandante supremo interalleato si varrà dell'opera di un governo locale debitamente riconosciuto.

Circa rimpatrio nostri prigionieri, questione che ho posta definitivamente dopo mia recente visita campi tutta Inghilterra, mi ha confermato riservatamente che imbarchi verranno iniziati non appena l'avviato rimpatrio delle truppe alleate dall'Oriente darà una prima disponibilità di trasporti marittimi. Il che è prevedibile possa verificarsi non prima del tardo autunno. Ho nuovamente insistito perché si conceda ulteriore soggiorno temporaneo in Inghilterra in condizioni di libero impiego a tutti i prigionieri che lo desiderano e non dispero ottenere accoglimento questa proposta su cui gradirei conoscere parere V.E.

l Vedi D. 420.

427

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. RISERVATO 2281/620. Parigi, 17 agosto 1945 (per. il 31).

Con riferimento a precedente corrispondenza sull'argomento in oggetto, si trasmette, qui unita, copia di una nota inviata a questa ambasciata dal ministro degli Affari Esteri della Repubblica francese.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BIDAULT, AL CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA A PARIGI, BENZONI 1

L. Parigi, 16 agosto 1945.

Vouz avez bien voulu par lettre du 8 aoùt 1945 2 porter à ma connaissance que le gouvernement italien voyait dans la participation de la France au Conseil qui élaborera le traité de paix avec l'Italie le gage d'une collaboration féconde entre !es deux Pays.

J'ai l'honneur de vous faire savoir que le gouvernement français s'est montré très sensible a cette communication et qu'il souhaite également voir le futur traité marquer le point de départ, entre la France et l'Italie démocratique, de relations de réelle cordialité qui leur permettront de coopérer utilement au bien de l'Europe et du monde.

428

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 2350/639. Parigi, 18 agosto 1945 (per. il 3 settembre).

Questa ambasciata non intendendo lasciar cadere l'accenno circa il possibile atteggiamento francese sulla questione dell'Alto Adige (di cui a precedenti segnalazioni) fatto da un alto funzionario del Quai d'Orsay, ho tenuto a riprendere con lui l'argomento anche in vista del fatto che egli farà appunto parte della delegazione francese alla Conferenza di Londra.

Pregato di precisare se e in quale eventualità la Francìa «si sarebbe espressa in senso favorevole ad un plebiscito», il predetto funzionario ha dichiarato che la Francia non intende certo partire en flèche sulla proposta di una consultazione

1 La lettera è diretta a Benzoni nonostante Saragat fosse il 16 agosto a Parigi poiché risponde ad una comunicazione fatta da Benzoni 1'8 agosto quando era incaricato d'affari.

2 Non pubblicata, ma vedi D. 387.

popolare, in altri termini assumere un'iniziativa individuale al riguardo. Fattogli presente che non sembrava per lo meno probabile, a quanto è a nostra conoscenza, che gli Stati Uniti e l'Inghilterra ne avrebbero prese, egli ha prospettato l'eventualità che una richiesta del genere potrebbe essere presentata alla Conferenza dalla parte interessata.

A questo punto è stato chiesto all'alto funzionario se egli si rendesse ben conto della portata di tale asserzione e se egli la considerasse compatibile con le esplicite dichiaràzioni fatte pochi giorni prima dal Quai d'Orsay che l'Italia sarebbe soddisfatta dell'atteggiamento francese nei suoi riguardi alla Conferenza di Londra. Ammettere la ricevibilità di una richiesta austriaca, ufficiale o meno, a nostro danno e acconsentire alla soluzione pseudo transazionale di un plebiscito, non potrebbe condurre che ad un unico risultato: il ritorno dell'Alto Adige all'Austria. L'Italia, che mai contestò il carattere germanico di quella maggioranza della popolazione, ha già fatto l'esperienza di un plebiscito allorché il regime fascista -al fine di preparare la futura alleanza -si intese con il Reich per togliere di mezzo una ragione di discordia fra i due paesi. E la consultazione provò i sentimenti filo-germanici degli abitanti; provò anzi qualcosa di più specifico: le loro simpatie per la Germania nazista che offriva loro, in cambio delle terre da abbandonare, altre terre in Polonia strappate ai coloni polacchi.

Oggi tali simpatie si orienterebbero naturalmente verso la nuova Austria: il risultato per noi sarebbe lo stesso. Vedervi consenziente la Francia susciterebbe un senso di profonda, dolorosissima stupefazione nel popolo italiano che non potrebbe non considerare come addirittura mostruosa qualsiasi proposta intesa a strapparci una parte del territorio nazionale a profitto del mondo germanico. Se, con uno sforzo meritorio, l'opinione pubblica italiana si orienta verso l'eventualità di dolorosi sacrifici pur di creare, sulla base di una frontiera meno contestata, le premesse di una duratura amicizia con la sua vicina orientale, a nessuna rinuncia essa è disposta in favore del germanesimo anche in veste repubblicana austriaca. Alla Francia dobbiamo questa franca dichiarazione: se, per un'ipotesi che noi scartiamo senz'altro, essa dovesse domani farsi iniziatrice o compartecipe di un progetto che intendesse proporci la rinuncia ad un territorio che segna, oltre a tutto, il ricordo di una guerra volontariamente combattuta al suo fianco contro il comune nemico tedesco, essa quel giorno non troverebbe più un amico in Italia né un paio di braccia disposte a lavorare per lei.

Non ci era ignoto che la Francia sta perseguendo in Austria una politica di influenze; senza preconcette anacronistiche diffidenze, l'Italia non può che augurarle successo nel paese che fu, via via, antesignano del pangermanesimo, dell'antisemitismo, del nazismo e che, a proposito di plebisciti, non osò, con Schuschnigg, effettuare quella tale consultazione popolare incondizionata che avrebbe, come tutti sanno, segnato la fine dell'Austria indipendente. Fino a prova contraria l'Italia interpreta l'attività francese in Austria nel quadro di quella missione occidentale di cui l'opinione pubblica italiana vedrebbe con sincera simpatia porsi alla testa il grande paese vicino. Il risanamento politico ed economico dell'Austria è anche nostro interesse; non ci si faccia però la beffa di far credere, o farci credere, che l'aggiunta dell'Alto Adige potrebbe in qualsiasi modo contribuire, sia politicamente, sia economicamente, a rafforzare la capacità austriaca di indipendenza e a prolungarla di un'ora allorché la vocazione germanica dell'Austria troverà, quod Deus avertat, via libera per affermarsi; quel giorno la Francia potrebbe accorgersi di aver commesso, non solo una cattiva azione contro l'Italia, ma un gratuito danno a se stessa e agli interessi che intende oggi salvaguardare.

Sono state indi esposte e lumeggiate tutte le ragioni di carattere storico, geografico, economico, strategico che militano in favore della conservazione all'Italia della sua frontiera alpina settentrionale, e ribadito l'argomento che sarebbe una suprema ingiustizia far giocare lo strumento del plebiscito in funzione germanica contro l'Italia già minacciata di lasciare molti dei suoi figli al di là della sua frontiera politica e che, già vittima del germanesimo nel corso dei secoli, ha pur dato in questa guerra tante prove della sua istintiva avversione al germanesimo stesso. Se tale ingiustizia dovesse essere perpetrata, molto oscuro e torbido si presenterebbe l'avvenire dell'Italia, quasi irrimediabilmente compromesse le possibilità di quel risorgimento morale e politico del paese che, ne siamo certi, è anche nei voti della Francia.

Dopo aver ascoltato molto attentamente, l'alto funzionario del Quai d'Orsay ha ringraziato con manifesta cordialità della franchezza con cui il nostro punto di vista era stato esposto-il est toujours bon de s'expliquer-e ha concluso ammettendo, con un certo imbarazzo, che l'accenno al plebiscito gli era sfuggito in occasione del breve e fortuito scambio di parole con l'ambasciatore d'Italia sull'argomento, più come una sua idea personale che come l'enunciazione di una presa di posizione ufficiale del governo francese.

Nel prenderne atto e nel congedarsi, il portavoce di questa ambasciata ha tenuto a riaffermare che da parte nostra abbiamo preso atto con gioia delle dichiarazioni del Quai d'Orsay che la Francia si troverà in prima linea nella difesa dei nostri interessi a Londra e che, per quanto la cosa potesse sembrare superflua, desideravamo il governo francese sapesse che la difesa della nostra frontiera del Brennero era in primissima linea di tali nostri interessi.

Si confidava che una qualsiasi proposta di soluzione a base di «plebiscito», la quale potesse apparire «comoda» ai delegati per alzarsi dal tavolo verde con un «comodo» compromesso in tasca, troverebbe da parte francese quell'accoglienza che la sua portata profondamente ostile verso l'Italia, precisata nel colloquio, chiaramente comportava 1 .

429

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7092/387. Washington, 19 agosto 1945, ore 13,53 (per. ore 9,30 del 21).

Telegramma di questa ambasciata n. 371 e telegramma di V.E. n. 5238/c.2 • In conversazioni avute in questi giorni al Dipartimento di Stato questa ambasciata si è avvalsa nel modo più opportuno argomenti comunicati col

l Per la risposta vedi D. 495. 2 Vedi DD. 415 e 412.

telegramma ministeriale suindicato per ritornare su note richieste precedentemente fatte.

A quanto è stato testé comunicato Dipartimento di Stato fino a ieri 18 stava ancora studiando formula da inserire che possibilmente comprendesse senza nominarli individualmente tutti gli Stati in guerra. Al riguardo è stato nuovamente fatto presente da parte nostra che qualora si usasse Nazioni Unite queste non avrebbero giuridicamente compresa Italia e pertanto opportunità dizione più lata. In proposito è stato detto al Dipartimento di Stato in via amichevole e confidenzialissima che governo degli Stati Uniti avendo sopportato oneri di gran lunga maggiori di tutti gli altri alleati nel Pacifico, non aveva proceduto a consultazioni vere e proprie «con nessun altro paese» (alludendosi particolarmente U.R.S.S.).

Per quanto concerne negoziati di resa richiesta Francia -di cui al mio telegramma sopra indicato-non è stata qui accolta (ciò che costituisce riprova della posizione effettivamente di secondo piano in cui Francia trovasi qui relegata e di cui con tutta probabilità risentirà anche alla prossima Conferenza Londra (telegramma di quest'ambasciata n. 368) 1• Anche una richiesta olandese per partecipazione negoziati resa non è stata accolta.

Alla riunione che avrà luogo domani 20 a Manila presso il Quartier Generale americano per la formale capitolazione nipponica parteciperanno infatti Gran Bretagna, U.R.S.S. e Cina con un rappresentante militare per ciascuno oltre probabilmente un rappresentante Australia dato effettivo importante contributo dato da quest'ultima alla guerra.

Al Dipartimento si ritiene che occupazione Giappone sarebbe esclusivamente disimpegnata da forze americane 2 .

430

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, Al RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 5411 /C. Roma, 19 agosto 1945, ore 19.

È bene ella sappia che governo Atene ha in massima deciso ripresa relazioni dirette fra Italia e Grecia 3 , che sarà concretata fra breve. Notizia deve, a richiesta ellenica, restare segreta per evitare che eventuali reazioni ne contrastino attuazione. È superfluo sottolineare importanza iniziativa alla vigilia congresso. dei Cinque a Londra e circostanza che Jugoslavia è ormai la sola Potenza che persiste nel suo atteggiamento assolutamente negativo·, nonostante buona volontà dimostratale ripetutamente da parte nostra.

I T. s.n.d. 6920/368 del 13 agosto, non pubblicato. 2 Per la risposta vedi D. 455. 3 Vedi D. 422.

431

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PER CORRIERE 7582/095. Parigi, 19 agosto 1945 (per. il 1° settembre).

Composizione delegazione francese Conferenza Londra trattative pace con Italia comprenderà oltre ministro Esteri parecchi alti funzionari Quai d'Orsay particolarmente direzione Affari Europa. In vari contatti avuti ultimamente con uffici competenti di questo ministero Affari Esteri, vengono in linea massima confermate impressioni riferite precedenti rapporti circa atteggiamento che sarà tenuto a Londra dalla delegazione francese e cioè:

l) Frontiere occidentali. Francia farà richiesta di «leggere modifiche» che potrebbero ridursi al noto settore di Briga Tenda. Tesi francese sarebbe sostenuta da seguenti argomentazioni: necessità strategiche combinate con motivi geografici, avendo costituito sinora zona Briga-Tenda base italiana «oltre linea di cresta» che minaccerebbe zona Nizza e sulla quale sarebbesi principalmente imperniata azione militare italiana del giugno 1940; volontà della popolazione già dimostrata in occasione plebiscito 1860 e ribadita recentemente dopo «liberazione».

2) Frontiere settentrionali. Sembra che delegazione francese non intenderebbe porre essa stessa questione Alto Adige e che ora possa essere disposta appoggiare sostanzialmente tesi italiana pur non potendosi attendere presa di posizione nettamente contraria proposta plebiscito. Al Quai d'Orsay è stato accennato eventualità che problema sia posto da delegati sovietici i quali sosterrebbero soluzione plebiscito: tale atteggiamento russo potrebbe essere motivato dall'opportunità di dare un compenso Austria per concessioni che essa dovrebbe fare a favore Jugoslavia in Carinzia e costituire d'altra parte un argomento da sfruttare dialetticamente a sostegno di una tesi in favore distacco da Italia territori abitati da allogeni, tesi che

U.R.S.S. si proporrebbe di appoggiare per confini orientali.

3) Frontiere orientali. La delegazione francese sembrerebbe sostanzialmente acquisita per frontiere orientali alla tesi italiana particolarmente per quanto riguarda Trieste. Naturalmente suo effettivo atteggiamento Londra per questa come per le altre questioni dipenderà da svolgimento discussioni e possibili mercanteggiamenti degli appoggi alle diverse tesi nei vari settori.

4) Circa le colonie al Quai d'Orsay si ribadiscono intenzioni favorevoli mantenimento amministrazione italiana dichiarandosi che «italiani sia in Libia che nell'Africa orientale sono sempre stati ottimi vicini per Francia» e riconoscendosi opera di civiltà svolta nelle colonie stesse da Italia. Un motivo tale atteggiamento può trovare nel desiderio Francia non essere sola Potenza amministrare paesi arabi mussulmani. Per analoghi motivi Francia preferirebbe tesi amministrazione italiana anche nei confronti tesi trusteeship generale che potrebbe essere sostenuta da parte sovietica.

Per quanto riguarda Libia si ribadisce Quai d'Orsay riserva rettifiche zona confine occidentale meridionale (Fezzan). Sembra d'altra parte ritenersi che per Cirenaica gravi ostacoli si opporrebbero attribuzione tale territorio Italia da parte delegazione britannica poiché Gran Bretagna avrebbe assunto al riguardo precisi impegni con Stati arabi in favore Senussi e sarebbe interessata ad avere una larga base sotto suo controllo sulla costa settentrionale dell'Africa non essendo sicura avvenire sua posizione Egitto: protettorato britannico su uno Stato senussita che comprendesse tutta Cirenaica e oasi di Cufra sostituirebbe Egitto nella funzione di collegamento tra Mediterraneo, Sudan, Africa orientale britannica e Sud-Africa.

Circa l'Eritrea al Quai d'Orsay si accenna ad interessi americani i quali tenderebbero costituire nell'Africa Orientale loro base. Come è stato riferito con precedente rapporto 1 , Quai d'Orsay ha già avuto motivo lamentarsi tale ingerenza americana in Africa orientale nei riguardi dei propri interessi (questione ferrovia Gibuti).

Per Dodecaneso, atteggiamento francese, secondo quanto si è già accennato, sembra piuttosto indifferente: ugualmente per questione attribuzione isola Saseno e interessi italiani in Albania. Data rinuncia già fatta da Italia in favore di Cina concessione italiana Tien-tsin non si ritiene relativo problema susciterà discussioni Londra.

5) Per riparazioni danni guerra delegazione francese sosterrebbe principio restitution des biens (che potrebbe interpretarsi estensivamente e permettere trasferimento Francia alcune unità flotta italiana).

Durata conversazioni Londra si ritiene Quai d'Orsay sarà relativamente breve essendo questioni già state elaborate in fase preliminare.

432

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. s.N.D. 5412/c. 2 . Roma, 20 agosto 1945, ore 10.

Suoi 313, 320, 350 3 .

Non abbiamo, in massima, difficoltà trattare direttamente con governo etiopico questione sbocco al mare, come del resto ogni altra questione pendente con quel Paese. Non credo che Gran Bretagna, salvo circostanze impreviste, possa indursi favorire una soluzione siffatta. Ma concordo con lei nel ritenere utile che codesto governo sappia che esiste anche questa soluzione che sarebbe per noi perfettamente accettabile. La autorizzo dunque ad adoperarsi in questo senso 4 .

I Non pubblicato.

2 Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi.

3 Vedi D. 362; i telegrammi s.n.d. urgenti 6222/320 del 28 luglio e 6616/350 del 7 agosto non sono pubblicati. 4 Di Stefano rispose con T. s.n.d. 7264, del 23 agosto, di aver dato al Dipartimento di Stato comunicazione scritta della disponibilità del governo italiano ad eventuali trattative dirette con l'Etiopia.

433

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. [Roma, 20 agosto 1945] 1•

La partecipazione del ministro degli Esteri francese alla riunione di Londra prevista per il lo settembre conferma l'opportunità di addivenire ad un accordo diretto con la Francia prima di tale data onde ottenerne l'appoggio nel corso delle discussioni che si svolgeranno a Londra per la stipulazione della pace con l'Italia. Ciò del resto si armonizza con il'desiderio da noi espresso da lunghi mesi: eliminare una volta per sempre le ragioni di attrito con la Francia come indispensabile premessa di una vera ed intima collaborazione italo-francese.

Dobbiamo tenere altresì presente che nelle discussioni di Londra l'appoggio francese rappresenterà certamente un valido aiuto, ma ancora più preziosa ci sarà la sicurezza di non trovare di fronte a noi l'ostilità del rappresentante francese poiché tale ostilità potrebbe riuscirei oltremodo dannosa.

Sappiamo ormai che le richieste francesi riguardano:

l) una eventuale indennità di guerra;

2) la cessione del Fezzan;

3) alcune rettifiche di frontiera.

Per quanto riguarda il problema della indennità non sembra possibile addivenire a trattative separate con la Francia. È un problema unico che riguarda anche altre nazioni e che va esaminato nel suo insieme in sede tecnica ancor più che in sede politica.

Per quanto riguarda il Fezzan appare evidente che, ove l'appoggio francese si manifestasse realmente efficace nella lotta che dovremo sostenere per conseguire una sistemazione non troppo infelice del nostro problema coloniale, la cessione ne apparirebbe pienamente giustificata.

Più delicato è il problema della nostra frontiera occidentale, poiché la frontiera attuale lascia adito a ben poco margine di rettifiche, oltre il quale la sicurezza delle nostre difese viene totalmente compromessa. In linea di massima si può affermare che mentre le altre rettifiche a cui ha alluso il generale de Gaulle (ossia la cessione alla Francia delle terre di caccia e del Chaberton) possono, se sarà necessario, esser base di discussione e di eventuali non difficili accordi, il problema della Valle della Roja deve essere da noi considerato in tutta la sua sostanziale gravità, non solo dal lato militare ma altresì da quello economico poiché la rettifica prospettata ci priverebbe di impianti idroelettrici essenziali per l'economia ligure. Dobbiamo pertanto fare ogni sforzo per conseguire l'accordo con la Francia senza accogliere la richiesta francese di cessione di Tenda o Briga Marittima. Forse, ove fosse favorevole il parere delle autorità militari, una proposta di neutralizzazione bilaterale di quel settore potrebbe venire da noi prospettata come nuova prova del nostro desiderio di conseguire un completo accordo.

1 La copia rinvenuta reca l'annotazione manoscritta «circa il 20 agosto 45».

434

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 3567/2714. Londra, 20 agosto 1945 (per. il 28).

Il signor Attlee nella scelta dei componenti il nuovo ministero ha indubbiamente inteso raccogliere intorno a sé gli elementi più capaci, più ricchi di esperienza e quindi più ponderati del suo partito. Non mancano gli elementi giovani, ma non è certamente un ministero di giovani. Non mancano gli elementi nuovi, ma non è un ministero di novizi . .I posti essenziali sono affidati a uomini maturati nell'esperienza di alte responsabilità. Il criterio che ha diretto la formazione del nuovo gabinetto è stato prudenziale: si è mirato ad una solida efficienza. Tutto ciò risponde ad una intelligente logica. I laburisti, lo riconoscono essi stessi, sono stati colti alla sprovvista dal loro clamoroso successo. Si attendevano di assumere una posizione di energica opposizione ad un governo conservatore armato di una debole maggioranza e si sono invece trovati di fronte ad una piena responsabilità di governo resa tanto più impegnativa dalla libertà di manovra consentita dalla schiacciante maggioranza che hanno conseguito. Non avevano pronto un ministero, non avevano perfezionato un programma di immediata attuazione. Costretti a tutto decidere nel giro di pochi giorni, hanno dovuto rimandare di una settimana la riapertura del Parlamento per riacquistare respiro dopo la chiusura della Conferenza di Potsdam, per guadagnare il tempo necessario alla formulazione del discorso programmatico della Corona. Si dice che, in fondo, il laburismo non avrebbe accolto male una limitata vittoria conservatrice la quale avrebbe lasciato i conservatori alle prese con i più scottanti problemi sorgenti dalla fine della guerra e dalla smobilitazione militare industriale, consentendo all'opposizione il tempo di prepararsi nelle migliori condizioni ad una successione che la evidente necessità di nuove elezioni avrebbe determinato a breve scadenza. Questo calcolo, se veramente è esistito nella mente di qualche opportunista, è stato rovesciato da una vittoria improvvisa, prematura, carica di esigenze. Attlee che è uomo posato ed abile, ha misurato gli aspetti positivi e negativi del successo, ha pesato la gravità delle incognite che esso implicava ed ha assunto realisticamente un atteggiamento di iniziativa non sguarnito di difese. I problemi di ordinaria amministrazione che egli deve affrontare sono enormi, tali da assorbire tutta l'attività di. un governo indipendentemente dalle innovazioni particolari che il programma laburista contempla. La posizione parlamentare di cui dispone assicura ad Attlee un lungo e sicuro periodo di attività. Egli ha avuto insieme il coraggio di dar mano immediatamente a qualche iniziale riforma e la fermezza di imporre al suo partito quella moderazione nel modo e quella misura nel tempo che solo consentiranno un sicuro progredire verso la completa realizzazione del programma socialista. È giudicata in ogni ambiente con favore la sua manifesta intenzione di distribuire le riforme più impegnative in varie fasi. Il discorso della Corona contiene le linee programmati

' che di una prima fase che comprenderà l'attuale sessione del Parlamento e porterà il Paese alla prova decisiva delle elezioni amministrative. Il discorso della Corona non contiene sorprese. Esso comprende una prima parte in cui si rivede la situazione creata dalla vittoria finale e si accennano le

misure immediatamente connesse che il governo dovrà prendere per il passaggio dallo stato di guerra a quello di pace. In una seconda parte si annuncia la messa sul piano esecutivo di un complesso di decisioni già prese dal governo di coalizione (ricostruzione edilizia, applicazione dell' Education Acl del 1944, misure di Social Security secondo il Piano Beveridge, riorganizzazione della produzione agricola ecc.). In una terza parte si annunciano le realizzazioni nuove che vanno da misure già studiate ma non approvate dal governo di coalizione (quale la nuova regolamentazione degli espropri di terre per il town and country pian) alle sole due vere innovazioni che il programma contiene: la nazionalizzazione della Banca d'Inghilterra e delle miniere di carbone. Non a caso questi due provvedimenti sono stati scelti per una prima attuazione fra i molti preannunciati. La prima riforma non avrà praticamente, cioè tecnicamente, aicuna sostanziale conseguenza poiché la dipendenza della Banca d'Inghilterra dal Tesoro era ormai talmente stretta ed immediata che poco potrà aggiungere a questo coordinato procedere il'fatto della nazionalizzazione. La statizzazione delle miniere di carbone è una misura la cui necessità è vastamente sentita nel Paese e la cui realizzazione, se pure avversata dai conservatori, è da considerarsi sotto ogni aspetto come necessaria alla elevazione sociale ed al riassetto economico del Paese.

In questa prima fase nulla quindi che possa seriamente turbare la vita del paese o sottoporre a serie scosse la sua, oggi più che mai necessaria, piena ed immediata capacità produttiva. Non timidità, certo, ma prudenza. Attlee sa che opera sul vivo del Paese in un momento di immensa difficoltà. Il suo senso di responsabilità lo ha indirizzato su una via che promette di condurre lontano ma che, per intanto, non si spinge al di là di una prima tappa di modesto sviluppo. Egli intende mantenere ove esiste ed instaurare in nuovi settori la vigilanza dello Stato senza scoraggiare le iniziative o rivoluzionare le abitudini della privata intrapresa là dove essa non è in grave ed evidente difetto. Di questa seconda preoccupazione è prova il discorso di sir Stafford Cripps col quale si assicura la grande industria cotoniera che nulla sarà innovato nei suoi riguardi. Lo stesso ministro dei Combustibili Mr. Shinwell nel suo discorso odierno ai proprietari delle miniere ha invocato la loro collaborazione esprimendosi poi nei seguenti termini:

«l have no reason to suppose that the coal-owners will create difficulties about national ownership. There are many among them who are progressive and will welcome far-reaching reorganisation of the industry. As far as I am concerned, I shall see that they are fairly treated, because there is no use haggling about the cost of transfer if we are convinced, and we are fully convinced, that it will in the long run pay the nation to take over the industry».

In tutto il discorso della Corona, per quanto riguarda le previsioni per l'immediato futuro, non una promessa di demagogica compiacenza, ma una dura affermazione delle difficoltà che si prospettano e degli ulteriori sacrifici che verranno richiesti nel campo alimentare, nel tesseramento del vestiario e nel ritorno alle normali comodità della vita civile.

Tale è il programma laburista di prima attuazione. È indubbio che a questo esordio seguiranno ben altre misure. Ma è presumibile che il metodo non muterà. Saranno sempre le opportunità pratiche a dettar legge alle esigenze ideologiche e non queste a quelle. Il consenso che ha accompagnato l'ascesa miracolosa dei laburisti è grande e crescente, il suo significato è che la maggioranza del popolo inglese guarda con fiducia ad un esperimento socialista. Ma chi, giudicando da di fuori, ritiene di aver assistito o si prepara ad assistere ad una rivoluzione nel senso «continentale» della parola, è in errore. Quello che avverrà è che alla politica conservatrice si sostituirà, secondo un movimento pendolare non certo nuovo a questo paese, la politica laburista. Quello che non muterà sarà il clima civile, il rispetto di un rigoroso metodo democratico il quale implica la più integrale funzione parlamentare e quindi garantisce la ponderazione e gradualità delle riforme entro i limiti dell'attivo controllo di una opinione pubblica non mai asservita al potere costituito. L'apertura dei dibattiti alla Camera dei Comuni ha già dato la misura di questa volontà laburista di nulla mutare all'altissimo tono ed al sostanziale contenuto delle tradizionali abitudini parlamentari inglesi. Il signor Churchill, infatti, ha iniziato il commento alle mozioni di apertura pagando un caldo contributo alla capacità dei nuovi membri laburisti. Il signor Attlee ha risposto con un discorso il cui esordio è stato il più cavalleresco tributo d'o~ore al «Right Honorable Friend opposite» che siedeva come capo dell'opposizione. Alla perentoria rimostranza di Churchill sulla responsabilità delle dichiarazioni di politica estera che il segretario del partito laburista prof. Laski ha fatto in Inghilterra ed in Francia, Attlee ha risposto non con il linguaggio di un capo partito ma di un primo ministro, affermando che solo il governo può fare responsabili ed impegnative dichiarazioni.

Riferisco questi particolari perché li giudico sintomatici di un atteggiamento che torna a grande onore del governo laburista il quale, schivo di ogni eccessiva utilizzazione della sua grande vittoria, fornisce un esempio di moderazione e di consapevolezza che gli conquista un merito iniziale indiscutibile e giustifica le più fondate speranze nel felice esito delle sue iniziative.

La situazione del Paese è estremamente calma. Il comportamento laburista ispira a un tempo confidenza e coraggio. Quello che, ripeto, è da escludersi è che l'opinione pubblica sia sotto l'impressione di correre un'avventura e, tanto meno, di essere soggetta all'arbitrio di un partito trionfante. L'opinione pubblica oggi come ieri controlla il governo e quindi governa il Paese. Quello che è avvenuto è un normale, per quanto radicale e clamoroso, avvicendamento di forze al potere. La Camera dei Comuni si è riaperta nella pienezza delle tradizionali formalità, circondata dalla pubblica reverenza verso le istituzioni che presidiano le libertà inglesi. Attlee stesso si è reso interprete di questo attaccamento ad una gloriosa continuità rendendo il massimo onore al Parlamento e tributando alla persona del Sovrano ed all'istituzione monarchica un omaggio caloroso. Sono stato invitato a presenziare in rappresentanza ufficiale del governo italiano alla celebrazione finale della vittoria che ha avuto luogo nella cattedrale di St. Paul il 19 corrente. Tutto si è svolto nella stessa atmosfera e con le stesse formalità della precedente celebrazione del «V. day», quando i conservatori erano al potere. La sola differenza è consistita nel fatto che al seguito del Sovrano il signor Attlee ha occupato lo scanno riservato al primo ministro, mentre Churchill si è diretto ai posti riservati ai membri del Parlamento. Ma Attlee, con gesto significativo, lo ha fatto sedere vicino a sé. Ambedue considerati con lo stesso rispetto al loro ingresso e salutati dalle stesse acclamazioni della folla alla loro uscita. I capi si susseguono, i governi mutano; resta la vecchia Inghilterra forte e ricca di una tradizione politica e di una maturità civile che sono più forti di ogni mutamento.

Questo è il metro sul quale l'Inghilterra giudicherà delle garanzie di democrazia e di libertà che potranno offrire i nuovi regimi che si vanno istaurando sul continente fra i Paesi liberati. Questo occorre tenere presente nel giudicare gli aspetti di questa «rivoluzione inglese» cui sarebbe incauto attribuire in politica interna e tanto più in politica estera effetti commisurati alle abitudini rivoluzionarie dei paesi continentali.

Questo non vuoi dire che il laburismo non sia determinato e capace a rinnovare radicalmente alcuni aspetti della vita interna e dei rapporti esterni dell'Inghilterra. I mutamenti stanno avvenendo e si verificheranno, dopo i primi felici esperimenti, con ritmo crescente. Ma tutto avverrà nel quadro ferreo della logica imposta da una costante direttrice della grande politica britannica sulla quale destri e sinistri convengono.

Per quanto riguarda la politica verso i Paesi liberati l'atteggiamento del governo laburista inglese solidarizza fortemente con quello americano. L'accentuazione è posta, senza mezzi termini, sulla esigenza della creazione di autentici governi democratici sorti da democratiche e libere elezioni. La dichiarazione del governo americano che non riconosce come rappresentativo del paese l'attuale governo bulgaro e definisce insoddisfacenti le condizioni di libertà in cui potranno svolgersi le prossime elezioni in Bulgaria, trova la sua eco e conferma nelle odierne dichiarazioni di Bevin ai Comuni. L'Inghilterra laburista afferma nettamente per bocca del suo ministro degli Esteri che in Bulgaria, Romania, Ungheria « ... i governi non rappresentano la maggioranza del popolo ... i recenti avvenimenti danno l'impressione che a un regime totalitario se ne stia sostituendo un altro ... quei governi, non hanno requisiti tali da consentire che siano con essi ristabiliti rapporti diplomatici». E più oltre «la legge elettorale secondo la quale dovrebbero avvenire prossimamente le elezioni in Bulgaria non rispetta i principì di libertà e noi non potremo quindi considerare come rappresentativo il governo che dovesse risultare da simili elezioni». Eguali avvertimenti sono diretti alla Polonia e alla Grecia. La parte del discorso che riguarda l'Italia riafferma in pieno le ragioni che militano a favore di una pace giusta, ma non lesina gli avvertimenti in materia di democrazia e di libertà: «noi intendiamo procedere nella presunzione che l'Italia sia ricostituita sulle basi di libere elezioni e di un governo parlamentare. A questo fine abbiamo suggerito che le cose sarebbero facilitate se le elezioni per l'Assemblea Costituente saranno indette al più presto, e, se possibile, in questo autunno». Questo è il non equivoco linguaggio dei laburisti.

Riferendomi a quanto ho comunicato precedentemente 1 a proposito del significato di questo pressante invito (verbalmente fattomi da Bevin ed ora pubblicamente ribadito) per una sollecita convocazione dei comizi politici, aggiungo che al Foreign Office mi è stato ieri accennato alla possibilità che le trattative di pace con l'Italia possano protrarsi per due o tre mesi. Tutto ciò non è da escludersi possa significare che gli Alleati non intendono, in sostanza, concludere la pace e riammettere l'Italia fra le Nazioni Unite fino a che le elezioni generali politiche non abbiano fornito: a) non solo un organo costituzionale capace di ratificare gli impegni assunti dal governo; b) ma la prova che l'Italia è in grado di darsi secondo un ordinato processo una rappresentanza parlamentare che sia dimostrazione della

I Vedi D. 420.

sua volontà e capacità democratica. Sotto questi due aspetti la raccomandazione britannica ha una sua giustificazione logica e può avere un carattere pregiudiziale correlativo a quello che hanno analoghe esigenze nei confronti delle altre nazioni liberate ex nemiche. È vero che la posizione del governo italiano di coalizione, espressione integrale dei C.L.N., è diversa da quella dei governi bulgaro, rumeno, ungherese, ma è altrettanto vero che questa nostra attuale formazione politica non è definitiva e può essere radicalmente rifondata in seguito alle elezioni.

Se si vuole guardare in faccia la realtà, bisogna riconoscere la probabilità dell'ipotesi che gli Alleati prima di impegnarsi definitivamente a riconoscere all'Italia un nuovo status con tutte le connesse conseguenze, vogliano sapere con quale Italia abbiano in realtà a che fare. Il che non sarà provato se non: a) dal fatto delle avvenute elezioni; b) dal modo in cui le elezioni si verificheranno.

Il pericolo, ipotetico ma grave, sta nel fatto che l'Inghilterra e l'America non solo protraggano la conclusione della pace fino a che l'Italia non si sia data una vera rappresentanza democratica, ma non riconoscano questa rappresentanza come valida se le elezioni non si verificano in condizioni di piena libertà, in assenza cioè di qualsiasi forma di intimidazione o violenza. Se vi è un punto fermo sul quale l'atteggiamento anglo-americano non lascia dubbio è la ferma risoluzione a non riconoscere se non governi validi. Questa esigenza era dogma per i conservatori, è dogma per i laburisti.

Non so come più fortemente richiamare l'attenzione della S.V. e del presidente del Consiglio su questo argomento. Ogni possibile favorevole sviluppo della nostra politica estera in questo momento di supreme decisioni, è strettamente condizionato agli sviluppi della nostra politica interna. È questo nesso che mi autorizza ad entrare col presente rapporto in un carhpo che potrebbe sembrare estraneo alla mia competenza. Comunque possano praticamente procedere gli Alleati nei nostri confronti, è mia profonda persuasione che se in occasione delle elezioni non realizzeremo uno stato di tregua politica garantita da tutti i partiti e generatrice di un pacifico e libero svolgersi dei comizi, cadremo all'ultimo decisivo passo della nostra riabilitazione.

Gli Alleati non hanno alcuna intenzione, né ne avrebbero praticamente il modo, di intervenire nei nostri fatti politici interni, ma danno chiaramente ad intendere che non rinunciano al diritto di trarre dal risultato di questi fatti le conseguenze che loro convengono. Il discorso che si fa oggi ai Paesi balcanici può, evidentemente a maggior ragione, esser fatto domani a noi. Questo è il senso, velato ma intenzionale, di quanto Bevin mi ha dichiarato. Identica è la sensazione che ho ricavato da un lungo colloquio che ho avuto stamane con Noel Baker e sul quale riferisco con telegramma a parte 1•

Sento di compiere il mio obiettivo dovere segnalando in tempo questo pericolo che non minaccia l'una o l'altra delle nostre correnti politiche ma il Paese intero nel momento in cui sta per cogliere il frutto finale della sua dolorosa riscossa.

P. S. Accludo il testo ufficiale del discorso della Corona2•

I Vedi D. 435. 2 Non pubblicato.

435

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7209/450. Londra, 21 agosto 1945, ore 12,25 (per. ore 19,30 del 23).

Ho avuto stamane colloquio con Noel Baker, ministro Stato successore di Law il quale mi ha pregato di esprimere a V.E. suo vivo apprezzamento per messaggio di cui al telegramma 3161 .

Egli ha combattuto in Italia durante guerra 1914 ed è sincero amico nostro Paese che conosce assai bene. Le mie precedenti ottime relazioni con lui mi hanno consentito di esprimermi in piena confidenza. Gli ho espresso la mia soddisfazione per le dichiarazioni riguardanti l'Italia contenute nel discorso Bevin ai Comuni 2 . Mi ha dichiarato-come già mi risultava-che si era lui stesso preparato a fare analoghe dichiarazioni ma che le espressioni usate da Bevin ed alla cui formulazione egli ha personalmente contribuito con qualche suggerimento, hanno reso superfluo il suo intervento. Gli ho espresso ogni considerazione intesa ad orientarlo sugli effetti decisivi e irrimediabili che le conclusioni di pace potranno avere sulla politica interna e sui rapporti internazionali italiani. A sua richiesta gli ho nuovamente esposto, come mia opinione personale ed in linea indicativa, le condizioni che supponevo l'opinione italiana avrebbe potuto essere indotta ad accettare.

Ha compreso perfettamente le nostre esigenze in Venezia Giulia dimostrandosi per contro meno convinto della funzione coloniale italiana che «non è stata particolarmente sentita dall'Italia liberale e che è stata enfatizzata dal regime fascista». Gli ho osservato che anche noi facciamo una netta distinzione tra la colonizzazione liberale e le conquiste fasciste. L'opinione italiana considera la prima come un bene ed una funzione nazionale non solo conquistata con immensi sacrifici di sangue, di lavoro e di capitale, ma consolidata da una lunga e benefica amministrazione. Gli ho dichiarato che nella peggiore delle ipotesi un trusteeship che garantisse all'Italia la sostanziale tutela dei propri interessi coloniali e le riservasse una funzione esecutiva, potrebbe sempre essere meglio accettato che una qualsiasi amputazione di territorio che sarebbe considerata in Italia come avente carattere punitivo e tendente ad assicurare evidenti interessi anglo-americani. Ho aggiunto che di fronte atteggiamento contrario della Russia e deliberatamente favorevole dell'America, è indispensabile che l'Inghilterra esca dal suo riserbo e dia in tempo prova manifesta al governo italiano delle sue amichevoli intenzioni entrando finalmente con esso in confidente contatto. Senza di che non si può evitare che su questo punto italiani attribuiscano esclusivamente all'America il merito di ogni concessione, con quali conseguenze nelle relazioni anglo-italiane è facile intendere.

Baker mi ha dichiarato che governo britannico non ha ancora, in realtà, fissato le sue idee sulle condizioni di pace, ragione per cui Bevin ha rimandato a questa

l T. 540 l /316 del 18 agosto: gratitudine per l'atteggiamento filoitaliano dei rappresentanti inglesi ncll'U .N .R.R.A.

2 Vedi D. 434.

settimana le dichiarazioni che intende farmi in materia. Comunque mi ha assicurato che le disposizioni inglesi verso di noi sono decisamente favorevoli quali cioè risultano dalle inequivoche dichiarazioni parlamentari di Bevin.

Dal complesso dei continui contatti che ho avuti in questi giorni ho tratto convincimento che veramente nuovo governo, preso da un cumulo di problemi, non ha ancora nulla definito in merito ai particolari della pace italiana. Questo stato di cose offre in questo breve spazio di tempo una preziosa opportunità di influenza.

Ho sollecitato presso Cadogan il mio ·secondo incontro con Bevin che spero convincere a confidarmi il suo definitivo punto di vista ed a tenere un realistico conto delle nostre ragioni. Su questo argomento vedrò oggi questo ambasciatore cinese, domattina ambasciatore russo e posdomani ambasciatore americano 1 .

436

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 7179/451. Londra, 21 agosto 1945, ore 18,30 (per. ore 10 del 23).

Questa ambasciata Iran, sottolineando che due Paesi non sono mai stati in guerra, ha espresso desiderio suo governo di normalizzare relazioni con l'Italia chiedendo gradimento per signor F. Pak Ravan in qualità inviato straordinario e ministro plenipotenziario. Essa esprime contemporaneamente il voto che un R. ministro sia prontamente destinato a Teheran. Predetto signore avrebbe già ricoperto medesime funzioni in Roma e sarebbe pertanto già noto a codesto ministero.

Gradirò istruzioni telegrafiche 2•

437

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7134/380. Mosca, 21 agosto 1945, ore 19,45 (per. ore 9 del 22).

Telegramma di V.E. 5340/c. 3 .

Forma inattesa con cui concludesi guerra Estremo Oriente e bomba atomica hanno ancora aumentata influenza Stati Uniti su atteggiamento russo. Segnalo però tendenza questi circoli ;1mericani fare Russia grandi concessioni Europa in cambio

1 Vedi DD. 441 e 444; non vi sono telegrammi circa il colloquio con l'ambasciatore americano.

2 De Gasperi rispose con T. 5759/349 del 28 agosto, che il governo italiano era lieto di normalizzare le relazioni diplomatiche con l'Iran. Con T. 6043/359 del 6 settembre Carandini fu informato che era stato concesso il gradimento al ministro Ravan.

3 Vedi D. 417, nota 2.

concessioni Russia Estremo Oriente. Mi risulterebbe che America ha progetti definiti circa questioni italiane e li ha già discussi con inglesi. Condivido opinione Carandini circa condizioni dure o almeno molto distanti da nostri desideri. Circa questione frontiere orientali temo proposta linea Wilson non sia accettata nemmeno come base discussione e per questo ci converrebbe trasportarci senz'altro su terreno plebiscito con debite garanzie internazionali per tutto territorio in discussione. Proposta plebiscito sarebbe certamente respinta da Tito e questo ci permetterebbe riprendere discussione singole cessioni in posizione più favorevole. Altrimenti ritengo sia molto difficile evitare che discussione sia invece impostata su miglioramento linea Morgan. Qui e a Belgrado si tiene moltissimo riconoscimento attuale governo albanese: dati interessi inglesi, è però argomento che può essere pericoloso per noi, come eventuale elemento scambio. Riterrei opportuno fare, prima riunione cinque, nuova dichiarazione pubblica nostro desiderio intesa diretta con Jugoslavia. Tito o non risponderà o risponderà negativamente, mettendosi così nel torto di fronte opinione pubblica mondiale 1•

438

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

L. 301 1159/Ec. Roma, 21 agosto 1945.

I refer to your letter N. 3/1212 of 25 July 1945 2 in which you requested the substitution of a p h rase· in the agreement signed by you on behalf of the Italian Government on 22 June 1945.

I am pleased to inform you that authority has been received to amend the phrase "the Armistice and Surrender Instrument" to read "The Armistice and the Additional Conditions of Armistice of September 29, 1943 ".

Would you be good enough to forward to me a copy of the document as amended and signed by you 3 .

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI,

AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE 4

Roma, 22 giugno 1945.

On behalf of the Royal Italian Government I accept ali obligations towards the Allies entered into by the former Italian Governments since the conclusion of the Armistice signed on the 3rd September, 1943. It is understood that the rights under the Armistice and the

l Vedi DD. 461 e 462. 2 Vedi D. 360. 3 Annotazione a margine: «Fatto direttamente dal presidente del Consiglio». 4 Ed. in CoLEs-WEINBERG, Soldiers become Governors, cit., p. 640.

Additional conditions of Armistice of September 29th 1943 with respcct to contro) of the Italian Government will be held in rcserve in the matter of day to day administration, subject to overriding military needs.

I declare that every member of the Government has acquainted himsclf personally with the terms of ali such obligations including the terms of the Armistice signed on the 29th September 1943.

Two membcrs, now abscnt, will acquaint themselvcs with them as soon as possible.

439

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 673/284. Mosca, 21 agosto 1945 1•

Mi riferisco ai telegrammi di V.E. n. 4903/c. e 371 ed ai miei telegrammi n. 312 e 340 2 . All'impressione che si può avere da qui, la guerra col Giappone sta finendo in modo del tutto differente da quello che i russi avevano previsto.

L'entrata in guerra della Russia contro il Giappone era prevista e preparata da tempo: qui si partiva dal presupposto che la guerra sarebbe ancora durata per un tempo considerevole ed avrebbe permesso ai russi di riportare brillanti vittorie e di assicurarsi importanti pegni territoriali. Ritornerò su questo argomento più ampiamente: per ora basta dire non hanno avuto né il tempo di sfruttare militarmente il loro intervento, né quello di svolgere in Estremo Oriente una politica mista di accordi cogli alleati e di fatti compiuti, analoga a quella che hanno sviluppato in Europa. Il Giappone ha capitolato prima che un'intesa almeno di massima fosse intervenuta cogli alleati per la sistemazione degli interessi russi in Estremo Oriente, eccetto che per questioni come Sakhalin che non interessano gran che gli altri, ed un generico accordo per la Corea che, a quanto mi è stato detto, era stato già raggiunto fin dall'epoca dell'incontro del Cairo tra Roosevelt Churchill e Chang Kai-Shek. La situazione d'Estremo Oriente è quindi assai meno favorevole ai russi che non la situazione d'Europa anche perché la guerra essendo finita per tutti, non è possibile attuare in Estremo Oriente quella politica di aperti e coperti ricatti che ha avuto tanto successo in Europa.

In più gli americani hanno il segreto della bomba atomica. Non so se da noi ci si sia resi conto appieno dell'importanza rivoluzionaria di questo fattore che, per qualche anno almeno, spostà radicalmente il fattore forza materiale. Qui il colpo è stato risentito in pieno, sebbene si sia fatto tutto il possibile per nasconderlo all'opinione pubblica, e prevedo giorni tristi per gli scienziati russi se non riusciranno, al più presto, a produrre qualche cosa di simile. Il risultato di tutto questo è che l'attenzione della Russia si sposta bruscamente dall'Europa all'Estremo Oriente e le questioni italiane passano in seconda linea.

I Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi DD. 379, 409, 369 e 397.

Teoricamente questa situazione sarebbe favorevole per noi, poiché adesso, assai più di prima, i russi sarebbero pronti ad adattarsi, sulle questioni italiane, a delle proposte americane presentate e sostenute con fermezza. Questo però solo teoricamente perché io mi permetto di dubitare: l) che quando si passi dal generico al concreto le idee americane di pace equa siano veramente vicine alle nostre; 2) che l'America sia veramente disposta ad agire con fermezza. Una fonte americana autorevole mi ha detto, formalmente, che l'America ha già da tempo studiato delle soluzioni concrete per le questioni italiane e che le ha già discusse cogli inglesi. Questo fatto, se esatto, potrebbe spiegare quella certa evoluzione deiJ'atteggiamento inglese che è segnalata dall'ambasciatore a Londra, evoluzione però che resta sempre in un ordine di idee piuttosto lontano dalle nostre.

Ma il punto più importante è che quello che è vero per la Russia, per l'Estremo Oriente, vale anche per l'America. Il centro di gravità della politica si sposta verso l'Asia. Non è un mistero per nessuno che l'America è molto più interessata e molto più preparata ai problemi dell'Estremo Oriente che non ai problemi europei: e fra gli elementi americani di Mosca ho notato una marcata tendenza a sostenere la tesi che conviene all'America fare alla Russia le più ampie concessioni in Europa, in cambio di concessioni russe in Estremo Oriente o, per lo meno, riservare le resistenze americane per le questioni di Estremo Oriente. È evidentemente una tesi che risente delle tendenze personali di Harriman. Tuttavia mi sembra, dopo l'esperienza della questione polacca, ed anche della Conferenza di Potsdam. non sia il caso di sottovalutare l'influenza dei partigiani dell'accordo ad ogni costo colla Russia, quali Harriman, Dawes e compagnia.

La questione italiana, ed in particolare la questione della Venezia Giulia, sono per noi delle questioni vitali. Ma di fronte alle poste enormi che sono in gioco ai quattro angoli del mondo, fra i Big Three, purtroppo esse si vanno riducendo a questioni locali, poco più importanti di quella che era, per la delegazione italiana a Versailles, la questione del banato di Temesvar, di felice memoria. Ed io temo di veder prevalere dappertutto, per quanto concerne le nostre questioni, quell'atmosfera di freddezza indifferente a cui accenna l'ambasciatore Carandini (telegramma di

V.E. n....)1 . La loro soluzione tende ad essere considerata solo sotto il punto di vista della necessità di sistemare, come che sia, le questioni secondarie europee, al più presto ed alla meno peggio, ma esclusivamente sotto forma di un compromesso fra i Big Three. Per cui io continuo a temere che il trattato di pace che ci sarà presentato sarà quello che noi consideriamo un trattato di pace duro; duro per le questioni territoriali, per le colonie, per la flotta, per le riparazioni: e che le nostre probabilità effettive di discuterlo saranno ben limitate. Questa indifferenza, questo non attribuire alle questioni italiane che una importanza secondaria mi preoccupa, francamente, più che un atteggiamento aperto e deciso di ostilità.

Quando poi un trattato di pace duro avrà nella situazione interna italiana le conseguenze che V.E. giustamente prospetta, ma a cui poco si crede e meno si dà importanza, di fronte al caos italiano si comprenderà che si è fatto un errore e si cercherà di ripararlo. Allora l'onere delle riparazioni ci sarà ridotto, ci saranno dati considerevoli, per noi, aiuti finanziari; ma le clausole territoriali,

l Il numero manca.

colonie comprese, resteranno un fatto compiuto. Americani, inglesi e forse anche russi si accorgeranno dell'errore fatto solo quando sarà troppo tardi per porvi un effettivo rimedio.

Passando nel dettaglio delle singole questioni vorrei osservare:

l) Venezia Giulia. Io temo francamente che la nostra impostazione della questione non sia la migliore. Tutto quanto noi diciamo in favore di una linea Wilson migliorata, è eccellente, dal punto di vista etnico, strategico, economico. Ma sono tutti argomenti che andrebbero benissimo, avrebbero un valore decisivo, se noi fossimo nella situazione del 1919, quella di un Paese vincitore che ha nelle sue mani il territorio in discussione. Ma oggi purtroppo noi siamo un Paese vinto (adopero questa espressione non nel senso di riconoscere un diritto agli altri di punirei per colpe passate, ma solo come constatazione di fatto) e la zona in discussione è per la maggior parte in mano ai jugoslavi. Cosa è accaduto, in realtà, nel 1919 e negli anni successivi? Noi avevamo in mano il territorio in discussione: gli anglo-americani hanno presentato una soluzione di compromesso che noi abbiamo respinto. Rimasti di fronte noi e gli jugoslavi, questi ultimi, de guerre !asse hanno ceduto sempre di più fino ad arrivare agli accordi di Rapallo. Ora la situazione è rovesciata contro di noi e la fine può essere la stessa. Se noi ci mettiamo sul terreno di discutere punto per punto, in base a criteri etnici, storici, economici, le nostre rivendicazioni e le nostre cessioni, ci mettiamo su di un terreno assai pericoloso, trattandosi di argomenti di cui molti, diciamocelo francamente, possono essere rovesciati a favore dell'altra parte. Da quella che è la nostra proposta, prendere come base di discussione una linea Wilson migliorata, si può, temo, passare alla proposta contraria, prendere per base di discussione la linea Morgan, e di lì risalire faticosamente per ottenere qualche miglioramento, più o meno importante. Se si ammette il principio di discutere, in via diplomatica, l'appartenenza di ogni centro di qualche importanza, agli occhi dei Big Three, come punto di partenza una linea vale l'altra: tanto più che Tito continua imperterrito a reclamare tutto il territorio fino all'Isonzo e farlo andare indietro è difficile e complicato, almeno come al momento delle trattative per l'occupazione militare. Io credo quindi che ci converrebbe molto di più mettere la discussione su di un'altra base: nessun mutamento territoriale per altra via di quella del plebiscito, intendendo naturalmente per plebiscito un plebiscito fatto con tutte le garanzie internazionali come, per esempio, il plebiscito per la Sarre.

Questa nostra impostazione dovrebbe essere fatta pubblicamente ed è certo che incontrerà il favore dell'opinione pubblica anglo-americana. È stato tanto brontolato contro la Russia perché non ha voluto ammettere il plebiscito per i territori che si è annessa, che sarebbe, credo, difficile ai governi anglo-americani mettersi apertamente contro una proposta di tale genere. Tito si rifiuterebbe di accettare il principio del plebiscito -di questo ne sono assolutamente sicuro l'idea del plebiscito, pubblico e libero, seccherebbe enormemente la Russia, per il contrasto che stabilisce con i suoi metodi. Sulla via di compromesso, gli americani e gli inglesi si troverebbero nella situazione di doverci persuadere a rinunciare al plebiscito, non potendo probabilmente di fronte all'opinione pubblica dirci apertamente di no. E per farlo, dovrebbero offrirei delle condizioni un po' migliori di quelle che ci sarebbero fatte altrimenti. E noi, appoggiati su di un principio generale solido e difficilmente rinnegabile apertamente, ci troveremmo in posizione relativamente più facile e favorevole per rifiutare successive proposte compromissorie. Capisco che ci sono varie ragioni per cui noi abbiamo un certo timore dei risultati del plebiscito: non sono da qui in grado di valutarie. Ma vedo chiaramente che Tito, per ragioni sue di politica interna, ha più paura di un plebiscito libero che noi. Credo che ci convenga prendere il rischio e mettere lui in una situazione sfavorevole: dopo tutto, nella questione della Venezia Giulia, il nostro unico e vero atout sono le intemperanze di Tito che seccano gli anglo-americani e forse anche la Russia, in fin dei conti. Si è mostrato, alla prova dei fatti; poco abile e poco duttile: è su questi suoi difetti che ci conviene giuocare. Se non avesse agito come ha fatto, qualche mese addietro, anche Trieste era perduta. A quanto vedo mi sembra che noi ci siamo già compromessi sulla linea Wilson migliorata e non potremmo, adesso, decentemente tirarci indietro. Ma se ci viene fornito il pretesto col rifiuto della linea Wilson come base di discussione, ci conviene di passare senz'altro sul terreno del plebiscito, per tutto il territorio entro le nostre antiche frontiere.

Quanto a Fiume e Zara, a quanto posso giudicare da qui, le possibilità di ottenere soluzioni del genere dello Stato libero o del corpus separatum (a meno che per corpus separatum si intenda autonomia amministrativa nel seno della Jugoslavia federata) mi sembrano praticamente zero. In via di una sistemazione di compromesso, da suggerirsi come alternativa al plebiscito o anche come applicazione pratica dei risultati del plebiscito, io credo che ci convenga di trattare in blocco la questione dei nostri territori prebellici. La linea Wilson, trattando il problema di Fiume e di Zara separatamente, presenta lo svantaggio di lasciare in nostra mano molti più slavi di quanto lascia italiani in mani jugoslave: ed è questo un punto di forte debolezza per la nostra tesi. Trattando tutto il problema in blocco si arriverebbe invece ad avere all'incirca altrettanti italiani in Jugoslavia quanti slavi in Italia: ed è meglio presentare le cose così.

Quale che sia poi la soluzione che verrà data alle nostre frontiere io insisto sulla necessità che esse siano completate con uno scambio completo delle popolazioni minoritarie. Tutto quello che noi diciamo sul trattamento degli allogeni è bellissimo, ci fa onore, e va benissimo quando si tratti, mettiamo, di popolazioni di lingua francese. Ma di fronte a questo pericoloso nazionalismo slavo che non accenna certo a diminuire, prego V.E. di tenere presente che ogni slavo che resta sul nostro territorio, per bene che noi lo trattiamo, rappresenta un pericolo costante per la nostra futura integrità nazionale.

2) Sistemazione generale adriatica. La questione della demilitarizzazione di certi porti (immagino che noi intendiamo sopratutto porti appartenenti alla Jugoslavia) è urfa questione che verrà certamente sollevata, ma ai nostri danni: essa ha però ben poche possibilità di essere accettata per quanto concerne l'altra parte. Avrebbe qualche chance solo se gli inglesi si persuadessero che i porti jugoslavi sono destinati ad essere delle basi navali russe nel Mediterraneo. Ma se gli inglesi fossero persuasi di questo, non ci sarebbe bisogno che noi facessimo tanti sforzi per indurii a non imporci troppo radicali decurtazioni delle nostre frontiere colla Jugoslavia. Purtroppo, invece, come rileva anche l'ambasciatore a Londra, perdura negli inglesi l'illusione di poter contare su alcuni elementi loro favorevoli in Jugoslavia e dell'opportunità di tenerseli buoni. Sarebbe una fortuna per noi se gli inglesi, ricordandosi che Jugoslavia significa Russia, la sollevassero per loro conto: le reazioni violentissime di Tito potrebbero giuocare in nostro favore in altri campi.

3) Albania. È questo un problema estremamente complesso. È evidente che sia qui che a Belgrado si dà al problema albanese una importanza certo non minore che al problema della frontiera italiana. Per il momento il problema è centrato sul riconoscimento del governo di Enver Hoxha. Conosco molto vagatnente Enver Hoxha, ma per vedere che razza di governo albanese sia basta guardare la delegazione della gioventù albanese che si trova attualmente in visita a Mosca: non ho avuto la possibilità di mettermi in contatto con loro, ma ho avuto occasione di constatare che, fra di loro, essi parlano il serbo e non l'albanese. Si tratta quindi di un governo messo su con la sola funzione di creare in Albania un governo filo-jugoslavo che, alla fin dei conti, consenta ad entrare a far parte della federazione jugoslava. Probabilmente per la federazione dell'Albania ci saranno, da parte inglese, le stesse opposizioni che per la Bulgaria e la cosa è rimandata a tempi migliori: quello che Mosca e Belgrado sollecitano per il momento, è il riconoscimento del nuovo governo albanese da parte dei maggiori alleati. Io arrivo perfino a dubitare se, per Tito, ai fini della sua politica interna, la questione albanese non abbia una importanza maggiore che non la stessa questione della Venezia Giulia. Quelle poche informazioni degne di fede che si possono avere dalla Jugoslavia tendono a dimostrare che le difficoltà interne vengono piuttosto dai serbi. Ma è noto che mentre i serbi sentono relativamente poco la questione di Trieste, sentono vivamente invece la questione albanese. Quindi Tito, croato, non può mollare sulla questione albanese senza rinforzare i suoi oppositori serbi: dall'altra parte un trionfo sulla questione albanese gli darebbe una posizione più forte in Serbia. Quindi se la questione fosse solo fra noi e gli jugoslavi, si potrebbe anche tentare di abbinare le due questioni e cedere noi sulla questione del riconoscimento del governo albanese in genere, in cambio di una sistemazione più favorevole della questione giuliana.

Ma tutto ciò è complicato dalla posizione dell'Inghilterra che è molto più complessa. Da una parte gli inglesi hanno promesso l'Albania meridionale ai greci: è una cosa che, almeno nei Balcani, tutti sanno e questo rinforza la posizione di Enver Hoxha il quale sostiene, e non a torto, che è solo il suo governo, ben visto ed appoggiato da Belgrado e da Mosca, che può salvare l'integrità dell'Albania. Se gli inglesi appoggiano le richieste greche essi gettano sempre più gli albanesi nelle braccia degli jugoslavi: se non lo fanno si alienano i greci e mettono in difficoltà interne proprio quegli elementi politici greci che essi appoggiano. E se anche l'Albania cade nella sfera d'influenza jugoslavo-russa, allora la Grecia, come posizione britannica nel Mediterraneo, finisce per non avere più nessun valore. Anche qui la logica, per gli inglesi, sarebbe di appoggiare l'Italia, di favorire le sue relazioni con la Grecia, e di appoggiare un'Albania indipendente sull'Italia e sulla Grecia. Ma di questa politica per ora non se ne vedono le tracce: essi continuano a fare in Albania, in Grecia, in Italia e in Jugoslavia una serie di politiche indipendenti e anche in contraddizione fra di loro. Quando si accorgeranno del loro errore sarà troppo tardi per riparare il male fatto, almeno all'Italia. Comunque è da attendersi che la lotta fra anglo-sassoni e russi per l'Albania sarà forse più serrata che non la stessa lotta per le frontiere italiane, ammesso che su questo punto lotta realmente ci sarà. Ed è molto da dubitare se sia opportuno per noi che le due questioni siano trattate allo stesso tempo: ed è ancor più dubbio se ci conviene di essere proprio noi a metterle sullo stesso piano. Quello che ci converrebbe, forse, sarebbe che la questione albanese venisse trattata prima della questione italiana, nella speranza che ne risulti un altro scontro fra Tito e gli inglesi che potrebbe avere ripercussioni favorevoli sui nostri affari. Mettendole sullo stesso piano rischiamo che le due questioni diventino oggetto di compromesso, cosa per noi pericolosa perché agli inglesi l'Albania può interessare molto di più che non il confine giuliano.

Per quanto concerne i nostri interessi in Albania ed una nostra futura eventuale politica albanese, i casi sono due. Se agli anglo-americani non riesce di impedire la federazione allora la questione albanese è per noi chiusa, se non per sempre1 almeno per un periodo molto lungo. Se agli anglo-americani riesce di rimandare la federazione a più tardi, l'Albania è un paese dove non è difficile provocare dei cambiamenti, anche radicali, di situazioni: quindi non ci conviene attribuirle adesso una particolare importanza.

4) Riparazioni. Nonostante le affermazioni del Foreign Office che è da tutti riconosciuta l'impossibilità italiana di pagare (telegramma di V.E. n .... 1), continuo a ritenere che la questione delle riparazioni è ancora una di quelle che ci riservano delle dolorose sorprese. Non sono riuscito ad appurare con certezza se delle riparazioni italiane si sia parlato o no alla Conferenza di Mosca. Ho però l'impressione di si. Per quanto concerne le riparazioni da avere dalla Germania, eventualmente noi dovremo rivolgerei alle Potenze Occidentali. Ma, mettendo insieme frasi raccolte qua e là, dovrei venire alla conclusione che deve essere stato almeno deciso in principio che l'Italia deve pagare delle riparazioni.

Parlando della richiesta jugoslava di riparazioni dall'Italia, sia Harrirnan che Pauley me la hanno commentata con parole identiche. «Russia e Jugoslavia domandano delle riparazioni dall'Italia che non è in grado di pagare: bisognerà quindi che l'America faccia dei prestiti all'Italia perché essa possa pagare le riparazioni». Ne dovrei dedurre che il principio delle riparazioni dall'Italia è stato dovuto ammettere e che gli americani lo considerano una seccatura, un onere aggiuntivo per loro. Quello che io temo, francamente, è che, sia pure in forma ridotta, sia applicato a noi il principio delle riparazioni in natura applicato alla Germania. Certamente nessuno piglierà sul serio le richieste jugoslave, nella misura in cui esse sono state presentate. Ma a meno che gli inglesi e gli americani non assumano, in linea generale, un atteggiamento intransigente nei riguardi di Tito ~ e non mi sembra ci si possa contare almeno per i primi ~qualche cosa bisogna pure che gli diano. E in questo caso, io temo, il carbone dell'Arsa, la bauxite deii'Istria, la nostra flotta mercantile, la nostra flotta da guerra, una parte, riconosciuta superflua della nostra industria bellica, i nostri interessi industriali a Fiume, Zara e altrove, tutto questo potrebbe essere calcolato come riparazioni, per tacitare Russia e Jugoslavia. Dato che, altrimenti, sarebbero gli americani a dover pagare le riparazioni per noi, non sarei affatto sorpreso che messe alcune questioni territoriali sul terreno pratico di riparazioni, esse possano trovare una acquiescenza americana assai maggiore di quanto noi speriamo.

l Il numero manca.

Come ho già riferito all'E.V. per me non c'è dubbio che inglesi, americani e russi hanno tutti e tre, probabilmente già da tempo, il loro bravo piano per la risoluzione, in sede di trattato di pace, delle questioni concernenti l'Italia. L'Italia non ha dato sorprese: prima ancora della nostra capitolazione si poteva già sapere quali erano le questioni italiane che sarebbero venute in discussione, ossia, frontiera orientale, Dodecaneso, colonie prefasciste, flotta, riparazioni. Per chi si ricorda come le delegazioni inglese ed americana sono venute formidabilmente preparate, nelle minime questioni, alla Conferenza di Versailles, è ridicolo anche pensare che ognuno dei tre non abbia preparato il suo progetto di soluzione, dal punto di vista dei suoi interessi. Quello che resta da fare, in sede di redazione del trattato di pace, è di trovare una soluzione di compromesso fra i tre punti di vista, o meglio fra i tre interessi, soluzione di compromesso in cui nessuno si preoccuperà, in sé e per sé, né degli interessi italiani né di quelli jugoslavi. I russi che mi avevano in un certo senso promesso di «parlare» della questione italiana prima della Conferenza di Londra, i cinesi che avevano promesso anche di più, all'ultimo momento si tirano indietro. Perché? Sono sicuro che i quattro governi si sono consultati e sono venuti alla conclusione di non parlare, in concreto, coll'Italia prima della redazione del trattato di pace. E questo perché? I russi e gli inglesi, i partigiani della pace punitiva, non ci vogliono dire, adesso, il loro punto di vista perché temono di doverlo modificare di fronte ad una pressione americana; gli americani, non ce lo vogliono dire, perché temono di doverlo modificare di fronte alla pressione russa. Di conseguenza, il trattato di pace essendo il frutto di un compromesso degli interessi dei Tre, il margine di discussione effettiva che ci sarà lasciato, sarà in realtà ben poco: è meglio non farsi illusioni.

Non è una situazione allegra per noi: ma è purtroppo una situazione di fronte a cui non c'è nulla da fare. I suggerimenti e le osservazioni che ho fatto vanno intesi come il mezzo migliore, a mio pensiero, di migliorare un poco la nostra situazione, o di evitare di complicarla mettendo, inavvertitamente, il piede in trappole grosse: ma tutto si muove entro un margine ristrettissir!lo. Specifico ancora, non è adesso che non c'è niente da fare, non c'è stato mai niente da fare. Luigi Sturzo, in un suo articolo, ha detto che non fu possibile la creazione di un Comitato Italia libera e di una legione italiana perché non si voleva costituire un organo il quale avrebbe potuto creare dei diritti all'Italia e impedire le venisse imposta una pace dura. In questa verità sacrosanta è il nocciolo della situazione: sin d'allora la sorte d'Italia era stata decisa: se l'Italia dopo la sua capitolazione avesse avuto sotto mano una mezza dozzina di conti di Cavour da mettere in giro per il mondo, nemmeno loro avrebbero potuto cambiare la situazione.

La posizione delle tre Potenze era fin dall'inizio quella che si poteva prevedere. L'America, più benevola, sia perché deve tener conto all'interno degli umori della massa d'italiani e di figli di italiani sia perché pensa di fare dell'Italia un punto d'appoggio di una sua futura politica mediterranea, ma purtroppo, per differenti ragioni, ancora molto a rimorchio dell'Inghilterra e della Russia. L'Inghilterra, a sua volta, vuole l'Italia immessa nella sua politica mediterranea, ma la vuole in posizione non molto differente da quella dell'Egitto, e in ogni caso vuoi toglierle la possibilità materiale di avere delle velleità avvenire di una politica mediterranea contrastante colla sua (colonie e flotta). La Russia vuole essa pure una Italia immessa nella sua politica mediterranea, ma, ad ogni buon conto prjvata della possibilità di fare una politica balcanica e centro europea contrastante colla sua (la Venezia Giulia). Purtroppo, al tavolo della pace, questi due differenti criteri punitivi, pur contrastandosi fondamentalmente, si integrano ai nostri danni. Il risultato di questo sarà un'Italia malcontenta, agitata, magari una nuova Italia fascista. Cosa importa, fin che i Tre vanno d'accordo, a chi può dare realmente fastidio l'inquietezza italiana: se si riesce d'andare d'accordo ognuno dei Tre spera di potersi valere di questa inquietezza italiana incanalandola ed inquadrandola nelle linee direttive della sua politica.

La sorte dell'Italia essendo stata decisa ben prima che noi pensassimo ancora a capitolare, in un accordo guidato dal freddo cinismo combinato dei grandi uomini d'affari americani e dei grandi funzionari sovietici, il governo e il popolo italiano poco potevano fare per mutare le disposizioni a nostro riguardo. Evitare la sorte della Germania e salvare quel pochissimo che si poteva salvare dal disastro, e questo è stato fatto. I contrasti fra i Big Three non hanno sufficientemente maturato per aprire gli occhi, specialmente agli anglo-sassoni, sugli errori della loro politica italiana. Oggi non ci restano che due alternative. O ribellarci, rifiutando di firmare o di ratificare il trattato di pace, ammettendo che si voglia assumere la responsabilità di esporre il popolo italiano alle pene, alle sofferenze, al caos forse che ne sarebbero le conseguenze e che il popolo italiano abbia la forza morale di affrontarne le conseguenze, o accettare quello che ci verrà imposto. Il che significa in altre parole riconoscere il fallimento della politica italiana dal 1870 ad oggi, e ricominciare da capo, su altre vie, con altri mezzi e tirando le necessarie lezioni da tutti gli errori del passato. Ma a questa situazione, che non è in nostro potere di cambiare bisognerebbe cominciare a preparare il popolo italiano il quale vive ancora in una atmosfera fuori della realtà e si culla ancora di molte illusioni.

440

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO A LISBONA, ROSSI LONGHI

T. PER CORRlERE 5563. Roma, 22 agosto 1945, ore 17.

Telegramma di codesta legazione n. 234 in data Il corr. 1•

Pregasi esprimere a codesto ministro del Messico, in r~lazione a quanto egli ha comunicato a V.S., che il non aver ancora potuto inviare in Messico un nostro rappresentante diplomatico, è per il governo italiano ragione di profondo rammarico. Il governo messicano sa con quanta soddisfazione, invece, l'Italia ha ristabilito le normali relazioni con il Messico. Vivissimo è il nostro desiderio di riallacciarle anche praticamente. Solo cause di forza maggiore lo hanno fin qui impedito: la comprensibile necessità nella quale ci troviamo di risolvere alcune complesse questioni relative alla riorganizzazione del nostro personale diplomatico, difficoltà di carattere materiale inerente ai trasporti, ai fmanziamenti, etc.

V.S. vorrà aggiungere che il governo italiano, mentre confida che tali ostacoli potranno essere quanto prima superati e che presto un suo rappresentante potrà raggiungere Città del Messico, non dubita che tale ritardo del tutto involontario sia inteso nello spirito della viva e cordiale amicizia che unisce i due Paesi e i cui sensi si prega V.S. di voler rinnovare nell'occasione al ministro del Messico in Lisbona 2 .

l Vedi D. 404.

2 Rossi Longhi comunicò, con T. 8347/272 del l 5 settembre, di aver fatto la comunicazione prescritta al ministro del Messico.

441

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 7234/456. Londra, 22 agosto 1945, ore 21 (per. ore IO del 24).

Oggi 1 ho conferito con ambasciatore di Cina Wellington Koo informandolo ogni particolare utile sua conoscenza nostri problemi. Mi ha seguito con grande interesse rendendosi conto nostra situazione interna delicata e conseguenze irrimediabili che deriverebbero da un accordo internazionale in contrasto dichiarazioni Potsdam che sono nei confronti nostri promesse impegnative equità da cui sarebbe pericoloso recedere. Ho esposto punto di vista mio personale che egli ha mostrato apprezzare sulla questione territoriale. Ho fatto rilevare come fosse prevedibile eventualità che nel giuoco delle contrastanti tendenze dei Cinque Cina avesse a trovarsi arbitro delle nostri sorti e come l'Italia guardasse con piena fiducia alla decisiva influenza che il voto cinese avrebbe potuto avere sulle supreme decisioni da cui dipende il nostro avvenire. Egli mi ha assicurato nei termini più calorosi che la Cina ha seguito questi ultimi due anni con particolare simpatia la nostra riabilitazione che essa considera completa e tale da giustificare un incondizionato appoggio. Egli mi ha dato la sensazione di una grande sincerità e di uno schietto interessamento sì che credo veramente potremo contare, anche in relazione agli stretti rapporti cino-americani, su una fattiva solidarietà cinese.

Egli mi ha promesso che chiederà al suo ministro degli Affari Esteri di vedermi al suo arrivo a Londra. Colloquio è stato improntato ad un insolito calore rivelando per lo meno una convinta benevola intenzione che credo mi autorizzi a non aver dubbi sul parallelismo dell'atteggiamento cinese e americano.

442

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7189/381. Mosca. 22 agosto 1945, ore 22,05 (per. ore 15,35 del 23).

Telegramma di V.E. n. 5360/c.2•

Qualora con sistemazione definitiva questioni italo-francesi potessimo assicurarci atteggiamento benevolo Francia conferenza ministri Esteri eventuali sacrifici sarebbero più che giustificati. A meno, cosa di cui dubito, che concetto americano pace giusta non sia troppo distante da nostro, ritengo si possa essere sicuri che

1 Il 21 agosto; infatti dall'archivio dell'ambasciata a Londra risulta che il telegramma fu redatto in tale data.

2 Vedi D. 425.

Cina seguirà atteggiamento americano. Inglesi partigiani pace pumttva sembrano tendere coprire loro atteggiamento dietro esigenze Nazioni da noi aggredite (telegramma V.E. 4734/c.) 1•

Russi sperano coprirsi dietro atteggiamento inglese. Ritengo che influenza effettiva diretta Grecia Jugoslavia su trattato di pace con noi non sarà grande: se Francia invece insistesse per pace punitiva sarebbe paese più adatto servire copertura inglesi-russi. Atteggiamento Francia deve essere considerato quindi secondo in importanza solo quello Stati Uniti.

443

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7332/399. Washington, 22 agosto 1945 2 (per. ore 7 del 27).

In conversazioni avute in questi giorni al Dipartimento di Stato mi è stato detto confidenzialmente che segretario di Stato starebbe ancora esaminando, senza prendere decisioni, varie proposte ufficiali circa soluzione nostre principali questioni territoriali e coloniali.

Circa sorte nostre colonie mi è stato chiesto amichevolmente quale, a mio avviso, potrebbe essere atteggiamento governo italiano rispetto alle soluzioni che mettessero nostre colonie sotto regime trusteeship ma affidandole tutte all'amministrazione italiana osservando che nelle precedenti sistemazioni che si erano qui prospettate nostra partecipazione per Eritrea e Somalia sarebbe dubbia o comunque molto limitata.

Mi è sembrato opportuno rispondere a titolo personale che ritenevo tale soluzione inaccettabile per Libia e parte settentrionale Eritrea, rilevando benefici apportati colonizzazione e cospicua entità popolazione italiana.

Sottolineando [netta opposizione] americana tesi trusteeship nei confronti specifiche richieste sovietiche, inglesi ed etiopiche, si è allora assicurato che qui ci si rende conto importanza che per noi costituisce Libia tanto che nell'intento di non facilitare aspirazioni altrui, si insisteva a considerarla come un tutto unico cui dare unica sistemazione.

Mi è stato anche accennato che de Gaulle in una conversazione avuta con una personalità americana (ritengo ambasciatore degli Stati Uniti) si era espresso positivamente riguardo nostri diritti sulla Libia (non ho potuto accertare se sotto forma

trusteeship) 3 .

l Vedi D. 396, nota 3.

2 Inviato il 25 agosto, ore 12,45.

3 De Gasperi rispose con T. 5836/383 del 30 agosto: <<Ambasciatore Tarchiani conosce esattamente nostro pensiero in materia coloniale ed è bene attenervisi costantemente. Stessa raccomandazione è stata fatta a Carandini. Risulta anche a noi che generale de Gaulle è favorevole al mantenimento sovranità italiana su nostre colonie preetiopiche».

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 7286/031. Londra, 22 agosto 1945 (per. il 25).

Ho avuto oggi colloquio di un'ora con ambasciatore russo Gusev. Ho parlato con la più ampia sincerità segnalando la mia personale ansietà per la notizia trapelata da Potsdam circa un ostile atteggiamento russo nei riguardi della pace italiana. Premesso che non ritenevo tale voce interamente fondata perchè non avevo ragione di dubitare delle eque intenzioni russe nei nostri riguardi e della continuità di una politica russa esordita col sollecito riconoscimento del primo governo post-armistiziale italiano e confermata dalla recente regolarizzazione della rappresentanza diplomatica fra i due paesi, ho espresso la mia preoccupazione per gli effetti che il probabile diffondersi di una simile notizia potrebbe avere sull'opinione pubblica italiana e sul felice sviluppo delle relazioni italo---russe la cui esigenza è fortemente sentita dal governo e dal popolo italiano. Il signor Gusev ha dimostrato in un primo tempo sorpresa affermando che in ogni caso la nostra politica non doveva essere influenzata da vaghe informazioni. Gli ho risposto che le informazioni erano precise, se pure evidentemente esagerate e che era mio convincimento che l'atteggiamento russo non fosse dovuto ad ostilità verso l'Italia ma a ragione di tattica nei riflessi del trattamento che la Russia si attendeva dai suoi alleati nei confronti di altri minori Stati ex satelliti della Germania. Gli ho aggiunto che mi rendevo perfettamente conto che la Russia non aveva oggi bisogno di noi, ma che noi avevamo bisogno dell'appoggio russo sul quale contavamo in uno spirito di fiducia che non doveva andare deluso. Il signor Gusev ha allora cambiato tono affermando che nel popolo russo era vivo e naturale il risentimento verso l'aggressione italiana e che da questo fatto reale non era possibile non derivassero delle conseguenze. I russi avevano dato prova di essere alieni da spirito di vendetta in Bulgaria, Romania, Ungheria e da tale spirito erano animati anche verso l'Italia che condivideva con quei popoli le stesse responsabilità. Gli ho fatto osservare che l'Italia non intendeva respingere le proprie responsabilità ma che lo spirito di fermezza di cui ha dato prova in due anni di rivolta antifascista e di completa ed efficiente collaborazione con gli alleati gli dava il diritto morale di aspirare non ad una pace bianca, ma ad una pace giusta. La nostra posizione poi era diversa da quella dei minori satelliti della Germania perché il nostro distacco dall'Asse era avvenuto quando la Germania era nel pieno della sua potenza e le sorti della guerra erano !ungi dall'essere decise. Il che aveva dato al nostro gesto un significato ed aveva comportato per noi conseguenze di ben diversa portata. Gli ho detto che se i russi non potevano dimenticare le offese ricevute dagli italiani, gli italiani non avrebbero dimenticato l'aiuto che potranno ricevere oggi dalla Russia. Ho dichiarato che le mie argomentazioni non rispondevano solo ad una preoccupazione per gli interessi italiani, ma ad una più completa e superiore visione degli int eressi europei.

«La verità è che i Tre Grandi avendo vinta la guerra si sono assunta la responsabilità della pace. La loro concordia è la sola garanzia per un migliore avvenire ed è appunto ai fini di questa concordia la quale per essere efficace non deve limitarsi alle relazioni fra i Tre Grandi ma estendersi ai loro rapporti con tutte le altre Nazioni, che l'Italia auspica una sempre più chiara e stretta intesa con la Russia».

Questa era la ragione superiore per la quale io paventavo l'eventualità di un inti'ansigente atteggiamento russo il quale avrebbe profondamente deluso l'aspettativa e ferito la sensibilità italiana. Il signor Gusev mi ha chiesto allora se veramente l'opinione pubblica italiana riteneva che le difficoltà provenissero unicamente dalla Russia e non egualmente dall'Inghilterra e dall'America. Gli ho risposto che, personalmente, io non potevo fare alcuna differenza fra i Tre Grandi perché li consideravo un blocco solidalmente vincolato alla stessa responsabilità verso il futuro del mondo. Mi rendevo perfettamente conto che gli interessi russo-anglo-americani potevano essere in diversi settori e per diverse ragioni in antitesi con gli interessi italiani e che la stessa ragione che spingeva la Russia a sostenere le pretese di Tito poteva spingere l'Inghilterra a compiacere le pretese dei Senussi e l'America a sostenere la necessità di un trusteeship dei nostri possedimenti del Mar Rosso. Ciò significava semplicemente che l'Italia doveva preoccuparsi di parare separatamente a queste contemporanee minacce. Nei riguardi della Russia io avevo però una doppia ragione di preoccuparmi perché era evidente che il fatto del suo isolato atteggiamento sfavorevole a Potsdam creava l'urgente necessità di una migliore comprensione ed intesa. Queste preoccupazioni io esprimevo naturalmente a titolo personale e confidenziale. Il signor Gusev mi è parso bene impressionato dalla mia obiettività e sincerità. Si è maggiormente interessato e mi ha chiesto che cosa noi intendevamo per pace dura, capace cioè di creare una reazione pericolosa nell'opinione pubblica italiana. Gli ho allora esposto il mio noto personale punto di vista sulle varie questioni mantenendomi sulle generali circa Dodecaneso e colonie ma soffermandomi lungamente sulla questione Giulia che gli ho illustrata nel modo più obiettivo affermando infine con vigore come le stesse ragioni che potevano consigliarci a riconoscere entro certi limiti le pretese di Tito sulle zone a popolazione e tradizione slava militino a nostro favore quando accampiamo eguali ragioni a salvaguardia delle zone a popolazione e tradizione italiane. Ho affermato che questa non è una questione che possa essere decisa alla stregua delle leggi di guerra tra vincitori e vinti, ma alla stregua della legge di giustizia fra popoli egualmente gelosi dei loro sacri diritti ed egualmente desiderosi di pacifica convivenza. Devo dire che quando ho parlato della linea Wilson e d'intese particolari per la utilizzazione delle miniere dell'Arsa come di una soluzione sulla quale una discussione era, secondo me, possibile, il signor Gusev non si è dimostrato sorpreso né contrariato. Consenso

o prudenziale riserva di apprezzamento? non mi è stato possibile indovinarlo. Anche sul punto fondamentale di Trieste italiana con porto internazionale egli non ha reagito. Mi rendo perfettamente conto che questa mancanza di reazione non è indicativa. Comunque ho l'impressione che questa franca e completa spiegazione non sia stata inopportuna. Il signor Gusev mi ha dimostrato, per lo meno, di averla apprezzata e mi ha invitato a rivederlo liberamente ogni qualvolta io desideri fargli comunicazioni anche mie personali e confidenziali come questa è stata. Questo è in breve sintesi il contenuto essenziale del lungo colloquio odierno. Resta naturalmente a vedere quanto Gusev vorrà riferire a Mosca e di quale effettivo prestigio egli goda presso il governo sovietico.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, TRUMAN 1

L. 3/1389. Roma, 22 agosto 1945.

A short stay in Rome of Ambassador Tarchiani and his return to Washington afford me the opportunity of addressing you this letter and of placing myself in direct contact with you, an earnest wish of mine for a long time.

Ambassador Tarchiani has expounded to me verbaliy and at length the friendly attitude shown towards Italy by the Government of the United States of America and has stressed the constant, cordial and personal support which the Italian cause has always found in their President.

I therefore wish to express to you, in the very first piace, the deepest gratitude of the Italian Government and people for the generous assistance afforded us on every occasion and for the cordial support which, in the extremely difficult times we have undergone and we are stili undergoing, touches us more than I can say.

It is an established fact that a deep feeling of confidence, of respect and friendship has arisen in Italy towards the United States, shared alike by ali social classes; I consider this feeling as one of the most promising and positive results of the tormented period we have lived in, inasmuch as it reestablishes between our two Countries, better than any diplomatic agreement, a realiy sound basis on which it is possible and necessary to build a dose, confident and friendly coliaboration.

This hour in which I write to you is decisive for us. In a few day our fate wili be sealed in London. Y ou may easily realize, Mister President, our anxiety an d Òur concern.

It would be needless for me to recali the circumstances with which you are so weli acquainted and which, on your initiative, have been clearly set forth in the Potsdam declaration considered by us as the ideai premise of the future settlement of our problems. In other words I do not wish to emphasize again our bitter sacrifices, our devasted cities, our ruined economy, the destructions brought about by the war, the sufferings of our people, the good will with which we have fought on your side for nearly two years, our firm determination to rebuild a democratic, honest and pacified Italy.

I feel bound however to underline with the absolute frankness which the gravity of the times fuliy justifies that the drawbacks of an unjust peace would by far offset the questionable gains deriving to some Countries from the acquisition of strips of Italian or Colonia! territory which might be taken away from us.

An unjust peace would exert, in fact, the most unfavourable influence on that healthy and ordered democratic development of 45 miliion Italians which we have laboriously undertaken and are firmly resolved to achieve despite ali difficulties: it

1 Ed. in United States and ltaly, cit., pp. 163-165 e in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1022-1024.

would hinder the task of our and indeed of any Government; it would sow new seeds of mistrust and depression in the soul of our people; it would give rise to a feeling of diffidence towards the Western Powers, in whose declared ideals of equity and justice we Italian of the resistance movement have always believed and in the name of which we have fought and suffered with unshakable faith.

It is for this, Mister President, that I turn to you in this decisive hour. We do not ask for anything which is not just or equitable nor want anything which cannot be legitimately given us or that has been illegitimately taken from others.

Ambassador Tarchiani will summarily advise you, in the course of the interview which you have been so kind as to grant him, and will advise more in detail your Secretary of State of what in our opinion we believe to be a just peace, a peace which does not humiliate us, a peace which would allow a Country of ancient civilisation to take up again with human dignity her piace in a pacified world.

I only wish to express to you, Mister President, my firm belief that in this grave hour you will not fai! to assist us with the full weight of your authority.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, BYRNES 1

L. 311390. Roma. 22 agosto 1945.

Although I have not yet had the honor of making your personal acquaintance

take the liberty of addressing you with this letter, on the eve of the London Conference. Representing as I do a Country to which the United States have given throughout the period of cobelligerency so much evidence of human solidarity, and being intrusted with the leadership of a politica! party, forcibly suppressed because it stood for freedom against dictatorship and which, restored through the allied victory, fully shares the ideals of American democracy, namely the dignity of the human person, tolerance and equality, social justice and government of the people founded on public order and observance of the Law. I feel I can address you, my dear Secretary of State, in an atmosphere of mutuai understanding.

The fascist dictatorship, together with nazism, has been responsible for grievous wrongs. As soon as the Italian people were in a position to do so, they did their utmost to redress them and now, in their sense of justice, they do not intend to evade obligations laid upon them by international law and morals.

Howewer the most substantial reparation Italy can offer consists in her contribution to the building up of a better world through her labor and culture. Although Italy has scattered ali over the world so many of her sons in a peaceful competition for progress, and America has welcomed so many of them in a brotherly spirit, her

1 Ed. in United States and Italy, cit., pp. 165-170 e in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1024-1029.

population is stili tightly concentrated within a small peninsula, impoverished by a long tyranny and exhausted by war. Nevertheless the natura! qualities of industriousness and frugality, the age-long tradition of Christian morality and ancient La w, may yet make of the Italian people a sound and secure span for western civilization, the preservation of which was the fundamental concern of the great American statesmen -Wilson as well as Roosevelt -when they took the grave decision of entering into war.

It is for the cause of this civilization that we ask you now to be allowed to go on fighting with the instruments of peace, just as with your help we have fought with the weapons of war.

At Potsdam, America has already shown her understanding that this is only possible if peace will restore to the Italian people the dignity of the Free and the certainty that no condition essential to their development will be denied or impaired.

You certainly will have every opportunity, my dear Secretary of State, to acquaint yourself, with the conditions that the Italian people's conscience deems essential and with the objective and subjective reasons that cause them to be so considered. However you will allow me to refer briefly and in the order of their importance to the principal among them.

Eastern frontier with Yugoslavia. We willingly admit that, from an ethnical and economica! viewpoint, Yugoslavia is entitled to some rectification of the present frontier, although it was freely agreed upon between the two Countries, at Rapallo in 1920. We believe that the line suggested by President Wilson may be taken as the basis for such an adjustment. This line would mean to Italy the painful loss of two Italian cities, Fiume and Zara, and of nearly 80.000 Italians while it would re-unite with Yugoslavia over 100.000 Slavs. We feel however bound to ask that account be duly taken of the necessity of safeguarding the autonomy of the cities of Fiume and Zara, by the establishment of special Statutes. As to the remaining territories, since a clear-cut ethnical borderline cannot possibly be drawn, the Italian Government are ready to stipulate with Yugoslavia, under the auspices of the United Nations -or in any case to accept -a mutuai obligation for the granting of cultura! guarantees and !oca! autonomies to the minorities.

The ltalian Government are fully alive to the importance of the harbor of Trieste for the bordering Countries and they are ready to co-operate in order to reach an arrangement which would guarantee both to the harbor and to its railways connections their particular functions. The Italian people intimately feel that a forcible transfer of population entails extreme suffering: however they will not oppose an examination of this possibility, if and when requested by Yugoslavia.

Italy feels that co-operation is necessary with that Country in the field of economie relations an d peaceful commerciai tra de: for this rea so n she will be ali the more willing to accept the demilitarization of Pola, if requested, provided that the same measure be carried into effect for the naval base of Cattaro and on condition that the full independence of Albania constitute a further element of security and equilibrium in the Adriatic.

Northern frontier of the Brenner pass. The situation in the upper Adige region has undergone considerable changes sin ce 1919. Italy has bui l t in the district huge electric power-plants: those in the provinces of Bolzano and Trento represent 13% of the whole national output. The potential hydroelectric power existing in this · region is the only reserve left to Northern Italy for the development of the Po Valley industries and the national system of railways communications. Italy has developed, mainly in Bolzano chemical and mechanical industries with thousands of Italian workers.

An intense national-socialist feeling penetrated the German-speaking population before and during the war so that the region gave a conspicuous contribution of volunteers to the nazi S.S. It is not true that this circumstance was brought about by a reaction against fascism; on the contrary the campaign in favor of the options, which took piace after 1939, was conducted by Hitler's agents in the name of the Third Reich, and the most heated nationalists adhered to it, whereas many farmers and former Austrian nobles, as the Minister Toggenburg -to quote one outstanding example -declared themselves for Italy. The result of the options was due to an intensive nazi propaganda. The creation, to-day, of a German «enclave» on the Italian side of the Brenner pass would be equivalent to establishing a cradle of future German nationalism, pioneered by those S.S. bands which are stili roaming on the Alpine slopes. •

Between 1919 and 1922, democratic Italy assured the Germanspeaking inhabitants cultura! equality and representation in Parliament. Negotiations were also in progress with a view to establishing local autonomies in the whole of the Tridentine Venetia. The fascist dictatorship upset the local situation; but now the Italian democratic Government, in agreement with the A.M.G., has already taken proper measures with regard to German schools and a pian for local autonomies is being completed. The pian will be similar to the one already approved for the Aosta Valley and will be a sound bulwark for every legitimate freedom.

It has been said that the conservative element in Austria would be strengthened by adding to that Country about 200.000 Southern Tyro1ese. But, as a former deputy to the Viennese Parliament, I am deep1y convinced that either it will be possible to set up a large and economically sound Danubian State, in which case the annexation of a few Tyrolese will be superfluous, or else a small and anemie Austria could only subsist as the protectorate of a great Power closely interested in the Danubian Basin.

Should be Italian and «Ladin» minorities of the Bolzano province and the economie interest of the whole of Italy be sacrificed to this uncertain future? And, moreover, does this precarious outlook warrant the doors of the Brenner pass to be left wide open to a new German «Drang nach Siiden»?

I venture to believe, my dear Secretary of State, that the above stated reasons for the preservation of the Brenner frontier will not be considered either narrow or selfish.

Western frontier with France. No difficulties should arise. So as to dispel ali possible suspicions on the part of France, we signed an agreement on February 28th, 1945 1 , which, a t the price of a great sacrifice for us, resigns every Italian

1 Vedi D. 73.

claim on Tunis and every form of protection over those Italian laborers, workmen and professional men who through their activity have so considerably contributed to the economie development of Tunisia. On that occasion the French Government stated that they did not intend advancing any other claims than those relating to the Fezzan; now, however, they ask for adjustments of the western frontier. Even in this issue we have no intention of maintaining an uncompromising attitude.

Besides possible measures of demilitarization, we are willing to accept adjustments in the Vesubia and Tinea areas («hunting grounds»), but the claim to Tenda and Briga Marittima appear, to Italian public opinion, to be wholly unwarranted.

Direct and friendly negotiations between the two Countries in order to reach an equitable and rapid solution of these issues, may be preferable to any other method.

Aegean Islands. For public works, agricultural reclamation, industries and artisan activities, artistic and cultural development in the Aegean Islands (Dodecanese), Italy has spent millions over millions since 1912. The Italian people would willingly see them entrusted to Greece as a compensation and as a token of friendship between the two Mediterranean Countries.

However, the Italians living in Rhodes -whose activity has been intimately connected with the economie life of the island for many years -should be afforded, thr~ugh equitable guarantees, the possibility of carrying on their work.

Colonies. Before Mussolini's invasion of Ethiopia, democratic ltaly never considered colonies as a tool for imperialism, but rather as a means for absorbing Italy's surplus manpower. Present democratic ltaly considers them in this same light. No incompatibility, therefore, appears to exist on principle between the interests of Italian labor and the administrative method of a trusteeship. In practice, however, such a collective method hardly corresponds to the peculiar necessities of the Italian colonies, owing to the difference between the Italian colonial conception and practice founded on emigration, and the anglosaxon system mainly based on raw materials and markets.

As regards the four Libyan provinces and the single colonies I beg to refer to the Memoranda which we are ready to submit on each subject. I only wish to mention two questions which, according to information received, appear to be the most debated; the ultimate fate of Cyrenaica and of Eritrea.

We gather that while no objections are raised against italian sovereignty in Tripolitania, strategie guarantees are being sought in Cyrenaica in order to afford full security to the bordering Countries and to the international sea routes. We believe that such a security could be obtained through the establishment of «strategie areas», air and naval bases and other guarantees in the Tobruk sector and in Marmarica, without depriving Italy of the sovereignty of the Cyrenaica plateau, which she has already partly transformed into a suitable territory for her agricultural emigration.

Similarily, if even for Somaliland a trusteeship system could be discussed, in our old colony of Eritrea the maintenance of Italian sovereignty is essential. This is fully reconcilable with Ethiopia's requirement for a free outlet to the sea, for which purpose Italy has built the road leading from Dessie to Assab. This access could be guaranteed either within Italian territory or, if requested, through frontier

rectifications. Furtherrnore, to meet the legitimate requirements of the northern Abissinian regions, a free zone could be established at Massaua. As to other details and other questions of an economie character, I have asked Ambassador Tarchiani to supply ali necessary information.

In this letter I have confined myself to tracing the outline of a solution which cannot be considered an ltalian national solution, but rather a contribution to international reconstruction and cooperation on the basis of a just peace, envisaged not as a punishment for the past, but as a foundation for a better European future.

I have not followed the traditional methods of expounding maximum propositions from which to recede to other possible ones, I have rather preferred to admit at once and frankly the sacrifices which we feel duty bound to make and to mention the conditions which appear to us necessary in order that the Italian people be enabled to collaborate effectively in the new world settlement founded on justice.

This procedure must be taken as another proof of Italy's absolute confidence in the sense of justice and in the understanding of the United States of America and of their representatives to the London Conference.

For the successful outcome of this Conference I beg you to accept my best wishes. In expressing them I know I am interpreting the feeling of the hard working Italian people, who sincerely trust that the United States will impress upon the Conference the full meaning of their ideals of human brotherhood and social justice.

447

LA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 25/28/45. Roma, 22 agosto 1945 1•

His Majesty's Government in the United Kingdom have followed with dose interest the statements that have recently been made by members of the Italian Government, notably by the President of the Council and by Signor Nenni, on the subject of the forthcoming elections in Italy.

It is the understanding of His Majesty's Government that there are no constitutional or legai objections to the holding of elections for the Constituent Assembly before the end of the present year. On this understanding it is the view of His Majesty's Government that the earlier these elections are held the better will be the effect upon public opinion in the United Kingdom.

In this connection Mr. Bevin has, like the Italian Government no doubt, had in mind the danger that if the elections are postponed the rigours of the coming winter may make it difficult for the Italian electorate to reflect with due calm and dispassion upon the great issues which they will be summoned to decide.

I Annotazione a margine: «Consegnato personalmente al ministro De Gasperi dall'ambasciatore Charles».

448

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7282/400. Washington, 23 agosto 1945. ore 8.3 l (per. ore 9.30 del 25).

Mio telegramma n. 387 1 e telegramma stampa odierno 2 .

In conversazione amichevole al Dipartimento di Stato ho appreso che per non dar luogo a frizioni alla vigilia visita de Gaulle si era finito qui per consentire all'ultimo momento che un rappresentante militare francese partecipasse atto formale resa nipponica che avrà luogo tra giorni a Tokio. Si era in conseguenza deciso contrariamente a prima decisione di ammettere anche rappresentanti Olanda e Nuova Zelanda oltre che Australia, nazioni che vi avevano diritto più della Francia.

Mi si è detto che si sarebbe cercato nella formula di resa di tener conto di tutti pur rilevando che in considerazione nostra prossima ammissione Nazioni Unite non sembrava che si dovesse dare soverchia importanza ad atto di valore sopratutto esteriore giacché decisioni sostanziali erano state già prese a Manila. Date nostre questioni di ben maggiore importanza attualmente sul tappeto non ho ritenuto dover insistere ulteriormente dopo precedenti richieste.

449

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 688/299. Mosca, 23 agosto 1945 (per. il 2 settembre).

Si può ora cominciare a dare un apprezzamento generale dei risultati principali della conferenza di Potsdam. Comicio con un esame dei punti principali del comunicato conclusivo.

l) Consiglio dei ministri degli Esteri. Sembrerebbe una riproduzione, in forma più solenne, della Conferenza degli ambasciatori 3 . Se non che, mentre la Conferenza degli ambasciatori aveva, di massima, il compito specifico di continuare il lavoro della Conferenza della pace e quindi un compito ed una durata ben definiti, questo Consiglio dei ministri degli Esteri sembrerebbe essere inteso come un organo permanente, senza limiti di sorta alla sua competenza. Ne viene di conseguenza la domanda: in quali relazioni esso si trova colla futura organizzazione delle Nazioni Unite?

t Vedi D. 429. 2 T. stampa 7207/33 del 22 agosto, non pubblicato. 3 Allude alla conferenza istituita nel 1919 come organo per l'attuazione tecnica dei trattati di pace.

Il testo dice esattamente che il Consiglio «deve continuare il necessario lavoro preparatorio per il regolamento pacifico e l'esame delle questioni che, per accordo fra i governi partecipanti nel Consiglio possono di tempo in tempo essere passate al Consiglio». L'interpretazione che né ha data la stampa sovietica -c quindi l'interpretazione ufficiale del governo sovietico-è ancora più precisa. La guerra è stata vinta grazie agli sforzi concordi delle tre grandi Potenze: mantenere l'accordo tra le tre grandi Potenze è il presupposto necessario per impedire nuove guerre e nuove aggressioni. Il compito di mantener l'accordo tra le tre grandi Potenze è affidato, in primo luogo, alle conferenze dei Big Three, che costituiscono l'istanza suprema. Il Consiglio dei 5 ministri ha il compito di eseguire le decisioni dei «Tre» e di preparare il lavoro per le loro future riunioni. Nessun limite di competenza, né nel tempo, né nello spazio: nessuna menzione dell'organizzazione delle Nazioni Unite, ma una voluta sottolineazione del fatto che il Consiglio dei «Tre» e il Consiglio dei «Cinque» sono gli elementi dirigenti e decisivi della politica mondiale. Che cosa ne pensano gli altri in proposito non so. A mia impressione, dopo l'esperienza di San Francisco, l'organizzazione delle Nazioni Unite, nonostante tutte le garanzie che le sono state date, non è gradita alla Russia. Essa tende quindi a trasportare il centro della parte politica mondiale nel Consiglio dei «Tre» e dei «Cinque» e a ridurre la organizzazione delle Nazioni Unite ad una funzione puramente formale.

2) Germania. Teoricamente le risoluzioni sulla Germania dovrebbero significare che i tre governi si sono messi d'accordo su di una politica comune da seguire nei riguardi della Germania. Se non che tutto il complesso di disposizioni è molto indebolito dall'art. III A. 2. «In quanto è praticamente possibile ci deve essere un trattamento identico della popolazione tedesca in tutta la Germania». Il che significa che praticamente ognuno farà quello che vuole. I punti principali sono: l) Il disarmo completo della Germania, un punto su cui tutti erano d'accordo. 2) Eliminazione del partito nazista, delle sue leggi, delle sue organizzazioni e la punizione dei responsabili di guerra. Anche qui nel principio sono tutti d'accordo, anche se esistono nell'applicazione pratica delle differenze sostanziali. 3) Riorganizzazione dell'amministrazione locale tedesca, funzionamento dei partiti politici democratici, dei sindacati etc. Qui gli anglo-americani hanno accettato il punto di vista sovietico che da parte russa aveva già trovato il suo principio di applicazione. Ma all'atto pratico anche su questo punto si accennano già le difficoltà. Tutti sono d'accordo nel riconoscere che, per partiti polititi democratici si intendono principalmente i partiti comunista, socialista, centro e liberale: in pratica però i russi considerano come filo-fascisti tutti i capi dei partiti socialisti, centro e liberale, e tutti i capi sindacali, che hanno avuto una parte importante nella vita politica tedesca prima della guerra. Per i russi, Hitler, Briining e Scheidemann sono praticamente la stessa cosa. Nella migliore delle ipotesi avremo, per ognuna di queste tendenze politiche, due differenti partiti: uno nella zona russa ed uno nella zona degli alleati occidentali di cui uno accuserà l'altro di essere dei comunisti o dei fascisti travestiti. La sezione concernente la politica economica, se applicata alla lettera, significherebbe la fine di tutto quello che era l'organizzazione· economica tedesca, un controllo più che completo e la trasformazione della Germania in un Paese prevalentemente produttore di prodotti agricoli e industriali di largo consumo. Rilevo la frase, che il livello medio della vita in Germania non deve essere superiore a quello medio dei popoli europei. È una fortuna per il popolo tedesco che quello sovietico non sia stato compreso fra i popoli europei del cui tenore di vita si deve tener conto.

3) Riparazioni. Su questo articolo mi riservo di riferire più ampiamente in altra sede, quando avrò meglio coordinato le informazioni che ho potuto avere.

4) Flotta da guerra e mercantile germaniche. Il comunicato dice, in parole povere, che non sono riusciti a mettersi d'accordo sulla spartizione del bottino.

5) Koenigsberg. Secondo le mie informazioni, la cessione alla Russia di Koenigsberg e di una bella fetta della Prussia orientale, era stata già riconosciuta da Churchill nel suo viaggio a Mosca nell'inverno scorso. A Potsdam si è ottenuto soltanto il riconoscimento americano. Dalla carta che accludo al mio rapporto sugli accordi territoriali russo-polacchi 1 V.E. potrà vedere l'effettiva portata delle occupazioni territoriali russe. Non si sa ancora quale sistemazione i nuovi territori avranno nella costituzione interna russa, se cioè entreranno a far parte della Repubblica lituana o della R.S.F.S.R. 2• Da fonte degna di fede mi viene assicurato che non c'è già più rimasto un solo tedesco. I pochi civili superstiti al momento dell'occupazione sono stati tutti evacuati in Russia.

6) Austria. Nuovo tentativo, rinviato ad altra sede, da parte sovietica, di ottenere il riconoscimento del suo governo austriaco.

7) Polonia. Per quanto le successive dichiarazioni inglesi e americane abbiano cercato di annebbiarne il significato, il valore del comunicato è ben chiaro: Inghilterra ed America hanno riconosciuto le frontiere occidentali della Polonia che erano state stabilite dai russi. Si possono girare le parole come si vuole, ma il fatto resta. Ed il governo polacco si è affrettato ad inviare un telegramma di ringraziamento a Stalin. Gli alleati si sono impegnati a facilitare il ritorno al governo polacco di tutte le sue proprietà, di qualsiasi genere, all'estero, e il ritorno in Polonia di tutti i polacchi che, in una forma o nell'altra, si trovano nelle loro mani, purché lo desiderino. In questo passo si nasconde il germe di futuri dissensi, poiché già fin da ora la stampa russa, ancora discretamente, accusa certi circoli anglo-americani di lasciar libero il campo alla propaganda degli agenti del governo di Londra. La frase «a cui saranno dati gli stessi diritti di proprietà a pari diritto con tutti i sudditi polacchi» in un certo senso è una presa in giro per anglo-americani, poiché da tempo è precisamente su questa promessa della terra che il governo di Varsavia basa la sua propaganda per attirare i soldati dell'esercito polacco del governo di Londra a rientrare in patria. Circa il valore della parte relativa alla libertà delle elezioni in Polonia è ancora difficile pronunciarsi: vale per esse quello che ho detto circa il punto . ..3.

l Non pubblicato. 2 Repubblica socialista federativa sovietica russa. 3 La lacuna è nel testo.

8) Trattati di pace. Per il loro significato, per quanto concerne l'Italia, mi riferisco al mio telegramma n .... e al mio rapporto n .... 1•

9) Trusteeship. È evidente che non si sono messi d'accordo: l'Unione Sovietica si riserva evidentemente di riprendere la sua offensiva contro i possedimenti coloniali altrui cominciando dal punto più debole: l'Italia.

lO) Commissioni di controllo in Bulgaria, Romania e Ungheria. Mi riferisco a quanto ho scritto nel mio rapporto n .... 2 relativo alla Bulgaria ed al mio rapporto n.... 2 in data odierna circa le elezioni in Grecia.

Il) Trasferimento delle popolazioni tedesche. Su questo punto i russi hanno dovuto cedere alle insistenze anglo-americane già fatte direttamente ai governi interessati. Aggiungo però, che per quanto riguarda la Polonia il trasferimento è già a buon punto. Evidentemente a Potsdam si è parlato anche di questioni che non sono menzionate nel comunicato. A parte tutte le questioni relative all'intervento russo nella guerra contro il Giappone, si deve essere certamente parlato delle questioni relative al Vicino e Medio Oriente, particolarmente Turchia e Iran, poiché il vice commissario che si occupa di queste questioni, Kavtaradze, è stato improvvisamente chiamato a Potsdam e vi è rimasto sino alla fine della Conferenza. Questo ambasciatore di Turchia mi ha detto di non essere riuscito ad appurare niente di preciso, ancora, ma di avere, nel complesso, l'impressione che le cose si siano svolte favorevolmente alla Turchia. Egli ritiene che i russi si siano trovati di fronte ad una resistenza anglo-americana sufficientemente decisa e tende a ritenere che la Russia cercherà piuttosto di intavolare trattative dirette con la Turchia: il che farebbe presupporre una certa riduzione nel tono. L'ambasciatore d'Iran mi ha detto risultargli essere stato deciso di interpretare gli accordi esistenti nel senso che l'evacuazione dell'Iran dovrà aver luogo sei mesi dopo la fine della guerra anche col Giappone. Il che, in pratica, non ha fatto che rimandare di poco la questione, dato che ormai è finita anche la guerra col Giappone. La mia impressione è, comunque, che su questi due punti l'accordo non sia stato raggiunto: mi riservo naturalmente di riferire ancora sull'argomento non appena sarò in grado di avere maggiori informazioni.

Nel complesso la Conferenza di Potsdam è stato un grosso successo russo. È stato osservato qui che l'unico successo riportato dagli anglo-americani è stato il permesso di far entrare i giornalisti anglo-americani nei Paesi della zona d'influenza russa: osservazione paradossale, ma che ha un fondo di realtà. Quando Harriman ha ricevuto i giornalisti americani per illustrare la Conferenza di Potsdam e se ne è dichiarato soddisfatto, un giornalista gli ha risposto che anche Chamberlain e Daladier avevano sostenuto che Monaco rappresentava una soluzione soddisfacente. Osservando però le cose più attentamente, è necessario rilevare che ci sono state, è vero, una serie di concessioni anglo-americane, ma che le concessioni sono più apparenti che reali: gli anglo-americani non hanno che riconosciuto una serie di

1 I numeri mancano; si tratta probabilmente dei DD. 402 e 439. 2 Il numero manca; il rapporto cui si fa riferimento non è pubblicato.

fatti compiuti russi, realizzati ormai da tempo e che, data la situazione, solo una guerra vittoriosa contro i russi avrebbe potuto mutare. Liquidare tutto un passato che, piaccia o no, era difficile non accettare, può essere anche considerato, e secondo me a ragione, un gesto realista e intelligente: ma sono arrivati gli anglo-americani al limite delle loro concessioni, o dobbiamo prepararci ad una serie di nuovi · arretramenti di fronte ad una probabile nuova offensiva russa? This is the question. Di materiale esplosivo la Conferenza di Potsdam ne ha lasciato indietro non poco. L'accordo sulla politica da seguire verso la Germania è più apparente che reale. La questione delle riparazioni lascia ancora un larghissimo margine di discussione e di disaccordo: la revisione dello statuto della Commissione di controllo o, in altre parole, il diritto per gli anglo-americani di interessarsi a quello che accade nella zona russa, se esso non è una formula vaga, può creare serie questioni del genere della liquidata questione polacca, invece di una. Tutto questo senza contare le questioni lasciate in sospeso e quelle ora aperte dalla crisi di Estremo Oriente.

I rapporti anglo-sassoni-russi hanno dei cicli. La Conferenza di Crimea si era appena sciolta che il contrasto sulla interpretazione dei testi era già scoppiat~ in pieno: si è arrivati ad una tensione acuta; poi, la visita di Hopkins 1 ha creato una atmosfera migliore che è durata, apertamente almeno, fino ad oggi. Ora, se le mie impressioni non mi ingannano, stiamo per ricominciare. C'è già qui del nervosismo in aria: segno evidente che qualche cosa non va, e cominciano nella stampa le prime avvisaglie. La posizione dei russi è evidentemente assai meno favorevole di quanto fosse qualche mese addietro. La guerra è finita ed i russi non possono più speculare su delle carte che hanno dato loro tanti vantaggi in passato, la possibilità di una pace separata colla Germania e la possibilità di intesa col Giappone. L'intervento russo nella guerra contro il Giappone è stato per i russi politicamente un fiasco e le carte maggiori restano nelle mani degli americani. Gli americani hanno la bomba atomica e i russi no (per i russi che non capiscono che la forza, è questo un argomento sostanziale). Il !end lease è definitivamente finito: se si vuole ulteriore assistenza dall'America bisognerà mettersi sul terreno dei crediti. I crediti non hanno l'influenza decisiva che molti americani pensano (mi riferisco al mio rapporto n.... 2) ma in ogni modo non sono una carta nelle mani dei russi. L'America esce dalla guerra con un grosso peso finanziario, indubbiamente ma materialmente ha sofferto ben poco: il che certo non si può dire della Russia. I russi sono troppo realisti per non rendersi conto di questo. Inoltre ci sono per loro ancora delle grosse incognite. Truman è un enigma: dice di voler continuare la politica di Roosevelt, ma intanto tutti i consiglieri di Roosevelt sono saltati e sono sostituiti da uomini nuovi. Il nuovo governo laburista in Inghilterra rappresenta anche lui una incognita a cui si guarda con grande preoccupazione. Di fronte a questa nuova situazione se il sistema favorito dei russi, il sistema dei fatti compiuti, dovesse continuare, a quali risultati può portare? Se qui l'opinione pubblica potesse contare qualche cosa nelle decisioni del governo, si potrebbe stare perfettamente tranquilli. La Russia è stanca,

I Harry Hopkins, inviato a Mosca nel maggio 1945 per la ricerca di un compromesso relativo all'applicazione degli accordi di Yalta sulla Polonia.

2 Il numero manca.

mortalmente stanca dello sforzo fatto, delle perdite subite, delle privazioni, delle distruzioni. La dichiarazione di guerra al Giappone, nonostante tutte le manifestazioni ufficiali, è stata accolta dalle masse con un senso di rassegnata disperazione. Ma in alto nella nuova classe dirigente, generali, funzionari, tecnici, è inutile non voler vedere la realtà. La vittoria, il successo ha fatto girar la testa. Parlando con un mio collega che lo felicitava per la fine della guerra, Dekanozov gli ha detto «peccato, è stato un bel periodo, ogni giorno si aveva notizia di un nuovo territorio annesso all'Unione». Le sue parole interpretano lo stato d'animo di tutta una classe. Il problema è quindi quello di sapere se la vittoria ha fatto girare la testa anche a Stalin. Dare una risposta precisa su questo punto è difficile. Fin qui egli ha mostrato di aver la testa sulle spalle. Ma vi è l'incognita insita in tutti i dittatori: c'è stato un periodo in cui si poteva ritenere che anche Hitler e Mussolini avevano la testa sulle spalle. Dal suo entourage ha liquidato da un pezzo ogni personalità indipendente: i suoi collaboratori sono degli intelligenti esecutori di ordini, null'altro. Quale può essere l'influenza su di lui di questo entourage esaltato dalla vittoria, dal nazionalismo, dall'imperialismo?

L'opinione pubblica russa non è in grado di far nulla per influire sulla politica del governo, ma è in grado di esprimersi e di far sentire il suo peso con l'arma tradizionale del popolo russo: con la resistenza passiva. Se la guerra col Giappone fosse continuata, è molto dubbio se avremmo visto, sia al fronte che all'interno, quella sublimazione di sacrificio in tutti i sensi, che ha permesso la vittoria contro la Germania: ancora più imprevedibili sarebbero le reazioni -nel senso che ho detto -dell'opinione pubblica russa in caso di conflitto con gli anglo-americani. Ma qui di nuovo si presenta il solito problema di tutti i dittatori. Sino a che punto è Stalin al corrente di quello che il popolo russo realmente pensa e sente? Un tempo lo era: ma oggi questa classe dirigente che lui ha creato, ma che è anche la base vera della sua dittatura, fino a che punto funge da compartimento stagno? Fino ad ora non c'è ragione di essere pessimisti. Dopo la prima ondata di fatti compiuti, la Russia non ha rinunciato ad una politica acquisitiva, ma ha cambiato i suoi metodi. Prendiamo le due ultime questioni sorte, i nostri confini con la Jugoslavia e le frontiere orientali della Turchia. Ufficialmente di fronte alla sua opinione pubblica, la Russia non è in linea: nel primo caso è la Jugoslavia che reclama; nel secondo caso è la Russia che muove le fila, ma la questione è impostata in modo che la· Russia, se necessario, può ritirarsi indietro senza perdere faccia. Sembrerebbe doversi desumere che il capo non ha voluto impegnare il suo prestigio. Ciò dovrebbe far supporre che qui ci si rende conto che la pazienza degli anglo-americani è stata messa a dura prova, e prima di impegnarsi a fondo si vuoi vedere e valutare a che resistenza si va incontro. Ossia, in altre parole, che Stalin pur non rinunciando al suo desiderio di assicurarsi altri vantaggi ed altre posizioni, vuole procedere con prudenza ed evitare una rottura aperta con gli anglo-americani. Ed è questa, per il momento almeno, la mia opinione.

Lo sviluppo della situazione dipende molto dall'atteggiamento degli americani. La nuova offensiva russa dove che sia sferrata, come è la tecnica abituale, comincerà in tono minore. Se, fin dal principio, si avrà una buona messa a posto degli americani, è più che probabile che i russi restino sul tono minore e dopo qualche tempo si finirà con un nuovo embrassons nous. Si dovrà sempre discutere, mercanteggiare, compromettere, ma non saranno trattative svolte col coltello alla gola. Se invece gli americani continuano a mostrare esitazione, ad avere paura, il tono russo crescerà e la situazione può diventare più difficile a controllare. Sopratutto se si sarà arrivati a coinvolgere il prestigio personale del capo. E non bisogna dimenticare, lo ripeto, che qui c'è tutta una classe di gente a cui la testa ha girato, e che, per salvaguardare la loro situazione, desiderano che i rapporti tra i tre alleati non siano dei migliori. Essi non vogliono la guerra, vogliono il timore della guerra. Stalin -di questo son certo -non la vuole, almeno adesso, e la bomba atomica incute un salutare rispetto. Quello che si può temere è la fine anche di questa instabile situazione di accordo e di collaborazione fra i Big Three, con tutte le sue conseguenze disastrose per i Paesi che si trovano nella situazione del nostro.

450

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. 7292/402. Washington, 24 agosto 1945, ore 20,31 (per. ore 18 del 25).

Telegramma di quest'ambasciata 246 1 .

Pubblica divergenza e polemica tra Potenze anglosassoni ed U.R.S.S. circa differenti «regimi democratici rappresentativi ed elezioni libere» sopraggiunte a sì breve distanza convegno Berlino confermano indirizzo politico americano per più attivo interessamento a sistemazione post-bellica europea.

Al Dipartimento di Stato ho appreso che dopo aver pazientemente tentato le vie diplomatiche coll'U.R.S.S. per trovare una soluzione alla questione di principio, se ne era parlato a Berlino fra i Tre. Dalle due parti si era finito per rivendicare libertà di azione in materia riconoscimenti e Nazioni anglosassoni hanno dichiarato voler [riconoscere] soltanto governo finlandese.

Finita guerra Estremo Oriente (ed è naturale che rapida estensione occupazione Russia abbia qui impensierito) Stati Uniti d'America hanno deciso non tardar oltre a prendere iniziativa di netta pubblica posizione sulla questione di principio. Si mostra qui soddisfazione per pieno allineamento governo laburista con diplomazia americana la quale avrebbe parte determinante, oltre che nella questione bulgara, anche in nota proposta ... 2• A questo Dipartimento di Stato sembra aversi fiducia che Russia finirà col venire incontro punto di vista anglosassone. Si deciderà in questi prossimi giorni fino a che punto governo americano dovrà impegnarsi.

È stato risposto a mia richiesta che non si ritiene Cremlino abbia interesse a creare una connessione tra il rifiuto americano di fare subito pace con i paesi

I T. 5363/246 del 3 luglio: la nomina di Byrnes a segretario di Stato rafforza le correnti politiche che desiderano che gli Stati Uniti abbiano parte predominante nella sistemazione postbellica europea.

2 Gruppo indecifrato.

balcanici e questione prossima pace con l'Italia. Si è aggiunto spontaneamente che qualora ciò accadesse, con tutta probabilità U.S.A. e Inghilterra procederebbero da soli nei confronti nostri. È stato ugualmente escluso nettamente che americani possano fare concessioni a richiesta dei russi nelle nostre questioni a titolo di compromesso per condiscendenza sovietica in altri settori. Qui si tende a non sopravvalutare ruolo Russia nella prossima conferenza.

451

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 38992/16644.2119.11. Roma, 24 agosto 1945.

Mi riferisco alle sue lettere del 26 giugno e 12 luglio u.s. nn. 4001/240 1 e 4001 /248/c. 2 , relative all'applicazione del paragrafo 3 del memoriale Macmillan.

Non ho difficoltà a confermarle la dichiarazione espressa-pur con la riserva suggerita dalla posizione del Gabinetto -dal mio predecessore on. Bonomi3 , secondo cui il governo, uniformandosi al tenore del memoriale anzidetto, non mancherà di rendere continuamente e direttamente informata la Commissione Alleata dei negoziati che venissero intrapresi con altri governi in materia politica ed economica.

Ritengo anche opportuno rilevare che l'accenno a comunicazioni ufficiali diramate a mezzo della stampa, contenuto nella lettera del ministro per gli Affari Esteri in data 30 aprile u.s. 4 , deve intendersi unicamente riferito al caso dell'accordo con la Francia per la ripresa dei rapporti diretti e la definizione del regime degli italiani in Tunisia. È quindi da escludere una diversa interpretazione, che possa far ritenere l'intenzione del governo di informare la Commissione Alleata della stipulazione di accordi internazionali a conclusione avvenuta.

Per quanto particolarmente riguarda la convenzione assistenziale stipulata a Mosca il 28 aprile per il trattamento dei rifugiati italiani e polacchi, è da notare che l'accordo era stato preannunciato nella citata lettera del ministro degli Esteri col riferimento a «sondaggi in corso... per l'assistenza agli internati italiani in Polonia»; a causa, però, delle difficoltà delle nostre comunicazioni con Mosca, l'on. De Gasperi non era ancora al corrente del fatto che la firma dell'accordo avesse già avuto luogo. Vengo anche informato che fin dall'8 aprile il segretario generale del ministero degli Esteri aveva reso edotto l'ambasciatore Charles delle conversazioni in corso 5 e della loro portata e che copia del testo telegrafico dell'ac

l Vedi D. 291. 2 Non pubblicata. 3 Vedi D. 272. 4 Vedi D. 158. 5 Vedi D. 118.

cordo era stata consegnata al sig. Dowling1 anche in riguardo alla sua funzione di Politica/ Adviser della Commissione Alleata.

Nella trattazione degli accordi commerciali è stata seguita la procedura suggerita dalla Sezione Economica, malgrado non vada esente da inconvenienti, che le sono stati recentemente prospettati.

Sono lieto, caro ammiraglio, di poter con questi chiarimenti dimostrarle come il governo italiano abbia sempre inteso conformarsi alle clausole del memoriale Macmillan, assicurandola, in pari tempo, di aver disposto che, d'ora innanzi, a scanso di inconvenienti, sia data diretta comunicazione al suo ufficio delle notizie relative agli accordi internazionali di natura politica ed economica.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. 3/1401. Roma, 24 agosto 1945.

Ti ringrazio del tuo esauriente rapporto del 3 agosto n. 3422/26372 sulle circostanze che hanno accompagnato e seguito l'avvento del laburismo al potere.

· Ho sopra tutto presente la tua impressione che, nonostante una maggiore, generica benevolenza, il prezzo residuo che anche il governo laburista si appresta a farci pagare potrà ancora risultare assai duro per noi.

Tarchiani ti ha posto al corrente delle nostre idee e del nostro programma. E di ciò potrai farti efficace interprete nel tuo prossimo colloquio con Bevin.

Ti segnalo l'accluso rapporto di QuaronP. Il quale, dopo aver sottolineato che la vittoria laburista non era preveduta e tanto meno desiderata dal governo sovietico, rileva acutamente che l'appoggio dato dal precedente governo conservatore in molti Paesi europei alle forze di destra, finiva per irritare contro l'Inghilterra tutte le forze politiche che, altrimenti, per tradizione e per formazione mentale, sarebbero state naturalmente portate ad orientarsi verso le grandi democrazie occidentali. Da ciò l'impossibilità, o almeno, l'improbabilità di un vero consolidamento delle sfere d'influenza anglo-americane. Sicché la politica del governo conservatore finiva con l'essere in definitiva considerata a Mosca come la più favorevole per l'Unione Sovietica.

Ora Mosca si attenderebbe invece che il governo laburista muti la politica britannica in Europa e si renderebbe conto che un tale mutamento, orientato verso gli elementi ragionevolmente progressivi dell'Europa occidentale, può avere un successo, sia immediato che di più larga portata, ben differente. Un'Inghilterra laburista avrebbe dunque una forza d'attrazione molto più energica che un'Inghil

l Vedi D. 154, nota l p. 215. 2 Non pubblicato. 3 Vedi D. 374.

617 terra conservatrice e una comunità di idee con l'Europa occidentale molto più solida e profonda che non l'Unione Sovietica. Non solo, ma codesta forza d'attrazione potrebbe estendersi domani anche alla Germania ed ai Paesi della zona d'influenza russa, come la Polonia e la Cecoslovacchia.

È questo un tasto che dovresti toccare nel tuo prossimo colloquio con Bevin. E cioè che una politica generosa e liberale da parte laburista può riconvogliare verso l'Inghilterra moltissime di quelle simpatie che il regime di occupazione e il precedente, duro atteggiamento conservatore hanno indubbiamente logorato.

Comunque tieni presente che qualora Londra adotti un atteggiamento benevolo, sembra poco probabile e poco verosimile che la Russia prenda lei l'iniziativa della durezza verso l'Italia.

Sono questi elementi di valutazione e di giudizio che potranno indubbiamente giovare alla tua azione.

453

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI 1

PROMEMORIA. Roma, 24 agosto 1945 2•

As soon as honest ballotting may be possible, the Govemment of the United States desires to see ltaly commence the reconstruction of its govemment on an elective basis. With the view to holding national elections as soon as electoral machinery established for !oca! elections is in operation throughout the country, it is felt that the ltaliaii Govemment should consider immediately the holding of local election, commune by commune, as quickly as preparations are completed. The United States Govemment advocates this course as the best guarantee of national democracy and as the most feasible in overcoming materia! difficulties precisely because the United States govemment recognizes the serious responsibilities as well as privileges accruing to the Govemment of Italy in holding the first elections since the pre-fascist period. Such a course will provide already tested machinery for the national elections and would restore to the community, which is the foundation of the State, democratic responsibility. Although the Govemment of the United States is getting ready to conclude a treaty of peace with ltaly, on the assumption that it is a democratic State, it is not possible up to the present time to point to a single commune which has a popularly elected organ of government, even in that territory early liberated and restored to Italian jurisdiction. Consequently i t is the eamest hope of the Govemment of the United States that a t least communal elections will have been held throughout ltalian metropolitan territory before the end of 1945.

l Ed. in CoLES-WEINBERG, Soldiers become Governors, cit., p. 632.

2 Annotazione a margine: «Consegnato dal primo segretario, Jones, al segretario generale il 24 agosto 1945». ·

454

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. RISERVATO 684/295. Mosca, 24 agosto 1945 (per. il 3 settembre).

Approfitto del fatto che il presente corriere non passa all'esame degli inglesi per esporre all'E.V. alcune mie considerazioni sulle nostre relazioni con la Cina, di cui ritengo utile sia informato l'ambasciatore Fransoni.

Ho riferito per telegramma a V.E. tutti gli scambi di amabilità che, tramite questa ambasciata di Cina, sono intercorsi fra i nostri due governi. È evidente che trattandosi di orientali, non bisogna prendere tutte queste cortesie in senso letterale: fatte le necessarie riduzioni di tono resta, secondo me, il fatto che la Cina ha mostrato di tenere ad avere con noi delle relazioni particolarmente buone.

Quali le ragioni di questo atteggiamento? Evidentemente le buone relazioni che noi abbiano avute nel passato con la Cina in genere e con Chang Kai-Shek in particolare, hanno una certa influenza, ma non è questa la sola ragione. Ho avuto qui a Mosca molti amichevoli contatti con questo ambasciatore di Cina, il signor Foo Ping-Sheung, membro influente del Kuomintang, ex segretario personale di Sun Yat-Sen ed amico personale di Chang Kai-Shek e di T.V. Soong. Ho avuto anche occasione di parlare con T. V. Soong personalmente, e con altre personalità del suo seguito. Se devo giudicare dall'atteggiamento di tutte queste persone, dovrei ritenere che la Cina ha conservato finora il senso delle proporzioni e non ha preso troppo sul serio la sua promozione a grande Potenza. Riconosce quindi di non essere attualmente che una grande Potenza per cortesia. Però questi anni di dura lotta hanno avuto per effetto, secondo me, di cementare e di sviluppare, in senso moderno, il sentimento nazionale cinese e tutta questa gente è decisa a diventare sul serio una grande Potenza. I cinesi aspirano a prendere, nel mondo, la situazione lasciata libera dal Giappone e ritengono, nonostante la loro inferiorità attuale, di avere, per la loro tradizione di civiltà, per la loro massa numerica, per la loro ricchezza potenziale, per la loro capacità di assorbire il lato tecnico della nostra civiltà, titoli ben più saldi del Giappone per diventare realmente una grande Potenza.

La fine brusca della guerra col Giappone, che non ha permesso alla Cina di prendere una parte attiva all'ultima fase delle operazioni militari e di sfruttare le promesse americane di aiuto sulla base del/end lease, hanno probabilmente in parte sconvolto questi piani, ma ciò nonostante essi restano.

Evidentemente la Cina conta soprattutto di essere una grande Potenza asiatica, ma vuole anche essere presente in Europa. Ma conosce poco la situazione europea, e non ha in Europa una base di appoggio. A conoscere la situazione europea, mandando in giro delle persone intelligenti e preparate, ci possono naturalmente riuscire: per una base di appoggio in Europa, a mia netta impressione, essi hanno pensato all'Italia. Vorrebbero, in parole povere, vedere quali possibilità ci sono di fare dell'Italia l'amica, ed in un certo senso, il protetto della Cina in Europa. Capisco che, per il nostro amor proprio, la prospettiva di diventare il protetto della Cina non è proprio la cosa più lusinghiera. Ma la nostra situazione non è brillante, di amici ne abbiamo pochini, le nostre prospettive di avvenire prossimo non sono delle più rosee, non credo quindi che abbiamo il diritto di essere troppo schizzinosi.

Al momento attuale, dato che l'influenza della Cina negli affari europei non sarà certo decisiva, vedo in tutto ciò principalmente un interesse informativo. La Cina non sa tutto di quello che accade fra i «Tre Grandi», però sa parecchio. Noi siamo fuori della grande p9litica, dei grandi affari e siamo destinati a restarci per un pezzo: siamo quindi in buona parte privi di fonti dirette di informazioni. In queste circostanze e dato il mistero che circonda le azioni dei grandi, per essere esattamente informati, bisogna cercare informazioni in tutte le parti del mondo, anche le più piccole e le più lontane, raccogliendo, discutendo e vagliando accuratamente, in modo da arrivare a renderei conto della situazione quale essa realmente è. Bisogna che teniamo presente che una delle ragioni principali per cui siamo arrivati allo stato nostro attuale è che eravamo informati male e incompletamente, e che anche delle informazioni che avevamo, o eravamo in grado di avere, non abbiamo saputo fare un uso intelligente. E bisogna appunto che il ministero degli Esteri che è il Dicastero a cui questo compito spetta, riconosca i suoi errori passati e si riorganizzi materialmente e più ancora moralmente per assolvere questo suo compito primordiale. Al giorno d'oggi non si può far colpa ad un rappresentante diplomatico se non riesce, in un determinato Paese, a cambiare la situazione esistente, ma gli si deve far colpa se non riferisce esattamente la situazione quale è.

Già di per se stessa la Cina è, oggi, e nel prossimo futuro, un centro di osservazione di importanza capitale, essenziale. Se riusciamo a stabilire con la Cina delle relazioni di relativa confidenza, per cui il governo cinese divenga lui stesso per noi una fonte di informazioni, la sua importanza ne viene ancora aumentata e dovremmo per lo meno tentarlo, anche se questo impone, almeno al principio, qualche concessione all'amor proprio ed alla suscettibilità cinese. Nonostante tutte le frasi amabili scambiate, non è una cosa che andrà da sé: richiede un lavoro di preparazione lungo e paziente: ma vale la pena di tentarlo. Noi abbiamo in Cina un grosso vantaggio: agli occhi dei cinesi siamo ancora una grande Nazione bianca: le altre grandi Nazioni, nei loro rapporti con la Cina, mantengono ancora molto della loro antica attitudine. Se noi sapremo mostrarci privi di superiorità di razza, possiamo crearci un ottimo start.

Oltre a questo i cinesi mi hanno fatto chiaramente intendere che essi hanno delle speranze su di noi per il loro futuro sviluppo economico. Sia T.V. Soong che ancor più Foo Ping-Sheung, mi hanno annunciato che, pur contando molto sull'aiuto americano, non sono del tutto né persuasi né soddi.ifatti della forma che questo aiuto americano va prendendo. Gli americani, mi hanno detto, hanno promesso di aiutare lo sviluppo economico, industriale della Cina. I cinesi sono sicuri che lo faranno, poiché è anche nell'interesse dell'America, ma sanno già che l'America intende sviluppare l'industria cinese secondo certe linee che vuole lei. Mentre la Cina intende svilupparsi industrialmente anche secondo le linee che lei, la Cina, desidera. E per questo essi sperano di potere contare anche sull'Italia, sia come Paese produttore di macchinari, sia, anche più, come Paese da cui possono avere dei tecnici per rami che gli americani forse non vorrebbero dare.

Io non so se e quanto, per ragioni materiali e politiche, noi possiamo dare in questo campo. Sarebbe in ogni caso bene che l'ambasciatore Fransoni partisse per la Cina ben preparato su questo argomento, che può essere molto importante per noi sotto tutti i punti di vista.

V.E. -comprenderà che giudicare di un Paese come la Cina, che non conosco affatto, da qualche conversazione avuta qui con uomini politici cinesi, per altolocati che siano, è da parte mia una pretesa arrischiata. È quindi possibilissimo che io mi sia sbagliato di sana pianta. Ho ritenuto tuttavia mio dovere far presente a V.E. -quanto sopra perché, considerandola anche solo come una possibile ipotesi, abbia la possibilità di tenerla presente nelle istruzioni che verranno date al nostro ambasciatore1•
455

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. 5620/366. Roma, 25 agosto 1945, ore 24 2 .

Suo 387 3 .

Si approva azione svolta e si prega voler continuare seguire questione. Interessa infatti che l'Italia non abbia a rimanere unico paese in stato di guerra col Giappone. E ciò sia per ovvie considerazioni politiche generali già illustratele sia per riflessi che permanere tale status potrebbe avere su nostri interessi e connazionali colà.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. 5636/166. Roma, 25 agosto 1945, ore 24.

Suoi 211 e 212 4 e precedenti.

Espulsione 1500 capi famiglia dalla Tunisia tu richiesta oltre un anno fa al governo italiano di Salerno 5 e da questo respinta. Ci furono allora comunicate delle liste che presumo saranno analoghe a quelle preannunciatele. Anche su questo argomento parlerò con Couve de Murville. Osservo comunque che richiesta con-

l Annotazione a margine di Zoppi: «l) ringraziare sottolineando che siamo in quest'ordine di idee: 2) diramare per Fransoni».

2 In questo e nei cinque telegrammi seguenti l'ora di partenza non corrisponde alla progressione dei numeri di protocollo.

3 Vedi D. 429.

4 T. 6786 bis/211 e T. 6962/212 dell'Il agosto: richiesta francese all'Italia di curare il rimpatrio di 1500 italiani espulsi dalla Tunisia.

s Vedi serie decin-,a, vol. l. D. 230.

trasta con lo spirito degli accordi per la Tunisia 1 e delle dichiarazioni amichevoli fattele sia dal generale de Gaulle che dal ministro Bidault. Comunque non abbiamo mezzi di trasporto nostri, né gli alleati sono disposti a fornircene. Mi riservo anche su questo argomento di telegrafarle ulteriormente.

457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 5646/408. Roma, 25 agosto 1945, ore 13.

Suo 380 2 .

Secondo informazioni Tarchiani, Stati Uniti concorderebbero sulla linea Wilson. Anche Cadogan, in recentissima conversazione con Carandini, ha affermato sperare soddisfacente ed equa sistemazione. Trasportarci su terreno plebiscito, sia pure con le debite garanzie internazionali, rischierebbe creare pericoloso precedente per Alto Adige, ove potremmo trovarci nella conseguente necessità di dover accettare soluzione parallela. Abbiamo, in tutte le nostre dichiarazioni pubbliche anche recentissime, confermato sempre nostro desiderio intese dirette con Jugoslavia. Preghiamo ancora una volta, ufficialmente, governi inglese e nordamericano voler riconfermare a Tito nostro proposito. Riconoscimento attuale governo albanese susciterebbe grave contrasto anglo-americano. Ma tenga presente che abbiamo stipulato un accordo per assistenza e rimpatrio con Ti rana 3 che, in certo modo, costituisce riconoscimento de facto e che una nostra missione, guidata dal console generale Turcato, travasi da qualche giorno Tirana.

458

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. 5647/168. Roma, 25 agosto 1945, ore 11.

Suo 236 4 . È da escludere, come ella giustamente osserva, possibilità, per quanto concerne Alto Adige, nostra accettazione tesi plebiscitaria. Prego d'urgenza Tarchiani di darne

1 Vedi D. 73. 2 Vedi D. 437. 3 Vedi D. 108. 4 T. s.n.d. urgente 7150/236 del 17 agosto, non pubblicato; ma vedi D. 428.

conferma esplicita a Washington 1 . Faccia presente costì che questione frontiera del Brennero non è stata internazionalmente posta da alcun governo e che sarebbe contrario ogni interesse italiano porla in questi od altri termini.

459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 5648/369. Roma, 25 agosto 1945, ore 11.

Saragat informa che atteggiamento francese si orienterebbe, per quanto concerne Alto Adige, verso proposta plebiscito 2 . È superfluo dirle per quali ragioni sarebbe questa per noi soluzione assolutamente inaccettabile. Comunque ne informi subito codesto governo perché agisca presso delegazione francese attualmente a Washington per dissuaderla dal toccare una questione che non è stata, almeno sin ora, internazionalmente sollevata 3 .

460

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

T. S.N.D. 5649/370. Roma, 25 agosto 1945, ore 13,45.

Quaroni assicura 4 che bomba atomica e inattesa forma con cui si è conclusa guerra in Estremo Oriente, hanno ancora aumentato influenza degli Stati Uniti su atteggiamento russo. Segnala tuttavia tendenza di quei circoli americani di fare concessioni Europa alla Russia in cambio concessioni sovietiche in Estremo Oriente. Gli risulterebbe altresì che Stati Uniti hanno definito progetti nei confronti questioni italiane, e li hanno discussi già con gli inglesi. Quaroni condivide in conseguenza opinione Carandini circa condizioni dure o per lo meno molto distanti da quanto è da noi desiderato. Egli teme che linea Wilson non venga accettata neppure come base di discussione e che questa sarà invece impostata su un miglioramento linea Morgan.

È dunque necessario continuare insistere presso codesto governo per sottolineare decisiva influenza nordamericana su atteggiamento sovietico. Nostra iniziativa nella guerra contro il Giappone e il modo con cui è stata concordata con gli Stati Uniti dovrebbe assicurarci contro la possibilità che proprio l'Italia debba pagare il prezzo di eventuali concessioni ai Soviet in Estremo Oriente.

I Vedi D. 459. 2 Vedi D. 428. 3 Per la risposta vedi D. 470. 4 Vedi D. 437.

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DI STEFANO

TELESPR. 15/17191/c. Roma, 25 agosto 1945.

Com'è noto a V.E. le relazioni fra l'Italia e la Jugoslavia sono tuttora contrassegnate dalla mancanza assoluta fra i due governi di qualsiasi contatto, anche di carattere ufficioso. Le stesse relazioni personali che l'ambasciatore Quaroni intratteneva con il rappresentante jugoslavo a Mosca non sono proseguite con il successore di quest'ultimo, il quale ha fatto conoscere di non essere autorizzato a mantenere con l'ambasciatore d'Italia i contatti già stabiliti dal suo predecessore. I membri della delegazione jugoslava presso la Commissione consultiva per l'Italia hanno d'altra parte sinora declinato qualsiasi contatto, sia pure ufficioso o personale, con questo ministero.

Anche a prescindere dalla procedura con la quale sarà definito nei nostri riguardi il trattato di pace, non è da escludere che l'esame di determinate questioni interessanti i due Paesi possa essere rinviato a trattative dirette fra noi e la Jugoslavia, come è da ritenersi che i due Paesi dovranno in ogni caso provvedere a regolare direttamente quell'insieme di questioni che sorgeranno dalla definitiva sistemazione che verrà data alla questione della Venezia Giulia. Gli stessi Alleati hanno del resto in più di una circostanza dichiarato di non essere in grado di sistemare le numerose questioni di convivenza e di vicinato sorte in questi ultimi tempi fra l'Italia e la Jugoslavia e ne hanno rinviato la soluzione alle trattative dirette fra i due Paesi.

Il governo italiano ha per parte sua espresso più volte il desiderio di arrivare ad una proficua collaborazione con ìa Jugoslavia. Le dichiarazioni dei vari Consigli dei ministri succedutisi al governo nel '44 e '45 e la recente intervista concessa al Manchester Guardian dal presidente del Consiglio, stanno a provare questo nostro desiderio. Purtroppo l'eco di tali dichiarazioni si è in ogni occasione spenta dinanzi aJrassoluto silenzio del governo jugoslavo.

Riteniamo tuttavia che nulla debba essere lasciato intentato per arrivare ad una sistemazione dei nostri rapporti con la Jugoslavia, rapporti il cui fondamento è da riccrcarsi nella diretta e reciproca presa di contatto al fine di aprire la via ad una amichevole collaborazione.

La conclusione della pace con l'Italia risolverà quasi certamente in modo automatico tale questione, ma il governo italiano desidererebbe che almeno i primi contatti fra i due Paesi potessero precedere possibilmente ogni definizione di carattere territoriale onde arrivare ad una distensione atta a facilitare ulteriori ed inevitabili trattative sulle varie complesse questioni pendenti.

Alcuni mesi or sono erano stati fatti tentativi presso il governo sovietico perché facilitasse una nostra ripresa di rapporti col governo jugoslavo 1 . Ci è stato allora

l Vedi D. 122.

risposto che la questione riguardava soprattutto il governo jugoslavo e che comunque il governo sovietico avrebbe considerato cosa poteva fare: nessuna ulteriore comunicazione ci è tuttavia pervenuta al riguardo. Sembra quindi venuto il momento di interessare anche i governi inglese ed americano a questo preciso fine.

Questo ministero prega pertanto V.E. di voler intrattenere codesto governo sull'argomento esponendo come sia desiderio del governo italiano di mostrare la sua sincera intenzione di compiere opera di pace e di collaborazione e di addivenire a quella normalizzazione dei rapporti con la Jugoslavia, che è la premessa indispensabile per l'avviamento di una politica di pacifica convivenza fra i due popoli.

Analogo passo sarà fatto nuovamente a Mosca 1 perché il governo sovietico voglia anch'esso influire in tal senso su Belgrado. Sarà anzi utile che V.E. faccia costì presente la opportunità che gli eventuali suggerimenti al governo jugoslavo di disporsi ad una ripresa di relazioni con l'Italia siano preceduti da una preventiva intesa con Mosca per non urtare suscettibilità o suscitare diffidenze che pregiudicherebbero la buona riuscita di questo passo.

Se poi il governo jugoslavo si rifiutasse di ristabilire rapporti con noi, rinviando tale ripresa di relazioni a tempo successivo, ciò avrà almeno servito a determinare come le difficoltà che ancora si frappongono alla normalizzazione di rapporti fra i due Paesi non provengano da parte italiana 2 .

462

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

TELESPR. 15/17192/208. Roma, 25 agosto 1945.

Suoi rapporti n. 446/174 del 24 giugno 1945 e n. 460/188 3 .

Le unisco copia di una comunicazione che è stata inviata ai RR. ambasciatori a Londra e a Washington4 perché chiedano ai governi inglese ed americano di voler facilitare la ripresa dei rapporti tra l'Italia e la Jugoslavia. Nella ~ituazione attuale delle relazioni tra i due Paesi noi riteniamo che anche prima di arrivare ad

l Vedi D. 462.

2 Tarchiani rispose con T. 8423/480 del 16 settembre: «Ho fatto oggi presso Dipartimento di Stato passi prescritti da V.E. In risposta, pur dandosi ampio riconoscimento buona volontà e spirito conciliativo dell'Italia, mi è stato osservato che nostra nuova iniziativa sembrava ormai superata dagli eventi. D'altra parte al Dipartimento di Stato si giudica che sia molto più difficile un accordo diretto italo-jugoslavo che non una soluzione compromissoria negoziata sotto gli auspici grandi Potenze». Carandini comunicò con telespr. 4688/3331 del 2 novembre: «Il capo dell'Ufficio competente, nel fare presente che il governo britannico teneva moltissimo a veder migliorate le relazioni tra l'Italia e la Jugoslavia e si sarebbe quindi adoperato di buon grado nel senso da noi richiesto, esprimeva peraltro i suoi dubbi sulla possibilità di veder superate le difficoltà che oppone Belgrado ad intendersi direttamente con noi».

3 Vedi DD. 285 e 299.

4 Vedi D. 461.

una diretta discussione su queJia che dovrà essere la generale sistemazione deJie questioni connesse alla definizione delle frontiere e dei rapporti di vicinato conseguenza naturale della prossima pace -occorrerebbe giungere ad una distensione delle attuali relazioni fra i due Paesi il che potrebbe ottenersi mediante la ripresa di rapporti diplomatici fra Roma e Belgrado.

Le risposte evasive avute al riguardo dal governo sovietico, in un primo tempo interessato alla questione, ci hanno indotto a ricorrere anche ai buoni uffici dei governi di Londra e di Washington. Per questo abbiamo pregato gli ambasciatori nelle suddette capitali di far presente a quei governi la necessità che d'accordo col governo di Mosca compiano in tal senso un passo a Belgrado.

V. E. vorrà quindi nuovamente interessare codesto governo nel senso suindicato, facendo presente che l'Italia· intende realmente portare un valido contributo aJia pace e alla collaborazione fra i due popoli, al di fuori di ogni controversia territoriale, e che a questo fine sarebbe anzitutto augurabile che venissero ripresi i contatti fra i due Paesi 1•

Questo ministero approva quanto V.E. ha in proposito già detto a codesto ambasciatore di Polonia ed al presidente del Consiglio cecoslovacco affinché anch'essi contribuiscano -per quanto loro possibile -alla soluzione di tale questione, e prega V.E. di voler continuare queJia sua apprezzata opera di persuasione presso codesti ambienti politici per chiarire la posizione del nostro Paese e gli amichevoli intendimenti che guidano la nostra politica verso la Jugoslavia.

463

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MADRID, GALLARATI SCOTTI, A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. 5691 /c. Roma, 26 agosto 1945, ore 12.

Mio 5019/c. 2 .

Questo ambasciatore d'Inghilterra mi informa che ministro Bevin ha vivamente apprezzato nostra comunicazione relativa alla Spagna. Ha aggiunto che, se governo britannico dovesse decidere drastica modificazione sue relazioni con Madrid, farà suo possibile per tenerci preventivamente informati.

Anche questo ambasciatore degli Stati Uniti mi ha fatto analoghe comunicazioni. In via confidenziale ha aggiunto che governo nordamericano ritiene che gravi pubbliche dichiarazioni di Potsdam bastino e che non siano cioè opportune nei confronti Spagna ulteriori misure.

Telegrafato Madrid, Parigi, Mosca, Londra, Washington.

l Per la risposta vedi D. 519. 2 Vedi D. 393.

464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1421. Roma, 26 agosto 1945.

Il Giornale alleato di Trieste, alla data del 12 agosto ha riportato la notizia che, alla conferenza stampa del colonnello Bowman, capo dell'amministrazione militare alleata in quella regione, sarebbe stata posta una domanda se il governo militare alleato intendesse autorizzare il ritorno nella Venezia Giulia di «circa 70 mila» sloveni colà residenti prima dell'avvento del fascismo e che avevano successivamente dovuto lasciare il paese rifugiandosi in Jugoslavia per motivi politici.

Rispondendo all'interpellante, il maggiore J.W. Ballew avrebbe dichiarato che il governo militare alleato «non ha posto nessuna limitazione al numero di coloro che ritornano ai loro domicili nella Venezia Giulia».

Non le nascondo che le dichiarazioni sopra riportate mi hanno lasciato alquanto perplesso.

Ho anzitutto motivo di ritenere assolutamente esagerato calcolare a 70 mila il numero degli sloveni che, durante il regime fascista avrebbero dovuto emigrare dalla Venezia Giulia per motivi politici. Se è vero che una emigrazione politica ci fu, essa ebbe proporzioni infinitamente più modeste e la maggior parte degli altri sloveni che si allontanarono da quei territori lo fecero liberamente per motivi di tutt'altro genere, connessi alla loro professione od ai loro personali interessi.

Stabilire in maniera inequivoca che gli sloveni emigrati durante il regime fascista siano gli stessi i quali oggi manifestano l'intenzione di ritornare nella Venezia Giulia mi sembra cosa assai difficile. D'altra parte non posso non prospettarle la necessità che i controlli e le indagini più accurate vengano compiuti sul buon diritto degli sloveni che, a quanto mi risulta, quotidianamente vengono portati a Trieste a mezzo di camion jugoslavi, a riprendere domicilio legale nella città.

Non dubito che ella vorrà concordare con me sulla opportunità di evitare che nel delicato momento attuale si verifichino nella Venezia Giulia dei movimenti di popolazioni che hanno tutte le caratteristiche di una immigrazione a scopi prettamente politici organizzata da coloro i quali possono avere interesse a compromettere gravemente, in maniera artificiosa, l'attuale e naturale equilibrio della popolazione di quelle regioni.

Le sarei molto grato, caro ammiraglio, se ella vorrà cortesemente disporre gli accertamenti del caso dandomi a suo tempo notizie 1•

1 Copia di questa lettera fu comunicata il 5 settembre a Kirk, Charles, Carandini, Saragat e Tarchiani.

465

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, HOPKINSON

L. PERSONALE CONFIDENZIALE 3/1425. Roma, 26 agosto 1945.

The enclosed letter is self explanatory. l need hardly underline that it represents a direct and immediate result of your friendly suggestions 1 which, as always, are useful and welcome.

As you see, quite a lot has been done within this very short period, and I trust we shall get more stili underway by the time the London Conference begins. In the meantime I shall be very grateful if you will see your way to calling the particular attention of your Government on the implications of the Italian's Government attitude and action in this connection. I also feel that the difference between the forcible mass transfers of population which are taking piace or are being planned elsewhere, as compared with the generous and human policy adopted by the ltalian Government in respect of foreign-language groups living within the Italian boundaries, deserves to be taken into due account.

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, HOPKINSON

L. 3/1423 2 . Roma, 26 agosto 1945.

Le trasmetto qui unita copia della nota ufficiosa diramata in seguito alla riunione del Consiglio dei ministri 3 del 23 corrente relativa ai provvedimenti che il R. governo ha adottato per assicurare l'autonomia amministrativa alla Valle d'Aosta, ed alle analoghe disposizioni che si prepara ad adottare in favore di altre regioni allogene della frontiera settentrionale ed orientale.

Non le sfuggirà certamente come i provvedimenti annunciati con la dichiarazione generica del 12 luglio scorso abbiano trovato ad appena poco più di un mese di tempo, pratica attuazione mentre è possibile annunciare che analoghe misure stanno per essere adottate sulle medesime basi e nel medesimo spirito per la Venezia Tridentina e per la Venezia Giulia.

Con ciò il governo italiano conferma che dimostra praticamente con quanta serietà ed energia intenda giungere ad una pronta ed equa soluzione dei problemi relativi alle zone allogene delle proprie frontiere arrecando nel temp0 stesso un efficace contributo alla pacificazione generale.

Non dubito che talune diffidenze, rilevate in ambienti dell'Alto Adige verso il governo di Roma, della cui buona volontà nei riguardi degli alto-atesini si mostrava di dubitare, verranno prontamente dissipate dall'annuncio dei provvedimenti che stanno per essere adot

l Vedi D. 421. 2 Analoga letten venne inviata in pari data a Stone (311422) e Kirk (311424). 3 Non pubblicata.

tati. Non dubito del pari che l'opinione pubblica internazionale, alla vigilia della conferenza dei cinque ministri degli Esteri, potrà essere perfettamente illuminata sullo spirito che anima gli intendi:nenti del governo italiano. Le sarei comunque grato se ella volesse opportunamente illustrarli al suo governo.

La nota ufficiosa annuncia che consultazioni sono attualmente in corso con esponenti locali dell'Alto Adige per concordare i principi dell'autonomia regionale di quei territori. Altre consultazioni avranno tra breve inizio con esponenti locali della Venezia Giulia. Difficoltà di carattere tecnico hanno sino a questo momento impedito l'inizio di queste ultime consultazioni che è tuttavia seria intenzione del governo italiano di vedere svolgersi nel più breve tempo possibile.

466

IL CAPO DELLA MISSIONE IN ALBANIA, TURCATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 45/36. Tirana, 26 agosro 1945 (per. 1'8 settembre).

Dopo giorni di attesa, ho finalmente avuto il colloquio con Enver Hoxha.

Il capo del goverp.o mi ha accolto con molta cortesia, venendomi incontro alla porta del suo ampio ufficio alla presidenza del Consiglio, e riaccompagnandomi a colloquio finito.

Dopo aver letto la lettera a lui diretta dal presidente del Consiglio italiano, egli mi ha detto di essere un grande ammiratore di Ferruccio Parri. l'esponente della resistenza italiana al fascismo ed al tedesco. Proseguendo nel suo discorso, Enver Hoxha mi ha fatto rilevare che fin dal principio il popolo albanese ha saputo scindere il fascismo dal vero popolo italiano con il quale l'albanese vuole annodare una sincera amicizia, amicizia che ha cercato di dimostrare accogliendo fraternamente le truppe italiane che scesero al suo fianco per combattere il comune nemico. «Se qualcuno dice il contrario, esso mente. Se il soldato italiano non ha avuto comodità e nutrimento sufficiente, è perché non avevamo queste cose nemmeno per noi albanesi. Ma comunque mai nessuno è morto di fame perché quello che possedevamo l'abbiamo diviso con coloro che ci hanno aiutati. Per quanto riguarda il passato (e qui Enver Hoxha ha ripetuto il ritornello dei villaggi incendiati e distrutti e dei cittadini massacrati dalle truppe fasciste), quello che è stato è stato: ora noi dobbiamo stringerei per l'avvenire e lavorare di comune accordo per risanare le ferite e rinsaldare i vincoli di amicizia fra i due popoli».

Gli ho risposto assicurandolo che i sentimenti espressi riguardo al popolo italiano, sono gli stessi che il popolo italiano nutre verso gli albanesi e l'Albania, alla rinascita della quale vuole dare ancora il contributo del suo lavoro. Ho concluso dicendo di sperare che egli ed il suo governo vorranno concedermi il massimo appoggio per la realizzazione delle provvidenze e la soluzione delle questioni prospettate nell'accordo del quale egli e l'avv. Palermo sono stati gli artefici 1•

Dopo queste parole di circostanza, Enver Hoxha ha affrontato in pieno la questione dell'invio della rappresentanza albanese in Italia, in esecuzione all'accordo

l Vedi D. 108.

medesimo e come contropartita alla venuta in Albania della mtsswne ufficiosa italiana. Egli mi ha chiesto se il governo italiano è pronto ad accogliere la missione albanese, al che ho risposto affermativamente mettendo in rilievo il fatto che il ministero degli Esteri italiano, pur nelle difficoltà odierne in materia di alloggi, sta già adoperandosi per facilitare la ricerca di una sede a Roma, come richiest-o dal colonnello Kadri Hoxha. Gli ho fatto tuttavia comprendere che la venuta della missione a Roma è cosa che non dipende interamente dal governo italiano, data la speciale condizione in cui è messa l'Italia di fronte agli alleati. Egli ha replicato allora dicendo che il governo albanese non si sarebbe mai rivolto agli alleati per chiedere permessi d'ingresso in Italia per i propri delegati, e che mi chiedeva esplicitamente di pregare il governo italiano di fare i passi necessari per raggiungere lo scopo. Egli rimarrà in attesa della risposta. Non avendo altro da dire, l'ho assicurato che avrei riferito al governo italiano il suo desiderio.

Dopo di che, su mia richiesta, abbiamo passato in rassegna le varie questioni che occorre affrontare subito nel reciproco interesse.

l) La corrispondenza ufficiale da e per il ministero degli Affari Esteri italiano deve poter essere liberamente e direttamente ritirata o consegnata ai comandanti dei nostri aerei od alle nostre navi quando sarà riattivata la navigazione. Questo, oltre che per consuetudine internazionale, anche perché la corrispondenza ministeriale può necessitare di un'immediata risposta da dare entro il breve periodo di sosta dell'aereo. Ho accennato al preventivo assenso di massima ottenuto al riguardo tanto dal ministro degli Esteri Omer Nishani quanto dal capo di Stato Maggiore Spiro Moizi, i quali però subordinavano l'accoglimento della richiesta alla sua decisione. Enver Hoxha mi ha dato il suo assenso dicendomi di rivolgermi al capo di Stato Maggiore per farmi rilasciare una tessera speciale per l'ingresso all'aeroporto e la consegna dei plichi e sacchi diplomatici.

2) Per quanto concerne la sede della missione, ho fatto presente di avere necessità di un edificio che consenta di raggruppare uffici, locali di rappresentanza ed alloggi. Ho accennato all'edificio della nostra vecchia legazione, come al più rispondente allo scopo e, in via subordinata, alla villa già abitata dal nostro addetto militare. Per quest'ultima Enver Hoxha mi informò di averla già concessa alla delegazione russa. Mi ha assicurato che si metterà comunque in relazione col capo di Stato Maggiore e mi ha accennato che, data la difficoltà di trovare alloggi adeguati a Tirana, potrei provvisoriamente adattarmi in una sede più piccola. Ho insistito per una sistemazione definitiva.

3) Relativamente al rimpatrio dei militari e civili da Valona ho fatto presente che la brigata lavoratori di Valona, addetta alla costruzione di strade e ponti, non è stata ancora lasciata completamente libera di rimpatriare, e che nessuno, militare

o civile, ha il permesso di allontanarsi da Valona per prendere imbarco a Durazzo. Mi ha risposto che quest'ultimo ordine è stato dato per evitare l'affollamento a Durazzo e perché a Valona dovranno giungere navi dell'U.N.R.R.A. Su mia richiesta, mi ha assicurato che si interesserà per lo sganciamento definitivo dell'intera brigata lavoratori, consentendo che se dovesse venire prima una nave a Durazzo non si opporrà al trasporto dei rimpatriandi, purché questi non restino in tale città più di uno o due giorni.

4) Circa gli averi, masserizie ed effetti personali che i rimpatriandi dovrebbero portare seco, in base all'accordo, ho fatto rilevare che sono state emanate al riguardo disposizioni contrarie dai ministeri delle Finanze e dell'Economia. Vi si oppone pure il modo di procedere della D.M.P. (Divisione Difesa del Popolo) che sequestra abbondantemente gli oggetti anche usati, senza che gli interessati, che dal momento in cui sono sottoposti alla visita doganale fino a quello della partenza sono tenuti segregati dagli estranei, possano fare rimostranze o difendere i propri diritti. Mi ha risposto che circa gli averi, le intese con l'avv. Palermo sono state di consentire l'esportazione di moneta fino ad una certa misura (ora fissata in lire italiane 15.000 o franchi albanesi 500) e che la rimanente valuta in possesso di italiani possa essere versata in un conto bancario o a disposizione della missione o presso la missione medesima, in attesa degli accordi che saranno stipulati per i trasferimenti monetari. Mi ha pregato, al riguardo, di studiare la questione col ministro delle Finanze. Per quanto concerne le masserizie, non si può consentire l'esportazione di grossi mobili che sono necessari al Paese. Per il resto avrebbe parlato con i ministri competenti. Lo ho informato che io personalmente ho constatato il sequestro di posate usate, indumenti, ecc. ciò che Enver Hoxha ha riconosciuto come un abuso al quale cercherà di porre termine. Ho raccomandato la pronta definizione di questa questione, come pure la cessazione dell'abuso di confiscare le robe di cui si vieta l'esportazione.

5) Circa gli specialisti, mi ha promesso di precisarmi al più presto le categorie e di fornirmi gli elenchi numerici previsti dall'accordo. Gli ho fatto presente che le definizioni sua e nostra della qualifica di specialista non coincidevano, e che ad esempio i medici militari non sono specialisti secondo il nostro concetto, a parte il fatto che come militari dovrebbero essere fatti rimpatriare. Ne ho avuta risposta che il governo albanese considera specialisti coloro che con la loro attività sono necessari all'Albania, e che i medici sono, al riguardo, i più necessari. Riguardo alle licenze, esse sono state finora negate perché non essendo l'Italia libera nei suoi movimenti, se gli specialisti fossero lasciati andare in Italia, i Comandi alleati ne impedirebbero facilmente il ritorno o la sostituzione. Ho risposto che questo non risponde sempre a verità, e che comunque la concessione di licenze è necessaria per tranquillizzare la massa degli italiani che ora sono esasperati per questo stato di cose che aggrava gli effetti del lungo e snervante lavoro di anni e della lontananza dalle famiglie di cui molti non riescono ad avere notizia. Enver Hoxha ha dichiarato di riconoscere tutto questo; mi ha assicurato che in qualche caso licenze sono state già concesse (Simoncini, Morganti, Lozzi ed altri) e che ora ristudierà il problema con maggiore larghezza e comprensione. Ho soprattutto insistito per i medici militari, alcuni dei quali mi hanno manifestato angosciosa inquietudine.

6) La questione degli specialisti ha portato con sé quella dei contratti di lavoro. Dal contratto di lavoro accettabile dipende in larga misura la formazione di quell'ambiente sereno che rende possibile il lavoro proficuo e la sostituzione dei lavoratori. Ho prospettato la necessità di mettere questa fra le prime questioni da esaminare e risolvere mediante la preparazione di un contratto tipo discusso dalle due parti ed applicato al più presto possibile. Enver Hoxha ha assentito in questo, e mi ha pregato di mettermi al riguardo in contatto con i ministri competenti per portargli delle proposte conclusive.

7) Ho affrontato poi la dolorosissima questione degli arrestati, gran parte dei quali sono da mesi in carcere senza essere mai stati interrogati. La prova più palese dell'ingiustizia di questo provvedimento risiede nel fatto che dopo una lunga prigionia alcuni sono stati lasciati in libertà perché nulla è stato trovato a loro carico. Non è ammissibile che questo sistema debba continuare. Enver Hoxha ha dichiarato di condividere questo punto di vista, e di voler intervenire in merito.

8) Per quanto concerne gli scambi commerciali previsti nell'accordo, ho fatto conoscere che attendo proposte. Al che Enver Hoxha ha risposto che questa è questione molto importante che sarà presa in esame in altra occasione.

Alla fine del lungo colloquio non ho mancato di prospettare le difficoltà della missione cui sono preposto, rese più gravi da manovre di irresponsabili che trovano facile preda nell'inquietudine e malcontento esistenti fra gli italiani. Gli ho detto che l'ultima trovata è la voce messa in giro di un preteso mio incarico segreto di costituire una cellula democristiana in contrapposto al movimento filo-comunista del circolo «Garibaldi». Il colloquio è terminato con la massima cordialità. Finora né sul giornale né alla radio è stata data la notizia della visita, mentre è stata diffusa quella della visita al capo del governo del colonnello Sokolov, capo della delegazione militare russa, il quale è entrato da Enver Hoxha subito dopo di me.

467

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA. CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI 1

L. PERSONALE. Londra, 26 agosto 1945.

Approfitto di un amico che va oggi a Roma in aereo per comunicare con te. Come saprai della cifra non c'è più da fidarsi ed il conseguente imbarazzo è non poco. Devo consegnare subito questa lettera e quindi scusa la fretta e il mio cattivo dattiloscritto. Cerco di riassumere l'essenziale:

Tarchiani, che era molto stanco e sensibilizzato, mi ha portato una eco forse eccessiva delle vostre preoccupazioni per la dichiarazione di Bevin circa le elezioni2 . Conosco la tua calma e sono certo che non hai drammatizzato questo consiglio fatto in tono tutt'altro che perentorio '« Le cose saranno facilitate da sollecite elezioni da tenersi, possibilmente in autunno». Con mie precedenti comunicazioni ti avevo già informato che questo era il vivo desiderio e la preoccupazione essenziale del Foreign Office (fin dai miei colloqui con Cadogan e Sargent prima e dopo Potsdam). Nei miei rapporti, che ormai ti saranno giunti, ti ho spiegato il senso immediato e remoto di questa esigenza che ha trovato poi in Bevin un sostenitore

l Ed. in «Nuova Antologia». 1993, fase. 2185 (gennaio-marzo 1993), pp. 110-112. 2 Vedi D. 420.

convinto. In ogni occasione non ho mancato di fare presenti le difficoltà tecniche e politiche che si frapponevano a una prematura convocazione dei comizi. A Sargent che mi osservava vibratamente che la Grecia, in condizioni peggiori delle nostre, aveva superate queste difficoltà ho risposto «Già, ma i greci le elezioni le fanno a colpi di mitragliatrice e noi non abbiamo questa intenzione». Eguali osservazioni avevo fatto a Cadogan nel primo colloquio in cui si trattò l'argomento. Non diversamente mi regolai con Bevin il quale mi rispose con la sua abituale nettezza «Se difficoltà vi sono occorre superarle, la questione democratica e la questione istituzionale devono essere decise per prime ed al più presto per sgombrare il terreno e permetterei di procedere». Nel colloquio con Cadogan, successivo a quello con Bevin, ritornai sull'argomento confermando che avevo trasmesso la raccomandazione di Bevin al mio governo «il quale ne avrebbe tenuto conto compatibilmente con le possibilità tecniche e le opportunità politiche» (vedi testo mio relativo telegramma) 1 . Ciò non o stante Bevin ha ribadito pubblicamente il concetto. Come evitare che un simile desiderio sia espresso quando il vicepresidente del Consiglio e ministro della Costituente 2 dichiara che le elezioni si possono benissimo tenere a novembre? Quando i membri labouristi che lo hanno avvicinato a Parigi hanno avuto la stessa impressione? È un caso poi questo in cui le intenzioni labouriste coincidono perfettamente con le ragioni del Foreign Office per i motivi che ti ho esposti nel rapporto portatoti da Campilli. In parole povere questa gente prevede (e secondo me non a torto) che in primavera le condizioni in Italia non siano necessariamente migliori di oggi, temono, anzi, che la situazione politica e psicologica possa essere allora più tesa. Se fanno la pace prima delle elezioni dovranno ritirare le loro truppe senza possibilità di rimandarle decentemente nel caso che gravi conflitti civili avessero a verificarsi alle urne. D'altra parte rimandare o trascinare le discussioni di pace fino alla primavera non è possibile per evidenti e molteplici ragioni, la più importante delle quali è il fatto che anche la situazione internazionale non è detto debba migliorare e può darsi questo sia ancora il momento più propizio per risolvere la questione italiana. L'attenzione dell'America è oggi ancora essenzialmente presente in Europa. Nei prossimi mesi potranno presentarsi in Estremo Oriente problemi tali di fronte ai quali America ed Inghilterra potranno essere costrette dalla forza delle cose a mollare la difesa dell'Italia per avere compensi di contropartite da parte dei russi nello scottante settore cinese. Già oggi la libertà di azione den' America nei nostri confronti e di fronte alla intransigenza russa è limitata dalla influenza di ben altre necessità estremorientali. Comunque, fino a qual punto la convocazione delle elezioni politiche in Italia sia per Bevin fatto pregiudiziale per la conclusione della pace, resta da accertare nel colloquio con lui che attendo di giorno in giorno ed in cui tutta questa materia · dovrà, secondo la sua promessa, essere chiarita. Il colloquio viene di giorno in giorno rimandato perché, in verità, non sono preparati a risolvere prontamente tutte le questioni sul tappeto. Esso avverrà però senza dubbio nei primi giorni della entrante settimana. Dopodiché penso sia necessario un mio rapido volo a Roma per riferirti liberamente ed esaurientemente e ricevere tue istruzioni. Mi

l Vedi D. 426. 2 Allude a Pietro Nenni.

fermerò a Roma le ore strettamente indispensabili perché la mia presenza qui è più che mai necessaria.

Accenno ora brevemente al secondo argomento. Ho visto i due documenti che Alberto 1 porta con sé. In pratica il contenuto corrisponde perfettamente alle mie proposte verbali di fine luglio. E fin qui tutto bene. Ma esiste una differenza di forma, dirò di solennità, che può avere spiacevoli ripercussioni qui. Tieni presente, che, senza il minimo dubbio, un'ora dopo che la cosa è conosciuta là viene comunicata qui. Esiste fra i due una confidenza completa e costante su ogni argomento che interessi la loro politica verso terzi. Non vorrei che la cosa, una volta qui conosciuta (come lo sarà senza il minimo dubbio) generasse dei risentimenti. Io non sono del parere che sia necessario sottomettere subito qui un documento scritto, ma riterrei prudente che tu mi telegrafassi urgentemente autorizzandomi a dar colore non più strettamente mio personale ma ufficiale alle dichiarazioni verbali che ho già fatte e che potrei ripetere come rappresentative del pensiero tuo. In questo caso sarà bene tu mi specifichi per telegramma che nella mia imminente venuta a Roma ti riservi di darmi più precise istruzioni, lasciando così aperta la porta a quella eventuale comunicazione scritta che tu intendessi fare e sanando contemporaneamente la differenza di trattamento che emerge, nei confronti dei due, dall'attuale stato delle cose. Conosco a fondo questo ambiente e la sua sensibilità. Ti prego di considerare con attenzione quanto ti raccomando.

Vedo che mi sono espresso pessimamente, ma non ho che pochi minuti e spero tu potrai egualmente interpretarmi 2 .

468

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. 5719/c.3 . Roma, 27 agosto 1945, ore 2.

Questo ambasciatore di Francia, cui ho fatto cenno sia della propaganda svolta da agenti francesi in Alto Adige, sia dei progetti che si attribuiscono al generale de Gaulle relativi alla creazione di uno Stato austro-bavarese, cui dovrebbe essere annessa Bolzano, mi assicura che la prima notizia non avrebbe alcun fondamento serio e che egli ha ragione di ritenere che suo governo non ha alcuna intenzione sollevare questione nostra frontiera Brennero.

Anche questa ambasciata d'Inghilterra mi assicura che propaganda francese in Alto Adige svolta in principio dai militari, non avrebbe da qualche tempo dato più segni di vita.

1 Tarchiani. I due documenti cui si fa riferimento sono i DD. 445 e 446. 2 Annotazione a margine di Prunas: <<Intesi verbalmente con Carandini>>. Vedi D. 469, nota 2. 3 Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra, Mosca e Washington.

469

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, BEVIN 1

APPUNTO. Londra, 27 agosto 1945.

Venezia Giulia. The Wilson Line ought to be considered as a fair basis of discussion. We could accept some modifications to the West to be discussed direct with Yugoslavia and provided the latter be prepared to grant concessions for the exploitement of the Arsa coal mines. As far as the Istrian peninsula is concerned, what is essential is to guarantee to Italy a line connecting Trieste's hinterland to Pola in order to maintain territorial continuity and Italian sovereignty on the 100% Italian smali towns of the Istrian coastline with adeguate hinterland. As to Trieste, Italy would be prepared to accept international contro! of the harbour and on the railways running from the town to the border.

Colonies. Cession of the Dodecanese Island (formerly Turkish) to Greece through direct Italo-Greek discussions in order to safeguard Italian nationals and interests in the Islands. Cession of the Marmarica, i.e. the area lying between the Egyptian frontier and Tobruk preserving to Italy ali the area west of Tobruk up to the Tunisian border. As to the Italian Possessions in East Africa, should the Aliies not be prepared to return to Italian sovereignty Eritrea and Somaliland (they are her oldest and best administered colonies) with ali guarantees to be given to Abyssinia (including the cession of Assab harbour which is connected with the inland through the Italian built highway Assab-Dessié), ltaly would be prepared to consider a trusteeship over said two colonies, in which Italy's prevalent interests ought to be recognised and safeguarded by a corresponding proportional partnership, possibly with executive functions 2 .

470

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7445/422. Washington, 28 agosto 1945, ore 20,11 (per. ore 9 del 30).

Telegramma di V.E. 3693 .

Delegazione francese ha lasciato Washington mattinata 26 corrente. D'altra parte, a quanto è stato testé confidato al Dipartimento di Stato, tendenze americane

I Ed. in Documents on British Policy Overseas, serie I, vol. Il, 1945, London, Her Majesty's Staionery Office, 1985, pp. 36-3'1.

2 Su questo appunto Prunas annotò il 31 agosto: «patomi a mano da Carandini 30 agosto. Consegnato dall'ambasciatore Carandini al ministro Bevin. E in contraddizione, in parecchi punti, con la lettera a Byrnes. Carandini consegnerà un estratto di quest'ultima a Bevin in sostituzione del presente appunto che non rispecchia che le sue idee personali». L'estratto della lettera a Byrnes da comunicare a Bevin fu inviato da De Gasperi a Carandini con L. 3/1459 del 1° settembre, non pubblicata.

3 Vedi D. 459.

per soluzione questione Alto Adige sarebbero andate sensibilmente migliorando negli ultimi giorni a favore nostra tesi. Soluzione plebiscitaria alta·atesina, secondo mi è stato detto, non godrebbe più qui speciali consensi; è stato peraltro caldamente raccomandato che governo italiano dia subito particolare rilievo pubblicitario a provvidenze disposte per allogeni Alto Adige, ritenute attualmente meno note di quelle accordate Val d'Aosta.

Sempre a stessi fini pubblicitari sarebbe qui ritenuto utile che qualche personalità allogena fosse invitata recarsi Roma per consultazione. Si giudica al Dipartimento di Stato che pubblicazioni capo nostro governo o ministri competenti circa quanto precede non mancherebbero produrre qui buona impressione rafforzando orientamenti a noi favorevoli.

Per parte mia riterrei molto opportuna una urgente azione costà in merito, mentre ho intanto provveduto comunicare al Dipartimento di Stato testo suo telegramma n. 5671 /c. 1 .

471

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 7573/030. Mosca, 28 agosto 1945 (per. il Jo settembre).

Lozovski ha comunicato alla delegazione sindacale italiana che fra due mesi i prigionieri di guerra italiani nell'U.R.S.S. saranno liberi e si comincerà il loro rimpatrio.

Di questa decisione del governo sovietico, fino ad ora, non mi è stata fatta comunicazione ufficiale da nessuna parte. Tuttavia, ritengo la notizia sostanzialmente esatta. Né deve meravigliare la forma non strettamente diplomatica con cui la comunicazione è stata fatta: una delle ragioni per cui insistevo per la visita della delegazione sindacale italiana nell'U.R.S.S., come a suo tempo riferii a V.E., era la mia convinzione che da questa visita qualche cosa ne sarebbe uscito per i nostri prigionieri. Di fronte ad una richiesta presentata dai rappresentanti della classe operaia italiana, ossia di una classe alla cui opinione essi tengqno, non era possibile ai russi di rispondere nella stessa maniera con cui hanno risposto al governo italiano.

Ritengo mio dovere aggiungere che nella presentazione della questione dei prigionieri alle personalità sovietiche con cui sono venuti in contatto, i membri della delegazione sindacale italiana hanno lavorato molto bene, presentando i desideri dell'opinione pubblica italiana con tatto e con fermezza.

Naturalmente avverto subito che il termine di due mesi non deve essere considerato come un termine assoluto. Lozovski è stato in questo abile: ha

1 Del 25 agosto, trasmetteva la nota ufficiosa di cui al D. 465.

voluto darsi l'aria di fare una concessione alle richieste della delegazione sindacale italiana, prendendo allo stesso tempo un lasso di tempo ragionevole e partendo probabilmente dal punto di vista che entro due mesi il trattato di pace con l'Italia sarà firmato. Essa va quindi, a mio avviso, interpretata principalmente nel senso che i prigionieri italiani ci verranno restituiti dopo la firma del trattato di pace. Con ciò non voglio diminuire il successo riportato dalla delegazione sindacale italiana, poiché, per varie ragioni, sono portato a ritenere che nel pensiero di questo governo, la liberazione dei prigionieri italiani, almeno in connessione immediata con il trattato di pace, non era considerata come cosa che va da sé.

Contemporaneamente è stata accennata, pure in via non diplomatica, la decisione di liberare i prigionieri di guerra romeni, e si attende, da un momento all'altro, analoga decisione nei riguardi dei prigionieri ungheresi.

Piu dolorosa è stata la notizia, parimenti comunicata da Lozovski, che i prigionieri italiani in Russia sono poco più di 20 mila. Come avevo già riferito a V.E., era da attendersi che la cifra attuale dei prigionieri di guerra nell'U.R.S.S. fosse considerevolmente minore di quella di circa 80 mila dati come dispersi dal comando del corpo di spedizione italiano in Russia. Ciò mi risultava dalla dichiarazione dei russi, dei comunisti italiani e dai risultati delle inchieste individuali da me fatte. La cifra data dal nostro comando, si riferiva agli uomini che non erano rientrati alle basi dopo il ciclo di combattimenti dall'inizio dell'inverno 1942. Ma si trattava per la maggior parte dei reparti tagliati fuori: di questi molti sono morti in combattimenti, altri sono morti a causa della ritirata svoltasi in condizioni climatiche penosissime, in mezzo a bufere di neve. Si aggiunga che fra i nostri infieriva una epidemia di tifo petecchiale che solo parecchio tempo dopo la loro prigionia è stata potuta arrestare. Il fatto che circa 60 mila di quelli che noi ritenevamo essere prigionieri di guerra sono in realtà morti, deve essere attribuito a circostanze dolorose ma inevitabili e non ad incuria e maltrattamenti dei russi. Questo credo mio dovere di far presente a V.E.

Le informazioni che io ho potuto avere, anche se non si riferiscono specificatamente ai prigionieri italiani, tendono tutte a confermare che il momento della cattura è veramente un momento critico, ad esso segue un periodo di cattivo trattamento dovuto non a vere intenzioni, ma alla confusione ed alle difficoltà materiali del paese; poi gradualmente, le condizioni migliorano ed in fine si arriva ad uno stato di cose per cui i prigionieri sono trattati tanto bene quanto le circostanze del paese lo permettono: in ogni caso meglio di quanto sia trattato il cittadino sovietico ordinario.

Quando i prigionieri italiani saranno rientrati, essi potranno raccontare le loro peripezie e si potrà vedere se, in queste mie supposizioni, mi sono sbagliato

o meno.

È probabile che, tra i nostri prigionieri, qualcuno responsabile di atrocità di guerra o fascista più compromesso, non ci sarà restituito: cosa ne accadrà o ne è già accaduto, questo probabilmente non lo sapremo mai. È anche possibile che ci sia qualche individuo il quale, raccolto dalla popolazione locale, si è nascosto, e non verrà fuori che molto più tardi. Ma si tratta sempre di cifre minime che non alterano sostanzialmente la cifra data ai nostri rappresentanti sindacali.

472

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PER CORRIERE 7666-7660/0111-012Ii Washington, 28 agosto 1945 (per. il 3 settembre).

Riferimento telegrammi di questa ambasciata n. 409 e 413 del 23 e 25 c.m. 2 .

Con il telegramma 409 questa ambasciata ebbe già a riferire sulle predisposizioni del Dipartimento di Stato, in previsione della visita di de Gaulle, affinché, nelle conversazioni con il generale ed il ministro degli Esteri francese, questi ultimi avessero una precisa sensazione dell'atteggiamento pienamente favorevole all'Italia del governo degli Stati Uniti. · Questo atteggiamento era, d'altronde, già noto al ministro Bidault, al quale, in occasione del suo passaggio per Washington alla fine del maggio scorso, fu nettamente ribadito l'intendimento americano che le truppe francesi evacuassero al più presto i territori da esse occupati nella zona della nostra frontiera occidentale. Come è stato più volte rilevato al Dipartimento di Stato, sia in tale questione, come nella fase acuta della occupazione jugoslava in Venezia Giulia, furono del resto gli Stati Uniti ad assumere un ruolo decisivo e dirigente, rimorchiando l'Inghilterra.

Nella nostra conversazione di stamane, il segretario di Stato Byrnes ha spontaneamente tenuto ad informarmi che tanto il presidente Truman quanto lui stesso avevano parlato con de Gaulle e con Bidault della necessità che l'Italia entri presto a far parte operante della comunità internazionale. Byrnes mi ha detto di avere più volte sottolineato alle due predette personalità che la Francia «deve considerare e trattare l'Italia come amica», nel suo stesso interesse ed in quello più vasto europeo e mondiale. De Gaulle e Bidault lo avevano assicurato che erano in contatto col governo italiano col quale avrebbero iniziato trattative amichevoli «tenendo conto del pensiero e del desiderio degli Stati Uniti».

Ho ringraziato Byrnes osservando, a mia volta, come l'Italia avesse già dato alla Francia sicure prove di buona volontà, consentendo assai dolorose rinunzie per il nostro popolo nella questione degli italiani di Tunisia. Ho aggiunto che il governo italiano ha già dimostrato concretamente il suo vivo desiderio di intensificare i contatti col governo francese, nell'intento di edificare, su solide basi, una salda amicizia fra i due Stati, nel quadro delle Nazioni Unite, ed accanto alla amicizia italo-americana.

Indubbiamente, de Gaulle e Bidault, specialmente il primo, sono rimasti impressionati dall'atteggiamento dei dirigenti americani nei riguardi dell'Italia, di cui è probabile non avessero realizzato tutta la portata prima di venire qui. Una riprova ne è data dalle dichiarazioni fatte all'incaricato d'affari Di Stefano dal generale e dal

1 Si pubblicano qui, separati dagli asterischi, i cinque telegrammi per corriere (nn. 7666/0111, 7665/0114, 7662/0117, 7661/0118 e 7660/0121) che si riferiscono al colloquio di Tarchiani con Byrnes.

2 T. s.n.d. 7307/409 e T. 7375/413, inviati rispettivamente il 24 e il 26 agosto, non pubblicati.

ministro degli Esteri francese al ricevimento [che ha] avuto luogo all'ambasciata di Francia il 25 corrente (mio telegramma 413). È da rilevare che Di Stefano non era al corrente dei rapporti della R. ambasciata a Parigi circa le conversazioni [che hanno] avuto luogo tra Nenni, Saragat e de Gaulle, giunti col corriere da me portato poche ore dopo. Al predetto ricevimento, de Gaulle espresse a Di Stefano il desiderio di parlargli più lungamente, lamentando che il grande affollamento (circa tremila persone) non gliene desse la possibilità. Da parte di questa ambasciata di Francia è stato riferito che il generale ha anche successivamente confermato tale suo desiderio.

In dichiarazioni fatte ai giornalisti americani, de Gaulle ha accennato ad un prossimo accordo franco-italiano nonché al suo progetto per la creazione di un blocco latino-mediterraneo. È stato assicurato a questa ambasciata che, nell'occasione, egli ha anche dichiarato che la Francia è d'opinione che l'Italia debba conservare le sue attuali colonie.

Com'è noto, il Dipartimento di Stato ha chiesto di essere informato confidenzialmente delle ultime concrete richieste avanzate dalla Francia per rettifiche delle nostre frontiere occidentali ed in Libia. Ritengo utile aderire a tale richiesta, mentre confermo che l'atteggiamento americano nella questione permane quale indicato nell'appunto n. 972 del15 corrente1 . Va rilevato che la Francia ha grande necessità dell'appoggio degli Stati Uniti sia per la tutela dei suoi considerevoli interessi nell'Estremo Oriente (lndocina e colonie del Pacifico), sia per ottenere la continuazione di sostanziali aiuti economici dopo la repentina fine dellend-lease. La Francia odierna e la stessa politica di de Gaulle non è qui finora molto popolare. Direi, anzi, che attualmente tra Francia ed Italia le simpatie americane, per varie ragioni, pendono più dal nostro lato ed è ovvia l'importanza di questa circostanza, che de Gaulle ha potuto qui personalmente constatare, per indurre il governo di Parigi a più concreti e favorevoli atteggiamenti nei nostri riguardi.

* * *

Il segretario di Stato Byrnes, nella nostra conversazione di stamane, mi ha brevemente parlato delle prossime elezioni in Italia, con riferimento ai passi svolti, giorni fa, dall'ambasciatore Kirk presso il presidente Parri e la S.V 2 .

Gli Stati Uniti annettono grande importanza ad un ordinato sviluppo delle nuove democrazie europee, come è dimostrato dalla recente netta presa di posizione per il rinvio delle elezioni bulgare, in cui hanno avuto, come è noto, soddisfazione. Nel caso dell'Italia, essenzialmente in considerazione della graduale cessazione dell'amministrazione militare alleata nelle varie provincie, gli Stati Uniti sono d'opinione che sia opportuno iniziare la preparazione della massa elettorale, disorientata dal ventennio fascista, cominciando coll'indire le elezioni municipali, eventualmente per singole provincie o comuni (in America il comune è la cellula base dell'ordinamento democratico e non si comprenderebbe perché in Italia non si dia principio da esso). Ultimate dette elezioni, si procederebbe alle elezioni per l' As-

Vedi D. 4!9. 2 Vedi D. 453.

..

semblea Costituente così che esse avvengano nel modo più democratico ed ordinato. Byrnes mi ha detto che il segretario aggiunto Dunn entrerà con me nei dettagli della questione. Da altre fonti del Dipartimento di Stato si è appreso, in via confidenzialissima, che si era precedentemente concordato con questa ambasciata britannica che anche sir Noel Charles compisse passi analoghi. Si era, poi, rimasti stupiti-ed irritati -nell'apprendere che il governo inglese aveva dato a codesto suo ambasciatore istruzioni circa una precedenza da darsi alle elezioni per la Costituente entro quest'anno 1• Rimostranze al riguardo sono state fatte subito a questa ambasciata di Gran Bretagna.

A quanto si è poi inteso alla predetta rappresentanza, a Londra si sarebbero preoccupati di stipulare e firmare un trattato di pace con un governo italiano «non rappresentativo», nel dubbio che il trattato possa essere sconfessato dal risultato delle elezioni. Si riterrebbe, poi che «elezioni migliori» possano aver luogo prima che le masse elettorali risentano gli effetti del prossimo «duro» inverno. Si aggiunge, ancora, la considerazione che, colla conclusione della pace, le truppe britanniche verrebbero ritirate e che, pertanto, le elezioni tenute in primavera prossima avverrebbero i~ loro assenza.

Al Dipartimento di Stato non si condividono attualmente questi timori del governo inglese circa la firma del trattato di pace con un governo italiano non rappresentativo e si pensa invece che la conclusione di una pace equa, e gli aiuti economici che si intendono dare, non potranno che avere benefici influssi sulla normalizzazione della nostra situazione interna.

È bene, poi, tener presente in questa come in altre questioni, che i circoli dirigenti degli Stati Uniti ritengono che il nuovo governo laburista inglese, in misura maggiore del precedente Gabinetto conservatore, data la necessità britannica di assicurarsi l'aiuto politico ed economico americano, dovrà tener conto in modo concreto della volontà e delle intenzioni di Washington e ad esse, in definitiva, uniformarsi. Così sarebbe, infatti, avvenuto sia nella questione del rinvio delle elezioni bulgare sia nella proposta rivolta alle tre grandi Potenze dal Re di Romania per la formazione di un «governo democratico», nelle quali l'iniziativa è stata presa dagli Stati Uniti e subito fiancheggiata dall'Inghilterra. Non mancherò di riferire ulteriormente circa le intenzioni americane dopo aver parlato col segretario aggiunto Dunn.

* * *

Mio rapporto n. 7685/963 del 10 c.m. e odierni telegrammi n. 418 e 420 2•

Nel colloquio avuto stamane con Byrnes, ho cominciato per ringraziarlo vivamente, a nome del governo italiano e di V.S., per l'opera ch'egli personalmente aveva svolto a Potsdam in nostro favore.

Byrnes mi ha risposto: «Conoscete qual'è l'animo nostro per l'Italia. Saprete già come io abbia difeso i vostri interessi. Prima di lasciare Washington per Potsdam, avevo vergato di mio pugno la bozza del comunicato collettivo che doveva

l Vedi D. 447.

2 Vedi D. 403. I telegrammi s.n.d. 7510/418 e 7502/420, che risultano inviati il 29 agosto, non sono pubblicati.

riguardare l'Italia. È risultata quella la trattativa più lunga e difficile di tutta la conferenza. I russi sono stati subito nettamente e duramente contrari. Gli inglesi avversi soltanto su qualche particolare. Di fronte a queste forti resistenze ho dovuto consentire dapprima qualche modificazione di forma, attenuando assai, con mio vivissimo rammarico, espressioni ch'io intendevo dovessero avere valore di attivo conforto per il popolo italiano. Poi dovetti anche accettare due condizioni sovietiche, una delle quali era la sconfessione di Franco (cui noi e gli inglesi non eravamo preparati), mentre anche l'altra condizione costituiva per noi un grosso onere (Estremo Oriente? Concessioni finanziarie?). Rifiutai invece nettamente di prendere in considerazione il tentativo russo di porre la Bulgaria, la Romania e l'Ungheria al livello dell'Italia con dichiarazioni similari. Le discussioni dei tre ministri degli Esteri andarono innanzi per cinque sedute. I dibattiti furono assai laboriosi. Ma io non volli cedere, sostenendo sempre il principio che il popolo italiano meritava uno speciale riconoscimento e doveva essere aiutato a riprendere la sua via tra le Nazioni democratiche. Finalmente il testo controverso fu portato ai Tre, per la decisione; il maresciallo Stalin avanzò nuove esigenze e gli inglesi titubarono; io dichiarai che avrei ritirato il mio schema di comunicato riguardante l'Italia, ma sarebbero cadute al tempo stesso tutte le concessioni ch'io avevo dovuto fare a questo proposito. E mi rimisi il foglio in tasca. Stalin, stupitissimo, mi fece domandare se intendessi proprio annullare tutta quella parte della discussione e i suoi risultati. Risposi che per me era già fatto. Poche ore prima del varo del comunicato e della nostra partenza, venne da me Molotov per dirmi che le mie vedute ed il mio testo sull'Italia erano accettati. Sono molto lieto che questo sia potuto avvenire. In ogni modo gli Stati Uniti avrebbero agito lo stesso verso l'Italia nel senso indicato nelle formule americane.

Ho reiterato a Byrnes i miei vivi ringraziamenti alla fine di questo suo racconto, che egli mi ha fatto coll'accento della più determinata simpatia per il nostro Paese.

È possibile che egli abbia voluto espormi come erano andate veramente le cose a Potsdam perché il Dipartimento ebbe ad apprendere tempo fa da Roma che codesta ambasciata d'Inghilterra avrebbe tenuto a porre in rilievo presso codesto ministero delle prevalenti benemerenze di Londra nella redazione della parte del comunicato di Potsdam concernente l'Italia. La cosa evidentemente non aveva fatto piacere benché al Dipartimento si tendesse a scherzare su questa sollecitudine britannica nei nostri confronti.

Il netto atteggiamento del segretario di Stato nella questione italiana ha fatto, a quanto risulta grande impressione sul governo· inglese ed al F oreign Office. Mi sembra che esso costituisca una rassicurante riconferma delle assicurazioni dateci negli ultimi giorni (e di cui a telegramma del 22 corrente) 1 che escludevano la possibilità che da parte americana si potesse transigere alla Conferenza di Londra sulla questione italiana a compenso di compromessi russi in altri settori. A Potsdam, infatti, delle concessioni furono fatte dagli americani ai russi ma in altri settori e proprio per ottenere l'adesione sovietica a decisioni a noi propizie.

Da altra fonte del Dipartimento si erano saputi in precedenza altri particolari sulle discussioni di Potsdam in merito alla questione di principio dei «governi

1 Vedi D. 450, inviato il 24 agosto.

democratièi rappresentativi» e delle «libere elezioni» (telegramma già citato), che ci riguardano anche. La Russia aveva chiesto che il governo americano riconoscesse quelli da essa patrocinati, Finlandia, Bulgaria, Romania ed Ungheria, riprendesse regolari rapporti diplomatici e concludesse· con essi una pace sollecita, come con l'Italia. La delegazione degli Stati Uniti appoggiata da quella britannica, aveva nettamente rifiutato per i tre governi balcanici perchè «non rappresentativi», consentendo invece volentieri di procedere al riconoscimento del governo democratico finlandese. Da parte sovietica si era allora contrapposto che neanche il governo italiano poteva considerarsi «rappresentativo».

Da parte americana si era subito risposto che tuttavia il governo sovietico lo aveva da tempo riconosciuto, in una edizione meno rappresentativa di quella attuale, riprendendo, primo fra gli alleati, relazioni diplomatiche con l'Italia; sicchè le osservazioni russe non sembravano giustificate. Da queste discussioni di Potsdam avevano tratto origine le recenti iniziative americane per la Bulgaria, Romania ecc.

* * *

Ho già sinteticamente riferito alla S.V. la mia conversazione col segretario di Stato circa i di lui assai favorevoli intendimenti alla Conferenza di Londra. Aggiungo alcuni dettagli nonchè alcune dichiarazioni da lui fattemi a proposito dell'armistizio.

Dopo avergli parlato del mio recente viaggio a Roma e della lettera rimessami dal presidente Parri per Truman 1 , gli ho rimesso la lettera di V.S. 2 , esponendogli succintamente le nostre aspettative per una pace giusta. Ho aggiunto che il nostro governo ed il popolo italiano attendono dall'America comprensione ed ausilio in questo momento decisivo ed hanno piena fiducia nell'amicizia del governo e del popolo degli Stati Uniti.

Byrnes mi ha assicurato che la lettera di V.S. era proprio quanto desiderava e che avrebbe esaminato le nostre richieste colla più viva simpatia. Egli stava appunto studiando a fondo i nostri problemi. Mi ha detto che il segretario aggiunto Dunn sarebbe rimasto quando egli Byrnes sarebbe ritornato agli Stati Uniti, una volta risolte le questioni principali. Riteneva quindi opportuno che io parlassi con lui delle questioni di dettaglio. Mi ha quindi dichiarato spontaneamente: «A Londra farò tutto quanto potrò per aiutare l'Italia ad uscire dalla crisi; siatene certo. Continuerò la politica adottata a Potsdam e qui perseguita». Gli ho risposto che apprezzo pienamente il valore delle sue assicurazioni; giacchè il popolo italiano non dovrà temere ingiuste condizioni se a Londra avrà l'appoggio dell'operante buona volontà degli Stati Uniti.

Byrnes mi ha allora detto che aveva già a Potsdam tentato di ottenere la soppressione del nostro armistizio. In dichiarazioni fatte alla sua prima conferenza stampa, il 23 corrente, aveva espresso pubblicamente il proprio giudizio che le clausole dell'armistizio fossero ormai «obsolete». Ove del caso, avrebbe nuovamente agito a Londra nello stesso senso. Come è noto a V.S. (telegramma 177)3 fin dalla

t Vedi D. 445. 2 Vedi D. 446. 3 Vedi D. 258.

metà dello scorso giugno, ci venne detto al Dipartimento di Stato che, pur ritenendosi che entro tre mesi tutto il lavoro preparatorio per la conclusione della pace sarebbe ultimato, si era disposti, in caso di ulteriori ritardi ad una sostanziale revisione delle clausole armistiziali. Seguì poi, se ben ricordo, il progetto comunicatole dall'ambasciatore Kirk. Ho esortato, ad ogni buon fine, Byrnes a perseguire questo suo proposito circa la soppressione dell'armistizio.· Egli mi ha ripetuto che l'Italia poteva fare sicuro affidamento sulla ferma posizione che l'America avrebbe preso a Londra -come già a Potsdam -e che egli confidava che le potesse essere assicurata una pace che vivificasse le sue energie.

Il segretario di Stato ha dato a tutta la nostra conversazione un tono di vivace e franca cordialità.

* * *

Ritengo che da parte nostra di possa contare sicuramente alla Conferenza di Londra sull'indiscutibile ed operante simpatia per l'Italia del segretario di Stato Byrnes, di cui egli ha, del resto, già dato prova a Potsdam. Questi sentimenti che sono condivisi dal presidente Truman ed, in massima, dal governo e dal Dipartimento di Stato sono sostanziati dalle motivazioni di politica internazionale ed interna, accennate nell'appunto n. 972 del 15 corrente.

n governo inglese e questa ambasciata britannica hanno già preso in debita considerazione l'atteggiamento di Byrnes nei nostri confronti. È da presumere che, data anche l'attuale situazione politico-economica inglese, alla Conferenza di Londra ne dovremmo constatare il beneficio. Per quanto riguarda l'U.R.S.S., Byrnes non è certo filocomunista ed è sostenitore di una politica ferma e di mutuo rispetto, come provano recenti eventi balcanici. Le considerazioni fatte dall'ambasciatore Quaroni circa il crescente prestigio di cui godono gli Stati Uniti in Russia 1 , dovrebbero quindi essere considerate alquanto tranquillizzanti.

Per opportuna conoscenza della nostra delegazione a Londra, aggiungo qualche dettaglio sulla persona di Byrnes. Il segretario di Stato è oriundo del so/id South (South Carolina). Si dice che agli inizi della sua carriera politica sia stato molto appoggiato e facilitato da Bernard Baruch, il noto finanziere e consigliere politico di vari presidenti. È stato deputato e senatore. Ha avute importanti cariche di governo sotto il presidente Roosevelt, che accompagnò a Yalta, dove non avrebbe condiviso la di lui politica molto conciliante. Difatti, poco dopo il suo ritorno a Washington, si dimise. Allevato nella religione cattolica, passò. successivamente al protestantesimo, si è detto per essere facilitato nell'ascesa politica (negli Stati Uniti non si è ancora avuto il caso di un presidente di fede cattolica). Questa circostanza, che provocò il risentimento delle masse cattoliche locali, unite all'opposizione della

C.I.O. 2 nel campo del lavoro, lo escluse nell'ultima «convenzione» elettorale del partito democratico dalla candidatura alla vice presidenza della Repubblica. Escluso lui ed escluso Wallace, perchè considerato troppo simpatizzante per la sinistra, si addivenne alla candidatura di compromesso di Truman.

l Vedi D. 460. 2 Congress of Industriai Organisations, uno dei sindacati americani.

L'opportunità che ne deriva per Byrnes di evitare ogni causa di possibile rinfocolamento del risentimento dei cattolici, non può che incoraggiare le di lui naturali simpatie per l'Italia, giacchè un suo diverso atteggiamento non mancherebbe di essere interpretato da queste tanto suscettibili masse cattoliche come influenzato dal suo cambiamento di fede. Sicchè anche l'interesse politico personale è sprone ai di lui sentimenti.

473

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 692/303. Mosca, 28 agosto 1945 (per. 1'8 settembre).

Il signor Shapiro, corrispondente a Mosca dell'United Press, di ritorno da una sua visita in Jugoslavia mi ha riferito alcune sue impressioni sulla situazione in Jugoslavia.

Il regime di Tito è solidamente stabilito e non si vede come potrebbe essere tolto di mezzo altro che da una rivoluzione, le cui conseguenze sarebbero una guerra civile lunga e sanguinosa. Non mancano in Jugoslavia, e specialmente in Serbia, elementi che pensano alla possibilità di un colpo di forza, ma egli ritiene non abbiano vero seguito fra la popolazione.

La Jugoslavia è devastata e distrutta dalla guerra in misura molto forte, l'agricoltura stessa è disordinata e si teme una carestia: le perdite che la popolazione ha subito, per effetto della guerra, della guerra civile, degli odi di razza sono assai forti. Anche gli elementi, abbastanza numerosi che hanno delle diffidenze nei riguardi di Tito, in quanto comunista, e serie preoccupazioni per l'avvenire, ritengono tuttavia che egli sia l'unica alternativa ad una guerra civile e quindi lo appoggiano. Gli elementi più intelligenti si rendono conto che le difficoltà inerenti alla composizione etnica e religiosa della Jugoslavia, acuite dalle circostanze degli avvenimenti degli ultimi quattro anni, possono essere superate solo da persone che, essendo comuniste, sono al di sopra delle concezioni tradizionali: ritengono quindi che solo il regime di Tito sia in grado di guidare il Paese attraverso una crisi che altrimenti potrebbe essere fatale alla stessa esistenza della Jugoslavia.

Egli ritiene che di tutti i governi attualmente esistenti nella zona d'influenza russa, quello di Tito sia il solo che, in caso di elezioni liberamente tenute, avrebbe una maggioranza assoluta.

Nell'attuale governo jugoslavo, come in tutti i governi provinciali, i comunisti sono in minoranza, ma occupano le posizioni principali. Si stanno attuando delle riforme in senso socialista ed altre, di portata più vasta, sono in preparazione, ma non si ha l'impressione che il Paese si vada effettivamente orientando verso il comunismo: la piccola economia individuale resta a base della vita del Paese. L'impressione del signor Shapiro è che si tratti di una politica voluta da Tito, egli avrebbe la forza e la possibilità di dare al Paese una organizzazione comunista integrale, ma non vuole farlo, sia per non arrivare ad una rottura aperta con le Potenze occidentali, sia perché la Russia non lo vuole.

A Belgrado tutti sono convinti che finiranno per aver Trieste. Ritengono che l'unico paese che si oppone alle rivendicazioni jugoslave è l'Inghilterra, ma sono convinti che con l'appoggio russo riusciranno a spuntarla. L'opinione pubblica jugoslava non ha l'impressione che anche gli Stati Uniti si oppongano a certe rivendicazioni jugoslave (su questo punto il signor Shapiro, che pure è al corrente dell'atteggiamento del suo governo, è stato formale), quindi gli inglesi sono attualmente e pubblicamente il nemico numero uno.

A sua impressione Tito, personalmente, non dà molta importanza alla questione dei confini orientali, ma ritiene di dover assumere l'atteggiamento che ha preso, per avere dalla sua gli elementi nazionalisti sloveni e croati. La Jugoslavia accetterà, ritiene, quello che sarà deciso dai Big Three: gli anglo-americani saranno accusati di ostilità alla Jugoslavia progressista, si strillerà dei diritti conculcati della Jugoslavia, della reazione italiana etc., ma non accadrà niente di serio. Ha avuto anche l'impressione che, in alto, in Jugoslavia sappiano che le possibilità di appoggio della Russia hanno dei limiti.

Mi ha ancora detto che ad impressione di rappresentanti americani a Belgrado, l'orientamento della Jugoslavia verso la Russia deve essere considerato come definitivo e che la Jugoslavia è definitivamente perduta per l'Occidente. I rappresentanti inglesi, invece, sarebbero dell'opinione che ci siano ancora delle possibilità di modificare la situazione.

Pur ammettendo che gli inglesi hanno in questo campo un'esperienza ed un'abilità ben superiori a quelle degli americani, il signor Shapiro stesso, e per quel che concerne la Jugoslavia, ritiene siano gli americani ad aver ragione.

Il signor Shapiro non è una persona particolarmente intelligente: è piuttosto un cacciatore di notizie che un giornalista politico: ha però una larga esperienza di questa parte del mondo. Data la scarsezza di informazioni sulla Jugoslavia, ho tuttavia ritenuto opportuno riferire a V.E. quanto precede. Di veramente interessante, per noi, non c'è che la differente interpretazione inglese ed americana dell'orientamento politico jugoslavo: e su questo argomento ho tutte le ragioni di ritenere esatte le informazioni del mio interlocutore.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MIGONE

T. S.N.D. 5819/344. Roma, 29 agosto 1945, ore 12,45.

Suo 450 1•

Anche R. ambasciata a Washington ci conferma2 dichiarazioni fattele da Baker circa perdurante perplessità Foreign Office su atteggiamento assumere relativamente alle principali questioni italiane, per talune delle quali vi sarebbero esitazioni fra soluzioni diverse.

In materia coloniale, su cui le perplessità sembrano maggiori è bene attenersi alla tesi: sovranità italiana in Tripolitania e Cirenaica occidentale; zona strategica

I Vedi D. 435. 2 T. s.n.d. 7264/407 del 23 agosto, non pubblicato.

o regime da concordarsi per Marmarica; sovranità italiana su Eritrea; sbocco al mare per Etiopia sia entro territorio italiano sia con rettifiche di frontiera attraverso possibili accordi diretti; amministrazione fiduciaria su Somalia, se questo sarà regime prescelto per le regioni finitime.

475

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7524/400. Mosca, 30 agosto 1945, ore 18,11 (per. ore 9,30 del 31).

Telegramma di V.E. 408 1 .

Non intendevo suggerire nostro riconoscimento governo albanese adesso, ma attirare attenzione V.E. su grande interesse che si ha a Mosca e a Belgrado per eventualità fosse possibile servirsene come elemento di scambio per nostra questione Venezia Giulia. È d'altra parte opportuno tener presente (dato estremo interesse inglese sorti Albania e complessa sua situazione a questo riguardo verso Grecia) pericolo che governo inglese consenta concessioni nostre frontiere in cambio concessioni per Albania.

Non avevo tenuto presente questione Alto Adige nel mio suggerimento plebiscito. Se del resto si accetta linea Wilson come base di discussione miei timori vengono a cadere. È bene tener presente che Russia per evitare creare precedente o spiacevoli comparazioni sua azione sue zone influenza si opporrebbe a idea plebiscito ovunquè ciò sia. Qualora linea Wilson non venisse accettata converrebbe studiare se e fino a che punto ci possa convenire metterei su terreno plebiscito allo scopo indurre anglo-americani farci proposte più favorevoli, per evitare noi insistessimo pubblicamente su posizione che a loro potrebbe essere difficile rifiutare di fronte loro opinione pubblica e che susciterebbe nuovo contrasto con Russia.

Spiego più ampiamente quanto precede con rapporto2 che invio con Messeri.

476

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. [Roma, 30 agosto 1945]3.

Anche nelle discussioni dei problemi coloniali vi è scelta di metodo come per tutte le controversie di ordine internazionale.

I Vedi D. 457. 2 Non pubblicato. 3 L'appunto, privo di data, reca l'annotazione «Verso 30 agosto».

Il metodo tradizionale sta in primo tempo nel tentare di mantenere lo status quo, nella presunzione che lo status quo in un determinato argomento sia sempre lo stato da preferirsi anche se mutate sono le situazioni ambientali che lo hanno determinato, quasi il non mutare fosse una meta ideale e permanente, mentre in realtà le genti umane hanno eternamente bisogno di nuovi esperimenti e fors'anche di nuovi errori da cui traggono la forza animatrice verso nuove speranze.

Questa classica tendenza della difesa passiva del ripiegamento su linee successive è quella quasi sempre seguita nelle trattative internazionali: essa praticamente affida alla stanchezza di una delle parti o alla disattenzione dell'altra, piuttosto che alla logica ed alla giustizia, la scelta della soluzione. Si spiega così la mediocrità transazionale ed antitecnica di tante soluzioni a cui così sovente si addiviene nei rapporti internazionali.

Reputo invece si debba studiare quale è la soluzione opportuna di ogni problema che viene a porsi maturandola nel quadro generale dell'ora ancor più che nel rimpianto generico dello stato di fatto determinato da situazioni oltrepassate. E ciò è ancor più vero quando lo stato di fatto a cui si riferisce il rimpianto non è più che crollo e rovina. Ed è appunto il caso delle colonie italiane.

Se ci attardiamo nella difesa della sovranità italiana sulle nostre antiche colonie, ci affatichiamo a salvare qualche brandello del passato: e i brandelli che ci verranno lasciati saranno i più mediocri. Non è rimpiangendo bandiere ammainate o vaticinando ancora trampolini strategico-espansionistici che si imposta oggigiorno il problema delle colonie italiane, ma altrimenti, ossia affermando che è conforme all'interesse italiano ma ancor più a quello di una economia africana avvenire, che il lavoro italiano riprenda là dove già aveva dato così serie e feconde prove. Se la ripresa sarà un successo, il lavoro italiano potrà, anche in un'Africa avvenire trovare spontaneamente nuove ragioni di naturale sviluppo prescindendo da frontiere e combinazioni politiche.

È questione non essenziale il sapere per quale delle nostre antiche colonie la sovranità italiana sarà ancora ammessa, e probabilmente lo sarà almeno per la Tripolitania, la più infeconda delle terre da noi possedute in passato; è invece questione di capitale importanza il sapere se il lavoro italiano potrà riaffermarsi sull'altipiano cirenaica ed oltre il canale di Suez. Ma questo lavoro potrà accelerare il suo ritmo solo se ingenti capitali potranno sorreggerne lo sforzo: e come l'Italia può sperare di trarre dalle sue proprie disponibilità tali capitali?

È pertanto mia personale opinione che nel joint trusteeship stia la vera soluzione del problema della ripresa della espansione italiana in Africa. Reputo altresì che una netta presa di posizione in tal senso potrebbe molto validamente rafforzare la nostra posi;zione nell'ora in cui dovremo affrontare questi problemi con gli alleati per addivenire alla stipulazione della pace.

Per precisare il mio pensiero reputo che se, come è probabile, ci verrà consentita la sovranità della Tripolitania, noi non dovremo attardarci in contestazioni con la Francia sul problema del Fezzan ma piuttosto dedicarci a salvare ciò che ben più importa, ossia l'altipiano cirenaica, senza mostrare riluttanza all'accettazione di un trusteeship per la Cirenaica in collaborazione con le Potenze anglo-sassoni e anche con l'Egitto. Una nostra politica lealmente ispirata a questi concetti verrebbe a sfatare ogni ipotesi di nostre mire strategiche: la stessa gonfiatura senussita riprenderebbe conseguentemente le sue logiche proporzioni.

Ugualmente credo che per il problema eritreo il trusteeship non dovrebbe essere da noi considerato con eccessiva apprensione: dissiperebbe molte prevenzioni e verrebbe ad associarsi automaticamente a quella grande politica di controllo del Mar Rosso che avrà nei prossimi anni così interessanti sviluppi. Porrebbe altresì necessarie premesse ad una ripresa politica dei rapporti italo-etiopici. Tale politica avrà per noi negli anni futuri una notevole importanza, ma non bisogna troppo affrettarne la ripresa. Occorre prima definire totalmente la nostra situazione in Eritrea e chiarire i nostri rapporti futuri con l'Inghilterra. Solo allora vi saranno le basi sicure per iniziarla nuovamente con conoscenza di causa e con serie probabilità di efficace lavoro.

Ci sono giunte più precise indicazioni di progetti interessanti i territori somali: si tratterebbe dell'unione di un vasto trusteeship della Somalia italiana e britannica e dell'Ogaden. Da quanto è stato detto più sopra consegue logicamente che tale progetto dovrebbe trovare in noi decisi fautori.

Nel rapido esposto che precede ho voluto indicare in riassunto il mio pensiero su di un programma di politica coloniale italiana: consiste in una decisa presa di posizione in favore del joint trusteeship ispirata al concetto che la nostra attività coloniale non deve essere né politica di espansione, né politica di equilibrio strategico, ma unicamente ed esclusivamente politica di lavoro nell'ambito di un sincero tentativo di collaborazione internazionale inteso a determinare un esperimento di trasformazione dell'economia africana.

477

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7617/913. San Sebastiano, 31 agosto 1945, ore 22 (per. ore 9,20 del 2 settembre).

Ho avuto lungo e cordiale colloquio con ministro degli Affari Esteri: avendomi egli accennato ad informazioni pervenutegli probabilmente da Sangroniz circa atteggiamento italiano verso Spagna, ho tenuto chiarirgli nostra posizione e nostra completa aderenza a politica Gran Bretagna e Stati Uniti. Ministro ha vivamente apprezzato tale chiarimento. Egli mi ha annunziato che nella prima decade settembre avrà luogo importante riunione Consiglio dei ministri nella quale verranno prese decisioni nel senso della evoluzione del regime interno spagnolo auspicata dagli Alleati e per la quale ambasciatore degli Stati Uniti ha esercitato continue vive pressioni, come mi confermava ieri anche questo capo di Gabinetto. Tali decisioni verranno poi solennemente adottate dalle Cortes.

Da informazioni assunte risulta che decisioni prossimo Consiglio dei ministri dovrebbero comprendere proclamazione ufficiale monarchia e creazione temporaneo Consiglio del Regno, rimpasto ministeriale con esclusione esponenti falangisti ed inserzione taluni elementi graditi agli Alleati, abolizione censura della stampa ed altre misure in applicazione principi sanciti dal Fuero de los espaiioles (mio rapporto n. 1530) 1 .

Naturalmente proclamazione ufficiale monarchia non implica automatico allontanamento Franco bensì appare piuttosto per ora anticipato e completo riconoscimento essenza monarchica Stato spagnolo che Franco aveva preannunziato nel suo discorso del 17 luglio u.s. È degno di nota il fatto che, mentre i mutamenti erano previsti per i primi di ottobre (mio telegramma numero 889) 2 , Consiglio dei ministri sia stato anticipato in modo farlo precedere di pochi giorni la riunione a Londra dei cinque ministri Esteri.

478

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PER CORRIERE 8132-8133/0125-0126. Washington, 31 agosto 1945 (per. il 12 settembre).

Riferisco a V.E. nei dettagli il colloquio avuto oggi col presidente degli Stati Uniti, già riassunto nel mio telegramma odierno n. 429 3 .

Il presidente Truman mi ha accolto con grande cordialità. Gli ho presentato la lettera del presidente Parri 4 , illustrandogliela brevemente. Gli ho detto come dalla prossima Conferenza di Londra dipenda l'avvenire d'Italia, e come quell'avvenire sia, praticamente, nelle sue mani. Mi ha risposto: «Abbiamo fatto e siamo pronti a fare tutto il possibile perché l'Italia abbia una pace giusta, non una pace punitiva. Mi rendo conto perfettamente della terribile tragedia che ha colpito il popolo italiano nel recente passato. Sono fermamente convinto, l'ho dimostrato coi fatti, che l'Italia merita di essere aiutata, salvata, e non saranno risparmiati sforzi perché lo sia».

Gli ho quindi detto che una seconda lettera di V.S., con la definizione delle condizioni di pace considerate giuste od accettabili dal governo italiano, è stata da me consegnata al segretario di Stato Byrnes 5 . Truman mi ha risposto: «Me la farò comunicare da Mr. Byrnes». Gli ho allora consegnato il riassunto che ne è stato fatto da questa ambasciata. Ha mostrato di gradire molto il pensiero di fornirgli un documento breve. Mi ha subito detto: «Parlerò di tutto questo col segretario di Stato».

Gli ho accennato al mio viaggio in Italia e alle difficili condizioni in cui l'ho trovata, condizioni che diverranno più gravi coll'inverno. Truman ha osservato:

' Non pubblicato.

2 T. s.n.d. 7336/889 del 25 agosto, non pubblicato.

3 T. s.n.d. 7636/429, non pubblicato. Sul colloquio cfr. TARCHIANI, Dieci anni tra Roma e Washington, cit., pp. 90-91.

4 Vedi D. 445.

s Vedi D. 446.

«So da molte fonti quale sia la situazione italiana; mi riprometto di fare del mio meglio per porvi rimedio». Ho da parte mia insistito sulla eccezionale povertà del raccolto. Mi ha interrotto: «Persone arrivate in questi giorni mi hanno informato anche di questa avversa e grave circostanza. Si farà tutto quanto si potrà per alleviare gli effetti della penuria in Italia. Mi rendo perfettamente conto del come il fattore economico ed alimentare possa influire sulla situazione sociale e politica. Nelle grandi come nelle piccole questioni gli Stati Uniti saranno accanto all'Italia e l'assisteranno».

Ho insistito quindi sulla necessità di una pace equa, che possa essere onestamente accettata, e non lasci profonde amarezze e legittimi risentimenti nelle masse italiane, già tanto provate dal fascismo e dalla guerra. Truman ha ribadito che è sua ferma intenzione che così sia. Gli ho parlato allora delle questioni territoriali che dovrebbero essere regolate a Londra. Mi ha ripetuto di volerne trattare a fondo con Byrnes. A miei accenni alle particolari questioni, dopo avermi informato delle assicurazioni qui avute da de Gaulle e Bidault (e di cui ad altro telegramma per corriere odierno) 1 mi ha espresso il timore che la questione della Venezia Giulia sarà a hard nut to crack with Tito. Gli ho subito risposto: «Noi abbiamo invano più volte tentato trattative dirette con Tito; non siamo neppure riusciti a prendere contatto con lui. Temo perciò -ma la cosa mi rassicura -che sarà sopra tutto l'America ad avere grosse difficoltà con la Jugoslavia. D'altronde sono certo che gli Stati Uniti hanno tutti i mezzi necessari per indurre Tito ad una soluzione ragionevole per i confini italo-jugoslavi; confini che non interessano soltanto l'Italia, ma anche l'Austria e tutte le Nazioni Unite». Quando ha sentito che la controversia con Tito era soprattutto affare americano, e nelle sue mani, il presidente si è messo a ridere di cuore con franca schiettezza ed ha poi nettamente affermato: «Sono del suo parere. Anche per questo faremo del nostro meglio, come già nel maggio scorso e cercheremo di trovare una soluzione che corrisponda a giustizia». L'accenno a Tito è stato fatto da Truman con tono di chi si riferisce ad un molto malvisto e pericoloso personaggio. I suoi personali sentimenti per il maresciallo jugoslavo sono d'altronde noti a codesto ministero. Né p()Ssono non essere stati rafforzati dalle note opinioni ed iniziative americane sui «regimi democratici e rappresentativi» nei Balcani.

Come V.S. rileverà, il presidente mi ha parlato soltanto dei rapporti italo-francesi e di Tito. Gli è che sono queste le nostre questioni che egli meglio conosce, date le posizioni assunte dagli Stati Uniti a nostro favore nelle crisi del maggio scorso ai nostri confini occidentali e nella Venezia Giulia.

Ho ringraziato il presidente e gli ho detto che sia nel caso della Venezia Giulia come negli altri, nelle questioni gravi come in quelle minori, l'Italia, per vivere e per riprendere la sua funzione di Nazione democratica accanto alle altre, ha bisogno di essere trattata da amica e non da ex-nemica. Con questo animo essa sarà sempre a fianco dell'America, nella famiglia delle Nazioni Unite, di cui gli Stati Uniti hanno con tanto vigore ed entusiasmo preso il leadership. Il presidente Truman mi ha dichiarato: «Apprezzo molto questi suoi sentimenti. Conosce i miei che sono di franca ed attiva amicizia nei riguardi dell'Italia. Gli Stati Uniti saranno lieti di avere il popolo italiano nella famiglia delle Nazioni, nella quale saranno onorati di

1 T. s.n.d. per corriere 8137/0130, non pubblicato.

mantenere il leadership democratico, con le sue responsabilità». Ho ringraziato il presidente delle confermate calorose disposizioni verso l'Italia. Mentre prendevo congedo egli ha aggiunto nuove e vive espressioni di simpatia per il nostro paese. Truman, come è noto a V.S., mi aveva già manifestato tali suoi sentimenti per l'Italia, quando era vice presidente con Roosevelt (mio telegramma per corriere O14 del 16 marzo u.s.)l. Non dubito che essi sono sinceri.

Riferisco la parte della conversazione col presidente degli Stati Uniti relativa alla democrazia in Europa e alle nostre elezioni. Truman ha affrontato il problema esaminando la crisi della democrazia in Europa, perfino in Francia, in Belgio e in Olanda, attribuendola al caos economico e alla diseducazione delle popolazioni troppo provate e sconvolte. Ho ammesso come tali fattori negativi esistano anche in Italia osservando che, attraverso libere e regolari elezioni, l'Italia ha bisogno di fondare su salde basi una robusta struttura democratica, rispondente alle sue tradizioni ed aspirazioni. Mi ha risposto di essere nettamente di questo parere e di ritenere rispondenti allo scopo delle elezioni costruttive ad una ragionevole scadenza, e non una lotta elettorale immediata che non dia risultati sicuri e non sia prova della matura volontà politica del popolo italiano. Accennando alla dichiarazione di Bevin, mi ha detto in tono risoluto: «Farò parlare a Londra da Byrnes perché sono assolutamente convinto che le elezioni italiane, per riuscire utili e dimostrative, devono essere fatte sotto tutte le possibili garanzie di regolarità e debbono dare risultati non contestabili». A questo proposito gli ho parlato ancora dei pericoli che si nutrono per l'inverno, se non interviene l'America, che sola può dare un sostanziale aiuto per attivare il lavoro italiano e fornire i viveri indispensabili. Mi ha subito e decisamente risposto che non dimentica questo lato della questione. Tutto il possibile durante l'autunno e l'inverno sarà fatto, di modo che il popolo italiano non debba a primavera trovarsi in uno stato d'animo di giustificato malcontento e di pessimismo.

479

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

L. PERSONALE SEGRETA 3/1451. Roma, 31 agosto 1945.

È bene ella sappia che secondo informazioni degne di fede risulterebbe che, ove nel Convegno di Londra la stipulazione di una pace punitiva con l'Italia risultasse particolarmente difficile o troppo lenta, potrebbe venir presa in considerazione l'eventualità di affidare a quelle stesse autorità militari che hanno firmato l'armistiz~o l'incarico di addivenire ad un accordo che stabilisse la fine dello stato armistiziale e il riconoscimento che esiste fra noi e gli Alleati uno stato di pace provvisoria.

Vedi D. 97.

La Commissione Alleata verrebbe in questo caso sostituita da una commissione di esperti finanziari, cui parteciperebbe l'Italia che verrebbe a far parte delle Nazioni Unite. Sarebbe questa una delle soluzioni, cui del resto anche ella accenna nel suo rapporto del 6 agosto n. 262 1 e che, come ella ricorderà, fu presa anche da parte nostra in considerazione prima dell'avvento del governo laburista, di fronte alla prospettiva di una pace particolarmente dura. E se questa prospettiva dovesse per avventura ripresentarsi, continuerebbe certo ad essere una soluzione.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

L. PERSONALE SEGRETA 3/1453. Roma, 31 agosto 1945.

Le accludo un telegramma dell'ambasciatore Carandini relativo a un suo colloquio (22 agosto) con l'ambasciatore sovietico a Londra 2 .

Tengo presente quanto ella mi scrive coi suoi rapporti del 31 luglio e del 6 agosto3 che hanno per oggetto rispettivamente le elezioni inglesi e la pace con l'Italia, che ho letto con molto e vivo interesse e di cui condivido molte delle conclusioni.

Credo ora convenga, alla vigilia della Conferenza di Londra, che ella solleciti una franca conversazione con codesto governo. Lo spunto le potrà essere offerto dall'annunzio che la prego di dare ufficialmente, che l'esproprio della villa Abamelek è in corso e che speriamo di portarlo a termine a brevissima scadenza. L'esito non è comunque dubbio. Il dott. Prato le spiegherà a voce quali difficoltà abbiamo dovuto superare e come intricata fosse la questione giuridica e costosa per l'erario italiano l'iniziativa (oltre 200 milioni). È questo dunque un gesto che vuole e deve essere inteso come esclusivamente politico: che deve cioè essere inquadrato in quelle che sono le direttive generali della politica italiana verso la Russia.

La autorizzo a dichiarare al riguardo a codesto governo che, una volta risolto onestamente il problema della pace, (e le dico a parte che cosa noi intendiamo per soluzione onesta) l'Italia vuole sopra tutto vivere in pace. È assolutamente estraneo al nostro pensiero il proposito di subordinare in qualche modo a pregiudiziali anticomuniste la nostra politica verso la Russia, del cui enorme peso economico, militare, politico ci rendiamo perfettamente conto. Ciò significa che non solo non le siamo ostili, ma che non intendiamo affatto di essere o di servire da eventuale antemurale offensivo contro il mondo slavo in generale, contro la Russia sovietica in particolare. Ciò significa altresì che non siamo disposti ad entrare entro alcuna coalizione offensiva che sia eventualmente diretta contro Mosca.

l Vedi D. 390. 2 Vedi D. 444. 3 Vedi DD. 374 e 390.

Aggiunga, la prego, che siamo inoltre pronti a dare il maggiore sviluppo possibile, sia alle relazioni commerciali sia a quelle culturali fra i due Paesi e che qualunque iniziativa in questo senso ci troverà subito e perfettamente consenzienti.

Il fatto che chi le scrive, oltre che ministro degli Esteri è anche il capo del partito democristiano, dovrebbe dare alle mie parole carattere e tono anche più impegnativo. Tali concetti ho avuto del resto occasione recentissima di esporre pubblicamente nel discorso di cui le ho trasmesso i punti essenziali con mio telegramma n. 4 I 9 1•

Ora, per attuare una politica siffatta abbiamo tuttavia evidentemente bisogno dell'assistenza e dell'appoggio sovietico. È cosa nota ormai a tutta l'opinione pubblica italiana quale sia stato l'atteggiamento della delegazione sovietica nei nostri confronti e quali le tendenze russe per una pace punitiva. È altresì ormai noto a tutta l'opinione pubblica italiana l'aperto e franco appoggio che ci proviene da Washington e l'evoluzione della politica laburista verso l'Italia.

È forse proposito sovietico quello di indebolirei in modo tale da porci, piedi e mani legate, alla mercè di una sola Potenza? Non direi. Ma questo sarebbe indubbiamente, noi volenti o nolenti, il risultato di un siffatto atteggiamento.

È comunque certo che tutto ciò che rafforza le nostre possibilità di vita e di esistenza, ci consentirà automaticamente quella onesta e dignitosa politica di pace che intendiamo attuare e, sopra tutto, quella politica di equidistanza e di non partecipazione ad eventuali blocchi che è, ripeto, assolutamente estranea ai nostri propositi.

È superfluo aggiungere che quanto io le scrivo oggi non risponde affatto alla necessità in cui ci troviamo di tentare di ottenere all'ultimo momento l'appoggio sovietico, ma a un mio ponderato e meditato giudizio.

Dia, la prego, alle presenti comunicazioni il tono e la forma che le sembreranno più opportuni e persuasivi, accompagnandole con quelle argomentazioni che le suggeriranno la più esatta valutazione degli uomini e delle cose che localmente ella possiede.

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, HOPKINSON

Roma, 31 agosto 1945.

Con riferimento al suggerimento del mm1stro Bevi n da lei trasmessoci 3 , la prego, signor incaricato d'affari, di voler comunicare a Londra che il governo Parri è unanime nel proposito di voler giungere rapidamente alle elezioni politiche

l T. 5747/419 del 27 agosto: dichiarazioni di De Gasperi sulla Jugoslavia al congresso democristiano.

2 Minuta autografa.

3 Vedi D. 447.

più presto che sia possibile, ma che anche con riguardo alle elezioni municipali la cui preparazione è più avanzata, non è ancora in grado di fissare la data delle une e delle altre.

Il conte Carandini che ritorna subito a Londra è incaricato di mettersi a disposizione del ministro Bevin per ogni spiegazione integrativa. Mi affretto a restituirle qui unito il telegramma da lei rimesso mi in visione 1•

482

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

L. 3/1461. Roma, 31 agosto 1945.

La circostanza che avevo avuto occasione di recente di scambiare con te le nostre informazioni e vedute circa le condizioni di pace mi aveva permesso di non ricorrere a nuovi contatti personali che t'avrebbero nuovamente fatto ripassare le Alpi; ma ora sono ben lieto che il passaggio di Carandini mi dia modo di aggiungere tutte le osservazioni e indicazioni supplementari che ti possano giovare nelle conversazioni di costì. Egli ti dirà a mio nome con quanta cura e perplessità io abbia raccolto elementi di giudizio circa le proposte francesi. Se avessi visto la possibilità di accettare la cessione di Briga e Tenda, ti avrei naturalmente telegrafato subito: avendo invece gli assaggi qui fatti condotto a risultati negativi, ho voluto esaurirli fino in fondo. Il Comitato di difesa si è pronunciato assolutamente contrario, sia per ragioni militari che economiche; il presidente e i ministri che personalmente conoscono le frontiere sono del parere recisamente avverso. Anche Nenni mi disse di non credere che i militari francesi insisterebbero e aggiungo, confidenzialmente, che anche qualche diplomatico francese e straniero sconsigliano di considerare tale postulato dello Stato Maggiore francese come definitivo. Ho quindi l'impressione che una tal concessione da parte nostra urterebbe non solo contro ragioni obbiettive, ma ci solleverebbe contro il sentimento del paese. E pure io che ho firmato l'umiliante convenzione di Tunisi, presentatami come liquidazione definitiva, io che sento come te l'amore per la Francia e i necessari vincoli economici e politici che reciprocamente ci stringono sono turbato dalla prospettiva che una rettifica in fondo così piccola, ma troppo significativa, metta in forse l'avvicinamento che dobbiamo volere. Ma è proprio vero che ci si voglia imporre una concessione che l'opinione pubblica italiana non comprenderebbe? Possiamo discorrere delle altre correzioni richieste, compreso il Piccolo S. Bernardo e l'abbattimento di Chaberton, si può parlare perfino della smilitarizzazione (sul che i militari però non vennero sentiti), ma come giustificare quel cuneo nella Valle del Roja?

l Il telegramma, come risulta dalla L. 25/46/45 del 6 settembre con cui Hopkinson accusava ricevuta di questa lettera, conteneva un estratto del discorso di Bevin.

Credilo, che perfino la rettifica nel Fezzan, che pur siamo disposti a considerare, ci metterà in imbarazzo coi tripolini, i quali ci rimproverano -ne ho parlato tre giorni fa col Caramanli -di spezzare con una frontiera le naturali relazioni economiche che legano i fezzanesi cogli abitanti della costa!

Carandini ti dirà del nostro animo e della mia fiducia che tu riuscirai a ménager il negoziato, senza mettere in pericolo il nostro comune intento di collaborazione e inquadrandolo nella situazione generale che ti verrà integrata cogli ultimi dati.

Accetta pertanto ogni mio augurio e ringraziamento per la tua fatica di cui so in anticipo il merito e la difficoltà.

P.S. De Gaulle ci ha invitato a trattare prima e separatamente; noi non possiamo rifiutarci a discorrere, ma siccome non possiamo dare una risposta affermativa circa Briga e Tenda e d'altro canto non crediamo che la Francia possa esercitare preventivamente una influenza decisiva sulle deliberazioni dei cinque, abbiamo interesse a differire la conclusione della trattativa a dopo la Conferenza di Londra.

483

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 6587. Washington, l o settembre 1945 1•

Il 28 scorso fui a colazione dall'arcivescovo Spellman a New York. È la personalità più eminente e più autorevole del clero americano: in ottime relazioni col Pontefice e con le alte gerarchie vaticane, amico del defunto presidente, ha qui una notevole influenza nel campo politico per il suo prestigio sugli irlandesi, sugli italiani, sui polacchi e le altre comunità cattoliche. Il partito democratico al potere, sente assai più di quello repubblicano (conservatore, tradizionalista, di origine anglosassone e protestante) la necessità di tenere strettamente conto dello stato d'animo di tali elementi e dell'orientamento del clero nelle grandi questioni di politica interna ed estera.

Il presidente Roosevelt -più sensibile di altri uomini di Stato al valore di questi fattori -inviò ripetutamente l'arcivescovo Spellman in missione a Roma e in molti altri centri nevralgici del mondo. Ricordo, in più, che Spellman sarebbe un cardinale in pectore, e si è parlato di lui, anche nella stampa, come un possibile segretario di Stato.

La mia visita all'arcivescovo aveva per movente ufficiale l'opportunità di ringraziarlo per l'opera attiva di assistenza che egli e le organizzazioni cattoliche svolgono a favore dell'Italia in collegamento con l' American Relief for Italy2•

1 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo.

2 L'American Relief for Italy era un'organizzazione privata costituita da M.C. Taylor per convogliare verso l'Italia, con la collaborazione della Santa Sede, aiuti americani.

D'altronde m'interessava avere una impressione diretta delle opinioni, degli orientamenti e delle possibilità pratiche dell'alto clero americano nel campo politico che più ci riguarda.

Un incidente che ha funestato l'organizzazione di assistenza cattolica (l'investimento dello Empire State Building da parte di un aeroplano proprio al piano ove quella associazione ha sede) ha fatto deviare una parte della conversazione che ho avuto con Spellman e con altri cinque prelati suoi collaboratori, di cui uno solo era italiano d'origine.

Dallo scambio di idee generali apparvero assai vive tre principali constatazioni e preoccupazioni:

l) il timore che l'Italia possa andare troppo a sinistra con eccesso di velocità e di disordine;

2).la persuasione che gli Alleati (tanto inglesi, quanto americani) non hanno capito e trattato il problema italiano come avrebbero dovuto, e, sopratutto, non hanno dato quell'aiuto effettivo e proporzionato che ci si doveva aspettare da liberatori, non invasori (le critiche contro gli inglesi ~per aver più preso che dato e per aver agito con male ispirata alterigia~ sono state particolarmente aspre e di vivacissima marca irlandese);

3) la necessità di aiutare attivamente e generosamente il paese, in modo che possa riprendersi presto e sotto l'impressione, basata sulla realtà, che è stato assistito e salvato dalla fraternità americana e dalla cattolica sollecitudine.

Ho dovuto talvolta spiegare e giustificare ~assistito da Spellman ~con la necessità e le terribili esigenze della guerra certe anomalie e manchevolezze dell'azione psicologica e di assistenza materiale in Italia. Ma si trattava di idee molto radicate e assai energicamente esposte. Si è finito per ammettere che, specie a Washington, e per varie manifestazioni di Roosevelt e di Truman, si mostra interessamento all'Italia e si cerca, con spirito amichevole, di risolvere alcuni suoi problemi nonostante la serie di difficoltà procedurali e pratiche che il suo stato giuridico d'inferiorità, sotto un deciso regime di armistizio, crea di continuo.

Nel colloquio privato con l'arcivescovo si è parlato anche delle voci correnti circa la sua nomina a segretario di Stato. Le sue risposte~ per quanto accennassero alla sua nostalgia per Roma ~non mi sono apparse mai tali da rappresentare una conferma. O non sa, come è probabile, o non intende dir nulla. Gli argomenti a favore e i contrari ad una tale eventualità sono tanti e così valevoli, che è ben difficile trame un calcolo esatto. Da un lato si può notare che la morte del presidente Roosevelt ~amico personale ~può aver affievolito il potere di Spellman, dall'altro si deve tener conto del fatto che Truman si ripresenterà alle elezioni del 1948 e, quasi più del suo predecessore, può aver bisogno dell'apporto delle forze elettorali cattoliche.

L'arcivescovo mi ha parlato dell'opera di Myron Taylor a Roma e mi ha lasciato intendere che sarebbe ben lieto se l'amico suo e dell'Italia tornasse a rappresentare il presidente degli Stati Uniti presso il Vaticano. Ha aggiunto che era sua opinione che un protestante, del carattere del Taylor, fosse più indicato, per molte evidenti ragioni politiche interne ed estere, ad interpretare il pensiero americano presso la Santa Sede e viceversa. Spellman voleva alludere alla voce che Truman intendesse inviare a Roma Flynn (newyorkese cattolico, irlandese, capo politico democratico e grande organizzatore di elezioni). Il suo accenno alla preferenza per un protestante indica quale sia il giudizio ed evidentemente il consiglio di Spellman.

Gli ho parlato a lungo della necessità d'una pace giusta~ non stolidamente punitiva ~ per l'Italia e dell'opportunità che ogni buon americano cooperi a questo, come alla intesa attiva e feconda tra i due paesi. In risposta mi ha accennato al fervore quasi fanatico dei sùoi coadiuvatori per il popolo italiano. Mi ha assicurato che faranno tutto quanto potranno per influire moralmente e politicamente in nostro favore.

A proposito degli aiuti materiali americani mi ha, durante la conversazione, accennato a Crowley (irlandese, cattolico), capo della Foreign Economie Administration, ed alla recente lettera di Truman incoraggiante le varie branche dell'amministrazione a tenere conto delle necessità italiane, per !asciarmi intendere che, anche in quel caso, tanto monsignor Cicognani, tanto lui stesso, avevano agito. Ho fatto a proposito a suo tempo opportune segnalazioni.

Ho ringraziato l'arcivescovo e l'ho pregato di moltiplicare i suoi sforzi, poiché molte decisioni politiche e i rigori di un nuovo inverno si avvicinano. Mi ha risposto con le più cordiali e calde assicurazioni. Al riguardo contava vedere Truman al suo ritorno da Berlino e prima della propria partenza per il teatro di operazioni nel Pacifico (Spellman è anche ordinario militare dell'esercito americano).

484

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7645/417. Mosca, 3 settembre 1945, ore 21,10 (per. ore 12 del 4).

Telegramma di V.E. n. 5541 1• A questo commissariato Esteri mi è stato detto che tutto quello che concerne formalità armistizio con Giappone è principalmente nelle mani Stati Uniti. Mi è stato osservato che in vista nostra prossima ammissione fra Nazioni Unite osservazioni hanno valore puramente formale.

l Del 22 agosto, con il quale veniva comunicato a Mosca e Londra un riassunto del D. 415.

485

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

L. 3/1478. Roma, 3 settembre 1945.

Con telespresso n. 743 1 -parte prima -in pari data ti viene comunicato un telegramma di Tarchiani giunto oggi 2 . Non ho alcuna ragione di dubitare che quanto il segretario di Stato Byrnes ha rivelato circa le discussioni di Potsdam risponda a verità. L'atteggiamento sovietico è stato duro, la difesa americana energica, gli inglesi incerti. Può interessarti sapere che effettivamente da parte britannica ci era stato assicurato esplicitamente che il testo della dichiarazione di Potsdam che ci riguarda, era stato addirittura elaborato da Macmillan, con l'approvazione di Eden. È altresì interessante l'assicurazione americana che delle inevitabili transazioni coi russi, l'Italia non dovrebbe pagare il prezzo.

Sta comunque di fatto che Mosca è perfettamente al corrente dell'appoggio nordamericano all'Italia ed è bene sappia che codesto appoggio ci sarà continuato anche a Londra. Questa precisa sensazione non potrà non produrre i suoi effetti.

486

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. STRETTAMENTE SEGRETO 8893/1132. Washington, 3 settembre 1945 (per. i/ 12).

Appunto n. 972 del 15 agosto u. s. 3 e telegrammi successivi.

Alla vigilia della partenza per Londra della delegazione degli Stati Uniti, mi sembra utile dare all'E.V. un aggiornato quadro sintetico delle attuali posizioni americane riguardo le nostre più importanti questioni territoriali e coloniali.

Premetto che la delegazione lascia Washington senza che alcuna decisione definitiva sia stata ancora raggiunta. Il segretario di Stato, nuovo alla sua alta carica, impegnato anche in molti altri problemi di grande importanza per questo Paese (resa del Giappone; sistemazione dell'Estremo Oriente; relazioni colla Russia; collaborazione con l'Inghilterra etc.), pur avendo dedicato buona parte del suo tempo allo studio delle questioni da discutersi a Londra, non avrebbe avuto sinora modo di farsi un'opinione definitiva sulle soluzioni prospettategli dagli uffici del Dipartimento non sempre concordi. Il signor Byrnes, attenendosi anche alla prassi seguita in occasione del Convegno di Potsdam, ha deciso quindi di anticipare la

I Non pubblicato. 2 Vedi D. 472. 3 Vedi D. 419.

partenza della delegazione e di viaggiare per mare, onde avere la possibilità di dedicare alcuni giorni, in maggiore tranquillità, alle questioni italiane; di vagliare l'abbondante documentazione ed i numerosi appunti, alle volte contrastanti, che la delegazione porta seco; di stabilire infine, sulla base anche dei punti di vista del nostro governo, esposti nella lettera di V.E. a lui indirizzata 1 , le direttive cui l'azione americana si ispirerà a Londra.

Naturalmente in questo stato assai fluido di cose non è stato possibile ottenere assicurazioni precise sulle singole richieste da noi presentate: debbo però dire che, ove si prescinda anche dalla buona accoglienza riservata dal presidente e dal segretario di Stato, anche gli uffici tecnici, posti al corrente dei nostri punti di vista, hanno concordemente riconosciuto l'importanza della nostra iniziativa, assicurando che le nostre richieste non mancheranno di essere tenute in particolare considerazione. La forma moderata ed equanime in cui sono stati redatti, e l'appello rivolto a questo governo hanno fatto la migliore impressione.

Nella relativa incertezza derivante da questa condizione di cose è naturale che le informazioni e le previsioni raccolte da questa ambasciata, nei suoi contatti e nella sua opera quotidiana di collaborazione e di documentazione presso il Dipartimento di Stato, registrassero oscillazioni e variazioni sulle prospettate soluzioni di alcune tra le più importanti nostre questioni.

Punti fermi, sul cui valore pare superfluo soffermarsi, sono peraltro la indiscutibile simpatia e comprensione manifestata per il nostro Paese tanto dal presidente degli Stati Uniti e dal segretario di Stato (e circa le quali ho già dettagliatamente riferito), quanto dal segretario aggiunto Dunn (numero due della delegazione, di cui sarà a capo nella seconda fase della Conferenza), il quale conosce benissimo e nei dettagli i nostri problemi, nonché dalla maggioranza degli uffici del Dipartimento di Stato. In breve, la delegazione americana, a quanto ebbe a dichiararmi esplicitamente il signor Byrnes (miei telegrammi per corriere 0117 e 0118) 2 , intende «perseguire a Londra la politica adottata a Potsdam nei nostri riguardi»; ciò che costituisce già per noi una rassicurante prospettiva.

Nell'appunto n. 972 del 15 agosto u.s., questa ambasciata ebbe già ad accennare alle considerazioni di politica internazionale e di politica interna che sostanziano e creano una solida base all'amicizia che l'America sente per il nostro Paese. È evidente che le aspettative in noi riposte, per quanto concerne il primo ordine di considerazioni, dovrebbero essere da parte nostra consolidate in ogni possibile modo, quando la nostra delegazione a Londra prenderà contatto con quella americana. Qui si confida nella nostra ferma volontà di rimanere aderenti alle nostre tradizioni storiche, culturali, di stirpe; ma alle volte si sembra dubitare della saldezza delle nostre intenzioni e delle nostre possibilità, ed allora si teme di lavorare in sostanza pour le Roi de Prusse ... Se la nostra delegazione potrà riuscire a rafforzare questa fiducia, a dissipare questi dubbi, sono certo che i risultati saranno, od almeno si avvicineranno di molto, alle nostre fiduciose aspettative negli Stati Uniti. È questo un punto di importanza veramente primordiale. A tale proposito è necessaria una breve digressione. L'esito della guerra mondiale ha lasciato nel firmamento europeo

l Vedi D. 446. 2 Vedi D. 472.

solo due astri di prima grandezza: gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. I rapporti fra i due colossi hanno già subito in questi ultimi mesi due crisi: la prima, sorta dagli equivoci e dalle incertezze conseguenti al Convegno di Yalta, è stata felicemente superata con reciproca buona volontà, mentre per gli Stati Uniti prevaleva la considerazione che occorresse assolutamente evitare altre complicazioni quando si doveva ancora vincere la guerra, specie in Estremo Oriente. Un indice della crisi può essere tuttavia riscontrato in un poli dell'Istituto Gallup: sei su dieci degli interrogati espressero l'opinione che un redde rationem fosse, prima o dopo, inevitabile tra i due Grandi. Il Convegno di Potsdam ha lasciato l'impressione che i contrasti e le divergenze non fossero superati, ma accantonati, malgrado le reciproche concessioni fatte: peraltro la guerra contro il Giappone non era ancora vinta. Avvenuta la resa nipponica, vi sono state le prese di posizione degli Stati Uniti a proposito dei «regimi democratici» e delle «elezioni libere» in Balcania, e questa volta si è avuta qui la sensazione di aver conseguito un primo importante successo nella questione delle elezioni bulgare. La situazione attualmente è che né l'uno né l'altro dei due Paesi desiderano approfondire il contrasto. Qui vi è un diffuso desiderio di evitare complicazioni e trovare un modus vivendi, non però a scapito della concezione occidentale di democrazia, di cui gli Stati Uniti si sentono divenuti, per forza di cose più ancora che per propria volontà, i rappresentanti, i patrocinatori ed i difensori. Le conseguenze che ne derivano sono ovvie: ci si impegnerà, eventualmente anche a fondo, per gli amici che diano sicurezza di esser tali, mentre neutralità, imparzialità ed «eque distanze» indispongono. Se questa è la sostanza, sarà, poi, sempre agevole darle una veste di giustizia ed equità.

Passo ora alle singole questioni:

l) Questioni con la Francia. Come si è già ripetutamente riferito, a de Gaulle ed a Bidault, nelle conversazioni testè qui avute, venne data da parte americana (dal presidente Truman e Bymes agli alti funzionari del Dipartimento di Stato) la precisa sensazione delle favorevoli disposizioni che si hanno per l'Italia e della utilità di una solida intesa franco-italiana. È da ritenere, quindi, che la delegazione francese a Londra ne trarrà norma nei riguardi delle nostre questioni. Parigi ha ora più che mai necessità dell'appoggio politico ed economico-finanziario di Washington; questa necessità, più che ogni altra considerazione, detterà il suo concreto atteggiamento nei nostri riguardi. Ne deriva che questo atteggiamento seguirà, nelle grandi linee, quello degli Stati Uniti, magari con qualche esteriore manifestazione di autonomia, in eventuali dettagli, a tutela della propria posizione di grande Potenza. E ne deriva anche che l'atteggiamento francese non potrebbe, in pratica, nelle grosse questioni, esserci più favorevole di quello che sarà l'atteggiamento americano.

2) Alto Adige e confine coll'Austria. Con recenti telegrammi si è già dato comunicazione degli ultimi sviluppi locali della questione. È confortante rilevare che le tendenze per il mantenimento della nostra frontiera al Brennero si sono rafforzate negli scorsi giorni. Come è noto, una precedente decisione (anteriore alla nomina di Bymes) era favorevole al passaggio dell'intera regione all'Austria. Questa decisione era stata attaccata per quanto riguarda la città di Bolzano e la zona a sud. I sostenitori di tale soluzione avrebbero ultimamente ripiegato sulla proposta di un plebiscito. La mancanza di unanimità anche su tale proposta, peraltro non ancora approvata dal segretario di Stato, dovrebbe essere un sintomo confortante. Si pensa autorevolmente, infatti, che anche qualora una proposta del genere finisse per essere approvata -ciò che non è sicuro -la delegazione americana possa anche limitarsi ad una dichiarazione di principio, senza insistervi, dato anche lo scarso interesse di altre delegazioni per tale questione. Ove, poi, per dannata ipotesi, la soluzione di un plebiscito dovesse prevalere, non ci mancano certo ottimi argomenti per l'esclusione da esso della massa degli allogeni che optarono per la Germania nazista. Da rilevare, poi, i recenti accenni a rivendicazioni austriache su località vicine a Tarvisio.

3) Venezia Giulia. Anche su tale questione si è ultimamente riferito. La tesi sin oggi qui prevalente è che si debba assicurare all'Italia, oltre che il possesso di quelli che vengono definiti i «punti chiave», già compresi nella linea Morgan (Gorizia, Monfalcone, Trieste, Pola), anche le linee di comunicazione fra le città stesse (ferrovie, strade), e quindi la costa occidentale dell'Istria, nonché almeno Lussino ed il triangolo tra la linea ferroviaria ed il corso del fiume Arsa. Ci si rende conto dell'estrema difficoltà di ottenere che Tito abbandoni queste ultime zone occupate dalle sue truppe; delle complicazioni che potranno derivare dall'appoggio che l'U.R.S.S. potrebbe dare alla tesi jugoslava; della possibilità anche di lunghe e complicate trattative. Si rileva, quindi, la necessità che siano dati a Tito dei compensi, apparenti se non sostanziali. Già col telegramma n. 310 1 , questa ambasciata riferì qualche accenno americano all'esistenza di popolazioni slave, favorevoli a Tito, anche in provincia di Udine. È, quindi, da ritenere tutt'altro che escluso che le rettifiche della linea Wilson, a favore della Jugoslavia, possano anche incidere in qualche punto (a nord di Gorizia?) sulla linea Morgan. È stato osservato da parte americana, nei numerosi contatti avuti, che l'importante è, in sostanza, che all'Italia possa rimanere la parte utile e sostanziosa della Venezia Giulia, mentre di ben scarsa rilevanza sarebbero territori anche di una certa estensione, ma brulli ed abitati soltanto da contadini slavi mentre le considerazioni esclusivamente strategiche, valide nell'altra guerra, sarebbero ormai sorpassate. Queste osservazioni ed alcune frasi, ricorrenti nelle conversazioni, lascerebbero intendere che da parte americana, pur prendendosi come base delle prossime discussioni di Londra, e sempre grosso modo, la linea Wilson, si siano studiati anche vari tracciati come linee di successivi ripiegamenti, qualora si dovessero fare, man mano, delle concessioni. Sembrerebbe tuttavia accertato, sinora e rebus sic stantibus, il sincero desiderio americano che l'Italia mantenga le zone dianzi indicate. Molto potrà dipendere dalla intensità della difesa che Mosca farà degli interessi di Belgrado. Sarebbe, peraltro, da scartare -almeno allo stato attuale delle cose qui -l'eventualità varie volte affacciata dall'ambasciatore Quaroni che la questione della Venezia Giulia possa servire da oggetto di compenso nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. La recente prova di Potsdam -posta in rilievo dal segretario di Stato -dovrebbe costituire un indizio rassicurante, purché, ripeto, sapremo dare alla delegazione americana opportune manifestazioni delle nostre intenzioni sul sincero consolidamento dell'amicizia fra Italia e Stati Uniti.

I Vedi D. 362.

4) Colonie. Col telegramma n. 399 1 , questa ambasciata ebbe ad accennare alla possibilità che qui ci si polarizzasse su di una soluzione che, pur sottoponendo tutte le nostre colonie africane al regime dei trusteeships, le affidasse poi all'amministrazione italiana. Un dettagliato articolo apparso il 2 c.m. sul New York Times, che si trasmette a parte e sul quale si attira la speciale attenzione di codesto ministero, confermerebbe che un appunto su una soluzione del genere sarebbe stato ultimamente sottoposto al segretario di Stato, il quale si sarebbe riservato di esaminarlo. Secondo l'autorevole giornale americano (che alle volte viene anche utilizzato in questioni di politica estera, a titolo di ballon d'essai) tale appunto sarebbe frutto di un compromesso tra le varie tendenze in materia. Una di queste sarebbe per un ritorno delle colonie alla sovranità italiana, il che risulterebbe esatto almeno per quanto riguarda la Libia e forse la parte settentrionale dell'Eritrea. Sempre secondo l'articolo, altre tendenze sarebbero state favorevoli, per motivi ideologici o di politica generale, ad un passaggio delle nostre colonie sotto trusteeship dei Grandi Quattro (Francia esclusa) o sotto un'amministrazione internazionale. È possibile che vi fossero state effettivamente al Dipartimento delle opinioni del genere, peraltro più in passato che negli ultimissimi tempi, mentre poi sono noti i progetti del governo conservatore britannico anteriormente al Convegno dei Tre. È, quindi, ben probabile che il giornalista americano, ricordando la parte XI del comunicato finale di Potsdam, abbia aggiunto del suo alle informazioni ottenute da buona fonte. È comunque opportuno tener presente che la posizione degli Stati Uniti a Londra in materia coloniale potrebbe tendere alla soluzione trusteeship, con amministrazione italiana almeno in buona parte dei territori contemplati. Anche in tale questione gli Stati Uniti potrebbero incontrare l'opposizione russa e forse, per l'Africa Orientale etc., qualche contrastante punto di vista inglese. Comunque qui si appare aver fiducia che sarà possibile raggiungere una soluzione, se non del tutto in gran parte, consona alle nostre legittime aspirazioni.

È da ritenere che avremo l'appoggio americano nelle questioni a latere dei problemi territoriali. Ciò dicasi sia per quanto riguarda la protezione delle nostre minoranze che, purtroppo, dovrebbero restare in Jugoslavia, sia i connazionali, i beni ed interessi economici italiani nelle isole dell'Egeo. Per quanto riguarda le eventuali pretese di risarcimenti finanziari ed economici etc. che fossero avanzate dall'Etiopia, qui si riconosce che i grandi miglioramenti e le opere pubbliche colà apportate dall'amministrazione italiana dovrebbero compensare ampiamente i danni arrecati nella guerra del 1935-36.

Si attribuisce qui un'importanza, anche considerevole, alle argomentazioni ed alla documentazione che, sulle singole questioni, verrà presentata a Londra dalla nostra delegazione. È stato raccomandato che si provveda a fare delle nostre tesi a strong case. Poiché, nelle intenzioni americane, il trattato di pace non deve essere un Diktat, ma liberamente da noi accettato e sottoscritto, ne deriva sempre la possibilità di un nostro rifiuto di firmare, basato naturalmente su motivi giusti e legittimi, che potrebbero essere accettati come tali dall'opinione pubblica internazionale.

l Vedi D. 443.

È indubbio che l'influenza degli Stati Uniti sarà a Londra prevalente nelle grosse questioni (Venezia Giulia e problema coloniale) almeno per quanto riguarda varie delle delegazioni. Della Francia si è già detto. Per quanto riguarda la Cina, le sue buone intenzioni nei nostri riguardi sono indubbie; ma le sue possibilità concrete sono quelle che sono: quale atteggiamento verrà assunto dalla delegazione cinese, ad esempio sulla questione giulia, qualora la Russia assumesse un atteggiamento di intransigenza estrema? È anche possibile, in tal caso, una astensione, trattandosi di una questione ad essa completamente estranea.

Circa, poi, l'atteggiamento inglese, si ritiene qui che il governo laburista data la necessità britannica dell'appoggio degli Stati Uniti in tanti importanti problemi politici ed economici -aderirà, nelle grosse questioni di principio, alle tesi americane. Quanto all'U.R.S.S. qui ci si augura di trovarla a Londra conciliante; l'intenzione americana sarebbe peraltro di assumere, ove necessario, un atteggiamento fermo.

487

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE. Washington, 3 settembre 1945.

Con alcuni telegrammi filo (417 e 430) 1 e per corriere (0114, 0117 e 0126) 2 , ti ho già riferito quanto dettomi dal segretario di Stato e, poi, dal presidente Truman riguardo la spinosa questione delle nostre elezioni. Come sai, la questione ha tratto origine, insieme alle altre iniziative americane-inglesi in Bulgaria e Romania, dal Convegno di Potsdam, in cui l'U.R.S.S. oppose alla critiche americane ai governi da essa patrocinati nei Balcani che anche il governo italiano non era «rappresentativo». Il passo per le nostre elezioni ebbe anch'esso origine a Washington e fu concertato con questa ambasciata d'Inghilterra. Esso doveva avere carattere generico, e come Kirk ti avrà certamente informato mirava a promuovere l'inizio delle nostre elezioni comunali, da effettuarsi gradualmente per provincie e regioni, in modo da preparare le elezioni per la Costituente, che, nel pensiero di Washington, avrebbero potuto aver luogo, eventualmente nella prossima primavera, e si sarebbero dovute svolgere colle maggiori garanzie di ordine e di democrazia. Un altro scopo essenziale, che in fondo gli Stati Uniti avrebbero voluto conseguire, era quello di dimostrare ai russi, mentre chiedevano categoricamente il rinvio delle elezioni bulgare e promuovevano la formazione di un governo «più democratico» in Romania, che anche in Italia venivano svolti passi per il nostro rinnovamento rappresentativo. Senonchè Londra anziché agire come concordato, prese l'iniziativa per le elezioni alla Costituente possibilmente entro l'anno3 . Non so se il governo inglese

I T. s.n.d. 7404/417 del 27 agosto e T. s.n.d. 7682/430 del 28 agosto, inviato il 2 settembre, non pubblicati.

2 Vedi DD. 472 e 478.

3 Vedi DD. 420 e 447.

abbia agito in tal senso per motivi di «simpatie laburiste», oppure per più lati fini di politica estera, ossia per essere ben sicuro che le migliori condizioni di pace che si era disposti a farci e quelle altre concessioni che si sapeva già di doverci consentire per compiacere agli Stati Uniti, fossero almeno fatte a favore di un governo democratico di un'Italia legata al mondo occidentale. Comunque il governo americano si è risentito dell'azione inglese, che esso non approva. Sembra che questa ambasciata britannica si sia scusata col Dipartimento di Stato, affermando che probabilmente il Foreign Office aveva frainteso lo scopo del passo. Il certo si è che il presidente Truman, nel ribadirmi, nell'udienza concessami il 31 corrente, il noto punto di vista americano sulla opportunità di iniziare le nostre elezioni con quelle comunali, da farsi gradualmente etc., mi ha detto che avrebbe incaricato Byrnes di mettere le cose a posto con Bevin al suo arrivo a Londra.

Ti aggiungo, inoltre, che venerdì scorso al Dipartimento di Stato si è attirata l'attenzione di questa ambasciata su alcune dichiarazioni fatte costà in conferenza stampa e, secondo le quali, si sarebbe cominciato col fare le elezioni per la Costituente, rinviando a più tardi quelle comunali, definite una specie di corollario delle prime. A quanto sembrerebbe si sarebbe previsto, dopo le elezioni politiche, la formazione di un governo a cinque, con i comunisti probabilmente alla opposizione. Le frasi circa la precedenza da dare alla Costituente non sono affatto piaciute e sono state criticate, alquanto vivacemente. Ci è stato chiesto poi se si avesse per caso qualche indizio su di una scissione fra socialisti e comunisti. In conclusione, poi, al Dipartimento hanno caldamente raccomandato di iniziare al più presto qualche elezione comunale in Sicilia, Calabria, Campania o Sardegna. Sempre secondo il Dipartimento, i risultati che tali elezioni dovrebbero dare, nello sfatare le voci o previsioni circa un'Italia fatalmente tendente al disordine, non mancherebbero di rafforzare le nostre azioni qui ed anche in Inghilterra. Mentre poi il tenere alcune di queste elezioni prima del trattato di pace non potrebbe mancare di agevolare il compito americano nei riguardi delle critiche russe, che già si prevedono a Londra. Ciò tanto più in quanto gli americani si rifiuterebbero di far la pace colla Bulgaria finché non siano tenute colà delle elezioni «veramente democratiche» e si sia formato un governo «rappresentativo», e, d'altra parte, Byrnes si riprometterebbe di affrontare coi sovietici la questione della formazione di un governo democratico in Romania, secondo la proposta di Re Michele che è stata da qui provocata.

Mi rendo pienamente conto della delicatezza di questa faccenda e della difficoltà di accedere subito agli amichevoli ammonimenti di qui. Qualora fosse impossibile dar corso a questo progetto od almeno annunziarlo pubblicamente sulla stampa, mi permetterei di suggerire che tu abbordassi l'argomento con Byrnes a Londra dandogli tutte le possibili assicurazioni. Sia il segretario di Stato che il suo consigliere Ben Cohen, sono molto sensibili su questo punto.

Ritengo mio dovere informarti di quanto precede, trattandosi di una questione che ha grande importanza nel momento stesso in cui si decide il destino del nostro paese.

Ti sarò grato di voler dare, ove tu concordi, opportuna visione di questa mia a P arri 1•

1 La lettera fu inviata in visione da De Gasperi a Parri con L. 3/1558 del 13 settembre.

488

IL VESCOVO DI TRIESTE, SANTIN, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Trieste, 3 settembre 1945.

Mentre ci avviciniamo rapidamente all'ora nella quale sarà segnato il destino di questa nostra terra, desidero, a confortare la sua opera illuminata e coraggiosa in difesa di questa nostra povera e cara patria, ricordare quello che è il pensiero di tutti gli italiani della Venezia Giulia.

l) Noi domandiamo solo giustizia. Che non sia rubato per pura megalomania imperialista all'Italia, ciò che le appartiene di pieno diritto, come le appartengono la Liguria, il Piemonte o la Toscana. Mai causa fu più giusta di questa.

2) Noi rinunciamo alla parte slava della Venezia Giulia. Affermiamo che una divisione è possibile, tanto è vero che era apparsa possibile anche a Wilson. La linea Wilson è un dogma di fede; può essere rettificata; evidentemente non solo a danno dell'Italia, ma solo in favore della giustizia. Le solite considerazioni economiche e militari, con i nuovi principi che si avanzano e con i nuovi mezzi bellici, hanno un valore secondario. Non si dimentichi che per dare tutte le indicazioni utili e pratiche, affinché non si ripetano certi grossolani errori, sarebbe necessaria la presenza di persona, che conosca pienamente questa terra non dai libri e dalle memorie, ma per esservi nato e vissuto e per averla battuta palmo a palmo.

3) Bisogna escludere nel modo più deciso di separare la sorte di Trieste da quella dell'Istria. Da tempi remoti le isole di Cherso e di Lussino hanno fatto parte dell'Istria. Bisogna tener conto di ciò il più che è possibile.

4) Sempre più evidente appare che una soluzione di pseudo-indipendenza della Venezia Giulia sarebbe una soluzione rovinosa e contraria anche agli interessi della pace. Essa potrebbe essere accettata solo dopo di aver tentato l'impossibile per salvare l'unione, e come extrema ratio, per non perdere tutto.

5) L'occupazione jugoslava di tutta la Venezia Giulia per quaranta giorni e di tanta parte della regione ancor oggi ha avuto un tale carattere di autentica barbarie, ha instaurato un tale regime di violenza, ha privato le popolazioni così brutalmente dei diritti più elementari, ha dato tali esempi di ferocia disumana e tale prova di incapacità di amministrare queste terre, che furono ridotte alla situazione di certe zone africane, che nessun uomo di cuore, che stimi la civiltà, può aver animo di costringere delle popolazioni, che non ne vogliono sapere, sotto tale insopportabile giogo.

6) È pure necessario che si sappia che Tito a Trieste e a Pola significa sicuramente Mosca a Trieste e a Pola. Ed allora il giogo moscovita sull'Europa orientale e centrale sarebbe completo.

7) Deve in pari tempo essere ben chiaro che se il fascismo ha commesso a danno degli slavi delle atrocità, che noi mai abbastanza condanneremo, gli slavi di Tito hanno sulla coscienza atrocità non meno gravi a danno delle popolazioni italiane; senza contare che i metodi che i fascisti usavano verso gli slavi erano i medesimi che gli slavi di Tito adoperavano contro le popolazioni slave a loro contrarie. E se si esigeranno riparazioni da parte dell'Italia a favore della Iugoslavia per danni subiti, si ricordino tutti i danni subiti dalle nostre città italiane e dalla nostra popolazione da parte degli jugoslavi, danni che si possono calcolare a miliardi.

8) Fissata la linea definitiva, non siano abbandonate alla mercè di capi, che si sono mostrati così barbari e incuranti di ogni diritto, quelle minoranze italiane, che dovranno rimanere entro i confini della Jugoslavia. Ma anche a loro si pensi e per loro si provveda in modo adeguato, dopo di averle interpellate.

9) Nessuno certamente· può pensare di dare importanza a telegrammi a capi di Stato o di governo inviati dai ras slavi (oggi chiamati commissari) a nome di singole cittadine, che nulla hanno da fare con gli stessi; oppure a pretesi plebisciti o raccolta di firme eseguiti con metodi così lontani da ogni libertà e sincerità, che disonorano nei secoli coloro che si illudono così di ingannare un consesso di diplomatici oppure l'opinione pubblica. Simili turlupinature, alle quali solo degli ingenui possono dare importanza, devono essere respinte con disprezzo. Spero che sarà già stato documentato in che modo violento furono carpite e vengono carpite le firme.

lO) Si ricordi invece che questa popolazione vessata, perseguitata, minacciata, abbandonata in certi momenti, almeno in apparenza, da tutti, conservò vivi l'amore e la fedeltà alla patria, cui vuole irremovibilmente essere unita anche in quest'ora di sconfitta, di miseria e di privazioni. Ieri a Capodistria furono raccolti da un commissario violento gli uomini degli strati più bassi della popolazione. Egli incominciò col dire che era ora di abbandonare l'Italia povera, disprezzata, sconfitta, che può offrire solo miseria, l'Italia, che ci ha tutti traditi. Uno dei più poveri, un facchino, alzò la voce e disse: «Anche se la madre è povera, anche se ha sbagliato, resta sempre la madre. E l'Italia è nostra madre». Questo sentimento profondo e generoso non può essere rigettato.

11) Si sappia in fine che le popolazioni non ne possono più. Attendono una decisione e una decisione deve venire. E deve venire presto, perché non si può infliggere una lunga tortura ad un popolo, già provato da sei durissimi anni di guerra.

Accolga, Eccellenza, dalle mie labbra la preghiera, le speranze e la riconoscenza di tutta la popolazione italiana della Venezia Giulia 1•

l De Gasperi rispose con L. 3/1709, del 2 ottobre, ringraziando e assicurando che avrebbe continuato a fare tutto il possibile per la salvaguardia della Venezia Giulia.

489

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7756/420. Mosca, 4 settembre 1945, ore 16 (per. ore 17 del 5).

Questo ambasciatore di Cina cui avevo riassunto nostro punto di vista su principali questioni concernenti trattato di pace mi comunica che governo cinese dà istruzioni suo delegato Conferenza cinque ministri appoggiare punto di vista americano.

490

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. 3/1483. Roma, 4 settembre 1945.

Con telespressi 743/c. e 745/c. del 3 settembre ti sono stati trasmessi gli ultimi telegrammi di Tarchiani 1 , relativi ai suoi colloqui con Truman e Byrnes, cui sono state giorni or sono consegnate le lettere del presidente Parri e mia 2 , che ti sono note.

Le comunicazioni di Tarchiani respirano, come vedrai, di evidente ottimismo. Preferisco, per quanto mi concerne, continuare a non nuthre eccessive illusioni. È tuttavia certo che, pur senza assumere impegni specifici su nessuna delle questioni che ci riguardano, sia Truman che Byrnes ci hanno dato e danno assicurazioni sia pur generiche, ma di tono e calore inconsueti e comunque indicativi. Sicché non ho ragione di dubitare che l'appoggio americano ci è alla prossima conferenza acquisito. Ed è superfluo sottolineare l'importanza di codesta assistenza. Particolarmente significativo è a questo proposito il resoconto della riunione di Potsdam quale è stato fatto da Byrnes, che mi par dimostri come un energico atteggiamento americano possa riuscire a superare le ambigue incertezze britanniche e l'intransigenza sovietica. Come tu poi sai, da parte inglese ci era stato esplicitamente assicurato che il testo della dichiarazione di Potsdam che ci riguarda, era stato elaborato da Macmillan e approvato da Eden. Assicurazioni che evidentemente non erano perfettamente esatte.

Né Truman, né Byrnes hanno dato -ripeto -assicurazioni su alcuna qmestione specifica. A proposito di una di queste (Venezia Giulia) Truman ha accennato anzi alle difficoltà che si dovranno superare con la Jugoslavia, pur sottolineando il proposito di raggiungere una soluzione soddisfacente. Comunque par che la linea Morgan possa considerarsi scartata e che le discussioni avranno approssimativamente come base la linea Wilson. Noterai che nessun accenno è

l Vedi DD. 472 e 478. 2 Vedi DD. 445 e 446.

stato fatto al Brennero e che per le colonie la situazione sembra tuttora incerta e fluida.

Il fatto che possiamo contare con ragionevole certezza sull'appoggio americano mi par consigli di mantenersi con fermezza sulle tesi quali sono state da me esposte a Byrnes, insistendovi ad ogni propizia occasione e cercando di illustrarle e documentarle con la maggiore onestà e chiarezza.

Sarebbe particolarmente pericoloso almeno, mostrarsi oggi ondeggianti ed incerti. Tanto più che, come tu sai, è mia convinzione profonda, che le tesi da noi sostenute, rispondono a criteri di equità e di giustizia, e, insieme, al bene inteso interesse europeo.

Noto infine l'accenno di Byrnes alla "soppressione dell'armistizio", che egli avrebbe tentato di ottenere sin da Potsdam e sulla quale "ove del caso" egli si propone di insistere anche a Londra. L'accenno si riconnette evidentemente, come lo stesso Tarchiani ricorda a quei progetti di pace provvisoria che non sembrano dunque ancora definitivamente scartati, qualora i lavori della conferenza si rivelassero troppo complessi o troppo lenti. È bene tu sappia che recentemente di una soluzione siffatta è stato fatto cenno anche da parte sovietica a Quaroni. È dunque evidentemente una porta che conviene a tutti, anche a noi, lasciare aperta.

491

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 4 settembre 1945.

Nella questione dell'opportunità per l'Italia di addivenire ad una pace definitiva

o ad una pace provvisoria, le diverse opinioni traggono argomento da informazioni di ca:r:,attere così riservato che non mi sembra mi sia consentito discuterne in seno alla Commissione da me presieduta. Ma poiché reputo sempre mio dovere di cittadino assumere con tutta chiarezza le mie responsabilità, credo che alla fiducia dimostratami dal ministro risponda per parte mia il dovere di prendere posizione su di un ar,gomento che può provocare -ed ha provocato in me -notevole perplessità. Naturalmente quanto mi dispongo a scrivere trae argomento da notizie a me pervenute: ulteriori informazioni potrebbero sempre capovolgere la situazione.

Il mio giudizio in data odierna si basa su frequenti e molteplici contatti con ambienti alleati in Roma (favorevoli in generale ad una pace provvisoria), su quanto ho letto nei telegrammi e nei rapporti a me comunicati degli ambasciatori Tarchiani e Quaroni e sulle mie conversazioni con l'ambasciatore Carandini. Va ricordato che tanto il nostro ambasciatore a Washington che quello a Londra sono fautori di una pace definitiva.

Ora, tenendo presenti le istruzioni o direttive date ai nostri ambasciatori dal ministero degli Affari Esteri, credo di poter affermare che nulla di preciso e di concreto possa farci ritenere l'esistenza, per parte di uno dei ministri degli Affari Esteri degli Stati Uniti, d'Inghilterra o di Russia, di impegni veri e propri riguardanti la difesa delle tesi sostenute dal ministro italiano degli Affari Esteri.

Abbiamo certo ragione di creder che i governi anglo-sassoni sono contrari all'idea di richiederci riparazioni, ma ciò non può essere per noi una ragione determinante poiché le riparazioni, per quanto ci riguarda non appartengono al novero delle cose serie e realizzabili.

Per la fronte Giulia, fulcro delle nostre trattative, siamo informati di ufl.a generica ostilità russa, conosciamo l'esistenza di una reale, calorosa ma non totalmente impegnativa simpatia americana per la nostra causa, e per parte inglese ci si parla della cordialità di Bevin, cordialità che però rimane satura di riserve ed enigmatica.

Per quanto riguarda il problema coloniale, agli effetti dell'esame della situazione che sto qui compiendo .devo obiettivamente basarmi sulle istruzioni impartite dal ministero degli Esteri agli ambasciatori. (Prescindo dal pensiero personale mio condiviso dalla maggioranza della commissione da me presieduta -che consiste nel ritenere che, eccezion fatta per Tripoli, il problema della nostra sovranità sulle colonie è già compromesso da deliberazioni prese non solo a Potsdam ma altresì a Yalta e che la vera battaglia dovremo combatterla per conseguire ciò che è essenziale ottenere, ossia rimanere presenti in tutte le nostre colonie nella miglior forma di trusteeship; battaglia che non sarà forse agevolata dalla nostra domanda di mantenimento di sovranità).

Ora quali ragioni possono trarsi da quanto ci viene dalle nostre ambasciate per ritenere che la nostra tesi coloniale sarà per davvero sostenuta da almeno uno dei ministri dei Tre Grandi? Nessuna. Va anche tenuto presente che in un trattato ora stipulato si può domandarci una dichiarazione di rinunzia di sovranità sulle colonie evitando di concretare contemporaneamente impegni sulla nostra partecipazione ai trusteeships, con la facile scusa che tali impegni vanno precisati in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite quando ne faremo ufficialmente parte.

Osservo altresì che in un recentissimo telegramma dell'ambasciatore Tarchiani 1 si parla della possibilità che la questione dell'Alto Adige venga sollevata, il che sinora nessuno ci aveva mai prospettato.

In altra memoria insisto nel ritenere non certo conforme al nostro interesse un affrettato esame fatto a Londra dei nostri problemi economici e finanziari. E cosa sappiamo di quanto ci verrà richiesto in fatto di limitazioni di armamenti? Quale l'avvenire della nostra marina?

Un recente rapporto da Mosca2 riferisce che a Potsdam alcune deliberazioni sono già state prese nei nostri riguardi. A Washington e a Londra tra tanta generica cordialità nessuno ce ne ha fatto parola. Non è un buon sintomo. A nulla giova oggi esaminare se avremmo più validamente e tempestivamente potuto sostenere la tesi della pace provvisoria ora è più di un mese, quando richiamai l'attenzione sul problema presentando un abbozzo di trattato in tal senso. Interessa piuttosto tener presente la possibilità che si debba ritornare sull'argomento a Londra, ed indirizzare nel senso più opportuno l'eventuale opera dei nostri ambasciatori. Le trattative di

l T. s.n.d. 7644/427 del ! 0 settembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 449.

Londra stanno per aprirsi: sono per noi un'incerta avventura in cui entriamo con gli occhi bendati.

Nessun elemento mi è stato sino ad oggi prospettato, atto a scuotermi dalla convinzione che il tempo continuerebbe a lavorare, come ha fatto sinora, in nostro favore -il che sempre avviene a chi difende cause giuste ed oneste -e che una formula di pace provvisoria che ci assicuri la fine dello stato armistiziale e l'ingresso tra le Nazioni Unite sia, nell'odierna contingenza e sino a prova contraria, da ritenersi la più conforme agli interessi italiani.

492

IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STA TI UNITI D'AMERICA, BYRNES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI 1

L. Washington, 4 settembre 1945.

I am grateful for your communication of August 22, 19452 , setting forth the ltalian views on the generai nature of the peace treaty with ltaly and on certain territorial problems. This frank and statesmanlike exposition of the ltalian point of view is most useful and will receive careful study.

You are, I am sure, fully aware that the objective which the United States will pursue in negotiating the treaties of peace will be the safeguarding of its permanent interests through the establishment of a just and lasting peace. I know that aim can only coincide with the interests and intentions of ali countries concerned. The experiences of this war have proved how greatly the fate of ali of us is interwoven with the fate of each and how much the future of civilization depends upon resolute cooperation in the work of peace.

This Government has always desired ltaly to take her piace in the post-war world as a real factor for peace and progress in Europe. It is convinced that the peace treaty with ltaly must be such as to permit the energies and talents of her people to serve the great work of national and international reconstruction. I am confident that democratic ltaly approaches the forthcoming negotiations with realistic awareness of the generai necessities as well as of her own, and with full comprehension for the legitimate interests of her neighbors and their need for reassurance that ltaly is wholeheartedly pledged to the principles and practices of peaceful collaboration.

Your assurances that Italy is ready to cooperate with her neighbors are received with satisfaction. I also note with pleasure your reference to the intentions of the Italian Government to guarantee full freedom to any minority

1 Ed. in United States and ltaly, cit., pp. 170-171 e in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1032-1033. Il contenuto di questa lettera fu comunicato da Tarchiani con T.

s.n.d. 7994/448 dell'8 settembre. 2 Vedi D. 446.

groups in ltalian territory, repudiating the futile methods and spirit of the past. The United States will watch with keen interest the implementation of this policy of tolerance and understanding which is rightfully part of the whole process of restoring promptly to the people of every region of ltaly, without distinction of race, Ianguage, or creed, their rights and direct responsibilities as free citizens of a free country.

493

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 723 /315. Mosca. 4 settembre 1945 (per. il 22).

Mi scuso di non aver prima di oggi risposto al telespresso di V.E. n. 3/1068/c. del 30 giugno u.s. I.

Ho, a suo tempo, attirata l'attenzione del signor Dekanozov sulla questione e sono tornato a parlarne in connessione ad altro mio passo relativo alla protezione degli interessi italiani in Germania.

II signor Dekanozov, dopo avermi risposto colla formula sacramentale «Riferirò al governo sovietico», mi ha naturalmente aggiunto che la questione avrebbe dovuto essere studiata d'accordo con gli altri principali alleati.

Nel corso di una terza conversazione, essendo venuto incidentalmente sull'argomento, il signor Dekanozov, premettendo che parlava a titolo puramente personale, mi ha espresso alcuni concetti che ritengo opportuno riferire aii'E.V.

L'armistizio con la Germania, in quanto principalmente militare, è stato concluso dai comandanti militari in nome delle «Nazioni Unite». È vero che l'Italia non fa attualmente parte delle Nazioni Unite, ma ben presto sarà chiamata a farne parte ed allora le stipulazioni dell'armistizio si applicheranno automaticamente anche all'Italia, come pure automaticamente l'Italia sarà chiamata a firmare il trattato di pace colla Germania. AI più, per uno scrupolo giuridico, l'Italia potrebbe, al momento della sua ammissione fra le Nazioni Unite, far precisare che, retroattivamente, certi atti, che potremmo anche specificare, debbono essere intesi come conclusi e firmati anche a nome dell'Italia.

Per quanto concerne la protezione degli interessi italiani in Germania, Dekanozov mi ha detto che la Commissione Alleata di Controllo, essendo oggi il governo tedesco, si intende che, gradatamente, i vari Paesi potranno avere in Germania i loro rappresentanti in contatto, se non addirittura accreditati presso la Commissione di Controllo. La macchina è ancora da montare: per il momento in cui tutto sarà stabilito, l'Italia avrà firmato il trattato di pace e sarà una Nazione Unita, quindi non ci sarà nessuna difficoltà a fare all'Italia Io stesso trattamento che sarà fatto agli altri.

1 Comunicazione alle rappresentanze a Londra, Mosca, Parigi e Washington dei DD. 189, 219 e 294.

A suo avviso quindi si tratta di questione di pura forma che soltanto l'attuale situazione non definita dell'Italia complica: non vale la pena di occuparsene quando la firma del trattato di pace con l'Italia è destinata a regolare tutto automaticamente.

494

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. RISERVATO 8906/1145. Washington, 4 settembre 1945 1•

Mio rapporto n. 8893/1132 in data odierna2•

Ho l'onore di informare codesto ministero che, subito dopo il mio arrivo qui, non si è mancato di intrattenere nuovamente il Dipartimento di Stato anche sulle questioni connesse alle clausole economico-finanziarie del trattato di pace.

In tali contatti, si è tenuto conto sia della comunicazione telegrafica del 28 luglio u.s. e sia di quanto fatto presente dal direttore generale degli Affari Economici nel promemoria consegnatomi al momento della mia partenza 3•

Ho segnalato a codesto ministero le favorevoli disposizioni del presidente Truman, del segretario e del sottosegretario di Stato per ciò che attiene le necessità economiche italiane.

Ritengo ora opportuno riferire, per opportuna conoscenza della nostra delegazione che si recherà a Londra, alcune reazioni degli uffici competenti e in particolare dei funzionari americani che cureranno a Londra la trattazione delle questioni economico-finanziarie.

Le notizie fornite circa la documentazione che verrà recata a Londra sui danni di guerra, sulle distruzioni e asportazioni effettuate dai tedeschi, sui nostri contributi alle economie dei paesi occupati e sulle nostre controprestazioni allo sforzo bellico degli alleati sono state accolte con vivo interesse. Lo State Department ha nuovamente dichiarato che nel corso della discussione per il trattato di pace tutte le questioni di cui sopra verranno prese in esame e che i dati che verranno presentati dalla delegazione italiana saranno esaminati con la massima attenzione e potranno costituire una utile base di discussione. Al riguardo mi permetto di prospettare l'opportunità che copia della documentazione di cui trattasi venga inviata anche a questa ambasciata, per ogni utile azione che sembrerà opportuno svolgere qui e, se del caso, per la divulgazione in questi uffici o in questa stampa di alcuni dei dati predetti.

Nel corso delle conversazioni in questione si è lumeggiata la tesi secondo cui potrebbe farsi ricorso alla quota indubbiamente dovutaci delle riparazioni tedesche per far fronte alle eventuali richieste di indennizzi da parte di alcune delle Nazioni Unite. Si è inoltre fatto presente le difficoltà in cui la nostra delegazione si troverebbe di accettare la tesi che per tali indennizzi il governo italiano dovrebbe proce

1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 486, in realtà del 3 settembre. 3 Non pubblicato.

dere alla consegna di materiali e macchinari di certe industrie. L'individuazione delle industrie non più economicamente utili implicherebbe notevoli difficoltà e potrebbe dar luogo a interpretazioni estensive estremamente pericolose per il complesso della industria italiana.

Circa l'opportunità di far ricorso alle riparazioni tedesche occorre far presente che, allorquando questa ambasciata in occasioni precedenti aveva formulato, a seguito delle istruzioni ministeriali, richieste al riguardo, ponendo in rilievo il nostro buon diritto a tali riparazioni, aveva riscontrato da parte americana una certa perplessità e un accoglimento riservato. Negli ultimi colloqui avutisi in questi giorni, è sembrato invece che i funzionari americani abbiano assunto un atteggiamento più favorevole: qon è stata infatti formulata alcuna obbiezione o critica sostanziale alla tesi esposta da questa ambasciata, che è stata anzi accolta con attenzione e interesse. Ritengo quindi che, malgrado lo State Department abbia mantenuto un atteggiamento di riserva sull'intiera questione, la tesi predetta potrà esser utilmente prospettata.

Questa ambasciata non ha mancato di vivamente insistere sui gravissimi danni che deriverebbero a tutte le attività italiane all'estero se da parte americana si patrocinasse la tesi di indennizzare i cittadini americani le cui proprietà hanno ricevuto danni dalla guerra, facendo ricorso alle proprietà italiane in America e mantenendo il blocco su tali proprietà. Si è allora chiaramente indicato al riguardo che il governo italiano sarebbe certo pronto ad assumere la responsabilità delle riparazioni e ricostruzioni delle proprietà americane in questione ed è sembrato che la proposta sia stata accolta con un notevole interesse.

Questa ambasciata non ha inoltre mancato di raccomandare insistentemente che da parte americana non si sottovaluti il contributo economico arrecato dall'Italia a Paesi quali l'Etiopia e l'Albania, affinché le richieste che tali Stati dovessero eventualmente avanzare vengano valutate con la necessaria obiettività.

Mi sembra in complesso, a seguito degli attivissimi contatti che si sono avuti in questi giorni, che i funzionari incaricati della trattazione delle questioni economico-finanziarie a Londra siano ormai pienamente consapevoli dei danni che deriverebbero all'Italia, se dovessero essere formulate tesi troppo oltranziste e soprattutto se la delegazione americana non verrà incontro alle imprescindibili necessità dell'economia italiana, con una opportuna tutela dei nostri interessi.

495

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. PER CORRIERE 6009. Roma, 5 settembre 1945, ore Il.

Suo rapporto n. 639 del 18 agosto 1•

Ella ha fatto benissimo ritornare sull'accenno a suo tempo fattole dal Quai d'Orsay sull'Alto Adige e ad esprimersi in termini espliciti e chiari. Qualora si

I Vedi D. 428.

facesse il plebiscito, si verrebbe a ridare ai tedeschi che si manifestarono nelle opzioni fautori del III Reich nazista e che fornirono largo contributo alle S.S. il diritto di decidere sulla frontiera stabilita nel 1919.

Confermo che questione frontiera Brennero non è stata, almeno sinora, sollevata né a Londra, nè a Washington, né a Mosca.

Confido che sua azione -che pienamente approvo -gioverà a bloccare eventuali intenzioni francesi in quel senso.

496

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7838/318. Parigi, 5 settembre 1945, ore 20,40 (per. ore 16,30 del 6).

Avuto ieri colloqui con Léon Blum vigilia sua partenza Londra ove recasi prendere contatti partito laburista e, suppongo, preparare terreno patto franco-inglese. Léon Blum manifestatomi sua certezza appoggio francese tesi italiana confe

renza pace.

Mio precedente lungo colloquio con Herriot trovata larga comprensione; avendo egli tuttavia accennato connessione problema Alto Adige con necessità rendere Austria vitale, ho opposto noti argomenti e aggiunto vitalità Austria dipende non valli alpine ma intesa popoli danubiani.

In colloquio ieri ambasciatore U.R.S.S. ho esposto tesi italiane prospettato speranze nostro governo incontrare larga comprensione Russia tavolo pace. Ricevuto accoglienza cordiale ed incoraggiante ma trovato riserva sul fondo trincerandosi dietro affermazioni generiche volontà Russia pace.

Avrò prossimamente scambi di idee capi partito comunista e movimenti destra, prima partenza delegazione francese per Londra riservandomi sollecitare udienza Bidault ed eventualmente de Gaulle.

497

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. PERSONALE SEGRETA 3/1486. Roma, 5 settembre 1945.

Sia Truman che Byrnes hanno intrattenuto Tarchiani sull'argomento delle elezioni italiane: ti accludo copia dei due telegrammi 1•

l Vedi DD. 472 e 478.

Come tu vedrai, Byrnes non condivide affatto i timori britannici circa la firma del trattato di pace con un governo «non rappresentativo» e ritiene anzi che la conclusione di una pace equa non può che, vivificando le nostre energie, avere benefico influsso sulla normalizzazione della nostra situazione interna.

È, a questo proposito, interessante l'assicurazione dataci da Truman circa il proposito degli Stati Uniti di fare tutto il possibile, durante l'autunno e l'inverno, affinché a primavera il popolo italiano non debba trovarsi in uno stato d'animo di giustificato pessimismo e malcontento.

Non credo convenga comunque sottolineare in alcun modo costì la divergenza dei punti di vista inglese e americano al riguardo e, sopra tutto, mostrarci informati sul disappunto di Washington per il passo compiuto qui dall'ambasciatore Charles, non concordante con le primitive intese anglo-americane.

Avremmo l'aria di voler speculare su un dissidio, piuttosto che sostenere onestamente la nostra tesi.

498

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

L. PERSONALE SEGRETA 3/1487. Roma, 5 settembre 1945.

Ti accludo un telegramma di Tarchiani sulla visita del generale de Gaulle a Washington con particolare riferimento alle questioni italo-francesi 1•

Già precedentemente il Dipartimento di Stato ci aveva fatto sapere che da parte americana la nostra frontiera occidentale era considerata una frontiera «giusta», sulla quale nessuna ragione seria consigliava dunque di tornare.

L'accluso telegramma «situa» in modo ancor più esatto la posizione internazionale delle richieste francesi. Ci consente cioè di ragionevolmente presumere che esse non saranno accolte a Londra con troppo consenso ed anzi con molto probabile contrasto.

Ciò che, se non erro, rafforza la posizione da noi assunta e di cui alla mia lettera personale del 31 agosto n. 311461 2 . E cioè: disposizione di massima ad amichevolmente discutere sui terreni di caccia, minori rettifiche al nord, nostro arretramento nel Fezzan, ma resistenza per quel che concerne il cuneo di Tenda e Briga nella valle del Roja. E ciò nell'interesse stesso di quello stabile riavvicinamento fra i due Paesi che, come tu dici molto giustamente nei tuoi rapporti, non può essere costruito su basi già in partenza malsane e che pur deve, nonostante tutto, restare l'obiettivo maggiore da raggiungere con fermezza e pazienza.

Io non so se i francesi si propongano di arrivare a un accordo con noi in questa estrema vigilia della Conferenza di Londra. Non lo direi, non fosse che per

I Vedi D. 472. 2 Vedi D. 482.

la materiale mancanza di tempo. Ma è bene che il governo francese sappia in modo assolutamente esplicito e chiaro sin da ora che restiamo totalmente acquisiti sia alla tesi della funzione dirigente che vorremmo la Francia esercitasse nella ricostruzione dell'Europa occidentale e latina, sia alla conseguente necessità del più stabile e serio riavvicinamento itala-francese, sia, infine, ai nostri propositi di diretta e amichevole discussione su basi ragionevoli.

Direi di più: saremmo disposti ad allargare la discussione fra noi e la Francia anche oltre i limiti della definitiva sistemazione delle questioni pendenti, allo scopo di giungere, attraverso quell'appoggio e assistenza che essa vorrà darci alla conferenza dei cinque, a quelle intese sopra tutto economiche, culturali e di sicurezza che porrebbero indubbiamente le fondamenta di quella collaborazione veramente solida e permanente cui sia da parte francese che nostra si è fatto sovente sia pur generico accenno.

È superfluo ti ripeta come io confidi, nelle difficili circostanze, nella tua attività e nella tua intelligenza.

499

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. PERSONALE 6057/362. Roma, 6 settembre 1945, ore 19.

È bene tu sappia che Nenni mi dice di aver in questi giorni nuovamente scritto a Bevin per assicurarlo e insistere su possibilità rapide elezioni Costituente.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE 1

L. 3/1508. Roma, 6 settembre 1945.

Secondo notizie pubblicate dai giornali di Trieste e di cui ho potuto ricevere testè precisa conferma, le autorità jugoslave hanno organizzato fra le popolazioni della Venezia Giulia un cosidetto «plebiscito» in favore del passaggio di quelle regioni alla Jugoslavia.

1 Copia di questa lettera fu inviata in pari data a Kirk, Charles, Tarchiani e Carandini. Nella risposta di Charles (L. 1451820/45 del IO settembre) è contenuta la seguente frase: «Any such "plebiscite" will, of course, be entirely null and void in the eyes of the Allied authorities».

Nella zona di occupazione delle forze del maresciallo Tito e specie nell'Istria, risulta infatti che propagandisti all'uopo inviati percorrono i villaggi tenendo accesi discorsi di propaganda al termine dei quali passano per le abitazioni per chiedere l'adesione scritta ai singoli membri della popolazione.

Secondo notizie molto attendibili, in alcuni luoghi, essendosi la popolazione rifiutata di aderire, furono tolti tutti i permessi di circolazione; nel villaggio di Pinguente vennero piazzate mitragliatrici e sparati molti colpi per terrorizzare la popolazione, in altre località si fissò il coprifuoco alle ore 18 affinché nessuno potesse nascondersi fuori di casa.

Ai singoli cittadini l'adesione viene estorta in maniera spesso brutale sotto minaccia di espropriazione delle proprietà per coloro che non firmano e t~lvolta con dirette minacce a mano armata.

Dalle informazioni pervenute risulta che il tentativo di compiere questa specie di «plebiscito» viene eseguito anche a Trieste e in tutta la zona controllata dagli Alleati. Naturalmente si ricorre a mezzi molto meno vistosi e violenti ma i cittadini invitati a firmare una scheda in favore di «Trieste autonoma nella Jugoslavia» ove rifiutano sono ugualmente soggetti a gravi minacce.

Non dubito che ella vorrà rendersi conto della gravità dei fatti sopra accennati, i quali aggiungendosi ai numerosi altri tentativi jugoslavi (ad es. la immigrazione di forti gruppi sloveni a Trieste; mia lettera 3/1421 del 26 agosto') confermano ancora una volta l'intenzione del governo jugoslavo di provocare artificiosamente una decisione ad essi favorevole circa la Venezia Giulia.

Le sarei grato, caro ammiraglio, se volesse portare quanto sopra a conoscenza delle autorità alleate competenti affinché vengano tempestivamente presi i provvedimenti che saranno ritenuti opportuni.

501

L'AMBASCIATA DI POLONIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 14. Roma, 6 settembre 1945.

L'ambasciata di Polonia in Italia ha l'onore di esporre a codesto ministero degli Affari Esteri quanto segue:

. Ancora oggi, ossia a due mesi di distanza dal riconoscimento del governo provvisorio polacco di unità nazionale, dobbiamo constatare con vivo rincrescimento che tutti gli uffici dipendenti dall'ex-governo polacco di Londra continuano a svolgere indisturbati le loro funzioni, rilasciando documenti ai cittadini polacchi in Italia. Il perdurare della simile situazione non può non nuocere agli interessi fondamentali del governo provvisorio polacco in Italia.

I Vedi D. 464.

Confidando nell'abituale cortesia del governo italiano, ci rivolgiamo a codesto ministero, affinché siano presi benevolmente in considerazione i seguenti desideri di questa ambasciata:

l) che vengano prese misure necessarie, affinché sia messo termine alle attività dell'ambasciata, degli uffici consolari, della delegazione del ministero dell' Assistenza Pubblica e degli altri uffici, dipendenti dall'ex-governo polacco di Londra;

2) che vengano dichiarati nulli in Italia i documenti rilasciati dalle autorità dell'ex-governo polacco di Londra dopo il 6 luglio 1945;

3) che vengano presi passi necessari per assicurare il ritorno al governo provvisorio dei beni di proprietà dello Stato polacco, ormai in illegale possesso dei funzionari dell'ex-governo polacco di Londra. Il problema venne già presentato e precisato dal sig. Markowski -già incaricato per la protezione dei beni dello Stato polacco in Italia -nelle varie lettere in data del l O luglio, 21 luglio e 4 agosto 1945, indirizzate a codesto ministero 1 . Prendiamo l'occasione di ricordare che fra i beni, di cui veniva richiesto il ritorno di proprietà al governo provvisorio polacco, si trovano:

a) gli atti e gli archivi di proprietà dello Stato polacco d'anteguerra;

b) la biblioteca polacca a Roma, filiale dell'Accademia delle Scienze di

Cracovia;

c) i magazzini di viveri e vestiario;

d) altri beni (mobili, argenterie, porcellane, oggetti d'ufficio, automobili ecc.) di proprietà delle autorità polacche d'anteguerra, asportate e occultate dai funzionari dipendenti dall'ex-governo polacco di Londra;

4) l'ambasciata di Polonia ha l'onore di ricordare il suggerimento, già formulato nelle sopracitate lettere del sig. Markowski, di porre il fermo temporaneo sui conti bancari dei cittadini polacchi in Italia per verificare, se e in quale misura questi beni costituiscono la proprietà dello Stato polacco 2 .

502

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7916-7917/516-517-518. Londra, 7 settembre 1945, ore 13,10 (per. ore 17,30 dell'B).

Avuto ieri colloquio con Cadogan. Gli ho spiegato nuovamente in dettaglio complessa situazione politica e concomitanti difficoltà tecniche che rendono oggi

I Non pubblicate. 2 Per la risposta vedi D. 585.

difficile al governo italiano assumere precisi impegni circa data in cui potrà concretarsi suo intendimento convocare al più presto possibile comizi politici.

Per quanto riguarda elezioni amministrative ho dichiarato che il governo italiano si propone in massima di farle precedere a quelle politiche sempreché non si trovi di fronte ad un irrigidimento dei partiti che tendono a posporle.

In definitiva trattandosi trovare una formula concreta rispondente istruzioni impartite da V.S. e dal presidente del Consiglio dei ministri mi sono valso della tassativa assicurazione datami da Nenni che qualora non fosse possibile fare entro l'anno elezioni politiche egli si impegnava sostenere elezioni amministrative entro tale termine estese contemporaneamente a tutto territorio nazionale.

Questa formula rappresenta impegno minimo che possiamo assumere ed è stata accolta favorevolmente da Cadogan il quale ha preso attenta nota di tutte le argomentazioni di cui mi sono valso per ottenere che il governo britannico, preso atto della nostra leale intenzione affrontare al più presto possibile queste fondamentali prove democratiche, consenta al governo italiano giudicare del momento più opportuno e dell'ordine di precedenza per assicurare nelle condizioni meno sfavorevoli il loro svolgimento.

Comprensione dimostrata da Cadogan non ci autorizza naturalmente considerare superata la amichevole pressione di Bevin e tanto meno presumere placata inquietudine con cui è qui considerata la lentezza con cui si provvede alla creazione di una valida democrazia italiana. Resta fermo che se elezioni politiche dovranno essere rimandate a marzo (il che fra l'altro consentirebbe voto di buona parte dei prigionieri rimpatrianti) non vi sarebbe scusa se si mancasse alla subordinata premessa tenere entro l'anno almeno elezioni amministrative.

Per quanto riguarda nostro punto di vista circa condizioni di pace ho consegnato in via assolutamente confidenziale a Cadogan copia delle osservazioni che V.S. ha fatto pervenire al governo americano a mezzo Tarchiani 1 affermando che esse rappresentano espressione autentica del pensiero di V.S. in merito alle varie questioni sulle quali mi ero ultimamente espresso a titolo personale prima della conferenza di Potsdam e con riservato consenso di V.S. nel mio ultimo colloquio con Bevin.

Cadogan ha apprezzato la comunicazione assicurandomi che l'avrebbe studiata con cura. Sul problema generale della pace ho ribadito nostri fondamentali concetti ispirati noh solo ad una ristretta visione degli interessi italiani ma ad una più vasta e lungimirante considerazione della funzione italiana nel quadro della ricostruzione e dell'equilibrio europeo.

Ho insistito sulla personale convinzione che una pace equa avrebbe decisamente rafforzato posizione e autorità dell'Italia e governo di coalizione, mentre condizioni inaccettabili potrebbero provocare in questa delicata fase una crisi governativa a cui poteva succedere caos. Cadogan mi è parso condividere questa gravissima preoccupazione.

Per quanto riguarda procedura della conferenza, mi ha detto che egli personalmente prevede che il convegno dei cinque ministri Esteri non durerà più di una quindicina di giorni. In questa fase essi tracceranno le grandi linee della pace con l'Italia, lasciando poi ai loro rappresentanti, che continueranno a sedere a Londra, il lavoro di elaborazione del testo definitivo e di tutte le clausole accessorie.

l Vedi D. 446.

A mia precisa richiesta è stato affermato che l'intenzione del governo inglese

(telegramma 363) 1 è sempre stata ed è sottoporre all'Italia proposte di pace definitive esaurienti cioè tutte le questioni sia territoriali che economiche.

Cadogan mi ha riconfermato che una pace limitata alla normalizzazione formale del nostro stato giuridico sarebbe un atto privo di logico contenuto e di reale effetto. Circa il momento dell'intervento italiano egli ritiene che non saremo chiamati a presentare le nostre osservazioni durante permanenza a Londra dei ministri Esteri ma solo quando i lavori saranno veramente ultimati, il che richiederà evidentemente un tempo non breve.

Circa la forma dell'intervento italiano ho insistito sulla necessità che una delegazione capeggiata da V.S. sia chiamata a Londra onde dare all'atto la necessaria efficienza e la dovuta solennità. Ho insistito perché dopo i primi incontri dei Cinque governo italiano sia informato riservatamente delle condizioni convenute onde accordargli il tempo necessario alla propria preparazione ed a quella essenzialissima della pubblica opinione. Cadogan mi è parso sostanzialmente convenire su queste due inderogabili esigenze. Tutto ciò rappresenta quanto Cadogan prevede ed è soggetto quindi a variazione trattandosi di argomenti sui quali i Cinque dovranno intendersi ed esprimersi.

Nonostante le notizie poco incoraggianti che mi erano giunte da varie fonti al mio ritorno a Londra debbo dire che il tono della mia conversazione con Cadogan e la sua affermazione che niente è stato ancora definitivamente stabilito circa le proposte inglesi fanno considerare suscettibile di qualche favorevole influenza una questione che è ancora aperta.

503

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 7970/443. Washington, 7 settembre 1945, ore 8,38 (per. ore 19 del/'8).

Miei telegrammi 0114 per corriere e 4302•

Dipartimento di Stato ha oggi nuovamente richiamata l'attenzione di questa ambasciata sull'opportunità che si dia inizio al più presto alle nostre elezioni comunali. Secondo Dipartimento, essendo trascorsi ormai due anni da liberazione provincie meridionali, non dovrebbero esservi motivi per non cominciare subito elezioni graduali, dandone annunzio sin da ora. Ci è stato detto che una pubblica decisione in tal senso agevolerebbe notevolmente azione delegazione americana a Londra prevedendosi aspre obiezioni sovietiche sulla «democraticità» nostro governo: d'altra parte poiché Stati Uniti d'America premono per democrazia ne1 Balcani essi potrebbero trovarsi accusati di «usare due pesi e due misure».

l Vedi D. 349. 2 Vedi DD. 472 e 487, nota l.

504

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. PERSONALE SEGRETO 2828n76. Parigi, 7 settembre 1945 (per. 1'8).

Ho avuto oggi alle ore 16 presso il Quai d'Orsay un colloquio di quarantacinque minuti col ministro Bidault che deve partire domani per Londra alla testa della delegazione che rappresenterà la Francia al tavolo della pace.

Nella mattinata, in una riunione del Consiglio dei ministri, era stata definita la posizione della Francia alla Conferenza di Londra.

Il ministro Bidault che mi accoglie con estrema cortesia mi espone dettagliatamente quale sarà l'atteggiamento della Francia nei nostri confronti. «Solo de Gaulle ed io -mi dice il ministro -abbiamo stamane preso la parola. Il Consiglio ha approvato all'unanimità ciò che noi abbiamo proposto. L'istruzione che ho ricevuto dal mio governo è di appoggiarvi a Londra in ogni modo. E lo farò con tanto maggior convincimento che questa è la mia politica di sempre.

Per Trieste noi ci batteremo per la sovranità italiana sulla città e l'intemazionalizzazione del porto. Noi faremo di tutto perché le linee di comunicazione col resto del territorio italiano siano assicurate al vostro paese.

Per l'Alto Adige, dove la situazione è molto delicata, faremo del nostro meglio per garantirvi una soluzione equa.

Sono riuscito a far scomparire dal tracciato della frontiera franco-italiana tutti i segni a matita rossa che lo Stato Maggiore aveva disegnato sulla carta; tutti, tranne uno: quello di Tenda e di Briga, terreni di caccia compresi. lo personalmente avrei fatto scomparire anche quello, ma il generale de Gaulle è stato irremovibile. La cosa potrebbe essere risolta nella forma di un plebiscito. Si tratta, in fondo, di 2500 abitanti in tutto perché Ventimiglia è fuori discussione e rimane all'Italia. Questo lo dovete personalmente a me.

In quanto alle colonie, vi dico che difenderò ferocemente -ripeto, ferocemente -la vostra sovranità sulla Libia, sulla Cirenaica, sull'Eritrea e sulla Somalia. Chiederemo unicamente una rettifica nella regione del Fezzan. Per la Libia la cosa sarà forse agevole; più difficile per la Cirenaica; ma ci batteremo a fondo negoziando come soluzione di compromesso uno statuto particolare per la Marmarica. E difenderemo anche l'Eritrea, e anche la Somalia. In linea generale, se non fosse possibile altro, accettereste voi la formula del trusteeship col mandato unico all'Italia?» Alla mia risposta affermativa, il ministro prosegue: «Per il Dodecanneso credo che la cosa sia già risolta.

Per le riparazioni non chiederemo che la restituzione di quel che ci è stato tolto: non un centesimo di più. Anche per la flotta, tanto mercantile che da guerra, faremo il nostro possibile perché non vi venga sottratta.

E poi, quando voi farete parte delle Nazioni Unite troverete tutto il nostro appoggio non soltanto per la partecipazione all'amministrazione di Tangeri, ma aggiungo -e dico questo in linea confidenziale -anche per Suez. Ci metteremo d'accordo per un trattato di lavoro e in seguito si andrà ancora più lontano ... Confidenzialmente vi dico che a Londra sosterremo il vostro diritto a partecipare alla Conferenza».

Rispondo al ministro ringraziandolo per l'azione personale da lui svolta nel passato a favore del riavvicinamento tra i nostri due paesi, garanzia sicura di quella che sta per intraprendere a Londra. Lo informo che ho ricevuto dal mio ministro la conferma solenne che restiamo totalmente acquisiti alla tesi della funzione dirigente che vorremmo la Francia esercitasse nella ricostruzione dell'Europa, ma che ho il dovere di precisare dettagliatamente il nostro punto di vista nell'interesse di quell'accordo tra i due popoli che tanto ci sta a cuore. Mi preoccupo soprattutto di mettere i luce con molta chiarezza i punti in cui l'esposizione del ministro Bidault è stata vaga o in contrasto con le nostre tesi. Il problema di Trieste è per noi vitale, ma esso è strettamente legato a quello dell'Istria. Non si tratta soltanto di assicurare le comunicazioni tra Trieste e i territori italiani posti a occidente della città, ma di garantire la sovranità italiana su regioni incontestabilmente nostre come l'Istria occidentale. Sostengo quindi il tracciato della linea Wilson come concessione estrema.

Per l'Alto Adige non sono meno categorico. Mai il popolo italiano perdonerebbe alla Francia l'appoggio eventuale che essa desse a Londra alle tesi dei nazisti austriaci contro i diritti dell'Italia democratica. Sviluppo con i noti argomenti questo punto e noto con piacere che il ministro dà l'impressione di condividerli. «Accettereste voi -dice Bidault interrompendo -il principio dell'autonomia amministrativa per quelle popolazioni?». Rispondo affermativamente e lo pongo di fronte alla responsabilità storica che si assumerebbe la Francia favorendo una nuova spinta verso il sud del pangermanismo. Il ministro mi pare convinto, e su questo punto è lui che conclude: «Terrò conto di quanto dite e sarò molto prudente».

Passando al problema della frontiera franco-italiana, lo ringrazio di aver fatto sparire dalla carta i segni rossi che la deturpavano, ma dopo aver ribadito la nostra profonda volontà di giungere ad un accordo tra i due paesi anche a costo di duri sacrifici, gli dichiaro che la rinuncia a Tenda e a Briga è impossibile. Il ministro fa schioccare a questo punto le dita col gesto di chi ha l'aria di dire: «peccato, andava tutto così bene, questo proprio non ci voleva». «Neanche sotto la forma del plebiscito?» «Sarebbe aggiungere, gli rispondo, un elemento di derisione a un fatto in sé già doloroso. Facciamo magari ricomparire sulla carta qualcuno dei segni rossi che sono stati cancellati, ma Tenda e Briga, no. La linea di cresta vale fino al Claviere non oltre». Il ministro è evidentemente addolorato e imbarazzato costretto a dover sostenere una causa che sa ingiusta. Rincaro la dose prospettando l'errore di una ingiusta mutilazione del nostro territorio che getterebbe un fermento malsano nei rapporti tra i due popoli. L'Italia avrà l'impressione che la Francia abbia voluto marquer le coup, ed è nel comune interesse evitare ciò.

Passando alle colonie, lo ringrazio calorosamente per l'appoggio promesso e lo assicuro che considereremo con la massima buona volontà la questione del Fezzan. Richiamo la sua attenzione sull'importanza estrema che hanno per noi la Cirenaica e l'Eritrea. Lo ringrazio per quanto ha detto a proposito della flotta, di T angeri e di Suez.

La parte essenziale del colloquio è finita. Il ministro mi informa che il suo principale collaboratore a Londra sarà Couve de Murville. Confidenzialmente mi fa sapere che il candidato che la Francia proporrà per l'ambasciata a Roma è il generale Catroux, attualmente ambasciatore a Mosca. Mi prega di informarne il ministro De Gasperi e mi fa parte del suo desiderio che la notizia rimanga segretissima per evitare guai tra i molti aspiranti. Mi informa che parlerà alla radio durante una emissione in cui prenderà pure la parola il ministro De Gasperi. «Sono lieto di poter fare un gesto per l'Italia, come sono lieto di avere l'occasione di incontrarmi con De Gasperi. Del resto già si dice che tra noi due ci sono complicità ... ». Mi assicura, per concludere, che la Francia a Londra si batterà a fondo per l'Italia. Incidentalmente mi dice che de Gaulle ha dichiarato in sua presenza al presidente Truman che la Francia non solleverà mai più la questione della Valle d'Aosta. «In ogni caso -ed è l'ultinp sua battuta -se le nostre tesi in vostro favore a Londra non dovessero prevalere, la Francia farà in modo che si sappia pubblicamente quale è stata la sua posizione».

Questa, in succinto la stenografia del colloquio da cui non è emerso alcun elemento nuovo e in cui si sono precisati i temi essenziali: irrigidimento per Tenda e Briga e sincera promessa di appoggio sulla questione coloniale.

505

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATISSIMO 160/55. Praga, 7 settembre 1945 (per. il 19).

Con i telegrammi nn. 39-41 del 3 corrente e nn. 42-43 del 4 corrente 1 ho riferito sulla campagna della stampa di Praga ed il comizio. indetto in un pubblico locale della città in favore dell'annessione di Trieste alla Jugoslavia. Avendo appreso soltanto poco fa che il corriere inglese in partenza è stato anticipato al venerdì e si chiuderà stasera, approfitto del poco tempo a disposizione per informare V.E., con qualche maggior particolare, sulla situazione, e per trasmettere la relativa documentazione.

Il punto che sarebbe più interessante accertare è quello della esatta origine di queste manifestazioni. Masaryk è stato categorico. Mi ha dichiarato di ignorare tutto, che era stato sorpreso nel leggere i giornali, che ne riprovava il linguaggio come inopportuno da tutti i punti di vista. Quando gli ho chiesto: «benissimo, ma quale è l'atteggiamento del suo governo nella questione di Trieste?», mi ha risposto che naturalmente sapeva che gli jugoslavi li stavano «tormentando» (pestering) da mesi perché si schierassero apertamente per loro, ma che egli, Masaryk, nulla sapeva di una decisione del governo cecoslovacco al riguardo. D'altra parte V.E. ricorderà che nel mio colloquio col sottosegretario di Stato Clementis (rapporto n. 88/26 del 16 agosto u.s.) 2 , di fronte ai miei ripetuti tentativi di mettere in chiaro la posizione cecoslovacca su Trieste, il mio interlocutore si manteneva riservato sino alla fine.

I T. 7735-7791-7792/39-40-41 e T. 7909-7774/42-43, non pubblicati. 2 Vedi D. 424.

Dal suo riserbo io trassi l'impressione, segnalata a V.E., che il governo non si volesse impegnare a fondo a nostro favore, che il più che si potesse sperare era che si mantenesse neutrale, che si astenesse dall'appoggiare in pieno la tesi di Tito.

Pochi giorni dopo l'ambasciatore d'Inghilterra, parlando con Clementis, ebbe, sostanzialmente, la stessa impressione; e in più che il governo çecoslovacco, sulla questione di Trieste, si sarebbe lasciato guidare da Londra. Si tratta però, a quanto mi viene detto, di un'impressione, non di una dichiarazione esplicita.

Come si spiega allora la campagna attuale della stampa, il fatto che, se non ci fosse stato il mio deciso intervento del 3 settembre ma!tina, e la decisione del Consiglio dei ministri del pomeriggio, alla riunione di ieri avrebbero dovuto parlare, come era già stato annunciato ufficialmente, due membri del governo, il vice-presidente del Consiglio David (social-nazionale, partito di Benes) e il ministro comunista dell'Istruzione, prof. Nejedly?

Il 4 mattino ho avuto con Heidrich, direttore degli Affari Politici, una lunga conversazione durata un'ora e mezzo (telegrammi 42 e 43). Gli ho detto che in Italia non si sarebbe mai capito l'atteggiamento cecoslovacco, che era come se a Roma si facessero dimostrazioni per l'annessione di Teschen alla Polonia. Mi ha dato ragione su ogni punto e, inoltre, mi ha detto: che Masaryk, dopo il mio colloquio con lui, era «furibondo», che aveva detto che in Consiglio dei ministri avrebbe fatto una scenata, e che così non si poteva più andare avanti. Heidrich ha aggiunto che aveva parlato personalmente con Dvorak, l'uomo di fiducia di Fierlinger, e che questi gli aveva assicurato che né lui, né il primo ministro, erano stati messi al corrente dell'iniziativa presa dalla stampa e della promessa di intervenire al comizio fatta dai loro due colleghi di Gabinetto. Gli ho chiesto allora come spiegava la faccenda. Mi ha risposto che casi di questo genere, sebbene di minor portata, si ripetono ogni momento, che il partito comunista, attraverso il ministro delle Informazioni, comunista, dispone dei giornali come vuole e si fa obbedire quando vuole, minacciando la sospensione delle forniture di carta. Clementis, che ho veduto il giorno seguente, e al quale ho presentato la nota verbale che accludo in copia 1 per protestare contro la campagna dei giornali e chiederne la cessazione, è stato molto meno esplicito (è del resto anche lui comunista); ma mi ha assicurato che il governo era estraneo alla cosa, e che avrebbe fatto tutto il possibile per fermare i giornali. ,

Non posso credere che si menta con tanta unanimità e decisione. Si deve ammettere perciò, per enorme che appaia, che le cose stanno veramente così, e che il governo non ha voluto la campagna di stampa. Naturalmente i due ministri suindicati erano consenzienti e avevano accolto l'invito del partito, o dei partiti, a parlare alla riunione, ma il Gabinetto non li aveva autorizzati. Da quando mi trovo a Praga sono stato testimone di molti esempi di come il governo, lo stesso presidente della Repubblica, subiscano le imposizioni dei partiti di estrema sinistra; questo sarebbe soltanto il caso più grave e più vistoso.

Resta la questione dell'atteggiamento del governo sulla questione di Trieste. È possibile, ma non sicuro, che effettivamente non sia stata presa ancora alcuna decisione al riguardo, e che la mossa del partito comunista (il socialnazionale non

1 Gli allegati non si pubblicano.

ha importanza, tiene il piede in due staffe, ma si lascia trascinare dai comunisti) sia stata diretta, per reazione a questa indecisione, a compromettere pubblicamente il governo e a forzarlo così a prendere partito aperto per la Jugoslavia.

Mi manca materialmente il tempo per fare con questo rapporto la più lunga analisi che l'argomento meriterebbe e che mi riserbo di fare col prossimo corriere. Sarebbe interessante, per esempio, esaminare se dietro il partito comunista vi sia stata, o non, l'istigazione russa. La prima impressione è decisamente per il si. Ma ciò contrasterebbe la presunzione che il governo, che mai sarebbe capace di resistere ad una qualsiasi richiesta formale russa, non abbia ancora precisato il suo atteggiamento su Trieste. Segnalo un fatto curioso, che potrebbe naturalmente essere anche l'effetto di una semplice coincidenza: l'ambasciatore di Russia, al quale avevo fatto la visita d'uso al mio arrivo e che, data la mia posizione di incaricato d'affari, non aveva obbligo protocollare di restituzione, è venuto a trovarmi, quasi un mese dopo, e precisamente il lunedì tre settembre. L'ambasciatrice, lo stesso giorno, ha restituito la visita a mia moglie.

Per quanto riguarda la campagna di stampa, che continua, sebbene in tono molto minore, seguiterò a chiederne energicamente la cessazione. Mi tengo in stretto contatto con l'ambasciatore d'America e l'incaricato d'affari d'Inghilterra (l'ambasciatore Nichols, che conosco da Londra e che mi aveva così cordialmente promesso il suo appoggio, è purtroppo in congedo) ed entrambi mi hanno promesso di adoperarsi nello stesso senso presso il ministero degli Esteri. La cosa è tanto più opportuna in quanto i giornali hanno attaccato anche la politica alleata a Trieste.

Vengo ora all'ultima parte di questo rapporto, alla riunione di ieri sera alla sala «Lucerna». Vi avevo mandato una persona di fiducia la quale mi riferisce che, non solo non vi era nessun membro del governo, ma era anche cospicuamente assente qualsiasi personalità di primo piano dei partiti. La riunione si è svolta ordinatamente, senza ingiurie verso l'Italia, anzi con applausi all'Italia democratica. Dopo la riunione si è formato un piccolo corteo, composto principalmente di ragazzi e ragazze jugoslavi (numerosissimi a Praga) che hanno sfilato per le strade del centro al grido di «Trieste jugoslava». Dopo aver dimostrato davanti alla legazione di Jugoslavia (relativamente vicina alla nostra) un gruppo di non più che 50 o 60 giovanissimi studenti sono venuti a dimostrare sotto le finestre della legazione d'Italia. Anche qui senza grida ingiuriose, con evviva alla Jugoslavia, a Benes, a Stalin, morte al fascismo, e qualche evviva all'Italia democratica. Non vi era un solo agente di polizia.

Stamane stesso, senza recarmi al ministero degli Affari Esteri ho informato della cosa per telefono il ministro Heidrich, e gli ho inviato la nota che accludo in copia, dicendogli che lo pregavo di parlarne a Clementis e che avrei atteso la sua risposta prima di informare il mio governo. Mi giunge ora la nota di risposta, che accludo egualmente in copia, con la quale il ministero degli Affari Esteri esprime il suo vivo rincrescimento per l'incidente e assicura di aver preso le misure necessarie per impedire che si ripeta. Invierò naturalmente un telegramma che giungerà a

V.E. prima di questo rapporto 1•

l T. 8003/45-46 dell'S settembre, non pubblicato.

506

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8001147-48. Praga, 8 settembre 1945, ore 21,30 (per. ore 9 del 10).

Miei telegrammi 45 e 46 1•

Ho avuto stamane esauriente conversazione Benes. Gli ho chiesto anzitutto a nome ambasciatore Carandini se potesse darmi risposta circa sondaggi promessigli a suo tempo per atteggiamento russo nei riguardi Trieste. Mi ha risposto esser sua precisa «impressione» che i russi si fossero impegnati appoggiare richieste jugoslave. Ha aggiunto ritenere che anglo-americani, qualunque dovesse essere sistemazione internazionale Trieste, non dico non avrebbero consentito sua annessione Jugoslavia. Francia sarebbe propensa seguire Potenze occidentali. ·

Per quanto concerne posizione governo Cecoslovacchia presidente mi ha detto esser sua intenzione mantenere atteggiamento neutrale come risultava anche dall'ordine astensione membri governo da noto comizio dato da lui e da Masaryk non appena questi gli aveva riferito mio passo.

Per riguardo alla Jugoslavia, Cecoslovacchia non poteva schierarsi per l'Italia ma d'altra parte presidente si rendeva conto sentimento popolare italiano per Trieste e desiderava non offenderlo. Riteneva però dovermi avvertire che partito comunista locale avrebbe certamente rinnovato pressioni per ottenere almeno parvenza atteggiamento Cecoslovacchia favorevole Jugoslavia, e perciò non dovevo stupirmi sporadiche manifestazioni. Giornali odierni non dico non hanno articoli su Trieste.

Presidente mi ha dato infine lunghe spiegazioni circa situazione interna e internazionale che riferirò per corriere.

507

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. s.N.D. 6188/c. 2 . Roma, 9 settembre 1945, ore 24.

(Solo per Londra, Parigi, Mosca) Ambasciata Washington ha segnalato ai primi di settembre 3 che mentre negli ambienti più autorevoli Dipartimento di Stato si era in genere propensi riconoscere diritto dell'Italia a conservare frontiera Brennero,

l Vedi D. 505, nota l p. 685. 2 A Mosca il telegramma venne inviato per corriere. 3 Vedi D. 491, nota l p. 669.

686 esisteva tuttavia corrente favorevole idea plebiscito, basata fra l'altro su concetto che «non valgono per Austria considerazioni e misure di rigore attuate per la Germania». Non era da escludere pertanto che delegazione americana Londra potesse ricevere istruzioni di accennare, per ragioni di principio, alla desiderabilità di un plebiscito, pur senza insistere su tale concetto. Peraltro questione non era stata ancora decisa da segretario di Stato. È stato pertanto telegrafato a Washington quanto segue:

(Per tutti) Punto di vista italiano sulla questione alto-atesina, è ampiamente illustrato dall'appunto che codesta ambasciata ha già inoltrato al Dipartimento di Stato.

In relazione contenuto suo recente telegramma ella potrà tuttavia, se lo ritenga opportuno, lumeggiare ulteriormente seguenti considerazioni:

l) dei 229.500 allogeni della provincia di Bolzano, circa 167 mila secondo cifre ufficiali a suo tempo pubblicate, dichiararono «di impegnarsi in forma assolutamente definitiva di voler acquistare la cittadinanza germanica e di trasferirsi nel Reich». Di questi circa 120 mila (di cui 70 mila effettivamente partiti) hanno già perfezionato acquisto cittadinanza tedesca. In base accordi del 1939, che essa considera perfettamente validi, Italia potrebbe inoltre pretendere che non appena circostanze generali lo consentissero, anche i rimanenti optanti perfezionino impegno solenne a suo tempo assunto. Comunque è certo che nessuno degli optanti, naturalizzati o non, potrebbe avanzare diritto di essere ammesso ad un eventuale plebiscito riguardante avvenire di una terra che, come già sottolineato, essi sono «impegnati in forma assolutamente definitiva» di abbandonare.

2) Il governo democratico italiano, ispirandosi concetti superiori di umanità ha già manifestato intenzione di ammettere una revisione delle opzioni effettuate. L'imposizione di un plebiscito significherebbe quindi, oltre tutto, far praticamente ritorcere contro l'Italia il fatto di non avere invece preteso, a simiglianza di quanto hanno fatto o stanno facendo altri paesi, allontanamento forzoso di tutti gli allogeni residenti entro i suoi confini naturali e politici. Ingiustizia tanto più grave in quanto Italia è, tra tutti, l'unico paese che abbia un fondamento giuridico per pretendere simile allontanamento.

3) Non è irrilevante ricordare che opzioni furono effettuate nel dicembre 1939, cioè dopo inizio guerra aggressione germanica e mentre Italia era ancora neutrale. Esse ebbero tutto il carattere di una adesione alla Germania nazista e violenta, impronta nazista ebbe atteggiamento gran parte della popolazione allogena, prima e dopo 1'8 settembre 1943, con un apporto di ben 5 mila reclute alle formazioni S.S.

4) Questione nostre frontiere settentrionali si presenta, anche sotto punto di vista morale e giuridico in forma del tutto diversa da quella altri confini. Austria non ha subìto aggressioni. Non ha alcun lontanissimo titolo ad eventuali riparazioni da parte Italia. Al contrario essa ha partecipato appieno, e sino alla fine, alla guerra contro le Nazioni Unite senza neppure la traccia di una effettiva resistenza antinazista. Non è ammissibile che essa possa avanzare oggi pretese territoriali, neppur prospettate prima di ora, nei confronti Italia democratica che durante venti mesi di leale cobelligeranza ha combattuto a fianco Alleati, offrendo tutta se stessa alle distruzioni della guerra ed alle persecuzioni e vendette nazifasciste.

(Solo per Londra, Parigi, Mosca) Ove le sembri opportuno SI esprima costà nello stesso senso

(Solo per Londra e Parigi), contemporaneamente comunicando a codesto governo, in via confidenziale, memorandum a suo tempo inoltratole relativo nostra frontiera settentrionale 1 .

508

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/15302 . Roma, 9 settembre 1945.

A seguito di quanto comunicatole con lettera n. 3/1508 del 6 corrente 3 , ho l'onore di informarla che, secondo notizie testè pervenute da Fiume, quelle autorità jugoslave di occupazione starebbero intensificando la campagna diretta ad estorcere a quella popolazione adesioni in favore di una annessione alla Jugoslavia.

Risulta infatti che gruppi di partigiani si recherebbero casa per casa, spesso dopo averne bloccato le uscite, e con forme più o meno intimidatorie esigerebbero dai singoli inquilini la sottoscrizione di appositi moduli.

Nelle fabbriche e negli uffici le adesioni sarebbero richieste mediante la convocazione degli operai e degli impiegati, previo spiegamento di forze armate.

Malgrado le violenze usate, ed il fatto che la maggior parte della popolazione italiana sia attualmente assente da Fiume (come le ho altra volta segnalato oltre 30.000 abitanti hanno lasciato la città) sembra che gli organi jugoslavi preposti a questa singolare forma di «plebiscito» incontrino una certa resistenza. Ai cantieri navali, una massa di 800 operai si sarebbe nettamente rifiutata di aderire. Analogamente si sarebbero comportati gli operai del silurificio dove in un solo reparto, su 60 uomini ben 58 non hanno voluto sottoscrivere. Alle officine Romnsa, di fronte al rifiuto della quasi totalità dei presenti, gli organi jugoslavi avrebbero presentato una specie di ultimatum di cinque giorni minacciando gravi sanzioni se allo scadere del termine i «nemici del popolo» ancora non intendessero aderire.

Le trasmetto qui unito 4 un esemplare delle schede presentate alla popolazione di Fiume per raccogliere le adesioni (scheda che risulta eguale a quelle usate a Trieste ed in altri centri della Venezia Giulia) nonché la traduzione di una lettera testè pervenuta da Fiume che documenta i metodi usati dalle autorità jugoslave per cercar di raggiungere il loro intento.

1 Per le risposte vedi DD. 516 e 517. 2 Copia di questa lettera fu inviata a Kirk e Charles con L. 3/1532, pari data. 3 Vedi D. 500. 4 Non pubblicato.

509

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, NEGARVILLE, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 6206/414 (Washington) 371 (Londra). Roma, 10 settembre 1945, ore 19.

Comunicasi che sono in corso scambi vedute preliminari con governo sovietico circa ripresa rapporti commerciali. Sovietici annettono interesse preminente costruzione alcune navi nostri cantieri previa fornitura materie prime necessarie. Pregasi informare quanto sopra codesto governo, facendo presente che tale proposta incontra massimo interesse da parte nostra per seguenti motivi:

l) agevolerebbe rimessa efficienza nostri cantieri che potrebbero essere altresì utilizzati per costruzioni per conto alleati qualora ne fossimo richiesti:

2) consentirebbe impiego maestranze specializzate attualmente disoccupate;

3) renderebbe possibile approvvigionarsi da mercato sovietico, in contropartita lavorazioni eseguite, di materie prime indispensabili opera ricostruzione.

V.S. voglia aggiungere che per quanto ripresa rapporti commerciali con terzi Stati non sia più, come è noto, soggetta ormai alcuna restrizione, governo italiano, dato spirito cordiale collaborazione con paesi anglosassoni, ritiene opportuno informarli previamente, trattandosi di questione che investe interessi più ampi dei normali scambi commerciali e confida che nessuna obiezione sarà in merito sollevata. Pregasi riferire telegraficamente.

510

IL MINISTRO DELL'AERONAUTICA, CEVOLOTTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

N. RISERVATA PERSONALE 806. Roma, IO settembre 1945.

Accompagno l'acclusa memoria circa la «Situazione e aspirazioni dell'aeronautica italiana», compilata in occasione dei preliminari di pace 1 , di imminente discussione, con i seguenti concetti riassuntivi di carattere strettamente riservato e confidenziale:

l) La nostra aviazione militare, anche per ragioni di bilancio, in un primo momento dovrebbe essere contenuta in limiti modesti, che consentano però una organizzazione salda e una preparazione moderna ed adeguata. Si pensa che si

I Non pubblicata.

potrà dare vita ad una aviazione bene armata e bene istruita nei limiti delle forze attuali, cioè di 30-35 mila unità e di 350-400 aeroplani. È naturale però che nelle condizioni della pace si dovrà cercare di ottenere di più, per aver modo, ove occorra, di sviluppare successivamente le forze aeree a seconda delle circostanze, senza ostacoli.

2) Risulta da informazioni pervenute a questo ministero che gli Alleati stanno attrezzando con lavori importanti e costosi alcuni nostri aeroporti, come ad esempio quello di Elmas e quello di Treviso. Da indiscrezioni, si crede di sapere, che sia intenzione dei Comandi Alleati di"mantenere in proprio uso questi aeroporti anche dopo la pace. Il governatore di Treviso presentando al prefetto il comandante inglese di quell'aeroporto, gli ha detto esplicitamente che presume che tale ufficiale sarebbe rimasto colà per un paio di anni. L'uso di aeroporti italiani militari dovrebbe essere messo in relazione con la convenienza di mantenere qui una aviazione di sicurezza a disposizione delle Nazioni Unite, con particolare riferimento ai Balcani e alla Germania meridionale. In questo caso si potrebbe anche ottenere che questa aviazione di sicurezza fosse affidata alla nostra aeronautica militare, naturalmente con l'aiuto e con i necessari contributi delle Nazioni Unite. Se ciò avvenisse, la nostra aviazione militare avrebbe un altro non indifferente campo di sviluppo.

3) La questione dell'aviazione civile è particolarmente delicata. Noi riteniamo superato il pericolo che si vogliano imporre all'Italia clausole simili a quelle del Trattato di Versailles, che inibivano alla Germania ogni formazione di aviazione sia militare che civile. Però non sappiamo se ci sarà lasciata libertà di iniziativa, anzitutto per le linee internazionali (e particolarmente rilevante è per noi la linea del Sud America che già esercitavamo prima della guerra), e poi per le linee interne

o radiali, alcune delle quali, se conserveremo le nostre colonie, potrebbero avere un'importanza notevole (Asmara-Mogadiscio). Il nostro obiettivo dovrebbe essere di conseguire la più ampia libertà di movimento in questo campo. Se ci fosse comunque imposto un determinato sistema, se per esempio l'America, che ha in progetto grandi linee internazionali in un primo tempo gestite ed organizzate dall'aviazione militare, ci obbligasse a porre in essere un'organizzazione parallela per la ragione di rendere più agevoli gli smistamenti delle grandi linee internazionali alle nostre linee interne, noi ci troveremmo in un serio imbarazzo per quel che si riferisce all'attività da dare alle società di navigazione aerea, alcune delle quali (Ala Italiana, L.A.T.I.) sono di proprietà, quanto alle azioni, dello Stato e il cui personale fortemente si agita perché l'aviazione civile sia restituita ai civili. Anche il permesso di poter attuare noi i collegamenti delle nostre città principali alle capitali degli Stati europei e specialmente degli Stati confinanti (linee Milano-Berlino, TorinoParigi, Venezia-Vienna e Budapest) sarebbe molto interessante.

4) L'organizzazione degli aeroporti naturalmente dovrebbe essere assunta dallo Stato. Ma poiché alcuni aeroporti principali (Milano, Roma, Tripoli) interessano molto agli Alleati per il traffico internazionale, non sarà difficile ottenere il loro aiuto, che è indispensabile specialmente per ciò che riguarda gli strumenti di assistenza al volo ed in genere il corredo tecnico dei campi.

5) Probabilmente gli Alleati non avranno difficoltà a cederci in una certa misura aeroplani adatti al trasporto di persone. Ciò però inciderà in modo notevole sull'avvenire della nostra industria di costruzioni aeronautiche. Attualmente sono in costruzione presso l'Aeronautica Italiana (FIAT) una ventina di apparecchi G. 12 (un G. 212) e presso la SAVOIA MARCHETTI una dozzina di apparecchi S 95, a rischio questi ultimi della ditta. Se gli Alleati ci dovessero cedere materiale sufficiente per l'esercizio di tutte le nostre linee, non vedo come, almeno per un certo periodo di tempo, si potrebbero dare delle commesse a queste ditte, che per l'avvenire è opportuno mantenere in una qualche attività efficiente.

Queste considerazioni possono servire di indirizzo per le trattative di pace.

511

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 2880/793. Parigi, 10 settembre 1945 (per. il 22).

La difesa della nostra sovranità su tutte le nostre colonie che la Francia si ripromette fare alla Conferenza di Londra e questo ministro degli Affari Esteri non ha esitato a qualificare come «feroce» 1 , sarà probabilmente basata oltre che sulla tesi di una pace equa per l'Italia, anche sul fatto che il nostro Paese, con la sua capacità organizzativa e di lavoro, offre particolari garanzie per la messa in valore di tali territori contribuendo così alla prosperità generale. In questo senso sono appunto orientati i brevi accenni che questa stampa ha recentemente dedicato al nostro problema coloniale.

In realtà la conservazione dei nostri possessi d'oltremare è sentita in questi ambienti responsabili come un vero e proprio interesse francese. Con il vento anticoloniale che soffia da est e da ovest, in presenza dei non ancora precisabili sviluppi della politica filo-araba della Gran Bretagna, la Francia si sente particolarmente sola e pericolosamente in vista. Non chiede in tanto isolamento che di averci compagni e solidali nella difesa di posizioni che potrebbero essere domani posizioni di prima linea.

Non occorre speciale acume per diagnosticare questi moventi francesi; non sono mancate, del resto, esplicite ammissioni al riguardo da parte di funzionari degli Esteri e delle Colonie in confidenziali conversazioni con funzionari di questa ambasciata.

In contrasto con la sua politica di status qua coloniale appaiono Je rivendicazioni di questo governo sul territorio del Fezzan; ci troviamo qui in presenza, credo, di una precisa volontà del generale de Gaulle il quale, nelle sue preoccupazioni di prestigio e di gloria francese, intende fissare nel tempo e nello spazio i ricordi di quella che già si chiama la «leggendaria epopea» sahariana del generale Ledere. Domani ai ragazzini delle scuole le nuove carte geografiche evocheranno le nuove conquiste che la vittoria ha dato alla Francia; e i testi di storia esalteranno

I Vedi D. 504.

Leclerc, cui si deve qualche soddisfazione, non fosse altro perché egli è uno dei pochi generali su cui il capo del governo provvisorio può contare in modo assoluto. (L'altro è il generale Konig).

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. 6227 /c. Roma, 11 settembre 1945, ore 13.

(Solo per Washington, Mosca e Parigi) Ho telegrafato al R. ambasciatore a Londra quanto segue:

(Per tutti) Suo 521 1 e ultima parte 517 2 .

Mi rincresce rinvio partenza nostri esperti e ragioni addotte per giustificarlo. Qui si tratta fare pace con l'Italia, non con Jugoslavia, Grecia e Etiopia. Nostro interesse è dunque prevalente ed avrebbe giustificato iniziativa singola. Prendiamo comunque atto che al momento opportuno loro partenza sarà facilitata. La questione tocca quella più ampia e per noi essenziale della consultazione italiana. È evidente che dovremmo da parte nostra assicurarci la possibilità di portare un contributo sostanziale a quelle decisioni finali che così direttamente ci riguardano. La consultazione dovrebbe cioè essere effettiva; darci modo di esporre e di discutere e alla Conferenza di tener conto delle nostre osservazioni e punti di vista. Sicché è evidentemente da augurarsi che consultazione possa aver luogo durante permanenza dei ministri degli Esteri a Londra e non a lavori ultimati, quando sarà automaticamente difficile modificare presa di posizione già, almeno in gran parte, cristallizzata.

In questo senso intervengo presso questo ambasciatore d'Inghilterra 3• Faccia altrettanto costì anche da parte sua. Aggiunga che sappiamo perfettamente che decisioni finali ci sfuggiranno, ma avremo la coscienza di essere trattati da uomini liberi. l trattati di pace potranno soltanto in questo modo rivestire almeno un principio di carattere consensuale e cioè un avviamento verso quella collaborazione paritaria fra i popoli che è implicita nella promessa ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite4 .

(Solo per Washington e Parigi) Agisca, la prego, nello stesso senso presso codesto govemo 5 .

(Solo per Mosca) Faccia presente quanto precede costì, anche con riferimento alle cortesi assicurazioni datele da Dekanozov e di cui al suo rapporto n. 266 del 10 agosto scorso 6 .

1 T. s.n.d. 7915/521 del 7 settembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 502. 3 L. 3/1543, pari data, non pubblicata. 4 Per la risposta vedi D. 521. 5 Per le risposte vedi DD. 517 e 529. 6 Vedi D. 402.

513

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8169/439. Mosca, 11 settembre 1945, ore 23,13 (per. ore 10 del 13).

Nel corso conversazione con Dekanozov 1 ho marcato mio rincrescimento che governo sovietico non avesse voluto sentirmi neppure solo titolo informativo circa principali questioni relative trattato di pace. Ciò mentre specialmente a Washington ma anche a Londra e Parigi ci era stata data ampia possibilità esporre nostre ragioni: questa assenza contatti con governo sovietico unita a informazioni circa atteggiamento sovietico a Potsdam finiva con creare impressione atteggiamento russo ostile all'Italia. Ho particolarmente insistito su atteggiamento americano. Dekanozov, dopo avermi detto che in materia discussioni preliminari ogni governo aveva diritto fare quello che credeva, ha aggiunto in forma risentita che tanto in Italia si era sempre disposti a gonfiare qualsiasi voce contraria Unione Sovietica ed a passare in seconda linea atti concreti amicizia quale liberazione prigionieri. A mie repliche ha finito col dirmi che non era stato autorizzato ad entrare con me in conversazioni sulle singole questioni ma era autorizzato ad accettare da me per iscritt0 e trasmettere delegazione Londra a titolo puramente informativo quanto credevo dirgli circa principali questioni. Gli invio in conseguenza mia lettera personale ricalcata nelle linee generali su promemoria di cui lettera di V.E. 3114522• Impressione generale colloquio è che atteggiamento nei nostri riguardi non sia migliorato. Avverto ad ogni buon fine che Kostylev è partito per Londra con Molotov.

514

L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Roma, 11 settembre 1945.

I hasten to send you herewith, for your personal information, some informai notes relating to further observations of my Government in regard to the desiderability of beginning to hold immediately administrative elections in Italy, which formed the basis of my conversation with the President of the Council of Ministers today. ·

l Per maggiori particolari su questo colloquio vedi D. 527. 2 Del 31 agosto, con cui veniva comunicato un promemoria che era un estratto del D. 446.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

APPUNTO. Roma, 11 settembre 1945.

The Government of the United States desires to reiterate its views that administrative elections demonstrate the workability of electoral machinery and, therefore, in the opinion of the Gòvernment of the United States should commence at once and should precede national elections. Furthermore, the arguments sighted for the postponement of elections have not impressed the Government of the United States 1 . I t is felt that a Government which insists upon its democratic character should take the initial step of seeing that at least !oca! officials in some sections of the natiòn should have achieved their powers through election by their fellow citizens. Likewise, no reason is seen why !oca! elections in such communes as were first returned to the administration of the Italian Government should be further postponed, while the Council of Ministers is debating the question of first holding national elections. It is noted in addition that the law for the Constituent Assembly is stili being discussed, and that therefore the national elections could not be held immediately, while on the other hand !oca! elections in some of the communes could begin at once, and i t would thus seen most desirable to begin holding these !oca! elections immediately in the light of the many previous statements on this subject by the Italian Government. In this connection, it is finally noted that if the decision is later taken that the national elections should be held at once, a suspension of !oca! elections would be possible unti! such time as national balloting might be completed.

The Government of the United States, in conclusion, will watch with interest the steps taken by the Italian Government with regard to this matter2 .

515

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE RISERVATA. Londra, 11 settembre 1945 (per. il 13).

Affido a persona che parte domattina in aereo una mia lettera in data 8 corrente3 e queste affrettate righe.

La Conferenza si apre oggi pomeriggio. Le cinque delegazioni, quanto mai pletoriche, sono tutte qui. Vivo giorni faticosi ed angosciosi. I contatti, già ininterrotti nei giorni scorsi, si vanno moltiplicando. Nulla lascio di intentato in ogni

1 Nota del documento: «On August 24th the President of the Council of Ministers informed the American ambassador that the Italian Government has not as yet been able to reach an agreement as to when the elections should be held and also indicated the danger of !oca! uprisings and Government crises during the elections».

2 Con L. urgente 3/1544 dell'Il settembre De Gasperi comunicò a Parri: «Tenuto conto delle insistenze anteriori e di quest'ultima formale esortazione, credo che s'imponga di riferirne all'imminente consiglio dei ministri e di prendere una decisione. Non converrà parlarne in un consiglio di Gabinetto prima della seduta del consiglio? Sono naturalmente a tua disposizione».

3 Vedi Allegato.

direzione. Non condivido la euforia di Washington. Non sono pessimista ad ogni costo, ma considero le cose con freddezza adattando il mio giudizio alla logica di questo mondo tutto malato di rancori e di avari interessi. Può darsi sia la mia personale esperienza a farmi così scettico; Dio lo voglia. Non dubito delle-buone intenzioni americane, dubito della possibilità americana a tradurle in atto. Non sottovaluto il peso della influenza russa e nessuno lo sottovaluta qui, né inglesi né americani. Molotov è arrivato con una delegazione di trentadue persone e non è qui per compiacere nessuno. L'idea che l'Inghilterra si trovi in condizioni materiali ed in disposizioni di spirito tali da inclinarla a seguire le orme americane ovunque conducano, non corrisponde al vero o anticipa, per lo meno, una eventualità di cui non si è avuto finora il minimo segno. Vero il contrario. L'opinione inglese attraversa una fase di aspra irritazione, potrei dire di nevrosi conseguita ad una tensione troppo lunga. È uno stato di insofferenza verso un avvenire poco compensatore degli immensi sacrifici consumati che rende oggi l'opinione inglese, nel profondo se non in apparenza, ostile a tutto ed a tutti. Non credo che nessuno possa prendere alla leggera questo stato d'animo. Gli stessi americani che sono sbarcati qui ieri con la delegazione e che ho potuto avvicinare oggi sono ben consapevoli delle difficoltà e non certo inclini a giudicare come scontabile al cento per cento una decisiva influenza americana. L'America dispone oggi di un'influenza enorme ma non ha una libertà di manovra proporzionata a tale influenza. La competizione russo-americana che sovrasta come fattore dominante la politica mondiale, trova qui il terreno per la prima della sue concrete partite. Nessuno dei due giganti vorrà probabilmente compromettere le sorti di una complessa e lunga battaglia di influenze impuntandosi rigidamente all'inizio della partita su un problema non di primissimo piano qual'è quello italiano. Si deve quindi prevedere una soluzione di compromesso. Ma, a complicare le cose, l'Inghilterra entra come terza e ben determinata partecipe a questa gara nella quale si trova contemporaneamente in posizione solidale ed antagonistica con l'America. Per non parlare poi delle non trascurabili intromissioni francesi, jugoslave, greche, austriache ecc.

In questa complessa situazione ogni questione verrà decisa in seguito ad un prevedibile gioco di equilibri dipendente dalla valutazione momentanea che ognuno dei competitori farà del proprio interesse ad accentuare od allentare su un punto determinato la pressione del proprio gioco. Può darsi che da tutto questo esca una soluzione a noi favorevole, ma nulla ci autorizza per ora a far conto su questo benefico concorso di elementi. Per la questione italiana chi punterà i piedi a fondo, a qualunque costo? Io sono convinto che l'America si impegnerà con tutta determinatezza secondo i suoi sinceri propositi ideali, secondo gli impegni assunti con la massa elettorale italo-americana e, non ultimo, secondo l'interesse che ha a predisporre in Italia un sicuro approdo mediterraneo. Quello che non so è fino a quale punto ed in quale senso gli altri partecipanti alla Conferenza sono decisi ad impegnare la propria resistenza. Per questa ragione faccio il minor conto possibile sul "miracolo americano" e considero che la nostra battaglia debba essere condotta fino all'ultima ora tenendo conto solo dei fattori avversi, cioè come se fossimo soli contro chi ci osteggia. Per questo insisto sulla necessità di tenere in massimo conto l'opposizione russa e di nulla tralasciare per neutralizzarla attraverso contatti diretti, interventi ed affidamenti che possono essere efficaci fino all'ultima ora. Oggi, a mezzo l'ambasciatore Gusev, ho indirizzato a Molotov il mio saluto e gli ho chiesto di volermi ricevere. Può darsi che non mi riceva, ma se mi è dato avvicinarlo sono disposto a vendere l'anima per persuaderlo. Per questa stessa ragione mi rifiuto di contare su un facile adattamento inglese alla tesi americana. L'Inghilterra attraversa una crisi economica e finanziaria che può toglierle, per breve, il respiro ma che non la priva di una libertà di azione a cui non rinuncerà mai. Basta conoscere la durezza di Bevin e questo mondo anglo-sassone che ha affrontato da solo ben altra burrasca per rendersi conto che questo paese, a torto o a ragione, non si lascia allettare o intimidire. Esso non solo non abdicherà di fronte a qualsiasi influenza, ma non recederà un attimo dalla volontà di esercitare l'influenza propria.

Dopo il mio ultimo colloquio con Bevin ho visto Morrison (Lord President of the Council) per la questione generale della pace e Isàacs (ministro del Lavoro) per la questione dei prigionieri di guerra. Mio caro, credi a quello che ti ho detto fin dal principio: il tono potrà essere cambiato, ma la musica è sempre quella. Finirò di avvicinare in settimana tutti i ministri che fanno parte del Gabinetto e che hanno qualche influenza nelle decisioni politiche. Non mi concedo una sosta, premo in ogni ambiente e arrivo a sera che non ho più voce a forza di argomentare. Nonostante la rimandata venuta degli esperti, forniamo al Research Department del Foreign Office tutti gli elementi utili a sostegno delle nostre tesi. Questa forma di intervento discreto e confidenziale è forse la più efficace, tanto più che è la sola consentita. Tutta l'ambasciata è mobilitata. Mi accorgo ora che la mia lunga pazienza dei mesi passati non è forse stata spesa invano. Mi ha aperto, per lo meno, alcune porte di cui oggi posso valermi. Con quale risultato? Non mi faccio illusioni né voglio suggerirtene. Ti dico solo che faccio e farò tutto il mio possibile. In sostanza non voglio troppo sperare dall'azione americana, né troppo temere da quella inglese. Comunque non voglio immischiarmi nella disamina, perfettamente sterile, di questo contrasto fra i meriti americani ed i demeriti inglesi. Non posso darti alcun affidamento sicuro su come l'Inghilterra si comporterà in queste due decisive prossime settimane. Posso però assicurati che fino ad oggi l'azione anglo-americana nei nostri confronti è proceduta in perfetto accordo, ogni risoluzione essendo frutto di un concordante intendimento. Finora, nel solo caso in cui vi era qualcosa da rischiare in nostra difesa e cioè nel caso dell'invasione jugoslava, America ed Inghilterra hanno prudentemente ripiegato sulla minima decente soluzione in perfetto accordo. Riferendomi a quanto mi scrivi, non so chi abbia vergato di propria mano la dichiarazione di Potsdam che ci riguarda. So che Churchill ed Eden prima, Attlee e Bevin poi, sono andati a Potsdam in uno spirito che corrispondeva perfettamente, per quanto ci riguarda, al contenuto di quella dichiarazione. Del resto il discorso di Churchill ai Comuni, il suo messaggio a Bonomi ed il discorso di Bevin ai Comuni hanno in forma non equivoca anticipato nel tempo gli stessi motivi. Ma si tratta finora, da ambo le parti, di parole e di propositi. I fatti sono imminenti ed essi solo contano. Credi che il mio scetticismo non è del tutto infondato.

La giornalista McCormick, autorevolissima, che ha viaggiato con Byrnes e che è venuta a vedermi appena giunta qui, mi ha detto che Byrnes non ha proferito parola durante il viaggio circa la prossima Conferenza, ma la sua impressione è che la delegazione americana sia favorevole ad un plebiscito nell'Alto Adige. La stessa McCormick mi è parsa poco orientata ed al corrente sia del problema alto-atesino che di quello della Venezia Giulia. Verrà domani a colazione da me con altri giornalisti americani e parleremo a fondo di questi problemi. Per la questione Giulia mi dice la McCormick che pare gli americani abbiano in pectore tre diverse soluzioni sulle quali eventualmente ripiegare. Questa è la realtà. Per quanto mirabilmente a noi favorevole, e per quanto formidabilmente piazzata, l'America non viene qui ad imporre ma a discutere un complesso di soluzioni italiane separate ed interdipendenti. Per quanto riguarda le colonie la McCormick mi dice che in ultimo pare sia prevalsa in America la tendenza a favorire una soluzione di trusteeship generale (Libia ed Africa Orientale) nella quale sarebbe riservata all'Italia la funzione amministrativa. Non so quale valore abbiano queste informazioni. Se esse non sono indicative delle precise soluzioni che l'America intende sostenere, danno però un'idea delle direttrici di compromesso che l'America si propone di seguire.

Tutto ciò ho voluto dirti, come espressione riservata del mio pensiero. Sono alieno, per il riguardo che devo alla calma ed alla serenità del tuo lavoro, dal coprirti di informazioni non controllate. Ho voluto semplicemente darti un'idea di come le cose appaiono da questo osservatorio. Se le mie impressioni sono errate, o troppo pessimistiche perché influenzate dalla dura esperienza che ho fatto qui, tanto meglio. A me questo pessimismo obiettivo è indispensabile per tener desta la mia attenzione e all'erta la mia attività. Nei giorni prossimi ti terrò al corrente telegraficamente delle poche notizie che mi sarà dato accertare fra le moltissime da cui sono assediato. L'ambasciatore americano Winant mi è parso condividere le mie apprensioni e mi ha promesso di farmi incontrare Byrnes appena possibile. Sono lieto di avere qui Couve de Murville che sarà delegato francese, come Kostylev sarà delegato russo.

Mi trovo da solo di fronte ad un compito immenso, certo superiore alle mie forze. Mi è di conforto il condividere con te in fraterna comunione di pensiero queste ore gravi. Superfluo ti dica che questa mia lettera come quella acclusa del giorno 8, sono a te personalmente riservate.

ALLEGATO

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. RISERVATA. Londra, 8 settembre 1945.

Ho avuto le tue lettere del 4 e 5 corrente 1• Quando riceverai questa mia ti saranno pervenuti i tele~rammi che ti ragguagliano sui miei colloqui di ieri l'altro con Cadogan e di oggi con Bevin .

Nostre elezioni. Credo di aver posto la questione nei soli termini compatibili con le incerte assicurazioni di cui ero latore e con le non remissive aspettazioni del Foreign Office. La tua lettera a sir Noel Charles 3 lasciava la questione aperta rimandando alle spiegazioni

I Vedi DD. 490 e 497.

2 Vedi D. 502. Non si pubblica il T. s.n.d. 8007/526 dell'8 settembre, relativo al colloquio con Bevin, il cui contenuto è ripetuto in questa lettera.

3 In realtà ad Hopkinson, vedi D. 481.

che avrei dato a Londra. Effettivamente il colloquio che avemmo con Parri fu tutt'altro che conclusivo !asciandomi in mano una promessa di accelerare al possibile le elezioni politiche entro il prossimo marzo e di procedere alle elezioni amministrative possibilmente in autunno. Conoscendo gli umori del Foreign Office e la determinazione di Bevin ero certo che una simile risposta sarebbe stata considerata insoddisfacente. Gli· argomenti a favore di un rimando delle elezioni politiche sono solidi, le giustificazioni per un possibile rimando anche delle amministrative sono tutt'altro che persuasive. Del resto lo stesso punto di vista americano riflesso nel memorandum di Kirk non lasciava dubbi sulla esigenza di Washington che si facessero entro l'anno almeno le elezioni amministrative (consequently it is the earnest hope of the Government of the United States that at least camuna! elections wi/1 have been helded throughout Italian Metropolitan Territory before the end of 1945). Pensai allora di orientarmi meglio accertando in private conversazioni le reali intenzioni di Togliatti e di Nenni su questa ultima questione. Ebbi un lungo colloquio con Togliatti al quale feci presente e la difficoltà di tenere decenti elezioni nelle presenti condizioni del Paese e la necessità (di fronte all'opinione italiana ed estera) di surrogarle almeno dando sollecito corso alla più elementare esigenza democratica delle elezioni amministrative. Togliatti, dopo aver insistito sulla opportunità di far precedere le politiche alle amministrative (assicurandomi della sua volontà e del suo interesse di evitare qualsiasi ricorso alla violenza) concretò la sua opposizione alle elezioni amministrative affermando che i partiti, per ovvie ragioni, non si sarebbero mai messi d'accordo sulle zone in cui le elezioni parziali avrebbero dovuto aver principio. In sostanza ho avuto l'impressione che egli fosse contrario non tanto alle elezioni amministrative generali, quanto a quelle parziali che, iniziandosi nel mezzogiorno, lo avrebbero messo in svantaggio. Ti ho riferito brevemente di questa sua opposizione nel nostro affrettato ultimo incontro a palazzo Chigi. L'indomani mattina vidi Nenni e gli tenni lo stesso discorso. Lo trovai determinato a sostenere la precedenza delle politiche, ma non così sicuro di poter imporre il suo punto di vista circa la possibilità di tenerle in autunno. Gli feci osservare che qualora, come avevo ragione di ritenere, non si verificasse né la materiale possibilità né la politica opportunità di indire i comizi politici entro l'anno, non ci si poteva ricusare ad indire almeno i comizi amministrativi. Ciò avrebbe dato al Paese la sensazione che questo governo intende sottrarsi ad un da lungo tempo dovuto contatto con l'opinione popolare ed avrebbe dato agli Alleati la evidenza di una sospetta ostinata renitenza ad ogni forma di normalizzazione democratica. Alla mia domanda: «mettiti nei miei panni e dimmi come posso presentàrmi a Bevin prospettandogli il caso in cui non si facciano né le elezioni politiche né quelle amministrative perché i partiti di sinistra insistono nel posporre queste a quelle ed il governo non è in grado di garantire che almeno queste avvengano prima dell'inverno! Posso io dire che non si farà con ogni probabilità niente di niente?» Nenni mi ha risposto: «Per quanto mi riguarda puoi garantire tassativamente a Bevin che se non sarà possibile tenere le elezioni politiche prima dell'inverno, mi impegno a sostenere la convocazione delle amministrative entro il corrente anno». Gli ho detto che avrei riferito testualmente ed impegnativamente a Bevin questa sua dichiarazione la quale, pur avendo carattere personale, aveva importanza perché si riferiva all'ipotesi più verosimile e rafforzava quello che in complesso mi pareva il punto di vista del governo. Mi è parso così di aver almeno chiarito un punto. Sono poi partito subito dopo per Londra ed ho pregato Prunas di riferirti l'esito di questo colloquio.

Rendendomi conto che non potevo qui menare il can per l'aja senza provocare una reazione sfavorevole e forse un irrigidimento al Foreign Office, ho prospettato quindi a Cadogan la formula «eiezioni politiche appena possibile e non oltre la prima primavera, al minimo elezioni generali amministrative entro l'anno». Dio voglia ora che i partiti si mettano d'accordo almeno su questo secondo punto.

Ho avuto con Cadogan un colloquio particolarmente lungo ed amichevole. Ho potuto ribadire col necessario sviluppo logico tutte le ragioni che già gli avevo precedentemente rappresentato, e nelle quali mi trovavo ora rafforzato dal tuo suggerimento, circa la impossibilità ed inopportunità di vincolare il governo italiano ad una prematura convocazione

Vedi D. 453.

delle elezioni politiche. Gli ho aggiunto, argomento nuovo, che il presidente del Consiglio era determinato (come da sua recente dichiarazione) a non tenere le elezioni politiche fino a che la cessazione dello stato di armistizio non restituisse al Paese la necessaria posizione di indipendenza e di dignità. Ho concluso che il governo italiano rivendicava nell'interesse, (non solo italiano), del successo di questa prima prova democratica la necessaria elasticità di tempo e libertà di decisione nell'ordine di precedenza delle elezioni, impegnandosi però a dar mano o all'uno o all'altro appelllo alla volontà popolare prima dell'inverno. Cadogan ha ascoltato le mie argomentazioni con più comprensivo interesse di quanto non avesse prestato alle analoghe osservazioni che gli avevo mosse in più occasioni e fin dal suo primo accenno alla necessità di regolare la posizione democratica dell'attuale governo in vista delle trattative di pace. Non ho più trovato traccia della dura intransigenza dimostratami su questo argomento da Sargent nel mio colloquio precedente a Potsdam e di cui ti ho a suo

tempo riferito. In questa materia effettivamente il Foreign Office sta assumendo un più elastico e comprensivo orientamento. È questo il massimo che ho potuto fare (tu penserai che è poco) in un ambiente che è difficile aggredire di fronte e che non può essere influenzato se non dal graduale e paziente effettq della persuasione. Che tutte le resistenze non siano cadute mi è stato provato nell'odierno colloquio con Bevin. Egli è sempre con me molto accogliente e cordiale, ma sulla questione delle elezioni lo trovo malriducibile a diverso consiglio. È ritornato sull'argomento manifestandomi ancora, nonostante tutto, la sua convinzione personale circa la opportunità, nel nostro interesse, di sollecite elezioni. Anche a proposito del rimpatrio dei nostri prigionieri mi ha detto che la cosa dipendeva da noi: «se affrettate le elezioni e regolarizzate la vostra posizione democratica, io potrò ritirare le truppe dall'Italia e contemporaneamente vi restituirò i prigionieri». Questo per dirti che nonostante le mie precedenti repliche ed il sostanziale accordo di Cadogan sul nostro punto di vista, questa faccenda della nostra democratizzazione d'urgenza non cessa di stargli a cuore e di costituire per lui una viva apprensione. Ho ripreso allora ab ovo tutti gli argomenti insistendo su quello a cui egli è più sensibile e che tu puoi immaginare. Quando gli ho detto, a conclusione, che se era suo desiderio che l'Italia superasse finalmente la sua prova democratica definitiva, egli non poteva impedire che il governo italiano si preparasse convenientemente a questa prova e la affrontasse nelle migliori condizioni onde non esporsi ad un insuccesso i cui effetti sarebbero stati irreparabili, egli mi è parso finalmente convinto. Gli ho riferito, in rincalzo, quanto Nenni mi aveva incaricato di dirgli, il che gli ha fatto una certa impressione. Al fine gli ho chiesto precisamente se egli poteva considerarsi soddisfatto della formula «elezioni politiche al più presto possibile prima della primavera e, come minimo, elezioni amministrative prima dell'inverno». Egli ha annuito soggiungendo «lt would help». Allo stato attuale delle cose quindi la sua originale pregiudiziale mi pare superata. Ho avuto la sensazione che la sincerità con cui gli ho parlato lo abbia convinto se non soddisfatto. Certo è che se Nenni viene ora a Londra e nella sua qualità di ministro della Costituente gli garantisce che tutti i miei argomenti sono sofistici e che le elezioni politiche si possono con ogni facilità e con sicura opportunità tenere in novembre, Bevin penserà di aver ceduto ad una nostra manovra conservatrice, cosa di cui mi dorrei gravemente per il prestigio mio e per la difesa di quella fiducia che Bevin mi dimostra e che so di meritare. Del resto il caso italiano non è il solo a rivelare a Bevin i pericoli di affrettate elezioni in ambienti in cui la sovraeccitazione degli animi e la carenza dello Stato danno via libera ai metodi di violenza ed alle soluzioni estreme. Da informazioni di buona fonte mi risulta che la venuta di Damaskinos a Londra avrebbe persuaso il Foreign Office della opportunità di congelare per ora la situazione greca rimandando le elezioni politiche ed il referendum istituzionale a più proficua epoca. Sotto l'autorità mediatrice del reggente sostanziali modifiche verrebbero portate nel governo provvisorio in direzione di una formazione governativa a tinta prevalentemente socialista moderata. Si vogliono cioè escludere i pericoli opposti di una soluzione di estrema sinistra o di estrema destra.

Bevin mi ha detto che Nenni sarebbe venuto probabilmente a Londra in questi giorni. Non per altro motivo, ma semplicemente per amore della logica (visto che qui temono ogni nostra interferenza durante la prima fase del Convegno dei Cinque ed hanno perfino rimandato la venuta dei nostri esperti) gli ho detto che Nenni stesso mi aveva manifestato i suoi dubbi circa la opportunità di venire a Londra in questo momento data la sua veste di vice presidente del Consiglio. Bevin mi ha risposto che non vedeva personalmente nessuna difficoltà e che era favorevole ad ogni dislocamento di personalità rappresentative attraverso l'Europa per porre termine al nocivo isolamento che è stato creato dalla guerra. Debbo ritenere che Bevin abbia altri motivi, estranei alle elezioni, per desiderare un incontro con Nenni. Vedi polemica con Laski ed altri argomenti di partito. Comunque se Nenni verrà, eserciterò su di lui ogni possibile persuasione onde indurlo nell'interesse del Paese (argomento a cui egli, buon patriota, non è mai insensibile) a non dare qui ottimistici affidamenti circa le elezioni esponendo l'Italia ad una prova che egli non può garantire non risulti, nelle attuali precarie condizioni, disastrosa. Sotto altri aspetti un suo diretto contatto con Bevin e con l'ambiente laburista non può essere certo nocivo.

Cadogan è stato favorevolmente impressionato dal gesto di confidenza che ho compiuto portandogli, a tuo nome ed in via assolutamente riservata, copia delle istruzioni che Tarchiani aveva portato a Washington 1 . Gli ho ripetuto, come avevo detto prima della mia partenza per Roma, che le indicazioni da me suggerite prima di Potsdam sulle varie soluzioni territoriali e poi comunicate a Bevin, rappresentavano il mio punto di vista personale il quale aveva incontrato la tua approvazione di massima salvo quelle maggiori precisazioni che sarebbero risultate dal nostro incontro a Roma. Il testo che gli rilasciavo ora rappresentava il tuo pensiero autentico. Cadogan mi ha detto che avrebbe studiato con cura il documento. A proposito, rilevo dalle tue dichiarazioni comparse sul Times di oggi che tu ti sei espresso sulla divisione della penisola istriana in termini non dissimili da quelli del mio appunto. Per quanto riguarda le cittadine della costa la tua dichiarazione è stata così tradotta: «Trieste is an Italian city. The ports and little towns of the western coasts of !stria, Pala, Rovigno, Parenzo and the rest are even more Italian than Trieste. These towns must have some hinterland from which they can draw food and waten>. Il che dà un'impressione abbastanza restrittiva in confronto alla soluzione «linea Wilson» da cui parti, come io sono partito nelle mie proposte. Dato quanto mi avevi fatto osservare a Roma a questo proposito ritengo che la traduzione in inglese abbia forse deformato la tua dichiarazione. Comunque l'effetto generale delle tue misurate dichiarazioni è stato buono.

Ho rifatto presente a Bevin a nome di Parri e tuo la necessità assoluta (nel reciproco interesse di uno smooth working delle future trattative) che io sia posto in grado d'informare almeno il presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri circa le linee generali delle soluzioni convenute fra i Cinque, e ciò non appena tali soluzioni si siano delineate. Bevin mi ha promesso che a fine settimana entrante, non appena cioè avrà elementi per farlo, mi chiamerà per conferire. Come ti ho già comunicato la permanenza a Londra dei ministri degli Esteri non si prolungherà molto (al massimo due settimane). Essi stenderanno il disegno di massima e poi lasceranno i loro rappresentanti a concretare le formule definitive ed a regolare tutte le questioni accessorie. Si ha la sensazione qui che questa seconda fase è destinata a prolungarsi molte settimane. La intenzione inglese è a favore di una pace definitiva e completa da cui risulti sistemata ogni questione territoriale, economica, ecc. Se ciò potrà realizzarsi, dipende dalla possibilità di un primo accordo tra i Cinque sulle questioni essenziali. Se questo accordo non si raggiungerà (ed è una eventualità non impossibile) nessuno può dire che cosa succederà L'eventualità di una soluzione provvisoria non è da scartarsi e può costituire, in determinate sfavorevoli condizioni, la sola via d'uscita. Sarebbe questo un cattivo esordio rivelatore di una incompatibilità di vedute e di mire fra i Tre Grandi che non so quale successivo evento potrebbe sanare. Continua ad essere opinione autorevole e diffusa qui che questo sia il momento più propizio per giungere ad una equa soluzione della questione italiana. Il peso dell'atteggiamento russo non è sottovalutato né da inglesi né da americani. In genere si pensa, e questo è il parere del Foreign Office, che il miglior fattore a favore dell'Italia sia la rapidità delle trattative fra i Cinque. Si paventano le manovre dei piccoli interessati. Posso dirti, per sicura informazione oggi avuta, che la Jugoslavia ha premuto fortemente perché una delegazione jugoslava fosse accettata a Londra in questi giorni. Il governo jugoslavo ha fatto osservare che si tratta di una vera e propria Conferenza di pace e che quindi esso vuoi essere presente con una delegazione, se non alla conferenza, perlomeno a Londra. Il governo inglese si è

l Vedi D. 469, nota 2.

opposto ed ha rifiutato il visto ai passaporti. A questo incidente si riferiva evidentemente Cadogan quando mi ha pregato di rimandare la venuta dei nostri esperti perché era preoccupato di analoghe richieste avanzate dagli Stati minori, richieste che !)On poteva respingere se non con una misura di ordine generale. Questa linea di condotta risponde alla speranza che si nutre qui di veder risolta rapidamente dai Cinque la questione italiana nelle sue linee fondamentali prima che i minori Stati intervengano ed inveleniscano la contesa. Gli Stati minori interessati saranno interpellati quando i cinque ministri avranno preso, se ci riusciranno, una decisione impegnativa sui problemi di massima. Poi verrà se Dio vorrà la nostra volta. La prima questione discussa alla Conferenza sarà quella della procedura. Un primo scoglio potrebbe essere una richiesta pregiudiziale russa per la contemporaneità o immediata successione delle paci con l'Italia, la Bulgaria, la Rumania ecc. Gli americani e gli inglesi sarebbero nettamente risoluti ad opporsi a questa richiesta in conformità alle pubbliche dichiarazioni precedentemente fatte circa la situazione democratica degli ex satelliti balcanici. Per quanto riguarda le richieste francesi risulta, come saprai, che ieri Bidault avrebbe informato il Gabinetto francese sulla importanza di una rettifica della frontiera alpina la quale avrebbe implicato «la separazione dall'Italia di Tenda e Briga che sono francesi sotto ogni punto di vista». Pare che de Gaulle sia irremovibile su questo punto e tenga uno scarso conto dei savi consigli di moderazione ricevuti in America. Il Foreign Office è stato da noi dettagliatamente informato sulla questione con speciale riguardo alla dislocazione e potenza delle sorgenti di energia elettrica.

Circa la questione dell'Alto Adige il governo provvisorio austriaco ha presentato le sue rivendicazioni. Mi viene assicurato che il Foreign Office non le ha accolte perché provenienti da un governo non riconosciuto. La pressione, comunque, si accentua da parte austriaca trovando incoraggiamento da parte della Francia e, a quanto mi si dice, (cosa. che mi inquieta particolarmente) un probabile appoggio da parte americana. Ho fornito al Foreign Office tutti gli elementi atti a controbattere questa pretesa assurda ed iniqua.

Circa la questione della Venezia Giulia mi si assicura che sarebbe intervenuta una intesa tra Inghilterra ed America per la internazionalizzazione del porto di Trieste ed il controllo tariffario delle ferrovie Trieste-confine, con salvaguardia della sovranità italiana sulla città. Mi risulta con sicurezza che la Jugoslavia si era impegnata ad assicurare alla Cecoslovacchia tariffe di assoluto favore nel porto di Trieste qualora il governo cecoslovacco appoggi decisamente le pretese jugoslave sulla città. Ho avuto un lungo colloquio con Masaryk su questo argomento. Egli era evidentemente imbarazzato ed ha tentato, in un primo momento, di evitare l'incontro. Come ti ho telegrafato, premessi i personali sentimenti di amicizia di Benes e suoi verso l'Italia, mi ha dichiarato che esiste effettivamente un largo movimento dell'opinione pubblica cecoslovacca a favore della Jugoslavia. Questa tendenza è favorita dalla «Società amici delia Jugoslavia» che ha indetto un pubblico comizio al quale però non sono intervenute personalità del governo. In una recente conferenza stampa tenuta a Londra il primo ministro Ficrlinger avrebbe semplicemente alluso a questo diffuso sentimento pubblico senza emettere alcun parere ufficiale. Un serio giornalista americano che era presente mi ha detto invece che la dichiarazione è stata fatta da Masaryk il quale ha accentuato la messa in evidenza di questo pubblico sentimento dando a comprendere implicitamente che l'orientamento del governo non era diverso. È vero che i cecoslovacchi non hanno nulla a che fare direttamente con la soluzione triestina, ma le loro preferenze possono essere un argomento solido a eventuale sostegno di una tesi russa. Ad ogni modo tutte le ipotesi che si fanno sull'atteggiamento dei Cinque vanno prese con beneficio d'inventario perché tutti si avvicinano alla Conferenza navigando nel buio. Autorevoli apprezzatori della situazione paventano il fatto che questa Conferenza si apra senza che nessuna preliminare intesa sulle varie questioni sia intervenuta fra i Cinque. È un sistema di apertura imprudente e che può dar luogo ai più imprevisti esiti. In linea generale però si è ottimisti circa la possibilità di un accordo generale di compromesso. Sta a vedere quale senso questo compromesso avrà per noi, vitalmente interessati e completamente esclusi.

Spero che Bevin manterrà la sua promessa di ricevermi a fine settimana. Comunque avrò nei giorni prossimi contatti in ogni direzione. Cercherò di esercitare ogni possibile influenza e ti terrò informato mano a mano che avrò elementi sicuri. Dio voglia che io possa non deluderti del tutto.

516

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8214/538. Londra, 12 settembre 1945, ore 20,30 (per. ore 9 del 14).

Mio telegramma 332 e telegramma V.S. 6188/c. 1 .

Ero da tempo in contatto con questo Rescarch Departement al quale continuo a fornire materiale concernente anche Alto Adige. Persona molto bene informata che ha viaggiato con Byrnes mi conferma che la questione verrà pericolosamente agitata, aggiungendo che esiste effettivamente tendenza americana per plebiscito. Dico questo senza voler fare previsioni eccessivamente pessimistiche, ma piuttosto per assicurare mi rendo conto gravità della situazione e cerco di agire in conseguenza.

517

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 3025/833. Parigi, 12 settembre 1945 2 .

Il generale de Gaulle mi riceve con grande affabilità 3 .

Prendendo lo spunto dalla sua intervista col Times, affermo che il governo italiano è favorevole ad ogni iniziativa intesa ad assicurare un migliore assetto dell'Europa. Parlando a mio nome personale dichiaro che gli accenni fatti all'Italia nel corso dell'intervista non possono che contribuire al riavvicinamento dei nostri due paesi. Il generale ha parlato con realistico linguaggio europeo. Con eguale realismo ho il dovere di prospettargli le condizioni che possono assicurare all'Italia uno statuto nel cui ambito essa potrà contribuire al progresso generale. Senza frontiere giuste, tutto l'avvenire del nostro paese sarà problematico e pertanto è nell'interesse degli uomini pensosi dell'avvenire dell'Europa adoprarsi affinché errori irreparabili non vengano compiuti. E sarebbero errori irreparabili tanto un tracciato di frontiera che sacrificasse, non dico Trieste che non è in discussione, ma la parte italiana dell'Istria, quanto un tracciato di frontiera che sacrificasse l'Alto Adige.

Esaminando il problema della frontiera orientale, indico sulla carta della Venezia Giulia -che nel frattempo il generale si è fatta portare -la linea

l Vedi DD. 377 e 507.

2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. Questo rapporto comunque fu trasmesso da Prunas a De Gasperi che si trovava a Londra con L. 3/1604 del 19 settembre.

3 Su questo colloquio Saragat riferì anche con T. s.n.d. 8179/342 dello stesso 12 settembre, non pubblicato. •

Wilson commentandone il tracciato sulla scorta del memorandum inviatomi da codesto ministero. Illustro la situazione con argomenti etnici, statistici, economici e politici. Il generale segue con vivo interesse la mia esposizione.

Passando alla questione della frontiera settentrionale, ripeto al generale gli stessi argomenti che ho svolto con Bidault soffermandomi particolarmente sull'aspetto odioso che avrebbe per il popolo italiano, il quale si è battuto durante due anni contro i tedeschi a fianco degli alleati, una iniqua amputazione del territorio nazionale proprio a favore di coloro che sino all'ultimo momento sono stati tra i più fanatici assertori del nazismo. Anche per questa parte illustro il punto di vista italiano sulla scorta dell'ampia documentazione testé pervenutami, con riferimento anche alla parte economica della questione.

Senza fare alcun accenno alla frontiera occidentale, passo senz'altro al problema coloniale per ringraziare il generale dell'appoggio che l'Italia per questa parte avrà dalla Francia a Londra, e concludo sollecitando la larga comprensione della Francia per l'insieme della situazione italiana dal cui sano sviluppo dipende il successo della politica europea di cui il generale si è fatto l'iniziatore.

Il generale de Gaulle risponde che per Trieste non vi può essere dubbio alcuno sulla posizione della Francia. Trieste non è un problema jugoslavo, ma italo-danubiano. Trieste dovrà quindi far parte dell'Italia assicurando un regime portuario che garantisca il libero transito. Per l'Istria il generale è meno esplicito quanto all'appoggio francese e si limita ad affermare che il tracciato Wilson gli pare ragionevole. Più a lungo il generale si sofferma sul problema dell'Alto Adige. «Certo quanto voi dite a proposito del trattato di St. Germain stipulato dopo una guerra che avete combattuto al nostro fianco è giusto. La Francia, del resto, ne terrà conto. Ed è anche giusto quanto voi dite a proposito dell'evidente iniquità del parteggiare per chi sino a ieri si è battuto contro gli alleati, a danno di chi, come voi, da due anni lotta al nostro fianco. In ogni caso due cose sono evidenti: La prima è che mai voi sarete privati di tutti i territori che avete ottenuto dopo la prima guerra mondiale. La seconda è che il problema dell'Alto Adige è legato a quello dell'autonomia dell'Austria, e allo stato attuale delle cose non è detto ancora che l'Austria debba risorgere. Gli austriaci hanno seguito Hitler, non forse con entusiasmo, ma l'hanno seguito. Oggi nel Tirolo il generale Béthouard è assediato dagli irredentisti e li lascia fare. Del resto, vedete, su questo punto potremmo metterei d'accordo facilmente se voi foste più comprensivi per le richieste della Francia nei confronti di Tenda e Briga».

È il problema della frontiera franco-italiana che si riaffaccia e colgo l'occasione per esporre al generale il nostro punto di vista. «È assurdo, gli dico, legare due problemi così diversi. La frontiera del Brennero interessa non solo l'Italia, ma l'Europa. Voi avete giustamente fatto notare nella vostra intervista al Times la necessità per l'Europa di sbarrare la strada del germanesimo verso l'occidente. Come non intendere allora i pericoli a cui l'Europa andrebbe incontro spalancando al germanesimo le vie del sud? Per l'Italia sarebbe un dramma nazionale che rimetterebbe in discussione dieci secoli di storia, ma per l'Europa sarebbe ancora peggio poiché, privata l'Italia delle sue frontiere naturali, umiliata nei suoi diritti più sacri, offesa nei suoi interessi più vitali, l'Europa democratica sarebbe privata di un apporto essenziale nell'atto stesso in cui verrebbe spalancata al germanesimo la via per nuove invasioni.

Il problema della frontiera franco-italiana si pone invece sul piano dei rapporti tra i nostri due paesi. La nostra buona volontà è fuori discussione. Ne avete avuta una prova per la questione tunisina. -Il generale annuisce con cenni del capo. -Vi confermo quanto ho detto al ministro Bidault a proposito della buona volontà con la quale siamo disposti ad esaminare con voi tanto il problema delle alte valli della Tinea e della Vesubia quanto quello del Fezzan».

«Eppure -dice il generale -nel plebiscito del 1861 a Tenda e Briga ci sono stati 700 voti favorevoli alla Francia e uno solo contrario».

«Mi permetto di farle osservare che ci furono allora ben 1200 astensioni».

La mia battuta mette il generale in difficoltà, e a sua volta obbietta che ha le prove che oggi la maggioranza è favorevole all'unione con la Francia.

Ho buon gioco per far la critica del principio plebiscitario applicato sezionalmente e avulso dai grandi complessi nazionali o almeno regionali. Col criterio dei plebisciti applicati sezionalmente, è la possibilità di esistenza delle democrazie che viene posta in gioco poiché la democrazia implica una maggioranza e una minoranza. Se le minoranze potessero arbitrariamente fissare i limiti delle proprie giurisdizioni, ogni Stato si dissocerebbe in nuclei isolati, ecc. Anche questa parte della mia esposizione lascia il generale evidentemente perplesso. De Gaulle mi parla a sua volta della buona volontà della Francia nei confronti dell'Italia soprattutto per quel che si riferisce alle colonie e conclude dicendo che ha l'impressione che noi si cerchi di lasciar decidere a Londra il problema franco-italiano anziché affrontarlo direttamente con la Francia. «Con Truman abbiamo parlato a lungo dell'Italia. Non crediate che la questione di Tenda e Briga stia particolarmente a cuore degli americani. No, la cosa migliore è esaminare queste cose tra di noi».

Approfitto dell'occasione che mi è offerta per prospettare al generale la situazione in cui verrebbe a trovarsi l'Italia qualora i cinque ministri degli Esteri a Londra si separassero prima dell'arrivo a Londra di una nostra missione, lo prego quindi di insistere presso il ministro Bidault, in conformità delle promesse precedentemente fattemi affinché la Francia proponga l'invio immediato di una nostra delegazione. Il generale mi risponde che la cosa è giusta e che agirà in questo senso.

Su questa nota particolarmente cordiale termina il colloquio che è durato un'ora.

Il mio assunto era delicato. Si trattava di sollecitare l'appoggio della Francia particolarmente per la questione dell'Alto Adige riaffermando il nostro rifiuto per Tenda e Briga. L'impressione generale che ho riportato dal colloquio non è sfavorevole e, se non diffidassi in queste dolorose circostanze di ogni forma di ottimismo, direi addirittura buona.

Il generale è stato oltremodo affabile. Per la questione di Trieste e dell'Istria, ho la convinzione che la Francia, tra le tesi jugoslave e quelle italiane, propenderà per quelle italiane. La Francia rinuncia ormai ad una politica attiva nei Balcani in cui sa che la Russia è preponderante e senza efficace concorrenza da parte di altre Potenze continentali. Il generale si è espresso del resto con me in termini ironici sulla «democrazia» degli Stati balcanici.

Anche per l'Austria non ho l'impressione che de Gaulle faccia interamente propria la tesi filo-austriaca cara soprattutto a questi circoli radicali facenti capo ad Herriot legati ai ricordi di un passato morto. L'Austria non è mai stata menzionata dal generale nelle sue recenti dichiarazioni sulle nazioni suscettibili di partecipare alla riorganizzazione dell'Europa occidentale. Su questo punto sono certo che la prospettiva di un'amicizia sincera con l'Italia sia accarezzata dal generale con maggior favore che non quella di una politica decisamente filo-austriaca. C'è nel generale l'evidente preoccupazione di sottrarre l'Austria alla sfera di influenza russa, ma non penso che sia ben convinto del successo di questa operazione. Di qui la sua perplessità.

Anche per la questione di Tenda e Briga non ho riportato l'impressione di un ulteriore irrigidimento. È chiaro che da Truman de Gaulle non ha avuto in proposito nessuna assicurazione. La questione è ancora allo stato fluido e la nostra tesi non è affatto compromessa. D'altro canto penso che la nostra buona volontà per regolare la questione del Fezzan e delle alte valli della Tinea e della Vesubia lo abbia favorevolmente impressionato. Moralmente la nostra posizione è quindi forte e la Francia si trova evidentemente imbarazzata a forzare il tono quando da parte nostra si moltiplicano le prove del nostro sincero desiderio di assecondare la funzione armonizzatrice della Francia nella riorganizzazione dell'Europa occidentale.

Ci sono infine ragioni di politica interna che consigliano il generale a non urtare il partito socialista che ci è favorevole e senza l'aiuto del quale non può sperare di ottenere un successo alla Costituente.

In altri termini, non penso che sia nell'interesse di de Gaulle spingere le cose al punto di annullare gli evidenti progressi che sono stati compiuti sulla via della piena riconciliazione tra i nostri due Paesi. Come elemento negativo giocano invece l'influenza di questo Stato Maggiore, dei circoli reazionari e l'impegno che il generale ha assunto pubblicamente a favore dell'annessione di Tenda e di Briga in occasione di un suo discorso a Nizza nel maggio di quest'anno.

Non si pensi tuttavia, e dico questo incidentalmente, che la eventuale scomparsa del generale dalla scena politica e la eventuale rentrée di Herriot favorirebbero le tesi italiane. Egualmente nazionalista per il problema della frontiera italo-francese, Herriot, accanto ad eloquenti dichiarazioni sulla «giustizia immanente» e gli «immortali principi», ci gratificherebbe del tremendo problema di un'utopistica politica perseguente i miraggi di una rinnovata Piccola Intesa e di un'Autriche viable a nostre spese. Ne ho avuto del resto la conferma in un recente colloquio con il presidente Herriot.

Dico questo, ripeto, incidentalmente, perché penso che sia sempre il generale de Gaulle quegli che avrà le maggiori chances alla Costituente e che pertanto sarà con lui che noi dovremo, come dobbiamo, fare i conti.

In conclusione mi pare che non ci sia che da perseverare con costanza nella linea nostra attuale moltiplicando da un lato i segni della nostra buona volontà e fissando d'altra parte con fermezza i punti oltre i quali non siamo disposti a cedere.

Certo, se non invitati tempestivamente a Londra, potremmo trovarci di fronte ad inaccettabili richieste francesi interinate dai Cinque, e questo renderebbe più difficile il nostro compito, ma è evidente che la Francia considera con preoccupazione un'eventualità che metterebbe a dura prova le nostre migliorate relazioni. Di qui il suo desiderio di regolare i problemi franco-italiani con trattative dirette e di vederci tempestivamente rappresentati al tavolo della pace. La Francia ricerca la nostra amicizia. Sta a noi dimostrare che la linea di equilibrio tra le «rivendicazioni» e l'amicizia coincide con una linea di frontiera ragionevole come quella che ho suggerito tanto a Bidault che a de Gaulle; linea che segue il tracciato della displuviale fino al Clapier, e, raggiunta la Cima del diavolo, si riallaccia all'attuale confine fino al mare.

518

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE RISERVATA. Londra, 12 settembre 1945 (per. il 13).

Faccio seguito alla lettera di ieri 1 per darti qualche altra informazione che ho avuto da fonte seria ed amica.

Ieri, nella seduta di apertura della Conferenza si è riconfermato che la questione italiana sarà trattata per prima. N o n solo, ma verso la fine della stessa seduta la questione italiana è già stata abbordata. È superato quindi il temuto pericolo di un ostruzionismo russo inteso ad abbinare la pace italiana con quella degli ex satelliti balcanici. Mi è nuovamente stato affermato che la delegazione americana ha istruzioni di appoggiare per tutte le nostre colonie la soluzione di una trusteeship di cui farebbero parte le Nazioni che compongono il Consiglio di Sicurezza. L'Italia conserverebbe la funzione amministrativa sotto la «supervision» delle altre Potenze. Nel quadro di una simile soluzione l'Etiopia richiederebbe il porto di Assab con una striscia territoriale che colleghi questo porto all'Abissinia. Il che è naturalmente malvisto dalla delegazione francese che teme il conseguente sminuito valore della ferrovia di Gibuti. Pare accertato che la delegazione francese insisterà per Tenda e Briga e per una rettifica allo Chaberton, rivendicando inoltre il Fezzan. Drastiche misure sono previste per il nostro disarmo, cioè riduzione ad un minimo delle nostre forze di terra e di mare. Non si esclude che la Russia riaffacci la sua richiesta di ottenere un terzo della nostra flotta. Pare che non s'intenda, per ora, restituire all'Italia il suo superstite tonnellaggio mercantile. Per quanto riguarda Pantelleria, per la quale si prevedeva una semplice richiesta di completo disarmo, non si esclude che l'Inghilterra intenda tenerci un piede, non si sa se definitivamente o temporaneamente. Corre anche voce che la Russia intenda chiedere una base nel Mar Rosso. Mi si assicura in ultimo che americani, inglesi, francesi e cinesi sarebbero senz'altro favorevoli alla italianità di Trieste con porto internazionalizzato e ad una divisione della penisola istriana in base, grosso modo, alla linea Wilson. Non resterebbe quindi, secondo il mio informatore, che l'essenziale incognita delle intenzioni russe su questo argomento. Mi si conferma ancora che la delegazione americana sarebbe favorevole al plebiscito nel «Sud Tirol».

I Vedi D. 515.

L'informatore è serio, ma tutte queste notizie fanno parte di quelle indiscrezioni che trapelano, deformandosi inevitabilmente, attraverso la estrema riserva a cui tutti i delegati si sono impegnati ed alla quale si atterranno per lo meno in questa fase iniziale. Ho ritenuto utile, comunque, metterti al corrente di questi rumori per darti un'idea della atmosfera, delle previsioni ed intenzioni generiche nelle quali si vanno preparando le decisioni che ci riguardano. Nei giorni prossimi avrò certo informazioni più attendibili ed accurate.

P.S. Inutile dirti che non so come l'Inghilterra possa aderire alla proposta di una trusteeship per le nostre colonie alla quale dovrebbe partecipare anche la Russia. Né comprendo come questa soluzione possa piacere, per la stessa ragione, all'America. Occorre prendere questa informazione con ampio beneficio d'inventario!

519

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 759/332. Mosca, 13 settembre 1945 (per. il ] 0 ottobre).

Telespresso di V.E. n. 15/17192/208 del 25 agosto 1945 1 .

Come ho già riferito a V.E. per filo 2 , ho ripetuto a Dekanozov le intenzioni, la volontà, e la necessità per il governo italiano di vivere in pace colla Jugoslavia:a questo scopo noi riteniamo, come primo passo, necessaria la ripresa dei rapporti diplomatici fra i due Paesi.

Ho ricapitolato a Dekanozov la storia dei miei rapporti personali, prima ottimi con Simic, buoni coll'incaricato d'affari che gli ha succeduto e interrotti dal nuovo ambasciatore; le due offerte di ripresa di relazioni dirette, per quel tramite e con quelle modalità che il governo jugoslavo preferiva, fatte da me a Simic nel settembre 1944, a Nikolaevic nell'aprile scorso 3 , a cui non era stato dato nessun riscontro. Ho citato l'atteggiamento dei rappresentanti jugoslavi alla Commissione consultiva per l'Italia, i messaggi del governo italiano lasciati senza riscontro ecc. Ho anche, e marcatamente ripetuto a Dekanozov che dei miei due passi, del settembre e dell'aprile, non solo egli era stato da me messo al corrente, ma che lo avevo anche pregato di usare della sua influenza a Belgrado per favorire questa ripresa di relazioni: preghiera rimasta senza nessun riscontro da parte del governo sovietico.

-Io ho riferito quanto lei mi ha detto al governo sovietico, ha risposto Dekanozov. Il governo sovietico ha espresso l'avviso che si trattava di questione

I Vedi D. 462. 2 T. 8173/438 dell'Il settembre, non pubblicato. 3 Vedi serie decima, vol. l, D. 380 e qui D. 152.

che riguardava principalmente il governo jugoslavo: tuttavia la sua richiesta è stata da noi trasmessa a Belgrado.

-Allora lei non mi ha detto questo. Evidentemente essa però non è stata appoggiata dal governo sovietico con particolare interesse: date le relazioni fra il governo sovietico e Belgrado, se l'U.R.S.S. avesse insistito, non credo che la Jugoslavia si sarebbe rifiutata.

-Mi permetta di domandarle un'informazione: non c'era una disposizione della convenzione d'armistizio in base alla quale l'Italia non poteva ristabilire delle relazioni con altri paesi senza il consenso della Commissione alleata di controllo?

-Rettifico: si tratta di un impegno che le autorità alleate hanno richiesto al governo Bonomi, dopo la ripresa delle relazioni con l'U.R.S.S. In ogni modo, se queste disposizioni vigevano nel settembre scorso, all'epoca del mio primo passo, nell'aprile, all'epoca del mio secondo passo, esse avevano cessato di esistere e della cosa il governo sovietico era stato informato, fra l'altro, anche personalmente da me.

Ho continuato allora dicendo che il governo italiano, desideroso di nulla lasciare di intentato per cominciare a rimettere i nostri rapporti con la Jugoslavia su di una linea di normalizzazione, aveva deciso di rivolgersi ai governi delle tre grandi Potenze pregandoli di volere, se lo ritenevano opportuno, agire di comune accordo a Belgrado. Questo passo io ero incaricato di fare presso il governo sovietico.

Dekanozov mi ha risposto che la procedura di rivolgersi ai «Tre» allo stesso tempo gli sembrava molto più opportuna che non quella di chiedere solamente l'intervento della Russia. A questo ho subito osservato che se l'Italia si era rivolta direttamente alla Russia lo aveva fatto soltanto perché riteneva che la Russia fosse più di altre Potenze desiderosa di incoraggiare lo stabilirsi di buone relazioni fra Roma e Belgrado e perché le ottime relazioni esistenti fra Mosca e Belgrado ritenevamo facilitassero un passo a carattere amichevole. Del resto se la difficoltà era che la Russia non voleva agire da sola, il governo sovietico ce lo avrebbe anche potuto dire: desideroso come era il governo italiano di migliorare i nostri rapporti con la Jugoslavia, esso si sarebbe certamente, sin d'allora, rivolto anche agli altri Alleati.

Dekanozov si è limitato a rispondermi che il governo sovietico, qualora gli altri Alleati fossero d'accordo, si sarebbe di buon grado associato al loro passo preso il governo di Belgrado.

Nel complesso l'atteggiamento di Dekanozov è stato questa volta assai meno ringhioso di quanto lo sia, di solito, quando tocco l'argomento Jugoslavia. A mia impressione i russi debbono avere avuto la sensazione che, con il suo atteggiamento intransigente nella questione della ripresa delle relazioni coll'Italia, Tito si è messo dalla parte del torto e l'U.R.S.S. un poco con lui. Di qui il tentativo di attribuire il mancato intervento russo presso la Jugoslavia a incorrettezza da parte nostra nel rivolgerei alla Russia perché ci aiutasse ad una infrazione delle norme stabilite dalla Commissione di controllo.

520

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 760/333. Mosca, 13 settembre 1945 (per. il Jo ottobre).

In base alle istruzioni di V.E. 1 , ho espresso a questo governo il ringraziamento del governo italiano per la decisione presa dal governo sovietico di liberare prigionieri di guerra italiani. Nel corso della conversazione ho ricordato che avevo già chiesto all'ufficio competente di farmi sapere se la cifra data da Lozovski di circa 20 mila prigionieri rappresentava la cifra totale dei prigionieri italiani di guerra nell'U.R.S.S.

A questa mia richiesta Dekanozov ha risposto, molto risentito di non capire quale era lo scopo vero di questa nostra richiesta di precisazione. Il ministro degli Esteri italiano aveva chiesto a Kostylev se questi 20 mila a cui si era riferito Lozovski erano prigionieri di guerra o italiani liberati dalle truppe sovietiche: eppure la decisione del governo sovietico di rimpatriare tutti gli italiani liberati dall'esercito rosso era stata comunicata ufficialmente a me e mi era stato comunicato anche il numero dei liberati, prima in l 00 mila e poi precisato in 130 mila. Il ministro degli Esteri italiano non poteva ignorare questo fatto: era evidente quindi che quanto avevano annunciato prima Lozovski e poi Kostylev era una cosa del tutto differente: cosa significa ·la sua ·domanda? e ora cosa significava la mia domanda? Ho risposto che il significato della mia domanda era molto semplice. Noi non avevamo mai, finora, potuto sapere quale fosse il numero dei nostri prigionieri in Russia: dato il divario enorme fra la cifra presunta dei prigionieri italiani in Russia e la cifra dataci da Lozovski, pur essendo, per me, certo che la cifra dataci era la cifra completa, ritenevo mio dovere di chiedere una conferma per non creare speranze false fra le famiglie dei dispersi in Russia. Dekanozov ha allora continuato:

-Lei riconosce che il trattato di pace con l'Italia non essendo ancora stato firmato, il governo sovietico non aveva nessun obbligo di liberare i prigionieri italiani, catturati in Russia con le armi alla mano, e che quindi si tratta, da parte nostra, di un gesto generoso ed amichevole?

-Si, lo riconosco ed è per questo che, fra l'altro, sono qui per esprimere i miei ringraziamenti al governo sovietico.

-Lei riconosce che, almeno a quanto mi consta, né il governo britannico, né il governo americano hanno preso una disposizione analoga: a quanto lei mi ha detto, essi hanno liberato soltanto determinati individui e determinate categorie, mentre il governo sovietico ha liberato tutti i prigionieri di guerra italiani in sue mani.

l T. 5899/434 del 1° settembre, non pubblicato.

-Questa era la situazione l'ultima volta che abbiamo parlato sull'argomento: non so cosa sia accaduto nel frattempo. Comunque, quale che sia la situazione con gli anglo-americani, questo non toglie nulla all'importanza del gesto sovietico. Solo non capisco cosa c'entra questo con la mia richiesta di precisazioni circa il numero dei prigionieri.

-Il governo italiano, sia attraverso il nostro ambasciatore a Roma, sia per suo tramite, ci aveva chiesto il rimpatrio dei prigionieri invalidi o di età superiore a 60 anni: ci aveva chiesto anche di poter ottenere il rimpatrio di certi individui. Il governo sovietico, esaminata la questione, viene nella decisione di liberare tutti i prigionieri italiani. A questo gesto a cui, ripeto, il governo sovietico non era ancora tenuto, e quindi amichevole e generoso, la maggioranza della stampa italiana, invece di ringraziare, ha risposto sferrando una campagna di stampa chiedendo conto, in forma spesso offensiva, di quello che la Russia ha fatto dei restanti 60 mila prigionieri. Ed ora lei si fa eco di questa campagna di stampa.

-Io non mi faccio eco affatto. Sapevo benissimo, ed ho da tempo riferito al mio governo, che la cifra effettiva dei prigionieri era molto inferiore a quella dei «dispersi», che non teneva conto dei morti in combattimento, per freddo, per malattie infettive. Del resto i risultati delle mie domande individuali di informazioni, mi avevano permesso di farmi un'idea approssimata dello stato delle perdite. Io chiedo semplicemente una informazione, o se preferisce, una precisazione sul significato della cifra data.

-Fino alla conclusione del trattato di pace, le autorità sovietiche non sono obbligate a rispondere. Personalmente ritengo che i responsabili di atrocità di guerra nel territorio dell'U.R.S.S. o i colpevoli di delitti fascisti, non sono compresi fra i liberati, ma non credo che si tratti di forti quantitativi: per gli altri, dal momento che il governo sovietico ha deciso di liberarli, non vedo per quale ragione si debba ritenere che ne vogliamo trattenere una parte.

Tornando poi sull'argomento della stampa italiana, a sua richiesta gli ho spiegato, e non per la prima volta, che la cifra di 80 mila era presumibilmente la cifra data dal Comando italiano dopo la disfatta delle nostre truppe sul fronte del Don e si riferiva al numero di quelli che non erano tornati alle nostre basi ed erano mancati al momento della riorganizzazione del nostro corpo di spedizione. Si trattava effettivamente di «dispersi» le cui sorti ulteriori non ci erano note.

«Il Comando italiano sapeva benissimo, date le condizioni locali, che la maggior parte di questi dispersi erano morti o feriti: li ha dati prigionieri per non far vedere all'opinione pubblica italiana cosa costava all'Italia l'avventura russa di Mussolini. È strano che il governo italiano permetta che di questa manovra della propaganda fascista si serva oggi la stampa italiana per una campagna offensiva contro l'U.R.S.S.» -ha detto Dekanozov.

Ho risposto che non c'erano manovre: fin dall'anno scorso avevamo chiesto le liste del prigionieri di guerra: ci erano state negate; non discutevo la decisione del governo sovietico, ma avevo fatto presente molte volte, a lui e ad altri funzionari del commissariato, come questa politica di mistero circa i nostri prigionieri creava delle difficoltà nell'opinione pubblica e si prestava ad una propaganda antisovietica.

-Se il governo italiano preferisce avere le liste dei prigionieri invece che la loro restituzione, che lo dica chiaramente ha detto Dekanozov.

-Non facciamo del bizantinismo: adesso, evidentemente, il governo italiano è ben lieto di avere i prigionieri: un anno fa avrebbe desiderato avere le liste, ho risposto. Dekanozov ha continuato la sua requisitoria. Il governo italiano doveva sapere che la cifra di 80 mila era cervellotica e avrebbe dovuto preparare e indirizzare l'opinione pubblica. Ha citato ad esempio il governo sovietico: potevo bene immaginarmi che, per il fatto. stesso dell'aggressione, e per i delitti e le devastazioni di cui essi si erano resi responsabili nel territorio sovietico, l'opinione pubblica sovietica era molto risentita contro italiani, ungheresi, rumeni. Con una opportuna propaganda esso era riuscito a persuadere le popolazioni delle regioni che avevano sofferto, della necessità di un atto di generosità del governo sovietico nei riguardi dei prigionieri di guerra di queste regioni. In Italia niente di questo accadeva. Il governo sovietico ha comunicato al governo italiano che aveva deciso di procedere al rimpatrio degli italiani liberati dall'esercito sovietico: non era una cosa a cui il governo sovietico era tenuto, altri governi hanno agito finora ben diversamente: questa decisione ha trovato una debole eco nella stampa «progressista»: per il resto essa è stata quasi passata sotto silenzio. Il governo sovietico libera i prigionieri di guerra. La maggior parte della stampa italiana, invece di ringraziare, inizia una campagna violenta e offensiva quasi accusando l'U.R.S.S. o di volersi tenere o di aver massacrato la maggior parte dei prigionieri italiani. La stessa stampa progressista si occupa della questione più che altro come polemica con altri partiti. Questo finisce per far dubitare dell'opportunità di fare dei gesti amichevoli verso l'Italia.

Ad un mio riferimento alla libertà di stampa, Dekanozov ha risposto che l'ambasciata sovietica a Roma si è rivolta al ministero degli Esteri per protestare contro articoli della stampa e letteratura antisovietica in circolazione: doveva riconoscere che questi interventi non erano rimasti senza risultato. Il che significava che il governo italiano, quando vuole, ha mezzo d'influire sulla stampa. In ogni modo, nel caso dei prigionieri si trattava di atteggiamento preso da stampa di partito, i capi dei partiti politici italiani sono nel governo, debbono essere al corrente delle informazioni e delle trattative relative ai prigionieri, quindi, se vogliono, possono illuminare la stampa e, attraverso questa, l'opinione pubblica italiana. Se non lo fanno è segno che si tratta di una politica voluta.

Dal punto di vista pratico ritengo si possa concludere -nonostante il rifiuto formale di Dekanozov di precisare, che la cifra data da Lozovski comprende tutti i prigionieri italiani sopravvissuti: è interessante il fatto -su cui, del resto, non ho avuto mai alcun dubbio -che Dekanozov abbia ammesso che i responsabili di atrocità di guerra e di delitti fascisti non ci saranno restituiti Dalle parole di Dekanozov dovrei dedurre che non sono molti: qualche cosa di più si potrà forse sapere sul loro conto mano a mano che i prigionieri ritornano. Per quanto ci concerne ritengo di dovere far presente che non credo essi saranno tutti necessariamente fucilati, o che lo siano già stati, ma che in ogni modo nessuno di loro rivedrà più l'Italia. Noi potremmo addurre delle eccellenti ragioni per contestare il diritto sovietico a farlo, però tutto questo si spunterebbe contro un muro. Per cui consiglierei a V.E. di non sollevare la questione: non otterremmo altro che una inutile polemica ed un altrettanto inutile scambio di opinioni opposte. Se noi non solleviamo la questione ci può essere una leggera speranza che un giorno qualcuno almeno di essi sia lasciato libero: se ci agitiamo, i russi si intesteranno nel loro punto di vista.

A mia impressione il risentimento sovietico per la reazione della stampa italiana è forte 1 . Come ho più volte detto a V.E. essi non hanno mai voluto rendersi conto, nonostante tutti i nostri onesti avvertimenti, della reazione che provocava nell'opinione italiana il loro ostinato silenzio nei riguardi dei nostri prigionieri: la reazione è stata grande e per loro, entro certi limiti, inattesa. Quando qui queste reazioni di stampa vengono attribuite a manovre di partiti contrari all'U.R.S.S. più o meno per ragioni ideologiche, nonostante la illogicità e talvolta la malafede del loro ragionamento, essi effettivamente ci credono.

Può essere che il mio interlocutore, agendo per ordine superiore, abbia esagerato il risentimento sovietico e ciò anche allo scopo di creare adesso un certo mito dell'ingratitudine italiana da sfruttarsi di fronte a possibili nostre reazioni durante la Conferenza di Londra. Ma questo non toglie che il risentimento c'è e forte e che non viene proprio ad un momento opportuno per noi: sarebbe stato meglio se la stampa italiana avesse assunto un atteggiamento un po' più misurato.

Io non ho avuto che un'eco assai incompleta di questa nostra reazione. Vorrei soltanto rilevare però che ho visto nei giornali italianì per esempio, delle corrispondenze sui prigionieri da parte di un certo Adam Nor che sono un tale tessuto di manifeste invenzioni (cita incidentalmente un lungo colloquio avuto con me che non l'ho mai visto) da non fare onore al giornale che le pubblica. La libertà di stampa, di critica e di polemica è una bellissima cosa, ma quando si tratta di Stati esteri, bisognerebbe pure usare di una certa cautela. Bisognerebbe sopratutto che noi ci rendessimo conto che se russi, americani o inglesi possono scambiarsi tutte le insolenze che vogliono, i Paesi piccoli e non più indipendenti -e noi siamo fra quelli-debbono procedere con maggiore prudenza. Io vedo purtroppo, dalla nostra stampa, in generale, che tutto quello che concerne la Russia è guardato principalmente dal punto di vista partito. Ora questo è un dirizzone che può crearci delle grosse seccature. Noi abbiamo da fare con un Paese il quale è particolarmente sensibile a qualsiasi critica sulla stampa straniera, che dai Paesi vinti o amici si attende di sentirsi dire che tutto quello che fa è perfetto. Capisco che questo possa sembrare noioso e talvolta ridicolo, ma ci piaccia o no, bisogna che non dimentichiamo che la Russia è un Paese grande, forte e potente la cui amicizia ci può essere utile e la cui ostilità ci può essere dannosa, ed è inutile e dannoso lo sfotterlo per puro spirito di polemica. Facciamo pure le nostre pole

1 Su tale risentimento Quaroni riferì anche con T. 8213/440 dello stesso 13 settembre, non pubblicato. Per la risposta di De Gasperi vedi D. 539.

miche all'interno, ma cerchiamo di evitare di tirarci continuamente in ballo la Russia, e per lo meno cerchiamo di essere moderati e di non dire delle sciocchezze madornali. Si possono, se vogliamo, fare tante critiche ragionevoli e sensate a tante cose russe senza che sia necessario di ripetere argomenti da romanzo giallo.

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8262-8264/547-549. Londra, 14 settembre 1945, ore 20 (per. ore 9,30 del 15).

Conformemente quanto stabilito Potsdam Conferenza di Londra si è aperta sul caso italiano colla presentazione proposte inglesi che, era inteso, dovevano essere le base della discussione. Tali proposte sono state presentate ieri.

Tutte le delegazioni mantengono assoluto riserbo. Evidentemente si vuole evitare interferenze opinione pubblica le quali potrebbero anticipare dibattito di sostanza a cui i cinque vogliono avvicinarsi con cautela.

Impressione ambienti americani è che atteggiamento russo su questione Trieste si annunzia, almeno inizialmente, molto duro, il che preoccuperebbe delegazione inglese cui resistenza è condizionata risoluto appoggio americano. Si conferma favore americano per trusteeship generale per nostre colonie, mentre Inghilterra punterebbe su Tobruk e Cirenaica in genere. Intanto sono giunti a Londra delegati egiziani.

È impressione francese che se si incontreranno insuperabili difficoltà di accordo i cinque ministri esteri metteranno da parte questione italiana rimandandola allo studio di esperti, salvo riassumerla in uno stadio più avanzato. Francesi propenderebbero far discutere questione frontiera Germania occidentale cui non sono favorevoli Inghilterra e America. Si va accreditando voce che la Russia intende chiedere basi nel Mar Rosso. Si pensa qui che essendo Aden inglese, Gibuti francese, Assab richiesta da Etiopia non resterebbe disponibile che Massaua.

Questa informazione va presa con riserva. È prematuro in questo stadio far previsioni ma si ha qui impressione che data scarsa preparazione che ha preceduto conferenza le possibilità di un rapido accordo su questioni italiane siano scarse. Insisto con Foreign Office per sollecita accettazione nostri esperti. Intanto fornisco elementi di cui dispongo. Per quanto riguarda il fatto essenziale della tempestiva venuta nostra delegazione ufficiale ho già insistito ed insisto per quanto attuabile nel senso di cui al telegramma 6227 1• Non sarà però possibile avere una decisione fino a che i cinque non abbiano almeno raggiunto un primo accordo di massima il quale garantisca la continuità delle trattative.

I Vedi D. 512.

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8263-8269/548-5541 . Londra, 14 settembre 1945, ore 20 (per. ore 9,15 de/15).

Sono stato oggi ricevuto da Molotov in un colloquio di venti minuti presente Kostylev. Ho ringraziato Molotov per la premura con cui ha voluto ricevermi e ho espresso a nome mio governo sentimenti amicizia e fiducia con cui Italia guarda in quest'ora decisiva alla Russia. Molotov mi ha manifestato nel modo più cortese suo apprezzamento. È subito entrato in argomento affermando che la stampa straniera aveva propagato false notizie circa atteggiamento russo a Potsdam. Egli smentiva queste notizie affermando che Russia non aveva mai fatto opposizione ad una sollecita (non ha detto equa) conclusione pace con l'Italia e che non intendeva dilazionare questo atto.

Gli ho risposto che preoccupato da queste notizie e dai riflessi che esse avrebbero nell'opinione italiana, avevo avuto una franca spiegazione con l'ambasciatore Gusev dal quale avevo ricevuto analoga smentita e assicurazione 2• Una delle ragioni del mio ultimo viaggio a Roma era stata quella di rassicurare su questo punto governo italiano la cui politica è schiettamente indirizzata al costante miglioramento dei rapporti con la Russia; gli ho soggiunto che mi rendevo perfettamente conto che in questo momento Russia non aveva bisogno di noi, ma che noi avevamo bisogno della Russia. Molotov mi ha risposto su quest'ultimo punto non era d'accordo con me perché la Russia aveva interessi eguali ai nostri nel miglioramento dei reciproci rapporti.

Venendo alla Conferenza di Londra gli ho dichiarato che dovevo dunque dedurre che l'appoggio russo non ci sarebbe mancato. Gli ho fatto osservare che il popolo italiano era pronto ad accettare ogni sacrificio necessario e ragionevole. Una pace giusta avrebbe avuto in questo delicato momento della nostra vita un decisivo valore d'incoraggiamento; una pace dura e inaccettabile avrebbe pericolosamente compromesso il progresso della nostra rinascita democratica.

Molotov mi ha dichiarato che la Russia desiderava dar mano a rimettere al più presto l'Italia in piedi. Ma questo richiedeva che noi ci liberassimo rapidamente dei responsabili della guerra e facessimo il necessario per riprendere relazioni amichevoli coi nostri vicini.

Gli ho risposto che il governo italiano aveva ripetutamente tentato di mettersi in contatto con la Jugoslavia per giungere ad una amichevol~ intesa ma che aveva sempre incontrato un netto rifiuto ad ogni approccio.

Molotov mi ha risposto che certamente i risentimenti jugoslavi sono ancora vivi ma che vi è una possibilità di incontrarci a mezza via. Egli ha aggiunto che

1 I telegrammi erano sei, con i seguenti numeri di protocollo: 8263/548, 8265/550, 8266/551, 8267/552, 8268/553 e 8269/554.

2 Vedi D. 444.

purtroppo vi erano gravi questioni territoriali che rendevano difficili praticamente questi contatti. Gli ho risposto che un'intesa sulle questioni territoriali era sempre possibile e da noi vivamente desiderata (a condizione che Tito fosse disposto a riconoscere a noi gli stessi diritti per la tutela degli interessi italiani che noi eravamo ben disposti a riconoscere a lui per la tutela degli interessi jugoslavi).

Gli ho specificato che per noi l'italianità di Trieste (con le più ampie garanzie per la utilizzazione internazionale del porto) e l'italianità delle città costiere da Trieste a Pola col relativo retroterra rappresentavano un argomento sul quale non potevamo transigere. Per la riunione di quelle città alla madre patria avevamo combattuto una dura guerra sacrificando 600.000 morti. Nella mia qualità di combattente di quella guerra potevo assicurarlo che lo spirito che ci aveva allora animato non era quello di una conquista imperialistica ma del compimento della unità nazionale.

Mi ha risposto che egli non è un jugoslavo ma che resta del parere che delle dirette intese sarebbero consigliabili. Gli ho osservato che purtroppo era ormai troppo tardi perché la conferenza dei cinque stava per decidere senza il nostro intervento su questa questione, facendog1i comprendere che se una opportunità di diretti contatti con la Jugoslavia avesse. ad esserci offerta, non l'avremmo certamente rifiutata. Non ho ben penetrato la ragione di questo suo suggerimento. Pensa forse che la conferenza possa arenarsi su questa questione e che una via di uscita potrebbe trovarsi in intese dirette?

Nonostante egli parli in francese ha preferito che il colloquio avvenisse attraverso un interprete inglese il che ha tolto immediatezza e colore alla conversazione. Il colloquio si è concluso con una esplicita dichiarazione che la Russia intende fare tutto il possibile per promuovere il sollecito risorgere dell'Italia verso una prospera democrazia. L'ho ringraziato assicurandolo che avrei trasmesso al mio governo questa precisa incoraggiante dichiarazione.

Il tono di Molotov è stato sempre particolarmente cordiale. In sostanza mi rendo perfettamente conto che il colloquio ha avuto un valore relativo, perché Molotov ha saputo da me cose a lui già note. Ma il fatto che egli le abbia subito accolte con evidente riferimento al mio precedente colloquio con Gusev ha in se stesso il,suo significato.

523

IL MINISTRO A STOCCOLMA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 8535/043. Stoccolma, 14 settembre 1945 (per. il 19).

Dopo il mio arrivo a Stoccolma avvenuto il 3 corr. e nell'attesa di presentare le lettere credenziali al Sovrano di Svezia, attualmente assente dalla capitale, ho fatto negli scorsi giorni la mia prima visita a questo ministro degli Affari Esteri, signor Undèn, al segretario generale ed ai direttori generali del ministero.

Nel corso della conversazione che ho avuto con ognuno di essi, mi sono state rivolte parole di viva simpatia per il nostro Paese e di apprezzamento per l'indirizzo nettamente democratico intrapreso dall'Italia. Da tutti mi è stato manifestato il vivo desiderio della Svezia di intensificare al più presto le relazioni commerciali e culturali tra i due Paesi.

Sulle mie conversazioni con il direttore generale degli Affari Commerciali, signor Sohlman, nell'imminenza della sua partenza per Roma ove egli si recherà a capo della delegazione svedese per la ripresa degli scambi commerciali tra i due Paesi, riferisco a parte con telespresso odierno n. 2013 /l 072 1•

524

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

TELESPR. 3/1562/C. Roma, 14 settembre 1945.

Si trasmette, per opportuna conoscenza di codesta ambasciata, copia di una lettera diretta dal presidente del Consiglio all'ammiraglio Stone in merito alla questione di Trieste.

ALLEGATO

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. Roma, 8 settembre 1945.

Come le dissi nel corso della nostra conversazione di ieri, le sarò molto grato se ella vorrà rappresentare ai governi americano e inglese il vivissimo desiderio del governo italiano di poter stabilire nella zona della Venezia Giulia amministrata dagli Alleati uno o più osservatori che dovrebbero risiedere a Trieste e, possibilmente, a Gorizia ed a Pola, i quali senza interferire in alcun modo coll'amministrazione del governo militare alleato, possano svolgere un opportuno compito di collegamento con le autorità alleate e con il governo italiano e di assistenza nei riguardi specialmente dei profughi e dei molti dipendenti statali, abbandonati in gran parte a se stessi, contribuendo così ad elevare il morale di quelle popolazioni e a dar loro una viva e palese dimostrazione dell'interessamento del governo nei loro riguardi.

Qualche cosa di analogo potrebbe forse essere fatto anche per la zona di occupazione jugoslava che, non meno della precedente, è secondo le norme del diritto internazionale tuttora territorio italiano. Si tratterebbe oltre tutto di una semplice contropartita degli osservatori che gli jugoslavi hanno lasciato nella zona di occupazione alleata, e che sembrano tanto più necessari in vista delle gravi questioni sulle quali il governo italiano ha già avuto occasione di richiamare l'attenzione dei governi alleati (deportazioni, confische di beni, alterazioni di registri di stato civile, opzioni forzose e altre violenze e illegalità).

I Non pubblicato.

Insieme a questi osservatori, sarebbe desiderio del governo italiano di poter costituire una commissione, o -a giudizio di codesta commissione -altro organo di carattere economico analogo a quello ivi istituito dal governo jugoslavo che dovrebbe occuparsi di alcuni interessi economici di grande importanza per quella zona e per l'Italia. Accenno, per esemplificare, alla riattivazione delle miniere di carbone dell'Arsa ed alla relativa ripresa di forniture all'Italia; la ripresa della estrazione ed esportazione della bauxite e delle sabbie silicee, essenziali per la riattivazione dei grandi stabilimenti di Porto Marghera; il ripristino

o riparazione dell'acquedotto istriano.

Le sarò molto grato, caro ammiraglio, per quanto ella vorrà fare per appoggiare queste nostre richieste pregandola di farsi interprete presso i governi alleati del grandissimo interesse che esse hanno per il governo italiano.

525

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. PERSONALE SEGRETA 3/1563. Roma, 14 settembre 1945.

Grazie della tua lettera dell'8 settembre 1• Circa l'argomento «elezioni» ti accludo due telegrammi e una lettera di Tarchiani rispettivamente in data del 31 agosto e del 3 e 7 settembre2 . Sia il presidente Truman che il Dipartimento di Stato insistono, come vedrai, sull'opportunità che venga dato inizio al più presto alle elezioni comunali in Italia.

La questione ha fatto oggetto di un nuovo passo dell'ambasciatore Kirk presso il presidente Parri (Il settembre), in cui da parte americana è stato energicamente ribadito il consiglio di procedere subito alle elezioni amministrative per gradi e di dar loro la priorità sulle elezioni politiche.

Kirk ha lasciato al presidente una nota scritta di cui ti accludo il testo 3 .

Perché tu abbia una precisa idea della situazione, ti trasmetto inoltre, in via assolutamente personale e segreta, un sunto della discussione avvenuta al riguardo, per mia iniziativa, in Consiglio di Gabinetto.

Come vedrai la discussione si è conclusa con una risoluzione anodina, che lascia le cose al punto di prima. Non ho visto il testo della risposta diretta da Parri agli americani, ma non può evidentemente essere ciò che essi e gli inglesi si attendevano da noi e che la situazione internazionale avrebbe dovuto imporci.

P.S. La situazione era talmente tesa, che se non fosse in pendenza Londra, mi sarei dimesso. Bada comunque che le elezioni amministrative generali sono un trucco, perché equivalgono a elezioni politiche. T'avverto anche che N. 4 sarebbe rimasto certamente in minoranza, se si fosse votato definitivamente.

I Vedi D. 515, Allegato.

2 Vedi DD. 478, 487 e 503.

3 Vedi D. 514.

4 Nenni.

ALLEGATO

RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI GABINETTO 1

VERBALE. Roma, 12 settembre 1945.

Il presidente e il ministro degli Esteri riferirono sopra i passi fatti dagli americani e dagli inglesi per esprimere il loro parere sulla democratizzazione del Paese e in modo particolare sulle elezioni 2• Venne data lettura del testo della replica del governo americano presentata l'Il settembre3 , nella quale rispondeva ad una prima risposta del presidente del Consiglio alla comunicazione americana del 24 agosto4 . Si dice che le obbiezioni del presidente del Consiglio non avevano convinto il governo americano il quale tornava ad insistere sulla necessità che l'attuale governo italiano desse prova del suo carattere democratico iniziando le elezioni locali in quei Comuni che già da quasi due anni furono liberati e da molti mesi vennero restituiti all'amministrazione del governo italiano. In tale dichiarazione il governo americano si richiamava anche ai frequenti impegni presi al riguardo dai governi Bonomi e Parri.

Il ministro degli Esteri dette pure lettura di una comunicazione dell'ambasciata di Washington in tenore analogo a quello della nota Kirk 5 e con la conclusione che secondo l'opinione del Dipartimento di Stato americano una pubblica decisione nel senso di fare le elezioni amministrative dentro l'anno potrebbe notevolmente agevolare l'azione delle delegazioni degli Stati Uniti a Londra. Durante il dibattito che ne seguì si fece anche riferimento alle dichiarazioni del segretario di Stato Byrnes comunicate in data 28 agosto ed a quelle del presidente Truman, comunicate con un telegramma del 2 settembré, nelle quali si insisteva per le elezioni amministrative graduali per una scadenza ragionevole e si assicurava che il governo degli Stati Uniti farebbe tutto il possibile durante l'autunno e l'inverno affinché a primavera il popolo italiano non possa trovarsi in uno stato d'animo di giustificato pessimismo e malcontento.

De Gasperi propose un ordine del giorno in cui si chiedeva di accelerare la preparazione delle elezioni politiche riservandosi di fissarne la data a più tardi e di indire frattanto entro quest'autunno le elezioni comunali su una base di una legge elettorale nella prima seduta dell'Assemblea Consultiva. La discussione, durata quasi quattro ore, si accese intorno a queste e ad altre formulazioni dell'ordine del giorno. Dalla discussione si rivelò che Nenni stesso inclina a ritenere non possibili le elezioni politiche prima della primavera 1946, che in caso di elezioni amministrative intende che si facciano contemporaneamente nel nord e nel sud, ottenendo così un effetto politico. Parri si dimostrò contrario alle elezioni amministrative ma disposto a farne almeno una parte per tenere conto del suggerimento americano. In tale caso anch'egli non intenderebbe incominciare dal sud, ma vorrebbe scegliere le città più rappresentative tanto nel nord che nel sud, ossia le elezioni amministrative non si potrebbero fare che contemporaneamente in tutta l'Italia. Contro queste tesi vennero fatti valere: l'impegno del governo per le elezioni amministrative prima di quelle politiche; la possibilità di farle in alcune zone almeno se ci fosse una volontà seria. È vero che il desiderio generale è di non farle col sistema vigente nel 1919, ma non si è fatta nessuna sollecitazione perché il nuovo progetto elettorale venisse deliberato dal governo e si è così tralasciata la cosa in modo che ora si presenta la necessità di sottoporla all'Assemblea Consultiva 7 . Ma anche in tale caso le elezioni amministrative si potranno fare nella seconda metà di ottobre o ai primi di novembre.

1 Erano presenti Parri, Nenni, Togliatti, Brosio, Ruini e De Gasperi.

2 Vedi DD. 447 e 453.

3 Vedi D. 514.

4 Vedi D. 514, nota l p. 694.

s Vedi D. 503.

6 Vedi DD. 472 e 478.

7 Allude alla «Consulta nazionale» istituita con decreto luogotenenziale 5 aprile 1945 con funzioni di surroga politica alla rappresentanza non ancora eletta. L'effettiva costituzione della Consulta si ebbe con decreto luogotenenziale del 22 settembre 1945 col quale vennero nominati 440 consultori.

Parri si dimostrò incerto sopra la preparazione dichiarando di non essere ancora esattamente informato intorno allo stato in cui si trovano i preparativi nei singoli Comuni.

Nenni, basandosi su tale informazione, chiese che si facesse una formale inchiesta e che intanto si differisse ogni decisione. Tuttavia, dopo un intervento di tutti i presenti, si arrivò ad una soluzione di compromesso da presentarsi al Consiglio dei ministri nella seduta pomeridiana. Tale risoluzione, accettata anche da Nenni e Togliatti, doveva suonare così:

«Il governo sarà prossimamente in grado di fissare il momento delle elezioni sia politiche che amministrative e per queste ultime può se.nz'altro assicurare che lo stato della preparazione è tale che esse saranno indette entro l'anno.»

Tale dichiarazione lasciava aperta la questione se le elezioni politiche potevano essere fatte entro quest'anno o nella primavera futura e se le elezioni amministrative sarebbero state fatte come elezioni generali o provincia per provincia, ma essa conteneva almeno una risposta favorevole al governo americano nel senso che le elezioni amministrative sarebbero state indette entro l'anno.

Nella seduta del Consiglio il presidente presentò tale risoluzione, ma i ministri del partito d'azione La Malfa e Lussu la dichiararono inaccettabile perché essa dava l'impressione che le elezioni amministrative avrebbero dovuto avere la precedenza sulle elezioni politiche, il che contrastava con l'ordine del giorno votato dal partito d'azione. Bisogna notare che La Malfa è contrario a che si facciano le elezioni prima dell'anno venturo tanto quelle politiche che amministrative e ciò per ragioni di ordine economico-sociale. La Malfa aveva sostenuto tale tesi in seno al partito d'azione, rimanendo in minoranza a causa delle incertezze di Parri; oggi nel Consiglio egli pigliava la rivincita mettendo in contraddizione il presidente stesso.

Le dichiarazioni del Lussu furono meno chiare, perché alla fine si dichiarò disposto a fare le elezioni amministrative in certe zone come in Sardegna. A questo punto Nenni dichiarò che se l'ordine del giorno poteva essere interpretato in tale senso egli intendeva ritirare la sua adesione data la mattina.

Si svolse poi un vivacissimo dibattito in cui il presidente e il ministro degli Esteri insistettero perché si desse una risposta chiara e favorevole alla nota americana, ma rimanendo Nenni irremovibile, il presidente propose una dichiarazione anodina in cui si diceva che una prima elezione si sarebbe certamente fatta entro l'autunno, non specificando se si tratterebbe di elezioni politiche o amministrative. De Gasperi sostenne che una simile dichiarazione non sarebbe dignitosa né per noi né per il governo americano e dichiarò che si sarebbe astenuto dal voto. A lui si associarono con eguale dichiarazione molti ministri, cosicché il presidente rinunciò alla votazione dichiarando che egli avrebbe assunto la responsabilità di rispondere personalmente alla nota americana nel senso da lui indicato.

N.B. Va rilevato che il ministro Togliatti, tanto nella riunione della mattina quanto nella seduta del Consiglio, ha protestato [contro] l'ingerenza di Stati esteri per questioni interne del paese specialmente se oggetto di contrasto fra le diverse correnti politiche. Tale dichiarazione ebbe qualche assenso fra i ministri.

526

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. PERSONALE SEGRETA 3/1565. Roma, 14 settembre 1945.

La formula da te prospettata a Cadogan1 e precisamente «elezioni politiche appena possibile e non oltre la prima primavera, al minimo elezioni generali ammi-

Vedi D. 502.

nistrative entro l'anno» dà per risolta una questione che, come risulta dal resoconto della discussione in consiglio di Gabinetto 1 , non è risolta affatto.

Tu intendi che se aderiamo alle elezioni amministrative generali non vi è nessuna ragione per non fare quelle politiche, che sono infatti basate sugli stessi registri elettorali e richiedono esattamente la stessa preparazione tecnica.

La questione verte dunque sulla possibilità di elezioni amministrative per gradi,

o regione per regione, o con quel qualunque altro criterio che appunto eviti che esse sieno generali. Ed è questo il punto di vista americano. Comunque la questione è ancora da parte nostra in alto mare ed in questo senso la tua formula non è esatta. Regolati, ti prego, in conseguenza, nei tuoi ulteriori contatti.

527

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 761/334. Mosca, 14 settembre 1945 (per. il ] 0 ottobre).

In un colloquio avuto con Dekanozov una diecina di giorni addietro, riferendomi alla conversazione di cui al mio rapporto n. 616/266 del 10 agosto 1945 2 gli avevo espresso il mio disappunto che le conversazioni che lui stesso mi aveva detto considerare utili, con il governo sovietico, per chiarire il punto di vista italiano nelle questioni più importanti del trattato di pace non avessero potuto realizzarsi. Mi rispose che aveva riferito la nostra conversazione al «governo sovietico», ma che non aveva avuto ancora istruzioni. Facendogli presente che era ormai imminente la riunione della Conferenza di Londra gli ripetei che, a mio avviso, un simile scambio di idee poteva non essere inutile: mi rispose che avrebbe sollecitato istruzioni dal «governo sovietico».

Nel mio colloquio dell'Il corr., gli ho ripetuto il mio rincrescimento per il fatto che la delegazione sovietica fosse partita per Londra senza che avessi avuto la possibilità, sia pure a titolo informativo, di metterla a conoscenza di quello che era il punto di vista italiano sulle principali questioni che ci interessavano.

Ho continuato dicendo che mentre con il governo americano, con quello francese, inglese e cinese, avevano avuto luogo, e da tempo, delle conversazioni le quali permettevano ai governi suddetti di essere pienamente al corrente di quello che si pensava in Italia, con il governo sovietico, e non per colpa nostra, non si era avuto nessun contatto. Sostanzialmente questo non cambiava nulla le cose poiché, il governo sovietico, attraverso la sua ambasciata e la stampa italiana poteva essere perfettamente al corrente di quello che si pensava in Italia. Però il governo sovietico era al corrente di informazioni e rumori circolanti nel mondo circa l'atteggiamento avuto dalla Russia alla Conferenza di Potsdam per la questione italiana: data la segretezza delle riunioni

I Vedi D. 525, Allegato. 2 Vedi D. 402.

si poteva naturalmente dubitare se e per quanto queste informazioni fossero esatte: ma esse non mancano di fare un certo effetto sull'opinione pubblica italiana e questa assenza di contatti preliminari con il governo sovietico poteva essere interpretata come conferma di un atteggiamento contrario all'Italia.

A quest'accenno Dekanozov mi ha chiesto irritato:

-Di che rumori si tratta?

-Lei lo sa tanto quanto me poiché si tratta di vere o presunte indiscrezioni circa le discussioni sull'Italia alla Conferenza di Potsdam. Del resto i particolari hanno poca importanza: si tratta di voci secondo le quali la Russia si sarebbe opposta a varie proposte americane nel complesso favorevoli all'Italia.

-E il governo italiano ci crede?

-lo non so se il governo italiano ci crede o non ci crede: so solo che queste voci circolano in Italia e all'estero. A titolo personale le dico che l'esistenza di queste voci mi preoccupa per le sue possibili ripercussioni sull'opinione pubblica italiana e ritengo mio dovere segnalarle che questa attitudine del governo sovietico che non vuole nemmeno scambiare con noi una parola sulle questioni che ci interessano, attitudine che è mio dovere segnalare al mio governo, può, alla fine dei conti, confermare queste voci. Ciò tanto più in quanto è in netto contrasto con l'atteggiamento americano: il Dipartimento di Stato non solo ci sta a sentire, ma discute con noi, si consulta con noi: anche questo il governo sovietico lo dovrebbe sapere.

-Quello che fa il governo americano è affare suo: del resto ogni governo, in questa fase, è libero di fare quello che vuole. Nel corso del nostro ultimo colloquio lei mi ha chiesto se il governo italiano sarebbe stato ammesso a discutere il trattato di pace o se avrebbe dovuto accettarlo come un Diktat: le ho detto che il governo italiano avrebbe avuto ampie possibilità di discuterlo e di far valere il suo punto di vista. Ma quando dico questo bisogna anche che il governo italiano non dimentichi che si tratta di un trattato di pace: il governo italiano sarà chiamato a discuterlo quando i governi interessati si saranno messi d'accordo su di un testo di trattato da sottoporre al governo italiano. L'importante è che il governo italiano sarà ammesso a discuterlo, il resto è secondario.

-Lei può anche avere ragione: ma ogni paese ha le sue reazioni e oggi in Italia si è anche molto sensibili a tutto quello che concerne la forma.

-Questo è verissimo, anzi il popolo italiano dà molta più importanza alle parole che ai fatti. C'è un discorso del ministro degli Esteri britannico che dice delle parole generiche in favore dell'Italia e tutta la stampa e l'opinione pubblica italiana si mette in entusiasmo: l'Unione Sovietica fa dei fatti: decide il rimpatrio degli italiani liberati e nessuno se ne occupa, decide la liberazione dei prigionieri -lo decide, preciso non promette che qualche cosa bisognerà fare-la stampa italiana domanda all'U.R.S.S. di rendergli conto di che cosa ha fatto di altri 60 mila prigionieri italiani che non sono mai esistiti. Noi abbiamo sbagliato di politica nei riguardi dell'Italia: gli altri evidentemente vi conoscono meglio. Bisogna che anche noi invece di fatti facciamo delle parole: allora tutta l'Italia sarà entusiasta di noi.

-Evidentemente oggi la sua ulcera allo stomaco le dà molto fastidio: è meglio che riprendiamo la conversazione un giorno in cui lei si senta meglio.

-Ma insomma cosa vuole lei dal governo sovietico?

-Non voglio niente: ho semplicemente espresso il mio disappunto che alla mia proposta di cui al nostro precedente colloquio non sia stato dato nessun seguito, mentre che anche lei si era dimostrato favorevole.

-Io ho riferito la sua proposta al governo sovietico ed ho esposto il mio parere.Il governo sovietico non ha creduto di autorizzarmi ad intavolare negoziati con lei su questioni concernenti il trattato di pace con l'Italia prima delle decisioni della Conferenza dei cinque ministri degli Affari Esteri.

-Nemmeno io ero autorizzato dal governo italiano ad entrare in negoziati col governo sovietico sulle singole questioni: e non avevo chiesto questo. Avevo soltanto espresso il parere -e lei si era mostrato d'accordo -che potesse essere utile per il governo sovietico di essere informato da me del punto di vista italiano in modo che potesse, se voleva, tenerne conto nel formulare il testo che ci doveva essere presentato.

-Per ricevere da lei qualsiasi c:osa a titolo puramente informativo non ho bisogno di avere speciale autorizzazione.

-Lei mi ha detto invece in due conversazioni successive, che non aveva ancora istruzioni dal governo sovietico.

-Siamo del resto ancora in tempo. Le informazioni cui lei accenna sono più utili se sono fatte per iscritto che se sono fatte oralmente; se lei vuole mi mandi un promemoria che io invierò senz'altro a Londra.

-Le invierò stasera stessa una mia lettera personale sull'argomento. Se lei desidera ulteriori informazioni e chiarimenti non ha che da chiedermelo.

Gli ho effettivamente inviato, la sera stessa, sotto forma di una mia lettera personale diretta al signor Dekanozov, il memorandum accluso al dispaccio di V.E.

n. 3/1452 del 31 agosto u.s. 1 , naturalmente con alcune modificazioni e soppressioni che le circostanze locali rendevano consigliabili. Ho dato a questo promemoria la forma di una lettera personale e non ho mai menzionato in essa il governo italiano: non si tratta quindi di una lettera che possa, in qualsiasi forma, essere considerata come impegnativa. Non potevo d'altra parte troppo marcare che si trattava delle mie opinioni personali, perché data la maniera di fare di qui, mi si poteva facilmente rispondere che non si interessavano delle mie opinioni personali, ma solo di quelle del governo italiano.

Ritenevo d'altra parte necessario che, prima delle decisioni del Consiglio dei cinque, da parte nostra in un forma o nell'altra si mettesse in chiaro il nostro punto di vista. Non che questo abbia nessuna utilità pratica ai fini del trattato. Quanto io ho scritto nella mia lettera è quanto l'ambasciatore sovietico a Roma ha inteso da mesi nella stampa italiana. Quindi il governo sovietico sa benissimo quello che noi vogliamo, anche senza parlarne con noi. In vista delle polemiche che, a trattato fatto, possono sorgere anche in Italia sull'atteggiamento russo e sulle sue probabili

l Vedi D. 513, nota l.

ragioni, mi sembrava utile evitare che da Mosca si potesse dire che il governo italiano non si era fatta parte diligente per informare tempestivamente il governo sovietico del suo punto di vista. Data la loro spregiudicatezza erano qui capacissimi di farlo: ho creduto quindi opportuno di mettere Dekanozov con le spalle al muro e ho preferito la forma scritta che non si può negare.

Come V.E. vede questa conversazione col signor Dekanozov non è stata delle più cordiali. Può essere che effettivamente l'ulcera allo/ stomaco, di cui negli ultimi tempi soffre continuamente gli facesse male: ma nel complesso io vi vedo una conferma di quanto ho già riferito circa il nervosismo che regna qui di fronte alla situazione generale e di fronte alla iniziatasi Conferenza di Londra in particolare.

L'lsvestia, in un articolo in data odierna, arriva a dire «la situazione politica ed economica dell'Europa presenta molte difficoltà e genera naturalmente dei dissensi: sarebbe ridicolo il negarlo». Nemmeno nei momenti più tesi dei recenti rapporti con gli alleati si è arrivati qui a scrivere parole così chiare. L'offensiva anglo-americana per la democratizzazione dei paesi nelle zone d'influenza russa ha qui colto nel vivo: non si vede ancora se e fino a che punto gli inglesi e gli americani sono decisi a fare sul serio e cosa l'U.R.S.S. possa e debba fare per parare una politica per lei molto pericolosa: ma su questo punto conto riferire a parte.

In una precedente conversazione Dekanozov aveva particolarmente insistito nell'idea che le questioni della pace con l'Italia erano principalmente l'affare degli anglo-americani: questa volta dato il tono più polemico della conversazione non ha avuto in proposito che qualche accenno. Questa può essere una nuova tattica, ma può essere anche una realizzazione del fatto che l'U.R.S.S. a Londra ha tanta carne al fuoco da dover per forza lasciar passare le cose italiane in seconda linea.

Le preoccupazioni per la lotta intorno alla loro zona d'influenza in Europa, quelle per il Pacifico sono sufficienti per spiegare il nervosismo, il cattivo umore sovietico, che in questi ultimi tempi è rilevato da tutti e si rivolge un po' contro tutti sia nella stampa che nei contatti personali. Di questo cattivo umore generale dobbiamo naturalmente soffrire anche noi.

528

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 8290/566. Londra, 15 settembre 1945, ore 1,30 (per. ore 17,30).

Questa sera alle ore 21 ,45 1 ho ricevuto la seguente comunicazione dal presidente riunione odierna Consiglio dei cinque: «Nella sua riunione di questa mattina Consiglio ministri Affari Esteri ha deciso di chiedere al governo italiano se desidera

I Il 14 settembre.

presentare i suoi punti di vista al Consiglio sulla questione della frontiera jugoslava-italiana e sul futuro della città e del porto di Trieste. Conseguentemente il Consiglio invita il governo italiano a nominare, se lo desidera, un rappresentante che partecipi alla riunione dei ministri Esteri che avrà luogo a Londra lunedì 17 settembre alle ore 16 per esprimere le vedute del governo italiano su queste due questioni».

Data ora notturna non mi è possibile accertare reale portata di questo invito redatto in termini particolarmente cauti e limitato questione Venezia Giulia. Comunque esso parmi autorizzare senz'altro venuta Londra V.S. cui presenza riterrei da parte mia assolutamente indispensabile.

Recandomi domani mattina Foreign Office per chiarimenti chiederò concessione mezzo aereo speciale per V.S. Intanto prego telegrafarmi d'urgenza accettazione invito 1 . Ogni eventualità occorre autorizzarmi con stesso telegramma rappresentare governo italiano dandomi istruzioni precise nell'ipotesi V.S. non potesse giungere in tempo utile.

529

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. 8374/468. Washington, 15 settembre 1945, ore 13 (per. ore 19 del 16).

Telegramma di V.E. 6227 2• Dipartimento di Stato cui si è rimessa copia parafrasata istruzioni inviate da

V.E. al R. ambasciatore a Londra ha assicurato ne avrebbe dato subito comunicazione alla delegazione americana alla conferenza. È stato espresso amichevole apprezzamento per ottimi argomenti e per «tono degno e nobilmente misurato». Dipartimento di Stato ha peraltro manifestato suo dissenso da nostra impressione che «decisioni finali ci sfuggiranno». Al riguardo sono state ribadite note assicurazioni trattato non deve esserci imposto ma liberamente da noi accettato. Delegazione italiana quando parteciperà alla conferenza dovrebbe quindi vigorosamente esporre e difendere nostre eque posizioni senza lasciarsi disarmare da atteggiamento contrario ed in caso estremo rifiutarsi accogliere soluzioni ritenute giustamente inaccettabili (in proposito sono significative anche osservazioni corrispondente New York Times da Londra di cui al mio telegramma stampa odierno) 3•

Come ella sa non è prima volta che sono rivolti a questa ambasciata accenni del genere in forma amichevole consiglio datoci in perfetta buona fede non esclu

1 Prunas comunicò a Carandini con T. urgentissimo 6437/391 del 16 settembre, ore 10,40, che De Gasperi era partito per Londra con un aereo speciale britannico e sarebbe giunto alle 16,40.

2 Vedi D. 512.

3 T. stampa 8387/45, non pubblicato.

derei affatto che arma pur pericolosa nostro rifiuto firmare trattato non sia qui considerato beninteso sempre in caso di assoluta necessità, come eventuale utile apporto all'appoggio che governo Stati Uniti intende darci 1•

530

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 8334/572. Londra, 15 settembre 1945, ore 17 (per. ore 0,45 del 16).

Cadogan mi ha oggi confermato definitivamente che se le elezioni amministrative saranno iniziate entro corrente anno governo inglese si dichiara soddisfatto e non insiste per elezioni politiche.

531

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8333/348. Parigi, 15 settembre 1945, ore 16,30 (per. ore 0,20 del 16).

Questo ambasciatore Stati Uniti, dopo pranzo ufficiale offerto nella sua residenza, invitatomi in disparte, ha portato conversazione su questione franco-italiana. A vendo gli esposto nostro punto di vista ed elencato prove nostra buona volontà, Caffery ha detto testualmente: «La Francia non si interessa veramente che delle rettifiche della frontiera franco-italiana. È vero che Truman non ha assunto nessun impegno con de Gaulle tanto per questo come per tutti gli altri problemi prospettatigli ma sarebbe bene vi metteste d'accordo tanto più che si tratta di cose di poca importanza». Alle mie repliche ascoltate con orecchio distratto Caffery ha ribadito: «Francia interessasi unicamente rettifiche frontiera». Non ho potuto ricavare [precisa indicazione] ma mia impressione è che Caffery abbia voluto farmi intendere che America in vista sistemazione rapporti franco-italiani ci consiglierebbe rinunzia irrigidimento questione rettifiche frontiera con evidente riferimento Tenda e Briga 2 .

1 Per la risposta vedi D. 562.

2 Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Washington con T. s.n.d. 67211447 del 23 settembre con la seguente aggiunta: «Per quanto concerne Briga e Tenda non so dire se impressioni d_i Saragat siano esatte. Come ella sa non si tratta di rivendicazioni, come le altre, di modesto rilievo. E opportuno peraltro che ambasciatore americano a Parigi non dia a quel governo eventuali impressioni che sembrerebbero in contrasto con quelle che sono direttive Dipartimento di Stato. Ciò potrebbe condurre ad un ulteriore irrigidimento francese che, a quanto risulta, è invece in via di allentamento. Se le capita propizia occasione di farlo opportunamente, ne parli costì in via di accenno e come di sua informazione di seconda mano».

532

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8340-8339/573-574. Londra, 15 settembre 1945, ore 20,30 (per. ore 3 del 16).

Chiamata nostra rappresentanza riunione lunedì conferenza cinque è considerata qui evento di sintomatico valore anche per circostanze in cui si è verificato. In seguito richiesta Molotov che delegato jugoslavo fosse ammesso durante discussione questione giulia Bymes appoggiato da Bevin ha sostenuto fortemente necessità di ammettere delegato italiano, richiesta a cui Molotov non si è opposto. Concorde atteggiamento anglo-americano è per italianità Trieste con intemazionalizzazione porto e controllo ferrovie di collegamento. Su questo punto si nutre buona fiducia. Più incerte sono previsioni circa ripartizione penisola istriana ove si prevede che proposta anglo-americana base linea Wilson incontrerà più dura opposizione. Per le colonie Inghilterra avrebbe aderito proposta americana per trusteeship generale con partecipazione italiana. Questa soluzione è la sola che consente all'Inghilterra di liberarsi dall'impegno assunto coi Senussi di non lasciar ricadere Cirenaica sotto la sovranità italiana.

Molotov sarebbe contrario questa soluzione e favorevole assegnazione colonie italiane a singole Potenze amministratrici compresa Russia. Per evidenti motivi Molotov sarebbe contrario assegnazione Dodecaneso Grecia e favorevole trusteeship sulle isole. Ho accertato che richieste inglesi per Pantelleria si limitano disarmo isola. Si ritiene che definizione di tutte questioni inerenti pace Italia richiederà qualche mese e che pertanto ammissione Italia fra Nazioni Unite non potrebbe avvenire che a fine anno corrente primi di gennaio. Le sopraddette informazioni mi sono confermate da varie fonti autorevoli e debbo ritenere rappresentino grosso modo lo stato odierno di posizioni che sono lungi dall'essere definitive.

Resto del parere che l'appoggio americano ed inglese ci è assicurato su punti di vista convergenti, ma non si sa fino a quale punto le soluzioni anglo-americane abbiano probabilità imporsi e nella più favorevole ipotesi quanto esse abbiano a soddisfare l'aspettativa italiana e di quanto verranno a divergere dalle nostre proposte.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. RISERVATA PERSONALE 3/1579. Roma, 15 settembre 1945.

Ti accludo copia di quanto riferisce Saragat su alcuni suoi recentissimi colloqui col generale de Gaulle e col ministro Bidault 1 . Mettine, ti prego, al corrente il

l Vedi DD. 504 e 517.

726 Dipartimento di Stato. Conferma che le rivendicazioni per Briga e Tenda, a parte le centrali e la loro estrema importanza per l'economia del Paese, significherebbero altresì il permanente controllo militare francese sul Piemonte e sulla Liguria. Vanno dunque molto al di là di quel che esse importano in chilometri quadrati e in numero di abitanti e mal consentirebbero o con estrema difficoltà quella effettiva pacificazione ed intesa fra i due Paesi che è lo scopo essenziale da raggiungere. Sottolinea che tale intesa potrebbe ritenersi senz'altro acquisita se queste estreme pretese, della cui equità lo stesso Bidault pare tutt'altro che convinto, cedessero il posto a quella visione più equamine dei rapporti italo-francesi che è implicita nel nostro atteggiamento di leale conciliazione.

L'incertezza francese nei confronti del Brennero è d'altra parte estremamente pericolosa, soprattutto se accoppiata ad una parallela incertezza nordamericana. Noterai la connessione accennata da de Gaulle fra le sue particolari rivendicazioni e l'atteggiamento francese per l'Alto Adige. Ogni appoggio che gli Stati Uniti dessero ad una rettifica della frontiera del Brennero, darebbe dunque alla Francia ulteriori mezzi di pressione per ottenere quel che vuole alla frontiera occidentale.

Di tutto ciò ho informato naturalmente anche Carandini 1 per ogni possibile azione a Londra. Dovresti parlarne anche tu subito al Dipartimento di Stato per quelle istruzioni e chiarimenti che intendesse far pervenire a Byrnes al riguardo.

534

L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. Roma, 15 settembre 1945 (per. il 17).

I referto Admiral Stone's letter of July 7, 19452 , to the President of the Council of Ministers recommending that the basic ltalian electoral laws be amended in certain respects to ensure the possibility of holding an independent, free and secret vote in ltaly. Certain of the more glaring defects of the Italian electoral law were pointed out. I understand that the Chief Commissioner has not received any assurances from Professor Parri that the ltalian Government intends to enact the necessary legislation.

I have been instructed by my Government to support in the fullest possible manner the Chief Commissioner's previous representations to Signor Bonomi and to Professor Parri on this subject and to urge upon the Italian Government early and serious consideration of the defects in the existing electoral system. My Government has particularly stressed the desirability of

l) providing for the contro! of electioneering at the polling places;

l L. 3/1561 del 14 settembre, non pubblicata. 2 Non pubblicata.

2) making adequate provision for formai nomination of candidates prior to the voting; 3) making provision for official ballots to be furnished by the local or national government (depending upon the type of election);

4) permitting non-commissioned officers and soldiers of the Italian army, as well as officers and members of any other military corps in the service of the State, to vote.

In this connection I should like to recall my conversation with you on August 24, after I had been received by the Prime Minister, in which I expressed the earnest hope of the Government of the United States that communal elections will have been held throughout Italian metropolitan territory before the end of this year 1 , and to refer to my personal letter to you of September Il 2 containing further observations of my Government in regard to the desirability of beginning to hold immediately administrative elections in Italy. While my Government is of the opinion that a modification of the Italian electoral system along the lines described above is highly desirable, it does not consider that the holding of local elections should be delayed by failure to enact promptly the necessary amending legislation. It is the view of the United States Government that, as I have had occasion to point out previously to you and to the Prime Minister, the Italian Government should begin immediately to prove to the world that Italy is a democratic nation where the normal democratic processes, expressed in local elections, exist 3 .

535

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 84311478. Washington, 16 settembre 1945, ore 15,07 (per. ore 19 del 17).

Mio telegramma 4434 .

Dipartimento di Stato, nell'informare del passo Kirk presso nostro presidente del Consiglio2 , ha nuovamente attirato attenzione questa ambasciata su assoluta necessità dare sollecito inizio, sia pure limitatamente, alle nostre elezioni comunali. È stato rilevato che qualora delegazione americana a Londra avesse notizia imminente esecuzione di qualcuna dette elezioni comunali, avrebbe ottima arma per controbattere accuse che nostro governo non è più democratico e rappresentativo dei governi Europa orientale e Balcani.

I Vedi D. 453. 2 Vedi D. 514. 3 Per la risposta vedi D. 625. 4 Vedi D. 503.

Dipartimento di Stato ha sottolineato che per contro nostra carenza obbligherebbe governo degli Stati Uniti, molto a suo malincuore, ma necessariamente, tutela propria imparzialità a pubblicare comunicato ufficiale deplorante mancato inizio predette elezioni che si ritiene debbano aver precedenza su quelle politiche nazionali. È ovvio che un comunicato così fatto potrebbe gravemente nuocere specie durante le trattative pace.

536

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. s.N.D. 6426/c. 1 . Roma, 16 settembre 1945, ore 172•

Persona molto bene informata che ha viaggiato con Byrnes conferma che questione Alto Adige verrà pericolosamente agitata, aggiungendo che tendenza americana per plebiscito esiste effettivamente 3• Stesse notizie mi sono ripetute da molte fonti.

Ella voglia, la prego, rendersi d'urgenza interprete presso il Dipartimento di Stato della profonda inquietudine che tali informazioni suscitano in Italia.

Sarebbe assurdo se mentre la Francia pone in discussione nostra frontiera occidentale e Tito, fiancheggiato dalla Russia, quella orientale, fosse proprio l'America a porre in discussione anche la terza ed ultima frontiera italiana, quella del Brennero.

Una iniziativa siffatta frustrerebbe tutte le buone intenzioni e le prove di amicizia finora dateci da Washington. D'altra parte mentre da per tutto si accetta senza contrasto il doloroso trasferimento di milioni di abitanti da intere regioni, sarebbe discriminatorio ed illogico il ricorso al plebiscito nel solo paese, l'Italia, che ha in corso larghi, liberali provvedimenti per il rispetto delle minoranze. E discriminatorio ed illogico sarebbe altresì consentire, come si fa, a tutti l'adozione delle più serie garanzie contro un'eventuale ripresa tedesca ed aprire invece di proposito la strada classica, il Brennero, delle invasioni germaniche verso il sud.

Ella sa perché il plebiscito è per noi inaccettabile. Ella sa quale enorme somma di lavoro e di spese il popolo italiano ha da un quarto di secolo riversato in Alto Adige e come queste opere siano ormai strettamente connesse ed essenziali all'economia italiana. Anche i comunisti per bocca di Togliatti proclamano oggi nettamente e chiaramente che «il fatto che la nostra frontiera resti al Brennero ha un valore quasi di principio quando ancora tutta l'Europa e l'Italia più degli altri, sanguina per i delitti tedeschi ed il problema della Germania è lungi dall'essere

1 Inviato, per conoscenza, anche alle rappresentanze a Londra, Parigi e Mosca.

2 Questo telegramma e i DD. 538 e 539 recano sull'originale la firma autografa di De Gasperi e furono quindi redatti il 15 settembre poiché De Gasperi parti per Londra la mattina del 16 (vedi D. 528, nota l p. 724).

3 Vedi D. 516.

risolto. È d'altra parte certo che se vogliamo costruire un'Austria vitale, non è certamente con le vallate altoatesine che codesta vitalità può esserle infusa.

La discussione contemporanea di tutte le nostre frontiere e le eventuali mutilazioni che da essa conseguissero, pongono poi molto nettamente il problema della possibilità di resistenza del popolo italiano e del limite al nostro sacrificio 1•

537

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUENOS AIRES, SENSI

T. 6428/227. Roma, 16 settembre 1945, ore 17,20.

Suo 343 2 .

Ella è al corrente nostra recente iniziativa per un'azione concordata e comune delle Repubbliche latino-americane 3 in favore di una pace giusta con l'Italia, iniziativa che trovò unanime consenso, ma che fu debolmente e non efficacemente attuata. Non credo possibile riprenderla oggi, almeno nei termini in cui fu concepita. È peraltro certo che ogni manifestazione in questo senso, sia di governo che di opinione pubblica gioverebbe. Si adoperi dunque a questo scopo anche presso suoi colleghi latino-americani. Occorrerebbe peraltro uscire dalle formule giuridiche della «pace giusta» per entrare nel vivo delle questioni concrete. L'Italia è minacciata in tutte le sue frontiere, nelle sue colonie prefasciste, nella sua esausta economia attraverso richieste di riparazioni, ecc. Un movimento di opinione pubblica che queste soluzioni ribatta e contrasti e che possa comunque avere in questi giorni la sua eco a Londra può essere sicuramente utile.

538

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. PERSONALE 6431/227. Roma, 16 settembre 1945, ore 14,40.

Approvo pienamente quanto hai detto al generale de Gaulle e al ministro Bidault4 . A che varrebbe l'appoggio francese se, aperta la discussione sulla frontiera occidentale, la Francia adottasse l'iniziativa di aprirla o di agevolarla anche per

l Per la risposta vedi D. 574.

2 T. 8219/343 del 12 settembre: atteggiamento dell'opinione pubblica argentina favorevole ad una pace giusta e costruttiva per l'Italia.

3 Vedi D. 305.

4 Vedi DD. 504 e 517.

730 quella del Brennero? Ti invio a parte un telegramma che ho diretto oggi a Tarchiani sull'argomento'. Hai fatto dunque benissimo a porre in guardia Bidault su una questione, che è per noi fondamentale. E benissimo ad irrigidirti per Briga e Tenda che, a parte le centrali e la loro estrema importanza per l'economia del paese, significano altresì, in sostanza, il permanente ed umiliante controllo militare francese sul Piemonte e sulla Liguria e la conseguente atmosfera di sospetti e di diffidenze fra i due Paesi, che renderebbe aleatorio ed incerto auspicato riavvicinamento.

539

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 6435/467. Roma, 16 settembre 1945, ore 18,15.

Suo 440 2•

Tutti i giornali italiani hanno oggi pubblicato con dovuto rilievo comunicato ufficiale in cui si dà notizia sia del rimpatrio nostri prigionieri in Russia, sia di quelli raccolti nelle zone occupate dalle forze armate sovietiche. Comunicato diramato da questo ministero informa che nel prendere atto delle comunicazioni fattegli ieri al riguardo da questo incaricato d'affari di Russia, il ministro degli Esteri lo ha pregato di farsi interprete presso il governo di Mosca e presso il comando dell'armata rossa dei sentimenti di viva gratitudine del governo italiano per l'opera prestata nel raccogliere e convogliare verso l'Italia un sì elevato numero di prigionieri di guerra italiani, nelle condizioni particolarmente difficili dell'attuale momento. Ella ha perfettamente ragione nel ritenere che mistero che aveva sinora avvolto sorte nostri prigionieri in Russia, ha sfavorevolmente reagito su pubblica opinione. Faremo comunque tutto il possibile perché la stampa continui sottolineare adeguatamente iniziativa sovietica, per la quale la prego di voler ancora una volta rendersi interprete della nostra viva e cordiale gratitudine. Sottolinei intanto comunicato odierno.

540

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8399/579. Londra, 16 settembre 1945, ore 21,12 (per. ore 12,30 del 17).

Ho avuto modo controllare testo proposte-base anglo-americane le quali sono venute avvicinandosi e coincidono oggi sui seguenti punti:

I Vedi D. 536. 2 Vedi D. 520, nota l p. 712.

l) Tutte le colonie italiane passeranno sotto trusteeship Nazioni Unite, le quali nomineranno un amministratore di qualsiasi nazionalità coadiuvato da Commissione Consultiva formata oltreché da rappresentanti maggiori Potenze da un rappresentante italiano e uno indigeno. La informazione di cui a mio telegramma 578 1 , circa esclusione Italia, proveniva dal capo Ufficio Stampa di Byrnes che aveva inteso smentire precedente versione secondo cui Italia avrebbe avuto funzione amministrativa esclusiva in seno trusteeship. Questo dovrebbe esaurirsi in dieci anni nella completa indipendenza nostre colonie.

2) Trieste città all'Italia con porto internazionalizzato. Tutto il territorio in discussione compreso fra confini 1939 ed attuale linea demarcazione dovrà essere diviso fra Italia e Jugoslavia. Questa ultima formula è estremamente vaga ma viene interpretata come riferentesi ad. una soluzione avente per base linea Wilson.

3) Per Alto Adige si propugna statu quo.

4) Per Pantelleria disarmo.

5) Per Dodecaneso Castelrosso alla Turchia e altre isole alla Grecia.

541

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 769/335. Mosca, 17 settembre 1945 (per. il ] 0 ottobre).

Mi sono arrivate, con questi ultimi corrieri tante tue lettere che debbo rispondere con una specie di lettera zibaldone.

l) Tua 3/1397 del 24 agosto2• In una lettera in pari data, diretta al ministro 3 in risposta alla sua 3/1453 4 ho cercato di chiarire un poco quello che qui si intende per pace punitiva. Ma in realtà la politica sovietica, nemmeno nella questione delle nostre frontiere orientali, è, per sé, contro di noi. Disgraziatamente noi e le nostre aspirazioni ci troviamo ad attraversare la strada delle aspirazioni sovietiche: dato che qui, per le ragioni che ho cercato di spiegare, c'è nei nostri riguardi, la più perfetta indifferenza e siamo considerati una quantité négligeable, così i russi tirano avanti per la loro strada senza preoccuparsi delle nostre reazioni. Per quanto concerne la questione coloniale, a mia impressione i russi non è tanto a limitare una mainmise inglese sulle nostre colonie che mirano, quanto ad

1 T. s.n.d. urgentissimo 8342/578, pari data, non pubblicato. 2 Vedi D. 403, nota l p. 540. 3 Vedi D. 542. 4 Vedi D. 480.

ottenere, attraverso la partecipazione alla trusteeship delle nostre colonie, alcuni punti di partenza su cui basarsi per dare fastidio a francesi e inglesi nelle loro colonie viciniori. I francesi questo lo hanno capito, gli inglesi no, come non hanno capito la politica russa in Siria. I russi quindi sono pronti ad ammettere la partecipazione inglese purché venga ammessa la loro partecipazione, che è quello a cui essi tengono. Essi si rendono conto che, per un complesso di ragioni, la loro politica coloniale nell'interno dell'U.R.S.S. non è sufficiente ai loro fini di propaganda anticoloniale: quello che loro vorrebbero è un finger in the pie, anche modesto, in qualche territorio coloniale che permetta loro di insistere perché questo o quello sia fatto in favore degli indigeni.

La possibilità di compromesso c'è, ma secondo me, in un'altra direzione e non con noi: i russi, come spiego in un altro rapporto in pari data 1 , sono fortemente seccati dalla politica che gli anglo-americani stanno seguendo in Bulgaria e in Romania, e, pro bono pacis, sarebbero, credo, disposti a rinunciare a molte delle loro velleità, per esempio africane, pur di essere lasciati in pace nella loro zona d'influenza. Nel qual caso non obbietterebbero, credo, nemmeno a che le nostre colonie passassero del tutto in mani inglesi. Evidentemente i russi s'interessano all'Africa ed alle questioni coloniali, ma io mi domando se, sollevando la questione delle nostre colonie -e sollevando anche altre questioni, come per esempio le provincie orientali della Turchia -i russi abbiano veramente voluto tentare di fare dei passi avanti, o non piuttosto abbiano voluto crearsi tempestivamente degli articoli di scambio.

2) Tua 311457 del 31 agosto u.s. 2•

Nella mia lettera diretta al ministro in pari data, ho anche chiarito alcuni dei retroscena della questione della villa Abamelek. Qui, quando ne ho parlato, mi è stato detto: «ne parleremo quando Kostylev sarà tornato da Londra». Mi è stato solo osservato che il fatto che la principessa non vorrebbe affittare la villa al governo sovietico, in realtà peggiora la situazione attualmente esistente. Invece mi è parso non si guardi con occhio ostile la proposta di scambiare villa Madama con villa Abamelek. Quando avrai ricevuta la mia lettera ti prego di telegrafarmi quale delle due soluzioni il governo italiano preferirebbe e se non c'è mezzo di superare l'opposizione della principessa ad affittare la villa ai Soviety.

Dato l'accanimento che si è messo su questo affare, in ogni modo, è bene precisare, sia che la cosa venga trattata a Roma o qui, che il governo sovietico accetti la riserva dei diritti della principessa: perché all'ultimo momento non venga poi fuori che ci manca un punto sull'i, dato che noi abbiamo collegata la questione con quella della restituzione della vecchia ambasciata. Come tu sai, visto che non è stato possibile risolvere la questione subito, io sarei di avviso di scindere le due questioni; dire ai russi che noi non ci interessiamo più della vecchia ambasciata e trattare con tutta calma e pacatezza la questione di villa Abamelek. Molto meglio

I R. 772/338, non pubblicato. 2 Non pubblicata.

questo che far fare alla questione una serie di passi stentati in avanti dando l'impressione che reagiamo solo alle spinte.

3) Con la sua lettera 3/1453 il ministro mi aveva suggerito una franca spiegazione con i Soviety. Nelle sue istruzioni il ministro si è in massima parte ispirato ai miei rapporti del 31 luglio e del 6 agosto 1: senonché io vi accennavo come ad una politica che può dare dei frutti dopo un'opera lunga e paziente, e non come a spiegazioni, con risultato immediato. O piuttosto rettifico. Fatta, una volta firmata la pace, una spiegazione a questo governo nei termini che suggeriva il ministro, la risposta sovietica, se non subito, certo a brevissima distanza sarebbe questa. Dal momento che vi dichiarate decisi a non entrare in coalizione contro l'Unione Sovietica, perché non lo mettiamo per iscritto in un bel patto di quelli tipo? I russi sarebbero prontissimi a farlo, allo scopo di rendere sempre più problematico il blocco atlantico specie ora che la Francia sta nicchiando. Il prezzo che la Russia ci pagherebbe sarebbe il suo interessamento, per quanto la concerne, per un graduale miglioramento del nostro status, che potrebbe arrivare fino a riconoscerei la posizione di grande Potenza, almeno per gli affari europei. In questa maniera il chiarimento con i russi lo si potrebbe ottenere subito e completo.

Se voi lo volete, ripeto, credo la cosa fattibile. Allo scetticismo sovietico di fronte alle nostre assicurazioni, si potrebbe rispondere appunto dicendo che siamo disposti a mettere le cose per iscritto. I russi certamente accetterebbero: si combinerebbe allora una visita del ministro degli Esteri, anche possibilmente del presidente del Consiglio, a Mosca, con tutto il cerimoniale e la firma del patto. Però debbo dire francamente che io sono contrario: l'ho detto al ministro e lo dico anche più chiaramente a te. Tu sai che io preferisco tentare una politica di neutralità, pur rendendomi conto quanto sia difficile. Ma se questo dovesse essere impossibile e ci dovessimo legare a qualcuno sarebbe bene che lo facessimo a ragion veduta e dopo aver esattamente valutata la situazione, cosa che oggi non è possibile di fare, né siamo attrezzati per farlo. Non che io abbia nessuna ripugnanza di principio: per me, se questo corrisponde agli interessi del Paese, mi è perfettamente indifferente allearmi a destra od a sinistra. Ma ci sono alcune considerazioni da fare:

a) il nostro primo bisogno, intanto, è quello di avere, ed in grande quantità, aiuti per la nostra ricostruzione: ora su questo punto è bene non farsi illusioni. La Russia, in questo momento, non ci può dare gran cosa. I bisogni della ricostruzione, gli impegni che ha assunti per la sua zona d'influenza assorbono gran parte delle sue possibilità. Fra quindici, forse anche fra dieci anni, se tutto va bene, la Russia potrà aver raggiunto uno sviluppo ed un potenziale economico tale da poter realmente concorrere con gli americani, ma oggi, no. E siccome noi abbiamo bisogno di pensare all'oggi, e non al domani, lontano, non è da questa parte che bisogna

Vedi DD. 374 e 390.

guardare. Quindi, dobbiamo prima preoccuparci dell'America e dell'Inghilterra e poi della Russia.

b) La politica estera di questo Paese è ancora una incognita: non sappiamo quello che essa sarà, quello che accadrà qui alla morte di Stalin, ci sono tanti punti oscuri, mi sembra quindi molto arrischiato legarci ad una politica che non sappiamo dove può condurre. Abbiamo già fatto delle tristi esperienze.

c) Se facciamo questo patto, ossia se ci mettiamo per una determinata linea di politica, bisogna che siamo decisi a farlo sul serio. La Francia ha fatto il suo patto con l'U.R.S.S. oltre che per ottenere dei vantaggi immediati, anche nella speranza che Inghilterra e America si sarebbero date da fare per buy her off. Se questo gioco non è riuscito alla Francia, ci sono assai poche probabilità che riesca a noi: inoltre noi abbiamo bisogno di riabilitare la nostra politica estera. Fare un patto con la Russia con l'idea di cambiare direzione appena possibile, è una politica che può forse darci qualche vantaggio momentaneo, ma che alla fine dei conti non farà che prostituirci più di quanto lo siamo già. Ed è una politica che sconsiglierei con tutte le mie forze.

Io ritengo che l'unica politica estera che ci è consigliabile dopo la pace è quella di non avere una politica estera nel vero senso della parola: starsene tranquilli e onesti al nostro posto e non cercare di agitarci: una politica di trattati di commercio, di lavoro, di serietà che ci permetta di metterei materialmente in piedi. Quando questo sarà fatto si potrà vedere quello che si deve fare.

Quindi per quanto concerne i nostri rapporti con la Russia, bisogna che noi riconosciamo che siamo nella zona d'influenza anglo-americana, che i nostri bisogni economici immediati e finanziari ci consigliano di restarci, quali che possono essere le delusioni che ci porta il trattato di pace, che la Russia ha molte gatte da pelare in varie parti del mondo, e non ha, quindi, tempo di occuparsi seriamente di noi, che non crede valga la pena di farlo. È inutile, quindi, farsi delle illusioni sulle possibilità di provocare, con dichiarazioni o spiegazioni, un rapido cambiamento di questa attitudine russa di indifferenza, di creare un interessamento russo a nostro favore, di diventare dei mediatori, di giocare fra i due gruppi o cose simili. Bisogna, quindi accettare il fatto che, per ora, per la Russia, noi siamo una quantité négligeable, e che è solo attraverso una politica paziente, seria, meditata, tranquilla sulle linee che ho indicate nell'ultima parte della mia lettera al ministro, che si può, dopo qualche anno, contare di raccogliere i primi frutti, non prima: ma allora saranno dei frutti seri.

Mi riservo di tornare su questo argomento con un rapporto che sto preparando su quello che, secondo me, dovrebbe essere la politica italiana dopo il trattato di pace. Dato poi che la lettera del ministro, almeno a mia impressione mi dava delle istruzioni di portata immediata e con la speranza di risultati più o meno immediati, ho ritenuto mio dovere di fare alcune precisazioni, e farle anche più francamente con te che, se sei d'accordo, meglio di me saprai come e in che forma presentare tutto questo al ministro.

Ti pregherei, in ogni modo, di farmi conoscere il tuo pensiero in proposito. Scusa la lunga lettera.

542

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE SEGRETA 776/342. Mosca, 17 settembre 1945 (per. il 1° ottobre).

La ringrazio per la sua lettera del 31 agosto u.s. n. 3/1453 1•

Le sue istruzioni mi sono giunte troppo tardi perché io potessi chiedere una udienza a Molotov (e solo a lui avrei potuto fare una dichiarazione a suo nome) ma non credo questo sia stato un male poiché è meglio che abbia tempo di chiarire alcuni punti.

Prima di tutto una parola circa la villa Abamelek. Purtroppo la questione è cominciata e si è invelenita in un momento in cui io non ero in grado di comunicare con il ministero e di segnalare l'importanza sproporzionata che qui vi si dava. La cosa è stata presentata qui, dall'ambasciatore sovietico a Roma, in una forma poco favorevole. La sentenza della Corte di Cassazione, contraria al governo sovietico, è stata pronunziata in seguito a pressioni del governo italiano (il che non è del tutto falso e purtroppo i russi hanno conoscenza molto completa di tutti i retroscena): si tratta quindi di un torto fatto dal governo fascista al governo sovietico, torto che il governo democratico italiano aveva il dovere di riparare subito: purtroppo anche il presidente Bonomi, che evidentemente non conosceva la complessità della questione, ha dato a Kostylev delle assicurazioni formali, il che ha a sua volta ingenerato l'impressione che la cosa non andava avanti per ostruzionismo del ministero degli Esteri. Tutta la questione, in questa forma, è stata presentata a Stalin, con la proposta, da lui approvata, di abbinarla con la restituzione della nostra sede. Sono passati ancora dei mesi, nulla è stato fatto in Italia, fino a che ella non ha preso direttamente la questione in mano; ma intanto essa si era gonfiata di una questione di prestigio di cui si era interessato personalmente, e irritato personalmente, Stalin; e ne è uscito fuori un affare di Stato con reazioni e ripercussioni del tutto fuori di proporzioni. Adesso, a quanto mi risulta, Kostylev stesso è seccato della tempesta che ha sollevato e cerca di trovare una soluzione, ma ha paura, ed è difficile fare smontare Stalin una volta montato. È quindi una questione di cui, qui, è meglio non parlare altro che per dire che è finita, e quanto più presto finisce tanto meglio sarà per noi.

Io non so sino a che punto ella, signor ministro, si rende conto del fatto che noi qui ci troviamo puramente e semplicemente di fronte a una dittatura personale: per cui bisogna tener conto dei capricci, degli umori, delle cantonate del dittatore; e questo è tanto più delicato quando un paese si trova nella situazione del nostro.

Vengo ora al centro della sua lettera. Avendo a che fare con gente irrimediabilmente sospettosa e diffidente come sono i dirigenti sovietici, una spiegazione, come quella che ella desidera, fatta alla vigilia dell'inizio dei lavori della Conferenza dei Cinque non avrebbe avuto che scarso valore. Il suo discorso d'altra parte è stato notato e questo è già un passo avanti: è un terreno su cui è meglio procedere senza fretta.

I Vedi D. 480.

In un certo senso la politica estera italiana comincia dopo il trattato di pace: fino ad ora al governo italiano non è toccato che l'ingrato compito della liquidazione del passato.

Nei miei rapporti le ho fatto presente che la Russia è per una pace punitiva. La parola non rende però che imperfettamente il pensiero: si tratta di una impostazione dottrinaria dei russi per cui la guerra contro l'Unione Sovietica è una colpa e chi l'ha fatta deve assumersi, a pegno della sua conversione, una pena: inflitta la pena, tanto meglio se la si prende con buona grazia, è finita e non ci si pensa più. Nei nostri riguardi questo concetto di pace punitiva in se stesso si sarebbe potuto limitare ad una certa misura di riparazione e alla punizione dei responsabili di colpe verso l'Unione Sovietica.

Per il resto ci siamo disgraziatamente trovati di fronte ad una serie di questioni in cui noi eravamo sul cammino dell'Unione Sovietica. La frontiera orientale: la vogliono gli jugoslavi, che sono un anello importante nella catena degli Stati amici; è una zona che può servire di base per una azione politica ed economica in una zona da cui i russi intendono eliminare ogni influenza altrui. Le colonie: i russi vogliono delle basi morali da cui preparare l'attacco a tutto il sistema coloniale; il miglior mezzo sembra loro quello di dare le ex-colonie italiane ad un trusteeship delle Nazioni Unite in cui la Russia abbia il dito. Nella stessa questione delle riparazioni i russi si oppongono ad una dichiarazione di impossibilità a pagare nei riguardi dell'Italia perché una dichiarazione del genere li metterebbe in imbarazzo, per esempio di fronte all'Ungheria, non meno devastata di noi, e li obbligherebbe a delle rinuncie che non hanno intenzione di fare. Si tratta in realtà non di ostilità verso l'Italia, ma di indifferenza. Per i russi noi siamo una quantité négligeable.

La rivolta dell'Italia del nord ha significato qualche cosa, ma è stata presto cancellata dallo spettacolo negativo della lotta dei partiti, che è tutto un ordine di idee che qui i dirigenti russi non arrivano a capire. È solo quindi la ricostruzione della vita italiana, politica ed economica, che può veramente modificare l'indifferenza russa nei nostri riguardi.

In ogni modo, nel quadro dei futuri rapporti italo-russi due punti vengono qui considerati importanti:

l) Quale sarà l'indipendenza effettiva dell'Italia. E con ciò i russi intendono non tanto clausole più o meno temporanee che prolunghino sotto qualsiasi titolo la permanenza in Italia di truppe anglo-americane, quanto i nostri rapporti economici e finanziari specialmente con gli Stati Uniti. Come ho già riferito qui si ha l'impressione che tutta l'industria italiana sta passando in mani americane e che gli Stati Uniti, col nostro benestare, stanno iniziando in Italia una politica economica sul genere di quella ch'essi hanno svolto con tanto successo nell'America Latina. Se questo è esatto, o meglio se i russi saranno persuasi che questo è esatto, la loro conclusione sarà che è inutile occuparsi dell'Italia: i rapporti con l'Italia essendo in funzione dei rapporti russo-americani, essa continuerà ad essere una quantité négligeable.

2) Quali saranno le reazioni politiche italiane al trattato di pace in generale ed alla Russia in particolare? L'atteggiamento che i russi vorrebbero da noi è questo. La pace ci ha portato dolorosi sacrifici; ma è la liquidazione di tutta una serie di errori passati; accettiamola come fatto compiuto e non ci pensiamo più. L'Italia si rimette al lavoro per la sua ricostruzione materiale e morale, non ha rivendicazioni verso nessuno, non ha ambizioni verso nessuno; desidera soltanto di poter lavorare in pace ed in armonia con le tre grandi Potenze in generale e con i suoi vicini in particolare. Tutto quello che c'è accaduto è per colpa nostra e guardiamo bene di non ricaderci.

L'atteggiamento di cui sopra va considerato solo come l'atteggiamento teoricamente ideale per l'Italia ai fini dei suoi rapporti con l'Unione Sovietica. Quanto più i singoli partiti italiani, e tutta l'Italia, si avvicinano a questo atteggiamento ideale, tanto più noi saremo agli occhi di Mosca dei bravi ragazzi.

A questo riguardo, assai più che le dichiarazioni che, in forma ufficiale, può fare il governo italiano contano e la realtà della nostra politica e l'atteggiamento continuativo della stampa italiana. Noi ci appelliamo alla libertà di stampa; qui si risponde «non discutiamo la libertà di stampa, ma la stampa italiana è, per la maggior parte, stampa di partito, quindi sottoposta alla disciplina di partito; quando l'organo di un determinato partito prende un determinato indirizzo abbiamo il diritto di trame la conclusione che questa è la politica di quel partito e di trame le nostre conseguenze» ragionamento a cui non è facile negare una certa logica.

I russi intendono la loro zona d'influenza come un complesso di Stati i quali, praticamente, rinunciano ad avere una politica estera, limitandosi senza discutere a fare tutto quello che la Russia dice loro. E se un giorno si dovesse arrivare ad un conflitto con qualche Stato, tutti questi governi amici, se richiesti, debbono immediatamente schierarsi a fianco della Russia. Ora, nel loro schematismo, essi pensano che, sia pure con mezzi differenti, gli anglo-americani vogliono organizzare allo stesso modo la loro zona di influenza. E che noi siamo nella zona di influenza anglo-americana è un fatto che i russi riconoscono ed ammettono.

La politica che ella· auspica, ed io auspico non meno di lei, nei riguardi della Russia, è in realtà un tentativo da parte nostra di indirizzarci verso una politica di neutralità per l'eventualità di un conflitto fra i due grandi gruppi. È l'unica politica, secondo me, che valga la pena di tentare, per noi e per la maggior parte degli Stati d'Europa. Ma è una politica che è apertamente in contrasto con quella che va oggi sotto il nome di «Nazioni Unite», il cui scopo è invece quello di impedire che, in un futuro conflitto, ci possano essere dei neutri: e di questa politica l'U.R.S.S. è il più acceso fautore. Perché la nostra politica di neutralità possa avere qualche possibilità di riuscita bisogna riuscire a persuadere l'U.R.S.S.:

l -che dato che la sua sistemazione europea mira -almeno così io credo -a scopi difensivi, la sua sicurezza può essere meglio assicurata da una Europa occidentale neutra, che da una estensione verso occidente delle sue zone di amicizie;

2 -che l'Italia ha, oltre che la volontà, la possibilità di assumere di fronte ai due gruppi contendenti una posizione di vera neutralità.

Il punto più difficile a spuntare è il punto primo poiché oggi è agli antipodi della concezione russa: tuttavia ritengo che ci si possa arrivare, soprattutto se non saremo i soli a metterei per questa via, l'atteggiamento francese potrà essere a questo riguardo assai importante, quando col passare del tempo l'ebbrezza della vittoria sarà sfumata. Ma ci si può arrivare solo con un lento e paziente lavoro e se le relazioni fra i Tre Grandi non peggiorano al di là di certi limiti. È un'opera lunga, forse di anni, e non si può contare di avere dei risultati immediati.

La spiegazione che ella, signor ministro, mi richiede di provocare con il governo russo, non può essere quindi che un primo passo necessario, ma modesto, su questa strada, da cui non conviene attenderci risultati immediati, che va ripetuta ad ogni occasione e corroborata e dall'atteggiamento della stampa italiana, e da un atteggiamento generale del governo italiano, dignitoso, tranquillo e prudente. Ma -e questo è secondo me il punto cruciale-questa spiegazione, o spiegazioni analoghe che possono aver luogo a Roma, occorre mantenerle entro certi limiti. Oggi i russi cercano amici e non neutri: la Francia sta per concludere una alleanza con l'Inghilterra, viene quindi meno alla funzione che i sovietici volevano attribuirle, si riparla del blocco atlantico: una nostra dichiarazione che non siamo disposti ad entrare in coalizione offensiva contro la Russia, se fatta con eccessivo entusiamo, potrebbe provocare da parte russa, una offerta precisa di negoziare un patto analogo a quello negoziato colla Francia. Se questo patto ci viene offerto e noi lo rifiutiamo, allora destiamo più che mai sospetti e risentimenti. Nonostante le apparenze di oggi, io ritengo questa eventualità assai probabile: lo scopo è identico che quello perseguito nel caso della Francia, rendere il consolidamento delle zone di influenza anglo-americana nell'Europa orientale difficile; l'allettamento può essere identico: la promessa attraverso l'apppggio russo di un miglioramento del nostro status internazionale. Resta ora a noi di vedere se ci conviene di metterei per questa strada: è una questione la cui decisione non spetta a me.

Se ella mi chiede la mia opinione personale le dico francamente che non sono favorevole ad andare così lontano. Il mondo oggi è troppo fluido, ci sono troppe incognite in giro: non è certo il momento di impegnarsi: ci conviene in ogni modo attendere che la nostra ricostruzione mostri quello di cui siamo capaci, che la necessità della nostra partecipazione all'organizzazione della pace sia riconosciuta non solo da noi, ma anche dagli altri: in una parola aspettare tranquillamente che ci si venga a cercare.

Se ella condivide questo mio punto di vista la politica che io consiglierei di seguire nei riguardi della Russia una volta chiusa con la firma del trattato di pace la partita disgraziata della guerra sarebbe nelle sue linee generali la seguente:

l) una franca spiegazione con questo governo, sia a nome del governo italiano che a nome suo personale quale capo della democrazia cristiana, quanto più possibile vicina all'atteggiamento ideale, evitando però che essa possa apparire da parte nostra un invito ad un accordo più specifico;

2) un atteggiamento corrispondente e costante della stampa italiana almeno di quella di alcuni partiti;

3) sviluppo delle relazioni commerciali e culturali, fatto con calma, con serietà senza demagogie; e tenendo presente che, nel campo economico, per qualche anno almeno la Russia può darci solo un concorso limitato; la sua zona q'influenza assorbe gran parte delle sue possibilità;

4) l'Italia, un po' per volta, comincerà a far parte delle varie conferenze ed organizzazioni internazionali. Un atteggiamento dell'Italia, tranquillo, obiettivo, pacifico, sarà il miglior mezzo per convincere i russi che l'Italia non è più quella di prima. Se la Russia avrà lei una politica di pace, da questa presenza in istituti comuni possono nascere e la constatazione del grado di indipendenza internazionale che avrà l'Italia e probabilità concrete di collaborazione che, le circostanze permettendo, possono gradatamente risalire dal particolare al generale.

In altre parole, non una politica di realizzazioni immediate ad effetto, ma una politica lenta, meditata, che, se potrà dare dei risultati concreti, non li potrà dare che gradatamente e dopo parecchio tempo, ma che se condurrà a qualche cosa, condurrà a qualche cosa di realmente solido.

Se il governo italiano desidera un patto con la Russia, credo di poterei arrivare in pochi mesi dal trattato di pace: ma siamo poi noi in grado di mantenerlo? A lungo andare non ci sarebbe secondo me nulla di più dannoso che una politica ad effetto, che ci potrebbe in un primo tempo far uscire dall'isolamento, ma che basata un po' sull'equivoco finirebbe presto o tardi per lasciare la situazione peggiore di prima: è un po' quello che va accadendo per la Francia.

La prego, signor ministro, di voler scusare la lunga lettera e di volermi soprattutto scusare se le ho dato la forma non di un rapporto ma di una lettera personale: ma si tratta di tutto un complesso di questioni un po' delicate, su cui prima di procedere io ho creduto mio dovere farle conoscere più ampiamente il

. .

miO pensiero.

543

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, BABUSCIO RIZZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. RISERVATA 1972. Roma, 17 settembre 1945.

Mi è pervenuta la tua lettera n. 21/191511178 in data 13 settembre' nella quale esamini l'opportunità di un passo della Santa Sede presso Byrnes in favore dell'Italia, passo che potrebbe essere di particolare efficacia per la speciale situazione di lui verso la Chiesa.

Credo effettivamente che il segretario di Stato americano non possa non essere particolarmente sensibile ad una parola che gli giungesse da parte del Vaticano, in quanto non vi è dubbio che, nella severa osservanza della religione in America, per coloro che la praticano, l'apostasia debba creare seri problemi, oltre che di coscienza anche di carattere esteriore per un uomo politico. Ed è infatti questo il punto delicato anche per la Segreteria di Stato che, nel campo opposto, si trova in indubbie difficoltà per compiere un passo personale, seppure interposto, presso Byrnes.

Ne ho parlato ad ogni modo lungamente con monsignor Tardini il quale mi ha intanto premesso, e d'altra parte non mancai io stesso d'informarne già il ministero, che la Segreteria di Stato e personalmente anche il Papa non hanno tralasciato occasione per far presente agli alleati l'eccezionale e direi primordiale

I Non pubblicata.

importanza che il problema italiano riveste per la Santa Sede, e ciò tanto dal punto di vista spirituale, trattandosi di un Paese totalitarmente cattolico, tanto da quello materiale per il fatto stesso della ubicazione dello Stato della Città del Vaticano. Un'Italia pacificata, ordinata, rasserenata è interesse fondamentale per il Vaticano.

Monsignor Tardini però, pur obiettando la delicatezza della cosa per i motivi da me già esposti, ha infine senz'altro acceduto alla mia richiesta e, escludendo il tramite del delegato apostolico a Londra (assolutamente inefficiente) mi ha promesso che avrebbe lui stesso trovato la via per far giungere a Byrnes una parola di apprezzamento e di stimolo in favore della nostra causa.

544

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8514-8547/484-485. Washington, 18 settembre 1945, ore 17,30 (per. ore 19,20 del 19).

Miei telegrammi n. 465 e 466 1•

A quanto mi è stato nei giorni scorsi ripetutamente affermato da alti funzionari Dipartimento di Stato, dalla partenza delegazione americana nessuna notizia è qui giunta circa decisioni prese in viaggio su varie questioni nonché su piano che segretario di Stato intendeva svolgere a Londra.

Malgrado informazioni stampa contrastanti e già segnalate telegrammi sopracitati circa opinione americana nella questione coloniale detti funzionari hanno continuato esprimere loro fiducia nei risultati azione delegazione.

Informazione stampa circa piano americano per trusteeship coloniale plurimo -qui del tutto imprevisto -ha vivamente sorpreso Dipartimento di Stato il quale nella mancanza di notizie della delegazione americana è portato interpretarla come progetto tirato fuori all'ultima ora quale unica base possibile accordo di fronte progetti spartizione di altre grandi Potenze.

Mi sono recato ieri pomeriggio dal sottosegretario reggente Dipartimento di Stato. Gli ho vibratamente detto mia viva sorpresa per il testo del comunicato circa questione trusteeship coloniale del tutto inatteso, date informazioni avute al Dipartimento anche negli ultimi giorni.

Nell'esprimergli più ampie riserve gli ho manifestata mia vivissima preoccupazione per notizia apparsa sulla stampa e per ripercussioni sulla nostra opinione pubblica già tanto provata ed indotta da parecchie successive esperienze allo scetticismo rispetto indistintamente Alleati occidentali. Ho aggiunto che se anche que

1 T. s.n.d. 8330-8329/465-466 del 14 settembre, non pubblicato.

stione Venezia Giulia ormai sul tappeto della Conferenza dovesse avere soluzione negativa, ne deriverebbe crisi politica e psicologica con catastrofiche conseguenze.

Mio interlocutore, premesso che, come mi era noto, segretario di Stato, prima della partenza non aveva adottata decisione definitiva sulle varie questioni, ha ripetutamente affermato che notizie giornali circa colonie gli sono giunte inaspettate. Egli attende al più presto rapporto ufficiale per rendersi conto situazione. Mi ha infine assicurato che avrebbe data comunicazione telegrafica urgente Segretario di Stato preoccupazioni da me manifestategli e di cui riconosce fondamento.

545

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. PER CORRIERE 6500. Roma, 18 settembre 1945, ore 20.

Questione colonie è stata deferita ai sostituti dei ministri degli Esteri per esame approfondito 1• Tale esame dovrebbe utilizzare nel modo più ampio il piano proposto dalla delegazione degli Stati Uniti, pur tenendo conto dei punti di vista espressi al riguardo dalle altre delegazioni. Le conclusioni raggiunte dovrebbero essere presentate per iscritto due settimane prima della seconda sessione del Consiglio dei Cinque cui data resta da fissare.

Come ella sa, non abbiamo alcuna idea precisa circa il piano nordamericano cui si fa riferimento. Carandini ci telegrafa anzi in proposito notizie contraddittorie; secondo alcune delle quali esso prevederebbe un trusteeship generale con mandato affidato all'Italia; secondo altre con limitata partecipazione italiana; secondo altre infine con esclusione dell'Italia.

Ella intende agevolmente l'importanza che avrebbe per noi una sia pure approssimativa ma sicura conoscenza preventiva dell'effettiva portata del progetto nordamericano, anche per adattarvi, se possibile, la nostra azione ed orientarla secondo direttive realistiche. Ella sa del resto che la nostra consultazione, con la presenza del ministro De Gaperi a Londra, è cosa già in parte attuata e sarebbe certamente nella logica degli avvenimenti se, soprattutto da parte di Washington, essa potesse concretarsi anche in via confidenziale ed amichevole.

Naturalmente non vogliamo credere alla su accennata esclusione italiana appunto perché si tratta di progetto nordamericano e nonostante Carandini vi insista. Sarebbe questa una formula di pace punitiva ed ingiusta che sappiamo estranea ai propositi di Washington.

Voglia, comunque, la prego, fare il possibile per orientarci2•

1 Sui lavori della conferenza di Londra in materia coloniale cfr. GIAN LUIGI Rossi, L 'Africa Italiana verso l'indipendenza (1941-1949), Milano, Giuffrè, 1980, pp. 105-154.

2 Vedi D. 575.

546

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8556/596. Londra, 19 settembre 1945, ore 2,20 (per. ore 8,30 del 20).

Ho avuto 16 corrente colloquio di un'ora con Bidault il quale mi ha espresso con evidente sincerità suoi sentimenti simpatia.

L'ho assicurato che l'Italia guarda alla grande funzione che Francia si appresta a rappresentare nella risurrezione di una equilibrata vita europea con senso incondizionata solidarietà. Nelle attuali condizioni dell'Europa collaborazione italo-francese rappresenta nella nostra valutazione nucleo vitale destinato dalla forza delle cose a svilupparsi e rafforzarsi verso compiti che i due paesi devono separatamente assolvere. Di fronte grandezza questa finalità comune mi pareva deprecabile qualsiasi deviazione intesa assicurare soddisfazione di una importanza sproporzionata al danno che avrebbe inflitto a questo spontaneo movimento di gravitazione italiano verso la Francia. Per questa stessa ragione invocavo da lui aperto appoggio ad una giusta e onorevole definizione della pace italiana. Bidault mi ha intrattenuto con semplicità assicurando suo pieno appoggio questione Venezia Giulia e questione coloniale. Per questione Alto Adige gli ho detto appoggio anglo-americano mi pare assicurato e russo probabile. Mi ha detto che Francia appoggia tendenza conservare statu quo. Circa Tenda Briga ha riconosciuto nessun reale interesse questione per la Francia e gravità offesa che tale richiesta implicherebbe nonché danno che sua soddisfazione eventuale arrecherebbe al sentimento ed interessi italiani. Mi ha detto essere personalmente contrario ma che non dipende soltanto da lui decisione. Ho visto ministro Esteri Cina che mi ha confermato favorevoli ~isposizioni cinesi già note a V.S. 1 .

547

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. 8559/597. Londra, 19 settembre 1945, ore 0,22 (per. ore 8,30 del 20).

Memorandum jugoslavo chiede venga riconosciuto diritto Jugoslavia ottenere territori che tecnicamente appartengono ai croati e sloveni, con rettifiche necessarie

l Questo telegramma fu comunicato a Saragat, e per conoscenza a Quaroni e Tarchiani, con T.

s.n.d. 6719/c. del 24 settembre, con la seguente istruzione: «Faccia sin da ora sapere codesto governo nostro vivo apprezzamento per assistenza dataci da Bidault a Londra. Se intransigenza francese per Briga e Tenda fosse effettivamente in via di allentamento, la strada per una intesa sarebbe agevole. Ho fatto sapere a Tarchiani, per una opportuna azione di chiarimento, quanto ella comunica circa suo colloquio con codesto ambasciatore Stati Uniti (suo 348) il cui atteggiamento potrebbe evidentemente nuocere. Tenga presente che Carandini informa che richieste francesi saranno con ogni probabilità demandate allo studio dei delegati supplenti e riprese in esame, se necessario, in un secondo tempo dai ministri».

a loro vita economica e culturale normale e a difesa frontiera occidentale paese. Esamina partitamente ragioni geografiche, storiche, etnografiche, economiche e politiche per cui territori in questione dovrebbero essere assegnati Jugoslavia, giungendo conclusioni seguenti:

l) dal punto di vista geografico Marca Giuliana appartiene Balcani dato che sua parte meridionale ricollegasi sistema dinarico. In nessuna parte regione appartiene a pianura Italia settentrionale.

2) Dal punto di vista storico, memorandum mm1m1zza elemento italiano insistendo invece su politica oppressione soffocante dell'Italia dopo annessioni e che dichiara anteriore avvento fascismo.

3) Dal punto di vista etnografico, Marca Giuliana è da tredici secoli abitata principalmente da sloveni e croati mentre minoranza italiana immigrata più recentemente vive esclusivamente in alcune città isolate territorio jugoslavo e senza collegamento territoriale con regioni etnograficamente italiane. Nell'esame censimenti austriaci memorandum sottolinea ripetutamente argomento che in essi viene presa in considerazione non lingua materna ma quella parlata con risultati eccessivamenti favorevoli italiani. Ammette che soltanto un terzo abitanti Trieste è oggi jugoslavo. Complessivamente sul territorio compreso tra frontiera italo-jugoslava anteguerra e frontiera etnica italo-jugoslava vi sarebbero 650 mila jugoslavi e circa 400 mila italiani i quali abitano quasi esclusivamente città costiere (Trieste, città Istria, Fiume) più piccolo numero italiani a Gorizia e numero insignificante in altre città interno !stria.

4) -Dal punto di vista economico, Trieste e tutta Marca Giuliana sono indissolubilmente legate Jugoslavia per la quale Trieste rappresenta porto più importante mentre nessun interesse economico esso riveste per l'Italia. A differenza maggioranza principali porti europei Trieste non ha possibilità trasporti fluviali a basso prezzo nel suo retroterra. Pertanto in Marca Giuliana e Jugoslavia settentrionale si è sviluppata industria manifatturiera collegata industrie Trieste le quali a loro volta dipendono da materie prime importate da Jugoslavia. Trieste non può essere internazionalizzata perché in tal caso non avrebbe controllo ferrovie retroterra da cui traffico porto dipende. Suo benessere è legato possibilità entrare far parte economia Jugoslavia la quale appunto controlla tali ferrovie.

5) Dal punto di vista politico, sloveni e croati hanno combattuto costantemente contro invasori italiani e nel corso recente conflitto contro Asse. Popolazione Marca Giuliana ha potentemente collaborato tale lotta partecipando poi movimento partigiani. Italia si è sempre servita Trieste e Marca Giuliana esclusivamente per minare unità Stato jugoslavo e come testa di ponte militare e politico per penetrazione Europa Centrale e Balcani.

548

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8575/486. Washington, 19 settembre 1945, ore 11,30 (per. ore 8,30 del 20).

Miei telegrammi 484, 485 1• È mia impressione che Dipartimento di Stato sia rimasto effettivamente sorpreso e preoccupato [delle notizie] da Londra in merito questione coloniale.

Il presidente degli Stati Uniti non sa nulla più delle notizie trasmesse dalla stampa. È da presumere che al Dipartimento di Stato non si avesse prima della partenza della delegazione una idea precisa delle concrete posizioni russa ed etiopica e che opposizione incontrata Londra dagli americani per soluzione a noi favorevole sia molto più forte ed estesa di quanto non si pensasse. Disorientamento che qui si riscontra lascerebbe temere che delegazione americana di fronte decisa pressione altrui possa finire coll'accettare compromessi che fino a pochi giorni fa ci venivano esclusi recisamente.

Onde aver norma per azione da svolgere possibilmente qui, sarei grato a V.E. telegrafarmi impressioni nostra delegazione circa opinione segretario di Stato. Nelle conversazioni con il Dipartimento di Stato questa ambasciata ha elevato più esplicite e ferme riserve circa questione trusteeship coloniale.

549

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. URGENTISSIMO 8561/599. Londra, 19 settembre 1945, ore 14,50 (per. ore 8,30 del 20).

Attiro attenzione su telegramma stampa odierno 2 che riproduce sostanzialmente stato situazione e generali impressioni pessimistiche conferenza. Richieste Molotov per Tripolitania ed il cointeressamento in Eritrea, motivate da criterio punitivo, hanno pregiudicato soluzione coloniale proposta dalla Francia con trusteeship singolo all'Italia, dall'America e Inghilterra con trusteeship collettivo. Un accenno di Molotov sembra indicare sua mossa sia anche in rapporto con Pacifico. Appare chiaro che è in corso grossa manovra fra Tre Grandi, in cui interessi particolari italiani passano in secondo ordine.

l Vedi D. 544. 2 T. stampa 8582/193, non pubblicato.

Nella seduta di questa notte del Consiglio rappresentanti Sud Africa e Nuova Zelanda si sono espressi in modo a noi moderatamente favorevole mentre rappresentante Australia ci ha attaccati a fondo esaltando valore contributo jugoslavo alla vittoria e necessità punizione per l'Italia. Nella stessa seduta delegato jugoslavo ha subito controbattuto tesi ministro De Gasperi adeguandosi però al suo tono moderato. Questione giuliana si dibatte in atmosfera preoccupata e poco benevola.

Nostra delegazione, che è stata ricevuta dopo due sedute audizione jugoslava, dovette intervenire con estrema cautela e fermezza. Impressione uditorio favorevole ma difficile prevedere effetti data ostilità già precedentemente delineatasi. Occorre anche notare che mentre i delegati jugoslavi come Nazione Unita, partecipano alla discussione, al rappresentante italiano è stato soltanto consentito esporre punto di vista e presentare documentazione 1• Comunque nessuna decisione pare in vista: è probabile che Consiglio decida inviare sul posto esperti per inchiesta locale. In complesso si ha sensazione che gravi ostacoli si frappongano accoglimento nostra tesi. Ritengo opportuno nostra stampa sia illuminata su difficoltà situazione.

550

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A LONDRA

L. 3/1609. Roma, 19 settembre 1945.

Il governo nordamericano è tornato alla carica a proposito di elezioni. Come vedrà l'ultima nota direttale da Kirk in data del 15 corr.2 (e che accludo insieme a copia di un telegramma di Tarchiani) 3 è brusca e pressoché perentoria.

Il presidente Parri, con cui ne ho parlato ed a cui ho dato visione dei due testi4 , è più che mai perplesso: mi dice che egli può dare un impegno personale ai nordamericani che le elezioni saranno fatte entro l'anno, ma non come presidente del Consiglio, appunto per il contrasto tuttora perdurante in seno al governo.

Non è certo una soluzione soddisfacente e che valga ad allentare la pressione nordamericana o ad attutirne il malumore, in questo momento particolarmente pericoloso.

1 Il contenuto essenziale del discorso di De Gasperi era stato comunicato da Carandini con T.

s.n.d. 8563/594 del 19 settembre. Il testo è ed. in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. II, Generai Politica/ and Economica/ Matters, Washington, United States Government Printing Office, 1967, pp. 232-236.

2 Vedi D. 534. 3 Vedi D. 535. 4 L. 3/1608, pari data, non pubblicata.

551

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8676/489. Washington, 20 settembre 1945, ore 14,13 (per. ore 16,30 del 21).

Suo telegramma 367 1•

Delegato apostolico ha sino ad ora ricevuto via gerarchica una lettera privata dal segretario delle «lettere ai principi», che espone situazione in Venezia Giulia e lo prega interessarsene. Delegato sarebbe disposto svolgere azione anche più generale ed ha assicurato avrebbe telegrafato alla Segreteria di Stato per ottenere autorizzazione ed istruzioni. D'altra parte, ai primi novembre si riunirà a Washington conferenza annuale episcopato cattolico, dopo la quale vescovi dirameranno manifesto che stabilisce direttive in materia di politica internazionale per cattolici

U.S.A. e che per ovvie ragioni viene preso seria considerazione parte governo.

Sarebbe di evidente importanza, sia ai fini generali della politica americana verso l'Italia sia ai fini particolari della nostra pace, che Vaticano attirasse attenzione vescovi americani su interesse questione coloniale e per una equa favorevole sistemazione nostre questioni pendenti. Debbo però segnalare che, a quanto mi viene riferito, buona parte episcopato americano sarebbe indotto ritenere che governo italiano sia, se non ostile, molto tiepido verso cattolicismo (mancato Te Deum fine guerra ecc.).

Sarei grato a V.E. pertanto se, ove ritenuto opportuno, potesse farmi avere d'urgenza informazioni atte attenuare diffidenze questi dirigenti cattolici (sarebbero utili notizie visite personalità governo al Pontefice ecc-)2.

552

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8666/607. Londra, 20 settembre 1945, ore 19,50 (per. ore 16,30 del 21).

Comunicato odierno Consiglio ministri Affari Esteri in linea di massima prevede: una internazionalizzazione limitata al porto di Trieste e al relativo sistema di comunicazioni. La questione territoriale verrà risolta nel senso che il territorio,

l T. s.n.d. 5619/367 del 25 agosto: assicurazione della Segreteria di Stato vaticana che saranno inviate istruzioni al delegato apostolico a Washington di adoperarsi in favore dell'Italia. 2 Con T. s.n.d. 8768/505 del 22 settembre, Tarchiani confermò che la Segreteria di Stato vaticana aveva autorizzato telegraficamente il passo del delegato apostolico.

inclusa naturalmente la città di Trieste, verrà assegnato all'Italia e alla Jugoslavia secondo una linea fondata principalmente su criteri etnici, con lo scopo di ridurre al minimo le minoranze sotto dominio straniero. La linea verrà. tracciata dopo ulteriori investigazioni da farsi sul posto.

Dal comunicato si può intanto dedurre che il tracciato della linea dovrà tener conto dell'italianità di Trieste e delle città minori italiane comprese quelle della costa occidentale dell'Istria ma, è logico, anche delle isole a prevalenza italiana.

È da sperare che l'inchiesta darà piena opportunità agli elementi etnici italiani di correggere quell'impressione artificiosa che in qualche luogo si è voluto creare con tendenziosa propaganda e pressione consentite dalla nostra assenza in ambedue le zone di occupazione e offrirà la possibilità di far valere benchè in linea subordinata, anche punti di vista economico-sociali. Queste ultime considerazioni non sono necessarie per Trieste, giacché il regime internazionale del porto provvede già alla soluzione del problema economico evitando interferenze sul carattere italiano della città. Stampa italiana va intonata a moderata soddisfazione come sopra. Qui, dopo giornate di trepidazione siamo tranquillizzati perchè se niente è ancora definitivamente assicurato si è tuttavia aperta la via verso una equa soluzione 1•

553

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 6609/c. 2 . Roma, 20 settembre 1945, ore 24.

Attiro sua attenzione su recentissima intervista maresciallo Alexander alla stampa, in cui si afferma, fra l'altro, che la flotta italiana verrebbe privata dei

1 Con T. s.n.d. 8669/608 dello stesso giorno Carandini aggiungeva: <<A parte le considerazioni di cui al telegramma n. 607 è impressione di questi circoli che decisione di principio apra la via a equa soluzione di compromesso. Esclusa frontiera Rapallo, pretesa totalitaria jugoslava e linea Morgan tutte e tre contraddittorie ai principi stabiliti dal Consiglio, la soluzione non potrà essere molto discosta da quella intermedia da noi suggerita come base della riconciliazione e cooperazione itala-jugoslava». Il 22 settembre Prunas scrisse a De Gasperi la seguente L. segreta 311638: «Il suo telegramma n. 607 ci ha tranq1.1illizzati. Orientamenti conseguenti sono stati dati alla stampa. Alcuni dubbi erano affiorati sulla esatta interpretazione del noto comunicato del Consiglio; se cioè l'internazionalizzazione riguardasse anche la città o soltanto il porto e le installazioni portuali di Trieste. Mi par chiaro che l'internazionalizzazione debba ritenersi limitata a questi ultimi e la questione della sovranità territoriale della città essere, come le altre, risolta sulla base del principio "prevalentemente etnico". Ella ha certamente pensato alla grossa importanza che in questioni siffatte può avere la scelta degli esperti che avranno in concreto il compito di tracciare la linea di demarcazione e che dovranno allo scopo recarsi sul posto. Essi debbono, oltre naturalmente avere le qualifiche necessarie, anche dare i maggiori affidamenti e garanzie di obiettività e di imparzialità. Perché non lanciare l'idea di esperti latino-americani? Sarebbe per il Sudamerica ragione di soddisfazione e per noi garanzia non solo di imparzialità, ma di orientamento tendenzialmente favorevole. È questo, naturalmente, soltanto un suggerimento che non so se e in quanto attuare. Tarchiani, se lei crede, potrebbe comunque parlarne al Dipartimento di Stato>>. Tale lettera però non raggiunse il ministro a Londra per mancanza di corrieri e fu inviata, per conoscenza, a Carandini il 25 settembre quando De Gasperi era già a Parigi.

2 Il telegramma venne inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi, con l'istruzione per le due ultime di agire nello stesso senso.

sommergibili e verrebbe limitata come mole ad una forza piccola ed efficiente mentre le navi da battaglia verrebbero radiate.

Anche a tralasciare la sostanza stessa di tali affermazioni, esse danno indubbiamente all'opinione pubblica italiana la sensazione precisa che le nostre sorti siano già segnate e che consultazioni di Londra e discussioni conseguenti non siano che artificioso paravento dietro il quale si nascondono soluzioni già pacifiche e preventivamente concordate.

Attiri, la prego, l'attenzione del Dipartimento di Stato su quanto precede e sul penoso effetto che affermazioni del genere suscitano in un'opinione che la riunione di Londra rende già particolarmente sensibile e nervosa 1•

554

IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, TRUMAN, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI 2

L. Washington, 20 settembre 1945.

I was glad to have your communication of August 22, 1945 3 , sent to me by means of Ambassador Tarchiani, and also your telegram of August 20, 19454 .

The anxiety and concern of the Italian Government and people at this time are indeed understandable. Ali of us are deeply concerned that the first of the peace treaties to be concluded in Europe set a high standard for realistic, fair, and wise dealing with Europe's complex post-war problems. The United States Delegation, for its part, does not approach the problems facing the Council of Foreign Ministers in London in any narrow spirit of reward and punishment. Its criterion is a simple one: w ha t will bes t promote the laying of a firm foundation for an enduring peace among free peoples and best serve the interests of the United States, of Europe, and of the world.

The task before us is not easy, nor can every solution be perfect. Yet I am confident that with determination and goodwill we shall achieve a peace which will enable Italy to rebuild her politica! and economie structure and assume that piace in the community of nations which the qualities of her people warrant and our common interests require.

I Per la risposta vedi D. 583. 2 Ed. in United States and Italy, cit., p. 165 e in Foreign Relations of the United States, 1945, vol.

IV, cit., pp. 1051-1052.

3 Vedi D. 445.

4 T. in chiaro 5464, non pubblicato: messaggio in occasione della vittoria.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. 8706/613 C. Londra, 21 settembre 1945, ore 11,45 (per. ore 8,30 del 22).

V.S. avrà seguito attraverso comunicati ufficiali andamento lavori Consiglio Cinque. Per sua opportuna informazione riassumo principali tendenze finora delineatesi e stato attuale situazione. In seguito richiesta Molotov fare partecipare delegato jugoslavo discussione questione giuliana, Byrnes ha proposto, secondato da Bevin e senza opposizione da parte russa, invito governo italiano esporre suo punto di vista, ciò che ho fatto riunione pomeriggio 18 corr. 1•

Due sedute precedenti erano state dedicate esposizione vice presidente Consiglio jugoslavo che, come rappresentante Nazione Unita, partecipa discussione mentre a delegato italiano è stato soltanto consentito esporre punto di vista e presentare documentazione (mio comunicato stampa del 18 corrente). Sembra in complesso che tono moderato nostra esposizione abbia creato impressione favorevole ma è difficile valutarne effetti date ostilità già precedentemente delineatesi. Da comunicato Consiglio dei Cinque del 20 corrente sulla Venezia Giulia, deducesi che tracciato nuovi confini dovrà tener conto dell'italianità di Trieste e delle città minori comprese quelle della costa occidentale istriana e, logicamente, anche delle isole a prevalenza italiana.

Regime internazionale del porto Trieste dovrebbe provvedere anche alla soluzione del problema economico evitando interferenze sul carattere italiano della città.

Qualora non ci manchi effettivo sostegno maggiori Potenze (che non possiamo considerare acquisito), decisioni di principio dovrebbero aprire la via a compro

, messo che non potrebbe discostarsi eccessivamente da soluzione intermedia da noi suggerita come base riconciliazione e cooperazione italo-jugoslava. Da informazioni raccolte appare altresì che avvenire colonie attirava interesse non minore che questioni Italia metropolitana, poiché in definitiva sarebbe in corso grossa manovra fra Tre Grandi che fa passare in seconda linea interessi particolari italiani. Richieste sovietiche ispirate anche ai criteri punitivi hanno pregiudicato soluzione coloniale proposta dalla Francia con trusteeship singolo all'Italia come quella proposta dall' America (appoggiata con riserve nei nostri riguardi dall'Inghilterra) per trusteeship collettivo.

Telegrafato Roma e Washington, Parigi e Mosca.

I Vedi D. 549, nota l p. 746.

556

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8695-8696/614. Londra, 21 settembre 1945, ore 16,25 (per. ore 7 del 22).

Anche dai contatti che si sono avuti con tecnici locali, sembra ormai accertato che decisioni circa Venezia Giulia, quali che siano per essere, sono rinviate in sostanza a quando esperti, dopo sopraluogo, avranno fatto conoscere loro conclusioni. Siccome ciò richiederà una ulteriore convocazione dei ministri Esteri, ci resta un certo margine di tempo per chiarire nostre tesi facilitando qui come sul posto compito tali esperti. Ciò sempre che altro fattore parallelo di maggior momento non abbia a modificare la situazione.

È sintomatica prima puntata corrispondenza speciale del Times sulle nostre colonie (riassunta in telegramma stampa 1941) che suggerisce come discussione tra Russia da un lato ed anglo-americani dall'altro sia ormai imperniata su problemi

f

Mediterraneo, cui soluzione avrebbe riflessi su questioni più ampie, come quella dell'antagonismo nel Pacifico e dell'equilibrio in genere fra i Tre Grandi.

Da confidenziale colloquio con persona molto vicina a Byrnes risulta che tattica americana è quella di continuare a temporeggiare in negoziati, anziché accettare politica zone di influenza, alla quale Mosca-a tutt'oggi-aderirebbe senz'altro, offrendo conseguente possibilità di una tregua.

Poiché gli interessi britannici in Europa e nel Mediterraneo, come in Estremo Oriente, coincidono con quelli americani, sopratutto del Pacifico, nell'escludere un disinteressamento assoluto in qualsiasi paese che non fosse definitivamente e strettamente da considerare sovietico, anche governo britannico seguirà tale linea di condotta. Qualsiasi sistemazione futura è quindi subordinata a questo giuoco e passibile di sorprese.

557

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. PER CORRIERE 6646. Roma, 21 settembre 1945, ore 19.

Suo 480 2 .

Da comunicazione codesto Dipartimento di Stato sembra che questi abbia interpretato nostra iniziativa riprendere relazioni con Jugoslavia nel senso che intendiamo trattare direttamente con governo Belgrado soluzione frontiere orientali.

l T. stampa 8676/194 del 20 settembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 461, nota 2 p. 625.

Nostra intenzione è invece ripresa normali rapporti prescindendo da questione frontiere e con scopo arrivare distensione necessaria sia per facilitare ulteriori ed inevitabili trattative su complesse questioni che stessa decisione Londra circa frontiere lascerà da risolvere, sia per provvedere sistemazione questioni varie pendenti

o che sorgono quotidianamente e la cui mancata soluzione appesantisce atmosfera.

Buone disposizioni governo sovietico che -come ha riferito Quaroni 1 -è pronto associarsi a governo inglese ed americano dovrebbero portare a favorevoli risultati.

La prego quindi chiarire presso Dipartimento di Stato nostro intendimento che è poi in sostanza, anche quello di documentare ancora una volta nostra buona volontà e parallelo malvolere jugoslavo.

558

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS.,

T. S.N.D. PER CORRIERE 9095/037. Londra, 21 settembre 1945 (per. il 28).

Secondo notizie confidenziali nuovo confine richiesto dai jugoslavi 17 corrente avrebbe corrisposto sostanzialmente al confine 1866 dal mare sino a S. Giovanni. Successivamente si sarebbe spostato verso ovest comprendendo in territorio jugoslavo Cividale, Tarcento, Monte Musi, Resiutta, Zuc del Bor, Monte Cavallo.

Jugoslavi giustificherebbero pretesa affermando essere questo il confine etnico.

559

L'INCARICATO D'AFFARI A PRAGA, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 213n6. Praga, 21 settembre 1945 2 .

Ho avuto, mercoledì scorso, 19 corrente, la mia prima conversazione con il presidente del Consiglio dei ministri e capo del partito socialista, signor Fierlinger.

Sin dal mio arrivo a Praga, dopo le prime visite al ministro degli Affari Esteri e al sottosegretario, avevo chiesto una udienza. Il signor Fierlinger mi aveva fatto rispondere che mi pregava di scusarlo ma che era costretto, a causa dei suoi molti impegni, a rimandare a più tardi il colloquio; in quell'occasione mi aveva anzi mandato in legazione un funzionario della sua segreteria per spiegare le

1 T. 8173/438 dell'Il settembre, non pubblicato, ma vedi D. 519. 2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo.

ragioni del rinvio. Ed effettivamente, in questi ultimi tempi, il primo ministro è stato molto occupato, prima con le cerimonie slovacche, quindi con discorsi politici in provincia e la preparazione del suo viaggio a Londra. Non si può però completamente escludere, in analogia a quanto è successo per l'udienza con il presidente, che una delle ragioni del ritardo fosse il riserbo che questi ambienti ufficiali desiderano mantenere in questo momento, nell'attesa che la questione di Trieste venga risolta.

Comunque, dopo la mia terza richiesta, l'udienza è stata prontamente concessa: l'accoglienza è stata molto cordiale, e il primo ministro si è scusato più volte e diffusamente per il ritardo.

Nel corso del colloquio sono stati toccati due argomenti principali, questione di Trieste e interessi italiani in Cecoslovacchia.

Per la prima questione ho detto che ero lieto di poter constatare come, grazie all'appoggio molto cordiale datomi dal ministro degli Affari Esteri, e dal governo, si fosse potuto evitare ogni effetto dannoso del linguaggio della stampa sui rapporti fra i due Paesi; che desideravo ringraziare il primo ministro per il suo personale intervento e che ero sicuro che, qualunque fosse la sistemazione definitiva data a Trieste, essa avrebbe offerto ai nostri due paesi un terreno di comune intesa e di positiva collaborazione.

Per tutta questa parte del colloquio si è mantenuto riservato e silenzioso limitandosi ad approvare con cenni del capo nei punti più ovvii; a tal punto che, avendo io accennato a chiarimento avuto dal presidente della Repubblica circa la posizione del governo cecoslovacco nella questione di Trieste senza che il primo ministro desse alcun segno di consenso od intesa, ed avendo anzi egli chiesto: «cioè?», ho risposto che tale posizione era, come egli ben sapeva, di neutralità e di riserbo. Il signor Fierlinger ha replicato: «si, ufficialmente». Mi ha detto poi che la Jugoslavia, per la comune origine, per i grandi sacrifici e sofferenze sopportate in questa guerra, era molto ammirata e amata in questo Paese. Gli ho detto che anche nel popolo italiano i sentimenti per la Jugoslavia erano di viva simpatia, e si desiderava anzi contribuire in ogni modo, nella misura del possibile, a riparare i torti causati dalla politica aggressiva del fascismo ma che non si riteneva che il nazionalismo a oltranza del maresciallo Tito rispecchiasse i veri sentimenti e servisse i veri interessi del popolo jugoslavo col quale noi volevamo vivere in concordia.

Per quanto riguarda la situazione degli italiani in Cecoslovacchia ho ripetuto al primo ministro quanto fosse stato apprezzato in Italia l'aiuto fraterno e generoso dato dal governo e dalle autorità cecoslovacche ai nostri ex-prigionieri di guerra, che in così grande numero erano affluiti a Praga. Ho aggiunto anche che ero sicuro che questa prova di generosa amicizia non sarebbe mai stata dimenticata, che avrebbe costituito la base migliore per la ripresa dei rapporti tra i due Paesi. Ho aggiunto che gli interessi dei cittadini italiani stabilmente residenti in Cecoslovacchia, soprattutto nelle provincie, erano stati in molti casi trattati con scarso riguardo da parte dei comitati locali i quali avevano creduto di poter applicare ad essi le disposizioni che riguardavano soltanto le minoranze tedesche ed ungheresi. Il primo ministro mi ha chiesto a questo punto quale fosse la situazione degli italiani che erano stati iscritti al partito fascista, osservando che ai cittadini cecoslovacchi membri di «organizzazioni fasciste» venivano per legge confiscati i beni senza alcun indennizzo. Ho replicato che la legazione non avrebbe potuto ammettere un'analogia tra i due casi, in quanto i fascisti cecoslovacchi avevano lavorato contro la costituzione e la sicurezza dello Stato cecoslovacco, mentre i fascisti italiani erano, semmai, responsabili verso lo Stato italiano. Qualora si fossero resi colpevoli di atti positivi e concreti contro lo Stato cecoslovacco, la legazione d'Italia avrebbe ritirato naturalmente ad essi, nei casi provati, la sua protezione. In tutti gli altri casi non avrei potuto riconoscere la legalità di misure prese contro i loro beni e le loro persone. Tanto è vero, ho aggiunto, che se un tribunale italiano avesse decretato la confisca dei beni di un italiano attualmente residente in Cecoslovacchia, io avrei dovuto chiedere al governo cecoslovacco il ricupero di tali beni nell'interesse dello Stato italiano. Analogamente sarebbe avvenuto nel caso di un cittadino cecoslovacco in Italia. Il primo ministro non mi è sembrato del tutto convinto ma mi ha promesso che avrebbe studiata la questione con attenzione.

Del resto, nel valutare le parole di Fierlinger, credo che occorra sempre far la parte che spetta alla sua naturale preoccupazione di apparire sempre, in ogni questione, il più radicale ed estremista possibile. Per natura, temperamento, origine sociale ed educazione (Fierlinger è diplomatico di carriera ed appartiene ad. una famiglia che si dice essere facoltosa) egli non è certamente un rivoluzionario. E in generale, a Praga, non si crede che egli sia sincero nelle opinioni radicali che così vistosamente ostenta. Lo si ritiene invece un opportunista e un cinico, risoluto a fare una grande carriera politica con l'appoggio russo, deciso a meritarsi questo appoggio, non solo con una costante obbedienza alle direttive che gli possano venire da Mosca ma anche con lo sposare in ogni occasione la tesi più estrema. Questo suo atteggiamento ha valso al partito socialdemocratico, del quale egli è il presidente, un generale discredito e una posizione subordinata che lo lascia completamente nell'ombra del partito comunista.

Comunque, giunto al potere in virtù di un compromesso politico e di un calcolo del governo di Mosca che voleva avere al suo posto persona di fiducia, ma tuttavia abbastanza scolorita per non destare le obbiezioni e gli allarmi degli alleati, Fierlinger sembra deciso a mantenervisi con ogni arte.

560

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8752/616. Londra, 22 settembre 1945, ore 3,10 (per. ore 20).

Ho avuto ieri sera 1 con Bidault un colloquio molto cordiale durante il quale il ministro degli Affari Esteri francese ha sopratutto insistito perché rinvii la mia partenza -fissata in principio per lunedì -al fine di potermi recare con lui a

Il 20 sera.

754 Parigi. Secondo il suo avviso sarebbe questa una più opportuna occasione che non se andassi a Parigi dopo essere rientrato in Italia. A Parigi, dove, secondo Bidault, mi sarebbe fatta la migliore accoglienza, dovrei incontrarmi con de Gaulle che io in tal caso conterei intrattenere su questioni che più ci interessano, compresa quella di Tenda e Briga, alla quale non ho invece accennato con Bidault. È un fatto che, mentre mia sosta a Parigi sulla via del ritorno apparirebbe quasi ovvia, un apposito viaggio del ministro degli Affari Esteri italiano -che del resto lo stesso Bidault giudica prematuro -passerebbe qui come marcata adesione ai principi enunciati da de Gaulle nella sua ben nota recente intervista al corrispondente parigino del Times e, mentre è certo che tale visita non dispiacerebbe a Londra, che ha sempre favorito distensione rapporti itala-francesi, potrebbe invece destare qualche sospetto a Mosca, che ha già anticipatamente definito antirusso blocco occidentale auspicato dal generale.

Non avendo tuttora assunto alcun impegno, gradirei conoscere avviso del presidente del Consiglio, pur intendendo comportarmi a seconda di quanto dovessero suggerire le circostanze1 .

Ho domani appuntamento con Bevine, entro la settimana, conto vedere anche Molotov e Byrnes.

561

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8751/622. Londra, 22 settembre 1945, ore 3,15 (per. ore 20).

Ho avuto oggi colloquio con Bevin presenti Carandini e Charles. Trattai brevemente quattro punti:

l) Ringrazio per atteggiamento equità in questione adriatica. Applicazione delle direttive sarà difficile, anche perché all'inchiesta e alla commissione in loco mancherebbe cooperazione popolazione italiana, qualora non si provvedesse prima rimpatrio deportati e non si ristabilisse senso sicurezza. Bevin rispose che ora i membri sostituti si occuperanno del dettaglio e che in occasione dell'inchiesta in loco si farà certamente ogni sforzo per imposizione condizioni di sicurezza.

2) Perdita totale colonie sarebbe pace punitiva. So che non avete l'intenzione ma l'impressione sarebbe tale. Italia è paese di lavoratori, le nostre colonie, erano possibilità di lavoro ed emigrazione. Se voi precludete lo sbocco d'Italia nel mondo italiano mediterraneo tagliate anche i legami che vincolano in questa area l'Italia

I Prunas rispose con T. 6797/432 (Londra) 243 (Parigi) del 25 agosto di aver avvertito Parri, il quale lasciava De Gasperi libero di regolarsi secondo le circostanze.

alla Gran Bretagna e divertite ogni possibilità di lavoro verso la Francia e l' America. È meglio per voi una Italia amica nel Mediterraneo che una Italia senza interessamento nel Nord Africa, proiettata economicamente solo verso altre contrade. Bevin obietta che occasione di lavoro rimarrà in ogni caso agli italiani ma che ad ogni modo non esiste decisione definitiva bisogna attendere conclusioni sostituti.

3) È difficilissimo che si possano preparare elezioni politiche per la Costituente prima dell'inverno. Bevin: «potete fare quelle amministrative?» «Si nel sud e nel centro». Mi rispose: «Allora sta bene. In quanto elezioni politiche giudicate voi. Noi, aggiunge sorridendo, abbiamo fatto in fretta e sono riuscite benissimo». Ho risposto che la preparazione tecnica e psicologica era diversa; dipenderà anche dalle condizioni della pace e non possiamo fare elezioni nello stato armistiziale. Bevin: «A me preme per poter portare via truppe».

4) Prigionieri di guerra. Accenno alla questione come era stata posta da Carandini. Lettere a me dirette dai campi confermano impazienza morbosa. Carandini interviene motivando necessità fare dichiarazione impegnativa di massima e impegnarsi per un primo invio avanti Natale. Bevin ricorda aver promesso dichiarazione, ma che la conferenza gli ha finora impedito trattarne in Consiglio dei ministri. Lo farà prossimamente.

Colloquio breve ma benevolo. Ho incontrato poi separatamente Cadogan e Attlee, vedrò domani Byrnes 1 e probabilmente Molotov 2 .

562

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 6718/446. Roma, 22 settembre 1945, ore 20.

Suo 468 3•

Acceni fattile su non accettazione eventuali soluzioni che fossero da noi ritenute giustamente inaccettabili sono indubbiamente interessanti. Se ciò dovesse, come extrema ratio, aver luogo, occorrerebbe tuttavia ottenere impegnative e preventive assicurazioni da parte nordamericana che assistenza e rifornimenti Stati Uniti non ci sarebbero, in quel caso, tagliati. Qualunque resistenza, sia pure passiva, sarebbe altrimenti impossibile. È questo un semplice orientamento per un'eventualità che naturalmente deprechiamo 4 .

I Vedi D. 563. 2 Vedi D. 567. 3 Vedi D. 529. 4 Per la risposta vedi D. 576.

563

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8749/625. Londra, 22 settembre 1945, ore 23 (per. ore 15 del 23).

Assieme Carandini ho avuto breve colloquio Byrnes. Ho insistito rimpatri Venezia Giulia e chiesto informazioni questione coloniale. Byrnes ha assicurato si interesserà rimpatri in modo però che ciò non ritardi opera commissione. Circa colonie italiane ha confermato che il progetto americano è trusteeship collettivo. Gli italiani avrebbero due membri consiglio di amministrazione ossia uno per il governo e uno per la popolazione italiana locale abbinato rappresentante indigeno. Ha promesso che noi potremo presentare contro-osservazioni scritte sia per Adriatico che per colonie. Infine ha confermato che la mia esposizione al Consiglio è stata fatta nel giusto senso dolendosi che delegato italiano sia stato ammesso soltanto presentare punto di vista mentre gli jugoslavi sono stati ammessi discussioni. Egli spera terminare martedì 1 .

564

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

T. 8811/378. Parigi, 23 settembre 1945, ore 14,27 (per. ore 8,30 del 24).

Attuale situazione interna italiana e voci crisi suscettibili pregiudicare gravemente interessi supremi Paese questo periodo negoziazione pace intesa fissare tracciato frontiera. Stesse questioni risolte come Valle d'Aosta possono pericolosamente risorgere qualora movimento separatista favorito assai più che da intrighi Francia da reazione popolazioni interessate di fronte turbolenza partiti governo aumentasse intensità. Condizione assoluta superare onorevolmente attuali difficoltà con Nazioni Unite e stessa Francia risiede senso responsabilità partiti governo uniti al di sopra concezioni particolari visione interessi generali Paese.

1 In relazione a questo colloquio Prunas inviò a Tarchiani il seguente telegramma (n. 6801/453 del 25 settembre): «Ministro De Gasperi mi prega informarla che udienza Byrnes è stata benevola ma breve. Fu quindi impossibile svolgere completamente nostra tesi. Alla osservazione non aver noi potuto esporre nostro punto di vista coloniale, ha risposto che potremo farlo senz'altro per iscritto. Ed è ciò che faremo. Steed ha ricordato a De Gasperi che negli archivi del Dipartimento di Stato dovrebbero trovarsi dati statistici sulla linea Wilson, che potrebbero essere utilmente riesumati. È evidente che quanto maggiore sarà documentazione americana su equità detta linea, tanto più obiettiva ed imparziale ne sarà sua difesa».

565

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS,

ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

T. S.N.D. 6720/3 1 . Roma, 23 settembre 1945.

Appena le sarà possibile farlo, prospetti, la prego, a codesto governo, riallacciandosi a precedenti iniziative, l'opportunità che da parte dell'America latina in generale, del Brasile in particolare sia compiuto in questi momenti per noi decisivi, un gesto di assistenza e di solidarietà verso l'Italia. Il Brasile è, anche per la sua partecipazione militare alla campagna d'Italia, il più qualificato per attuare una qualche iniziativa del genere, che la sua latinità e le folte masse itala-brasiliane del resto ampiamente giustificano. Occorrerebbe in sostanza che codesto governo facesse sapere sia attraverso dichiarazioni pubbliche o direttamente alle 5 Potenze interessate, che è interesse della giustizia ma anche specificamente brasiliano che le condizioni di pace fatte all'Italia siano miti e comunque tali da non bloccare o pregiudicare il suo iniziato sviluppo democratico e le sue possibilità di esistenza. Ella sa quali siano le nostre tesi: linea Wilson, statu quo pel Brennero, possibili intese dirette con la Francia, restaurazione della sovranità italiana, o, almeno, mandati all'Italia a titolo fiduciario sulle nostre colonie prefasciste con opportuni accorgimenti internazionali in Marmarica a favore dell'Inghilterra e dell'Egitto e in Eritrea a favore dell'Etiopia. Queste tesi ella dovrebbe esporre e illustrare a codesto governo.

Anche manifestazioni pubbliche sul tipo di quelle che hanno in questi giorni avuto luogo in Argentina e nel Cile molto gioverebbero 2•

566

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, A LONDRA

T. S.N.D. PRECEDENZA ASSOLUTA 6753/c.3 . Roma, 24 settembre 1945, ore 13,30.

Rinviata soluzione maggiori questioni che ci riguardano, riaffiora possibilità pace provvisoria che ci tolga subito dalle pesanti costrizioni armistiziali.

So che codesta alternativa è perfettamente presente al suo spirito. Presidente Parri desiderà comunque che io gliene faccia esplicito cenno come di necessità oggi più che mai urgente.

1 Comunicato, per conoscenza, all'ambasciata a Buenos Aires. 2 Vedi D. 594. 3 Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington.

È questa la sola soluzione che, in attesa, possa consentire al governo di riprendere un minimo di decoro all'esterno e un minimo di prestigio all'interno.

Ogni ulteriore attesa renderebbe estremamente arduo procedere con una qualche fiducia e una qualche garanzia di successo sulla strada del rinnovamento democratico, del riassetto economico, del riassestamento morale del Paese.

567

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8888/630. Londra, 24 settembre 1945, ore 22,35 (per. ore 13 del 25).

Accompagnato da Carandini ho avuto stamane colloquio con Molotov che mi ha fatto accoglienza singolarmente cordiale. Riassumo termini colloquio.

Avevo il dovere ringraziar! o innanzi tutto per solenne promessa rimpatriare prigionieri ed esprimere la speranza che rimpatrio si iniziasse subito. Molotov: «Si comincerà senz'altro, perché da voi sono più necessari che da noi». Lo ringraziavo della sua dichiarazione alla stampa circa Venezia Giulia 1 , dalla quale risulta che Italia ha diritto reclamare città aventi carattere italiano.

Molotov: «Veramente ho detto territorio e non città; ma evidentemente le città fanno parte del territorio».

Gli ho espresso speranza ripresa relazioni commerciali con la Russia. Oggi controllo alleato ritarda iniziativa italiana ma domani, cessato armistizio, sarà possibile più ampia cooperazione fra due popoli di lavoratori.

Molotov: «Anche questo è vivo desiderio russo». Gli ho detto che l'Italia persegue politica di raccoglimento e di lavoro. «Saremo lieti lavorare anche per voi». Molotov: «Voi avete nell'Alta Italia grande organizzazione industriale e Russia sarà lieta veder risorgere attività vostra industria e vostri cantieri navali».

Gli ho accennato importanza che esportazioni russe avevano a questo proposito per nostra ripresa economica e per sanare disoccupazione. Consideravo possibile, al di sopra differenze ideologiche, cooperazione lavoro e inserzione nostra particolare civiltà, forme di progresso economico-sociale che si fossero sviluppate in Russia.

Molotov ha risposto con calore che, al di sopra delle ideologie, ogni paese ha un suo apporto da dare. Vi è fra l'Italia e la Russia possibilità di reciproco appoggio sia nel campo industriale che agricolo. A questo proposito si è rivolto a Carandini come ad un rappresentante tipico più moderna agricoltura alludendo ai grandi progressi raggiunti in base alla tecnica americana dall'agricoltura russa. Riferendosi precedente colloquio Carandini-Gusev lo ha invitato visitare organizzazioni agricole russe. Riferisco questo particolare per dare un'idea della cordialità colloquio. Passando ad argomento

t II contenuto della dichiarazione di Molotov era stato comunicato a Roma da Carandini con T. 8565/591 del 19 settembre.

che evidentemente gli premeva, Molotov mi ha detto che in Russia non è consentito alla stampa fare propaganda contro paesi amici, mentre in Italia stampa ha costante atteggiamento ostile contro Russia, cosa di cui egli è molto spiacente.

Rispondo ammettendo che qualche volta ciò avviene. Ho fatto sforzo per orientare stampa ad un tono più moderato ed amichevole ma, dato uso che si fa della libertà di espressione in seguito a quasi morbosa reazione contro regime fascista è difficile impedirlo. Però politica del governo si svolge in senso favorevole alla più obiettiva ed amichevole comprensione, influenzando nei limiti del possibile opinione pubblica, la quale ha considerato con viva soddisfazione accoglienza fatta in Russia alla nostra delegazione operai, ravvisando possibilità sincero accordo che è naturale tra popoli lavoratori e regime di lavoro.

568

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/1650. Roma, 24 settembre 1945.

La ringrazio della sua lettera n. 9255 del 7 settembre 1•

Moltissime cose dovremmo fare nell'America Latina. Prima di tutto avere sul posto i nostri rappresentanti diplomatici e consolari: cioè ristabilire la normalità e riprendere il regolare contatto. Martini, com'ella sa, è già a Rio; Cassinis a Bogotà; partirà ai primi di ottobre Sapuppo per Lima e alla fine dello stesso mese Persico per Santiago. Cercheremo di coprire tutte le sedi al meglio.

Ristabilita codesta normalità, resta un largo margine per iniziative quali quelle suggerite e precisamente:

l) missioni per il riordinamento democratico delle collettività italiane;

2) missioni per una migliore intesa politica con le Repubbliche sudamericane:

3) missioni soprattutto economiche che disciplinino le iniziative di soccorso e di assistenza; organizzino le correnti di traffico, finanziamenti, prestiti ecc.; esaminino sul posto e trattino le questioni di emigrazione, ecc.

È un programma vasto che faremo del nostro meglio per attuare nonostante le difficoltà che lei sa, materiali e di uomini.

Perfettamente d'accordo circa l'azione da svolgersi in relazione alla Conferenza di Londra; Martini ha già avuto istruzioni conseguenti 2• In Argentina e Cile ci sono già state manifestazioni autorevoli e credo producenti. So che lei ha già lavorato e lavora egregiamente in questo senso. accorrerebbero, io ritengo, anche vere e proprie iniziative di governo. Perché ad esempio, nessun uomo di Stato, latino-americano -a differenza degli anglosassoni -ha detto pubblicamente il

I Non pubblicata. 2 Vedi D. 565.

760 suo pensiero, che pur sappiamo amichevole, nei confronti dell'Italia e della nostra pace? E perché nessuno Stato latino-americano ha mai sollecitato di prendere parte alle· discussioni che ci riguardano, discussioni cui peraltro partecipano australiani, neozelandesi, ecc. ? Penso, nel dir questo, sopratutto al Brasile, che pur avrebbe titoli seri per giustificati interventi, quali, ad esempio, la sua partecipazione alla campagna d'Italia. Molto, come ella sa, dipende dalla nostra impotenza a nominare gente valida che ci rappresenti sul posto. Sono gente che va spronata, sollecitata, lusingata. E allora molto si può, credo, ottenere. Ma se lei sapesse -e certamente sa -quante scoraggianti difficoltà! Comunque, faremo del nostro meglio.

569

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. STRETTAMENTE PERSONALE. Londra, 24 settembre 1945.

Mi avevi raccomandato di tenerti al corrente. Se non l'ho fatto prima di ora, è soprattutto perché non vi è stato alcun mezzo, diretto e sicuro. D'altronde le giornate sono passate come fulmini; divorate, come sempre avviene in questi casi, da una serie di appuntamenti, riunioni, conversazioni e perditempo vari. In più c'è stato il lavoro materiale di compilazione, traduzione, correzione etc. Scarso margine quindi per raccogliere un po' le proprie idee.

I telegrammi dei giorni scorsi ti hanno già fornito le notizie principali, che certo il ministro completerà verbalmente. Mi limito quindi a rifare una breve cronistoria della settimana e a sottoporti qualche impressione di carattere generale.

Per la cronistoria. Le questioni che ci riguardano sono state trattate dal Consiglio dei Cinque nei giorni di sabato (15 settembre), lunedì, martedì e mercoledì (17, 18, 19 settembre). Il sabato (vigilia della nostra partenza da Roma) e nuovamente il lunedì è stato trattato il problema coloniale che, come avrai rilevato, è stato completamente sconvolto dalle inattese richieste sovietiche relative a Tripoli e all'Eritrea. Il martedì e mercoledì sono stati precipuamente dedicati alla questione della Venezia Giulia. Di Alto Adige e del confine franco-italiano non si è ancora parlato, né, salvo imprevisti, è da ritenere che le due questioni verranno trattate in questa sessione che dovrebbe terminare fra un paio di giorni, demandando agli «esperti» l'esame concreto dei singoli problemi sui quali è stato raggiunto un qualche accordo di principio (leggi: un sostanziale disaccordo di sostanza). La nuova sessione del Consiglio dovrebbe aver luogo a novembre ed esaminare in quell'occasione le conclusioni degli esperti.

La nostra «comparsa» è stata brevissima e limitata strettamente alla questione giuliana. Come sai, il ministro doveva presentare il punto di vista italiano lunedì. Data l'indisposizione del delegato jugoslavo ci hanno rinviato al giorno appresso. Durante la mattinata di martedì e ancora un paio d'ore il pomeriggio ha tenuto banco il delegato jugoslavo, il quale ha poi assistito alle nostre dichiarazioni e successivamente, in serata, ha formulato le sue contro deduzioni. Rilevo subito la disparità di trattamento perché noi non siamo stati ammessi né a sentire le dichiarazioni jugoslave né, tanto meno, a controbatterie. Sembra che ci verrà consentito di prendere ufficialmente visione del memorandum jugoslavo (che, in via riservata, abbiamo già avuto) ma non so ancora se ci verranno comunicate le altre sue dichiarazioni né se avremo facoltà di presentare a nostra volta delle contro deduzioni, e in caso affermativo in quale forma e in quale sede.

Nella giornata di mercoledì si è svolta al Consiglio la discussione generale sulla questione giuliana. Gli americani favorevoli alla nostra tesi (linea Wilson), i russi nettamente contrari, e gli inglesi preoccupati soprattutto di trovare una formula di compromesso che è stata poi quella espressa nel comunicato diramato lunedì mattina dal Foreign Office: una linea che si avvicini per quanto possibile a quella etnica e internazionalizzazione del porto di Trieste. È accertato che i russi hanno violentemente protestato per la pubblicazione di detto comunicato che indubbiamente impedisce loro di sostenere a fondo la tesi jugoslava.

Le dichiarazioni del ministro già le conosci. In aggiunta abbiamo depositato (ma non letto) un memorandum1 che è in sostanza una versione leggermente purgata di quel famoso progetto di memorandum che tu conosci. Sono infine d'accordo col segretario che verrà distribuita ai Cinque una copia delle nostre collezioni di carte e tavole non appena arriveranno da Roma.

Mi dimenticavo. Nella giornata di mercoledì è stata anche sollevata da parte sovietica la questione delle riparazioni di guerra: ma non è chiaro in quale maniera si sia svolta la discussione e se ed a quali conclusioni si sia giunti.

Sin qui per quanto riguarda il Consiglio dei Cinque vero e proprio. In aggiunta il ministro ha avuto colloqui con Bidault, Bevin, Byrnes e il cinese. Stamane deve vedere Molotov 2 . Già conosci il succo dei colloqui e credo non ci sia niente da .aggiungere salvo confermare che sono stati cordiali ma estremamente generici; né credo d'altronde che i predetti, anche se pressati, sarebbero usciti dalle generalità: la loro preoccupazione era appunto quella di poter essere costretti a dire qualche cosa. Attivissimo intanto Visconti, il quale ha tenuto utili contatti, sopratutto con Charles ed è stato in grado di tenerci al corrente dei lavori e di molti retroscena del Consiglio. Quanto a me, ho preso contatto assieme ai miei «esperti», con il Research Department del F oreign Office per illustrare gli aspetti etnici ed economici della Venezia Giulia e per un scambio di vedute circa l'avvenire del porto di Trieste.

Impressioni. Le riassumo molto brevemente, nell'ordine in cui mi vengono in mente.

a) Atteggiamento americano. Genericamente benevolo ma poco battagliero. Il punto di vista ufficiale ha corrisposto in partenza a quanto aveva segnalato la nostra ambasciata a Washington: linea Wilson, trusteeship generale delle colonie con partecipazione italiana, rinuncia esplicita ad ogni riparazione di guerra, eventuali lievi modifiche alla frontiera settentrionale. A proposito di queste ultime, tuttavia, sembrerebbe che gli americani non intendano mettere in discussione il Brennero. Si contenterebbero di Tarvisio e presumibilmente Dobbiaco: in altre parole del confine

l Vedi serie decima, vol. III, Appendice. 2 Vedi DD. 560, 561, 563 e 567.

762 geografico. Nessun riferimento alla possibilità di plebisciti. Ma è difficile prevedere co[me questi punti di vista americani potranno evolvere nel corso delle successive discussioni: non credo dobbiamo illuderci sulle probabilità di una loro difesa a fondo. A Londra gli americani sono evidentemente pesci fuor d'acqua e subiscono tra l'altro l'influenza della stampa inglese che domina psicologicamente la situazione.

b) Atteggiamento inglese. Ho avuto diretta sensazione della fortissima dose di ostilità esistente nei nostri confronti soprattutto negli ambienti del Foreign Office. Sì, ci si rende conto che un'intesa con l'Italia è necessaria: ma anzitutto si è decisi a tagliarci le unghie una volta per sempre; in secondo luogo non si vuoi rinunciare a questa occasione per darci una buona «lezione di educazione». Domani si vedrà: intanto che l'Italia comprenda bene che ha perso la guerra e che deve rinunciare ad ogni pretesa di fare la Grande Potenza: vedi quindi totale spoliazione coloniale, riduzione della flotta e consegna dell'eccedente, consegna di impianti industriali per produzioni belliche, e così di seguito. Per la Venezia Giulia non si è contrari in principio acchè noi si conservi Trieste e che si salvi quel che si può dell'Istria: ma che non ci si illuda di ottenere la linea Wilson, e soprattutto che non si creda di poter indurre gli inglesi a impegnarsi a fondo contro Tito. Unico punto buono e positivo nell'atteggiamento britannico è quello relativo al confine del Brennero che si è senz'altro disposti a !asciarci conservare.

c) Atteggiamento sovietico. Apertamente ostile su tutta la linea, salvo che per il Brennero sul quale ancora non si sono pronunciati (non saprei escludere d'altra parte delle sorprese anche in questo campo: se non altro per creare delle contro-partite a eventuali nostri cedimenti in altri settori). Piena difesa del punto di vista jugoslavo, pur evitando di impegnarsi a fondo per una soluzione integralmente a favore di Tito. Insistenza per ottenere una parte di riparazioni.

d) Atteggiamento francese. Una effettiva benevolenza che trova tuttavia un limite molto prossimo nella consapevolezza della propria malsicura situazione. I francesi sono i parenti poveri invitati in extremis e per pura cortesia, i quali temono che l'invito non si ripeterà se non si portano con estrema discrezione. Sembra siano disposti a rinunciare a sollevare la questione del Brennero.

Ma a prescindere da tutte queste divergenze più o meno accentuate nei confronti delle singole questioni che ci interessano così direttamente e dolorosamente, una constatazione fondamentale e penosissima è dato soprattutto di fare: e cioè che i nostri problemi non sono che un aspetto del tutto secondario, incidentale, di un gioco politico infinitamente più vasto. L'invito all'Italia a «presentare il suo caso» è stato poco più che una formalità; le questioni che la concernono non verranno esaminate e decise in base al loro merito intrinseco, se non in quanto tale merito sia compatibile con altre esigenze magari di carattere semplicemente contingente (ad esempio la difficoltà di rimuovere Tito dai territori attualmente occupati).

Su questo punto è bene non farsi illusioni. Alla solenne riunione del Consiglio dei Cinque, abbiamo, io credo, fatto «buona impressione». Di più non c'era da attendersi o da sperare.

Cio non significa evidentemente che non ci resti che incrociare le braccia ed attendere passivamente il destino. Intendo soprattutto dire che non è nella sede ristretta del Consiglio dei Cinque che prenderà forma la nostra sorte: bensì nella misura in cui la situazione generale ci consentirà di valorizzare i nostri argomenti, sia politici che tecnici. Per la valorizzazione degli argomenti «politici» è vostra competenza. Per quelli tecnici, la nostra preoccupazione immediata, a mio avviso, deve essere quella· di inserirei in qualche modo -se possibile -nelle famose commissioni di esperti cui verrà demandato lo studio dei singoli problemi. È per questo motivo che, come già ti ho detto, ho preso contatto col Research Department, ed è per questo che mi tratterrò ancora qualche giorno a Londra sperando di poter «agganciare». Non mi faccio soverchie illusioni, ma la cosa è troppo interessante per non essere seguita. Per il momento, ad ogni modo, non occorre mandare su altri. In argomento ritornerò comunque fra due o tre giorni 1 , quando avrò visto se e quali prospettive di ulteriori sviluppi offrono i contatti già stabiliti.

Se tu mi chiedessi in conclusione quale è la mia impressione netta di questa nostra spedizione, ti direi che, nonostante le amarezze ed i disappunti, la giudico senz'altro utile. È vero che con una mera formalità i «Cinque» si sono messi in condizione di poter dire che «è stata data all'Italia la possibilità di far presenti le sue ragioni», e di giustificare quindi di fronte alla storia -e certo ce lo sentiremo ripetere negli anni a venire -che non è stata una pace imposta. A questo riguardo anzi trovo che dovremmo crearci sin d'ora un contro-alibi, chiedendo formalmente che ci vengano comunicati i verbali di tutte le discussioni che ci riguardano e facendo rilevare il fatto che non ci è stata data possibilità di conoscere le argomentazioni mosse contro di noi. Potremmo anche rilevare che la facoltà di difesa ci è stata ristretta esclusivamente al problema giuliano. E perché, ad esempio, non ci hanno concesso analoga facoltà per la questione coloniale? Byrnes, è vero, ha detto al ministro che noi avremmo senz'altro potuto presentare per iscritto le nostre argomentazioni in tema di colonie: ma parlava a titolo personale o a nome del Consiglio dei Cinque? E poi altro è presentare argomentazioni, altro è presentare contro-deduzioni.

Ma avendo detto tutto ciò, è anche vero che è stato stabilito il principio che dobbiamo essere interpellati; che il nostro ministro ha avuto modo di avvicinare i cinque ministri degli Esteri; che è rotto il ghiaccio, insomma, e che si è fatto un ~ltro passo verso la normalizzazione della nostra situazione. Non ti dico che il nostro ingresso nel salone delle riunioni sia stato una marcia trionfale: anzi se penso alle ore di attesa a vuoto in anticamera (si trattava è vero della stanza di ristoro delle delegazioni; ma moralmente anticamera lo stesso! e poi che ignobile buffet!), ai due rinvii per venire incontro al comodaccio di quei buzzurri di jugoslavi, alla mortificazione della nostra situazione, ancor ora, mentre ti scrivo, mi viene un senso di profondo sconforto. Ma è anche vero che i tedeschi a Versailles, (non parlo di ora!) ebbero trattamento notevolmente più sommario; che dei «vinti» eravamo gli unici ammessi; e che in fondo era evidente preoccupazione comune di non marcare la nostra situazione. Magre consolazioni, caro Renato; sopratutto, mi sia lecito dirlo, per noi «brindisini» che già abbiamo avuto l'illusione, più volte, di essere riusciti a superare il primo punto morto. A due anni di distanza ci ritroviamo daccapo all'inizio della salita, in condizioni spiacevolmente reminiscenti della prima famosa seduta del Comitato Consultivo: ricordi? (a proposito ho riveduto il generale MacFarlane: è stato eletto deputato laburista per non so quale collegio, ma mal ridotto fisicamente e con un braccio completamente paralizzato). Ma qui entriamo in un altro argomento.

t Vedi D. 588.

Mi accorgo intanto che la mia lettera è divenuta eccessivamente lunga, difetto tanto più grave dato lo scarso rilievo del contenuto. E pensa che ti risparmio tutte le considerazioni peripatetiche che questa mia strana rentrée londinese anche troppo facilmente potrebbe stimolare!

P.S.: Un rigo ancora, ed ancora più «strettamente personale» della presente lettera. Naturalmente ho visto i telegrammi da Londra di quest'ultima settimana, e ritengo di doverti mettere in guardia contro quello che a me sembra un infonda~o ottimismo sulle probabilità che nella Venezia Giulia si possa conseguire «una linea sostanzialmente non discosta da quella Wilson». Salvo un miracolo, temo che ci dovremo accontentare di una linea molto meno soddisfacente. Non dobbiamo quindi assolutamente adagiarci su una simile illusione, bensì continuare a fare ogni sforzo per conseguire una soluzione che non sia troppo sfavorevole 1 .

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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, CON IL CAPO DEL GOVERNO PROVVISORIO FRANCESE, DE GAULLE 2

APPUNTO. Parigi, 25 settembre 1945, ore 16,30.

Il ministro De Gasperi dice innanzi tutto di aver voluto sostare a Parigi per rendere omaggio al capo della Resistenza e per esprimergli la riconoscenza del governo italiano per l'atteggiamento francese a Londra. Egli accenna al contributo di Bidault alla formulazione delle direttive per la soluzione della questione adriatica; per quanto l'applicazione possa prevedersene difficile, l'Italia spera nell'appoggio francese anche nella commissione locale. Il ministro De Gasperi quindi fa presente al generale come invece il problema coloniale si presenti in maniera assai più grave per noi. Sarebbe ingiustizia di privarci attraverso il trusteeship collettivo dei frutti di tanti anni di lavoro. Per noi le colonie non sono un problema imperiale, ma sociale. Una sfavorevole soluzione del problema agirebbe sulla psicologia del popolo italiano conducendo ad una depressione pericolosa per l'esistenza stessa del governo democratico. Tanto più se a ciò si aggiungesse la riduzione della flotta e dell'esercito. Non si è ancora toccata a Londra-ha continuato il ministro De Gasperi -la

1 Questa lettera, che reca l'annotazione: «Visto dal ministro», fu comunicata da Prunas a Tarchiani allegata alla seguente L. personale riservata 3/1694 del 29 settembre: «Le accludo copia di una lettera che Casardi mi ha diretto da Londra, ove ha accompagnato il ministro De Gasperi, rientrato oggi a Roma. Mi pare riproduca fedelmente l'ambiente e la situazione. Ancora non ho parlato con De Gasperi, ma so che egli ha impressioni lievemente più ottimiste. In quanto a me, penso semplicemente che, qualunque siano le circostanze, non siamo ancora stati posti dinnanzi a soluzioni definitive. Abbiamo cioè ancora un margine, breve e ristretto che sia, di lavoro da compiere. Le nostre possibilità non sono dunque esaurite. E questo, in fondo, basta non a sopire le amarezze, ma, certo, a farci persistere nella difesa di una causa che sappiamo giusta».

2 Al colloquio erano presenti il ministro degli Esteri ad interim francese, René Mayer e Saragat, autore dell'appunto che inviò a De Gasperi il 26 settembre.

questione dell'Alto Adige, ma America, Inghilterra e, crediamo, anche la Russia, sono per lo statu quo. Il ministro espone il suo punto di vista sull'Alto Adige (nazisti, centrali elettriche) e sulla vitalità dell'Austria. Il ministro tocca infine la questione della frontiera francese. Ricorda il sacrificio di Tunisi, osservando come allora non si fosse parlato di pretese sulla frontiera metropolitana. Oggi si sono espressi desideri circa tre valli. Per due (Tinea e Vesubia) si potrà trovare un accomodamento. Per quella della Roja le difficoltà sono assai gravi e «da un'inchiesta che ho fatto -conclude testualmente il ministro -presso esperti politici, economici e militari, risulta che non sono superabili».

Il generale de Gaulle interrompe: « Insuperabili non si può dire; vedremo se non si potranno superare».

Il ministro De Gasperi continua accennando al problema generale della ricostruzione europea, al problema del lavoro.

A questo proposito de Gaulle chiede informazioni concrete.

Il ministro De Gasperi si riferisce alla maggiore conoscenza dell'ambasciatore Saragat (il quale, dopo aver detto non accettabile la clausola del progetto francese sul reclutamento ricorda di aver suggerito al Quai d'Orsay una proposta di interessare le due Confederazioni del lavoro e ciò per dare garanzie adeguate sia ai lavoratori italiani che ai lavoratori francesi); l'ambasciatore Saragat aggiunge come condizione indispensabile che i contratti non siano a troppo lunga scadenza e che sia possibile agli operai di recarsi in Italia almeno una volta all'anno. Su richiesta del ministro R. Mayer circa la utilizzazione dei salari, l'ambasciatore Saragat risponde che la disponibilità deve essere libera.

Il generale de Gaulle conclude invitando l'ambasciatore a trattare la questione coi ministri della Ricostruzione e del Lavoro esaminando il fabbisogno della Francia e le disponibilità dell'Italia per le diverse categorie.

Quindi il generale de Gaulle inizia le sue dichiarazioni sulle questioni trattate a Londra: «Che a Londra non si decida subito, è meglio per l'Italia. Il tempo lavora per voi. Trieste sarà italiana. Per l'Istria, non conosco la regione, ma mi pare che la linea Wilson sia una buona base. Per il Tirolo, noi preferiamo avere l'Italia al Brennero; del resto tutto dipende dalle previsioni che si possono fare sull'Austria, che non sono ancora chiare. Per le colonie: noi preferiamo, nella Tripolitania e in Cirenaica, l'Italia agli arabi, ai russi o agli inglesi. Perché non fate una controproposta concreta che, salvo la forma, assicuri all'Italia il governo delle colonie? Non potreste fare propaganda, per esempio in America?»

«Si, risponde il ministro De Gasperi. Ma in America non credevamo che ce ne fosse bisogno. Perché la proposta di trusteeship collettivo da parte degli americani fu una sorpresa per noi e per il nostro ambasciatore: la decisione fu infatti adottata dalla delegazione americana durante il viaggio».

Generale de Gaulle: «Credo che sia una manovra su cui l'America può ritornare. Truman mi aveva detto che la Libia sarebbe stata affidata all'Italia. In quanto all'Eritrea, noi non ci batteremo a fondo ma. anche lì preferiremmo gli italiani».

Mayer e de Gaulle: «Noi vediamo volentieri il Negus a Assab».

Il generale de Gaulle aggiunge nei riguardi della flotta e dell'esercito, di essere favorevole al loro mantenimento. Quindi il generale passa alla questione della frontiera occidentale. Egli dice: «Tenda e Briga: si tratta di francesi, si potrebbe rifare il plebiscito che abbiamo già avuto nel 1860».

Il ministro De Gasperi obietta che nel plebiscito la maggioranza era stata per la astensione e che l'impressione che ora si può avere dei sentimenti della popolazione non è corrispondente alla realtà per l'assenza dalla zona dei richiamati alpini. «Voi siete degli uomini di Stato-continua il ministro-l'unico che ha parlato un linguaggio europeo; l'ho sentito specie dopo Londra. Spero che con tale spirito vedrete anche Tenda la cui cessione alla Francia non sarebbe compresa dal pubblico italiano».

Generale de Gaulle: «Il pubblico francese però ricorda l'aggressione. Noi non vi abbiamo aggrediti; del resto non l'avremmo potuto fare, ma, comunque, non l'avremmo fatto. Dane, n 'exagérez pas, nous n 'exagérerons pas».

Il ministro De Gasperi riafferma che la cosa principale è la collaborazione dei due paesi: «Noi abbiamo fede nella missione della Francia-egli dice-anche perché -aggiunge -ho personalmente fede nella civiltà cristiana. D'altra parte non si può salvare la civiltà cristiana senza il contributo dell'Italia».

De Gaulle annuisce fermamente e congeda il ministro e l'ambasciatore con molta affabilità e cortesia.

Il generale de Gaulle ha fatto la migliore impressione sul ministro De Gasperi: di energia, intelligenza e abilità.

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IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S.N.D. 8952/635. Londra, 25 settembre 1945, ore 22,20 (per. ore 16,45 del 26).

Terza settimana conferenza si è aperta con prospettive poco incoraggianti. Opinione pubblica si fa più ansiosa ed irritata. Ogni questione si è finora arenata di fronte fondamentale disaccordo russo anglo-americano sulla reciproca integrazione o divisione di influenze nel mondo. Fino a che questione di vertice non verrà risolta non vi è possibilità progresso nella soluzione delle subordinate.

La conferenza dei Cinque procede alla cieca evitando chiarire fondamentale equivoco. Si tratta decidere se mondo debba considerarsi diviso fra una riserva russa ed una anglo-americana con regolari confini nettamente marcati o possa prestarsi ad una tollerante interferenza di influenze lungo confini fluidi o debba essere governato come un blocco dal solidale concorso dei tre Grandi. America è in teoria favorevole a quest'ultima soluzione, ma in pratica inclinata alla seconda e la proposta della trusteeship libica va messa in relazione col desiderio di aprire una porta mediterranea ai russi per ottenere dai russi una porta aperta in Europa orientale. Russi accettano vantaggio del baratto ma non sono disposti ripagare in moneta buona. Sabato mattina Molotov che presiedeva ha rimandato la seduta dei Cinque, pretendendo che le paci balcaniche erano di competenza delle Potenze di Potsdam, escludendo Francia e Cina come non firmatarie degli armistizi con i satelliti dell'Asse. Bevin e Byrnes hanno respinto questa tesi. Conseguenza è stata che da allora questioni balcaniche non sono state più trattate. Si è proseguito stentatamente sulla questione delle vie d'acqua e ricostruzione economica Austria senza giungere ad alcuna conclusione. Byrnes e Bevin si barcamenano in questa situazione di estremo disagio resistendo sulle questioni di principio e cedendo su concessioni particolari senza peraltro ottennere alcun effetto sulla intransigenza di Molotov. Tutti e tre sono riluttanti, non si sa Molotov fino a che punto, a rompere e ripiegano rimandando al futuro questioni in cui non possono concordare.

Conferenza che si presumeva potesse finire oggi si trascina di giorno in giorno avviandosi verso questioni sempre più spinose quale quella dei confini occidentali della Germania che la Francia ha ottenuto siano discussi, ma che non si vede come potrà essere abbordata data diffidenza russa verso ogni decisione che possa favorire paventato rafforzamento blocco Europa occidentale di cui Francia aspirerebbe essere nucleo continentale e nel quale Italia potrebbe assumere in avvenire posizione primo ordine. In pratica conferenza procede ormai alla ricerca terreno sul quale un certo consenso permetta decente chiusura lavori.

Per quanto ci riguarda sono emersi seguenti fatti salienti: un deciso atteggiamento favorevole della Francia; un ripiegamento americano su soluzioni di compromesso che rappresentino per noi un meno peggio nel quadro di una politica ispirata ai principi San Francisco (trusteeship) e tale da consentire limitata soddisfazione Russia nel Mediterraneo controbilanciata da una corrispondente influenza anglo-americana Europa orientale; una più forte coincidenza nelle tesi anglo-americane in contrapposto alle tesi russe comprovata dalla rinuncia inglese al piano di riscatto della Cirenaica e di piena sovranità italiana sulla Tripolitania e conseguente adesione piano americano trusteeship generale; un irrigidimento russo nelle pretese mediterranee comprovato dalla richiesta di Tripoli e dal rifiuto discutere questione cessione Dodecanneso alla Grecia, pretesa questa rafforzata dal rifiuto di permettere ai Cinque di immischiarsi nella questione delle paci balcaniche.

· In complesso costante opposizione russa di procedura o di sostanza su tutti argomenti trattati. Opinioni più accreditate sono divise tra chi sostiene che all'ultimo Russia cederà per evitare completo fallimento conferenza e chi sostiene che Russia ha interesse di mostrare al mondo efficienza della propria posizione mandando conferenza a vuoto. Questione riconoscimento carattere democratico governi bulgaro romeno è sempre aspra ed ha riflessi polemici sul carattere democratico governo italiano. Non è escluso che da questo conflitto possano sorgere in avvenire migliori opportunità per l'Italia. È evidente che allargandosi divario fra i Tre Grandi vi saranno più ampie possibilità per noi, ma questa è speranza fondata sulla più triste tra le prospettive. Non è da escludersi egualmente che una soluzione conflitto abbia a verificarsi a nostre spese. Non illudiamoci comunque che la causa italiana possa essere anteposta a quella di un possibile accordo di compromesso fra i Tre Grandi. Una lungimirante politica italiana non può essere fondata sul momentaneo sfruttamento di questi antagonismi, ma sul leale concorso al componimento di un dissidio che minaccia con sorti del mondo le nostre. I prossimi giorni daranno una indicazione chiara della via su cui la pace del mondo viene indirizzata.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 801/351. Mosca, 25 settembre 1945 1

Telespresso ministeriale n. 15/15343 /c.

Con mio rapporto n. 727/319 del 5 settembre corrente 2 ho già inviato a V.E. le informazioni che ho potuto raccogliere sull'argomento. Qualche dettaglio può essere inesatto, ma sostanzialmente si può dire:

l) che la Russia resta potenzialmente sulle posizioni accennate da Molotov a Berlino alla fine del 1940 ossia desidera collaborare con la Turchia alla difesa degli Stretti mediante l'occupazione in comune di basi aeree e navali. In altre parole un ritorno, colle necessarie adattazioni alle esigenze moderne, al Trattato di Unkiar Skelessi che -agli occhi dei russi -rappresenta sempre la soluzione «ideale» della questione degli Stretti.

2) la Russia vorrebbe risolvere la questione degli Stretti in un accordo o convenzione a due colla Turchia escludendo dal controllo degli Stretti tutte le altre Potenze.

Egualmente chiaro mi sembra, ormai, che il governo britannico si oppone alla concessione di basi alla Russia negli Stretti, e si oppone ancor più a considerare la questione degli Stretti come una questione che concerne esclusivamente Russia e Turchia e che può quindi essere regolata con un accordo a due. Si può quindi dire che mentre la Russia mira come optimum ad avere gli Stretti chiusi a tutti (parlo naturalmente di marine da guerra) ma aperti alla Russia, l'Inghilterra considera come optimum gli Stretti aperti a tutti. Ciò premesso, mi sembra di intravvedere però che a Londra non si considera più questione degli Stretti in forma assoluta come per il passato, forse perché la situazione di fatto è oggi molto cambiata. La Bulgaria essendo, ai fini militari pratici, territorio russo, coi mezzi moderni di cui dispone l'esercito russo, Costantinopoli e gli Stretti possono essere occupati in brevissimo tempo. Ma più ancora, perché l'esperienza della guerra recente ha dimostrato che chi ha in mano la Grecia e le isole è in grado di impedire che si faccia uso degli Stretti. Questo del resto lo riconoscono anche i russi, ed è per questo che si oppongono a che il Dodecanneso resti all'Italia o vada alla Grecia, ma vorrebbero che fosse sottoposto ad un trusteeship internazionale con partecipazione russa. L'Inghilterra preferirebbe certo lasciare le cose come sono, ma pro bono pacis, e forse in cambio di concessioni russe altrove potrebbe anche consentire non solo a che la Turchia fosse alleggerita delle provincie di Kars, Ardahan e Hartwin, che, in complesso, non tolgono gran che alla potenza della Turchia, ma anche a delle concessioni sostanziali al punto di vista russo sulla questione degli

I Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicato.

769 Stretti, purché le venga lasciato indisturbato il predominio politico sulla Grecia e sulle isole e purché la Turchia, in toto, non entri a far parte del sistema russo, nella stessa misura in cui ne fanno parte la Bulgaria e la Jugoslavia.

Nel suo interessante promemoria 1 il ministero della Marina parla della questione degli Stretti in termini di «affacciarsi della Russia sul Mediterraneo». Ora mi sembra che la Russia sia ormai già più che affacciata sul Mediterraneo. Il sistema di alleanze russo nei Balcani, fa in realtà della Jugoslavia, sotto il punto di vista militare, una parte integrante della Russia. Data la contiguità territoriale, le linee di comunicazioni esistenti e quelle che possono ancora essere costruite, i porti jugoslavi possono già attualmente considerarsi come dei porti russi. Basta che la Russia provveda a sviluppare, nella misura conveniente, l'industria jugoslava delle costruzioni navali (è questa del resto, secondo me, una delle ragioni non ultime delle insistenze che mette la Russia perché tutta la Venezia Giulia fino all'Isonzo, con tutto il suo complesso di cantieri, passi alla Jugoslavia) e metta poi a disposizione della Jugoslavia il suo potenziale industriale ed essa potrebbe costruire, come flotta jugoslava, una flotta russa del Mediterraneo nella misura in cui lo ritenga necessario. Cattaro (se non Pola) non sarebbe domani, come base navale russa, più eccentrica di Vladivostok o di Port Arthur.

Quando i russi si muovono, avanzano, sollevano una nuova questione, la prima reazione della stampa ed anche talvolta degli uomini responsabili anglo-americani è generalmente violenta: poi ci pensano sopra, il concetto della necessità di andare d'accordo -o, se si vuoi essere più cinici, la paura di un nuovo conflitto prevale e si arriva ad una soluzione di compromesso. È quello che sta accadendo per tutto quel complesso di questioni che si possono riassumere sotto il titolo «La Russia nel Mediterraneo».

La Russia sostiene che tutto il suo sistema delle zone d'influenza e delle sue alleanze è un sistema difensivo, dettato dalla necessità di garantirsi contro un ritorno offensivo della Germania. Che poi in realtà si tratti di garantirsi contro l'Inghilterra e l'America, poiché la Germania stessa non potrebbe nemmeno lontanamente pensare ad aggredire la Russia se non coll'appoggio dell'Inghilterra e dell'America, è un fatto che tutti sanno anche se non è ammesso di parlarne. Si fa un gran parlare dei piani della Russia per l'avvenire, delle sue intenzioni, si può anche ammettere che ci siano dei sintomi poco tranquillizzanti, ma siamo per ora soltanto nel campo delle supposizioni. D'altra parte, c'è, sia in Inghilterra che in America, una larga schiera di persone influenti che ritengono che di queste preoccupazioni difensive della Russia bisogna tener conto, che prima di decidere che con la Russia non c'è niente da fare e che bisogna mettere un limite alle sue pretese, bisogna persuadere la Russia che gli anglo-sassoni non nutrono disegni sinistri, che tengono conto delle sue aspirazioni, che la considerano realmente una grande Potenza. E sono queste persone e queste tendenze quelle che prevalgono quando, dopo un periodo di polemiche violente i «Tre» si riuniscono a Congresso.

Ora anche dell'atteggiamento russo nella questione degli Stretti si può dire che il criterio difensivo prevale sul criterio offensivo. Cosa domandano, in fondo i russi: una garanzia effettiva che i turchi non aprano i Dardanelli ad una flotta nemica

1 N. 1309 del 7 luglio, non pubblicato.

per azioni offensive contro le posizioni russe sul Mar Nero: allo stesso tempo, ma subordinatamente, i russi sostengono che la Turchia, in quanto Nazione Unita non può avere diritto di porre ostacoli di sorta alla libera circolazione delle forze delle maggiori Potenze impegnate in una lotta eventuale contro un aggressore. Posta dalla Russia, in questi termini, la questione della revisione del Trattato di Montreux, è molto difficile agli inglesi, a meno che essi desiderino una rottura, dire di no alle richieste russe: ed una volta accettate come ragionevoli le due premesse russe, si può arrivare molto lontano. Io non credo che gli inglesi ammetterebbero il piano massimo russo, ma non credo neanche che i russi sono disposti ad impegnarsi a fondo per realizzarlo, almeno subito: la maniera cauta con cui presentano il problema mi sembra significativa. Una volta messisi sulla via ragionevole del compromesso non sarei però sorpreso che gli inglesi siano pronti ad andare molto avanti sulla via delle concessioni al punto di vista russo.

È naturalmente molto difficile, da Mosca, dire che cosa pensano gli inglesi, ma se debbo basarmi sulle conversazioni avute qui con elementi navali inglesi, dovrei dire che nel complesso essi non prendono al tragico l'affacciarsi della Russia sul Mediterraneo. Ma se lo fanno o il giorno che lo faranno, non è sulla questione degli Stretti che si concentreranno ma sulla questione balcanica in generale, cercando di scalzare le posizioni già acquisite dai russi; ed è probabilmente per questo che gli anglo-americani cercano insistendo per la loro forma di democrazia in Bulgaria, Romania, ecc. di mantenersi qualche modesta posizione all'interno dei singoli Paesi.

Quanto alla situazione dell'Italia e agli interessi italiani nella questione degli Stretti, per non perdere il senso delle proporzioni, sarebbe bene premettere che noi non possiamo farci niente. La questione potrà essere risolta con un compromesso, più o meno favorevole ai russi, tra i «Tre Grandi», potrà anche essere rimandata a migliore occasione, ma tutto sarà fatto a mezzo di trattative dirette tra i «Tre» senza che non dico noi, ma nemmeno la Turchia abbia una parola da dirvi.

Data questa premessa la questione si riduce a sapere se nella futura Commissione degli Stretti, ammesso che ci sia, siederà anche un rappresentante italiano. Io penso che la Russia, fedele alle sue idee, non potendo ridurre gli interessati alla Russia e alla Turchia, cercherà comunque di ridurre al massimo il numero dei partecipanti ossia i tre o quattro «Grandi» e la Turchia è contraria alle grandi assemblee ed alla partecipazione dei piccoli. Non so poi se convenga all'Inghilterra e all'America proporre allargamenti perché in questo caso la Russia oltre a tutti gli Stati balcanici suoi fedeli, domanderebbe la partecipazione dell'Ukraina, della Georgia, dell'Armenia, dell'Azerbaijan e forse anche di qualche altra Repubblica federata, in maniera da presentarsi con un numero schiacciante di voti e l'Inghilterra non potrebbe contrapporre che quelli della Grecia e dell'Italia. In ogni modo, se gli anglo-americani entrano in questo ordine di idee e non si oppongono all'entrata nella Commissione degli Stretti di tutto lo stuolo degli Stati federati o amici della Russia, non credo che questa si opporrà alla partecipazione italiana, specie se il nuovo statuto degli Stretti sarà redatto quando l'Italia avrà già firmato il trattato di pace, come è molto probabile. Del resto quel che ci interessa realmente, il traffico mercantile attraverso gli Stretti in tempo di pace, non credo che nessuno pensi a mettervi la minima restrizione.

Mi dispiace di non poter condividere, almeno per quanto concerne il futuro immediato, le ripercussioni favorevoli a noi che il ministero della Marina spera dall'affacciarsi della flotta russa sul Mediterraneo. Come dato di fatto mi posso basare, a questo riguardo, soltanto su qualche conversazione avuta qui con ufficiali di marina inglesi: il loro pensiero, che mi sembra però abbastanza logico, è il seguente: È vero che il governo sovietico ha dichiarato che la Russia deve avere una flotta degna della sua situazione di grande Potenza: ma la Russia ha tre mari, non in comunicazione fra loro, e per quanto grande sia il suo potenziale, per quanto grande la possibilità del sacrificio del suo popolo, non potrà mai avere in ognuno dei tre mari una flotta capace di misurarsi con la flotta inglese che, situata come è in posizione centrale, potrebbe spostarsi facilmente contro l'uno o contro l'altro dei settori. «Non è stato mai possibile nemmeno solo di pensare seriamente al congiungimento fra la flotta italiana e la flotta tedesca -mi è stato detto -impedire il congiungimento fra la flotta russa del Mar Nero e quella del Baltico sarebbe anche più facile». Così ritengono anche che la Russia mai concentrerebbe il grosso della sua flotta da costruire nel Mar Nero che, dei tre mari è, anche con i Dardanelli aperti, il più chiuso di tutti. In ogni modo, appoggiati sulle basi greche, sulle isole e su qualche base turca, gli inglesi pensano di essere facilmente in grado, con l'aiuto sopratutto dell'aviazione di impedire alla flotta russa di uscire dai Dardanelli o almeno di avanzare profondamente nell'Egeo. A questo fine la Grecia e la Turchia rappresentano un forte interesse per l'Inghilterra ma non l'Italia. L'Italia e le sue basi potrebbero entrare in questione nel caso che la Russia volesse creare una grossa flotta jugoslava, cosa che è teoricamente possibile, ma di cui per ora non si hanno sintomi.

L'Inghilterra, forse, potrebbe interessarsi delle nostre basi e della nostra flotta il giorno in cui fosse assolutamente sicura che esse sarebbero, in ogni caso, adoperate contro i nemici dell'Inghilterra e non contro di lei. Siccome nel momento attuale, sebbene noi siamo nella sua zona d'influenza -ed essa sia decisa a fare tutto il possibile perché noi ci restiamo -l'Inghilterra non si fida affatto di noi (per la verità nessuno si fida di noi) così credo che preferisca adesso non correre rischi e vederci restare con una flotta di proporzioni assai ridotte. Del resto, a parte ciò, su un piano più generale io trovo che noi dovremmo augurarci di vedere i «Tre Grandi» andare d'accordo quanto è possibile, e anzi fare tutto quello che è in nostro potere perché continuino a restare d'accordo. E se non riusciranno ad andare d'accordo, dovremmo non cercare di appoggiarci all'uno contro l'altro, ma fare ciò che è umanamente possibile per restare neutri in caso di conflitto. La politica di giocare fra i gruppi in contrasto ci ha cacciati in due guerre: ne abbiamo vinta una e perduta l'altra, il bilancio complessivo è più che disastroso e sarebbe bene che cominciassimo a trame qualche logica conseguenza.

La questione degli Stretti mi porta anche a parlare della questione dei nostri rapporti con la Turchia. I turchi sono oggi assai eccitati, almeno a giudicare di qui: nessuna concessione, se necessario lotta fino all'ultimo sangue: ma sono evidentemente parole. Dicono così perché ritengono che gli anglo-americani sono pronti a dar battaglia per difendere l'attuale frontiera della Turchia e l'attuale regime degli Stretti. Ora è vero che realmente gli anglo-americani dicono che non cederanno. Ma non sono affatto sicuro che alla fine essi non cederanno. I turchi, come noi del resto, non si rendono conto che mentre certe questioni sono per loro il centro di tutto, per i Big Three non sono altro che alcune delle tante questioni sparse in cinque continenti e soggette a conguaglio. Se necessario, alla fine, i turchi cederanno anche loro alle decisioni dei Tre.

Per quanto riguarda la questione degli Stretti, e quella anche eventuale della frontiera orientale turca, dato sopratutto che non ci possiamo far niente, non mi pare che né come governo, né come Stato sia il caso di prendere posizione; seguiamo il dibattito della questione spassionatamente, come osservatori obiettivi: che ci serve di prendere posizioni polemiche in favore dell'uno o dell'altro dei contendenti, quando sappiamo che finiranno col mettersi d'accordo? Del resto non credo che la Turchia ci domandi di prendere posizione: sa benissimo cosa possiamo noi oggi e sa benissimo che noi siamo, come lei, oggetto delle competizioni dei «Tre». Sono però certo che la Turchia vedrebbe con piacere che noi continuassimo a far parte della Commissione degli Stretti e, per quello che conta, possiamo contare sul suo appoggio: credo anzi che ci converrebbe domandarglielo fin da adesso ..

Ma astrazione fatta da questo dettaglio contingente, io ritengo che noi abbiamo tutto l'interesse a mantenere e coltivare le migliori relazioni con la Turchia. La storia delle nostre relazioni con la Turchia, nell'ultimo ventennio, è veramente una pagina triste. Noi siamo stati i primi, prima anche dei russi, a intuire l'importanza del movimento kemalista -merito questo del conte Sforza -e siamo stati i primi ad appoggiarlo e fino all'armistizio di Mudania, siamo stati se non più l'unico almeno al primo piano fra gli amici della Turchia. Questa situazione che avrebbe potuto servirei di base per una politica seria nel vicino e medio Oriente, è stata buttata via stupidamente per un piatto di lenticchie, per il piacere di appoggiare Chamberlain nella sua azione per Mossul e in seguito per tutta una politica senza scopo; senza logica, senza spirito di continuità. Comunque, ora tutto è finito: il Dodecanneso non è più in nostre mani, e certo oggi la Turchia non ha più paura di noi.

Anche la Turchia è stata vittima di molte illusioni: la politica dell'Intesa balcanica, del Patto di Sahadabad e tante altre sognate e perseguite sono andate in frantumi: altre illusioni forse dovranno seguire ancora. Più intelligente di noi, è riuscita a restar neutra, forse grazie al fatto che Mustafà Kemal ha saputo rendere al suo Paese il supremo servizio di morire a tempo. Ma, in ogni modo, fra un'Italia battuta ed a terra ed una Turchia ridotta ad un ruolo assai modesto, ci sono molti punti di intesa e di accordo e avrei l'impressione che la Turchia, pur rendendosi conto di quello che noi oggi siamo, non domanderebbe di meglio che di andare d'accordo con noi. Il terreno economico e culturale per cui abbiamo ancora buone basi laggiù, oggi che non è più adombrato da minacce di nostri destini imperiali, può intanto fornire un ampio campo di fruttuoso lavoro in comune. Un giorno firmeremo il trattato di pace anche con la Grecia, un altro paese con cui abbiamo tutto l'interesse di andare d'accordo. Ci vuole però del tempo perché il ricordo del passato recente e lontano svanisca; in questo campo la Turchia, che ha in Grecia una posizione ottima, può aiutarci molto. La Turchia ha lei pure, certo, tutto l'interesse a che Italia e Grecia vadano d'accordo e non dovrebbe essere comunque difficile persuaderla a lavorare in tal senso. In fondo in fondo, oggi, tutti questi paesi ne hanno fin sopra i capelli dei «Grandi della Terra»; e l'Italia, che non è più un «Grande», può, se sa approfittarne, crearvisi, col tempo, delle posizioni più solide e durature di quelle che abbiamo tentato invano di crearci colla politica di prestigio.

Non abbiamo, certamente, oggi come oggi, grandi cose da fare in Turchia. Ma isolati come siamo, odiati come siamo-è bene che di questo ce ne rendiamo conto -dobbiamo approfittare di ogni angolo, anche del più piccolo, dove ci sono o si possono creare delle correnti e delle disposizioni amichevoli verso di noi, per ricominciare la nostra politica. Il compito principale della nostra politica, per molti anni, deve essere quella di persuadere il mondo, dopo averlo seccato per tanti anni, che l'Italia non domanda che di vivere in pace e di essere lasciata in pace: compito difficile, perché abbiamo una brutta eredità fascista, ma anche pre-fascista, da liquidare. Ma è una politica che bisogna cominciare subito, là dove è possibile e come è possibile. Ogni paese, anche piccolo, di cui riusciamo a conquistare l'amicizia, è un anello rotto nella catena di prevenzioni che ci circonda e che è, purtroppo, più grande di quanto la maggior parte degli italiani vogliono vedere.

573

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 8988/519-520-521. Washington, 26 settembre 1945, ore 8,31 (per. ore 8 del 27).

Rapporto dell'ambasciatore d'Italia a Parigi 776 del 7 corr. e telegrammi 447 e6719/c. 1•

Da dichiarazione Bidault a Saragat appare evidente che direttive francesi per Conferenza Londra coincidevano -tranne beninteso per questione franco-italiana -con la posizione della delegazione americana prima della sua partenza, come già segnalato da questo governo all'ambasciata: esse confermano efficacia azione svolta da Truman e Byrnes in occasione visita del generale de Gaulle a Washington. Come è noto il 22 corrente sono state rese pubbliche a Londra proposte fatte delegazione americana alla Conferenza per la pace con l'Italia. Per quanto concerne nostra frontiera «essa rimarrebbe inalterata salvo esaminare richieste che la Francia dovesse presentare per piccole rettifiche». In conversazione avuta testé al Dipartimento di Stato si è avuta nuova conferma che Stati Uniti d'America non intenderebbero esercitare alcuna pressione per indurci ad accettare richieste francesi.

[Vedo] che qui si sa pochissimo dell'azione di Byrnes a Londra. È stata espressa convinzione che sull'argomento «piccole rettifiche» la questione dovrebbe essere direttamente regolata con la Francia. Qualora non fosse assolutamente possibile giungere all'accordo, la questione verrebbe all'esame dei Cinque. Ma anche in tal caso da parte americana non si darebbe appoggio alle rivendicazioni francesi. È stato amichevolmente aggiunto che ci converrebbe non opporre netti e categorici rifiuti alle richieste francesi e manifestare generiche disposizioni a negoziare, data opportunità consolidare buone intenzioni de Gaulle. In tal senso appunto sono state interpretate al Dipartimento di Stato frasi dette da Caffery a Saragat 2 e non

1 Vedi DD. 504, 531 nota 2 e 546 nota l. 2 Vedi D. 531.

già come accennanti specifiche richieste per Tenda e Briga. A quanto è stato esplicitamente aggiunto Caffery è qui considerato come appartenente alla maggioranza del Dipartimento di Stato che è sincera amica dell'Italia.

Della questione di Tenda e Briga questa ambasciata aveva già ripetutamente intrattenuto Dipartimento di Stato che ne è perfettamente al corrente. Si è confidenzialmente ritornati oggi di nuovo sull'argomento ribadendo i motivi, specie di carattere economico (cui qui per frontiera occidentale si è più sensibili che non a quelli di ordine strategico) che renderebbero impossibile nostra accettazione rivendicazioni francesi. Né da parte americana è stata mossa alcuna obiezione. Al Dipartimento di Stato si annette speciale importanza alla cooperazione che delegazione francese dà a Londra a quella americana mentre dati i contrasti rivelatisi alla Conferenza, va aumentando interesse per una stretta intesa politica fra l'Italia e la Francia. Al riguardo è stata rilevata con compiacimento notizia che ella nel suo viaggio di ritorno si sarebbe fermata a Parigi.

574

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9032/523. Washington, 26 settembre 1945, ore 9 (per. ore 17,30 del 27).

Suo telegramma per corriere 6426/c. 1•

Come è noto proposte americane trattato di pace con l'Italia, rese pubbliche a Londra 22 corrente, propugnano che attuale frontiera con Austria «resti invariata salvo esaminare eventuale richiesta che Austria possa presentare per piccola rettifica a suo favore», tale decisione è stata presa a Londra il 13 corrente da Byrnes ed è probabile sia dovuta a desiderio compensare con tale risoluzione a nostro vantaggio proposta trusteeship plurimo per colonie italiane.

• Comunque a seguito altre recenti conversazioni si è tratta occasione da istruzioni impartite con telegramma suddetto per ribadire di nuovo verbalmente a Dipartimento di Stato nostro punto di vista per Alto Adige e per chiedere informazioni circa «piccola rettifica» di cui sopra. Ci è stato al riguardo risposto che non vi erano ormai dubbi che U.S.A. intendevano che frontiera Brennero restasse in massima assicurata all'Italia senza ricorrere plebiscito e che all'Austria potesse essere concessa solo qualche rettifica di poco conto sulla quale non si era per altro ancora in grado fornirci ragguagli. Ad ogni buon fine si è da parte nostra chiarito nuovamente che non corrispondevano a verità informazioni circa trattative a suo tempo intercorse fra l'Italia e l'Austria per località di frontiera vicine a Tarvisio (suo 412) 2•

l Vedi D. 536. 2 T. s.n.d. 6194/412 del 10 settembre, non pubblicato.

575

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9031-9033/524-525. Washington, 26 settembre 1945, ore 6,48 (per. ore 17,30 del 27).

Telegramma per corriere 6500, mio appunto 972 e rapporto 1132 1•

Al momento partenza per Londra, maggioranza delegazione americana era ormai orientata per tutte nostre colonie verso soluzione trusteeship singolo affidato Italia. Va rilevato come quesito posto in merito da Bidault a Saragat corrispondesse esattamente ad analoga precedente domanda del Dipartimento di Stato a questa ambasciata (telegramma 399) 2 .

Corrispondenze giornalisti americani da Londra primi giorni conferenza confermavano pienamente tale soluzione. Suscitò quindi viva sorpresa anche Dipartimento di Stato improvvisa notizia mutata posizione americana da trusteeship singolo a plurimo con partecipazione italiana. Proposta americana alla Conferenza è ormai di pubblica ragione: O.N.U. nominerebbe rispettivamente per l'Eritrea e Somalia un amministratore con pieni poteri esecutivi, il quale sarebbe assistito da un Comitato consultivo composto da rappresentanti governo britannico, russo, francese, italiano ed americano nonché da due rappresentanti popolazione scelti da predetti cinque governi (un europeo ed un arabo per la Libia, due residenti per l'Eritrea e Somalia). Eritrea dovrebbe cedere Assab ad Etiopia.

Sono trapelati attraverso stampa discussioni e contrasti Conferenza sulla questione, sulla cui soluzione cinque delegazioni. non sono d'accordo e che pertanto permarrebbe ancora suscettibile di mutamenti. Secondo Dipartimento di Stato «il quale peraltro sembra ancora poco al corrente discussioni svoltesi a Londra per trusteeships coloniali» delegazione americana si trovò alla Conferenza di fronte inattese richieste russe per Tripolitania ed Eritrea, mentre Inghilterra persisteva in note posizioni originarie governo conservatore per Cirenaica Eritrea e probabilmente Somalia. Ritenne quindi doveroso ripiegare su suo punto di vista trusteeships plurimi per non trovarsi in netto contrasto con delegazione inglese della quale le occorreva_ avere appoggio in altre importanti questioni. Ciò tanto più in quanto, come segnalato anche in vari telegrammi stampa e telespressi, opinione pubblica americana non sembrava darle pieno sostegno. D'altra parte è stato pure accennato a noto articolo Unità del ministro Togliatti.

Da varie conversazioni presso Dipartimento di Stato si è tratta impressione che atteggiamento delegazione francese, rimasto fermo su precedente posizione americana trusteeship singolo italiano, non è qui visto con sfavore anche quale contrappeso posizione russa. Non si esclude al Dipartimento di Stato che posizione americana sia suscettibile in definitiva di qualche miglioramento a nostro favore. Non mi è stato possibile fornire attualmente né forse prima ritorno

l Vedi DD. 545, 419 e 486. 2 Vedi D. 443.

Byrnes, elementi sicuri di giudizio. Mi sarebbe intanto molto utile conoscere tempestivamente, ove possibile, punto di vista che intendiamo esporre per iscritto (e di cui suo 453) 1 , anche per poter, ove del caso, sondare al riguardo Dipartimento di Stato.

576

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 9058/526 Washington, 27 settembre 1945, ore 12,01 (per. ore 8,30 del 28).

Telegramma ministeriale 4462•

Ella sa che argomento era già stato precedentemente accennato in conversazione avuta prime settimane scorso agosto Dipartimento di Stato e ne avevo riferito con appunto 972 3• Ho oggi riparlato ancora una volta in via esplorativa con lo stesso interlocutore americano. Questi in via confidenziale mi ha espresso parere personale che, qualora noi dichiarassimo accettare pace sulla base delle proposte della delegazione degli U.S.A. alla Conferenza di Londra e motivassimo poi nostro rifiuto di firmare trattato con sostanziale allontanamento dai principi che informavano tali proposte, evidentemente non vi sarebbe ragione per cessazione assistenza e rifornimenti americani: essi d'altronde si ispiravano, oltre che amicizia per Italia, motivi umanitari. Si è da parte nostra osservato che certamente governo italiano concordava in massima con predette proposte americane (che sono [espresse in] comunicazioni [inviate] a V.E. in materia), salvo che per trusteeship coloniale plurimo e forse per qualche minore dettaglio. Interlocutore [rispose] che questione ...4 impegnativa preventiva assicurazione assumendo necessariamente carattere se non altro ufficioso, era assai difficile ... 4 giacché mentre si sarebbe trovato in una situazione imbarazzante con grandi Potenze, valore nostro gesto avrebbe potuto esserne diminuito. Ha poi accennato ad articoli e ad interviste ministro Togliatti, giusta le quali le deliberazioni dei Cinque sarebbero eque ed accettabili dall'Italia, osservando che non gli risultava che altri ministri italiani avessero ripreso il [tema]; ciò che poteva fare apparire ad opinione pubblica internazionale, e americana in particolare, che tutto nostro governo fosse di tale opinione. Comunque questione è di tale importanza che io mi riserverei accennarne al segretario di Stlto al suo ritorno qui, beninteso qualora ciò si rendesse possibile e veramente necessario in relazione sicurezza informazioni su esito attuale conferenza 5 .

I Vedi D. 563, nota l. 2 Vedi D. 562. 3 Vedi D. 419. 4 Gruppo indecifrato. 5 Per la risposta vedi D. 607.

577

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

T. S. N.O. 9111/639. Londra, 27 settembre 1945, ore 21,30 (per. ore 11,50 del 28).

Bidault il quale risultava preoccupato tornare Parigi a mani vuote ha avuto ieri successo ottenendo che questione frontiera Germania fosse abbordata. Consiglio il quale avrebbe potuto deliberarla e passarla studio delegati pare disposto entrare nel merito. Ciò rivela intenzione prolungare conferenza (probabilmente fino primi entrante settimana a meno che insuperabili difficoltà ne precipitino chiusura) nella speranza situazione possa sbloccarsi e condurre a qualche palese risultato. Ieri Molotov Byrnes e Bevin si sono nuovamente incontrati a tre. In tutte questioni russi si trovano sempre uno contro quattro. Cinesi intervengono raramente ma sempre a sostegno tesi anglo-americane; francesi con maggiore energia e continuità gravitano stessa direzione. Di qui opposizione Molotov ad ammettere competenza franco-cinese nelle questioni balcaniche. Tutto ciò è inevitabile risultato politica di blocco instaurata occupazione territoriale russa nell'Europa orientale, politica che va irrigidendosi con inasprirsi loro sospetto verso formazione blocco occidentale.

Finora reciproche posizioni sono rigide sicché conferenza rappresenta insuccesso per ambedue parti la cui separazione tende a pronunziarsi sempre più. Solo sintomo positivo è costituito finora da prolungarsi conferenza giudicato qui come prova reciproca preoccupazione trovare strada facendo via d'uscita.

Intanto russi hanno proposto discutere questione controllo sul Giappone movendo critiche politica occupazione seguita dagli americani. Byrnes appoggiato da Bevin si è rifiutato discutere questione che non figura agenda e sulla quale non è preparato esprimersi. Atteggiamento anglo-americano è sempre più solidale. Si spera che all'ultimo Molotov possa ricevere istruzioni mutare atteggiamento il che provocherebbe certo maggiore flessibilità da parte anglo-americani. È stata comunque impressione generale che questa conferenza non adeguatamente preparata abbia valso far emergere un complesso di dissensi che si era evitato riconoscere nelle precedenti conferenze e che costituisca per lo meno chiara base di partenza ed un istruttivo avvertimento per prossima sessione che avrà carattere decisivo.

578

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9098/474. Mosca, 28 settembre 1945, ore 1,05 (per. ore 11,15).

Ho impressione che si potrebbe avere atteggiamento questo governo piuttosto favorevole nostro punto di vista per questione confine Brennero. Prima di parlarne pregherei telegrafarmi se questione è realmente sul tappeto e se notizie di cui al telegramma di V.E. 468 1 sono confermate 2•

1 Numero di protocollo particolare per Mosca del D. 536. 2 Per la risposta vedi D. 584.

579

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 9131/475. Mosca, 28 settembre 1945, ore 12,17 (per. ore 18).

Telegramma di V.E. 67531.

Dato atteggiamento assunto da angloamericani nei riguardi governi romeno e bulgaro e ripercussione su conclusione pace con loro ritengo che adesso Russia si opporrebbe pace provvisoria con noi a meno che provvedimento analogo venisse deciso in favore due paesi balcanici. Da conversazioni con Dekanozov ho avuto impressione che problema che qui si considera più difficile soluzione è ripartizione nostre colonie e che Russia non si opporrebbe a che trattato di pace con noi si limitasse prendere atto fatto che colonie ci sono tolte lasciando questione loro ripartizione a ulteriori dibattiti; si opporrebbe a pace che lasciasse insoluta questione frontiere e riparazione.

580

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 825/365. Mosca, 28 settembre 1945 (per. il 15 ottobre).

Telespresso di V.E. n. 15/15758/189 dell'Il agosto u.s. 2 .

Come V.E. può aver rilevato dal mio rapporto n. 760/333 del 13 corrente3 relativo alla liberazione dei nostri prigionieri, questo Commissariato degli Esteri mi ha ammesso che, in seguito all'intervento di codesto ministero, si è avuto «qualche risultato» nel senso desiderato da codesta ambasciata dell'U.R.S.S.

A V.E. è noto come qui, quando si tratta di attacchi contro l'Unione Sovietica, non si sia facilmente disposti ad accettare il principio della libertà di stampa: comunque però la questione è stata recentemente posta in una forma differente e tale da rendere difficile una risposta. Si dice: la parte più importante della stampa italiana è, oggi, stampa di partito: i principali partiti sono al governo: dato che esiste una disciplina di partito, se ognuno dei partiti della coalizione governativa ritenesse di esercitare la sua influenza sui suoi giornali per evitare che stampassero articoli antisovietici, si potrebbe avere la maggior parte della stampa italiana sotto controllo. E non si può negare che questa impostazione della questione è, per lo meno, abile.

Concordo che, specialmente l'articolo del Quadrante4 non può, a stretto rigore, essere considerato antisovietico: qui però, credo, intervengono altre ragioni: ritengo

l Vedi D. 566.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 520.

4 L'ambasciata sovietica a Roma aveva protestato per un articolo a firma Paolo Possamai apparso sul numero 22 del 2 giugno della rivista «Quadrante» che esaltava Trotsky e la sua organizzazione. Con L. 15!9976/147 del 15 giugno Prunas aveva invitato il capo della polizia, Ferrari, ad adottare misure per evitare pubblicazioni antisovietiche.

779 adesso di aver identificato chi si nasconde sotto la pseudonimo di Adam Nor e ci sono delle accuse speciali per cui questo secca particolarmente il governo sovietico. Ma, a mio avviso, la vera ragione delle proteste sovietiche è quella contenuta nell'articolo dell'Unità, il fatto cioè che mentre nella stampa italiana sono frequenti, se non proprio gli attacchi diretti, almeno articoli poco favorevoli alle cose interne e esterne dell'Unione Sovietica, gli anglo-americani sono trattati con molto maggiore riguardo. Io non ricevo tutta la stampa italiana, ma ne ricevo parecchia, e dall'esame dei giornali che vedo, debbo riconoscere effettivamente che Inghilterra e Stati Uniti sono trattati con molto più riguardo che l'Unione Sovietica. Ora, quali che siano le ragioni di questo fatto, con quel vago complesso d'inferiorità che provano i russi di fronte agli anglo-americani, è una cosa che li irrita fortemente e inutilmente.

Che in una forte parte della stampa italiana si faccia, per uso interno, della lotta contro il comunismo e le sue idee lo capisco perfettamente, ma che non si possa farlo senza tirare in ballo l'Unione Sovietica, questo francamente non riesco a capirlo. E sopratutto che la si tiri in ballo, spesso, così stupidamente. Se si vuoi fare della critica al comunismo ed alle sue manifestazioni in Russia, che almeno lo si faccia in base a studi, analisi e critiche serie: ma la maggior parte degli articoli che leggo si basano su balle o su argomenti ormai triti.

Ma, a parte ciò, quello che io non mi stanco di ripetere è questo: piaccia o no, bisogna che noi e la nostra stampa ci rassegniamo a riconoscere il fatto che la Russia è, oggi, una grande Potenza con una funzione importantissima e forse decisiva su tutte le questioni europee: questa Potenza è sensibilissima agli attacchi della stampa, sopratutto quando questi attacchi stampa prendono la forma di campagna a sfondo diffamatorio. Il non tenerne conto crea qui dei risentimenti, dei malintesi, delle reazioni e noi non siamo in una posizione tale da poterei permettere di provocarli a cuor leggero. Facciamo pure le nostre polemiche col comunismo sul fronte interno, ma lasciamo in pace la Russia. La libertà di stampa è una cosa santa, ma bisogna anche che i giornalisti acquistino il senso della loro responsabilità ed evitino di creare a cuor leggero pasticci ad un Paese che ce ne ha già tanti. È un pezzo che ribatto su questo argomento, purtroppo senza nessun risultato: finiremo per andare incontro a delle seccature serie.

581

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9210/645. Londra, 29 settembre 1945, ore 1,15 (per. ore 19).

Ho prospettato oggi Cadogan difficile situazione risultante da differimento pace con l'Italia. Gli ho fatto notare impossibilità sotto l'aspetto morale e pratico mantenere Italia sotto condizioni armistizio fino a prossima primavera se non estate, e necessità trovare soluzione provvisoria, che garantisca più dignitoso ed efficiente stato giuridico. Cadogan mi ha detto aver studiato questa eventualità con Washington, ma di avere scarsa fiducia poiché è persuaso che discussioni per giungere pace provvisoria si arenerebbero su stesso ostacolo che ha reso impossibile serio avviamento verso conclusione pace definitiva. Gli ho allora suggerito che, nella peggiore ipotesi, si studiasse almeno possibilità annullare armistizio e sostituirlo con più aggiornato documento rispondente alla nuova posizione di fatto che l'Italia si è conquistata. Tale provvedimento immediato potrebbe rappresentare un primo passo ed aprire la via graduali ulteriori sviluppi evitando le resistenze che incontrerebbe ora una integrale soluzione.

Cadogan mi ha assicurato che condivideva mie preoccupazioni e avrebbe ancora studiata la cosa con la migliore disposizione rendendosi conto anche del valore mie riserve circa possibilità far luogo elezioni perdurando condizione dipendenza sancita da armistizio. Siccome Cadogan consulterà certamente Washington prego informare subito Tarchiani. Intratterrò intanto Dunn su questo argomento.

Cadogan mi ha confermato che commissione Venezia Giulia sarà formata da stessi delegati supplenti. Dunn si propone venire a Roma in tale occasione. Campbell sarà delegato inglese. Gusev russo. Circa nostri esperti ho ottenuto che Cernili venga a contatto col Western European Department del Foreign Office per ogni informazione su problema coloniale, dopo di che potrà rientrare. Cadogan garantisce potrò riaverlo qui all'occorrenza entro ventiquattr'ore. Tutti gli altri esperti stanno rientrando.

582

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9214/476. Mosca, 29 settembre 1945, ore 12,15 (per. ore 19).

A telegramma 6770 1•

Dekanozov mi ha detto che decisione togliere ad Italia colonie prefasciste era stata già presa dai Tre in conversazioni per tramite diplomatico confermata a Yalta e confermata ancora a S. Francisco. Presa di posizione sovietica su questione coloniale era dovuta solo a tentativo americano avanzare nuove proposte in contraddizione con decisione già presa. Mi ha poi accennato in linea generale a necessità soluzione compromesso e che compromesso comprende tutta una serie di questioni che non hanno nulla a che fare con l'Italia. Questo ambasciatore del Canadà che ha preso parte conferenza San Francisco mi ha da parte sua confermato che sorte nostre colonie era già stata decisa a San Francisco.

Da fonte confidenziale apprendo che per ovviare nostre considerazioni circa italiani residenti nostre colonie e necessità emigrazione a cui si riconosce certo peso è stato proposto introdurre regime trusteeship clausole che salvaguardino status popolazione italiana e possibilità nostra ulteriore immigrazione.

1 Del 24 settembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 556.

Nel corso conversazioni Dekanozov ha tenuto darmi impressione che commissione inchiesta Venezia Giulia si reca sul posto per rendersi conto se e fino a che punto linea già concordata fra Alleati corrisponde criteri giustizia etnica e che sono da prendere solo modificazioni di dettaglio decisione già presa.

Ho vivamente attirato attenzione su interesse che dovrebbe avere anche per Russia soluzione che nella sostanza ed anche nella forma tenesse conto nostri sentimenti poiché altrimenti nonostante tutta la buona volontà dei governi nostri rapporti con Jugoslavia sarebbero stati assai difficili e di riflesso difficili nostri rapporti con Russia. Mi ha risposto dicendomi che Molotov aveva detto chiaramente che quello che era italiano doveva restare italiano e mi ha chiesto cosa intendevo per forma.

Premettendo parlavo a titolo strettamente personale gli ho detto che ritenevo sarebbe stato utile se decisione presa in proposito da tre Alleati fosse stata messa in esecuzione non come loro imposizione ma sotto aspetto di un accordo negoziato direttamente· fra Italia e Jugoslavia. Mi ha risposto che ci avrebbe pensato e che ne avremmo parlato un'altra volta.

Prego V.E. telegrafarmi se posso continuare a parlare in questo senso sempre a titolo personale.

583

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T S.N.D. 9237-9268/535-536. Washington, 29 settembre 1945, ore 12,42 (per. ore 17 del 30).

Suo 6609/c. e mio 316 1 .

Questa ambasciata ha provveduto attirare attenzione Dipartimento di Stato su intervista maresciallo Alexander a proposito limitazione flotta italiana ponendone in rilievo penose ripercussioni secondo indicazioni codesto ministero. Corrispondenza Londra New York Tìmes avendo ieri accennato a proposte anglo-americane alla Conferenza della pace nello stesso senso (flotta italiana verrebbe limitata a due vecchie navi da battaglia 6 incrociatori 2 condottieri flottiglie 20 torpediniere e 20 corvette), si è ieri ritornato nuovamente sull'argomento.

Al Dipartimento di Stato è stato risposto che notizia non sembrava attendibile per quanto concerneva U.S.A. e che poteva trattarsi proposta inglese. Difatti Dipartimento della Marina benché ripetutamente sollecitato non aveva ancora consegnato sue proposte scritte sulla questione e, in mancanza, [era] poco probabile delegazione americana a Londra avesse presa posizione.

A Dipartimento di Stato è stato [detto] a titolo confidenziale che punto di vista americano, quale emerso nelle recenti riunioni interrninisteriali qui tenute

I Vedi DD. 553 e 362.

sull'argomento, era il seguente: in caso di guerra spettava all'Inghilterra responsabilità e comando delle operazioni navali in Mediterraneo. Per tali circostanze Gran Bretagna poteva avere un preminente interesse nella questione della flotta italiana. Dipartimento Marina avrebbe preferito non prendere atteggiamento resistenza contro eventuali proposte inglesi, mentre Dipartimento di Stato non sarebbe favorevole dare ad esse appoggio contro l'Italia.

Ci è stato dato, in via riservata e personale, consiglio seguente: parlate francamente con gli inglesi così come ha fatto ministro De Gasperi a Londra con Bevin ed esponete loro vostre esigenze circa consistenza vostra flotta nel quadro di una sincera amicizia tra due Paesi. Comunicate anche a noi vostre esigenze che indubbiamente saranno ragionevoli. Qualora inglesi si irrigidissero nel respingere dite loro francamente che non potete accettare clausole del genere perché ingiustamente puntive. Come ella vede, al Dipartimento di Stato si sembra essere ottimisti. Peraltro si potrebbe non essere certi degli impegni che Byrnes possa aver assunto a Londra con inglesi in materia. Occorre a questa ambasciata aver ogni utile ragguaglio per continuare eventualmente azione presso Dipartimento di Stato.

584

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. PER CORRIERE DIRETTO SPECIALE 7019. Roma, 29 settembre 1945, ore 19.

Suo 474 1•

Pare che gli americani non intendano mettere in dis.cussione il Brennero. Se mai, soltanto, rettifiche minori quali Tarvisio, e, presumibilmente Dobbiaco: in altre parole confine geografico. Nessun riferimento è stato fatto alla possibilità di plebisciti. Anche inglesi, ostili come sono, in materia coloniale e tendenzialmente disposti a sfavorevoli compromessi alla frontiera giulia, sembrano senz'altro orientati accettazione attuale frontiera settentrionale. Confermo atteggiamento apertamente favorevole della Francia, che non sembra disposta a sollevare questione.

Questa è la situazione oggi, ma è difficile contarci come su cosa definitiva e acquisita. Non so se le convenga, in queste condizioni, parlarne. Correremmo il rischio di sollevare noi una questione che non è stata posta sostanzialmente da alcuno. Se mai, ne accenni come di cosa ormai non controversa e pacifica 2 .

l Vedi D. 578.

2 Quaroni rispose con T. per corriere 12965/040 del 9 novembre quanto segue: «Secondo la mia abitudine di non fare entrare questo commissariato degli Affari Esteri in nostre questioni se non quando • è strettamente necessario, non ho parlato finora qui dell'Alto Adige e concordo con V.E. su opportunità di non parlarne per non correre il rischio di sollevare noi stessi discussioni circa unico settore confinario che finora non sia stato messo in dubbio».

585

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI POLONIA A ROMA

NOTA VERBALE 16/21019/9. Roma, 29 settembre 1945.

In relazione alla nota verbale dell'ambasciata di Polonia n. 14 del 6 corrente 1 , il R. ministero degli Esteri ha l'onore di far presente quanto segue:

l) La rappresentanza diplomatica dell'ex governo polacco di Londra ha cessato da ogni attività sin dal 6 luglio. In considerazione di esigenze pratiche fu consentito, in via eccezionale, che l'attività dell'ufficio consolare si protraesse sino al 15 agosto u.s. -il consolato generale di Polonia si è recentemente trasformato in ufficio di assistenza. È stato tuttavia assicurato che detto ufficio non rilascia documenti di alcun genere ed esplica puramente compiti di assistenza e di controllo di quegli enti e cittadini polacchi che spontaneamente vi fanno capo; compiti che vengono assolti in via provvisoria, in attesa che siano condotte a termine le trattative in corso fra i governi britannico e polacco.

2) Secondo quanto il signor Janikowski ha comunicato a questo ministero, documenti, cifrari, servizi e argenteria furono depositati, prima che intervenisse il riconoscimento ufficiale del governo polacco di unità nazionale da parte del governo italiano, nei locali dell'ambasciata di Polonia presso la Santa Sede. Nessuna possibilità materiale né alcuna veste giuridica aveva il governo italiano per impedire che ciò avesse luogo. Tuttavia, se l'ambasciata di Polonia fornirà un dettagliato elenco degli oggetti appartenenti allo Stato polacco anteriormente al 1940, si cercherà di rintracciarli.

3) Circa la biblioteca polacca a Roma, si fa riserva di ulteriori comunicazioni, la questione risultando attualmente all'esame fra i governi britannico e polacco.

4) Le competenti autorità italiane sono già state interessate perché siano temporaneamente bloccati gli eventuali conti bancari intestati ai funzionari delle cessate rappresentanze diplomatica e consolare dell'ex governo di Londra. Si fa riserva di comunicare l'esito degli accertamenti disposti appena dette autorità, all'uopo sollecitate, lo faranno conoscere.

586

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

TELESPR. 21 /027/232. Roma, 29 settembre 1945.

Al pari della maggior parte degli Stati firmatari del trattato di Washington delle nove Potenze del 1922 (in particolar modo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna,

l Vedi D. 501.

che hanno concluso colla Cina particolari accordi l' 11 gennaio 1943), l'Italia ha rinunciato ai privilegi dell'extraterritorialità in Cina attraverso differenti accordi e dichiarazioni:

l) Trattato di amicizia e di commercio i tal o-cinese del 1928: con scambio di note firmate insieme col trattato, venne convenuto che l'applicazione dell'art. 2, concernente tale rinuncia, sarebbe stata subordinata a preventivi «particolareggiati accordi col governo italiano per l'assunzione da parte della Cina della giurisdizione sui sudditi italiani» e che se tali accordi non fossero intervenuti entro il 10 gennaio 1930 «i sudditi italiani saranno soggetti alle leggi e alla giurisdizione cinese dalla data che sarà fissata dalla Cina, dopo che essa avrà raggiunto un accordo circa l'abolizione dell'extraterritorialità con tutte le Potenze firmatarie dei Trattati di Washington, restando convenuto che tale data dovrà essere applicabile a tutte le dette Potenze».

2) Dichiarazione del 14 gennaio 1943 circa la retrocessione delle concessioni e dei diritti di extraterritorialità dei cittadini italiani 1• 3) Accordo con il governo di Nanchino del 29 marzo 1943 circa la rinuncia ai diritti amministrativi nel quartiere delle legazioni di Pechino 2 . 4) Accordo con il governo di Nanchino del 24 luglio 1943 circa la rinuncia dei diritti amministrativi nella concessione internazionale di Shanghai 3 .

Vi è stato poi un accordo tra lo pseudo governo fascista repubblicano ed il governo di Nanchino del 15 luglio 1944 circa la retrocessione della nostra concessione di Tientsin e la rinuncia ai diritti di extraterritorialità ed al mantenimento di guarnigioni in Cina.

La concessione in parola è pertanto -di fatto -già retrocessa ed amministrata dai cinesi, mentre i nostri connazionali sono sottoposti alla giurisdizione cinese anche per effetto del provvedimento emanato nel dicembre 1944 dal governo di Chung King (comunicato al governo italiano solo nel maggio u.s.) che stabilisce la sottomissione dei cittadini italiani residenti nel territorio cinese alle leggi cinesi ed alle consuetudini internazionali.

L'atteggiamento dell'Italia democratica verso il governo nazionale cinese è stato d'altra parte chiaramente espresso nella dichiarazione del Consiglio dei ministri del 18 gennaio 1945 e nel comunicato del ministero degli Esteri del 17 maggio 1945, portati a conoscenza del ministro di Cina presso la Santa Sede il 15 febbraio ed il 17 maggio 1945, di cui si unisce il testo in allegato 4•

In tale stato di cose, il governo italiano non ha evidentemente nulla in cantrario a che la situazione derivante dagli anzidetti accordi italo-cinesi venga confermata nei riguardi del governo di Chung King secondo modalità da concordarsi. Sembra tuttavia anche conveniente di evitare -data l'attuale congiuntura internazionale -che le concessioni già spontaneamente fatte da parte italiana possano apparire, eventualmente anche nel trattato di pace, come imposte dalla Cina vittoriosa.

1 Vedi serie nona, vol. IX, DD. 486 e 497. 2 Vedi serie nona, vol. X, D. 179. 3 Ibid., D. 549. 4 Vedi DD. 62 e 204.

In quest'ordine di idee, ed anche in relazione a delle notizie-per ora generiche -di richieste di riparazioni che la Cina avrebbe intenzione di· avanzare nei riguardi del nostro Paese, la prego d'intrattenere opportunamente codesto ambasciatore di Cina, confermando, se del caso, le favorevoli disposizioni del governo italiano ad una formale definizione della situazione innanzi descritta nel quadro degli attuali amichevoli rapporti italo-cinesi ed anche in conformità delle dichiarazioni di collaborazione e di solidarietà fatteci dal maresciallo Chang Kai-Shek.

La prego di informarmi con cortese sollecitudine dell'esito della sua conversazione 1•

587

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 11247/1346. Washington, 29 settembre 194Y.

Mi riferisco al mio telegramma per corriere n. O135 del 17 corrente3 relativo alla comunicazione verbale fatta a questa ambasciata dalla locale rappresentanza del Messico circa la costituzione del nuovo governo repubblicano spagnolo ed il suo desiderio di essere riconosciuto dall'Italia.

Il 27 corrente è venuto a vedermi il signor Fernando de los Rios, ministro degli Esteri di detto nuovo governo spagnolo presieduto da José Girai (democratico, repubblicano di sinistra), giunto qui dal Messico per cercare contatti col governo americano. Ha incominciato col domandarmi se avessi ricevuto, a mezzo del ministero degli Esteri messicano, comunicazioni sue che, in succinto, mi raccomandavano di domandare a Roma il riconoscimento del nuovo governo di Città di Messico che spera di succedere al regime di Franco con l'eventuale appoggio delle grandi democrazie. Gli ho risposto di no: come è, infatti, noto l'ambasciata messicana si era limitata a chiedere, confidenzialmente, quale fosse al riguardo il parere del governo italiano. I documenti, di cui de los Rios mi manderà copia che trasmetterò, fanno appello ai sentimenti di amicizia italo-spagnoli, all'utilità di liquidare un tristo passato (col fascismo contro il popolo), alla necessità di formare una salda intesa democratica tra latini di Europa e connessa a quella, pure in via di formazione, tra i latini d'America.

Ho detto al ministro, che conosco da molti anni, la simpatia dell'Italia liberata per una Spagna che riprenda il suo posto tra le democrazie europee: che l'Italia ha un ambasciatore a Madrid -presso Franco -ed è impedita, nella sua libertà d'azione internazionale dai legami del trattato di armistizio. Lo ho assicurato che avrei riferito a V.S. per dare al governo italiano il modo di esaminare e decidere, quando sia il momento propizio, sulla questione.

De los Rios mi ha detto che Bidault gli aveva dato piene assicurazioni sull'atteggiamento della Francia, la quale, se le prossime elezioni non muteranno fonda

1 Per la risposta vedi D. 719, nota 2 e D. 739. 2 Manca l'indicazione della data di arrivo. 3 T riservato per corriere 9310/0135, non pubblicato.

mentalmente l'attuale rappresentanza politica, riconoscerebbe e sosterrebbe il governo spagnolo di Messico. In caso di mutamenti, de las Rios crede che Blum e i socialisti prenderebbero il potere; in tal caso le simpatie francesi per il governo spagnolo in esilio sarebbero anche più accentuate.

Ho domandato a de las Rios spiegazioni sulla formazione del nuovo ministero a Messico e perché ne fossero assenti Prieto, Negrin e i comunisti. Mi ha risposto che Prieto non ha voluto entrare nel governo perché è malato (tuttora all'ospedale a New York ave ha subito un'operazione) e perché non vuole avere cariche pubbliche fino a che non sia in condizioni di rendere conto ufficialmente delle somme che ha asportate dalla Spagna nel 1938, e che ha amministrate e via via utilizzate, finora, a fini politici. Prieto ha dato tutte le assicurazioni di voler sostenere la nuova formazione ministeriale, di cui il suo partito (socialista) del resto fa parte. Quanto a Negrin, sostenuto dai socialisti dissidenti e dai comunisti, è avvenuto che -essendo egli sicuro di essere chiamato alla presidenza del consiglio, tanto che a Messico l'ambasciatore di Francia dette un pranzo in suo onore alla vigilia della costituzione del nuovo gabinetto -non ha creduto, anche per consiglio dei suoi seguaci e sostenitori, di accettare il posto di vice-presidente, sotto Girai. Negrin ha però dichiarato di non voler attaccare o insidiare, almeno nelle attuali circostanze, il governo in esilio. I comunisti, a quanto dice de las Rios, non vedrebbero di malocchio che un governo democratico, senza di loro, rompesse il ghiaccio della situazione statica franchista in Spagna.

Il governo rappresenterebbe novantaquattro deputati che sono al Messico e quarantanove che sono in Francia. Fa sforzi perché una parte di quelli di Francia (venti a venticinque) si trasferiscano a Città di Messico per rafforzarvi la compagine governativa e il prestigio di Girai. Rappresenterebbe anche la federazione democratica spagnola che all'interno tiene uniti tutti i partiti e le due confederazioni del lavoro (quella socialista e quella anarchico-sindacalista). Ne restano fuori i comunisti e i filo-comunisti fiancheggiatori. De las Rios mi ha detto che l'appoggio della suddetta federazione e quello delle grandi democrazie possono soli decidere della ricostituzione della repubblica in !spagna. Perciò i comunisti -sebbene assenti in questo periodo dalla coalizione non sarebbero ostili ad una soluzione repubblicana che non li ammettesse immediatamente nel governo, ma desse loro libertà di organizzazione nel paese.

A seguito dei noti sondaggi già effettuati pochi giorni or sono presso lo State Department sulla situazione spagnola, ho approfittato di una lunga conversazione avuta ieri coll'influente direttore generale degli Affari Politici, per domandargli la sua opinione anche sulla attuale posizione di Franco e sugli intendimenti del governo americano verso quest'ultimo ed il nuovo governo repubblicano spagnolo futuro. Va rilevato che il 26 corrente era stata resa pubblica dall' Acting Secretary of State Acheson una lettera indirizzata da Roosevelt ad Armour, ambasciatore degli Stati Uniti a Madrid, nella quale il defunto presidente affermava «di non veder posto nella comunità delle Nazioni per un regime spagnolo basato su principi fascisti» (si confronti telespresso a parte) 1: pubblicazione probabilmente da porsi anche in connessione colla visita qui di de las Rios e cogli approcci da lui fatti. Ho cominciato pertanto col chiedere ragguagli in proposito al signor Matthews. Egli mi ha detto che la lettera è stata pubblicata per mostrare chiaramente che

1 Telespr. 11250/1349 del 29 settembre, non pubblicato.

indipendentemente dalle richieste e pressioni sovietiche-gli Stati Uniti consideravano e considerano il governo di Franco come incompatibile con i principi democratici delle «quattro libertà». Armour, seguendo le istruzioni di Roosevelt ha fatto il possibile per indurre il ·caudillo a migliorare radicalmente il suo sistema di governo, ma non è riuscito che ad ottenere riforme insignificanti.

Il governo americano desidera la fine dell'attuale situazione in !spagna, ma non è ancora in grado di minacciare fermamente -da solo -o di mettere in opera sanzioni economiche. Sa che né l'Inghilterra, né la Francia (che ha grandi interessi in comune con la penisola iberica) lo seguirebbero. Quindi ha adottato una tattica di temporeggiamento pur continuando a premere perché Franco si risolva ad andarsene, preparando una successione. Bevin non spinge neppure le cose, perché teme che la Spagna ripiombi nel caos o nella guerra civile. Si è parlato, da parte inglese, di una soluzione monarchica che potrebbe essere matura tra due anni, ma non si agisce in quel senso con sufficiente convinzione e fiducia. Tutto è fluido e Franco non ha successore.

Il governo di Messico? È composto di persone per bene che godono la stima dello State Department per il loro spirito democratico e le loro buone intenzioni. (Sembra che lo State Department apprezzi particolarmente l'assenza di Negrin e dei comunisti dalla combinazione). Ma nessuno sa-neppure loro stessi sebbene siano molto ottimisti -quale sia la loro vera influenza nel paese e quale seguito reale abbiano. Il fatto è che Franco ha tuttora l'appoggio dell'esercito, della polizia, della Chiesa timorosa di disordini, di spargimenti di sangue, di pubbliche vendett~, di perdere posizioni acquisite o riconquistate.

Matthews intende come l'Italia abbia importanti interessi in !spagna e desideri essere in buone relazioni con l'eventuale governo che succederà a quello di Franco. In pratica però il suo consiglio è di soprassedere ad ogni decisione, perché il momento attuale non gli pare maturo per radicali mutamenti. È ovvio, in tesi generale, che il riconoscimento del governo spagnolo in esilio prima che rientri in patria, se le tendenze e le probabilità sono in tal senso, sarebbe utilissimo per le future relazioni ispano-italiane e per i nostri interessi. Sono peraltro del pari ovvie le difficoltà di vario genere che ostacolano un passo simile da parte del governo di Roma. Si tratta quindi in sostanza di una questione di tempestività, avendo la massima cura ad evitare di arrivare tardi 1 .

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IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. PERSONALE. Londra, 29 settembre 1945.

Penso che questa lettera mi precederà di pochissimo tempo, e meglio potrò quindi illustrarti a voce quel po' che c'è da dire, e che brevemente riassumo.

1 Per la risposta vedi D. 599.

Il «Consiglio dei Cinque» continua a trascinare faticosamente i suoi lavori, di giorno in giorno, preoccupato oramai non tanto di concludere qualche cosa di definitivo (al che ha rinunciato) ma di trovare una formula per sciogliersi senza mettere troppo in piazza il suo pressoché totale fallimento. Aggiungi che, paradossalmente, il contrasto palesatosi tra i due principali gruppi di contendenti su tutti gli argomenti venuti in esame, ha portato ad un allargamento del campo di discussione del Consiglio, probabilmente oltre il programma originariamente previsto: per evitare infatti il definitivo impantanamento della Conferenza su di una determinata questione, gli anglo-americani hanno continuato a spostare la discussione su nuovi argomenti, nella vana speranza di trovare almeno in qualche parte un terreno di possibile intesa, e riuscendo solo a constatare la totalitarietà del disaccordo.

Si tratta di vedere ora se e come i Cinque riescano almeno a mettersi d'accordo per l'attività da svolgere nel periodo intermedio tra la presente e la prossima sessione, e in particolare sui compiti da devolvere ai delegati supplenti. Dalle eventuali decisioni che i ministri degli Esteri riusciranno a prendere al riguardo prima di separarsi e rientrare alle rispettive capitali, dipenderà evidentemente in notevole misura anche la nostra propria linea di azione.

Per quanto ci concerne l'unica cosa relativamente concreta é la progettata costituzione di una commissione che dovrebbe studiare il problema della nuova frontiera italo-jugoslava e l'avvenire del porto di Trieste. Appunto perché questo è uno dei pochissimi argomenti sui quali, almeno dal punto di vista procedurale, i Cinque sono nusciti a mettersi d'accordo, è da prevedere che su di esso verrà polarizzata l'attenzione nelle prossime settimane. Ma si avrà una commissione unica? Oppure avremo una serie di commissioni individuali, una per ciascuna delle cinque Potenze? E come verrà composta? E come opererà? Tutto ciò è ancora indeciso per quanto Dunn, il delegato supplente americano, abbia già annunciato a Visconti che egli conta trasferirsi prossimamente in Italia in relazione appunto allo studio della questione italo-jugoslava.

Del tutto incerta è poi la situazione in fatto di colonie, riparazioni e disarmo. In tali questioni, a differenza della questione giuliana, non siamo neppure stati interpellati. Ostensibilmente sappiamo solo, per averlo detto i comunicati ufficiali, che gli argomenti sono stati trattati: in via riservata sappiamo qualche cosuccia di più, ma anche così siamo solo approssimativamente al corrente dei termini precisi in cui i problemi sono stati posti e discussi. Inoltre -anche qui a differenza di quanto già deciso per la questione giuliana -non è ancora chiaro se anche per questi problemi si pensa di designare una commissione, oppure se si avranno semplicemente degli ulteriori scambi di opinioni tra i delegati supplenti, oppure se le singole delegazioni elabor-eranno, ciascuna per proprio conto, degli ulteriori progetti.

Tutta questa incertezza ha sino ad oggi completamente paralizzato la nostra azione qui a Londra. Vorrei aggiungere che forse non ci si è resi conto a Roma di quale sia realmente la nostra situazione. Nonostante la buona volontà dimostrata dagli inglesi nel facilitare l'invio degli «esperti», di fatto ci troviamo quasi in quarantena. Vi è la probabilità che la situazione si «scongeli» e che ci sia dato il modo di «attaccar discorso»? È quello che io non dispero e che sapremo forse nei prossimi giorni, e che mi ha indotto a rinviare di qualche giorno il mio rientro.

Per la Venezia Giulia non è stato tanto male. Come già ti scrissi 1 , ho già avuto modo di prendere contatto, assistito dai miei «esperti», con il Research Department del Foreign Office. Senonché quando abbiamo cercato di fare lo stesso con gli esperti americani, Dunn, interpellato al riguardo da Visconti, ha cortesemente declinato il suggerimento: sarebbe stato felice, egli ha detto, di ricevere qualsiasi appunto scritto; ma degli scambi di vedute vere e proprie, qui a Londra, tra la delegazione americana e gli «esperti» italiani, anche se presi a titolo personale, si sarebbero potuti prestare a interpretazione che doveva assolutamente evitare. Domani Visconti dovrebbe parlare con Couve, e vedere di indurre lui ad autorizzare la presa di contatto tra noi e gli esperti francesi; spero anche di indurre Visconti a ritornare all'attacco con Dunn. Ma vedi bene che la cosa non è semplice.

Ancora più insoddisfacente la situazione per gli altri argomenti che ci riguardano. Cadogan, al quale l'ambasciatore si è indotto a porre la questione, si è dichiarato disposto ad autorizzare una presa di contatto di Cerulli con l'ufficio competente del Foreign Office. Vedremo cosa ne vien fuori e sopratutto se il colloquio offrirà prospettive di ulteriori sviluppi. In fatto di disarmo e riparazioni siamo ancora in altissimo mare e sono indotto a credere che ci sarà ben poco da fare in questa fase.

Questa ad ogni modo la situazione odierna, e che ho voluto· brevemente illustrarti per spiegare la nostra relativa inattività e la nostra incertezza. Personalmente insisto nel ritenere che dobbiamo fare tutto il possibile per stabilire il principio e la prassi di uno scambio di vedute anche in sede tecnica tra noi e i «Cinque». I prossimi giorni potranno forse indicare se ciò sia possibile e come meglio sia realizza bile.

589

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 846/374. Mosca, 30 settembre 1945 (per. il 18 ottobre).

Telespresso di V.E. n. 9833/c. del 14 giugno u.s. 2• Ringrazio V.E. per avermi trasmesso l'interessante appunto redatto dall'Ufficio I della D.G.A.P.

La nostra politica estera ha oggi un compito immediato: quello di liquidare al meno peggio possibile le conseguenze della guerra perduta. Una volta esaurito questo, dobbiamo cercare, evidentemente, di rimettere in piedi l'Italia, sia all'interno che all'estero. Noi, come non lo siamo mai stata per il passato, così, per un avvenire almeno prevedibile, una grande Potenza, nel senso vero della parola, non lo saremo mai: non saremo mai, cioè, in grado di foggiare noi la grande politica: ne deriva

I Vedi D. 569.

2 Non pubblicato: comunicazione alle rappresentanze a Mosca e Parigi di un appunto di Anzilotti dell'8 giugno sulla situazione in Medio Oriente.

che il problema per noi di prima importanza è quello di comprendere la politica

degli altri e di valutare esattamente il valore delle forze in presenza per vedere di

riuscire, qualora una nuova guerra sia inevitabile, a restarne fuori -dopo che due

guerre consecutive ci hanno mostrato cosa significa cacciarsi, non richiesti, nelle

lotte altrui -o qualora questo dovesse essere proprio impossibile, per non sbagliarsi · nella valutazione della potenza dei principali contendenti.

L'orizzonte della nostra politica estera è stato sempre provincialmente ristretto.

Abbiamo conosciuto l'Europa e nemmeno quella tutta, perché, per esempio, la

Russia è stata sempre per noi terra incognita: ma il resto del mondo, eccetto qualche

tentativo nel Vicino Oriente, è sempre stato fuori del nostro angolo visuale. Questo

voler fare della politica di grande Potenza mondiale senza conoscere e senza voler

conoscere il mondo è stata una delle cause, non ultima, del nostro fatale errore di

apprezzamento della situazione nel giugno del 1940, e degli errori anche più grossi

che sono stati commessi nella condotta della guerra. Bisogna dire, per la verità,

che i tedeschi ne hanno capito anche meno di noi. La politica è, oggi, mondiale

assai più che europea: e per una valutazione effettiva delle forze in presenza e dello

sviluppo delle grandi linee della politica, Kabul, Bangkok o Bogotà sono altrettanto

importanti, come posti di osservazione, quanto Atene o Belgrado. Se noi non ci

mettiamo bene in testa questo principio e non modifichiamo in relazione la menta

lità del ministero degli Esteri, dei suoi funzionari e di tutta la classe politica italiana,

andiamo incontro allegramente a nuovi disastri.

In questo momento la sistemazione dell'Europa è ancora al centro dell'atten

zione mondiale. Ma questa acerba lotta di interessi in Europa non deve crearci

delle illusioni. È un nuovo periodo della storia di Europa che si apre -intendendo

Russia e Gran Bretagna come fuori dell'Europa, il periodo dell'Europa oggetto di

politica coloniale.

Coll'occupazione della Ce~oslovacchia, Hitler ha fatto una scoperta, per noi

tutti, fatale. Ha mostrato che è possibile farsi delle colonie in Europa. Hitler ha

fallito nel suo piano di trasformare tutta l'Europa in un impero coloniale germanico,

ma i suoi vincitori stanno, in questa come in molte altre cose, copiando la sua politica,

ritenendo, con altri sistemi, di poter riuscire là dove lui ha fallito. Ma la sistemazione

e la spartizione dell'Europa non è che un preludio per la lotta vera che già si sta

ingaggiando nel Vicino Oriente e in Asia. Le poste in gioco sono grandi, si tratta dei

Paesi arabi, dell'India, della Cina, con tutto quello che esse rappresentano come

riserve di materie prime, masse di popolazioni, possibilità strategiche.

In questa lotta mondiale l'Inghilterra, in linea di massima, è in posizione

difensiva: essa cerca di difendere come può le posizioni che ha: le Potenze coloniali

minori -Francia, Olanda, Belgio -dovrebbero, logicamente almeno, accodarsi a

lei in questo sforzo di conservazione. L'America appare incerta ancora: da una

parte essa vorrebbe togliere di mezzo la posizione privilegiata inglese -e delle

altre Potenze coloniali -ritenendo in un regime di «porte aperte», di avere una

maggiore possibilità per la sua espansione economica e politica: dall'altra essa teme

che una volta eliminate le attuali Potenze coloniali, lo sconquasso che ne seguirà

possa essere più grande di quanto attualmente sia possibile prevedere, e che, per la

sua potenza, per il suo prestigio, per la sua stessa posizione geografica la Russia

abbia la possibilità di sostituirsi, in una forma o in un'altra, alle antiche Potenze

dominatrici. Queste due diverse tendenze spiegano, a mio avviso, alcune contraddi

zioni della politica americana. È probabilmente da attribuirsi a questo timore della espansione russa l'evoluzione dell'atteggiamento americano sulla questione del trusteeship, favorevole all'«indipendenza» come scopo finale alla Conferenza di Crimea, favorevole al self-government a San Francisco.

La posizione della Russia, di fronte a tutto il mondo coloniale e semi-coloniale, è stata una posizione privilegiata. Essa ha in suo favore la mancanza di una politica razzista, nel senso lato della parola, come osserva molto giustamente l'autore dell'appunto, ed ha ancora più in suo favore la politica seguita nei primi anni della rivoluzione. Si è ora costituita due altre posizioni di vantaggio potenziale: la nuova politica religiosa che può far cadere, in parte almeno, l'opposizione di principio di tutti gli elementi attaccati ai principi religiosi, elemento ancora forte in tutto questo mondo; la nuova costituzione che, se si svolgerà secondo le sue linee naturali, può permettere alla Russia di fare domani la sua politica orientale, specie nei Paesi limitrofi, in nome di Tashkent e di Baku, invece che in nome di Mosca. Ma, contro questa posizione di vantaggio, sta oggi il sospetto gettato dalla sua politica imperialista in Europa.

Nel 1942 Italia e Germania pubblicarono una dichiarazione circa l'indipendenza dell'Egitto 1• Comunicandola al ministro degli Affari Esteri di Afghanistan, questi mi chiese se poteva dirmi francamente il suo pensiero in proposito: a mia risposta affermativa mi disse: «come vuole che noi ci crediamo: abbiamo visto cosa è stato fatto in Cecoslovacchia ed in Grecia, come possiamo credere che voi realmente intendete procedere differentemente in Egitto». I popoli orientali sono più intelligenti, e in un certo senso, meno «propagandabili» di quanto generalmente si crede ed hanno anche essi la loro logica. Ora l'atteggiamento della Russia in Europa comincia a destare in Oriente qualche apprensione. Ci potrà essere nell'interpretazione che generalmente si dà della politica russa nella sua zona d'influenza europea, una forte dose di malinteso, ma è certo che, oggi, essa non è tale da imprimere fiducia nei Paesi che hanno il privilegio di confinare con la Russia. E certi atteggiamenti della politica russa: la questione dei distretti orientali della Turchia, delle concessioni petrolifere in Iran, la questione dell'evacuazione dell'Iran ed altre che, se non ancora poste sul tappeto, sembrano profilarsi all'orizzonte, non sono tali da far ritenere che la politica futura della Russia in Asia sia molto differente dalla sua politica in Europa.

Come ho già ripetuto col mio rapporto n. 525/224 del 20 luglio c.a. 2 la mia impressione è che la politica russa in Asia, eccezion fatta forse -fino ad un certo punto -per la Turchia, non è ancora perfettamente definita. Si esita, cioè, fra la politica «tradizionale» di fronte ai popoli coloniali e semi-coloniali, e la nuova politica di espansione imperiale. Se la Russia avrà l'intelligenza di rinunciare a vantaggi immediati politici e territoriali a spese dei suoi vicini orientali per riprendere la sua antica politica di avvocato della indipendenza dei popoli dell'Oriente e dell'Asia, coll'assenza della barriera di colore, col suo prestigio, con la sua forza militare immensa e presente, colla sua crescente potenza economica, essa può facilmente, e direi quasi fatalmente diventare il fattore politicamente più importante in tutto l'Oriente dall'Egitto al Mar Giallo. E tutto quello che può tentare di fare l'Inghilterra per conservare, in parte almeno, le sue antiche posizioni-e le Potenze

1 Vedi serie nona, vol. VIII, D. 656. 2 Vedi D. 352.

coloniali minori al seguito dell'Inghilterra -e tutto quello che può fare l'America per sostituirsi ad esse, con metodi e forme diverse, è ben poca cosa di fronte a quello che può fare la Russia. Se la Russia invece preferirà la politica dei vantaggi immediati, data la reazione che si va già delineando, è da prevedere che il Paese che si troverà nella situazione potenzialmente migliore nella lotta d'influenza sul mondo orientale sono piuttosto gli Stati Uniti.

Un quadro effettivo della situazione in Oriente-Vicino, Medio ed Estremo -delle correnti politiche che vi dominano, degli effetti della guerra non si potrà averlo che il giorno in cui noi avremo sul posto degli agenti diplomatici e consolari intelligenti e cogli occhi aperti. Intanto però mi sembra già possibile fare qualche previsione di carattere generale.

Il mondo che già fu coloniale si avvia verso forme sempre maggiori di indipendenza. Adopero questa frase restrittiva in quanto oggi, con i mezzi moderni di guerra che solo una organizzazione economica ed industriale di primo ordine può dare, ci sono solo due Paesi realmente indipendenti: gli Stati Uniti e l'U.R.S.S. Non è lontano il giorno in cui l'Egitto e la.Siria, per esempio, saranno altrettanto indipendenti quanto lo potrà essere l'Italia. Le vecchie Potenze coloniali hanno, come tali, i loro giorni contati. La guerra, che ha devastato ed impoverito l'Europa al di là di ogni misura, ha lasciato praticamente intatto il Medio ed il Vicino Oriente: ha anzi provocato uno spostamento di ricchezze verso l'Oriente, difficile ancora a valutare esattamente, ma comunque assai considerevole. L'effetto deleterio della propaganda reciproca ha dato l'ultimo colpo al prestigio dell'Europa. La crisi del dopo guerra, che senza dubbio sarà più profonda e più lunga di quella, già grave, che seguì all'altra guerra, farà il resto.

Al posto delle vecchie Potenze coloniali, con i loro metodi classici, se ne avanzano delle nuove, con metodi nuovi: l'America e l'U.R.S.S. Contese, rivalità, cecità delle vecchie Potenze coloniali aiuteranno questo movimento. Prendiamo ad esempio quello che sta accadendo in Siria; logicamente l'Inghilterra avrebbe dovuto appoggiare la Francia, poiché i suoi interessi sono solidali. Per un complesso di ragioni, non ultima la speranza, per me molto fallace, di riuscire a creare una federazione araba contro una espansione russa verso il sud (credo alla federazione araba, non credo alla sua funzione di barriera) ha fatto esattamente il contrario.

U.R.S.S. e Stati Uniti l'hanno, naturalmente, appoggiata. La Francia è stata battuta: Siria e Libano avranno la loro indipendenza completa: momentaneamente è una vittoria inglese: gli arabi applaudono all'Inghilterra, ma poi? Iraq ed Egitto domanderanno l'abolizione delle posizioni privilegiate inglesi. Stati Uniti e U.R.S.S. li appoggeranno. Cosa dovrà fare l'Inghilterra? O cedere, con le conseguenze che questo comporta, o cercare di mantenere le sue posizioni le armi alla mano. Sarà questo possibile di farlo di fronte all'opposizione dei grandi alleati e di fronte anche a quella vaga, ma diffusa, stanchezza d'impero che ha fatto tanta strada in Inghilterra? Permetteranno le risorse inglesi, stremate dalla guerra, di sopportare le spese di una simile politica? Alla fine dell'altra guerra l'Inghilterra aveva realizzato il massimo dei suòi sogni imperiali: aveva occupata tutta la Persia, una buona parte della Asia centrale russa, del Caucaso: uno sforzo economico-militare non eccessivo le avrebbe permesso di mantenere e di consolidare le sue posizioni. La stanchezza del popolo inglese, il problema delle spese l'hanno obbligata a rinunciare: è lecito supporre che questa crisi del dopo guerra sarà oggi minore? Mi sembra difficile l'affermarlo. La Francia non si è ancora ritirata dalla Siria ed ecco l'America farsi avanti con una serie di «concessioni» (vedi mio rapporto n. 597/263 del 6 agosto c.a.) 1 assicurarsi delle posizioni che, oltre a darle una forte base in Siria rafforzano le possibilità della sua politica, per ora petrolifera, nell'Arabia Sa udita.

Una seconda tappa è rappresentata dalle colonie italiane prefasciste. Logicamente -e intelligentemente -l'Inghilterra, la situazione internazionale non permettendole di prendersele per sè, avrebbe tutto l'interesse a che esse fossero mantenute all'Italia: non differente sarebbe l'interesse francese. Che la Russia abbia la sua parte nel trusteeship delle ex colonie italiane, ed eccole una magnifica piattaforma di propaganda pratica ed a buon mercato, peggio ancora se le sarà affidato il mandato per una delle nostre colonie. Ma quali saranno le conseguenze di questa propaganda nelle colonie inglesi e francesi viciniori? È facile immaginarlo.

La guerra di Estremo Oriente è appena finita e già assistiamo alla lotta per l'eliminazione delle antiche Potenze coloniali. L'America ha promesso l'indipendenza alle Filippine e lo sta mettendo in pratica, la Cina, appoggiata dall'America, e dall'U.R.S.S. probabilmente, si «interessa» all'Indocina, cinesi ed americani vi entrano prima dei francesi: già si prevedono e si verificano movimenti nazionalisti contro i francesi. Si sentono in aria piani vari per quanto concerne l'impero coloniale olandese, la cui sostanza è però una sola: eliminare, di fatto se non di diritto, l'Olanda dalle sue posizioni imperiali.

O prendiamo il problema dell'India. Può forse l'Inghilterra esimersi, a lungo andare almeno, dall'accordare all'India lo statuto di Dominion, di fronte alle pressioni degli Stati Uniti, dell'U.R.S.S., della Cina, delle masse indiane, di una parte considerevole della sua stessa opinione pubblica? Certamente no. Potrà cercare di rimandare, cercare nuove formule ma presto o tardi, dovrà cedere. Dapprincipio lo statuto di Dominion potrà non sembrare un gran cambiamento. Successori dei governatori inglesi saranno i Nehru, i Jinnah, i Sapru: tutta gente che ha lottato, si, contro l'Inghilterra, ma che entro certi limiti sono nell'orbita spirituale inglese. Ma i Nehru, i Jinnah, i Sapru, Gandhi stesso sono già, in India, delle personalità politiche superate: per poco che l'India si rimetta sulla strada del self-government e li vedremo sostituiti da elementi famelici, fanatici gli antichi seguaci di Chandra Bose o di Roy che coll'Inghilterra non hanno più niente in comune. Nella migliore delle ipotesi si avrà in India la stessa evoluzione che ha avuto l'Irlanda da Cosgrave a de Valera, ma non è nemmeno da escludere il distacco completo. Può essere che sia esatto che gli indiani non sono in grado di governarsi da sè -la mia esperienza degli indiani mi fa pensare che essi lo siano almeno tanto quanto i greci o i bulgari -ma ad ogni modo gli indiani vorranno fare la loro esperienza, sia che continuino ad avere una India unita, sia che abbiano un Pakistan e un Industan e magari un cérto numero di altri stan. Può essere che l'esperienza sia disastrosa, ma è pure dubbio che, in questo caso, saranno gli inglesi ad essere chiamati a ristabilire l'ordine. E intanto durante la guerra le posizioni economiche inglesi in India hanno avuto un colpo gravissimo. .

Sarebbe troppo lungo continuare questa analisi per tutti i punti principali del mondo coloniale. Per me, possiamo considerare ormai come un fatto che tutto il vecchio sistema coloniale ha i suoi giorni contati e che in breve ordine di anni Io vedremo sostituito dai nuovi sistemi coloniali degli Stati Uniti e della Russia. Resta

l Non pubblicato.

794 a vedere se, all'atto pratico, i nuovi sistemi coloniali avranno la solidità e la forza di resistenza degli antichi. Vedere, in una parola, se questo Oriente che si risveglia, di fronte ad un Occidente che decade, ha in sè, individualmente e nel suo insieme, forze e capacità sufficienti da arrivare a trasformazioni del suo status che vadano più in là di un cambiamento di metodi e di padroni.

Di fronte a questo immenso problema quale deve essere la posizione dell'Italia? specialmente di un'Italia che, a quanto si può prevedere, non sarà più una Potenza coloniale nemmeno di secondo o terzo ordine. Prima di tutti funzione di attenta osservatrice. Un'Inghilterra che non abbia più, realmente, né India, né Egitto ad esempio -rappresenta nel mondo, evidentemente, qualche cosa di ben diverso dall'Inghilterra di oggi o di ieri. E ben differente può essere il peso relativo nel mondo di domani, dell'America e dell'U.R.S.S. a seconda che, con i loro nuovi sistemi, riesca loro di sostituirsi alle vecchie Potenze coloniali e dove e in che misura. E ben differente deve essere l'apprezzamento dell'importanza dei nuovi spostamenti imperiali, a seconda che i popoli coloniali o semicoloniali accetteranno passivamente questo cambiamento di padroni, oppure se lo accetteranno come una tappa, come un miglioramento della loro situazione attuale in vista di ulteriori sviluppi a loro favorevoli. Egualmente importante sarà il farsi un giudizio esatto delle possibilità dei nuovi sistemi. Già questo sarebbe di per se stesso un compito non molto facile, poiché bisognerà guardarsi da considerazioni superficiali e dal perdurare di antichi pregiudizi. Ma non è semplicemente come osservatrice passiva che io concepirei fa funzione dell'Italia. Sebbene l'espressione possa sembrare un paradosso, la sola politica estera che sarà possibile e utile all'Italia, per qualche anno almeno, sarà quella di non avere una politica estera, almeno nel senso classico della parola.

Se io ho ragione nel ritenere -a questo solo un'osservazione accurata sul posto può darci una risposta -che il periodo coloniale è finito, l'Italia, non più Potenza coloniale, e non più Potenza che può nemmeno sognare di crearsi un impero, nel senso tradizionale della parola, deve, fra le prime, adattarsi alla nuova situazione. Ci si deve adattare economicamente. Nei contatti che ho avuto a Mosca con elementi di questo mondo coloniale ho sentito, dall'Egitto alla Cina, una tendenza comune: svilupparsi economicamente, industrializzarsi. Contano, per questo, sull'America, ma temono -vorrei dire sanno -che questa è pronta ad aiutarli ad industrializzarsi in certi determinati rami che vuole lei e che non sempre sono quelli che vorrebbero i paesi interessati.

La nostra industria pesante è stata indirizzata prevalentemente a scopi bellici: è dubbio se ci sarà lasciata, è ancor più dubbio se essa è economicamente vitale. Noi dovremmo, per esempio, tendere a trasformarci in Paese produttore di macchine. In una macchina moderna il valore delle materie prime è minimo: la nostra inferiorità, quindi, in questo campo conta ben poco: sono invece necessari tecnici ed operai abili e capaci e questi, o li abbiamo, o dovremmo essere in grado di procurarceli. Il giorno in cui saremo capaci di produrre almeno molte delle macchine di vario tipo che si desidera, non avremo grandi difficoltà ad avere in cambio materie prime, valuta, tutto quello che vogliamo. Il nostro commercio tradizionale d'Oriente, i tessili, non ha più chances se non per qualche prodotto di lusso. L'avvenire economico è per i Paesi produttori di macchine e di tutti quei prodotti la cui produzione richiede una preparazione tecnica, scientifica che non si può improvvisare. Il nostro avvenire economico dipende dal fatto se noi possiamo renderei conto di questa trasformazione del mondo e adattarcisi a tempo.

Questa nostra attività economica dovrebbe restare strettamente economica e non politica. Il nostro esempio dovrebbe essere la Cecoslovacchia dell'anteguerra che, in tutto l'Oriente, ha saputo fare degli affari ed assicurarsi una posizione infinitamente superiore alla nostra, appunto perché faceva degli affari soltanto e non della politica. Se noi ci attrezziamo convenientemente per questa funzione e la svolgiamo seriamente, onestamente, con intelligenza e capacità per un certo numero di anni, il suo sviluppo potrà, alla fine, anche essere politico, ma sarà allora una politica solida, concreta; non una politica del passo più lungo della gamba che abbiamo fatto per tanti anni.

Noi dovremmo anche organizzarci per diventare, per questi Paesi, un centro culturale; le nostre scuole, le nostre università, i nostri istituti scientifici sono, in molti rami, assai indietro in paragone a quelli delle altre maggiori nazioni del mondo. Ci siamo specializzati nel mandare in giro dei propagatori dell'<mniversità di Roma» che non interessa nessuno. Ma è da sperare che il problema di rimettere in piedi la nostra vita culturale sarà affrontato e in qualche modo risolto. Se sarà così, anche in questo campo si aprono per noi delle interessanti possibilità, poiché, a parte la vicinanza geografica, per ragioni di clima, di sistemi di vita e molte altre, uno studente arabo o persiano può trovarsi molto più a casa sua in Italia che non in Inghilterra o in America.

Noi abbiamo fatto in questi Paesi, per alcuni anni, una politica di grande Potenza imperiale che è andata a finire in modo disastroso. Dovremmo tentare ora una politica di collaborazione nel campo culturale ed economico, seria, dignitosa, senza esagerazioni in un senso od in un altro; una collaborazione seriamente misurata alle nostre possibilità ed ai nostri interessi, silenziosa, senza inutili réclames, vanterie, programmi. Una politica senza politica, vorrei dire, ma che se fatta seriamente può, in un certo numero di anni, crearci realmente una situazione solida.

Noi siamo, oggi, a terra, questo è fuori dubbio. Ma gli orientali che, spesso, vedono più lontano e più profondo di noi, non ritengono che noi siamo a terra definitivamente. Essi hanno già fatto un esame di quello che nel nostro passato recente c'era di gonfiato e quello che c'era di solido e tendono a pensare, a mio avviso, che noi potremo tornare a contare qualcosa. Il nostro prestigio di Potenza militare, quello è andato e, temo, per un periodo assai lungo: ma questo può essere non del tutto un male; ma non c'è nessuno di loro che creda o pensi che l'Italia ha per sempre cessato di esistere. E può essere che l'Italia senza colonie, meno aggressiva, meno presuntuosa, ma più seria, possa trovare quelle simpatie solide che in passato non siamo riusciti ad avere.

Ma questa nostra politica orientale va fatta con molta cautela poiché si tratta di marciare su di un terreno pieno di trappole. Quale che sia la sistemazione che troverà l'Oriente nell'immediato dopo-guerra, ci saranno senza dubbio torbidi, agitazioni, sullo sfondo di un desiderio generalmente diffuso di indipendenza completa. In una situazione come questa, è più che probabile che qualcuno penserà all'Italia come possibile base di appoggio, specie se l'Italia, offesa da un trattato di pace duro, verrà considerata come un elemento potenzialmente ostile alle grandi Potenze dominanti: ci verrà chiesto aiuto finanziario, di propaganda od altro. La tentazione può essere forte.

Dato che il periodo coloniale è destinato a finire, e dato che noi non saremo più una Potenza coloniale io ritengo ci convenga piuttosto che questi Paesi vadano verso una indipendenza altrettanto completa quanto le circostanze lo permettono.

Ma dovremo lasciare che questo processo abbia luogo da sè, senza !asciarci trascinare dalla tendenza di aiutarlo, almeno fino a quando non avremo realmente i mezzi per farlo. E ce ne vorrà del tempo. Soprattutto bisogna che ci guardiamo dalla tentazione di appoggiare persone e movimenti che non hanno in realtà una base seria. Teniamo presente la lezione del nostro passato recente: quante speranze abbiamo basato, prima della guerra e durante, su persone o movimenti specie nel Prossimo Oriente, che, alla prova dei fatti, si sono mostrati una canna spezzata?

A noi manca, per l'Oriente, conoscenza profonda di uomini e di problemi, agenti seri, onesti, che conoscano lingua, situazioni, possibilità, che sappiano trattare cogli orientali, chiarezza di intenti, mezzi adeguati, percezione realistica di quello che si può fare e di quello che non si può fare. Non le abbiamo mai avute e senza questo non si può avere una politica orientale. Io credo che, nei limiti da me esposti, noi dobbiamo avere una nostra politica orientale, ma perché essa sia una realtà e non un'auto-illusione, come nel passato è necessario:

l) Uno studio, lungo, paziente, preciso di ogni Paese e delle sue speciali condizioni. 2) Una chiara percezione delle forze in giuoco, sia esterne che interne.

3) Organizzare adeguatamente il nostro Paese per un lavoro economico e culturale utile a tutte e due le parti, secondo le linee che lo sviluppo futuro di questi Paesi indichi come il più adatto.

590

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9376-9367/548-549. Washington, 1° ottobre 1945, ore 13,59 (per. ore 2 del 2).

Suo telegramma 6753 1 e mio 528 2 .

Nei giorni scorsi questa ambasciata ha continuato azione presso Dipartimento di Stato per eliminazione armistizio e per pace provvisoria, presentando anche al riguardo appositi promemoria. Influente direttore generale Affari Politici Europa Matthews (che ha partecipato conferenze Crimea e Berlino) ha assicurato testé che già studiava questione e ne avrebbe riferito a Byrnes. Sua opinione -a quanto egli ha detto -coincide con quella di Alexander e di Stone e di altri del Dipartimento nel senso che, ove tardasse conclusione trattato pace Italia debba essere liberata quanto più sollecitamente possibile del peso dell'armistizio e ricevere un onorevole ed elastico modus vivendi.

Ho poi oggi intrattenuto in merito sottosegretario di Stato reggente il quale mi ha dato anche egli analoga assicurazione. Acheson riconosce ampiamente che

l Vedi D. 566. 2 T. s.n.d. 8975/528 del 27 settembre, non pubblicato.

797 questione, gm m esame ... 1 di una pronta pace definitiva, torna ora sul tappeto come elemento di grande importanza sia ai fini sviluppo rapporti fra U.S.A. e Italia e sia per ricostruzione europea in generale. Egli ha tenuto sottolineare come

U.S.A. intendano pienamente necessità offrire all'Italia, nella mancanza di pace, almeno un assetto provvisorio che sia soddisfacente dal lato morale e politico e praticamente favorevole dal lato giuridico ed economico. Mi ha confermato infine che questione è ora allo studio della direzione generale Affari Politici Europei ed in particolare dell'ufficio Italia (il cui capo in precedente conversazione ci aveva assicurato suo più favorevole interessamento). Acheson avrebbe raccomandato sollecita definizione di tali studi. Ne avrebbe riferito a Byrnes al suo ritorno qui che è considerato ormai molto prossimo giacché ultime vicende conferenza Londra lascerebbero dubitare che, salvo novità dell'ultima ora, argomenti potessero avere colà utile trattazione.

Mentre non manco tener viva la questione col Dipartimento, mi riprometto parlarne col segretario di Stato al suo rientro in sede.

591

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9396-9385/658-659. Londra, Jo ottobre 1945 2 (per. ore 17,30 del 2).

Oggi alle 18 la Conferenza si raduna, salvo ulteriori imprevisti per l'ultima volta. In questi tre ultimi giorni il Consiglio dei cinque è stato dominato dal Consiglio dei Tre e nell'una e nell'altra sede non si è fatto che discutere sulla compilazione del protocollo e del comunicato che dovrà chiudere i lavori. Ieri le sedute si sono susseguite quasi ininterrottamente dalle 11 del mattino all'una di notte in una atmosfera di estrema tensione. I russi che all'aprirsi della conferenza avevano ammesso la presenza dei francesi e cinesi alle discussioni relative alle paci balcaniche respingono ora tale concessione che apre la via alla partecipazione dei Dominions; vogliono anzi che questo argomento sia cancellato dagli atti della conferenza e richiamano in proposito le deliberazioni di Potsdam che limitavano ai firmatari dell'armistizio ogni competenza in materia. La questione di procedura viene elevata a questione di principio ed in questi ultimi giorni ha costituito il centro di un insanabile conflitto e la ragione essenziale dell'imprevisto protrarsi dei lavori. Per quanto le probabilità siano considerate minime pare che la chiusura della Conferenza sia stata rimandata a stasera nella speranza che possano giungere da Mosca, all'ultima ora, istruzioni conciliative. Gli americani hanno sperato ottenere una flessione russa sulle questioni Mediterraneo e Balcani avviando a soluzione questione Commissione di controllo in Giappone, ma senza risultato.

I Gruppo indecifrato. 2 Inviato il 2 ottobre, ore Il ,20.

Comunicato che dovrebbe usc1re domani tenterà rimediare formalmente al pratico totale insuccesso conferenza ma impressione in tutti ambienti è quanto mai pessimistica. I russi hanno tentato in ogni modo dividere inglesi ed americani attaccando costantemente inglesi come responsabili paventato blocco occidentale e risparmiando intenzionalmente americani la cui iniziativa è stata peraltro completamente paralizzata.

592

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

0

TELESPR. 847/375. Mosca, ottobre 1945 (per. il 15).

Telespresso di V.E. n. 18783/c. 1•

Sono molto grato all'ambasciatore Carandini per avermi fatto conoscere il suo parere sul mio rapporto n. 477/196 del 6 luglio u.s. 2 . È evidente che la situazione mondiale appare differente se vista dai vari centri, specialmente quando si tratta di centri così differenti come Londra e Mosca, ed è molto utile, sia per i singoli ambasciatori, sia per il ministero che le principali questioni vengano esaminate e discusse sotto i vari angoli di vista.

È sotto questo punto di vista che, mentre mi riservo, con apposito rapporto, di spiegare per quali ragioni esiterei ad includere l'Inghilterra tra le Grandi Potenze per diritto proprio, ritengo dover precisare il mio pensiero sull'argomento dell'ingresso dell'Italia fra le Nazioni Unite: sebbene oggi la questione essendo ormai virtualmente decisa, ciò non abbia che un valore accademico.

Occorre, prima di tutto, fare una distinzione tra firma del trattato di pace ed entrata dell'Italia a far parte delle Nazioni Unite. Anche per quanto concerne il trattato di pace, parlando in termini di politica estera pura, ci sarebbe convenuto rimandare la questione al più tardi possibile, in quanto il tempo lavora in nostro

1 Telespr. 15/18783/c. del IO settembre, con cui veniva comunicato alle rappresentanze ad Ankara, Mosca, Parigi, Bruxelles, WashingtoR, Lisbona, Bucarest, Praga e Sofia un rapporto di Carandini del 17 agosto di cui si pubblica il brano seguente: «Tra i rapporti, chiari ed interessanti, dell'ambasciatore Quaroni ho trovato particolarmente utile quello comunicatomi con il telespresso surriferito. La conoscenza, con la maggiore approssimazione possibile, del pensiero russo nei nostri confronti, può risultare a mio avviso uno dei principali elementi per stabilire la nostra linea di condotta di fronte agli alleati anglo-americani ed ho l'impressione che in questo senso le informazioni comunicate dal R. ambasciatore a Mosca rappresentano un notevole contributo e vanno messe in relazione con il contenuto del mio telegramma n. 419. Mi pare di secondaria importanza se non posso convenire con Quaroni su alcuni dei suoi apprezzamenti, come quello concernente il titolo più o meno giusto dell'inclusione dell'Inghilterra tra le grandi Potenze "per diritto proprio"; giacché non vi è dubbio che l'Impero britannico come lo si vede da qui, è tuttora una grandissima cosa, che tutt'al più reciprocamente si integra con la Repubblica nord-americana. Per misurarne la vitalità basti pensare che in piena guerra si sono affrontate le elezioni e ci si permette, come se niente fosse di "cambiare i cavalli in mezzo alla corrente"».

2 Vedi D. 314.

favore. Specifico: l'Inghilterra tende a levarci le nostre colonie per toglierei delle posizioni che in mano di un'Italia più efficiente o di un alleato dell'Italia più perspicace dei tedeschi, possono dare agli inglesi dei fastidi assai seri. La Russia tende a toglierei, o almeno a neutralizzare, Trieste come base potenziale di un'azione politica ed economica nostra o altrui per nostro tramite, verso l'Europa centrale e danubiana. Qui ci troviamo di fronte a due direttive, direi quasi basilari, della politica russa ed inglese, derivanti dal corso della politica italiana fascista, ma anche pre-fascista (per quanto riguarda l'Inghilterra mi riporto ancora una volta ad un rapporto del marchese Imperiali, inviato da Londra nell'estate del 1920, poco prima della sua partenza, in cui, riferendosi alla politica del conte Sforza nel Vicino Oriente -in un momento nel quale noi di fascismo non parlavamo nemmeno-designava con spirito profetico le reazioni inglesi alla politica italiana durante la guerra e nel dopo-guerra e dove esse ci potevano portare) che il tempo può mitigare, ma non mutare del tutto. Anche questo è di grande importanza per noi. Ma ci sono altre questioni: riparazioni, limitazione delle nostre forze armate, forse della nostra economia, che derivando principalmente dal criterio della punizione, a mano a mano che il tempo passa, che si dimentica la nostra aggressione, che passa l'esaltazione della vittoria, vengono considerate con maggiore equanimità. Finché dura l'atmosfera punitiva è logico che, per ogni questione dubbia, si propenda a dar ragione al vincitore a danno del vinto.

Nella situazione in cui noi ci troviamo oggi, di oggetto di politica internazionale, nelle discussioni relative al trattato di pace si tiene conto non degli interessi dell'Italia, ma soltanto degli interessi delle grandi Potenze in Italia. Oggi la situazione generale è ancora troppo fluida perché questo elemento possa giuocare in pieno. Fra un anno, più o meno, l'Inghilterra, per esempio, potrebbe rendersi conto più di quello che non faccia oggi, che può convenirle non fare eccessivamente retrocedere l'elemento italiano di fronte all'elemento slavo nella Venezia Giulia, o che certe ex-colonie italiane sarebbero meno fastidiose in mano all'Italia piuttosto che lasciare che la Russia ci metta piede in una forma o nell'altra. La Russia stessa, sebbene questo sia meno probabile, potrebbe venire alla conclusione che l'Italia non è poi tanto una quantité négligeab/e e trovare che non mette conto di prenderla di punta per esempio anche nella questione delle colonie. Per ultimo ritengo che sia assai poco vantaggioso d'essere il primo Stato che firma il trattato di pace. L'abbiamo già sperimentato in sede d'armistizio. Il nostro trattato d'armistizio è, senza dubbio, il peggiore di tutti gli altri e l'esperienza dell'armistizio italiano ha avuto indubbiamente il suo effetto negli armistizi successivi.

Ma, premesso questo, sono il primo a riconoscere che si tratta di politica pura; che il rimandare la conclusione del trattato di pace significa continuare lo stato di armistizio, con tutto quello che significa per la nostra vita economica e politica, con tutto quello che ciò significa di sofferenze materiali per il popolo italiano. Sono, quindi, anch'io d'avviso che convenga, sia anzi necessario, avere al più presto il trattato di pace, anche se questo deve costarci dei sacrifici maggiori.

Il trattato di pace sarà duro, voglio sperare che a questo stadio non ci sarà più nessuno a farsi ancora delle illusioni: fra qualche anno, quando la situazione in Italia si sarà rimessa a posto sorgeranno molti a criticare quello che è stato fatto: e fra le prime critiche che saranno fatte ci sarà appunto quella, logica a posteriori, di non aver aspettato. Io ritengo quindi che le persone le quali in questo momento si trovano ad avere la responsabilità delle decisioni dovrebbero parlare chiaramente al popolo italiano facendogli vedere quale è la situazione attuale: ossia, o trattato di pace duro, ma fine subito dello stato di armistizio, o continuazione dello stato di armistizio per la eventualità o la speranza di avere, parecchio più tardi, un trattato di pace meno duro. Bisognerebbe che il popolo italiano o, per essere più esatti, quelle persone e quelle istituzioni che oggi hanno la funzione di rappresentare e di guidare l'opinione pubblica italiana, si pronuncino in modo non equivoco sulla questione, perché non si venga poi a dire, fra qualche anno, che il trattato di pace è stato manipolato, per quel che concerne l'Italia, da poche persone al di fuori, all'insaputa dell'opinione pubblica.

Ma per quanto concerne l'entrata dell'Italia fra le Nazioni Unite, io mantengo la mia opinione che noi non avevamo nulla da guadagnare a chiedere così insistentemente di essere ammessi a farne parte, a dare agli alleati la possibilità di presentarci questa ammissione fra le Nazioni Unite come un grande beneficio, tale da compensare le operazioni di altro genere a cui veniamo sottoposti: che è, poi, quello che sta succedendo.

La conclusione della pace ci porta dei vantaggi ben definiti: la fine, cioè, di molte -certamente non tutte -limitazioni della nostra sovranità all'interno e di molte -certamente non tutte -minorazioni del nostro status di fronte gli Stati esteri. Questo non si discut~t. Come si può fare a rimettere in ordine un Paese fintanto che non si sa quali sono le sue frontiere, quali le riparazioni...che deve pagare e simili.

Ma, a parte le considerazioni che ho esposto nel rapporto n. 477/196 del 6 luglio circa l'opportunità, per ragioni di dignità e di interessi, anziché di chiedere, di attendere ci venga chiesto di entrare nelle Nazioni Unite, crediamo noi sinceramente che il giorno in cui l'Italia sia entrata a far parte delle Nazioni Unite essa sarà, non giuridicamente, ma realmente una Nazione come tutte le altre? Se pensiamo questo andiamo incontro ad altre grosse illusioni. Formalmente, è vero, quando ci sarà una conferenza a cui saranno invitate a partecipare le «Nazioni Unite», l'Italia sarà invitata a farne parte senza bisogno, come adesso, di chiedere per sentirsi dire di no. Ma cosa conterà l'Italia in questa conferenza?

Non c'è da farsi illusioni: la distinzione tra vinti e vincitori, fra peccatori e santi, durerà ancora per anni e anni: è stato così dopo l'altra guerra-ancora nel 1925, per esempio, ai sudditi tedeschi non era permesso se non a titolo eccezionale l'ingresso in India-e lo sarà ancora di più dopo questa guerra, dove l'odio fra le due parti è stato assai più profondo. Nelle Nazioni Unite, nella comitas delle Nazioni, noi bisogna che ci rassegniamo per molti anni ad essere dei tollerati, ad essere on probation. È solo con la riorganizzazione della nostra vita nazionale su basi serie e solide, con la condotta ed il prestigio personale dei nostri rappresentanti all'estero, con la capacità e la preparazione tecnica e le qualità morali delle persone che noi manderemo a rappresentare l'Italia nelle varie conferenze internazionali, che noi possiamo sperare, ma con anni di costante e faticoso lavoro, di essere riammessi ad essere una Nazione come tutte le altre.

Crediamo noi che, perché saremo entrati a far parte delle Nazioni Unite, ad una riunione all'U.N.R.R.A. o a qualche cosa di analogo, il delegato jugoslavo o qualche altro non potrà opporsi a che qualche cosa sia fatta per l'Italia, perché l'Italia è stato un paese aggressore fascista? Ma ogni volta che farà comodo a qualcuno, si potranno ricordare le nostre colpe passate, criticare le nostre istituzioni, la nostra politica sia interna che estera. Ricordiamoci che quella che è stata la sorte della Germania di Weimar, della Germania degli Ebert, degli Erzberger, dei Rathenau, questa è quella che sarà, per qualche anno ancora, la situazione dell'Italia e non ci sarà ammissione fra le Nazioni Unite che la possa cambiare dall'oggi al domani.

Noi abbiamo bisogno di aiuto sul terreno economico e finanziario; questo anche è un fatto che nessuno può nemmeno pensare a mettere in discussione. È anche, ritengo, fuori di discussione, che questo aiuto, nella misura in cui esso ci è necessario, non può venirci che dall'America, per i prossimi anni almeno. Ora questo aiuto ci verrà se sarà nell'interesse politico dell'America rimettere in piedi economicamente l'Italia ed acquistarvi un predominio economico e finanziario, se il regime politico, economico e sociale dell'Italia sia quello che l'America desidera, se il mercato italiano può in qualche misura alleviare la crisi americana del dopo guerra e se gli investimenti italiani saranno, per i capitalisti americani, altrettanto sicuri e più profittevoli che gli investimenti in altri Paesi europei. Se queste premesse ci sono e nella misura in cui ci sono, gli aiuti americani verranno: se non ci sono possiamo far parte delle Nazioni Unite quanto vogliamo, ma essi non verranno lo stesso.

Lo stato di armistizio evidentemente pone delle limitazioni di carattere generale di cui anche gli americani debbono tener conto. Ma il giorno in cui la pace sia fatta, se l'America ci rifiutasse un prestito e delle forniture, perché non facciamo parte delle Nazioni Unite, possiamo essere sicuri che essa ce lo rifiuta perché non ce lo vuoi fare e le Nazioni Unite non sono che un pretesto. Dopo l'altra guerra, poiché questo rispondeva ai punti di cui sopra, l'America e l'Inghilterra hanno profuso miliardi per la ricostruzione della Germania, senza preoccuparsi se la Germania facesse o no parte della Società delle Nazioni o di altre istituzioni del genere: e il mondo di quelli che contano è, oggi, se mai, più cinico di quello che non lo fosse nel 1919-1920.

L'Italia ha perduto una guerra: è, questo, un fatto che non si vuole dimenticare, perché ci sono Potenze grandi e piccole a cui fa comodo che non lo si dimentichi. Noi ci siamo fatte molte illusioni su quello che tutto quanto potevamo fare e abbiamo fatto dopo 1'8 settembre 1943 ci poteva dare per riparare alle conseguenze di una guerra perduta. Come risultato, ci troviamo di fronte alla realtà del trattato di pace con una opinione pubblica nemmeno lontanamente preparata a quello che ci aspetta. Mi sembra converrebbe fare attenzione e non crearci delle nuove illusioni circa le conseguenze della nostra ammissione fra le Nazioni Unite. E soprattutto non presentarla al pubblico italiano come una specie di panacea per i nostri mali e come un compenso reale per i nostri sacrifici.

Incidentalmente poi aggiungo, che è bene anche che non ci facciamo illusioni sulla rapidità della nostra ammissione nelle Nazioni Unite. Impostato come è oggi il problema italiano, in correlazione al problema bulgaro, rumeno od altro, la Russia, certo, si oppone che venga presentata la nostra candidatura prima che sia risolto il problema bulgaro e rumeno (ed il suo veto basta a fermare la procedura). E se le intenzioni degli americani, nei riguardi della Bulgaria e della Rumenia sono realmente quelle di andare fino in fondo, la cosa rischia di andare molto per le lùnghe.

593

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9441/664. Londra, 2 ottobre 1945, ore 22,35 (per. ore 10 del 3).

Conferenza che pareva sicuramente chiudersi iersera è continuata stamane ed oggi. Seduta serale ieri convocata per ore 18 è stata poi rinviata ore 22 per far luogo in~ontro a tre che si è invece protratto sino ad ore 23, il che ha dato luogo momentaneo ritiro delegazione francese da Lancaster House in segno protesta.

Dalle 23 alle 3,45 del mattino i Cinque hanno seduto senza raggiungere un accordo. Dissenso continua ad imperniarsi su questione procedura e di principio segnalata mio telegramma ieri 1• Russi resistono tenacemente rifiutandosi persino riconoscere come valide discussioni a cinque avvenute fino da inizio conferenza su questioni che affermano ora essere state competenza esclusiva dei Tre. Inglesi e americani sostengono fortemente tesi opposta a favore essenzialmente Francia e Dominions che non intendono rinunziare diritto esprimersi su singoli trattati di pace cui sono direttamente interessati. Nessuna concessione anglo~americana di compromesso è riuscita finora a fare recedere i russi. Si è ad un punto morto dal quale non si vede via di uscita. Ambiente è estremamente teso e polemica ha raggiunto toni di inconsueta violenza. Nessuna delle due parti vuole cedere e nel contempo vuole assumersi responsabilità rottura trattative. Ciò spiega questo penoso protrarsi di sterili incontri a tre e a cinque che si ripetono come una stretta da cui nessuno ardisce liberarsi. Negli ambienti americani posizione di Byrnes (al quale pare sia stato inutilmente consigliato di rompere) è considerata particolarmente difficile non solo qui ma nei rapporti con opinione pubblica americana. Bevin sostiene sua parte con grande forza combattiva in un ambiente di crescente stanchezza. Ripeto che la sola speranza ancora oggi perdurante è che Stalin, all'ultimo momento, possa compiere uno dei suoi gesti realistici e troncare il nodo, dando a Molotov più elastiche istruzioni in una materia in cui buon diritto degli altri belligeranti è troppo evidente.

1 Vedi D. 591.

All'ora in cui telegrafo conferenza pomeridiana continua, a quanto mi risulta, in una tensione non diminuita. Ove si dovesse, cosa da non escludere, giungere in definitiva ad una formula di decente chiusura, nulla può ormai sminuire gravità stato delle cose che questa convulsa ultima fase della conferenza ha rivelato.

594

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A RIO DE JANEIRO, MARTINI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL MINISTRO A BOGOTÀ, CASSINIS

T. S.N.D. 7135/c. Roma, 2 ottobre 1945, ore 24.

(Per tutti salvo Rio) Ho telegrafato al R. ambasciatore a Rio quanto segue:

(Per tutti) Il R. ambasciatore a Londra comunica quanto segue in data 29 settembre1:

«Avuto oggi colloquio con ambasciatore del Brasile il quale mi ha dato copia del memorandum che il suo governo ha presentato allo State Department ed al Foreign Office per raccomandare a favore dell'Italia "una pace che non richieda la mutilazione dei suoi territori con risultante offesa alla sua integrità morale" 2• Governo brasiliano ha invitato tutte le Repubbliche del Sud-America aderire questo passo. Varie adesioni sono già segnalate e si ritiene probabile adesione generale. Ho pregato ambasciatore esprimere al suo governo tutto l'apprezzamento del governo italiano per questo atto generosa solidarietà. Un ringraziamento diretto da parte di V.S. mi sembra doveroso ed è certamente atteso. Trasmetto per corriere testo memorandum. Presente comunicazione ed il testo del memorandum hanno carattere assolutamente segreto».

La prego di esprimere a codesto governo nostro profondo apprezzamento per iniziativa che ci è tanto più gradita in quanto proviene dalla Potenza latino-americana che ha maggiori titoli e più giustificate qualifiche per attuarla. Non mai come in questo momento sentiamo viva e operante nostra profonda solidarietà con la grande Repubblica brasiliana.

(Solo per Bogotà-Washington). La prego svolgere ogni opportuna azione per sollecita adesione altri foverni sudamericani, tenendo peraltro presente carattere assolutamente segreto iniziativa brasiliana.

(Solo per Rio). La prego altresì di voler, qualora ne abbia possibilità, dare comunicazione del presente telegramma alla R. ambasciata a Buenos Aires, che è

I T. s.n.d. 2912/646 del 29 settembre.

2 Copia del memorandum fu trasmessa da Carandini con Telespr. 4245/3101 del 4 ottobre, non pubblicato.

804 tuttora sprovvista di materiale crittografico segreto, aggiungendo istruzioni di svolgere ogni opportuna azione per sollecita adesione governo argentino ad iniziativa brasiliana, tenendone però presente carattere assolutamente segreto.

595

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 7138/471 (Washington) 457 (Londra). Roma, 2 ottobre 1945, ore 23.

(Solo per Londra). Ho telegrafato al R. ambasciatore a Washington quanto segue:

(Per tutti). Suo 531 1 .

A conclusione mie recentissime dichiarazioni alla Consulta ed augurandomi che la mia voce giungesse al di là dell'Oceano, ho riaffermato e nel modo più esplicito ed impegnativo quanto segue:

«L'Italia riconosce che una pace giusta e feconda può essere fondata soltanto sui principi_ e scopi per la realizzazione dei quali le Nazioni Unite hanno combattuto la guerra e la nuova Italia democratica si è schierata al loro fianco ed in particolare: sul rispetto del diritto internazionale; sulla fede nella dignità, nel valore e nei diritti della persona umana; sull'aspirazione a che siano assicurate presso tutte le Nazioni le libertà umane essenziali, cioè la libertà dal bisogno che garantisca una vita sana e pacifica di ogni paese in ogni parte del mondo e la libertà dal timore di ogni atto di aggressione da parte di qualsiasi Paese contro qualunque altro».

La prego di portare subito quanto precede ufficialmente a conoscenza del Dipartimento di Stato, cui vorrà far sapere che il governo italiano tiene in modo particolare acché nel preambolo del trattato di pace sia inclusa una formula eguale od analoga che, se corrisponde perfettamente allo spirito che ha animato ed anima gli Stati Uniti in guerra e in pace, corrisponde non meno pienamente ai nostri propositi ed ai nostri ideali 2 .

(Solo per Londra). La prego di portare quanto precede a conoscenza anche di codesta delegazione americana, cui saremo molto grati se vorrà farsi cortese tramite presso le altre delegazioni interessate della presente comunicazione.

I T. 8986/531 del 26 settembre: proposta degli Stati Uniti che l'Italia si impegni nel trattato di pace all'adozione delle quattro libertà.

2 Vedi in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit., pp. 1061-1062 la comunicazione di Tarchiani al segretario di Stato.

596

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9782/486. Mosca, 2 ottobre 1945 1•

Telegramma di V.E. 7062/c. 2 .

Ostacolo cui accenna Cadogan è evidentemente fatto che pace con Italia è abbinata per Russia questione riconoscimento Alleati regime Romania e Bulgaria. A Potsdam Russia ha lasciato passare dichiarazione americani che differenziava Italia da Paesi sotto sua protezione sapendo che trattandosi sole parole essa non aveva nessuna importanza pratica e sapendo che a Londra era in grado impedire conclusione trattato pace con Italia. Interferenza anglo-americana Bulgaria Romania tocca grave questione principio e attacca prestigio russo: Russia è fermamente decisa a mostrare suoi clienti balcanici che chi è sotto sua protezione non è meno protetto che chi è sotto protezione americana.

Possiamo quindi essere sicuri che trattato pace con Italia sia provvisorio o definitivo non sarà concluso fino a quando Inghilterra ed America non avranno riconosciuto governi bulgaro e romeno: va anche tenuto presente che mentre Russia è disposta accettare qualche modifica per forma attuali governi nou -ripeto non -è disposta accettare modifiche sostanziali attuale sistema fronte patriottico e legge elettorale. Questione non può finire che con pratica capitolazione anglo-americana o con rottura completa. L'impressione che si ha a Mosca è che anglo-americani non hanno per il momento alcuna intenzione metter su questioni balcaniche, a sua volta collegate con altre complesse questioni. Non è quindi purtroppo da sperare che conclusione pace con noi provvisoria o definitiva possa essere prossima; a meno che anglo-americani fossero decisi procedere da soli come accennato da Dipartimento di Stato (telegramma 5744/c.) 3 .

Per quanto mi concerne non credo affatto a quest'ultima possibilità poiché essa significherebbe rottura che nessuno vuole, U.S.A. meno di tutti: tutto finirà a suo tempo compromesso generale di cui anche noi faremo le spese. Dato quanto precede unica cosa che si può utilmente tentare Londra Washington è chiedere quelle modificazioni che essi possono concederci di loro iniziativa senza necessità consultarsi con Russia.

1 Il telegramma giunse il 3 ottobre indecifrabile; ne fu chiesta ripetizione che venne inviata con

T. 496-498 del 7 ottobre pervenuto 1'8; solo a quel momento fu protocollato in arrivo. 2 Del 30 settembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 581.

3 Del 28 agosto: comunicazione alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi di un riassunto del D. 450.

597

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

TELESPR. URGENTE 3/1710 1 . Roma, 2 ottobre 1945.

A nota n. 47338/10599n.l5/2 del 27 settembre2•

Si premette che, nonostante ripetuti nostri tentativi, non si è mai da parte nostra riusciti ad avere in Jugoslavia, non si dice una rappresentanza diplomatico-consolare, ma neanche una qualche missione militare o della Croce Rossa, che potesse comunque occuparsi dei moltissimi militari e civili italiani che trovansi colà sbandati o in condizioni non soltanto precarie, ma addirittura pietose.

Codesta presidenza sa, d'altra parte, delle gravissime misure adottate da parte jugoslava a danno delle popolazioni italiane nella zona della Venezia Giulia che sta al di là della linea Morgan e della assoluta impossibilità da parte alleata e nostra di inviare colà osservatori che possano in qualche modo seguire e controllare la situazione.

Si aggiunge che da parte jugoslava si mantengono invece in Italia tutta una serie di organizzazioni e di uffici non bene qualificati e che svolgono attività varie, non sempre e comunque soltanto molto parzialmente controllabili. Di tali organizzazioni ed uffici si acclude un elenco2 che potrebbe anche non essere completo.

La richiesta jugoslava di inviare in Italia una ulteriore missione per raccogliere prove circa presunti crimini di guerra, va dunque inquadrata nella più ampia cornice delle suesposte considerazioni. Questo ministero sarebbe nella specie d'avviso che nel rispondere alla Commissione Alleata 3 , dovrebbe essere prospettata la situazione quale in alto descritta, domandato il disciplinamento e la riduzione delle missioni jugoslave già esistenti in Italia, richiesto che, in corrispettivo, un'analoga missione italiana o alleata sia autorizzata a condurre ed alle stesse condizioni, parallele amichevoli inchieste sia sul territorio italiano di occupazione jugoslava, sia sul territorio jugoslavo vero e proprio.

Si aggiunge che un osservatore altamente qualificato ed estremamente imparziale ha recentemente descritto la situazione della Venezia Giulia, nei seguenti termini che sono facilmente riduci bili in termini di veri e propri «crimini di guerra»: «L'occupazione di tutta la Venezia Giulia per quaranta giorni e di tanta parte della regione ancor oggi ha avuto un tale carattere di autentica barbarie, ha instaurato un tale regime di violenza, ha privato le popolazioni così brutalmente dei diritti più elementari, ha dato tali esempi di ferocia disumana e tale prova di incapacità di amministrare quelle terre, che nessun uomo di cuore, che stimi la

I Inviato, per conoscenza, al ministero della Guerra.

2 Non pubblicato.

3 La sezione affari civili della Commissione Alleata aveva scritto in proposito a Parri la L. 4/29-3/cA dell'8 settembre, non pubblicata.

civiltà, può avere animo di costringere delle popolazioni che non ne vogliono sapere, sotto tale insopportabile giogo».

Si avvverte che per quanto riguarda le atrocità jugoslave, una nuova relazione documentata è gia stata fatta pervenire a Londra, a Washington e alla Commissione Alleata da parte di questo ministero. Tale relazione è, se occorre, a disposizione di codesta presidenza.

598

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 852/380. Mosca, 2 ottobre 1945 (per. il 15).

Parlandomi (in data 26 settembre) in genere della Conferenza dei Cinque ministri degli Esteri, Dekanozov mi ha detto, in linea generale, che c'erano state delle grosse difficoltà, ma che le cose stavano andando meglio.

-In tutte le conferenze -mi ha detto -c'è sempre un momento critico quando sembra che tutto va all'aria: poi si comincia a trovare una formula per risolvere una delle difficoltà minori e da quel momento l'atmosfera migliora. Ciò è, del resto, inevitabile: al principio di una conferenza, ognuna delle parti interessate rende noto il suo punto di vista: siccome i punti di vista non sono identici, come primo risultato si ha un urto.

-È strano -ho risposto: -dopo tanti anni di contatto continuo su tante questioni ormai, il punto di vista dei "Tre" dovrebbe essere sufficientemente conosciuto, perché, più o meno, ognuno sappia quello che l'altro vuole.

-Questo è vero: ma prima di tutto non si sa mai in quale forma l'altro presenterà il suo punto di vista, né quali proposte vengono presentate non per sostenerle fino in fondo, ma a scopo di negoziati: lei sa le conferenze diplomatiche sono un po' come le contrattazioni al mercato di Tiflis (Dekanozov è georgiano): qualche volta si domanda 100 per avere 20, ma poi ci sono anche delle vere e proprie sorprese. Per esempio, la questione delle colonie italiane. Era stata discussa in via diplomatica e si era convenuto che le colonie italiane dovevano essere messe a disposizione delle Nazioni Unite. Quando a Yalta è stato formulato l'istituto del trusteeship, tutti erano d'accordo che il primo oggetto del trusteeship sarebbero state le colonie italiane: questo è stato confermato anche a San Francisco: ora improvvisamente a Londra gli americani sono venuti fuori con una proposta del tutto nuova e la delegazione sovietica è dovuta intervenire per richiamare gli Stati Uniti al rispetto degli impegni assunti.

-Ho sentito che la Russia vuole per sé una parte delle antiche colonie italiane. Non le nascondo che questa è stata per me una grossa sorpresa.

-Quello che lei dice non è esatto: l'U.R.S.S. non chiede di avere delle colonie italiane. La decisione che le colonie italiane dovevano passare a disposizione delle Nazioni Unite è stata presa di comune accordo fra i tre Alleati. Posso anche aggiungerle che l'iniziativa di questa decisione non è partita dall'U.R.S.S. Adesso

si tratta di decidere cosa fare di queste colonie e l'U.R.S.S. vuole che ci si tenga alle decisioni già prese e in ogni caso vuole difendere i suoi interessi. -Sarebbe dire che l'U.R.S.S. non era favorevole a che l'Italia fosse privata delle sue colonie?

-Non ho detto questo: ho detto che la decisione è stata presa di comune accordo fra i tre Alleati: quindi anche la Russia era d'accordo. Ho semplicemente tenuto a precisare che l'iniziativa non era stata nostra.

Ho allora approfittato dell'occasione per ritornare sull'importanza sentimen~ tale, economica, demografica che le colonie pre-fasciste hanno per noi, Dekanozov ha replicato:

-Conosco la tesi italiana. I tre governi alleati ne sono al corrente e ne hanno certamente tenuto il conto che merita, nelle loro decisioni: in ogni modo attualmente la decisione circa le colonie italiane non è una questione che riguarda l'Italia: è una questione che riguarda i tre governi alleati.

-Essa riguarda l'Italia poiché si tratta di territori che sono stati messi in valore soprattutto dal lavoro italiano; riguarda anche l'Italia poiché, date le difficoltà per i cinque ministri di mettersi d'accordo, la cosa è stata rinviata allo studio dei sostituti ed alla prossima riunione dei "Cinque" che, a quanto sento, dovrebbe aver luogo fra tre mesi. E questo significa per l'Italia altri tre mesi almeno di regime di armistizio.

Qui ho di nuovo insistito sulla impossibilità di procedere ad una certa riorganizzazione della vita italiana finché dura lo stato d'armistizio e l'incertezza nel futuro.

-Non è solo l'Italia che soffre per il perdurare dell'armistizio -mi ha risposto -ci sono altri Paesi per cui le prospettive di conclusione della pace sono anche più lontane che per l'Italia. Del resto non è nemmeno detto che la questione delle colonie italiane possa essere risolta entro i prossimi tre mesi: ci sono tante questioni da risolvere.

-Ma allora quando si può sperare che il trattato di pace sarà pronto?

-Per la questione delle colonie italiane bisognerà trovare un compromesso, anzi, per essere più esatti, ci sono molte questioni sul tappeto che debbono essere risolte con un compromesso: può anche essere che non sia possibile risolvere separatamente la questione delle colonie italiane. Sono questioni serie che bisogna studiare con calma perché da una loro soluzione soddisfacente dipende la collaborazione fra gli Alleati che è anche vostro interesse: è meglio aspettare qualche mese di più, ma essere sicuri che si è fatto del buon lavoro.

-È molto facile dirlo quando non se ne devono sopportare le conseguenze. D'altra parte, dal momento che lei mi dice che, per quanto riguarda l'Italia, la questione delle colonie è già risolta, e si tratta solo di risolvere tra Alleati la questione della loro sorte ulteriore, perché non staccare queste discussioni dal trattato di pace con noi? In questo caso potrete studiarla fra di voi con tutto comodo senza che per questo l'Italia ne abbia da soffrire.

-Non credo: non si può firmare un trattato di pace con un Paese lasciando fuori tutte le questioni: di che trattato di pace si tratterebbe allora?

-Ma pure, sia Vyshinsky che lei, mi avete chiesto esplicitamente se a mia opinione il governo italiano avrebbe consentito ad un trattato di pace che lasciasse fuori alcune questioni territoriali.

-Non ricordo bene: in ogni caso abbiamo chiesto un chiarimento, non abbiamo detto che quello era il pensiero del governo sovietico. Il nostro punto di vista può sempre cambiare quando sorgano circostanze differenti.

Ritornando a parlare della nostra frontiera orientale, gli ho sviluppati i nostri argomenti sia di natura etnica che economica: ho poi insistito con particolare dettaglio. su tutto quello che da parte nostra era stato tentato per riprendere i rapporti diretti colla Jugoslavia e, infine, a titolo personale ho espresso il più vivo rammarico per il fatto che una questione così importante nei rapporti fra i due popoli non si sia potuta risolvere a mezzo di trattative amichevoli e dirette. Gli ho detto che se le tesi degli estremisti delle due parti erano irreconciliabili, fra le persone moderate e bene intenzionate un accordo ragionevole si sarebbe certamente potuto raggiungere. Dekanozov mi è stato a sentire senza alcuna reazione; ha solo avuto un cenno di assenso quando io ho criticato gli estremisti delle due parti. Alla fine del mio ragionamento ha detto:

-Lei ha ragione: è un vero peccato che non sia stato possibile di risolvere la questione a mezzo di trattative amichevoli fra le due parti.

-È un vero peccato -ho risposto -che l'U.R.S.S. non abbia voluto insistere a Belgrado in questo senso quando noi glielo abbiamo chiesto. Per parte nostra non abbiamo mai avuto altro desiderio.

-Al solito, la colpa è dell'Unione Sovietica: voi dovevate agire sui jugoslavi. -Ho parlato a lungo a Subasic durante la sua visita a Mosca e mi ha detto chiaramente di dubitare che i negoziati diretti fra Belgrado e Roma fossero preferìbili al deferimento della questione alla Conferenza della pace. -Vede che non è colpa nostra: se queste erano le disposizioni di Belgrado, una nostra azione diplomatica in senso differente non poteva avere un risultato.

-Credevo che l'influenza russa a Belgrado avesse maggior peso. Visto però che la Conferenza dei Cinque non si deciderà che fra tre mesi, abbiamo ancora del tempo per metterei sulla strada degli accordi diretti.

Premettendo allora che parlavo a titolo strettamente personale gli ho detto che a me interessava particolarmente che la soluzione delle nostre frontiere orientali, fosse tale, nella sostanza e nella forma, da poter essere accettata dalle due parti, specie dalla parte italiana che è quella che deve rinunciare, senza lasciare troppi risentimenti i quali potevano, in avvenire, rendere difficile un consolidamento dei rapporti italo-jugoslavi sulla base di buon vicinato, se non di amicizia, come noi desideriamo. La Jugoslavia è legata alla Russia, oltre che da un trattato, da profondo vincolo di riconoscenza, di razza, si inquadra ora in tutto un sistema politico: se non si riusciva a risolvere il problema dei rapporti italo-jugoslavi, sarebbe stato difficile stabilire su vere basi di amicizia anche i rapporti con la Russia. Dekanozov mi ha risposto che il mio ragionamento aveva del giusto. Ho continuato osservando che prima di tutto non potevo credere che non ci fosse più niente da fare per la sostanza della questione, ma anche se questo fosse vero la forma aveva la sua importanza. Richiesto di precisare il mio pensiero gli ho detto che, a mio avviso, i sacrifici che avremmo dovuto fare sulla nostra frontiera orientale, avrebbero potuto essere digeriti dal popolo italiano meglio se essi fossero stati presentati non come una imposizione, ma come un accordo raggiunto per mutuo consenso dalle due parti ed in cui i nostri sacrifici fossero stati consentiti per arrivare al risultato di una intesa sincera e solida fra l'Italia e la Jugoslavia.

Dekanozov mi ha obbiettato che questa procedura poteva significare riaprire la questione ormai praticamente risolta dai ministri degli Esteri. Ho osservato che non era affatto vero: ammettendo che la mia proposta fosse presa in esame, la decisione dei «Cinque» avrebbe potuto essere comunicata ai due governi come una specie di «raccomandazione» con tutto il peso che questa poteva avere e la discussione avrebbe praticamente portato nella risoluzione di questioni a latere.

-Non sono autorizzato a discutere con lei una questione del genere dal momento che i cinque ministri degli Esteri se ne occupano, ha risposto Dekanozov.

-Nemmeno io sono autorizzato a farlo: era una mia idea e avrei desiderato discuterla più ampiamente con lei: se arrivavamo alla conclusione che essa poteva essere utile, avremmo potuto cercare di raccomandarla ai nostri rispettivi governi.

-Questa è un'altra cosa: sotto questa forma possiamo parlarne un'altra volta: intanto pensiamoci su tutti e due.

In merito a questa conversazione rilevo: l) l'informazione datami da Dekanozov che la questione delle colonie italiane era già risolta a San Francisco; mi è stata confermata da altra fonte: la mia impressione è che la notizia è fondamentalmente esatta: soltanto che se gli interessi

sovietici non vi fossero stati coinvolti, essi non si sarebbero così indignati per il fatto che gli americani hanno, all'ultimo momento, avanzata una nuova proposta. 2) Non so quale valore attribuire all'accenno abbastanza chiaro di Dekano

zov, al fatto che la linea di frontiera è stata già, di massima, decisa dai «Cinque)); che gli esperti che debbono recarsi sul posto non hanno che da verificare alcuni punti di dettaglio.

3) I russi sono adesso nettamente contrari alla pace provvisoria. La ragione del resto è logica. A Potsdam gli americani hanno chiesto per noi una dichiarazione di ben servito: i russi la volevano anche per gli ex-satelliti sotto la loro protezione, gli americani hanno rifiutato: i russi, realisti, hanno ceduto sulla questione della dichiarazione che, in sostanza, non sono che parole, riservandosi di rimandare la conclusione del trattato di pace con l'Italia fino a che non sia risolta la questione del riconoscimento dei governi romeno e bulgaro e del conseguente trattato di pace. Si tratta di mostrare ai Paesi balcanici e centro-europei che chi è appoggiato dalla Russia non è peggio servito di chi è appoggiato dall'America. Quindi l'atteggiamento della Russia è mutato: ed è un punto su cui non c'è niente da fare.

In merito alla proposta da me fatta a Dekanozov circa le trattative dirette fra l'Italia e la Jugoslavia, si tratta in realtà di una questione puramente di «faccia)). Nell'avanzarla a titolo puramente personale, mi sono basato, per analogia, sulle proposte di V.E. per la cessione del Dodecanneso.

La realtà è che la frontiera fra l'Italia e la Jugoslavia sarà quella che, in via di compromesso fra di loro, stabiliranno i grandi alleati, senza che né l'Italia, né la Jugoslavia possano fare gran che per cambiarla. Noi ci troviamo di fronte a due alternative, ai fini soprattutto di politica estera. Accettare la nuova frontiera come una imposizione, riservandoci, quindi, alla prima occasione di chiederne il cambiamento, il che implica una politica estera italiana fortemente irredentista e revisionista. Oppure accettarla come un sacrificio che l'Italia volontariamente -o quasi accetta a fini di pacificazione generale: il che implica, praticamente, la rinuncia definitiva da parte nostra a qualsiasi futuro irredentismo.

Se da parte nostra si preferisce questa seconda alternativa, la proposta da me fatta può essere sviluppata e, ritengo, su questa linea qualche cosa con i russi si potrebbe fare: altrimenti non ci resta che lasciar la cadere e credo che se io non mi faccio parte diligente, Dekanozov, da parte sua, non si farà vivo.

599

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. RISERVATO 7163/477. Roma, 3 ottobre 1945, ore 20.

Suo 0135 1•

Ho fatto presente a questi ambasciatori d'Inghilterra, Stati Uniti e Francia sondaggio governo spagnolo repubblicano fattole per tramite codesto rappresentante del Messico. Ho detto loro che governo italiano intende conformarsi anche in questo settore alla politica delle Nazioni Unite e li ho pregati di farmi conoscere se loro rispettivi governi avessero ricevuto richiesta analoga, e, in caso affermativo, come intendessero rispondervi 2• Mi riservo dunque ulteriori informazioni. Nessuna difficoltà acché ella, intanto, si regoli in conseguenza con rappresentante messicano, se questi dovesse sollecitare risposta.

600

L'AMBASCIATORE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

TELESPR. SEGRETO 3519/953. Parigi, 3 ottobre 1945 (per. 1'8).

Ho riferito a voce al ministro De Gasperi i termini di un importante colloquio che ho avuto il 20 settembre u.s. con l'ambasciatore dell'U.R.S.S. signor Bogomo-

I Vedi D. 587, nota 3.

2 Non si pubblicano le risposte delle rappresentanze francese ed inglese a Roma, rispettivamente in data del 9 ottobre (24098/sP. P.2) e del 24 ottobre (57919/45), dalle quali risulta che i loro governi avevano ricevuto analoga richiesta cui non avevano dato risposta.

lov, durante una colazione intima offertami all'ambasciata di Russia e alla quale non eravamo presenti che noi due.

Ritengo opportuno riassumere brevemente per iscritto la sostanza del colloquio che mi ha dato modo da un lato di valutare le reazioni del signor Bogomolov nei confronti del problema del «blocco occidentale» e dall'altro lato di prospettare all'ambasciatore dell'U.R.S.S. alcuni aspetti dei nostri problemi di politica estera.

Premetto che nel corso dell'amichevole conversazione, protrattasi durante la colazione e dopo per circa tre ore, ho sempre parlato a mio nome personale.

Pochi giorni prima dell'invito a colazione avevo dato all'INS alcune brevi dichiarazioni informate ai seguenti criteri: l. le idee espresse da de Gaulle nella nota intervista del Times sull'organizzazione dell'Europa occidentale possono essere considerate costruttive; 2. l'Italia non aderirebbe a un «blocco» che fosse orientato contro la Russia. Prendendo lo spunto dalle mie dichiarazioni, Bogomolov mi pregò di precisare il mio pensiero.

Dopo aver esposto a Bogomolov quali erano state nel periodo prefascista le linee generali della nostra politica estera fondata sull'amicizia con la nazione marittima più potente e con la nazione continentale europea più potente, gli ho fatto notare come in sostanza questa duplice esigenza fosse per noi ancora oggi valida.

I partenaires marittimo e continentale non sono più gli stessi. La nazione marittima più potente oggi non è più l'Inghilterra ma l'America o, per meglio dire, il sistema anglo-americano. È chiaro quindi che un paese come il nostro, che per i suoi molteplici interessi marittimi può considerarsi come confinante direttamente con l'America e l'Inghilterra, ha il massimo in'teresse a mantenere le migliori relazioni con questi due grandi paesi. Ho corredato questo criterio basilare della nostra politica estera con copia di argomenti economici, sociali, demografici ecc. Per quel che si riferisce alla nostra politica continentale, ho fatto notare a Bogomolov come la nostra posizione geografica ci offrisse l'opportunità di mantenere i rapporti più fecondi tanto con gli Stati slavi, e pertanto con la Russia, quanto con la Francia.

Se la Francia e l'Inghilterra si fanno promotrici di un raggruppamento occidentale (del quale noi facciamo culturalmente parte), la cosa presenta per noi un certo interesse. Tuttavia il grado di importanza che questa iniziativa può avere per noi italiani è inferiore a quello che essa ha per i francesi e gli inglesi che ne sono i promotori. La potenza di attrazione che il «raggruppamento occidentale» può esercitare sull'Italia è in funzione di molti fattori tra i quali il più notevole è costituito dalla politica che la Russia praticherà nei nostri confronti al tavolo della pace. Fermo restando il punto essenziale della nostra amicizia con l'America, non dipende da noi se l'Italia sarà attratta nell'orbita di un sistema occidentale mediatore tra la Russia .e l'America, o se invece sarà posta in grado di esercitare essa direttamente questa funzione, almeno per il settore che la riguarda. La risposta è nelle mani della Russia.

Se La Russia parteggerà per il governo di Tito ledendo i nostri più vitali interessi, è chiaro che l'Italia sarà fatalmente attratta a integrarsi in un sistema che le offrirà il modo di esercitare congiuntamente alle altre nazioni occidentali quella funzione mediatrice che risponde ai suoi interessi più vitali. Se invece la Russia manterrà la bilancia in equilibrio tra noi e la Jugoslavia favorendo la delimitazione, secondo la linea Wilson, di un equo tracciato di frontiera, allora l'Italia acquisterà la certezza di poter agii-e direttamente nel settore che la concerne come elemento mediatore tra la civiltà slava e quella anglo-americana, senza bisogno di integrazioni superflue.

Questa la sostanza delle mie argomentazioni, e posso assicurare che non sono cadute in un orecchio distratto.

Bogomolov mi è parso preoccupatissimo di fronte alle prospettive del «blocco», e più che incline a considerare con interesse l'eventualità di una politica ragionevole nei confronti dell'Italia.

Penso che ci siano, nella situazione dei rapporti di forza che si stanno precisando nel mondo, molti elementi suscettibili di una pratica utilizzazione a favore della salvaguardia dei nostri più vitali interessi. Il colloquio che ho avuto con Bogomolov è da questo punto di vista molto significativo. È significativo infatti che l'autorevole ambasciatore in Francia di quella che fino a poco tempo fa veniva considerata come la prima nazione militare del globo, dedichi parecchie ore del suo tempo prezioso a discutere col rappresentante di una nazione vinta intorno ai problemi della politica generale europea.

La verità, a mio avviso, è che la potenza della Russia, che fu sottovalutata sino a pochi anni or sono, viene oggi sopravalutata. La Russia è lungi dall'essere la prima nazione militare del mondo. Indipendentemente dalla bomba atomica, è chiaro che essa mai potrebbe competere con l'irresistibile potenza militare dell'America, e ancor meno quindi con quella coalizione mondiale che immediatamente si formerebbe attorno all'America il giorno in cui quest'ultima dovesse levare la bandiera della lotta contro l'U.R.S.S. La Russia è quindi turbata e inquieta. E questa inquietudine si fa giorno attraverso una politica che l'ipocrisia e la superficialità di troppa stampa «occidentale» considera come «realistica» e abile. Si tratta in realtà di una politica rozza e primitiva, vasta nelle sue linee generali, ma non profonda, automatica e quasi meccanica nelle sue manifestazioni che per ciò stesso assumono un carattere di consequenzialità formale, ma priva di quella adesione alle infinite articolazioni della vita internazionale da cui soltanto scaturisce una azione efficace e produttiva; politica mondiale, se vogliamo, dal punto di vista dello spazio geografico, ma in ogni caso non universale da quello umano e storico.

Si rifletta, per esempio, al cosidetto «colpo di genio» dell'agosto 1939, vantato dagli sciocchi laudatori, come noi sappiamo, quale capolavoro di Realpolitik. È chiaro invece che l'accordo Hitler-Stalin mise la Russia a un dito dalla sua perdita, e in ogni caso costò la distruzione di un immenso territorio e la morte di trenta milioni di russi. E se la vittoria coronò gli sforzi eroici del popolo russo, ciò si dovette non a cagione di detto accordo, ma ad onta di esso, in virtù di un concorso di circostanze che difficilmente troverebbero la loro spiegazione nel quadro della forza dialettica staliniana e per spiegare le quali bisogna assurgere in più «spirabil aere» in quell'aere in cui le eterne forze dell'umanità-amore della patria, spirito di sacrificio, odio dell'oppressione, ecc. -entrano in gioco e fanno esse la storia.

Si può pensare oggi a nulla di più grossolano della lotta affannosa della Russia contro la formazione di un «blocco occidentale» nell'atto stesso in cui essa sta offrendo ai suoi avversari virtuali l'alibi maggiore con la formazione di un assurdo «blocco orientale» privo di coesione intrinseca e destituito di ogni vera potenza militare e politica, con l'unica conseguenza di lasciarsi sfuggire l'unico alleato serio che aveva in occidente: la Francia?

Gli esempi si potrebbero moltiplicare; ma ritorniamo al problema che ci interessa, e cioè l'utilizzazione a favore della nostra giusta causa delle forze dominanti nel mondo; è chiaro che non si tratta per noi di inaugurare una politica di doppio gioco di stile «machiavellico» oscillante tra la Russia e le democrazie occidentali. Si tratta di sapere, fermo restando quello che a mio avviso dovrebbe essere il postulato fondamentale della nostra politica: l'amicizia con l'America, in quale modo, noi potremo più efficacemente agire per tutelare la pace. E dipenderà in ultima analisi dall'atteggiamento russo nei nostri confronti, il giudizio che daremo sull'opportunità di operare direttamente come elemento moderatore tra la Russia e gli angloamericani, senza inserirei in un raggruppamento occidentale, oppure di inserirei in esso. Questo ho lasciato intendere al signor Bogomolov, e spero di essere stato capito.

601

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 95211667. Londra, 4 ottobre 1945, ore 0,45 (per. ore 10,15).

Con una dichiarazione in cui si limita ad affermare che «il Consiglio ha deciso di terminare la sua presente sessione» la Conferenza dei Cinque si è chiusa ieri alle 19 sul più completo dissenso in una atmosfera di grave tensione e senza fissare una data alla futura convocazione. Attraverso le lunghe vicende e le complesse apparenze un fatto essenziale è assodato: i russi sostengono che la pace del mondo dipende dalle tre Potenze che hanno dato massimo contributo vittoria e sono in grado garantire futuro rispetto dei trattati. Si appellano alle decisioni di Potsdam e di Yalta ripudiando concessioni fatte all'inizio questa Conferenza circa competenza Francia e Cina. Anglo-americani sostengono che le condizioni della pace interessano tutte le Potenze che fanno parte Consiglio Sicurezza più Potenze minori che hanno attivamente contribuito vittoria. Tesi russa esclude Francia e Cina pace balcanica e America da pace finnica. Partecipazione Francia è ammessa solo per pace italiana. Di fronte risoluta resistenza anglo-amer.icana Molotov si è rifiutato firmare protocollo invalidando tutto l'operato Conférenza e sottraendo implicitamente ogni base al futuro lavoro dei delegati supplenti. Il che influisce direttamente su casi italiani deferiti studio delegati stessi cui poteri attendono ora essere precisati da ulteriori intese fra i governi qui rappresentati.

In verità la concomitanza degli interessi ha portato Inghilterra America Francia Cina Dominions a solidarizzare di fronte pretese esclusiviste Mosca dando di riflesso alla Russia sensazione trovarsi isolata di fronte a blocco occidentale creatosi nel fatto se non nell'intenzione. Reazione russa viene giustificata accampando pretesa anglo-franco-americana interferire Europa balcanica non controbilanciata da pari disposizione accettare interferenza russa Mediterraneo ed Estremo Oriente. Di qui il confermarsi di una politica russa di controblocco e tattica di eliminare competitori nelle questioni balcaniche trincerandosi dietro esclusiva competenza dei Tre. Molotov sostenendo sua tesi dichiarato oggi ai giornalisti che ministri esteri non possono modificare deliberazioni prese da capi Stato a Potsdam, che Bidault sapeva perfettamente quali erano questioni che Francia era ammessa discutere; infine che non è esatto egli si sia impegnato l'Il settembre ad ammettere competenza dei Cinque in tutte le questioni. Bidault ha dichiarato dal canto suo che impegno è stato preso unanimità Il settembre ed è stato applicato per dieci giorni fino a che di fronte questioni balcaniche Mosca ha deciso rovesciare atteggiamento. Ha aggiunto che Francia si oppone ad un ritorno politica esclusivamente dei tre Grandi e che sosterrà suo diritto interferire regolazione casi europei citando Romania come paese cui Francia è specialmente legata ed interessata. Byrnes ha fatto dichiarazione relativamente ottimista riaffermando che competenza tutti belligeranti su pace indivisibile è considerata da America come dovere morale. Byrnes è partito oggi. Chi ha awicinato Bevin lo ha trovato stanco e preoccupato. Molotov e Gusev sono apparsi oggi all'intervista stanchi ed inquieti. In effetti pare russi non avessero intenzione rompere iersera trattative. Conferenza si è chiusa improvvisamente per mancata reazione di tutti i delegati alla proposta cinese di tentare per oggi una nuova seduta. Nel silenzio generale Bevin si è alzato per primo, seguito da Molotov e da altri delegati. Conferenza non preparata, mal condotta, pregiudicata da aspri rapporti personali si è chiusa in un completo fallimento lasciando all'attivo dei due contendenti il solo fatto di non aver ceduto terreno. Segue rapporto per corriere speciale 1•

602

IL CAPO DI GABINETTO, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 4 ottobre 1945.

L'ambasciatore del Brasile, venuto a rallegrarsi per lo scampato pericolo del ministro De Gasperi, mi ha confermato che egli aveva di nuovo segnalato al suo governo la necessità di una pace giusta per l'Italia, e ciò nell'interesse della comune civiltà latina e cattolica e dell'opportunità di mantenere la Russia lontana dall'Europa centro-meridionale e dal Mediterranèo.

Il governo brasiliano aveva già svolto ed avrebbe continuato a svolgere opportuna discreta azione a Londra, e specialmente a Washington, esponendo il suo modo di vedere come segue:

Trieste all'Italia;

confine istriano secondo la linea etnica;

restituzione all'Italia delle sue antiche colonie, sia pure sotto forma di mandato, affidato però alla sola amministrazione italiana (ed escludendosi perciò ogni forma di condominio o amministrazione internazionale) con quelle rettifiche o limitazioni ritenute indispensabili dall'Inghilterra;

I Vedi D. 603.

rinunzia da parte delle Grandi Potenze a riparazioni finanziarie, e modesti indennizzi alle Potenze minori vittime dell'aggressione fascista; mantenimento della flotta italiana (comprese le grandi navi) ritenuta utile elemento di equilibrio nel Mediterraneo.

L'ambasciatore ha aggiunto che il governo brasiliano avrebbe svolto opportuni passi presso gli altri governi dell'America Latina per sollecitare una loro discreta azione di fiancheggiamento a Washington.

A vendo io richiesto se fra le Potenze che dovrebbero rinunziare a riparazioni finanziarie si intendesse anche il Brasile, l'ambasciatore mi ha detto che appariva indubbio che sottomarini italiani avevano partecipato con sommergibili tedeschi ad attacchi contro navi brasiliane; ma che egli aveva suggerito al suo governo di addossare tutta la responsabilità soltanto alla Germania e di lasciar andare ogni pretesa di risarcimento nei confronti dell'Italia, e ciò per ragioni di opportunità politica ed anche per riguardo ai sentimenti dei numerosi itala-brasiliani delle collettività italiane stabilite in Brasile.

L'ambasciatore mi ha infine pregato di fargli avere al più presto il breve memorandum promessogli dal ministro nell'udienza del 2 corrente.

603

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 4287/3136. Londra, 4 ottobre 1945 (per. 1'8).

I miei telegrammi giornalieri hanno messo in evidenza quanto è stato possibile mano mano accertare circa l'andamento della Conferenza e lo sviluppo e la localizzazione dei dissensi che hanno condotto al suo fallimento. Più che una storia di questo irrisolvibile seguito di incontri (accludo a parte 1 completamento della indicazione cronologica rimessa con precedente corriere 2) quello che oggi interessa è una deduzione riassuntiva del significato politico e psicologico emerso dal corso dei dibattiti e dalla loro infelice conclusione.

Il vizio d'origine della Conferenza è stato la assoluta mancanza di ogni preparazione. Volendo risalire più lontano l'impedimento iniziale proviene dall'equivoco carattere delle segrete intese intervenute a Yalta prima ed a Potsdam poi su questioni di principio che dovevano formare il fondamento procedurale della prima riunione dei cinque ministri degli Esteri a Londra. L'esistenza di questo equivoco è comprovata, oltre che dai fatti occorsi in queste tre settimane, dalle opposte dichiarazioni fatte ieri ai giornalisti da Byrnes e da Molotov. Byrnes ha confermato che a Potsdam si era stabilito (conformemente ai principi delineati a Yalta) che la

l Telespr. 4281 /3131 del 3 ottobre, non pubblicato. 2 Telespr. 4117/3039 del 21 settembre, non pubblicato.

procedura per le Conferenze di pace avrebbe previsto un lavoro preparatorio da

parte dei Big Three seguito da discussioni allargate a tutti i belligeranti interessati,

con la non discutibile inclusione della Francia e della Cina ammesse a partecipare

al consesso dei Cinque on equa! footing. Molotov, al contrario, ha dichiarato

contemporaneamente di non condividere affatto questa interpretazione affermando

che a Potsdam si era in realtà stabilito che le singole paci avessero ad essere discusse

e firmate unicamente dalle Potenze firmatarie dei singoli armistizi. Dunque dissenso

essenziale sulla interpretazione degli accordi di principio raggiunti a Potsdam. Oggi

solo sono venuto a sicura conoscenza di un fatto fin qui ignorato: nel corso della

Conferenza Truman Attlee e Stalin sono stati in contatto per cercare di chiarire il

significato delle intese di Potsdam, senza potersi accordare su una comune inter

pretazione. Il dissenso della Conferenza di Londra è quindi risalito ai capi di Stato

responsabili senza trovare una via di componimento. Ciò spiega l'inanità e l'artifi

ciosità degli sforzi qui compiuti negli ultimi giorni della Conferenza per raggiungere · alla base un consenso che non esisteva all'apice.

Ieri Byrnes, Molotov e Bidault si sono apposta trattenuti qualche ora di più a

Londra per tenere delle conferenze stampa intese a chiarire e giustificare presso

l'opinione pubblica il loro atteggiamento. Byrnes ha affermato che l'America si

oppone ad una pace dettata dai «Tre Grandi». Ha ripetuto la sua interpretazione

delle intese procedurali di Potsdam affermando che su di essa aveva il consenso

degli inglesi, sperava avere quello dei francesi e dei cinesi e riteneva che i russi vi

avessero aderito in linea di principio. Comunque ha affermato che la Conferenza si

scioglieva perché i ministri degli Esteri avevano necessità di riprendere contatto coi

rispettivi governi su questo argomento. Si è dichiarato confidente nella ripresa dei

lavori. Ha auspicato che i delegati supplenti possano continuare il loro lavoro,

aggiungendo testualmente «se non saranno cinque (dato che è evidentemente da

escludersi che i russi vi partecipino per ora) saranno quattro o tre o due a lavorare.

Lascerò qui Duno to work alone ifnecessary». Byrnes è apparso ai giornalisti calmo

e nell'atteggiamento di un avvocato che difenda con fermezza e fiducia una causa

perduta in prima istanza.

Molotov è apparso ai giornalisti in una forma completamente diversa da quella

abituale. Era pallido, col viso segnato dalla stanchezza ed inquieto. Aveva comple

tamente abbandonato il suo tono scherzoso (tono che egli usava sempre nei pubblici

incontri e che ho personalmente notato al ricevimento dato in suo onore all'amba

sciata russa il 27 u.s. In tale occasione, avendomi notato fra la folla dei convitati,

mi ha chiamato ed ha voluto brindare con me con la scioltezza e la facilità di un

uomo particolarmente soddisfatto degli eventi). Egli ha subito dichiarato ai giorna

listi che intendeva dare loro una impartial picture della situazione. Ha dichiarato

che la Russia intendeva mantenere gli impegni assunti (alludendo a Potsdam) e che

non consigliava a nessuno di venir loro meno. A chi gli faceva osservare che egli

l'Il settembre si era impegnato ad accettare la competenza della Francia e della

Cina e che su questa presunzione la Conferenza a Cinque aveva proceduto per ben

dieci giorni, egli ha risposto seccamente «fatemi vedere questo impegno. Niente è

stato firmato e quindi niente esiste». Ha aggiunto poi che il 2 ottobre aveva offerto

una soluzione di compromesso proponendo che si firmassero quattro diversi protocolli (cioè uno a cinque per le questioni generali, uno a quattro, compresa cioè la Francia, per la questione italiana, uno a tre per le questioni balcaniche ed uno a due per la Finlandia, con esclusione cioè dell'America). Questo compromesso non era stato purtroppo accettato. Ha aggiunto che sfortunatamente la questione del controllo in Giappone non è stata discussa. (È da notare a questo riguardo che Molotov aveva presentato alla Conferenza un memorandum chiedendo la immediata istituzione di un Contro! Council con sede a Tokio. Di fronte a questa richiesta Byrnes non si è spinto oltre la promessa di far luogo ad una Consultative Commission, e Bevin si è limitato a sostenere una Far Eastern Commission con sede a Washington). Come conclusione Molotov ha affermato che vi è una grande differenza fra la pace del 1919 e quella del 1945. Nel 1919 la Russia era debole ed assente, nel 1945 essa si presenta con i diritti che le derivano dagli immensi sacrifici che le armate rosse hanno compiuto e dal decisivo contributo portato alla vittoria. In altre parole, ha avvertito che senza il consenso della Russia non vi è pace possibile. Per quanto riguarda l'affermazione di Byrnes circa la necessità di un contatto fra i ministri degli Esteri ed i rispettivi governi, Molotov ha controbattuto che sulla questione della competenza non vi è più niente da dire perché tutto è stato detto alla Conferenza dei Cinque. Come si rileva su questo punto essenziale il ministro degli Esteri americano e quello russo lasciano Londra animati da due convincimenti opposti.

Bidault ha dichiarato che questa Conferenza non deve considerarsi persa. Essa rappresenta un lavoro preparatorio che non andrà perduto. Egli spera che i delegati supplenti possano continuare il loro lavoro ricevendo la necessaria delega e direttiva in seguito a sollecite intese fra i governi interessati. Ha ammesso però che attualmente per i lavori dei delegati supplenti non esistono nè piani nè direttive. Ha affermato che la Francia sostiene la indivisibilità della pace ed è contraria quindi ad ogni particolare esclusione di competenza. Se si fosse trattato di salvare l'attuale Conferenza la Francia avrebbe anche accettato un compromesso su questo terreno. Ma per il futuro essa resta ferma alla sua posizione.

Da queste dichiarazioni di congedo e da tutti gli sviluppi della Conferenza quali risultano dai miei precedenti telegrammi, appare che la Conferenza è fallita per due ordini di ragioni che si sono susseguite nel tempo ma che si riassumono in una sola impossibilità di principio:

l) Il mancato accordo di dettaglio sulla quasi totalità delle questioni abbordate. Ché, anche nei casi di un apparente accordo di principio, l'espediente di rimandare allo studio dei delegati supplenti è equivalso alla impossibilità di risolvere direttamente questioni per il momento troppo scottanti.

2) Il mancato accordo procedurale sulla competenza dei belligeranti a discutere i singoli trattati di pace, o meglio i testi preparatori dei trattati che la Conferenza generale della pace avrebbe poi dovuto limitarsi a sanzionare.

Se il secondo dissenso fosse affiorato all'inizio della Conferenza, avrebbe evitato tutte le successive trattative particolari. Essendo invece affiorato al suo termine ha cancellato tutto il lavoro compiuto, riportando il dissenso particolare sulle varie questioni al piano superiore di un dissenso di principio fra i Tre Grandi.

Quale è la ragione di questo tardivo e brusco mutamento di rotta compiuto dalla delegazione russa? Quello che a Yalta ed a Potsdam non è stato chiarito è proprio il quesito essenziale attorno a cui la questione della pace si dibatte e sul quale si è arenata. Il mondo deve essere diviso in due zone di influenza facenti capo ad un blocco capeggiato individualmente dalla Russia e ad uno capeggiato solidalmente dall'America e dall'Inghilterra, con tutte le conseguenze che una simile soluzione deve rendere reciprocamente accette, oppure i Tre Grandi sono disposti a dividere una responsabilità ed una influenza solidale nella riorganizzazione politica ed economica di un mondo unificato? Questo dilemma è stato di colpo sciolto al primo contatto con la realtà. E se si vuole essere obiettivi bisogna riconoscere che la seconda ipotesi è risultata, nel fatto, contraria sia agli intendimenti russi che a quelli anglo-americani. A chi spetti la prima responsabilità di questa politica di blocco è difficile dire. In realtà i due fenomeni hanno proceduto parallelamente esacerbandosi a vicenda secondo alterne azioni e reazioni. In effetti i russi mirano ad un blocco che comprende, per intanto, quelli che per essi sono gli Stati di cintura. Gli americani e gli inglesi dal canto loro, mentre hanno reagito a questa impermeabilità russa che si è manifestata essenzialmentè in Polonia e nei Balcani, non hanno rinunciato a impostare una politica di compartimenti stagni che va dal Mediterraneo all'Estremo Oriente e che si sviluppa inevitabilmente in funzione anti-russa. Si è iniziato così il gioco di misure e contro misure. In via di ripiego gli anglo-americani hanno tentato una soluzione di compromesso tendente ad attenuare la netta divisione fra i due blocchi mediante un sistema di confini fluidi. A questo intento va attribuita la parziale ammissione dei russi nel Mediterraneo e nel Mar Rosso attraverso il sistema della trusteeship coloniale italiana e la promessa di una Consultative Commission per gli affari giapponesi.

La replica a queste aperture avrebbe dovuto essere da parte russa un parziale sbloccamento delle zone di riserva balcaniche. Ma questo sbloccamento non ha neppure accennato a verificarsi. I russi attendono ben altro per fidarsi ad allentare la cintura di sicurezza che si stanno creando. La cessione del Dodecanneso alla Grecia non li tranquillizza perché essi temono che queste isole abbiano in definitiva a convertirsi in una barriera inglese di fronte agli Stretti. Per questa ragione essi hanno rifiutato di discutere la sola questione che avrebbe potuto essere subito risolta date le notorie intenzioni italiane circa la cessione delle isole alla Grecia. La politica americana in Giappone è per i russi causa di grave ansietà. È ovvio che essi sospettino nel particolare trattamento che l'America riserva al Giappone, nel rispetto al regime imperiale, nella gelosia del controllo americano sulle isole giapponesi e nel Pacifico, il proposito di assorbire il Giappone entro il sistema di sicurezza e di possibile offensiva americana. La verità è che la vastità degli interessi imperialistici in gioco crea fra i russi e gli anglo-americani una pratica opposizione ed una ragione di reciproco sospetto che non si vede come possono essere superate.

Al lume di queste considerazioni la questione procedurale sollevata dai russi assume il suo significato e rivela in definitiva il suo carattere difensivo. Dico «difensivo» perché se è evidente l'intenzione russa di mettere piede nelle riserve anglo-americane e di contendere l'intromissione anglo-americana nelle riserve russe, è altrettanto evidente l'identico contro-proposito da parte degli alleati occidentali.

Ora, in questa gara, la Russia è venuta a trovarsi sola di fronte a numerosi e arditi competitori. Di qui la sua tattica difensiva intesa ad attenuare la sua posizione di minoranza in tutte le questioni che implicano una definizione della sua influenza. Perché essere uno contro quattro nella conclusione delle paci balcaniche quando, appellandosi a Potsdam, si può essere uno contro due? Perché essere uno contro due nella pace con la Finlandia quando, secondo lo stesso principio, si può escludere anche l'America e restare uno contro uno?

La manovra è stata condotta grossolanamente dalla delegazione russa, ma la gravità del pericolo spiega la repentinità e brutalità della mossa. La Russia ha voluto con questo dimostrare che ha la forza e la risolutezza necessarie a mandare a fondo questa conferenza ed ogni conferenza che avesse ad essere impostata in modo da porla in condizione di insanabile minoranza. Dal canto loro America e Inghilterra hanno voluto dimostrare che non sono disposte a cedere terreno su una questione di principio e di equità morale. Quello che è innegabile è che la conseguenza della presa di posizione russa è stata il rinsaldamento de facto di un blocco a gravitazione occidentale che ha proporzioni e potenza tali da giustificare, a pari ragione, o l'irrigidirsi della sospettosa difesa russa, o una prossima iniziativa di Mosca intesa ad una sincera spiegazione e distensione con le Potenze occidentali. Su questa via Inghilterra ed America dovranno mettersi al pari della Russia perché, ripeto, è troppo evidente che il difetto di sincerità e di spirito di cooperazione è perfettamente reciproco. Qui non si esclude (è anzi una speranza ardentemente coltivata) che dopo il ritorno di Molotov e di Bymes alle rispettive capitali, Truman, Stalin e Attlee possano riesaminare ab ovo e con un nuovo spirito la questione. L'aspettazione del mondo, la responsabilità che grava sulle loro spalle, la impossibilità di tenere i popoli sofferenti in questo stato di angosciosa attesa, fanno ritenere che un leale accordo abbia probabilità di essere al più presto raggiunto, tale da garantire il progresso di una prossima sessione della conferenza su principì preventivamente accettati ed in una atmosfera di possibile cooperazione.

I rapporti personali fra Bevin e Molotov sono stati particolarmente aspri. In varie occasioni il dissenso fra i due uomini è culminato in espressioni insolitamente rudi. Ma il carattere schietto ed impulsivo di Bevin dà agli incidenti occorsi un significato relativo e renderà facile una ripresa di rapporti con Molotov su un piano di rinnovata cordialità. È considerato qui di buon auspicio il fatto che i cinque ministri prima di separarsi hanno brindato fra di loro per chiudere in un atto di solidarietà fra uomini questo infelice tentativo di accordo fra popoli. Le ragioni di scoramento sono molte. Vi è una sola, generalmente condivisa, ragione di sollievo: si è usciti dagli equivoci, si è conosciuta la realtà e se ne è misurato il pericolo.

P. S. Circa l'effetto della presunta sospensione dell'attività dei delegati supplenti sulla soluzione delle questioni italiane, mi riservo di riferire dopo il colloquio che avrò oggi stesso col signor Dunn che sostituisce qui Bymes 1•

t Vedi D. 604.

604

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 4288/3137. Londra, 5 ottobre 1945 (per. /'8).

Faccio seguito al mio rapporto di ieri 1 per rendere conto alla S.V. del colloquio che ho avuto ieri stesso nel tardo pomeriggio col signor Dunn 2• Egli si è intrattenuto da me per oltre un'ora dandomi campo di interpellarlo su ogni argomento ed informandomi con una cortesia ed una confidenza che non potevano essere maggiori. Mi limito a riassumere i punti essenziali della nostra conversazione:

Conferenza di Londra. Circa il tempo ed il modo di una possibile ripresa dei lavori mi dichiara che non esistono elementi per una verosimile previsione. Ritiene le pretese russe mal fondate. Mi conferma che Bymes ha proposto in via di compromesso che i Tre Grandi compiano un lavoro preparatorio e che i Cinque convochino poi una Conferenza generale delle Potenze che avendo contribuito ad una vittoria comune hanno diritto di intervenire nella conclusione di una pace non frazionata. Molotov ha rifiutato anche questo compromesso. Dunn ha interpellato in proposito il signor Harriman ambasciatore americano a Mosca al cui parere attribuisce grande importanza. Ma anche questi gli ha dichiarato che non ha alcun elemento in base a cui prevedere come i russi possano offrire una via d'uscita da questo dead-lock. Allo stato attuale delle cose non resta che constatare che tutto il lavoro della Conferenza è annullato e che solo nuove intese fra i governi sulla questione di procedura potranno riattivare le conversazioni.

A mia richiesta mi ha confermato che l'attività dei delegati supplenti è completamente sospesa (almeno in via ufficiale) in attesa che nuovi accordi ripristinino il loro mandato. Il che, egli ritiene, richiederà varie settimane. Comunque, egli ha ricevuto istruzioni da Byrnes di restare a Londra fino a che una decisione in proposito sia presa.

Gli ho fatto osservare che questo indeterminato rimando delle discussioni e delle indagini in loco relative alla pace con l'Italia proponeva un nuovo problema sul quale già avevo attratto l'attenzione del Foreign Office e che ritenevo mio dovere prospettargli. La sospensione delle trattative di pace risolleva il problema e la urgente necessità di cancellare il vigente stato di armistizio e sostituirlo con nuove pattuizioni a regolazione di una nuova realtà che in nuovi termini deve essere definita. Non è ammissibile sotto l'aspetto morale e pratico che l'Italia possa ulteriormente essere aggiogata alle clausole di un armistizio superato in fatto ed in diritto, il quale costituisce da un lato un pericoloso intralcio alla rinascita democratica ed alla ricostruzione italiana, dall'altro un deplorevole errore psicologico fonte di umiliazione e di scoraggiamento per un popolo che ha assoluta necessità di poter attingere alla pienezza delle proprie risorse morali. Dunn

l Vedi D. 603.

2 Sul colloquio con Dunn Carandini aveva riferito con T. s.n.d. 9597/699 del 4 ottobre, non pubblicato.

riconosce la fondatezza di questa esigenza rendendosi conto che è impossibile dare inizio alle elezioni in un paese soggetto ad un armistizio le cui clausole sono avvolte nel più inquietante segreto per la massa dei cittadini. Egli si dichiara favorevole alla cancellazione dell'attuale armistizio ed alla redazione di un nuovo documento liber!!mente discusso ed accettato, da rendersi pubblico e che contempli solo quelle clausole militari che sono necessarie per dare una base legale alla permanenza delle truppe alleate in Italia, all'uso dei porti delle ferrovie delle strade ecc. Mi conferma che una simile proposta era già stata fatta a Potsdam da Byrnes a Eden il quale l'aveva accolta favorevolmente. Successivamente Bevin, informato, si dimostrò egli pure favorevole. Essendosi poi decisa a Potsdam la prossima convocazione della Conferenza di Londra destinata a decidere la pace con l'Italia, la questione dell'armistizio fu scartata perché superata. Dunn mi ha detto, in via assolutamente segreta, che durante l'ultima fase di questa Conferenza, nella previsione che le trattative dovessero interrompersi, Byrnes e Bevin hanno ripreso in esame la questione della cancellazione dell'armistizio la quale è ora al congiunto studio dello State Department e del Foreign Office. Riallaccio questa informazione al modo favorevole con cui Cadogan ha accolto nel nostro ultimo colloquio, di cui ho telegraficamente riferito 1 , il mio analogo suggerimento. Dunn mi ha accentuatamente promesso di seguire e caldeggiare la cosa allo State Department.

Colonie italiane. A mia richiesta mi conferma che effettivamente gli uffici dello State Department avevano studiato (ed egli si era direttamente occupato della cosa) la possibilità di dare all'Italia una posizione speciale in seno alla trusteeship prevista per i nostri possedimenti coloniali della Libia e dell'Africa Orientale, ma questo piano non ha mai varcato la fase di studio, né è stato mai concretamente sottoposto a Byrnes e a Truman e tanto meno da loro approvato. Nella concretazione delle proposte americane Byrnes ha ritenuto opportuno considerare invece una trusteeship generale con inclusione dell'Italia fra i co-trustees. La richiesta russa di una trusteeship individuale in Tripolitania ostacola ora anche l'adozione di questa soluzione di trusteeship collettiva, la quale, ad ogni modo, è stata accettata dai Cinque come base di studio. Se le decisioni dei Cinque avranno a risultare definitivamente invalidate la questione si ripresenterà ab ovo ed offrirà possibilità allo studio di diverse soluzioni. Byrnes dichiara che, ad ogni modo, presentandosene l'opportunità l'America non sarebbe certo contraria ad una più vasta interferenza amministrativa dell'Italia nelle proprie colonie. Ritiene che la Francia favorirà una simile soluzione e probabilmente anche l'Inghilterra la quale però deve superare lo scoglio dei suoi precedenti impegni coi Senussi, scoglio che potrebbe essere evitato concedendo ai Senussi una autonomia in seno al trusteeship. In questo esame di possibilità occorre tener conto della posizione russa che è finora nettamente contraria. Egli ha l'impressione che la richiesta di Molotov per una trusteeship individuale sulla Tripolitania non risponda solo ad una manovra di contrattazione per altre concessioni, ma ad un definito proposito di insediarsi a Tripoli e usufruire quel porto per ragioni commerciali e quella posizione per ragioni

I Vedi D. 581.

politiche. Al che America Inghilterra e Francia sono assolutamente contrarie. Gli faccio presente che la questione di assicurare, nella migliore delle ipotesi, una trusteeship individuale all'Italia in Libia, mi pare gravemente compromessa dalla proposta americana che è stata presa per base agli studi dei delegati. Mi pare difficile che i russi, non ottenendo la richiesta mano libera in Tripolitania, possano rinunciare alla posizione che è stata loro offerta di co:trustees in Libia e nel Mar Rosso. Dunn afferma che, secondo lui, i delegati supplenti dovranno discutere quale forma di trusteeship potrà essere più appropriata alla buona amministrazione delle nostre colonie. In teoria, per lo meno, la soluzione di una trusteeship individuale all'Italia può ancora essere presa in considerazione. Gli ho detto che stavamo preparando un memorandum sulle questioni coloniali il quale non pretendeva dare suggerimenti, per ora non richiestici, sulle soluzioni definitive, ma semplicemente mettere a disposizione del Consiglio dei Cinque tutte le informazioni utili ad illuminare i delegati sulle soluzioni che l'Italia aveva trovato, in una lunga esperienza, per i vari problemi coloniali, sul lavoro compiuto dal giorno dell'acquisto delle colonie ad oggi e sui nuovi problemi che si prospettano per la continuità di un'opera di civilizzazione mirabilmente avanzata e che non deve essere compromessa da improvvisate innovazioni. Gli ho detto che l'amministrazione delle nostre colonie rappresenta un caso esem. plare e che mi pareva nostro diritto, di fronte alla minaccia di essere estromessi dall'amministrazione dei nostri interessi e di quelli delle popolazioni locali interessate, il far valere con appropriata documentazione il valore dell'opera compiuta nel passato e la nostra capacità a perfezionarla nell'avvenire. Byrnes aveva autorizzato il nostro ministro degli Esteri a presentare tale documentazione. Il complicarsi degli eventi in seno alla Conferenza ci aveva consigliato a rimandare

a momento più opportuno tale nostro intervento.

Dunn mi ha detto che l'idea è ottima a condizione che il nostro esposto sia

di carattere obbiettivamente tecnico inteso a mettere in risalto problemi etnici,

economici, politici a noi perfettamente noti e nel loro complesso completamente

sconosciuti ai Cinque. Se da tale documentazione, che dovrà essere ampia ed

evidente, risulterà l'efficienza della passata amministrazione italiana, ciò potrà

costituire il più persuasivo elemento di fatto in favore di una soluzione in cui la

posizione amministrativa dell'Italia in seno al trusteeship possa avere un partico

lare riconoscimento.

È probabile che la questione delle nostre colonie non venga riassunta che tra

un paio di mesi. Vi è dunque tempo per la preparazione di un memoriale sintetico,

facile ad intendersi, corredato di ampia documentazione statistica e fotografica il

quale potrà essere presentato ufficialmente alla segreteria del Consiglio e racco

mandato riservatamente all'attenzione dei singoli delegati supplenti.

Dodecaneso. Mi ha confermato che nessuno dei Cinque ha avanzato pretese particolari su quelle isole, ma che i russi si sono opposti a discutere una cessione alla Grecia che per ovvie ragioni non conviene a loro.

Venezia Giulia. Mi ha dichiarato che l'America è soddisfatta del risultato raggiunto accettando il fattore etnico come base di una soluzione che riduca al minimo le minoranze dalle due parti. Nonostante il fallimento della Conferenza questo principio è stato ormai ammesso e non è verosimile si possa da esso recedere. Gli ho prospettato l'interesse essenziale che presentano per noi le risorse minerarie dell'Istria ed egli mi ha dichiarato che l'America appoggerà il rispetto dei diritti italiani sulle miniere istriane di carbone e di bauxite.

Alto Adige. L'America non ha nulla da opporre al mantenimento della frontiera del Brennero salvo minori rettifiche (essenzialmente nella zona di S. Candido). L'America però non può rifiutarsi a che le richieste austriache siano esaminate.

In conclusione il signor Dunn mi ha assicurato che l'America è e sarà al nostro fianco su ogni argomento che interessi la nostra riabilitazione. E ciò non per ragioni sentimentali di cui gli americani fanno scarso conto, ma perché è diretto interesse dell'America di poter contare al più presto su un'Italia ricostituita nella pienezza della sua efficienza.

605

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI,

ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI,

E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. s.N.D. 7272/498 (Mosca) 463 (Londra). Roma, 6 ottobre 1945, ore 17.

(Solo per Mosca) Ho telegrafato R. ambasciatore Londra quanto segue:

(Per Londra) Suo 645 1•

(Per tutti) Tarchiani ha già iniziato da qualche giorno azione per soluzione provvisoria immediata. Mi riferisco in proposito mio telegramma n. 7199/c. 2 .

Ambasciatore Charles mi dice aver parlato questione prima sua partenza da Londra con ministro Bevin, il quale peraltro non vi si sarebbe mostrato favorevole nella sua persuasione che pace definitiva avrebbe potuto, a suo giudizio, essere definitivamente concretata entro prossimo novembre. Tale previsione dopo fallimento Conferenza Londra, si è tuttavia rivelata estremamente improbabile, ciò che dovrebbe rafforzare esigenza italiana uscire subito da umilianti ceppi armistiziali. Continui dunque agire costì nello stesso senso. Do naturalmente Tarchiani eguali istruzioni3 .

(Solo per Mosca) Agisca, nella misura che le consentiranno circostanze, nello stesso senso col maggiore tatto e cautela.

I Vedi D. 581. 2 Del 4 ottobre: ritrasmissione alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi del D. 590. 3 Vedi D. 606.

606

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 7273/493 1 . Roma, 6 ottobre 1945, ore 18.

Suo 5492•

Quaroni riferisce ritenere che Russia si opporrebbe adesso pace provvisoria con noi a meno che provvedimento analogo venga deciso in favore Rumania e Bulgaria. Sullo stesso argomento Carandini ha avuto conversazione con Cadogan comunicatale con telegramma circolare n. 7062/c. 3 .

Nell'impossibilità che questione sia ormai trattata collegialmente a Londra è necessario che questione, come ella ha del resto già egregiamente fatto, sia tenuta viva a Washington e che Byrnes ne sia da parte nostra energicamente interessato subito dopo suo ritorno in patria.

Ella sa che parallelismo sostenuto dai russi fra situazione italiana e situazione bulgara e romena, non corrisponde alla innegabile realtà che Italia si è battuta per due anni a fianco Alleati e fu la prima a sollevare, in circostanze difficili e quando vittoria era tuttora lontana, bandiera rivolta contro i tedeschi. Una discriminazione a suo favore sarebbe di conseguenza pienamente giustificata.

Certo che nulla solleverebbe di più nostro spirito alla vigilia duro inverno e meglio chiarirebbe atmosfera incerta e torbida alla vigilia elezioni che un assetto provvisorio il quale, in mancanza della pace, ci consenta il rispetto di noi stessi e del mondo esterno 4 .

607

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 7276/494. Roma, 6 ottobre 1945, ore 20.

Suo 5265 .

Approvo sua risposta e sue riserve circa note proposte nordamericane. Opinioni ministro Togliatti sono personali e di partito, non di governo, il quale ha avuto del resto modo di esprimere suo punto di vista sia attraverso dichiarazioni presidente

1 Inviato, per conoscenza, all'ambasciata a Mosca col n. 7273/499.

2 Vedi D. 590.

3 Del 30 settembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 581.

4 Tarchiani rispose con T. s.n.d. 9890/587 del 9 ottobre quanto segue: «Da conversazioni con uffici Dipartimento di Stato risulterebbe che studi in corso qui ed a Londra si andrebbero orientando verso la sostanziale revisione e semplificazione nostro armistizio senza però giungere pace provvisoria. Quest'ultima verrebbe resa assai difficile da nota posizione sovietica per analogia concessione a favore governi balcanici cui governi U.S.A. ed Inghilterra non intendono invece accedere».

5 Vedi D. 576.

Parri che mie. In esse è chiaramente detto che nessun governo italiano avrebbe sufficiente autorità e prestigio per accettare condizioni di pace che fossero dal popolo italiano ritenute ingiuste. Ciò è stato da me esplicitamente accennato anche dinanzi al Consiglio dei Cinque, in occasione esposizione del punto di vista italiano sulla Venezia Giulia. In vista rinvio pace definitiva questione non è peraltro oggi di urgente attualità. Conviene a noi insistere per ora piuttosto su soluzione provvisoria, e, insieme, sulla migliore possibile definizione questioni che ci riguardano. Anche possibilità non firmare è tuttavia una porta che è prudente lasciare aperta, in via naturalmente di extrema ratio e nella deprecatissima eventualità che equità e giustizia non dovessero in definitiva prevalere. È bene che, nella sua ulteriore azione, ella tenga presente che di quanto precede contiamo fare accenno soltanto al governo nordamericano, che ci è il più vicino in ispirito e meglio e più umanamente ci comprende.

608

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 896/398. Mosca, 6 ottobre 1945 (per. il 2 novembre).

Avevo notato nelle ultime mie conversazioni con alti funzionari del commissariato un tono di marcato risentimento verso di noi, tono che ho cercato di rendere a V.E. nei miei rapporti.

Da alcune comunicazioni del ministero e della stampa italiana che ho ricevuto con gli ultimi corrieri ho visto vari annunci alla attività, in Italia, di elementi jugoslavi contrari al regime di Tito. Questo mi ha permesso di comprendere alcune vaghissime allusioni di Dekanozov e di Vyshinsky che, non essendo al corrente di quanto stava accadendo in Italia, non ero riuscito a comprendere.

So già che, come nella precedente questione relativa ai polacchi, si tratta, in massima parte, di manovre militari alleate in Italia, contro le quali, data la nostra situazione di paese occupato, noi non possiamo fare nulla di veramente efficace. Ma persuadere di questo i russi è una cosa impossibile. Ossia, per essere più esatti: i russi sanno benissimo che il governo italiano non può, di sua autorità, impedire al signor x, ufficiale jugoslavo fedele a Re Pietro, di procedere sul territorio italiano alla formazione di reparti armati quando le autorità inglesi glielo permettono. Ma essi ritengono che il governo italiano, se lo volesse, potrebbe pregare gli Alleati di non farlo: e sopra tutto ritengono che ci siano in Italia dei gruppi e dei partiti politici che vedono di buon occhio questa attività inglese e che, anzi, in quanto è possibile, l'aiutano. Per i polacchi i circoli indiziati erano principalmente il Vaticano e, per conseguenza, il partito democratico-cristiano: nel caso degli jugoslavi e degli albanesi, gli indiziati sono piuttosto i circoli militari e nazionalisti.

Ora tutto questo complica molto la nostra situazione. Noi ci troviamo già, con questo Paese, in una situazione difficile perché le nostre aspirazioni, frontiera orientale e colonie, si trovano a scontrarsi con quelli che la Russia ritiene essere i suoi interessi; ed è già più che difficile portare la Russia a deflettere da questo suo atteggiamento, anche solo di poco, e ciò avviene sopratutto in via di compromesso di fronte agli altri alleati. Bisognerebbe quindi che da parte nostra si evitasse di aggiungere a questo stato di cose anche delle ragioni specifiche di risentimento russo contro il governo italiano, di accentuare il sospetto che esiste ed è inutile nasconderlo, che ci sono in Italia persone e gruppi che essi ritengono potenti, i quali vedono l'avvenire politico dell'Italia in una funzione antirussa, sotto veste di lotta anticomunista. Poiché in questo caso la Russia sarà più decisamente che mai contro di noi, contro le nostre aspirazioni, contro soluzioni di compromesso a noi più favorevoli che possano essere presentate da altri.

La situazione può essere anche più complicata per noi per il fatto che se le autorità inglesi lasciano fare, vuoi dire che ritengono di avere interesse a farlo e quindi, da parte nostra, creare degli ostacoli alla loro attività, può creare reazioni in altre direzioni. Tanto più che, anche se noi assumessimo un atteggiamento intransigente a questo riguardo, le conseguenze non sarebbero certo quelle di un brusco cambiamento di fronte della politica russa: possiamo ottenere solo un'attenuazione dell'atteggiamento russo, non un suo mutamento radicale. Quello che mi sembra, vedendo le cose di qui, è che nella situazione attuale abbiamo tutto l'interesse a non dare fastidio alla Russia più di quanto è strettamente necessario per la difesa dei nostri interessi immediati.

Perché V.E. possa meglio valutare la situazione, rilevo anche:

l) Tutto il settore delle «zone di amicizia» è un settore a cui i russi sono estremamente sensibili, estremamente sospettosi e pronti alle reazioni più violente. La lotta serrata che si sta svolgendo fra russi e anglo-sassoni in questo settore rende i russi anche più sensibili. Il mio avviso resta che noi non abbiamo nulla da guadagnare e tutto da perdere nell'andarci a cacciare fra i due contendenti.

2) Tutta questa attività inglese non serve assolutamente a niente. Ammettendo anche che questi reparti potessero entrare in Jugoslavia e, unendosi con elementi interni, mettere in serio pericolo il governo di Tito, noi vedremmo allora, sotto qualche mascheratura più o meno trasparente, intervenire l'esercito russo a ristabilire la situazione.

3) Da parte jugoslava o russa, si risponderà a questa attività inglese, inviando armi, denari, magari organizzando reparti, destinati ad appoggiare in Italia elementi che possono creare dei torbidi. Per cui il fatto che il nostro territorio venga adoperato dagli inglesi per incoraggiare la guerra civile in Jugoslavia, può avere per conseguenza che da altre parti si facciano dei tentativi di provocare la guerra civile in Italia.

Qualora V.E. credesse, in base a queste considerazioni, di intraprendere qualche azione in proposito presso le autorità militari britanniche e qualora non credesse di farlo con una certa pubblicità, sarebbe bene che ne fossi informato per le opportune comunicazioni a questo governo.

609

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 4297. Londra, 6 ottobre 1945 (per. !'8).

Profittando della possibilità di far partire oggi. un corriere speciale per Roma, le invio copia del progetto di memorandum sulle colonie italiane redatto in questi giorni dagli esperti coloniali 1 . Nulla è stato finora presentato in via ufficiale sulla questione coloniale dato l'andamento preso dai lavori della Conferenza ed in attesa che il progetto di memorandum venga approvato dal ministero. Solo in via personale sono stati rimessi al Research Department del Foreign Office due esemplari dell'opuscolo illustrato sulle colonie.

Circa il progetto di memorandum la informo che Visconti Venosta all'atto della sua partenza mi disse che si riservava di trattarne costì a voce: egli dovrebbe essere a Roma martedì, e mi sembra utile che ella abbia avuto per allora il documento in questione. 2 •

610

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9909/585-586. Washington, 9 ottobre 1945, ore 17,20 (per. ore 12 del 10).

Suo telegramma n. 7212/c. 3.

Al Dipartimento di Stato è stato smentito in modo reciso che i Tre avessero preso a suo tempo decisione togliere all'Italia colonie prefasciste. A Yalta e a San Francisco si sarebbe parlato in linea generale questione trusteeship ma senza alcun impegno da parte americana per quanto concerne sorte colonie italiane. A Londra delegazione sovietica aveva cercato sostenere stesse tesi svolte da Dekanozov a Quaroni, basandosi specialmente su generica lettera apocrifa a questo ambasciatore sovietico Gromyko in cui peraltro non si accennava affatto a colonie italiane. Nell'occasione al Dipartimento di Stato è stato nuovamente confermato quanto già detto a questa ambasciata in merito discussione Conferenza Londra su questione trusteeship plurimo coloniale di cui ai miei telegrammi n. 524 e 5254 . Questione

1 Cfr. Rossi, L'Africa Italiana verso l'indipendenza, cit., pp. 155-156.

2 Annotazione a margine di Prunas del 15 ottobre: «In evidenza. L'allegato è oggetto di esame da parte segreteria generale e Zoppi».

3 Del 4 ottobre: ritrasmissione alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington del D. 582.

4 Vedi D. 575.

stessa deferita, come è noto, ad esame comitato supplenti con raccomandazione tenet; conto progetto americano troverebbesi pertanto sempre in fondo [non risolta].

Al Dipartimento di Stato si è smentito recisamente del pari che esisteva già per Venezia Giulia linea concordata tra Alleati. Commissione supplenti dovrebbe recarsi sul luogo od inviare propri esperti per rendersi conto situazione etnica come annunciato da noto comunicato.

611

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. 7436/507 ( Washington) 471 (Londra). Roma, 10 ottobre 1945, ore 12,30.

(Solo per Londra) Mio 457 1• Ho telegrafato a Washington quanto segue.

(Solo per Washington) Mio 471 1•

(Per tutti) A proposito della inclusione di una «dichiarazione dei diritti» nel trattato di pace con Italia, recente editoriale del Times afferma che ciò avrà come conseguenza di porre costituzione italiana sotto «protezione» e cioè sotto controllo internazionale.

Ella noterà che nostra richiesta di cui al telegramma citato era appunto destinata a trasformare in dichiarazione di principio italiana (da includersi infatti come tale e soltanto nel preambolo) ciò che avrebbe altrimenti sostanza e forma di condizione imposta da Potenze vincitrici con tutte le conseguenze connesse.

Non è né può evidentemente essere intenzione americana quella di mantenere l'Italia, attraverso equivoche formule, in una condizione di aperta o larvata sudditanza verso chicchessia. Nulla sarebbe più umiliante per noi o più contrario alla giustizia. Comunque sono queste le interpretazioni di un organo autorevole quale il Times.

È superfluo aggiungere che il nostro contrasto non riguarda affatto spirito dichiarazione che condividiamo perfettamente, ma pericoli impliciti nella suddetta interpretazione che lascerebbe porta aperta a insidiosi interventi negli affari interni italiani. Va altresì da sè che ci troveranno consenzienti tutte le limitazioni generali e non unilaterali ed imposte alla sovranità nazionale che siano necessarie per partecipare alla futura organizzazione della comunità internazionale, consapevoli come siamo che essa sarà tanto più forte quanto maggiori saranno poteri che gli Stati le delegheranno, spontaneamente spogliandosene.

Attiro su quanto precede la sua particolare attenzione. Ne parli subito al Dipartimento di Stato con amichevole chiarezza.

(Solo per Londra) Si regoli in conseguenza. Prima di parlarne costì sarà forse opportuno attendere chiarimenti Washington, da cui iniziativa è partita.

l Vedi D. 595.

612

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 9924/684. Londra, IO ottobre 1945, ore 13,50 (per. ore 18,45).

Come già altre volte ho fatto presente si mostra qui notevole interesse per conoscere concreti lineamenti delle autonomie regionali che il governo italiano ha già annunziato voler concedere ad alcune zone di popolazione mista ed in particolare all'Alto Adige.

Sarò grato V.E. farmi conoscere a che punto sia studio questione. Dato oltre tutto scetticismo che si manifesta in certi ambienti circa reale nostra intenzione di tradurre in atto programma annunciato, è tanto più importante che il momento in cui venisse in discussione problema dell'Alto Adige ci si trovi in condizioni di poter fornire indicazioni da cui risulti un piano preciso e concreto di attuazione 1•

613

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 914/405. Mosca, 10 ottobre 1945 (per. il 2 novembre).

I giornali di Mosca hanno dato un particolare rilievo alle dichiarazioni fatte il 7 corrente ad una conferenza di giornalisti esteri e jugoslavi a Belgrado dal sig. Kardelj, che fu a capo della delegazione jugoslava alla sezione del consiglio dei ministri degli Affari Esteri di Londra.

Il sig. Kardelj illustrò il punto di vista del suo governo, che si riassume nei seguenti termini:

l) i territori appartenenti ai popoli sloveno e croato, che sono stati loro strappati a forza alla fine dell'altra guerra devono essere restituiti alla Jugoslavia;

2) la Jugoslavia non può con i suoi propri mezzi far fronte alle spese per il riassetto economico dei territori devastati dagli aggressori italiani, né può rinunciare ai beni che sono stati asportati alla Jugoslavia e trasferiti in Italia;

3) la Jugoslavia considera essenziale che siano prese misure per prevenire nel futuro aggressioni contro la Jugoslavia e gli altri Stati amanti della pace.

Circa la questione di Trieste, Kardelj ha dichiarato che la città, pur essendo abitata in maggioranza da italiani, non può essere separata dal retroterra jugoslavo e che perciò deve seguirne la sorte pur ottenendo di essere ammessa nella Federa-

t Vedi D. 676.

zione jugoslava come Stato autonomo. La dichiarazione del Consiglio di Londra circa i confini etnici della Venezia Giulia non può, quindi, significare l'annessione all'Italia di Trieste e degli altri pochi centri di popolazione mista deii'Istria, i quali non sono che una prova dell'oppressione straniera della Venezia Giulia. Sarebbe, quindi, ingiusto riferirsi a questo dato di fatto come prova che la Venezia Giulia deve anche nell'avvenire rimanere sotto il giogo straniero.

Kardelj ammise solo che, in certi limiti, la Jugoslavia poteva tener conto della parte presa dall'Italia nella lotta contro i tedeschi dopo il settembre 1943 per ridurre il risarcimento dei danni da essa provocati con la sua aggressione alla Jugoslavia, il cui valore si aggirerebbe attorno ai 9 miliardi di dollari; nessuna discussione può aver luogo per quanto riguarda la restituzione dei beni jugoslavi asportati in Italia.

Si unisce, per notizia, il ritaglio della notizia «Tass» sulle dichiarazioni di Kardelj 1 .

614

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 3795/1015. Parigi, 10 ottobre 1945 (per. il 16).

Trasmetto qui unita copia di una lettera che ho in data odierna inviato a questo ministro degli Affari Esteri, signor Georges Bidault, attualmente, com'è noto, assente da Parigi.

Nell'esprimergli l'apprezzamento del governo italiano per l'attitudine della delegazione francese alla Conferenza di Londra, ho segnalato al predetto ministro, come da istruzioni ricevute, che l'Italia tiene in modo particolare a che la Francia continui ad avere voce nella elaborazione del trattato di pace con il nostro Paese, nonché in quella relativa alla nuova organizzazione dei Balcani.

ALLEGATO

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BIDAUL T

L. Parigi, 10 ottobre 1945.

J'avais sollicité une audience pour vous exprimer de vive voix la profonde gratitude de mon gouvernement pour votre action si éclairée et si constructivement généreuse à faveur d'une paix juste avec l'Italie à la Conférence de Londres.

Votre départ, ainsi que mon absence temporaire de Paris à votre retour, me privent pour le moment de cette heureuse opportunité. Qu'il me soit permis toutefois, M. le ministre,

I Non pubblicato.

de vous dire combien le gouvernement italien a apprécié l'attitude de la France si hautement représentée par vous à Londres, et combien cette attitude favorisera, avec l'admiration pour votre grand Pays, le développement en Italie de l'esprit démocratique, garantie vraiment certaine d'un accord profond et solide entre nos deux peuples.

Je tiens encore à vous dire, M. le ministre, que, bien que notre voix n'ait pas en ce moment un grand poids, le gouvernement italien a erli de son devoir de faire savoir aux gouvernements intéressés le prix tout particulier que l'Italie attache à ce que la France continue à prendre part à l'élaboration du traité de paix avec l'Italie. Par la meme occasion nous avons souligné combien il serait absurde, si l'on se piace réellement au point de vue des intérèts européens et de la civilisation, d'exclure la France de l'organisation de la paix dans !es Balkans.

615

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 9998/503. Mosca, 11 ottobre 1945, ore 0,25 (per. ore 17,40).

In merito dichiarazioni presidente del Consiglio in data 7 settembre di cui al mio telegramma 502 1 osservo che modificazioni anche radicali clausole militari economiche finanziarie armistizio possono essere accordate da Inghilterra e Stati Uniti in quanto per queste esse non hanno assoluto bisogno consenso russo. Né ritengo d'altra parte Russia si opporrebbe a questo poiché da parte sua ha già concesso molte facilitazioni Bulgaria Romania e può avere interesse farne ancora. Comunque su questo punto se necessario sarebbe per me possibile svolgere qui azione in nostro favore con buone probabilità di successo, non nel senso che Russia ne prenda essa iniziativa ma perché non si opponga a eventuali proposte anglo-americane. Del resto è mia impressione che per altri precedenti provvedimenti in questo senso Mosca non sia stata nemmeno consultata. Decisione è principalmente se non integralmente nelle mani anglo-americani. Per quanto concerne invece modificazione nostro statuto giuridico e sopratutto ammissione fra Nazioni Unite anglo-americani non possono agire senza consenso Russia la quale con suo diretto veto può fermare qualsiasi loro iniziativa.

Su questo punto Russia è inesorabile. Russia è persuasa che pace con Italia e sua ammissione Nazioni Unite è interesse americano ed è decisa servirsene come mezzo pressione per forzare America rivedere suo atteggiamento verso governi Romania e Bulgaria e qualsiasi argomento possiamo avanzare in favore nostra tesi non indurrà Russia rinunciare suo atteggiamento. Dato che situazione attuale crea non pochi imbarazzi anglo-americani credo abbiamo tutto l'interesse mostrare Washington Londra che ci rendiamo conto loro difficoltà e non domandare cose che non è in loro potere concederci. Nostro atteggiamento comprensivo in questo campo può forse facilitare soluzione primo gruppo questioni, ammesso che buone disposizioni anglo-americane siano qualche cosa di concreto.

1 T. 10032/502 dell'Il ottobre: pubblicazione da parte della stampa sovietica delle dichiarazioni di Parri sulla situazione internazionale dell'Italia.

616

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10036/504. Mosca, Il ottobre 1945, ore 19 (per. ore 9,45 del 12).

Molotov in forma per lui particolarmente cortese mi ha detto di essere stato contento di aver avuto occasione di fare la sua conoscenza personale e che il suo discorso aveva fatto su di lui e su tutti i presenti migliore impressione. Non ha lasciato portare conversazione sul merito questione frontiere orientali limitandosi a dire che era un peccato che non avessimo potuto risolvere questione direttamente con Jugoslavia come stavamo facendo con Francia. Gli ho risposto che questo sarebbe stato forse possibile se Jugoslavia avesse accettato nostre proposte fatte da tempo come lui sapeva per ristabilire relazioni diplomatiche.

Gli ho esposto delusione opinione pubblica italiana vedere rimandata calende greche conclusione pace insistendo su gravi conseguenze di ogni genere derivanti da continuazione stato armistizio. Ha detto che non era colpa della Russia se non si era potuto realizzare accordo fra Alleati presupposto necessario per conclusione pace con Italia, bisognava che Italia si rassegnasse ad attendere. Gli ho risposto che nessuno più dell'Italia si rendeva conto necessità accordo fra Alleati per pace mondiale e per nostro benessere ma che non era facile aspettare quando attesa significava gravi sofferenze popolo italiano ritardo ricostruzione materiale morale paese. Ha risposto: «No n è solo Italia che risente mancato accordo».

617

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 10089/458. Parigi, 12 ottobre 1945, ore 19,45 (per. ore 8,30 del 13).

Generale de Gaulle, nel corso conferenza stampa, ha fatto dichiarazioni favorevoli Italia, affermandosi sostenitore mantenimento Tripolitania e Cirenaica a nostro Paese. Ha aggiunto avere avuto recentemente occasione incontrare uomini responsabili sorte penisola e che questi uomini hanno riscosso tutta la sua stima. Sino ad ora non ancora pubblicato alcun comunicato circa dichiarazioni stesse.

618

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 5911156/Ec. Roma, 12 ottobre 1945.

I refer to your letter 3/1508 dated 6 September 1945 1 on the s~bject of Y ougoslav propaganda in Venezia Giulia and to my Executive Commissioner's acknowledgment 591/103/Ec dated 10 September 19452 in which I promised you a further letter on the subject.

I shall discuss seriatim the paragraphs of your letter, in so far as they relate to the Anglo-American occupied portion of Venezia Giulia.

a) First paragraph. lt is probable that there are petitions of the type mentioned in circulation, and that these are, in the aggregate, referred to in some newspapers as a «plebiscite». This term, of course, is not correct. W e have always surveyed scrupulously any such efforts but, to date, in Allied occupied Venezia Giulia, there has been no cause to attribute these activities specifically to the « Y ougoslav Authorities». Should you have any direct evidence of such connection I will be glad if you will Jet me know and I will take the matter up through diplomatic channels.

b) Second and third paragraphs. These paragraphs relate to the Yougoslav-occupied zone of Venezia Giulia, upon which I am not in a position to comment. If you have documented evidence again I shall be glad to take it up through the suitable channels.

c) Fourth paragraph. There is, of course, no reason why, under a democratic regime, any person may not, peaceably and without violence or duress, circuiate any petition he pleases. The Senior Civil Affairs Officer of the Allied Military Government for Venezia Giulia, however, has heard reports of such methods being used as you describe in this paragraph. He has always given the strictest orders for arrests to be made whenever any evidence of such methods, however slight, can be discovered. However, this work is very much hampered due to the lack of will of the local population to come forward with a denunciation. Severa! arrests bave, in fact, been made but none have revealed circumstances approaching those described on your letter.

d) Fifth paragraph. You may rest assured that if we are furnished with information as to where to get evidence of unlawful, violent and subversive acts of the type described, we shall act promptly and forcefully 3 .

t Vedi D. 500. 2 Non pubblicata. 3 Per la risposta vedi D. 644.

619

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 924/410. Mosca, 12 ottobre 1945 (per. il 5 dicembre).

Da un'alta personalità non russa, che ha preso parte alla Conferenza di Londra, ho avuto confidenzialmente le seguenti informazioni che ritengo utile portare a sua conoscenza.

l) Frontiera italo-jugoslava. L'impressione che da parte sovietica si è tentato di darmi, che si fosse già in massima d'accordo su di una spartizione della zona in contestazione e che gli esperti fossero incaricati soltanto di verificare punti di dettaglio è falsa. Gli esperti hanno ordini precisi di procedere ad un esame accurato della zona dal punto di vista etnico e di suggerire una linea di demarcazione, basata principalmente su criteri etnici che lasci il minimo possibile di allogeni entro i confini dell'altro Stato.

La delegazione sovietica ha, in massima, difeso il punto di vista jugoslavo, ma con meno violenza di quanto gli anglosassoni si aspettassero. Per questa ragione la delegazione americana, contrariamente a quanto era la sua intenzione, non ha creduto di proporre come base di discussione la linea Wilson, ritenendola troppo favorevole all'Italia e temendo, in questo caso, che la delegazione sovietica ritirasse la sua adesione al principio della ripartizione della zona su basi etniche, il che, nelle circostanze attuali, era considerato come il meglio che si potesse sperare di ottenere per l'Italia.

Secondo il mio interlocutore, gli americani e gli inglesi ritengono che la linea Wilson non solo sia stata fissata in base a criteri puramente etnici, ma che essa teneva conto della opportunità, allora, di lasciare nelle mani dell'Italia le due principali linee di comunicazione: e che prevalendo questo criterio si era lasciato passare in seconda linea il criterio strettamente etnico. Nello stato attuale della questione, la posizione dell'Italia essendo oggi assai differente da quella del 1919, una volta sul terreno effettivo dei negoziati, erano venuti alla conclusione che se si cominciavano a sollevare questioni economiche, strategiche, di vie di comunicazione si rischiava di mettersi su di un terreno che avrebbe potuto alla fine essere più favorevole alla Jugoslavia che a noi. Visto che la Russia accettava il criterio etnico si è creduto meglio adottare questo ad esclusione di ogni altro come quello che permetteva di salvare per l'Italia il massimo salvabile. Essendomi stato ripetuto che l'idea, più o meno generalmente adottata, era appunto una linea che lasciasse all'incirca tanti italiani sotto gli jugoslavi, quanti slavi sotto l'Italia, e che sotto questo punto di vista la linea Wilson era troppo favorevole all'Italia, ho espresso la mia meraviglia ed ho chiesto se per la ripartizione delle minoranze si tenesse conto esclusivamente della situazione entro i limiti della linea Wilson o entro i limiti della nostra frontiera anteguerra. Poiché, ho osservato, in questo ultimo caso, tenuto conto dei due grossi gruppi etnici italiani di Fiume e di Zara nonché di alcune isole, non mi pareva ci potesse essere tanta sproporzione fra i gruppi rispettivi degli italiani e degli slavi che venivano a trovarsi sotto dominazione straniera. Il mio interlocutore mi ha detto che questa era la tesi italiana, che, a quanto gli constava, nelle decisioni della Conferenza non era stato precisato se e in che maniera si dovesse tener conto dei gruppi italiani di Fiume, Zara e delle isole, ma che l'impressione generale degli anglo-americani era che sarebbe stato difficile fare accettare questa tesi ai russi. Sia l'Inghilterra che l'America erano desiderose di salvare all'Italia il massimo possibile -in quanto giusto -del suo antico territorio, erano in ogni modo fermamente decisi a non mollare, sotto qualsiasi forma e pretesto sulla città di Trieste, ma che dovevamo però renderei conto che, purtroppo, lo sviluppo delle circostanze aveva fortemente compromesso la situazione e che a voler chiedere troppo si rischiava di non ottenere nulla. Potevamo essere sicuri delle loro migliori intenzioni a nostro riguardo, ma non potevano andar più in là di quanto era possibile.

L'invio di esperti anglo-americani per lo studio della situazione sul posto aveva un valore puramente formale: non c'era zona di frontiera che fosse stata così accuratamente studiata, in vista della discussione a Versailles, come la frontiera italo-jugoslava: quindi gli anglo-americani avevano già in mano materiale più che sufficiente per il loro giudizio, e sufficiente anche per poter contestare qualsiasi mutamento della situazione etnica provocato a favore di uno o dell'altro dei contendenti in epoche recenti o più antiche. Si avevano però i più forti dubbi sull'imparzialità degli esperti sovietici: si teme quindi che il giorno in cui gli esperti presenteranno il loro rapporto sulla situazione etnica della zona, si troveranno di fronte a dei dati molto differenti. Il mio interlocutore teme che specialmente se la questione verrà in discussione prima che sia risolta la questione rumena, l'atteggiamento russo potrà essere molto più violentemente in appoggio della tesi jugoslava di quanto esso non sia stato finora.

Mi ha confessato che il suo discorso a Londra aveva fatto su tutti i presenti la migliore impressione; che tutti erano intimamente convinti che in massima la ragione era dalla parte dell'Italia, ma che purtroppo la situazione era tale -e non solo sulla frontiera orientale italiana -che bisognava tener conto della realtà e non soltanto del buon diritto.

2) Colonie italiane pre-fasciste. Il mio interlocutore mi ha detto che il piano inglese comprendeva la Tripolitania all'Italia in piena sovranità o almeno in trusteeship, ma con scarsissime limitazioni della nostra sovranità, la Cirenaica all'Egitto in trusteeship, o un'altra soluzione che permettesse di mantenere la promessa fatta ai Senussi di non rimetterli sotto la sovranità italiana. Per l'Eritrea un trusteeship internazionale salvo modificazioni territoriali abbastanza importanti a favore del Sudan nella parte settentrionale e un corridoio al mare all'Abissinia nella zona di Assab. L'Inghilterra ritiene che le popolazioni dell'Eritrea in 60 anni di regime italiano si sono abituate ad un sistema progredito di amministrazione e ad un livello di vita molto superiore a quello delle popolazioni dell'Etiopia: non ritiene quindi ammissibile passare l'Eritrea all'Etiopia fino a che quest'ultima non abbia fatto tali progressi da mettersi al livello attuale dell'Eritrea. Per il Somaliland l'Inghilterra avrebbe preferito un trusteeship affidato a lei, dato che la Somalia italiana arrotonderebbe assai bene i possedimenti inglesi in Africa Orientale, ma non intendeva insistere e sarebbe anche stata disposta ad accettare l'idea di un trusteeship affidato all'Italia, con maggiori limitazioni però della sovranità italiana che per la Tripolitania.

Il mio interlocutore mi ha detto che effettivamente l'America era stata in favore di proporre per tutte le colonie italiane prefasciste il trusteeship internazionale, con l'Italia come Trustee, sia pure con considerevole limitazione della nostra sovranità. Ma che però, ritenendo che la Russia fosse favorevole al trusteeship esercitato in nome delle Nazioni Unite, aveva considerato più opportuno non creare una nuova questione. Egli non mi ha nascosto che in America non si considerano molto seri gli argomenti di ordine economico e demografico che noi facciamo valere a favore della tesi di conservare le nostre colonie, che si comprende e si apprezza il valore morale e sentimentale della questione, ma che, in sostanza, considerando che le colonie italiane sono state sempre un passivo per il bilancio dello Stato e che l'Italia ha bisogno di concentrare tutte le sue risorse sul problema della ricostruzione, non si è disposti a dar battaglia sulla questione delle colonie italiane.

La richiesta sovietica di avere il trusteeship per la Tripolitania e per l'Eritrea è giunta per gli anglo-americani come una sorpresa assoluta: gli inglesi specialmente ne sono stati spaventati e si sono ripiegati subito sulla tesi americana del trusteeship in nome delle Nazioni Unite. Il mio interlocutore ritiene che la questione della Tripolitania e dell'Eritrea non sia stata sollevata dai russi seriamente, che essa abbia per scopo soltanto di rispondere all'attacco anglo-americano sulla Romania e che essi sono pronti a rinunciarvi il giorno in cui gli anglo-americani rinuncino alle loro pretese.

Per quanto concerne il Dodecaneso, Inghilterra, Stati Uniti e Francia si sono pronunciati in favore della sua assegnazione alla Grecia; la Russia si è riservata di studiare la questione, non ha però avanzato che in forma vaghissima l'ipotesi di un trusteeship internazionale.

3) Riparazioni. È stato il punto più violentemente dibattuto fra Russia e America. La Russia ha asserito vivacemente il suo diritto alle riparazioni italiane, ed analogo diritto per la Jugoslavia. L'America è stata altrettanto decisa nel dichiarare che l'Italia non può pagare riparazioni, che anzi, al contrario, avrà bisogno di grandi aiuti americani per vivere; ma che l'America non ha nessuna intenzione di mettere dei soldi in Italia perché questi vadano nelle tasche russe o jugoslave o di altri Paesi. C'è stato su questo argomento uno degli scambi verbali più violenti fra Byrnes e Molotov. Il mio interlocutore è convinto che su questo argomento l'America è assolutamente decisa a non cedere, specialmente dopo le rivelazioni fatte da Schacht circa i prestiti americani e le riparazioni tedesche, che hanno confermato dirigenti ed opinione pubblica americana nella giustezza della loro tesi. Ritiene però che l'America dovrà cedere sulla questione della cessione a titolo riparazioni degli investimenti italiani nei Paesi delle zone di amicizia russe, compresi gli ex-territori italiani da cedersi eventualmente alla Jugoslavia. Non lo farà volentieri perché non vede con piacere la smobilitazione di nessun interesse economico finanziario straniero nelle zone suddette, ma non ha possibilità materiali di fare alcun che per difenderlo. Ritiene dovrà pure consentire a qualche cessione di macchinario proveniente da impianti di industrie belliche italiane, ma che farà di tutto per ridurli al minimo strettamente indispensabile.

4) Limitazioni delle forze armate e dell'industria bellica italiana. Il mio interlocutore si è limitato a dirmi che su questo argomento non c'è stata praticamente alcuna discussione: tutti si sono messi subito d'accordo su proposte americane: ma ha detto che le proposte americane non si basano su criterio punitivo, ma partono dal punto di vista della necessità di tener conto del fatto che l'Italia non ha risorse sue da buttar via in spese militari e che l'America non può consentire a che i fondi che dovrà spendere in Italia vengano usati a questo scopo. Non ho potuto avere dettagli sulle limitazioni effettive che ci verranno imposte, né sulla forma che assumerà il relativo controllo.

5) Albania. Mi ha assicurato che dell'Albania non è stato parlato specificatamente alla Conferenza di Londra. È sotto l'impressione che la Russia attribuisca alla questione albanese un'importanza molto minore di quanto generalmente si ritiene e che si limiti a sostenere la tesi che non deve essere permesso a nessuna Potenza di servirsi dell'Albania contro la Jugoslavia. Ritiene che l'Albania, seppure in misura minore che le richieste di trusteeship sulle colonie italiane, possa essere oggetto di compromesso.

6) Trattato di pace con gli altri ex «satelliti». L'accordo circa il trattato di pace con la Finlandia è stato raggiunto rapidamente e facilmente per cui, volendo, il trattato di pace con la Finlandia potrebbe essere firmato anche domani. Però la Russia si è opposta a che ciò sia fatto prima che sia stato raggiunto l'accordo circa tutti gli altri trattati di pace. La Russia ritiene che la pace deve essere firmata nello stesso ordine in cui sono stati firmati gli armistizi, ossia Romania, Bulgaria, Finlandia e Ungheria.

Sulla questione del regime interno ungherese non ci sono state divergenze gravi: i tre interessati si sono messi d'accordo su qualche modifica di dettaglio del regime esistente ed il riconoscimento del governo ungherese è in progresso da parte di tutti. Per quanto concerne la Bulgaria, gli anglo-americani, pur dichiarandone il governo non democratico e confermando che non sono disposti a riconoscerlo nella sua forma attuale, sono disposti ad accettare che la sua non democraticità è piuttosto un difetto imputabile ai bulgari stessi che non a responsabilità delle autorità russe. È sulla questione della Romania che si è verificato l'urto aperto tra le due parti contendenti. Finché si è parlato delle questioni italiane, pur essendoci inevitabilmente dei contrasti, l'atmosfera fra i Grandi è stata ragionevole, moderata, spesso cordiale tanto da far nascere il maggiore ottimismo sui risultati della Conferenza. Abbordato il problema bulgaro, l'atmosfera ha cominciato a guastarsi, sulla questione romena è diventata tempestosa. Byrnes ha cominciato l'offensiva denunciando l'attuale governo romeno come un puppet Government, senza nessuna base nel Paese e imposto al Re ed al Paese dalla volontà di Vyshinsky. Bevin lo ha appoggiato dapprincipio con maggiore moderazione. Molotov ha reagito difendendo il governo rumeno e la Russia, poi ha preso lui stesso l'offensiva denunciando quello che stava accadendo in Grecia: i «Tre» si sono venuti sempre più riscaldando rinfacciandosi malefatte perpetrate ai quattro lati del globo e usando espressioni -per citare testualmente il mio interlocutore -«forti per una mensa di sottufficiali». Sulla questione del riconoscimento dei due governi non si è arrivati nemmeno ad un principio di discussione pratica: il rinvio ad una ulteriore «investigazione della situazione esistente nei due Paesi» è stato gettato lì tanto per non dire che non c'è niente da fare.

Secondo il mio interlocutore la reazione russa sulla questione bulgara e rumena è stata una completa sorpresa per Byrnes. Si rendeva conto che la questione era grossa, ma la relativa facilità con cui il governo bulgaro aveva accettato il rinvio delle elezioni gli aveva fatto pensare che i russi erano disposti a cedere. Per quanto riguarda gli inglesi, il Foreign Office, personale tecnico, si rendeva sufficientemente conto della gravità della questione, Bevin era assai più ottimista sebbene non tanto quanto Byrnes.

Il mio interlocutore è stato più che formale nell'assicurarmi che per il governo americano si tratta di una questione sostanziale, di principio, non di una manovra. Hanno scelto come test case il caso della Romania, come il più «flagrante», ma hanno coscientemente in vista la situazione in tutti i paesi della zona d'influenza russa, Jugoslavia compresa. L'America non nega il diritto della Russia di avere in questi Paesi dei governi amici, ma non è disposta a tollerare che sotto il pretesto di governi amici si crei uno stato di cose per cui non vi sia più libertà di stampa, libertà di pensiero e sopratutto libertà di opinione. Non è disposta ugualmente a tollerare che al monopolio politico si aggiunga il monopolio economico e che si crei in tutti questi Paesi uno stato di cose per cui non vi sia più posto per il commercio, per il capitale e per la iniziativa americana.

Gli inglesi si sono un po' lasciati portare a rimorchio dagli americani: sono però anch'essi idealmente convinti della necessità di mantenere e di pretendere il rispetto di certi principi basilari della democrazia nel regime interno dei Paesi liberati. Da parte inglese si guarda pure con grande preoccupazione alla situazione di monopolio che la Russia vuole instaurare in tutta quella regione. In Inghilterra si contava molto, per la ripresa post-bellica, sulla possibilità di sostituirsi alla Germania negli importanti mercati dell'Europa centrale e sud orientale: tutte queste speranze sono ora seriamente minacciate. Sia in Inghilterra che in America il noto trattato di commercio rumeno-sovietico ha gettato un serio allarme. Il Foreign Office, da parte sua, si rende conto di tutto questo, ma ritiene che ci sia molto poca probabilità che la Russia ceda: ritiene che purtroppo la sola politica possibile, se si vuole evitare una rottura, è quella già adottata da Churchill, delle zone d'influenza: ma che bisogna però· tenere duro, non mostrare ai russi che si è spaventati della rottura, !asciarli cuocere nel loro brodo ed aspettare che la prima mossa per una riconciliazione parta da Mosca e non da Washington o da Londra: altrimenti si dovrà cedere sulla questione rumena e affini e in più cedere anche ad altre richieste russe. Esistono però anche in Inghilterra delle correnti, deboli però, che sostengono che bisogna fare la pace al più presto e ad ogni costo poiché la prima cosa che bisogna ottenere è la partenza delle truppe sovietiche da tutte le zone. Mi ha anche ammesso che continuano ad esistere in America forti correnti favorevoli all'accordo con la Russia ad ogni costo. Ma con tutto ciò il mio interlocutore mi ha ribadito che Truman, Byrnes, Attlee e Bevin sono decisi ad andare fino in fondo.

7) Questione di procedura. È stata sollevata da Molotov, del tutto inattesa all'indomani del battibecco sulla Romania. Il mio interlocutore è stato formale nell'assicurarmi che nella seduta dell'li settembre, Molotov aveva accettato la presenza della Cina e della Francia a tutti i dibattiti con diritto di voto, però, limitato ai casi previsti dall'accordo di Potsdam. Anzi, alla fine delle discussioni sul trattato di pace con l'Italia, Molotov si era congratulato con i suoi colleghi per la decisione presa che aveva permesso alla Cina di esercitare un'opera utile a tutti con consigli e proposte che avevano contribuito a risolvere non poche difficoltà. Improvvisamente Molotov ha dichiarato che la presenza delle delegazioni francese e cinese alla discussione degli affari rumeni era incompatibile con le decisioni della Conferenza di Potsdam: pregava quindi i delegati dei due Paesi di voler lasciare la sala delle riunioni. Byrnes e Bevin hanno immediatamente reagito richiamandosi alla decisione dell'li settembre. Molotov ha negato prima che ci fosse mai stata una decisione in proposito, ha poi negato di avervi dato formalmente la sua adesione (i Sovieti a questa come a tutte le conferenze anteriori si sono rifiutati a che delle riunioni venga redatto un processo verbale comune e accettato da tutti: ogni delegazione può fare il processo verbale per conto suo, ma esso non ha nessun valore per gli altri). Gli inglesi e gli americani hanno mostrato i loro processi verbali a cui Molotov ha rifiutato di riconoscere valore probante. Messo alle strette non ha potuto, alla fine, rifiutare di consultare i suoi processi verbali che sono stati trovati corrispondenti a quelli anglo-americani. Allora si è svolto il seguente dialogo (lo riporto testualmente perché è significativo dell'atmosfera della Conferenza):

Molotov: «Se ho dato il mio consenso allora, adesso lo ritiro: così non c'è più il mio consenso».

Bevin: «Prima di oggi ho inteso fare questo ragionamento solo da un'altra persona».

Byrnes: «Chi era?».

Bevin: «Hitler».

Molotov è diventato rosso, ha battuto il pugno sul tavolo si è alzato e, seguito da tutta la delegazione, si è diretto verso la porta: arrivato alla porta e visto che nessuno si muoveva per invitarlo a tornare, è tornato indietro lui stesso al suo posto e senza sedersi ha detto:

Molotov: «Mi domando se posso continuare a restare in una sala dove mi si offende in questa maniera».

Bevin: «lo non ho inteso offenderla: lei non conosce le nostre abitudini dei jokes: se ho detto qualche cosa che poteva offenderla la ritiro».

Molotov: «Accetto le sue scuse».

Secondo il mio interlocutore l'ammissione dei ministri degli Esteri di Francia e di Cina alla conferenze dei Cinque, a Potsdam, aveva incontrato la decisa opposizione di Stalin ed era stato con molta difficoltà che Truman e Churchill lo avevano indotto ad accettarla: aveva insistito fino a limitarne la competenza in tutte le .questioni che particolarmente interessavano la Russia alle prossime conferenze e si era riservato il diritto di imporre analoghe limitazioni in casi specifici per l'avvenire. Ad impressione generale dei delegati della Conferenza, il fatto che Molotov aveva accettato la formula dell'Il settembre (presenza materiale e partecipazione alle discussioni senza diritto al voto) non era stato approvato da Stalin: Molotov aveva quindi approfittato della prima occasione di aperto disaccordo con gli Alleati per rimangiarsi la sua decisione ed allinearsi alla volontà del padrone. Egli non esclude che l'atteggiamento molto favorevole alle tesi italiane e contrario alle russe assunto dalla Francia durante la discussione del trattato di pace per l'Italia e l'atteggiamento della Cina che pur cercando di agire da mediatrice si era più sostanzialmente dichiarata in favore delle tesi americane, abbiano convinto Stalin della giustezza della sua tesi iniziale che cioè qualsiasi Potenza che si aggiunga ai Consigli dei Big Three è un voto di più contro la Russia, dell'errore di aver fatto lui delle concessioni e di Molotov di averne fatte ancora.

Richiesto della misteriosa ragione per cui di fronte a tanti fondamentali disaccordi era stata scelta proprio questa questione di procedura per motivare la rottura della Conferenza, mi ha detto che erano stati i russi e sceglierla ritenendo trattarsi di una questione sulla quale erano fondamentalmente e giuridicamente su di un terreno più sicuro. Gli altri due erano stati ben felici della decisione russa che non poteva essere più adatta per mettere i russi in cattiva luce. L'atteggiamento russo aveva offeso gravemente la Francia, richiamata così brutalmente alla sua situazione di inferiorità, la Cina che ci teneva appassionatamente a jouer un role nella politica europea e che si era, per questo, presentata alla Conferenza con una preparazione tecnica nei vari argomenti in discussione che aveva sorpreso tutti, irritati tutti i Paesi minori già seccati della dittatura delle tre Potenze e che ora vedevano la Russia mostrarsi in primo piano a sostenere i privilegi dei Grandi. «Il peggior nemico della Russia, mi ha detto, non avrebbe potuto farle un male maggiore di quanto se n'è fatto da se stessa».

8) Partecipazione della Russia all'occupazione del Giappone. Anche questa mossa russa è stata una assoluta sorpresa. In conversazioni diplomatiche precedenti alla Conferenza di Londra la Russia si era del tutto disinteressata alla questione dell'occupazione del Giappone, riconoscendo trattarsi di un interesse prevalentemente americano. Le proteste erano invece partite dall'Inghilterra, un po' basandosi sulla sua situazione di grande Potenza anche estremo-orientale, molto più sotto la pressione dell'Australia che sostiene, per la parte avuta nella guerra di avere il diritto di dire la sua parola negli affari giapponesi ed è sopratutto scontenta della politica americana nei riguardi dell'Imperatore.

Il mio interlocutore ritiene, anche tenendo conto delle date, che la questione sia stata sollevata da Molotov solo come risposta all'attacco di Byrnes sulla questione romena. Egli contava poi, conoscendone i precedenti, (egli suppone che gli australiani, ritenendo di non avere sufficiente appoggio inglese, abbiano cercato di interessare i russi alla questione ed è incline a vedere una correlazione fra questa manovra e l'atteggiamento filojugoslavo, e del tutto inaspettato di Evatt) di avere l'appoggio di Bevin e di seminare così la discordia nel campo anglo-sassone. Byrnes ha reagito violentemente all'attacco russo, ironizzando, fra l'altro, sull'apporto russo alla vittoria contro il Giappone, il che ha fatto nuovamente andare in bestia Molotov. Bevin ha subito appoggiato Byrnes. Ha poi dovuto ritrattarsi in parte di fronte alle escandescenze australiane. Gli americani hanno in seguito fatto delle proposte concrete, proponendo la creazione di una Commissione Alleata di controllo modellata sul tipo balcanico, che lasci tutti i poteri a Mac Arthur dando agli altri partecipanti una soddisfazione formale. Questa Commissione deve risiedere per ora a Washington e si trasferirà solo in seguito a Tokio.

Il mio interlocutore ritenendo la mossa sovietica una mossa controffensiva è d'avviso che la Russia sarà più o meno seccatrice in Giappone secondo il grado delle seccature che l'America può dare alla Russia in Romania. Si tratta qui, secondo lui, di una di quelle questioni in cui la Russia è pronta a cedere pur di essere lasciata in pace nella sua zona d'influenza.

9) Turchia e Stretti. Non ne è stato parlato a Londra. A Potsdam si era in linea generale deciso di rimandare la questione al Consiglio dei «Cinque»: i russi però non si sono fatti parte diligente per mettere la questione sull'agenda del Consiglio e gli anglo-americani si sono guardati dal farlo. Secondo il mio interlocutore, esiste una specie di tacito accordo fra le parti di non sollevare adesso una nuova grossa questione su cui si sa già che i punti di vista sono assai differenti.

10) Evacuazione dell'Iran. È l'unica questione su cui si siano realmente messi d'accordo. I russi hanno preso l'impegno di iniziare lo sgombero delle loro truppe dall'Iran il 2 marzo 1946. Il mio interlocutore ritiene che i russi terranno il loro impegno perché in questi otto mesi hanno tutto il tempo di completare il lavoro già fatto per creare nell'Iran settentrionale una situazione politica interna tale da dare loro una base solida di azione e la possibilità di farci rientrare le truppe sovietiche quando lo ritengano necessario.

11) Prestito americano alla Russia. Mentre mi ha confermato che sono in corso sondaggi da parte sovietica per un prestito americano nella misura di 6 miliardi di dollari, che potrebbero diventare anche 10, mi ha assicurato che si tratta di negoziati indipendenti e che non se n'è trattato a Londra. È però d'opinione che la rottura londinese avrà un effetto paralizzatore su ogni possibile negoziato del genere e che il governo americano è convinto di avere, con questo prestito, un'arma potentissima per portare i russi ad essere più ragionevoli.

Sulla situazione in generale il mio interlocutore si è reputato convinto che, a suo tempo, tutto finirà con un compromesso. Ma bisogna che gli anglo-sassoni abbiano la pazienza di aspettare: se lo faranno ci saranno delle buone chances perché il compromesso abbia luogo sulla base del.fifty-.fifty, non come tutti i compromessi fino ad ora, in cui gli anglo-americani hanno ceduto il 90% e i russi il 10%. Ritiene però che il periodo di attesa sarà lungo, almeno di vari mesi, e che per conseguenza le prospettive di una prossima conclusione della pace con l'Italia sono praticamente nulle. Ritiene anche che non sia nel nostro interesse sollecitarla: nella questione più importante per noi, quella della Venezia Giulia, per esempio, se si dovesse arrivare ad una soluzione adesso in un periodo di forte tensione tra i due gruppi, è certo che i russi sosterrebbero le tesi jugoslave più avanzate e gli anglo-americani che, pur avendo le migliori intenzioni nei nostri riguardi, debbono mantenersi entro certi limiti, si troverebbero in gravi difficoltà pratiche. Se viceversa la soluzione avrà luogo in un'atmosfera di generale compromesso, specialmente se la Russia avrà fmalmente capito che compromettere significa venire incontro all'altra parte per metà strada e non aspettare che le si conceda praticamente tutto, abbiamo molte più probabilità che gli anglo-americani le possano fare accettare soluzioni più corrispondenti ai nostri desiderata, più eque, più atte ad introdurre su quella disputata frontiera un'atmosfera di vera pacificazione. Lo stesso vale per altre questioni come le colonie e le riparazioni.

Mi ha formalmente assicurato che da parte russa, durante la conferenza non è mai stata menzionata una connessione fra il trattato di pace con l'Italia ed i trattati di pace con gli ex satelliti orientali, ma che è risultato evidente a tutti che la Russia avrebbe fatto ostruzionismo in ogni senso al nostro trattato fino a che non avesse ottenuto soddisfazioni per i suoi trattati.

Mentre mi riservo con apposito rapporto, sulla base di queste e altre informazioni raccolte, di fare un esame critico della Conferenza di Londra e delle sue ripercussioni sulla pace con l'Italia 1 ho creduto opportuno riferire all'E. V. con qualche dettaglio queste informazioni che pur non essendo certamente né complete né forse sempre rigorosamente esatte, mi sembrano, nel complesso, dare un quadro abbastanza chiaro e veritiero della «atmosfera» generale della Conferenza dei Cinque.

620

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. RISERVATO 93/33. Varsavia, 12 ottobre 1945 2 .

Telespresso di questa ambasciata 9 corr. n. 64/253 .

Ho espresso ieri al vice ministro Modzelewski il mio vivo rincrescimento per l'articolo della Rzeczpospolita sulla questione di Trieste su cui ho già richiamato l'attenzione di codesto ministero. Modzelewski mi ha risposto scherzando che la soluzione migliore della questione di Trieste sarebbe quella di attribuirla alla Polonia che ha bisogno anch'essa di uno sbocco nel Mediterraneo e che essendo buona amica e dei jugoslavi e degli italiani, è la sola a poter fornire le più ampie garanzie di imparzialità. In merito all'articolo egli mi ha detto di averne deplorato subito la pubblicazione e di aver richiamato l'attenzione del direttore della Rzeczpospolita sull'inopportunità di una simile presa di posizione da parte di un giornale polacco in una questione così delicata. Dopo avermi fatto osservare che la Rzeczpospolita non è per nulla, come generalmente si crede, un giornale ufficioso, il vice ministro Modzelewski si è dichiarato convinto che Trieste, città italiana, resterà all'Italia nonostante la manovra in extremis di Tito che si è dichiarato favorevole, ma solo adesso, a concedere a Trieste una ampia autonomia nell'ambito della Federazione jugoslava e ad accettare l'internazionalizzazione del porto. Secondo Modzelewski i jugoslavi si troverebbero ora in una situazione molto delicata poiché hanno esasperato la loro opinione pubblica mobilitandola da mesi e mesi intorno alla questione di Trieste ed una soluzione ad essi sfavorevole potrebbe avere gravi ripercussioni interne sino a mettere in pericolo la solidità del governo di Tito.

A conclusione delle sue dichiarazioni su questo argomento il vice ministro Modzelewki mi ha espresso di nuovo il suo rammarico per l'inopportuna pubblicazione del giornale polacco.

I Vedi D. 621. 2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 3 Non pubblicato.

621

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI,

..

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 935/419. Mosca, 14 ottobre 1945 (per. il 30).

Le dichiarazioni ufficiali sulla Conferenza di Londra si susseguono, ma se è chiaro che non sono riusciti a mettersi d'accordo, è meno chiaro perché realmente non si sono messi d'accordo. Secondo Molotov e secondo la stampa sovietica la rottura sarebbe avvenuta su di una semplice questione di procedura, se cioè Francia e Cina avevano o meno il diritto di partecipare alla discussione relativ~ ai trattati di pace con i satelliti orientali della Germania. Ora, credo che ci siano pochi a pensare che sia stata questa realmente la causa della rottura: poiché qualora i capi dei tre grandi Paesi non fossero stati capaci di trovare una soluzione ad una simile questione di lana caprina, ci sarebbe da disperarsi al solo pensare che le sorti del mondo sono affidate a tre personaggi di questa risma.

Byrnes, pur mantenendo in primo piano la questione procedurale, accenna di sfuggita al fatto che «forse, se si fosse riusciti a risolvere il problema del riconoscimento dei governi rumeno e bulgaro, la questione procedurale avrebbe potuto essere presentata in altra forma». Dulles, che è stato il più esplicito, ha accennato alla questione della partecipazione sovietica al controllo del Giappone, al prestito all'U.R.S.S., alle colonie italiane.

Altre informazioni e indiscrezioni inevitabili, se le polemiche continueranno, permetteranno di arrivare a riscontrare quello che è accaduto e a stabilire le vere ragioni e la portata del disaccordo, necessario questo per avere una chiara idea delle possibilità o meno di convivenza dei Tre Grandi. Per il momento, ai fini immediati di quello che ci interessa, ossia la conclusione della pace, basta constatare che non si è trovata una formula per conciliare le differenti concezioni della democrazia nel settore balcanico.

Col mio rapporto n. 772/338 del 17 settembre c.a. 1 avevo già spiegato la gravità della questione sollevata dagli anglo-americani e quanto fossero, secondo me, poco fondate le previsioni ottimistiche del Dipartimento di Stato. Debbo ora tornare sull'argomento visto che, purtroppo, le possibilità per noi di arrivare alla conclusione della pace sono strettamente connesse con la soluzione di questo problema.

Il punto essenziale resta quello di sapere se in tutto questo affare gli anglo-americani sono veramente decisi ad andare fino in fondo, o se si tratta solo di una manovra offensiva per obbligare i russi a cedere altrove. E, di converso, quando i russi domandano la Tripolitania, l'Eritrea, sollevando la questione del Dodecaneso, dei Dardanelli, delle provincie orientali della Turchia e altre questioni minori, fanno essi sul serio o mirano a crearsi degli elementi di scambio?

Sulla politica estera della Russia regna ancora un'enorme confusione d'idee. In tutto il mondo occidentale si fa un gran discutere se la Russia è realmente uno Stato socialista o no, se si evolve e in che senso, se c'è o non c'è libertà di religione

Non pubblicato.

e di pensiero, se la dissoluzione del Comintern è una cosa seria, se i partiti comunisti dei vari Paesi sono o no agli ordini di Mosca: tutte questioni, senza dubbio interessantissime, su cui si possono scrivere dei volumi interi, ma che non hanno nulla a che vedere con quello che è oggi il problema fondamentale: sapere, cioè, se e come è possibile armonizzare la politica e gli interessi russi con quelli delle Potenze anglo-sassoni. Sono anzi dannose perché a causa di questo problema si perde di vista il fatto essenziale: che la politica estera dell'U.R.S.S. è, né più né meno, quello che è sempre stata la politica russa da Pietro il Grande ad oggi; che è dettata non dalla forma di governo o dalla struttura sociale della Russia, ma dalla sua posizione geografica, dai suoi interessi e da moventi psicologici insiti nel fondo dell'anima russa: e che è condotta con un realismo brutale.

La Ru,ssia è oggi sulla via di realizzare quello che è stato un suo sogno secolare: la federazione di tutti i popoli slavi sotto l'egida del grande popolo russo. Questa guerra è costata alla Russia sacrifici e perdite inaudite: le comunicazioni ufficiali danno adesso a 25.000.000 le perdite subite dalla popolazione russa per il fatto della guerra e dell'occupazione straniera -e non sono cifre esagerate a scopo di propaganda internazionale: se mai, esse sono al di sotto della realtà. Ad esse vanno aggiunte le perdite subite dall'esercito russo, che non sono ancora note e forse non lo saranno mai, ma che si fanno generalmente ammontare a 12.000.000 fra morti e permanentemente inabilitati. Perdite enormi dunque, quali forse nessun altro paese ha mai sopportate nella sua storia, per le quali l'opinione pubblica russa -ed io mantengo che esiste un'opinione pubblica russa-ritiene che la Russia abbia diritto ad un compenso adeguato e questo compenso adeguato vede appunto nella realizzazione di questa, chiamiamola così, federazione dei popoli slavi.

Intendiamoci, quando parlo d'opinione pubblica non voglio naturalmente dire che ogni operaio od ogni contadino s'interessi di questi problemi. Parlo di tutti quelli che, in questo paese, si occupano e sentono i problemi di politica estera, ma che, data l'organizzazione di propaganda e di istruzione politica delle masse che qui vige, sono assai più numerosi che in molti altri paesi. Parliamo con uno qualsiasi di questi e vediamo che il problema degli Stretti è per esempio sentito sì, e vivamente -la leggenda dello scudo di Oleg sulla porta di Zargrad ha nel popolo radici profonde 1 -le altre questioni recentemente sollevate non destano che un interesse relativo, ma il diritto per la Russia di avere da Belgrado a Helsinki dei governi amici è da tutti riconosciuto e sentito come una specie di diritto naturale. Arrivo a dire che se domani Stalin, per ragioni di politica superiore, decidesse di fare marcia indietro, non potrebbe farlo che forzando la sua opinione pubblica e con conseguenze, forse imprevedibili per la sua situazione e per il suo prestigio personale. Per cui io non esito ad affermare che la Russia è decisa a tutto, anche alla guerra con i suoi alleati, pur di difendere la situazione che essa si è creata nelle sue «zone di amicizia».

Secondo me, quindi, tutte le altre questioni sollevate dalla Russia negli ultimi tempi, eccezion fatta per la questione degli Stretti e quella del Dodecaneso ad

1 Oleg, granduca di Kiev, costrinse nel 907 l'Impero bizantino ad accettare un accordo con il quale veniva concesso ai russi di esercitare il commercio a Costantinopoli a condizioni particolarmente favorevoli. Su di ciò fiorirono numerose leggende.

essa connessa (anche qui però essa sarebbe disposta a contentarsi di molto meno delle sue aspirazioni massime) sono delle questioni tutte che essa ha sollevato a scopo difensivo ed è pronta a cedere purché le sia riconosciuto quello che essa considera come l'essenziale: libertà di manovra nelle sue zone. Che poi i russi pensino che sollevando tante questioni possano ottenere anche qualche cosa di più, è possibile: che ci riescano o meno dipende dall'abilità dei negoziatori anglo-sassoni e sovietici.

Si può obbiettare che anche gli anglo-sassoni riconoscono alla Russia il diritto di avere in tutti questi paesi dei governi amici: è esatto, e Byrnes nelle sue dichiarazioni l'ha confennato esplicitamente. Ma cosa diavolo significa «Stati amici»? Gli inglesi, e sul loro esempio, con molte dderenze, anche sostanziali, gli americani, hanno elaborato tutto un sistema politico elastico ed abile per cui negli «Stati amici» si limitano a mantenere alcune posizioni essenziali e lasciano al Paese in questione un'amplissima libertà di movimento in tutto il resto. Ma non ci sono arrivati di colpo: gli inglesi ci sono arrivati attraverso una lunghissima serie di esperienze e di errori, specialmente in India: gli americani hanno fatta una lunga esperienza e non pochi errori in America Latina. I russi sono invece alle loro prime armi in questo terreno e sono ancora nel periodo degli esperimenti e degli errori; essi sostengono che per avere dei governi amici bisogna in tutti questi Stati combattere senza pietà ogni residuo di fascismo ed il loro concetto del fascismo è piuttosto estensivo ed elastico.

Al signor Byrnes ed al signor Bevin, quando domandano ai russi che in Romania, Bulgaria e Jugoslavia vengano rispettati i diritti dell'opposizione non sembra di domandare nulla di straordinario; guardate l'Egitto, essi possono dire, l'Iraq, la Colombia o la Bolivia, ci sono dappertutto differenti partiti che si alternano al potere, ci sono anche dei giornali, dei partiti anti-inglesi e anti-americani, eppure la nostra posizione in tutti questi paesi è solidissima. Perché non fate lo stesso in Romania o in Bulgaria? Tutto questo può essere giustissimo (la posizione inglese potrebbe essere più forte se non stessero facendo in Grecia quello che vi stanno facendo) ma il guaio è che i russi ragionano in un'altra maniera e la loro psicologia è del tutto differente. Sono morbosamente sospettosi, sono insofferenti di ogni critica, non sono sicuri di se stessi: lo sono sempre stati.

Si possono fare molte critiche al regime esistente in Russia, si possono individuare qua e là molte e serie ragioni di malcontento, ma qualsiasi osservatore imparziale deve riconoscere onestamente che vi sono al mondo pochi regimi così solidi come l'attuale regime russo -e la guerra lo ha dimostrato -eppure l'enorme, opprimente organizzazione poliziesca continua a funzionare in pieno: Stalin non è mai stato così popolare come lo è in Russia oggi, eppure le misure di precauzione che si prendono intorno alla sua persona confinano col ridicolo. Si domanda perché tutto questo? Perché i russi son fatti così: fra venti trenta anni, potranno anche cambiare, oggi no. Se sono così all'interno, come si può richiedere loro di essere differenti all'estero, in paesi in cui, è inutile negarlo, la loro posizione non è ancora assicurata? I russi pensano che se oggi in Romania mettiamo, a Maniu e Bratianu viene lasciata piena libertà di riorganizzare i loro partiti, la loro stampa, se vien loro lasciata piena libertà di criticare il governo rumeno filorusso, le sue riforme, la sua politica, tutta la posizione che essi si sono venuti creando viene messa in pericolo. E i Groza, i Fierlinger e i loro colleghi, ansiosi di restare al potere, fanno di tutto per persuaderneli. Il tempo, i fatti, l'esperienza possono far modificare questo loro atteggiamento: ma le insistenze anglosassoni non fanno che confermare i russi nella convinzione che la linea politica che essi hanno adottata in tutti questi paesi è, per i loro interessi, la giusta. Le intenzioni degli anglo-americani nel sollevare la questione della democrazia nei Balcani saranno purissime, ma non si può negare che le circostanze in cui la questione è sorta, possono far dubitare che, in realtà, essi perseguano lo scopo di mantenere in vita gruppi e partiti su cui basarsi per scalzare, col tempo, l'attuale posizione russa. Sia questo vero o no, resta il fatto, ed è quello che conta, che i russi ne sono convinti.

Ne segue che la conclusione a cui bisogna arrivare è che se gli anglo-americani vogliono condurre fino in fondo questa politica, la rottura fra i «Tre» è inevitabile. Se questa politica continua, e se essa, come probabile, può condurre a delle agitazioni e a delle complicazioni nell'interqo dei singoli paesi, il risultato sarà nuove repressioni, nuove vittime, nuovo sangue e ulteriori giri di vite nel senso del regime attuale, che possono, in determinate circostanze, arrivare fino alla instaurazione in tutti questi paesi del regime comunista e alla loro incorporazione nell'Unione Sovietica, cosa che altrimenti i russi non farebbero e non vorrebbero fare.

L'attuale sistemazione dell'Europa orientale danubiana e balcanica è un fatto compiuto che può essere alterato, nelle circostanze attuali, solo da una guerra vittoriosa degli angfo-americani contro la Russia. Può piacere o non piacere, ma è un fatto con cui bisogna contare.

Con questo non voglio dire che se gli anglo-americani si contentano di qualche modificazione più che altro formale dello stato di cose esistente, i russi si rifiuterebbero di accettare. Se per esempio in Romania si contentassero di vedere Groza sostituito, mettiamo da Petrescu, e qualche altra personalità di secondo piano immessa nel Gabinetto, lasciando però, per il resto, le cose come esse sono, si può finire per mettersi d'accordo: ma più in là i russi non sono disposti ad andare e, ripeto, per essere lasciati in pace nella loro zona d'influenza, essi sono disposti a mollare tutte le altre richieste, salvo qualche cosa, per gli Stretti e per il Dodecaneso.

Per quanto concerne gli anglo-americani giudicare da Mosca è difficile. L'impressione che ho potuto avere dai miei contatti con questi ambienti diplomatici e militari, per quel che essa vale, è che a Washington non si sono resi conto e non si rendono ancora pienamente conto della gravità della questione che hanno sollevato e che sopravalutano ancora il valore effettivo di certi elementi, per esempio il desiderio russo di avere una larga apertura di credito dall'America. D'altra parte il telegramma ministeriale 7061 del 30 settembre c.a. 1 se lo ho capito correttamente, farebbe ritenere che gli americani si sono messi per questa via piuttosto a scopo di manovra e che, in ultima analisi, sono disposti a ripiegare sulla linea della delimitazione precisa delle zone di influenza che, come Churchill aveva perfettamente capito, è l'unica via di compromesso che, almeno allo stato attuale delle cose, renda possibile la pacifica convivenza dei due gruppi. Se è così, si può credere che dopo un certo periodo di battibecco si arriverà, come per il passato, ad una soluzione

1 Ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 571.

generale di compromesso. Senonchè, salvo imprevisti, sarei portato a credere che il periodo di disaccordo sarà piuttosto lungo.

Gli inglesi mi sembrano vedere le cose un po' più chiaramente. Preciso: il Foreign Office -certo l'ambasciata di Mosca, ma mi è stato assicurato che Cadogan e gli altri che contano sono dello stesso avviso -si rende conto della situazione e che i russi non sono disposti a cedere; l'esperienza della Polonia li ha ammaestrati. Bevin, mi è stato fatto comprendere, era meno ottimista di Byrnes ma assai più ottimista di Cadogan: poi i principi ideali sostenuti in questa particolare questione da Byrnes gli piacevano e li sentiva.

Ho creduto di dover premettere questo lqngo esame della controversia balcanica perché, la conclusione della pace con noi essendo connessa con la sua soluzione, è necessario avere delle idee chiare in proposito per stabilire quello che si può fare di pratico per migliorare la nostra situazione.

Noi (mi riferisco al suo telegramma n. 499 del 6 corrente) 1 sosteniamo la tesi che non si può ammettere una correlazione tra la nostra situazione e la situazione della Romania e della Bulgaria, date le circostanze del tutto differenti del nostro armistizio e i susseguenti sviluppi della situazione italiana. Questo è esattissimo, e gli anglo-americani lo hanno riconosciuto e sono riusciti a farlo riconoscere in una esplicita dichiarazione della Conferenza di Potsdam. I russi non lo negano, almeno apertamente, ma sostengono la tesi che l'Italia, per la sua posizione passata, ha una maggiore responsabilità nella preparazione e nello sviluppo della guerra che non la Romania e la Bulgaria e che queste sue maggiori responsabilità passate, neutralizzano i suoi maggiori meriti antifascisti. Si possono trovare mille ed uno argomenti per controbattere questa tesi e lo sto facendo e continuo a farlo: ma non bisogna perdere di vista che da parte dei russi non si tratta che di parole destinate solo a mascherare una realtà brutale.

L'America ci ha preso, in un certo senso, sotto la sua protezione e sotto la sua «paternità» -adopero l'espressione molto significativa usata dall'ambasciatore Tarchiani -e, anche a scopi di suo prestigio nel mondo degli Stati minori, vuole dimostrare che la sua protezione ha un valore grande. In un certo senso c'è riuscita: ho avuto tutto l'agio di constatare qui l'enorme impressione che ha fatto, nell'ambiente degli Stati amici della Russia, l'esplicita dichiarazione di buona condotta che l'Italia, e soltanto l'Italia, ha avuto dalla Conferenza di Potsdam. La Russia ha accusato il colpo e, pure per ragioni di prestigio, vuole oggi mostrare ai suoi amici che la protezione della Russia non vale di meno che la protezione dell' America. Per cui ha, a malincuore, accettato la dichiarazione di Potsdam, pensando probabilmente che dopo tutto non si trattava che di parole, ma è ben decisa a regolarsi in modo da impedire che la conclusione del trattato di pace con l'Italia abbia luogo fino a che, la questione del riconoscimento dei governi degli Stati balcanici essendo risolta, si possa procedere senz'altro alla conclusione della pace anche con loro, riducendo la precedenza dell'Italia ad un semplice riconoscimento della priorità della data di armistizio. Trattandosi dunque di una questione di prestigio per la Russia, qualsiasi argomento di altro genere che noi possiamo far valere a favore della nostra tesi, non può riuscire a farla smuovere dalla posizione

I Vedi D. 606, nota l.

che essa ha assunto. I russi ritengono che, la pace con l'Italia essendo un interesse americano, essi possono servirsene come di un mezzo di pressione per forzare l'America alla pace con gli Stati protetti dalla Russia e al loro riconoscimento. E non ci sono argomenti di interesse nostro che possano valere a far rinunciare la Russia a questo mezzo di pressione.

Dunn ha detto a Carandini (telegramma ministeriale n. 500 del 6 corrente) 1 che il lavoro dei delegati è interrotto fino a che non sarà risolta la questione di procedura, e che per farlo ci vorrà un mese. Può essere che abbia ragione, ma risolta la questione di procedura resta da risolvere la questione dei governi balcanici; e data la necessità della unanimità, l<;t Russia anche se ufficialmente non ha collegato il nostro trattato di pace con il riconoscimento dei governi balcanici, ha la possibilità di rendere impossibile l'accordo sopra ogni singolo punto concernente il trattato di pace con l'Italia. E lo farà fino a che non avrà ottenuto quello che vuole: e non ci saranno considerazioni e appelli alla nostra difficile situazione che valgano a smuoverla di un ette da questa sua posizione.

Nel suo telegramma n. 5744 del 29 agosto c.a. 2 si accennava alla possibilità che, di fronte ad un atteggiamento ostile della Russia, i'America e l'Inghilterra avrebbero agito da sole: non so se con questo il Dipartimento di Stato abbia voluto fare intendere che erano disposti a concludere una pace definitiva o provvisoria con noi anche senza la Russia. Comunque, qualsiasi cosa abbiano detto e fatto intendere al Dipartimento di Stato, io esito a credere che essi siano, in realtà, disposti a farlo. Ma misure di questo genere provocherebbero senza dubbio contromisure da parte russa, con il risultato di approfondire e rendere forse irreparabile la rottura. Ora questo, adesso, nessuno dei «Tre», meno di tutti gli Stati Uniti, sono disposti a farlo. In ogni caso, di fronte alla loro opinione pubblica, inglesi ed americani ci tengono, credo, a far ricadere sulla Russia la reponsabilità di un'eventuale rottura. La Russia, da parte sua, non acconsentirà a dare il suo nulla osta ad una pace provvisoria coll'Italia, fino a che Inghilterra ed America non si dichiarano pronte a fare lo stesso con Romania, Bulgaria ecc. Qualsiasi pretesto le sarà buono. E non ci conviene di insistere. L'esperienza che ho potuto fare da Mosca è che gli americani, specialmente finché le cose sono lontane, si mostrano estremamente bellicosi: quando poi si trovano di fronte ai russi al tavolo dei negoziati, è tutt'altra cosa: noi stessi abbiamo già avuto occasione di farne l'esperienza ormai più di una volta. L'aiuto americano può essere più sostanziale di quello russo quando si tratta di avere aiuti materiali, UNRRA e cose del genere, ma al tavolo dei negoziati, fin qui almeno, è inutile chiudere gli occhi davanti alla realtà, la protezione russa è più forte della protezione americana.

Si può domandare a questo punto, perché allora non abbiamo cambiato fronte e perché non ci siamo appoggiati alla Russia? In teoria il ragionamento è giusto, ma ci sono delle difficoltà. Prima di tutto per avere l'appoggio russo, l'amicizia russa, avremmo dovuto, come più o meno tutti, pagare il nostro scotto: e nel nostro caso lo scotto sarebbe stato riconoscere alla Jugoslavia la frontiera all'Isonzo e riconoscere, salvo a discutere un po' le somme, il principio delle riparazioni.

1 T. s.n.d. 7287/500: ritrasmissione del telegramma di cui al D. 604, nota 2. 2 Del 28 agosto: ritrasmissione alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington del D. 450.

In cambio di questo avremmo potuto avere l'appoggio russo per le colonie, per le frontiere settentrionali ed occidentali, per la flotta, per l'esercito e per tante altre cose. Seconda difficoltà -e questa decisiva -è che non lo potevamo fare, perché siamo sotto regime di armistizio e perché siamo nella zona d'influenza anglo-americana -e gli anglo-americani sono decisi a che ci restiamo -per cui se un governo italiano si fosse messo sulla strada dell'orientamento russo sarebbe stato immediatamente spazzato via dagli inglesi e sostituito da un altro governo orientato nella retta via. Questo i russi lo sanno, non hanno intenzione di opporvisi, e per questo considerano l'Italia quantité négligeable.

Questo è il tragico della nostra situazione. Noi non possiamo che appoggiarci sulla protezione dell'America e su un po' di benevolenza inglese: e in tutte le questioni che ci interessano -e purtroppo sono le più vitali -in cui le nostre aspirazioni si trovano in contrasto con gli interessi diretti ed indiretti della Russia, i nostri protettori, in sede di negoziati, finiscono per cedere se non tutto, moltissimo. È quindi nostro interesse che i negoziati che ci riguardano si svolgano in una atmosfera, quanto è possibile, d'armonia fra i tre contendenti.

In pratica dunque, dato questo atteggiamento negativo della Russia, quello che noi possiamo domandare all'Inghilterra ed all'America è quello che loro possono fare senza bisogno di avere il consenso russo. Non possono quindi farci uscire dallo stato di armistizio, perché l'armistizio essendo stato firmato anche per la Russia, non potrebbero farlo senza il suo consenso; potrebbero, se vogliono, abrogare tutte le clausole di armistizio, almeno tutte quelle che impacciano la nostra vita politica, economica, amministrativa lasciando sussistere l'armistizio solo come forma o status giuridico. Dico questo perché, senza dubbio, questo atteggiamento della Russia mette anche loro in imbarazzo grave, ed io penso che noi abbiamo tutto l'interesse a mostrare di comprendere le loro difficoltà e a non domandare quello che non ci possono dare.

Per quanto riguarda specialmente l'America, per gli aiuti materiali di cui tanto abbiamo bisogno, potrebbe essere utile di far presente -ho cercato di farlo presso le due ambasciate -come nell'attuale fase di lotta di prestigio fra i due concorrenti, gli Stati amici della Russia stanno guardando con molta attenzione quello che l'America fa per noi, nel settore materiale. I 450 milioni di dollari stanziati dall'UNRRA per l'Italia hanno fatto, se possibile, anche più effetto del ben servito di Potsdam. In ogni modo, per aiutarci materialmente l'America non ha bisogno dell'assenso russo.

C'è quindi un largo campo pratico in cui gli anglo-americani possono agire in favore dell'Italia, senza timori di veto russi o di complicazioni con la Russia. In questo campo possiamo domandare e domandare: si tratta solo di sapere se, e fino a che punto, le buone intenzioni degli americani e degli inglesi a nostro riguardo sono delle parole o delle realtà; e qui la risposta la dovranno dare i fatti. Invece per tutto il resto, sebbene si tratti di questioni che toccano da vicino il nostro amor proprio, il nostro prestigio e la contingente situazione interna del nostro Paese con tutto il suo non trascurabile peso, dall'abolizione dello status di armistizio all'inclusione fra le Nazioni Unite, noi non possiamo domandare perché gli inglesi e gli americani si trovano oggi in una situazione che li mette nell'impossibilità di darci soddisfazione, anche se lo volessero. Per farlo hanno bisogno del consenso russo e la Russia non è disposta a darlo che a certe condizioni.

È logico, è necessario direi, che le questioni italiane siano per noi in primo piano, ma bisogna anche che ci mettiamo qualche volta nella pelle degli altri. La posta in gioco in questo momento è grossa. Io vorrei essere convinto che gli anglo-americani difendono il principio per il principio e vorrei poter sperare che la Russia vi si oppone perché ritiene che esso serva di copertura a sinistri disegni a suo danno, e che lo accetterà il giorno che si persuaderà che i suoi timori sono infondati. Poiché cosa è il diritto per l'opposizione di vivere e di agire entro i limiti della legalità, se non la base essenziale di ogni governo libero e civile: e se una volta accettato nell'ambito di ogni Stato esso verrà trasferito nel campo internazionale, sarà il diritto di opposizione che renderà l'appartenenza alle Nazioni Unite qualche cosa di più di una mera forma e che potrà fare dell'organizzazione delle Nazioni Unite uno strumento di pace e non un semplice paravento per la dittatura di tre o più grandi Potenze. Non ci sarà vera pace nel mondo se non il giorno in cui tutti i principali paesi almeno, quale che sia il loro regime interno, _riconosceranno gli stessi principi essenziali e li metteranno a base delle relazioni fra di loro. Se c'è una speranza di arrivarci, e se per questo è necessario aspettare, per quali che ne siano gli inconvenienti per noi, mi sembra che la posta ne varrebbe la pena.

Ma ammettiamo anche che si abbia ragione nel ritenere che tutto questo sia piuttosto una cortina di fumo per nascondere degli interessi meno elevati. La posta è egualmente essenziale per gli anglo-americani. Tutti e tre sono d'accordo nel dichiarare che l'intesa e la collaborazione fra loro è una premessa indispensabile per il mantenimento della pace e tutti e tre sono unanimi -e sinceri -nel dichiarare di volere fermamente questa intesa. All'atto pratico però gli anglo-americani accusano i russi di intendere per collaborazione che gli altri debbano sempre fare tutto quello che i russi vogliono: i russi dicono altrettanto degli anglo-sassoni. Non è qui il caso di metterei ad una disamina di chi abbia ragione: è innegabile che fin qui, in tutte le conferenze che hanno avuto luogo, l'accordo ed il compromesso sono stati invariabilmente raggiunti gli anglo-americani cedendo il 90% e i russi il l 0% , nella migliore delle ipotesi: ora essi cercano di persuadere i russi che così si può andare avanti indefinitamente, che il compromesso deve essere a mezza strada o non è più un compromesso. Anche questo è un principio che, indirettamente, interessa anche noi poiché dato che i principali problemi che ci riguardano sono in realtà dei problemi in cui gli interessi anglo-americani sono in contrasto con quelli russi, è chiaro che per noi è meglio un compromesso 50 e 50 che un compromesso 90 e 10.

E sempre nei termini dell'aggiustamento degli interessi rispettivi, bisogna anche che noi ci rendiamo conto che il complesso Balcani, Europa centrale e orientale, interessa gli anglo-americani più che non l'Italia, se non altro per il fatto che in Italia ci sono e sanno di poterei restare, mentre là, per andarci debbono mandar via la Russia. E tutto questo grosso affare dell'Europa centro-orientale è, a sua volta, ben poca cosa di fronte all'enorme complesso di interessi che, attraverso tutto il continente asiatico, mette di fronte i due gruppi, e per il quale pure bisognerà trovare un compromesso ragionevole, anche se esso dovrà essere una limitazione rigida delle zone d'influenza, forse, purtroppo, l'unico che adesso sia possibile di realizzare -se si vuole evitare l'altra alternativa, il conflitto a scadenza più o meno breve. Ora, se si tiene presente questa immensità di interessi, si realizza di quanto poco conto siano per loro i nostri problemi, le nostre sofferenze. È duro doverlo realizzare, ma se noi vogliamo parlare e trattare utilmente con i grandi di oggi, bisogna pure che ci mettiamo qualche volta nei loro panni, che vediamo le cose con i loro occhi. Talleyrand -che se ne intendeva -ha detto che la politica è l'arte delle possibilità. Ora se noi guardiamo le cose come esse sono, nella loro proporzione agli occhi dei «Tre» -ed è necessario farlo poiché alla fin dei conti sono loro a decidere -non sarà difficile persuaderei che non possiamo domandare loro, onestamente, di mettere in pericolo qualcuno dei loro grandi interessi per risolvere una questione nostra, un po' prima o un po' dopo, e sopratutto sarebbe impolitico il farlo.

Io credo quindi fermamente che noi abbiamo tutto da guadagnare a mostrare agli anglo-americani che noi ci rendiamo conto delle loro difficoltà, dei loro problemi, che ci mettiamo nella loro pelle, che ci rendiamo conto dell'importanza delle questioni in gioco e che siamo pronti a collaborare con loro nell'unica maniera efficace che ci è permesso oggi, quella di non creare noi stessi nuovi problemi, di sapere subordinare, quando è necessario, i nostri interessi ai loro. Questa linea politica mi sembra implicita nell'ultima parte del suo telegramma n. 7061 del 30 settembre c.a. Credo che è quella che ci può dare i migliori risultati nel futuro sia immediato che più lontano: ma essa impone che noi ci rendiamo chiaramente conto di quello che possiamo chiedere e di quello che non possiamo chiedere.

Che previsioni si possono fare sulla durata di questo periodo di attesa? Credo sarebbe imprudente essere ottimisti. lo sono più che mai convinto che gli americani si sono imbarcati in questa questione senza rendersi conto della sua gravità; secondo me hanno anche fatto un grosso sbaglio di impostazione. Se c'è ancora una chance di persuadere i russi che non rischiano nulla, anzi, ad accettare nella loro zona di influenza i principi basilari della concezione occidentale della democrazia, essa è che i russi arrivino a questa conclusione per conto loro, sulla base dei fatti: il peggiore sistema è quello di volerglielo imporre. Ritengo pure che a fare accettare ai russi l'idea del compromesso fifty-fifty si sarebbe potuto arrivare più facilmente, e più rapidamente, assumendo un contegno amichevolmente fermo su altre questioni e lasciando i russi in pace nella loro zona di amicizie. Ma comunque è fatto e non è facile tornare indietro. La vittoria rapida, facile, completa e tutta loro sul Giappone ha dato un po' alla testa agli americani, si sono forse esagerato l'effetto morale della bomba atomica, certamente hanno esagerato il valore commerciale del desiderio russo di avere un grosso prestito: il pronto rinvio delle elezioni bulgare è stato da loro interpretato come l'inizio di una ritirata russa. Gli inglesi, anche se non tutti in egual misura, vedevano più chiaro: forse hanno pensato che era meglio che gli americani sbattessero la testa per loro conto. In ogni modo now they know where they are.

I russi sono andati alla Conferenza con la testa gonfia delle loro vittorie, irritati dall'insuccesso dei loro piani di guerra in Estremo Oriente, preoccupati di non mostrare che avevano paura della bomba atomica. Corre voce, da qualche tempo, che la posizione personale di Molotov non sia più quella di prima: potrebbe anche essere che egli abbia voluto riportare al padrone un successo. Sono poi abituati a che, fino ad ora, gli americani e gli inglesi hanno sempre finito per cedere. Loro they do not know yet where they are. Non è la prima volta che si arriva ad un urto: adesso aspettano l'arrivo a Mosca di un Mister Hopkins. Gli americani dichiarano ad alta voce che nessun Mister Hopkins verrà a Mosca e che non è prevista una riunione dei Big Three. Stalin risponde andando in congedo come per dire: «so che finirete per mandare a Mosca un Mister Hopkins, è perfettamente inutile, io me ne sto nella mia villa a Soci a prendere il sole». Bisogna che Stalin si persuada che gli americani questa volta non hanno nessuna intenzione di venire a Canossa. D'altra parte bisogna che Truman si persuada che bisogna lasciare in pace la zona russa di amicizie. Quando tutti e due si saranno persuasi della realtà della situazione, il terreno è maturo per un accordo ragionevole.

Stalin è certamente una testa dura: anche Truman, mi pare: quindi credo sia bene adattarsi all'idea che ci metteranno del tempo a capire. Mi pare poi che la tendenza, dalle due parti, sia quella di mettersi sulla via dei dispetti reciproci: il che invelenisce l'atmosfera che ritarda la persuasione. Io prevedo parecchi mesi. Ci sono naturalmente due fattori che possono creare degli imprevisti. Qui a Mosca tutti sono persuasi, persino Harriman il che è tutto dire, che l'unica cosa da fare è aspettare. Però nessuno, parlo degli anglo-americani, si nasconde che vi sono in America gruppi influenti che sono ancora orientati verso l'accordo con la Russia ad ogni costo: un gruppo piuttosto idealista che si richiama all'eredità del pensiero di Roosevelt, e l'altro un gruppo di affaristi, di politicanti i quali vogliono subito il prestito alla Russia per guadagnarci sopra. Non si esclude qui -non so con quanto fondamento -che essi possano portare Truman a cambiare di politica, ritengo questa eventualità una delle più pericolose per noi perché, in questo caso, anche questa volta, il compromesso si farebbe sulla base di 90-10 e anche le questioni nostre, specialmente la Venezia Giulia, sarebbero risolte su questa base. L'altro fattore è più importante, ma meno chiaro. Da quanto vedo dalla stampa e dalle informazioni del ministero, i polacchi di Anders continuano a restare in Italia, inquadrati e piuttosto antisovietici: i cetnici di Mihailovich e altri elementi jugoslavi si organizzano in reparti jugoslavi monarchici: non mi è chiaro cosa stia accadendo dei cosacchi di Krasnov. Sembra poi che qualche cosa del genere stia accadendo anche in Germania. È evidente che questa gente è pagata dalle autorità militari inglesi, che sono loro che organizzano e danno armi. Su istruzioni di chi agiscono le autorità militari inglesi? Chi è che tiene in mano le fila di questa manovra, quali fini si propone? (Tutto questo incidentalmente non contribuisce a rendere i russi più arrendevoli nelle questioni balcaniche). Molto di questo sta accadendo sul nostro territorio: so bene che noi non ci possiamo niente, ma credo sarebbe nostro interesse cercare di vedere sul serio che cosa si fa e di capire dove si vuole andare a finire, poiché poi, alla fine dei conti, le conseguenze di tutto questo armeggio possono ricadere sulle spalle nostre. Non nascondo a V.E. che è tutto un complesso di cose in cui non vedo chiaro e che mi preoccupa. È un gioco pericoloso e inutile e sarebbe meglio, per tutti, che esso finisse e al più presto.

Gli anglo-americani di qui sono stati tutti concordi nel farmi rilevare che è nel nostro interesse aspettare, perché se le questioni che ci interessano saranno trattate in una atmosfera di relativa armonia fra i «Tre» abbiamo maggiori probabilità di soluzioni meno sfavorevoli ai nostri interessi. Io credo che abbiano ragione, naturalmente nei limiti non estremamente vasti in cui le condizioni di pace con noi sono ancora suscettibili di essere migliorate. Supponiamo che i russi in cambio di altra concessione definita consentissero adesso a trattare separatamente il nostro trattato di pace. Dato che il vero problema del trattato di pace -Dulles lo ha detto con franchezza brutale -è quello di mettere d'accordo i differenti punti di vista dei Tre Grandi, se le trattative si svolgessero in un periodo di tensione come l'attuale è evidente che gli anglo-americani sarebbero soprattutto preoccupati di non aggravare la tensione con la Russia con acuti contrasti su questioni per loro poco importanti. Dato che sui due argomenti più importanti per noi -Venezia Giulia e riparazioni -il punto di vista più contrario al nostro è quello russo, è quasi certo che gli anglo-americani finirebbero per cedere se non tutto, almeno moltissimo. Se invece agli anglo-americani riesce di fare accettare ai russi in linea di massima, il principio del compromesso fifty-fifty, è chiaro che le probabilità per noi di soluzioni meno sfavorevoli sono molto maggiori. V.E. sa che io sono stato sempre un po' scettico sul valore pratico della benevolenza americana: ma se ho espresso dei dubbi circa il fatto che la concezione americana di pace giusta corrispondesse realmente alla nostra, ne ho espressi di molto maggiori sulla capacità degli americani di mantenere il loro punto di vista, relativamente favorevole a noi, contro l'opposizione russa. Siccome, in linea di massima, mi pare che i fatti mi hanno piuttosto dato ragione, mi sembra, ripeto, che avremmo tutto l'interesse a che il dibattito sugli affari nostri abbia luogo in circostanze in cui la resistenza russa sia relativamente meno difficile a superare. V.E. sa pure che io sono sempre stato convinto che in linea di politica pura, il tempo, specie ora che la guerra è finita, lavora per noi. Molte ragioni che è inutile ripetere non ci rendevano consigliabile di-metterci noi stessi, sulla via della politica pura: ma le circostanze adesso ci obbligano a farlo: lasciamo le fare e limitiamo per ora la nostra attività alla linea del possibile, ossia alla sola attenuazione dell'armistizio.

Il signor Byrnes è finalmente venuto, out in the open, su quelle che saranno, nelle grandi linee, le condizioni di pace per noi. Vorrei farne ancora un esame critico per stabilire realisticamente, almeno a quanto posso giudicare di qui, se ed in quanto esse siano ancora suscettibili di miglioramento. Bisogna tenere presente, in primo luogo, che il signor Byrnes ha esposto il punto di vista americano. Ora mi sembra fuori di discussione che, fra tutti, gli americani sono i più favorevolmente disposti verso di noi: quindi bisogna non dimenticare che le sue condizioni potrebbero anche essere peggiorate per necessità di adattamento alle esigenze di paesi meno ben disposti verso di noi. .

l) // bill of rights. Per la nostra dignità sarebbe bene che trovassimo la maniera di fare noi stessi, prima della redazione definitiva del trattato di pace, una dichiarazione solenne, avente forza e valore di atto costituzionale, che garantisse al popolo italiano le libertà previste dalla dichiarazione di Mosca del novembre 1943, in maniera che il trattato di pace potesse limitarsi a prenderne atto. In questo modo verrebbe a trattarsi di un atto spontaneo del popolo italiano, come realmente è,·e non di una imposizione straniera. Ma non è questo il solo aspetto della questione. Secondo me essa non ha un valore solamente accademico. Gli anglo-americani non riusciranno a fare adottare ai russi la loro concezione di democrazia nella zona di amicizie russa: per ristabilita che possa essere la buona armonia, si arriverà forzatamente al trattato di pace in una atmosfera di tensione ideologica, nel senso che il regime interno dei vari paesi non potrà non essere considerato come connesso con il suo orientamento in politica estera. Dato che non è prevedibile, per l'avvenire prossimo, un superamento del concetto di zona di influenza ritengo che gli anglo-americani sono fermamente decisi a usare qualsiasi mezzo per impedire che l'Italia diventi comunista. Essi sono disposti a permetterei anche un governo Saragat (intendendo per Saragat la tendenza socialista contraria alla fusione con i comunisti) ma non ci permetteranno di andare più a sinistra. È da temere quindi che l'inserzione, così come è, di un bill of rights nel trattato di pace possa finire per essere interpretata come un diritto all'intervento, nella politica interna italiana, diretto ufficialmente a garantirci contro il ritorno in Italia del fascismo; ma il fascismo potrebbe avere bon dos.

Una certa misura di intervento straniero nella politica interna italiana, almeno per i primi anni, e per lo meno fino a che dura il timore, oggi tutt'altro che scomparso, che l'Italia possa diventare comunista, è purtroppo inevitabile, e non so cosa potremmo fare per evitarlo. Bisognerebbe però cercar di evitare che questo intervento finisca per avere una base giuridica permanente i cui sviluppi possono essere imprevedibili. Ricordo a questo effetto l'uso inaspettatamente fatto in Grecia, durante l'altra guerra, dei diritti delle Potenze protettrici di cui tutti si erano dimenticati.

2) Limitazione degli armamenti. Temo che qui non ci sia niente da fare nella sostanza. Evidentemente, nelle sue dichiarazioni, il maresciallo Alexander sapeva quello che diceva. Dato che gli americani sembrano voler dare alla limitazione degli armamenti italiani il carattere di una necessità finanziaria, piuttosto che un carattere punitivo, e dato che effettivamente a queste considerazioni finanziarie non si può negare un certo peso, si potrebbe tentare di marcare nel trattato di pace questo carattere. Io penso che, in una forma o nell'altra, non potremo evitare, per un certo periodo almeno, un controllo finanziario americano. Tutti gli americani con cui ho parlato qui, sembrano convinti della necessità di un largo intervento del capitale americano per rimettere in piedi l'Italia e che l' America sia disposta a farlo. Ma mi sembrano egualmente convinti -per l'Italia come per tutti gli altri paesi che bisogna aiutare -della necessità che l'America segua la sorte di questi suoi capitali, soprattutto nel senso di riorganizzare su basi sane e solide l'economia dei vari paesi: va da sè che questo planning deve corrispondere anche agli interessi generali della politica economica americana. Ci potrebbe convenire di tentare di collegare la limitazione dei nostri armamenti al controllo finanziario americano, in modo da poter sperare di acquistare un giorno, con una certa libertà finanziaria, anche una certa libertà militare. Mi sembra anche di vedere nel pensiero inglese ed americano -in vista della passata esperienza tedesca -una tendenza a voler marcare le funzioni di controllo sul riarmo, anche e specialmente nel campo scientifico.

Comunque è tutto questo un argomento su cui mi sembra difficile dar battaglia, può essere impolitico il farlo e non vedo chi ci possa venire in aiuto. Il tempo può contribuire a diminuire il carattere punitivo della misura, ma non credo possa attenuare la sostanza. Anche qui la cosa migliore mi sembrerebbe, rebus sic stantibus, quella di studiare cosa potremmo fare, di nostra iniziativa, per venire incontro al punto di vista alleato: quanto più avremo fatto da noi, tanto più si potrà sperare di evitare obblighi contrattuali.

3) Venezia Giulia. È questo soprattutto l'argomento su cui il tempo, e una mutata atmosfera fra gli alleati, può ancora apportare qualche mutamento in nostro favore. Nel complesso -oggi -e salvo imprevisti, mi sembra di poter dire che Trieste è stata salvata (molto grazie a Tito): non mi sembra che nemmeno i russi ci pensino più seriamente. Insieme a Trieste vorrei dire che mi sembra anche la linea Morgan sia fuori di discussione: temo però che se la questione del nostro confine orientale dovesse essere risolta adesso, poco potremmo salvare oltre la linea Morgan.

Ho già spiegato a suo tempo come i russi non si interessino di Trieste per sè, ma in quanto è un centro commerciale, industriale, bancario suscettibile di essere una base di influenza economica e politica in tutto un settore da cui essi vogliono escludere ogni ingerenza straniera. Vista ormai l'impossibilità di dare Trieste in mani sicure, è logico che essi cerchino di neutralizzarne l'importanza mettendo in mani sicure le comunicazioni di Trieste con il suo retroterra balcanico e centro-europeo, in modo da paterne controllare e se necessario paralizzarne l'influenza. In questo essi hanno in vista non l'Italia, ma l'Inghilterra e l'America attraverso l'Italia. Confesso che sono rimasto impressionato dalla considerazione che la linea Wilson era stata tracciata soprattutto tenendo conto delle vie di comunicazione, fatta dal mio interlocutore di cui al mio rapporto n. 924/410 del 12 corr. 1 e che devo ritenere una cosa seria data l'autorevolezza della fonte. Essa va del resto connessa colle dichiarazioni di Dulles «considerazioni strategiche ed economiche debbono essere subordinate a considerazioni umane». Tutto questo, insieme all'osservazione del mio intelocutore che difficilmente i russi avrebbero consentito a includere nel calcolo di compensazione delle minoranze etniche, da una parte e dall'altra della frontiera, i nuclei italiani più distanti (Fiume, Zara e alcune isole) mi ha preoccupato e Dio sa se sono mai stato troppo ottimista.

L'impressione che ho riportato dai miei contatti con gli anglo-americani sul posto -per quel che valgono -è che ci sia stata, da parte inglese una considerevole evoluzione in nostro favore: in ogni modo mi sembra che le speranze che essi avevano di riprendere Tito e la Jugoslavia si siano molto affievolite. Dovrei quindi dire che, entro certi limiti naturalmente, gli inglesi sono oggi assai più favorevoli alla nostra tesi di quanto lo fossero qualche tempo addietro e credo, col tempo, questa evoluzione possa ancora accentuarsi. Temono però anche essi l'opposizione russa e non mi sembrano disposti a dar battaglia su di una questione che, tutto compreso, nel quadro della loro politica generale, non considerano di grande importanza. Se dovesse riuscire agli anglo-americani, abbandonando le loro velleità sulla zona di influenza russa, di portare i russi ad una concezione più elastica del compromesso -e ci possono riuscire se hanno la pazienza di aspettare senza darsi nel frattempo ad inutili colpi di spillo -è possibile si arrivi a ridurre le resistenze russe. Sulle linee di comunicazione credo che sarà difficile che i russi mollino, ma cedendo su questo punto, in una atmosfera migliore, si potrebbe riuscire a far includere Fiume e Zara nel computo e forse a fare uno

Vedi D. 619.

scambio fra le miniere di carbone e di baucsite e qualche area che maggiormente interessi le vie di comunicazione. Tutto questo è ancora molto vago, molto nel campo delle speranze: penso tuttavia che potrebbe valere la pena, con i dati etnici reali che dovremmo avere a disposizione, di studiare una linea alternativa che tenesse conto di queste considerazioni e che si potrebbe, al momento opportuno, suggerire a Londra e a Washington. Bisogna che noi teniamo conto che ci troviamo di fronte ad una situazione gravemente compromessa e che dobbiamo !imitarci a cercare di salvare il salvabile.

4) Colonie. Non credo sia facile ormai far recedere dall'idea del trusteeship delle Nazioni Unite. Al più se, in via di compromesso, gli anglo-americani insistessero e riuscissero a far rinunciare integralmente i russi alle loro aspirazioni mediterranee, includendo anche in questo la partecipazione russa al trusteeship, si potrebbe tentare di far rivivere o le vecchie proposte americane di affidare tutto il trusteeship all'Italia, o ritornare al progetto inglese di distribuzione migliorandolo in quanto possibile in nostro favore. Logicamente una esclusione completa dei russi dalle colonie africane dovrebbe sorridere agli inglesi, specie adesso che i russi, mostrando le unghie, hanno acuito le loro preoccupazioni. Temo però che essa sarebbe difficilmente conciliabile coll'attitudine americana ostile in genere contro il sistema coloniale.

5) Riparazioni. Su questo punto mi sembra ormai pacifico che gli americani sono decisi a dar battaglia in pieno e a non mollare: possiamo quindi stare relativamente tranquilli. Tuttavia anche qui il tempo e l'atmosfera non ci possono essere inutili. Nelle riparazioni è indiscutibilmente insito un criterio punitivo che, a mano a mano che ci allontaniamo dalla guerra, perde del suo peso: ogni giorno che passa, e le conseguenze economiche della guerra si fanno, per tutti, più manifeste, l'argomento della nostra incapacità a pagare acquista più peso. Siccome poi il prestito americano alla Russia dovrà essere parte necessaria del grande compromesso, sarà molto più facile agli americani di far intendere ragione ai russi su questo punto. Dubito molto che possa riuscire agli americani, ammesso anche che ci si mettano con tutta la loro buona volontà, di salvare parte considerevole dei nostri investimenti nella zona russa. I russi ci hanno già, potenzialmente, le mani sopra e il loro incameramento quadra troppo bene con tutti i loro piani economici nella zona stessa, perché si possa indurii a rinunciarvi. Qualche cosa si può forse tentare in Polonia e in Cecoslovacchia se quei governi, per ragioni loro, si prestano e se hanno autorità sufficiente per far valere le loro ragioni, ma questo è tutto. Qualche vantaggio si potrà invece ottenere nel settore delle cessioni di nostre attrezzature industriali belliche, sempre che gli americani siano ben disposti, ma, e in primo luogo, data la precisa presa di posizione americana su questo problema è sempre da temere che gli americani per carry the point si lascino indurre a cedere su altre questioni. Di qui l'importanza grande per noi che anche questo argomento sia, se possibile, trattato in una atmosfera di minore antagonismo.

In questo momento non vedo cosa si possa fare, qui, in Russia, per migliorare le disposizioni russe a nostro riguardo, per quel tanto -che non è molto -in cui l'Italia entra direttamente nell'atteggiamento russo sulle varie questioni che ci concernono. Non posso che raccomandare di fare attenzione, in quanto ci è possibile, all'atteggiamento della nostra stampa -è particolarmente importante che noi manteniamo una linea moderata di fronte alla rottura -che cerchiamo di risolvere rapidamente e favorevolmente tutte le piccole questioni che li interessano. E ciò può servire a diminuire quel certo vago risentimento che c'è indiscutibilmente nei nostri riguardi. Portare avanti con decisione i nostri rapporti culturali a cui essi evidentemente tengono molto, mostrare vivo interesse nei rapporti commerciali.

Ma in vista di quel tanto di isterico che c'è nella politica russa, non si può mai dire: l'occasione che oggi non si vede si può presentare domani. E V.E. può essere sicura che seguo la situazione con ogni cura e non mancherò di approfittare di ogni eventualità che si presenti, pur tenendo debito conto della necessità di non destare ombre sui nostri rapporti con gli anglo-americani che, in questa fase, restano sempre il punto più importante della nostra politica.

Per mia norma di linguaggio ed eventualmente di azione mi riuscirebbe utile di conoscere il pensiero dell'E.V. sulle principali considerazioni contenute nel presente rapporto.

622

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, BENZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 3920/1050. Parigi, 15 ottobre 1945 (per. il 27).

In occasione del suo ritorno da Londra ho avuto ieri una lunga conversazione col signor Coulet, direttore degli Affari d'Europa al Quai d'Orsay.

Membro della delegazione francese alla Conferenza, egli aveva svolto lo speciale incarico di tener man mano al corrente della situazione il generale de Gaulle e di ricevere verbalmente le istruzioni di massima. Il signor Coulet ha tenuto a dirmi anzitutto quale eccellente impressione avesse suscitato negli ambienti della Conferenza l' exposé del ministro De Gasperi per il suo tono, la misura e la qualità delle argomentazioni svolte; esso avrebbe un persistente effetto favorevole sulla impostazione psicologica del problema itala-jugoslavo; il rinvio della Conferenza ed il conseguente ritardo nelle decisioni che ci concernono non potrebbero, secondo lui, in base a tutti i fattori in giuoco, che giovare comunque alla nostra causa.

Venendo a parlare dei lavori della Conferenza in genere, il signor Coulet mi ha detto che la delegazione francese si lusingava sans fausse modestie di essere uscita con onore dalla situazione in cui l'avevano posta le eccezioni sollevate dal signor Molotov: dosaggio quanto mai delicato e difficile tra la difesa degli interessi e del prestigio francesi ed il pericolo di lanciarli definitivamente allo sbaraglio con un atteggiamento troppo intransigente.

La Francia, dopo la Conferenza di Londra, vede la sistemazione pacifica dell'Europa come un evento incerto e comunque remoto, le relazioni internazionali retrocesse per così dire alla «età della pietra»; il generale de Gaulle ne è così intimamente persuaso che tutta la sua ambizione è diretta a realizzare in sfere circoscritte e precise quel poco di realizzabile che l'epoca consente ma, in questo senso, a insistere a fondo: il suo recente viaggio nella zona francese di occupazione in Germania è stato appunto ispirato a tale piano che il signor Coulet ha tenuto a definire modesto ma preciso, a fare cioè quel poco che si potrà nella sfera di una collaborazione pratica franco-tedesca. Così alla riapertura della Conferenza di Londra, cioè probabilmente in novembre, la Francia insisterà perché i suoi piani circa l'apporto della zona renana o westfaliana alla «ricostruzione» dell'Europa occidentale vengano presi in esame e sia studiata altresì la possibilità di cessione di territori tedeschi all'Olanda per compensarla delle aree coltivate rese inutilizzabili dalle inondazioni provocate dall'occupante.

Le intese occidentali patrocinate dal generale de Gaulle non muovono da disegni ambiziosi di creare un «blocco» come si è creduto in alcune sfere interpretare, bensì dalla imperiosa necessità di cercare soluzioni parziali e provvisorie nella atmosfera di immanente catastrofe che la guerra ha lasciato in Europa. La politica estera sarà purtroppo per un tempo non determinabile una politica à la petite semaine. Ho chiesto a questo punto al mio interlocutore se ove una pace provvisoria con l'Italia si presentasse allo stato attuale di cose irrealizzabile, il governo francese fosse, per quanto lo concerneva, favorevole ad una modifica al regime armistiziale in Italia; mi ha risposto che sì, che tale svolgimento era appunto perfettamente inquadrato nelle direttive francesi che mi aveva esposto.

Dalle impressioni da lui raccolte a Londra, il signor Coulet ha creduto individuare nei circoli americani ancora sotto l'impressione della «scoperta» della barbarie tedesca, molto scetticismo circa la possibilità di una palingenesi democratica in Germania; negli ambienti laburisti britannici invece una certa fiducia starebbe facendosi luce sulla sincerità e capacità direttiva dei social-democratici tedeschi. Sulla possibilità di utilizzare a fondo la «democrazia» tedesca, la Francia riserba il suo giudizio; non è comunque problema attuale. L'attuale e l'attuabile è invece un'equa utilizzazione delle risorse tedesche ai fini della ricostruzione europea che, dopo tutto, ha qualche diritto di precedenza sulle esigenze della Germania; è precipuamente a tale scopo che la Francia, ammaestrata dalle esperienze dell'occupazione della Ruhr dopo la prima guerra mondiale, si oppone atla costituzione di una amministrazione centrale tedesca, la quale -prima o poi non potrebbe che fare dell'ostruzionismo a qualsiasi sfruttamento in funzione non tedesca delle risorse del paese.

Nel parlare dei rapporti franco-italiani, il mio interlocutore mi ha accennato, per incidenza, che le «piccole rettifiche di frontiera» rivendicate dalla Francia sarebbero state accolte dalla delegazione britannica con comprensione e simpatia, con maggior riserbo da quella americana.

Interrogato circa la situazione interna del nostro Paese, ne ho tracciato al signor Coulet uno schematico quadro che confido abbia valso a correggere qualche sua impressione, la quale, dal tono delle domande, non sembrava ispirata ad eccessivo ottimismo.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. 936. Mosca, 16 ottobre 1945 (per. il 20).

Con questo stesso corriere invio un rapporto sotto il n. 935/419 1 nel quale espongo al ministro le mie impressioni circa lo stato dei rapporti tra gli Alleati, le mie previsioni sulla durata di questo periodo di rottura e infine quello che secondo me si può fare e si può sperare di ottenere a nostro favore e quali pericoli bisognerebbe cercare di evitare durante questo periodo di attesa.

Mi rendo abbastanza conto, anche se certo non completamente, di tutte le complicazioni di politica interna che sono per noi connesse con il trattato di pace. Quindi se nel mio rapporto non ho scritto una parola che non corrisponda esattamente al mio pensiero, mi sono anche preoccupato -non so se ci sono riuscito di redigere un rapporto che il ministro, se lo crede opportuno, può anche mostrare a tutti i suoi colleghi di Gabinetto. Ma non ho detto tutto il mio pensiero e, ad alcuni argomenti, ho accennato di sfuggita per il timore di creare al ministro degli imbarazzi con altri partiti. Ne scrivo quindi a te con la preghiera di far vedere questa lettera al ministro in modo che egli ne possa tener conto se ed in quanto lo ritiene possibile ed utile. Questa mia lettera completa dunque il mio rapporto a cui mi riferisco e ne costituisce in un certo senso parte integrante.

Prima di tutto vorrei osservare che, in linea di politica estera, io dubito molto che ci convenga di insistere perché il trattato di pace con l'Italia venga concluso prima ed indipendentemente dal trattato di pace con i satelliti orientali. Noi abbiamo già l'esperienza dell'armistizio: è indubbio che il nostro armistizio è peggiore degli armistizi russi -anche se l'interpretazione russa di molte clausole sia stata peggiore di quella anglo-americana -appunto perché era il primo e perché ha servito come esperimento. Lo stesso potrebbe accadere del trattato di pace. Sopratutto la Russia, mentre può avere interesse a che il trattato di pace con l'Italia sia stringent, ha, ritengo, tutto l'interesse a mostrarsi apparentemente generosa verso i suoi vinti. Dati i suoi sistemi può farlo senza pericolo rifacendosi in terreno di interpretazione. Se il trattato italiano è indipendente, i russi, per tutto quel che concerne bill of rights, controllo, ingerenza in politica interna, disarmo, possono insistere perché ci siano messi i lacci più duri e la cosa sia combinata in maniera da dare, in tutte queste materie, a se stessa una certa misura di diritto a partecipare. Per i suoi trattati invece è probabile che adotterà il sistema contrario. Se il trattato con l'Italia è già concluso, non c'è più niente da fare. Se invece tutti i trattati sono condotti avanti contemporaneamente, non potrà insistere perché vengano applicate all'Italia delle norme che non vuole siano applicate ai suoi amici.

Faccio un caso in dettaglio. Per tutti i suoi ex-nemici probabilmente, ma certamente per la Bulgaria, non credo che la Russia sia favorevole a larghe limitazioni di armamento. Essendo la sua idea che l'esercito bulgaro dovrà essere ricosti-

Vedi D. 621.

tuito -e lo sta facendo -con larga immissione dei partigiani, in modo da farne un sicuro appoggio per il regime, essi non possono essere realmente in favore della sua eccessiva limitazione, mentre, anche per far piacere alla Jugoslavia, possono essere in favore di una grossa e permanente riduzione dell'esercito italiano. lo capisco che noi teniamo, per ragioni di principio, alla precedenza, ma bisognerebbe cercare di evitare che il principio andasse a scapito della sostanza.

Passando alla sostanza, io credo in questa sede di dovere sottolineare, in modo tutto particolare, l'argomento del comunismo in Italia. Nelle missioni militari inglese ed americana e nella sezione Intelligence inglese, ci sono molte persone che sono state in Italia, anche in posti di responsabilità. Mi hanno parlato molto francamente ed io sono venuto alla netta conclusione che essi considerano assai reale il pericolo che l'Italia possa diventare comunista. Essi ritengono che la grande maggioranza dell'Italia non sia comunista, che ci sia molta gente che ora aderisce al partito comunista semplicemente perché ritiene che il comunismo vincerà e che è pronta ad abbandonarlo quando si accorgerà del contrario, ma ritengono che il governo democratico italiano sia, materialmente, debolissimo e che, il giorno che non ci siano più in Italia soldati alleati, il governo italiano non avrà più la forza necessaria per opporsi ad un colpo di mano, di destra o di sinistra. Un colpo di mano di destra, non lo desiderano, ma non li preoccupa, quello di sinistra sì. Essi sono impressionati dalla quantità di armi e di munizioni che si sono occultate in Italia e ritengono che oggi la popolazione sia da noi assai più armata che non le poche forze governative. Sono quindi decisi a lasciare in Italia, con un pretesto o con un altro, le loro truppe fino a che non si sarà ricostituito un esercito italiano che possa essere una garanzia sufficiente di forza materiale a disposizione del governo. Mi sembra che essi, specialmente gli inglesi, abbiano in vista un esercito piccolo, bene addestrato, politicamente sicuro, possibilmente di mestiere (un esercito di coscrizione è politicamente più dubbio) qualche cosa di molto simile alla Reichswehr della repubblica di Weimar.

Questa è l'opinione, a quanto posso giudicare da qui, dei militari e dell'Intelligence: non so cosa ne pensino i politici, ma tu che sei stato in Inghilterra sai quanto questi due elementi contano sulla formulazione della vera politica inglese.

Gli anglo-americani vedono, forse esagerano, certo non sottovalutano tutto quello che la Russia sta facendo per garantirsi una posizione indiscussa, politica, militare, economica, nei paesi della sua zona d'influenza e per metterla al riparo da qualsiasi scherzo di politica interna. L'elemento permanente della politica inglese, Foreign Office, Forze Armate, Intelligence Service si vanno sempre più persuadendo che l'unica maniera di assicurare una possibile convivenza fra i due gruppi è la divisione dell'Europa in zone di influenza nettamente delimitate e con il minor numero possibile di zone in discussione e di possibilità di gioco per l'una e l'altra delle parti contendenti: gli americani si stanno gradatamente convincendo che gli inglesi hanno ragione. Cercano di conseguenza, gradatamente, di organizzare in modo corrispondente l'Europa occidentale. E questa benedetta storia delle zone d'influenza dovrà finire per essere riconosciuta dalle due parti sia che il presente dead-lock sbocchi in un compromesso, come è probabile e come mi auguro, sia che si prenda atto dello stato di non accordo: la sola differenza è che in quest'ultimo caso la muraglia cinese fra le due zone sarebbe più assoluta che nel primo. Per questo, i partiti comunisti in tutta l'Europa occidentale, in quanto essi sono considerati, in politica estera, come decisamente orientati verso Mosca, hanno per gli anglo-americani la stessa importanza e la stessa funzione che Maniu e Bratianu in Romania per i russi. Il modo di procedere degli anglo-americani è meno brutale che quello dei russi, ma la sostanza e le ragioni sono essenzialmente le stesse. Quindi, per quanto concerne l'Italia e non soltanto l'Italia, essi sono decisi a far uso di tutti i mezzi possibili per impedire che il partito comunista possa essere altro che un partito di opposizione, e a non permettere, in nessun caso, che esso possa assumere incontrollato il potere. In altre parole, bisogna rassegnarsi al fatto che noi, e con noi tutta l'Europa, sia l'Europa russa che l'altra, abbiamo perduto la vera indipendenza in politica interna.

La differenza, di fronte agli anglo-americani, fra noi e gli altri Stati dell'Europa occidentale, è che mentre con gli altri essi debbono agire con una certa delicatezza, in Italia -considerata del resto come uno dei punti più vulnerabili -data la nostra posizione di vinti essi hanno la possibilità di servirsi del trattato di pace per dare alle loro possibilità di intervento nella politica interna italiana, una base giuridica. E, secondo me, noi dovremmo servirei di questo rinvio della conclusione della pace per evitare questo pericolo, in quanto è possibile.

Nel mio rapporto ho parlato della situazione del bill of rights, del controllo finanziario americano e della sua possibile connessione col disarmo: sono già di per se stessi degli argomenti di grande importanza, ma non sono i soli. Ce ne sono altri due che non ho menzionati.

l) Le truppe anglo-americane, sia pure in misura assai ridotta, continueranno a restare in Italia anche dopo la firma del trattato di pace. I pretesti potranno essere vari, necessità di garantire la sicurezza delle vie di comunicazione per le truppe di occupazione in Austria ed in Germania, controllo del disarmo o qualcun'altra: è infinito il numero di pretesti che si possono inventare: lo scopo finale è quello a cui ho accennato. Dovremmo cercare, in quanto possibile, di farceli restare solo per proteggere le loro linee di comunicazione: ossia per un compito che non leda la nostra sovranità e, per il suo carattere, più marcatamente temporaneo.

2) Basi aeree e navali per gli anglo-americani in Italia. La politica americana mi sembra si vada chiaramente orientando verso la costituzione, in varie parti del globo, di tutta una serie di basi navali ed aeree, difensive ed offensive. Dato che l'America mostra di cominciare ad occuparsi seriamente del Mediterraneo, mi sembra logico che essa non dimenticherà le possibilità che le offre l'Italia. E il punto 2) potrebbe anche diventare connesso col punto 1). Lo stesso vale per gli inglesi.

Tutto questo è in un certo senso inevitabile. È conseguenza non solo della guerra perduta, ma, e sopratutto, delle nuove correnti e dei nuovi orientamenti che prevalgono nella politica mondiale: se fossimo stati dalla parte dei vincitori la nostra situazione sarebbe esattamente la stessa. Solo che, in questo caso, tutte le limitazioni alla nostra indipendenza che avremmo dovuto accettare avrebbero avuto, in apparenza almeno, un carattere volontario e contrattuale e non un carattere di imposizione. Mi sembra che dovremmo tentare di approfittare di questo periodo di attesa in cui le due parti cercano di precisare le loro posizioni, per vedere se non sia possibile di dare anche noi, alle nostre concessioni, un maggior carattere volontario e contrattuale.

Cominciamo dal bill ofrights che è, per me, un punto delicato e importantissimo, direi il punto centrale. In questo stato di polemica con la Russia è chiaro che gli americani ci tengono moltissimo. Se noi arriviamo al trattato di pace nella situazione nostra interna di oggi, è probabile che gli americani vorranno che il nostro trattato contenga un impegno, da parte del governo italiano, di assicurare al popolo italiano le libertà previste dalla dichiarazione di Mosca, come loro le intendono, e di garantirne il rispetto. Anche se noi riuscissimo, e non è sicuro, di limitare la cosa ad un impegno del governo italiano, è chiaro che questo solo impegno, assunto con atto internazionale, è suscettibile di essere interpretato come un diritto da parte dei firmatari di richiamare l'Italia alla sua osservanza, e di intervenire in Italia per farlo rispettare. Mi sono apposta richiamato ai diritti in Grecia delle Potenze protettrici.

Non solo: il trattato di pace sarà firmato da una quantità di gente. Questo diritto di sorveglianza e di intervento, quindi, non toccherà solo all'Inghilterra ed agli Stati Uniti, ma anche alla Russia, alla Jugoslavia, alla Grecia, a chiunque vorrà seccarci. Il diritto di intervento di tutti questi potrà essere in realtà una pura finzione, ma quale sarà la situazione del governo italiano se qualsiasi paese, firmatario del trattato di pace, le cui relazioni con noi non siano buone, avrà una base giuridica per citarci davanti al tribunale della Nazioni Unite per giustificare un provvedimento di legge del governo italiano o qualche avvenimento della politica interna italiana?.

Sarebbe quindi un nostro interesse vitale, mi sembra, arrivare al trattato di pace con una situazione interna in cui il bill of rights sia già, per quanto ci concerne, un fatto compiuto in maniera che gli anglo-americani, se proprio ci tengono, possono limitarsi a prenderne atto.

Evidentemente l'ideale sarebbe sotto questo punto di vista se noi potessimo arrivare alla pace con la Costituente e la redazione di un nuovo statuto già un fatto compiuto, e con delle elezioni svoltesi in maniera da essere già una certa garanzia di quella che sarà la nuova Italia. Ma mi rendo conto come questo sia se non impossibile, almeno difficilissimo, per varie complicazioni di politica interna ed anche di politica estera. Se questo non è possibile bisognerebbe trovare un'altra formula equivalente. Immagino le difficoltà: tuttavia penso che se il ministro condivide sia le mie preoccupazioni sia il rimedio che propongo, non dovrebbe essere impossibile per lui sottomettere questo punto di vista almeno ai capi dei partiti politici più con la testa sulle spalle e insieme trovare una soluzione pratica.

Egualmente per il disarmo; io penso che ci converrebbe arrivare alla Conferenza della pace avendo preso noi stessi alcune misure sostanziali, corrispondenti più o meno a quello che loro intendono imporci, in maniera da limitare al minimo possibile le imposizioni del trattato di pace. Credo che ci converrebbe anche trattare direttamente e subito con gli anglo-americani sia per la permanenza di truppe loro in Italia dopo la firma del trattato di pace, sia per le basi aero-navali che li interessano.

Vedi, guardando le cose di qui, io ho il timore che gli anglo-americani in generale siano male impressionati della forma che tutte le discussioni sulla politica estera prendono nella stampa e nell'opinione pubblica italiana: essi hanno l'impressione che noi non ci rendiamo conto né della situazione specifica dell'Italia, né del nuovo trend della politica internazionale: temono che il giorno in cui noi avremo ripreso la nostra libertà d'azione noi diventiamo, sia pure in misura minore, una seccatura internazionale come de Gaulle, che non riescono ancora completamente a ridurre alla ragione. Se a queste preoccupazioni noi non riusciamo a metter fine, c'è il pericolo che loro pensino di garantirsi mediante un trattato di pace fools-proof, e con il loro sistema di guardare all'immediato piuttosto che all'avvenire, può essere arduo per noi di far loro capire le difficoltà che con un trattato del genere possono creare a noi ed a se stessi in avvenire.

Ormai siamo usciti dal vago. Byrnes ha detto chiaramente quella che è, nelle sue linee generali, l'idea americana del trattato di pace con noi: oltre le questioni territoriali, ha anche toccato una quantità di questioni di altro genere. Essendo lui uscito dalla riserva possiamo parlare più chiaro sia a Washington che a Londra. E siamo anche noi in grado di vedere più chiaro. Ci sono delle limitazioni alla nostra indipendenza che dobbiamo subire, colle buone o colle cattive, e a cui loro tengono a fine di inquadramento e di allineamento delle loro posizioni europee. lo credo che abbiamo tutto l'interesse a mostrare a Londra e a Washington che abbiamo capito, che entriamo nel loro ordine di idee e che desideriamo di sistemare tutto ciò sotto forma contrattuale, direttamente con loro. Agendo così, mi sembra, possiamo sperare di ridurre al minimo possibile queste nostre limitazioni, ed assicurarci una più precisa benevolenza anglo-americana, sia per le questioni territoriali e forse coloniali, in quanto sono ancora suscettibili di miglioramento, sia per gli aiuti materiali all'Italia. Ma sopratutto io ritengo che sia nostro interesse tentare l'impossibile perché tutte queste limitazioni della nostra indipendenza assumano il carattere di un obbligo contrattuale assunto con uno o due Stati e non di obblighi derivanti da uno strumento internazionale.

Se queste nostre limitazioni sono fissate in accordi con uno o due Stati, in un futuro più o meno lontano possiamo sperare di modificarle o di annullarle del tutto, sia con trattative dirette, sia giocando su certi elementi di opinione pubblica, sia approfittando di momentanei imbarazzi dell'altro contraente: ci sono comunque infmite possibilità. Se invece esse saranno incorporate in un trattato, per liberarcene avremo bisogno del consenso di tutti i firmatari, cosa assai più difficile, se non impossibile a realizzare. Guardiamo all'esperienza dei trattati di pace dell'ultima guerra.

Mi potrai obbiettare che quanto ti scrivo è in contraddizione con quanto ho sempre affermato circa la necessità di indirizzare la nostra politica verso una linea di neutralità. La politica di neutralità resta per me sempre lo scopo finale della nostra politica estera, ma perché essa abbia una chance di riuscire, io penso che bisogna passare per questa fase. Se ti interessa, ti potrò un'altra volta scrivere come credo che dovremmo procedere: adesso renderebbe la lettera assai più lunga di quanto essa già non sia.

Può essere che quanto io ti scrivo sia l'uovo di Colombo e che voi ci abbiate già pensato da un pezzo. Siccome però, fino ad ora, tutte le conversazioni con Londra e con Washington di cui mi avete dato comunicazione vertevano unicamente sulle questioni territoriali e coloniali e non vi ho trovato menzione di tutto questo complesso di questioni, secondo me per noi non meno vitali delle altre, ho creduto mio dovere farti presente le mie preoccupazioni in proposito.

Mi interesserà di conoscere -se avrai tempo e voglia di scrivermi -il tuo pensiero in proposito. Purtroppo, per aiutare effettivamente di qui non posso fare altro che dare qualche consiglio di come agire per neutralizzare o diminuire eventuali resistenze russe nei nostri riguardi: ossia ben poco di concreto.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10407/620-621-622. Washington, 17 ottobre 1945, ore 8,10 (per. ore 8.30 del 19).

Suoi telegrammi 7567 1 e 7674 2• Dal suo ritorno qui Byrnes 3 è stato sempre impegnatissimo ed ha rinviato udienze per gli ambasciatori sembra verso fine mese o primi novembre.

Per tener viva questione abolizione armistizio e sollecitare azione americana mi sono quindi recato ieri da sottosegretario di Stato al quale ho rimesso nota4 in cui si elencano gli argomenti di carattere internazionale ed interno che rendono indifferibile sostituzione detto istrumento con documenti nuovi. Ho ampiamente illustrato ad Acheson necessità evitare che conversazioni in corso con Londra sbocchino in semplice revisione o soppressione alcune clausole armistiziali già di fatto superate, ciò che avrebbe sicuramente effetto deprimente sul popolo italiano. Ho sottolineato opportunità che data mancata pace Londra ed attuali contingenze internazionali europee gli Stati Uniti d'America compiano un gesto anche unilaterale se non si vuole che il popolo italiano abbia a dubitare dell'amicizia tante volte già affermata nei suoi riguardi.

Acheson mi ha nuovamente assicurato che Dipartimento di Stato è del tutto conscio dell'importanza ed urgenza della questione e che al riguardo si sta qui facendo tutto quanto possibile. L'ho allora pregato di volermi tenere informato del progresso delle conversazioni con Londra, in modo da poter far presente eventuale nostro punto di vista.

Si è tratta conferma da conversazioni avute in questi giorni che nell'iniziare alla fine settembre azione per miglioramento status internazionale italiano, Dipartimento di Stato era animato da sincera comprensione e da desiderio giungere a risultati più favorevoli a noi. Se non che nota posizione assunta da Russia per concessioni analoghe a Stati balcanici renderebbe per ora impossibile sostituzione armistizio con pace provvisoria. Sembra quindi tale eventualità subordinata ad una modificazione sostanziale dei rapporti fra Stati Uniti e U.R.S.S., cosa parecchio difficile oggi quando a note [divergenze circa] Jugoslavia, Bulgaria, Romania si sono aggiunte ripercussioni della rottura Tito-Subasic e questione della partecipazione russa a controllo Giappone. Anche Foreign Office riterrebbe d'altra parte possibile solo revisione armistizio, per il momento.

1 Del 12 ottobre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del T. 9873/681 del 9 ottobre di Carandini su un colloquio con Harvey circa la necessità della sollecita abolizione dell'armistizio.

2 Del 14 ottobre: ritrasmissione alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington del D. 615.

3 Byrnes era tornato da Londra il 5 ottobre e aveva tenuto un discorso sui lavori della conferenza. Tarchiani aveva riferito sulle parole relative all'Italia con Telespr. 11251/1350 del 6 ottobre, non pubblicato. Il discorso di Byrnes è edito in United States and Italy, cit., pp. 180-187.

4 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1945, vol. IV, cit.. pp. 1069-1070.

Tale situazione e desiderio raggiungere un risultato concreto con possibile sollecitudine, se pure risultato limitato, sembra che induca il Dipartimento di Stato ad orientarsi anche esso verso revisione e semplificazione armistizio.

In tali condizionì di cose e per tentare di superare l'ostacolo, si è ritenuto opportuno non dimostrare entusiasmo per revisione armistizio, insistendo invece per sostituzione armistizio con un nuovo documento che sanzioni passaggio Italia da condizione di cobelligerante a sua attuale situazione di Stato i cui meriti vennero riconosciuti in [dichiarazioni] dei Tre [Grandi] e cui fu promessa pace sollecita. In sostanza si tratterebbe di ottenere una specie di «pre-pace» o qualche nuova formula del genere che almeno ci consentisse di consolidare e forse accrescere i vantaggi morali datici dalla cobelligeranza. Naturalmente anche una soluzione del genere potrebbe incontrare notevoli difficoltà, poiché la Russia potrebbe dal suo canto richiedere contropartite ad Inghilterra ed America. Da ciò i frequenti accenni fatti nelle conversazioni col Dipartimento di Stato alla opportunità di una eventuale azione anche isolata degli Stati Uniti d'A~Ilerica.

Mentre continuano contatti si fa riserva comunicare possibili notizie su andamento conversazioni tra Washington e Londra. Le sarei molto grato voler inviarmi urgentemente direttive sul punto di vista nostro governo: l) su revisione armistizio sia su nostro atteggiamento di massima e sia su clausole che preme particolarmente abrogare o sostituire; 2) su formula ritenuta preferibile per un nuovo status «pre-pace» da sostituire possibilmente alla cessata cobelligeranza e ciò per l'eventualità che si possa indurre Dipartimento di Stato a patrocinarlo. In tal caso occorrerebbe naturalmente prendere netta posizione non favorevole a semplice revisione armistizio.

Comunque sembrerebbe di sostanziale interesse ricorrere ad ogni possibile tentativo di inserirei sempre più con nostre richieste e proposte negli scambi di vedute in corso tra Washington e Londra onde evitare di trovarsi di fronte ad una loro solidale decisione senza possibilità di miglioramento per un certo tempo almeno.

625

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. Roma, 17 ottobre 1945.

Con riferimento alla sua del 15 settembre 1 e alla sua sollecitatoria del 5 ottobre 2 mi onoro informarla di quanto segue:

Ho coml,lnicato copia della sua lettera del 15 settembre ai vice presidenti Brosio e Nenni e al ministro Togliatti.

I Vedi D. 534. 2 Non pubblicata.

Nell'ultimo Consiglio di Gabinetto (10 ottobre) il presidente Parri e il ministro della Costituente Nenni portarono alcuni dati, dai quali derivarono la conclusione che l'elaborazione delle liste elettorali è in molti luoghi ancora in arretrato per cui entro quest'anno si potranno fare bensì delle elezioni amministrative, ma non le generali politiche. Sul termine di quest'ultime si discusse senza decidere definitivamente: il ministro Nenni proporrebbe «la fine di gennaio», il presidente «entro marzo», il sottoscritto «non più tardi del maggio», il ministro Brosio «entro la prossima primavera». Si concluse con lo stabilire che entro il mese sarebbe stata presentata per la data delle elezioni politiche una proposta impegnativa al Consiglio dei ministri.

Le elezioni amministrative (alcune) si potrebbero fare -secondo i dati del presidente -entro dicembre. In questa stessa seduta il ministro De Gasperi formulò alcune questioni circa i poteri e le procedure della Costituente.

La legge del 25 giugno 1944 stabilisce all'art. l che «i modi e le procedure (della Costituente) saranno stabiliti con successivo provvedimento». Sarà dunque necessaria una nuova legge per la funzionalità dell'Assemblea Costituente? La legge verrà fatta col sistema solito cioè dal ministero colla sanzione del luogotenente o si chiederà al popolo di esprimersi in merito con un referendum all'atto stesso delle elezioni come prevede l'analoga legislazione francese?

Inoltre l'art. 4 della legge 25 giugno 1944 stabilisce che il regime luogotenenziale durerà «fino al nuovo Parlamento». Il «nuovo Parlamento» s'intende quello che uscirà dalla Costituente? Se sì, come si può prevedere che la Costituente sia sovrana, mentre governa il luogotenente? Come si risolve la difficoltà di costituire il governo durante il periodo transitorio?

Infine essendo ovvio che gran parte dei deputati si decideranno per la monarchia o per la repubblica a seconda della struttura del nuovo Stato e del contenuto della sua costituzione, come si potrà garantire un voto conclusivo dopo l'elaborazione della costituzione? Si stabilirà che l'assemblea voti alla fine con maggioranza semplice o qualificata (2/3, 3/5)? Ovvero si ammetterà, come la Francia, il referendum d'approvazione da parte del popolo?

Il ministro Nenni dichiarò che quando presenterà la proposta della data aggiungerà anche le conclusioni sue e dei suoi giuristi circa il questionario proposto da De Gasperi.

Comunico inoltre che la commissione apposita che prepara la legge elettorale per le elezioni politiche ha preso in considerazione il suggerimento di concedere, a certe condizioni, il voto ai membri dell'esercito.

N.B. -Naturalmente questa mia ha carattere confidenziale, come la sua domanda 1•

1 Il N.B. è autografo. Copia di questa lettera fu inviata il 25 ottobre a Carandini, Tarchiani, Saragat e Quaroni.

626

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10545-10478/624-625-626-631. Washington, 18 ottobre 1945, ore 20,47 (per. ore 11 del 20).

Informo che ho offerto subito Dipartimento di Stato testo delle dichiarazioni di

V.E. alla Consulta nonché delle istruzioni ricevute 1• Uffici competenti accolsero comunicazioni nel modo più favorevole. Contavo consegnare personalmente segretario di Stato nota ufficiale sull'argomento. Dato peraltro rinvio udienza agli ambasciatori ho ritenuto opportuno non tardare oltre e rimettere nota al sottosegretario di Stato in colloquio avuto ieri illustrandola con ogni utile argomento e ponendo in rilievo valore iniziativa italiana per inclusione formula quattro libertà preambolo documento definitivo od anche provvisorio che si negoziasse per assicurare pace all'Italia: ciò che escludeva di per sé ogni motivo per imposizioni dall'estero. Ho quindi vivamente deplorato interprétazione arbitraria noto editoriale Times di Londra ed ho suggerito ad Acheson di trovare il modo alla prima occasione di fare sapere eventualmente alla stampa quale sia pensiero americano su tale argomento. Ho aggiunto che non era dubbio per il governo italiano che U.S.A. considerassero Italia come Nazione amica e cooperante e non certo come Stato vassallo ma che il modo di presentare le cose dell'autorevole giornale inglese provocava unanime reazione quasi tutta opinione pubblica italiana senza distinzione partiti.

Sottosegretario di Stato mi ha dichiarato di non conoscere editoriale Times che egli non riteneva potesse aver carattere ufficioso ma solo ipoteticamente informativo: comunque era certo inopportuno come molti di quelli che appaiono sulla stampa americana. A titolo personale ma in base ad altre similari argomentazioni di massima egli tendeva a dare all'articolo questa interpretazione: «Times intendeva probabilmente dire che costituzione politica e giuridica italiana dovesse essere conforme alle quattro libertà sulle quali è fondato statuto Nazioni Unite. Queste hanno, in principio, diritto di controllo sulle premesse teoriche su [questioni] interne di ciascun Stato aderente per accertarsi del mantenimento e del rafforzamento delle garanzie costituzionali e della convivenza mondiale. Al di là di questo non vi è altra interpretazione delle intenzioni anglo-americane nei riguardi dell'Italia. Essa dopo aver subito periodo fascista ed essere stata alleata Germania ha mutato strada, meritato comprensione e simpatie e potrà rientrare nella famiglia dei popoli liberi cogli stessi diritti ma ovviamente cogli stessi obblighi di render conto dei suoi atteggiamenti e propositi». Acheson mi ha detto poi in sostanza che il governo americano non intendeva che tali obblighi fossero per noi più gravosi di quanto

I Vedi D. 611.

non siano per tutte le altre Nazioni Unite, né d'altra parte desiderava esercitare un diritto «in proprio» di intervento nei nostri affari interni. Mi ha infine assicurato che avrebbe interessato autorità inglesi affinché trovassero modo indurre Times ad una più equa ed esatta versione intenzioni anglo-americane. Ho per parte mia replicato che l'Italia quando farà parte Nazioni Unite non si sottrarrà agli obblighi da queste assunti. È fermo proposito dell'Italia costruire una libera salda ordinata democrazia. Non sarà certo essa a dare luogo ad intervento delle Nazioni Unite né per questioni interne né per incidenti internazionali.

Mi sembra ovvio che tutti gli Stati che hanno aderito alle quattro libertà e che fanno parte delle Nazioni Unite assumano in teoria pari diritti e gli oneri relativi nei confronti dei co-obbligati. È d'altra parte evidente che in linea di massima l'assunzione di tali co-obblighi non ha destato particolari timori di interventi o di asservimenti negli Stati aderenti. Quanto alla pratica necessaria nell'odierna situazione ed organizzazione stessa le tre grandi Potenze seguono proprie direttive senza impacciarsi eccessivamente di formule giuridiche.

Nei confronti Italia inserzione quattro libertà nel futuro trattato di pace può ormai considerarsi sicura. Sono d'avviso che almeno per quanto concerne U.S.A. essi vi tengono e l'hanno proposto a Londra oltre che per motivi ideologici sopratutto per stabilire un precedente da seguire in tutti i trattati di pace, giacché nei confronti nostri, data attuale situazione economica e necessità di vari aiuti, America potrebbe, ove volesse, disporre di mezzi propri di pressione. Quanto al domani una volta ammessa tra le Nazioni Unite la nostra situazione giuridica sarà analoga a quella delle altre partecipanti: quando poi avremo saputo riacquistare prestigio ed efficienza potremo farci rispettare ed avvalerci diritti attivi quattro libertà.

Nelle condizioni odierne la nostra scelta è in sostanza tra cedere ad una imposizione altrui che d'altra parte ci pone giuridicamente sullo stesso piano degli altri o cercare di prendere noi iniziativa. Ed al riguardo mi permetto sottoporre quesito se non possa essere conveniente, ove ritenuto dal caso, fare proporre subito alla Consulta a seguito sue dichiarazioni già note argomento, una mozione da trasformarsi possibilmente in decreto per aderire solamente da parte Italia al principio quattro libertà quali sancite dalla Carta Atlantica o da statuto Nazioni Unite; in tal modo si accentuerebbe carattere nostra volonterosa iniziativa in materia, si rafforzerebbe fiducia opinione pubblica americana nella nuova democrazia italiana, si toglierebbe pretesto ad imposizione e relativa malevola interpretazione estero, si attribuirebbe importanza richiesta inclusione detto principio nel trattato di pace mentre si potrebbe eventualmente trarre vantaggio da un tale atto di nostra libera volontà da pubblicizzarsi nel modo più ampio in sede di revisione o svalutazione armistizio (mio telegramma n. 623) 1•

Sarei grato comunque cortesi urgenti direttive anche per eventuale norma linguaggio con Dipartimento di Stato.

l T. s.n.d. 10463/623 del 18 ottobre, non pubblicato.

627

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STA TI UNITI A ROMA, KIRK, E AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/1836 (Kirk) 1837 (Charles). Roma, 19 ottobre 1945.

Dubito sia sfuggito alla sua attenzione, anche per la poca pubblicità data ad esso dalla nostra stampa, un recente decreto che dà alle scuole <!Iementari della provincia di Bolzano uno statuto inteso ad assicurare la piena e completa parità di diritto dei due gruppi linguistici della sua popolazione.

Mi permetto di segnalarglielo. Si tratta, com'ella vedrà, di un provvedimento importante e particolarmente significativo. Esso assicura agli alunni di lingua tedesca, non meno che a quelli di lingua italiana, il diritto di ricevere l'insegnamento nella lingua materna e da maestri per i quali la lingua stessa sia anche lingua materna e l'obbligo di ricevere un insegnamento complementare, opportunamente graduato nelle varie classi, dell'altra lingua.

Anche per la vigilanza delle scuole elementari, è prevista nel decreto la più completa parità di diritti fra i due gruppi linguistici, grazie al carattere rigorosamente bilingue assicurato a tutti i servizi dell'ufficio scolastico provinciale e all'assegnazione di ispettori di lingua tedesca per le ispezioni alle scuole tedesche, di ispettori di lingua italiana per quelle alle scuole italiane.

In modo rigorosamente paritario è altresì risolto il delicato problema della distribuzione delle scuole delle due lingue nei vari centri abitati e del diritto dei singoli alunni al riconoscimento della loro appartenenza all'uno o all'altro gruppo ai fini dell'iscrizione.

Da questo rapido riassunto, ella vede da quale spirito il provvedimento sia animato e con quale assoluto rispetto delle concezioni più liberali sia regolata una materia di estrema delicatezza e importanza quale quella linguistica. Il governo dell'Italia democratica riafferma con ciò un principio al quale la scuola italiana tenne fede nel periodo prefascista e cui dà ora un'applicazione concreta che pone le premesse essenziali per una collaborazione fiduciosa e una comprensione reciproca tra i due gruppi linguistici di quel territorio.

Le sarò molto grato, caro ambasciatore, se ella vorrà cortesemente segnalare al suo governo quanto precede, affinché esso sappia in modo preciso quali siano i nostri reali intendimenti e propositi di liberale pacificazione alle nostre frontiere 1 .

Copia di questa lettera venne inviata in pari data a Tarchiani, Carandini e Saragat.

628

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Londra, 19 ottobre 1945.

Aspetto col prossimo corriere il testo definitivo del memoriale sulle nostre colonie. Il volume The Italian Colonies 1 rappresenta, ad laterem, una documentazione molto completa e interessante.

A mio giudizio manca ancora un elemento e cioè una pubblicazione di carattere statistico scarn!, chiara, evidente, composta di rappresentazioni grafiche a colori da cui risulti, sotto tutti gli aspetti in cui si sviluppa e completa una colonizzazione, il progresso che la nostra immigrazione ed il nostro lavoro hanno realizzato dal giorno in cui abbiamo messo piede nelle nostre colonie al giorno in cui è minacciata la nostra estromissione.

La pubblicazione potrebbe essere intitolata «Come abbiamo amministrato» e da essa dovrebbe risultare col risalto sintetico che è consentito dai moderni sistemi di geniale rappresentazione grafica il cammino che le colonie hanno compiuto sotto la nostra amministrazione ed in grazia alla nostra profusione di capitale e di lavoro in tutti i settori educativi, igienici, di costruzione urbanistica e rurale, di trasformazione agricola e fondiaria, di sviluppo zootecnico, irrigazione, sviluppo stradale, forniture idriche, elettriche ecc., attrezzatura portuaria, gettito di prodotti e loro trasformazione industriale, pesca, commercio, incremento della popolazione ecc. ecc. Una pagina di grafici colorati ed una di commento potrebbero essere sufficienti per ogni argomento. Questa pubblicazione curata in modo da attrarre l'occhio e l'interesse dovrebbe essere tenuta in riserva per essere distribuita all'ultimo momento onde ottenere un effetto immediato e incisivo capace di persuadere coloro che dovranno decidere le nostre sorti, impressionando sul fatto della nostra buona, ottima amministrazione. Questo dico perché purtroppo i nostri casi hanno molta probabilità di essere decisi non tanto in sede di pacato e concorde studio fra i vincitori, ma in sede polemica fra pochi uomini assillati da infiniti altri problemi e quindi impossibilitati ad assimilare a fondo le informazioni fornite dai rispettivi uffici tecnici. Questa gente non leggerà mai molte pagine farcite di dati e di argomenti, né sfoglierà con attenzione vaste documentazioni fotografiche. Sarà invece proclive a scorrere con interesse una sintesi statistica fatta in modo gustoso ed attraente, ricavandone un convincimento di massima della nostra buona amministrazione e delle future possibilità di sviluppo del nostro lavoro che non potrà non influire sul loro giudizio nel momento in cui sta per manifestarsi.

Sappiamo benissimo quali sono le ragioni dominanti del provvedimento di interdizione che si prepara per noi. Ma le sole ragioni pratiche che potranno essere pubblicamente addotte sono: la nostra passata incapacità amministrativa, la mancata soluzione dei problemi etnici nel dovuto rispetto del progresso civile delle

1 Si tratta, verosimilmente, di una monografia dal titolo The Question of Italian Colonies, edita a Roma nel 1945 dal Centro italiano di studi e pubblicazioni per la riconciliazione internazionale.

popolazioni locali, in ultimo la incapacità finanziaria a reggere il peso di una futura amministrazione. Il solo argomento che possiamo opporre a chi ci osteggia e mettere a disposizione di chi ci vuole aiutare è la dimostrazione della provvidenziale opera civilizzatrice che abbiamo svolto, della imponenza dell'investimento capitale che l'ha accompagnata e che giustifica la fondata attesa di una proficua futura gestione.

Credo valga la pena che un valente specialista di statistica grafica compia questo lavoro, che il migliore fra i nostri stabilimenti editoriali ne curi l'esecuzione e che lo Stato spenda la cifra necessaria a garantire la riuscita di una documentazione modello.

Cara e Cerulli ti informeranno dei molti utili e significativi contatti che hanno qui avuto. Rientrano dopo aver compiuto un serio ed efficace lavoro.

P.S. Per quanto sopra mi richiamo al contenuto della mia lettera 5 corr. relativa al colloquio con Dunn 1•

629

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. PERSONALE. Londra, 19 ottobre 1945 (per. il 21).

Rispondo alle sue lettere del 29 settembre2 e 5 ottobre 3 .

La ringrazio per le assicurazioni datemi. Come lei ha modo di constatare io mi limito volutamente alle comunicazioni che considero essenziali per il ministro e per lei. Cerco di essere il più parco possibile perché so quale è il vostro lavoro e vorrei semplificare anziché complicare con la mia informazione il formarsi del vostro giudizio. Appunto per questo mi preoccupo che la continuità logica delle mie comunicazioni non venga interrotta da qualche disattenzione che, ben lo so, è più che spiegabile dato il cumulo schiacciante degli impegni che confluiscono al centro. Lei rappresenta la «continuità» e per questo le ho segnalato il caso. Se avrà modo di darmi mano a mano un semplice cenno di ricevuta delle mie lettere-rapporto mi darà un senso di maggiore tranquillità e di maggiore contatto. Grazie.

Qui siamo in stasi completa. Dunn è pessimista per quanto riguarda la riassunzione dei lavori della Conferenza. Come ho telegrafato 4 , e come finora risulta qui confermato, Stalin avrebbe proposto una nuova Conferenza a tre da tenersi a Mosca, ma Washington e Londra avrebbero declinato l'invito. Anche Evatt con cui ho conferito poco prima della sua partenza per Washington (come ho riferito) era molto preoccupato e pessimista a questo riguardo. Al Foreign Office si è fermi e privi di qualsiasi impazienza. Per ora i «Tre Grandi» saggiano da posizioni inconciliabili la reciproca capacità di resistenza.

I Vedi D. 604. 2 L. 3/1693: assicurazione che erano stati regolarmente ricevuti i DD. 515 e 518. 3 L. 3/1728: comunicazione del D. 590. 4 T. s.n.d. 10374n01 del 17 ottobre, non pubblicato.

La sola questione che procede, almeno a Washington e a Londra, è quella del nostro armistizio. Oggi ancora al Foreign Office si è accennato alla possibilità che la cosa abbia a definirsi in seguito ad una iniziativa a due. Bevin è tornato dalla sua settimana di riposo e gli ho chiesto un colloquio nel quale andrò a fondo sull'argomento. Così come Robertson (veda mio telegramma n. 702) 1 anche Dunn ieri parlava ancora di pubblicazione del vecchio armistizio. Insisto per dimostrare che ci vuole ben altro e che non vi è tempo da perdere se si vuoi sanare una situazione italiana che è allarmante e che può diventare da un momento all'altro critica.

Le ripeto, le intenzioni qui sono buone. Ma un affidamento sulle intenzioni presenti è tanto vano quanto un processo alle intenzioni passate. Siamo di fronte a soluzioni che si preparano al di fuori di ogni regola logica e di ogni concetto di giustizia secondo sviluppi ed involuzioni risultanti da una imprevedibile interferenza di propositi e di possibilità.

Qui batto a tutte le porte. Mi tengo in continuo contatto non solo con gli inglesi ma con tutte le personalità che affluiscono a Londra da ogni parte del mondo come formiche che si affannino attorno al formicaio all'avvicinarsi di un temporale. È un lavoro frazionato, incoordinato, a volte disperante per la difficoltà di richiamare su di noi attenzioni deviate in mille direzioni, per persuadere, volgere al vero e al giusto. L'opinione nei nostri riguardi migliora, non solo per l'opera di persuasione personale che è dato esercitare, ma per la naturale cicatrizzazione collettiva di piccoli e grandi risentimenti soverchiati ora da ben più gravi inquietudini. Bevin è fortemente determinato ad appoggiarci, ma ha dei nostri bisogni, del metodo e tempo per attuare il nostro soccorso un concetto tutto suo sul quale non si può influire che gradualmente. È un uomo di tempra e ne ha dato prova nel corso della Conferenza ove si è battuto con inaudita irruenza in perfetta identità di vedute e di mire con Byrnes. La verità è che questi nostri amici non possono ottenere per la causa nostra più di quanto possono ottenere per la causa loro. Fra i grandi attori della leadership mondiale la bilancia delle forze e la nettezza delle opposizioni è tale da risolversi in una generale impotenza. Solo un fatto nuovo può rompere questo stato di impossibilità e generare una risolvente. Qui si ha l'aria di attendere senza fretta gli eventi. E questo allentarsi dei tempi rappresenta per noi la più angosciosa prospettiva. Comunque cerchiamo di strappare giorno per giorno quello che è possibile ottenere nella conversione degli animi e nella preparazione degli eventi. Sulla questione dell'armistizio bisogna battere senza tregua perché è la sola porta che ho l'impressione possa cedere. Da informazioni riservate mi risulterebbe che una soluzione su questo argomento potrebbe anche essere imminente. Ma non voglio pronunciarmi finché non avrò sentito Bevin. Cadogan purtroppo è assente.

Anche per la questione del rimpatrio dei prigionieri mi urto a difficoltà enormi. Ho visto il messaggio del presidente Parri ai prigionieri. Chi gli ha detto che 25 mila uomini rimpatrieranno per Natale? Al War Office ed al Foreign Office non se ne sa niente. È una promessa che metterà tutti in gran fermento e che Dio non voglia abbia a rivelarsi infondata. Nei giorni prossimi andrò nuovamente nel nord della Scozia in visita ai campi e di là mi spingerò in volo fino alle isole C1'rcadi ove

l T. s.n.d. 10417n02 del 18 ottobre, non pubblicato.

vi è una situazione tragica. Al mio ritorno presenterò un memorandum definitivo al Foreign Office e riferirò al ministero.

Mi ha interessato il resoconto del colloquio con de Gaulle. Nel primo incontro che ho avuto con Bidault, egli mi ha chiaramente rivelato le ragioni per cui la Francia non vuole in Africa altri vicini che noi, non vuole sentire parlare di trusteeship per tema che l'esempio si propaghi nelle contigue colonie francesi, depreca la partecipazione di un rappresentante indigeno nella trusteeship per gli stessi motivi. Queste sono le ragioni vere dell'atteggiamento francese a favore della nostra sovranità coloniale. Bisogna però riconoscere che tutto ciò è condito da uno schietto senso di solidarietà e da una lungimirante concezione di quei comuni interessi che sono il più solido e promettente fondamento di un riavvicinamento che si è nettamente pronunciato.

In complesso, fra tante deludenti evenienze, sta di fatto che la situazione italiana è potenzialmente migliorata. Inutile recriminare e argomentare su quanto è avvenuto fino ad oggi. Si apre una nuova fase. Stiamo con gli occhi aperti e diamo di noi la migliore prova possibile. Pur nel generale fallimento della Conferenza abbiamo segnato a Londra un punto di simpatia e di stima.

La pressione per le nostre elezioni non si allenterà, forse si pronuncerà. È un aspetto della partita intrapresa per la democratizzazione dei regimi ungherese, bulgaro, rumeno. Ha visto l'intervento di Voroshilov a Budapest per la lista unica? Il nostro governo di coalizione diventa evidentemente un modello secondo le due opposte concezioni di un regime democratico. Comunque il perfezionamento della nostra democrazia diventa una condizione di contropartita, una necessità inevitabile. Io non vedo altra via che farsi coraggio e fissare intanto, perlomeno, le date di successiva convocazione dei comizi amministrativi e politici onde dare prova inequivoca di un pratico cominciamento. Se no per evitare un problematico guaio interno andremo incontro ad un certo e ben più grave guaio internazionale. E poi, quando verrà il tempo ideale per un honest balloting? È come un malato che si debba operare e che pretenda di affrontare l'operazione non prima di essere guarito.

Vedo che mi sono troppo dilungato in queste considerazioni, ma sono sfoghi necessari alla mia solitudine. Li prenda come tali.

630

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10617/651-652-653-654. Washington, 20 ottobre 1945, ore 23 (per. ore 12,30 del 21).

Mio telegramma n. 622 1•

In nuove conversazioni confidenziali al Dipartimento di Stato si è saputo che questioni nostro armistizio vennero già abbordate a Londra da Byrnes con Bevin.

l Vedi D. 624.

Successivamente Dipartimento riprese al riguardo contatto con Foreign Office deciso «ad andare quanto lungi gli fosse possibile». Gli U.S.A. sarebbero stati pertanto favorevoli ad una pace provvisoria, mentre l'Inghilterra non avrebbe avuto particolare difficoltà essendo anche impegnata da suo progetto di pace in due tempi, anteriormente al progetto di Berlino.

Se non che si esclude qui ora tale possibilità per la sicura opposizione della Russia e quella ritenuta altrettanto certa della Francia. Alla sorpresa dimostrata da parte nostra per tale ultima informazione data migliorata atmosfera rapporti tra Parigi e Roma, è stato in risposta accennato a nota mentalità incommensurabilmente formalistica dei francesi. Si dubitava molto, là, che Francia riprendesse con l'Italia pienamente rapporti diplomatici prima conclusione pace definitiva.

Washington e Londra sono quindi ora del parere di procedere alla revisione dell'armistizio. A tal fine è stato già chiesto parere Comando Supremo Mediterraneo per quanto concerne le clausole militari, mentre le altre clausole sono attualmente oggetto di separato esame nelle due capitali. Pertanto questione si trova ancora a tutt'oggi in una fase di studi preliminari.

Ci è stato aggiunto che Foreign Office mostra di ritenere che anche per una revisione sostanziale dell'armistizio vi saranno difficoltà ed opposizioni da parte Russia. Al Dipartimento si è d'avviso che vi saranno sì delle difficoltà giacché la Russia chiede sempre contropartite ma vi si è già preparati e si pensa poterle superare. Nel corso della conversazione odierna è stato nuovamente sottolineato da questa ambasciata come una semplice revisione dell'armistizio non mancherebbe di provocare in Italia profonda delusione ed amarezza giacché dopo pubblici espliciti riconoscimenti benemerenze periodo cobelligeranza popolo italiano ritiene aver diritto di attendersi molto più dall'amicizia dimostrata dagli U.S.A. Si è al riguardo vagamente accennato da parte nostra a possibilità di una qualche nuova formula che almeno dal punto di vista morale sia di conforto al nostro popolo nella sua attuale situazione.

Il suggerimento sia pure limitato a tale aspetto morale non è stato respinto. Da parte americana è stato anzi detto che annunzio revisione armistizio poteva essere accompagnato da una dichiarazione (statement) del governo americano.

631

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK, E AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/18441• Roma, 20 ottobre 1945.

A seguito della mia lettera di ieri 2 mi permetto accluderle il testo di un nuovo provvedimento approvato il 18 corrente dal Consiglio dei ministri3. Si tratta di

l Copia di questa lettera venne inviata in pari data a Tarchiani. Carandini e Saragat. 2 Vedi D. 627. 3 Non pubblicato.

876 disposizioni che integrano e completano quelle già ieri da me segnalate relative all'insegnamento della lingua tedesca in tutte le scuole dell'Alto Adige. Esse dispongono che, nell'Alto Adige, sia consentito l'uso della lingua tedesca nei rapporti con le autorità politiche amministrative e giudiziarie. Esse prevedono altresì che in quella zona gli atti pubblici possano essere redatti in lingua tedesca; eccettuate soltanto le sentenze dell'autorità giudiziaria e le decisioni delle giurisdizioni amministrative. Esse dispongono infine che i registri dello stato civile devono essere tenuti in lingua italiana con la traduzione in lingua tedesca.

Ella vede dunque che si tratta di tutto un complesso di provvidenze che segnano una nuova tappa sulla strada che il governo è deciso a seguire per distruggere in modo radicale le conseguenze della politica di snazionalizzazione perseguita dal regime fascista.

· Mi permetto attirare anche su questi nuovi provvedimenti la sua particolare attenzione, molto grato se ella vorrà cortesemente segnalarli al suo governo come ulteriore prova della precisa determinazione italiana di procedere, nei confronti delle sue minoranze, nello spirito della maggiore e migliore liberalità.

632

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 954/429. Mosca, 20 ottobre 1945 (per. 1'8 novembre).

Come ebbi già a riferire a suo tempo, mentre con il signor Simic, ambasciatore di Tito al momento del mio arrivo a Mosca, avevo stabilito delle ottime relazioni personali continuate, dopo la sua partenza, con l'incaricato d'affari Nikolaevic, il nuovo ambasciatore, gen. Popovic, aveva interrotto ogni rapporto con me.

Io ero qui già riconosciuto dal governo sovietico come ambasciatore a titolo personale, al momento del suo arrivo, ma il gen. Popovic aveva presentato le sue credenziali cinque giorni prima di me: poteva quindi essere discutibile chi doveva all'altro la prima visita. Rendendomi conto dell'interesse che poteva avere per noi il mantenere qualsiasi via, pure tenue di contatto con la Jugoslavia e non volendo comprometterlo per una discutibile questione di protocollo, per il tramite di altri diplomatici «amici» deJla Russia, feci indagare se questa era la ragione della sua mancata presa di contatto e feci in genere sondare il terreno circa la possibilità di ristabilire i rapporti personali: non ebbi nessun risultato e mi sono quindi limitato ad esprimere, a chiunque me lo domandava, il mio rincrescimento che i rapporti personali eiistenti fra le due ambasciate fossero stati interrotti.

Alcuni giorni or sono, ad un ricevimento all'ambasciata di Cina, il signor Nikolaevic mi si è avvicinato e mi ha detto: «Solo qualche giorno addietro ho saputo che lei conosce il russo; se lo avessi saputo prima le avrei fatto conoscere il mio ambasciatore: altrimenti non sapevo come avrebbero potuto parlare insieme, mi permette che glielo presenti?».

Ho fatto naturalmente finta di prendere per buona questa scusa cousue de fil blanc e gli ho detto che sarei stato felice di fare la sua conoscenza. Il gen. Popovic mi ha ripetuto che era stato il timore di non avere una lingua in comune che gli aveva impedito finora di incontrarsi con me e, dopo l'abituale scambio di generalità, mi ha detto che sarebbe forse stato utile se avessimo avuto una conversazione seria e franca: gli ho risposto che sarei stato felicissimo di farlo, naturalmente a titolo personale: e ci siamo accordati per incontrarci dopo qualche giorno 1•

Il gen. Popovic ha cominciato col dirmi che lui, come comandante di un corpo partigiano, aveva avuto ai suoi ordini due brigate italiane composte di reparti che, dopo l'armistizio, si erano uniti ai partigiani; aveva apprezzato lo spirito ed il valore ed i sentimenti antifascisti dei soldati della nuova Italia: mi premetteva questo per mostrarmi come lui non era, come avrei potuto ritenere, prevenuto contro di noi (mi è stato detto che sua madre -lui è montenegrino -era stata uccisa dalle nostre truppe di occupazione in Montenegro ). Da parte italiana erano state fatte delle dichiarazioni circa il nostro desiderio di vivere in amicizia con la nuova Jugoslavia, ma esse erano rimaste nel campo generico; vi era mancato quello che, agli occhi del popolo jugoslavo, doveva essere l'essenziale, il rinnegamento di tutta la politica fascista, il riconoscimento del male che l'Italia fascista aveva fatto alla Jugoslavia e la volontà di ripararlo. «Noi riconosciamo -ha detto -che individualmente, almeno in molti casi, le autorità militari e civili italiane si sono comportate meglio dei tedeschi, ma resta il fatto che gli ustasci sono stati messi al potere e appoggiati da voi e che l'Italia ha le sue responsabilità, almeno indirette, di tutti gli orrori di cui essi si sono resi responsabili. Anche gli italiani poi hanno bruciato villaggi, combattuto contro le popolazioni, sono vissuti sul paese, hanno asportato roba. Il popolo jugoslavo si aspettava che la nuova Italia democratica esprimesse in forma inequivoca il suo rincrescimento per quello che era stato fatto ed il desiderio di riparare, nella misura delle sue possibilità. Mancando tutto questo il popolo jugoslavo non poteva dare a queste dichiarazioni un valore effettivo.

Gli ho risposto che le prime e le più importanti dichiarazioni del governo italiano circa i nostri rapporti con la Jugoslavia avendo avuto luogo in un periodo in cui non avevo nessuna relazione con l'Italia, non ero in grado di discutere con lui, con i fatti alla mano, se e fino a che punto le dichiarazioni italiane erano state precise: mi sembrava però che, specialmente per quanto riguarda il rinnegamento della politica fascista, esse fossero state assai più precise di quanto egli mi diceva. Ero, viceversa, bene al corrente di quello che il governo italiano aveva fatto per ristabilire dei contatti diretti con il governo jugoslavo. Siccome molto di questo era passato per le mie mani, potevo parlare con piena sicurezza. Nel settembre dell'anno scorso (in base al telegramma n. 32 del 30 agosto 1944:2 a firma Visconti Venosta e alle istruzioni verbali portatemi da Messeri) avevo avuto una lunga conversazione con Simic, in cui gli avevo espresso la ferma volontà del governo italiano di mettere le relazioni con la nuova Jugoslavia su basi di seria amicizia e comprensione, di assiderle su fondamenta solide: questo, di per se stesso, significava un rillJlegamento

1 Sull'incontro con Popovié Quaroni aveva già riferito con T. s.n.d. 10374/513 del 17 ottobre, non pubblicato.

2 Vedi serie decima, vol. l, D. 380.

della politica fascista. Gli avevo accennato alle grosse questioni esistenti fra i due Paesi e della opportunità che cominciassimo a parlarne, fin da allora. A questo scopo mi sembrava opportuno che da parte dei due governi si ristabilissero delle relazioni dirette, nella forma che Tito avrebbe preferito, per cominciare a trattare. Non avevo maggiormente precisate le questioni da discutere, ma fra italiani e jugoslavi, che ci conosciamo da tempo, non ritenevo fosse necessario di dire espressamente di quali questioni si trattava; le sapevamo benissimo tutti e due. E l'interpretazione che si doveva dare alle mie parole era che il governo fosse pronto e desideroso di discutere tutte le questioni, nessuna esclusa, quindi anche quella delle riparazioni. Simic mi aveva promesso di riferire la nostra conversazione al suo governo: non avevo avuta nessuna risposta. Ho aggiunto che a quell'epoca il governo di Tito non era riconosciuto da Londra e da Washington e che noi, da parte nostra, eravamo legati da un impegno, assunto con gli anglo-americani, di non ristabilire relazioni diplomatiche o dirette con qualsiasi paese senza il consenso degli Alleati; e non era da prevedere che essi ci avrebbero permesso di fare sostanziali passi in quella direzione. Per questa ragione il nostro approccio aveva dovuto essere discreto ed avevo suggerito Mosca, dove i due rappresentanti, di Tito e dell'Italia, erano a contatto, come la sede più adatta per quelle conversazioni. In occasione della visita a Mosca del maresciallo Tito ero stato incaricato dal mio governo di prendere contatto diretto con lui e di proporgli il ristabilimento di relazioni dirette fra i due governi. Nel darmi questo incarico il governo italiano mi faceva pervenire istruzioni di spiegare chiaramente il suo punto di vista. Le questioni in sospeso fra l'Italia e la Jugoslavia erano indubbiamente gravi e per la loro importanza intrinseca e per le ripercussioni che, per ragioni varie, esse potevano avere sull'opinione pubblica dei due Paesi: non erano però tali da non permettere una soluzione ragionevole, accettabile dalle due parti, se fosse stato possibile di trattarle in una atmosfera di reciproca amicizia, fiducia e comprensione. Il governo italiano riteneva, quindi, che il primo compito fosse quello di fare il possibile per creare questa atmosfera, prima di procedere allo studio delle questioni più importanti: bisognava quindi cominciare collo sgomberare il terreno dalle questioni minori, porre fine alle inutili polemiche di stampa e di radio (era il momento dell'incidente della bomba contro un comando jugoslavo a Roma) che non contribuivano certo a distendere l'atmosfera. Purtroppo il telegramma di Roma 1 mi era giunto con considerevole ritardo, forse non fortuito, quando Tito era già partito; per essere più esatto lo avevo ricevuto al mio ritorno dall'aver accompagnato il maresciallo all'aerodromo. La questione dei rapporti italo-jugoslavi era una questione di grande importanza: egli-l'ambasciatore-doveva comprendere come io non potevo di mia sola iniziativa, chiedere una udienza al maresciallo per parlargli dei rapporti italo-jugoslavi senza precise istruzioni del mio governo. Avevo invece, grazie al signor Simic, avuto un lungo colloquio con Subasic 2 , a cui avevo esposto le mie idee sui rapporti italo-jugoslavi; ad esempio, l'avviso che fosse nel nostro comune interesse di risolvere direttamente le nostre questioni, fra di noi, piuttosto che lasciarle decidere alle grandi Potenze. Subasic mi aveva risposto, molto

I Vedi D. 122. 2 Vedi D. 128.

categoricamente, che l'esperienza del passato, in merito alle conversazioni dirette italo-jugoslave non era molto incoraggiante e che, quindi, lui era, personalmente, di avviso che convenisse lasciare le nostre questioni alle decisioni dei tre «Grandi». Comunque avrebbe consultato il suo governo e mi avrebbe fatto sapere le sue decisioni prima della sua partenza. E non lo aveva fatto. (Osservo a questo punto che, per la verità, le istruzioni di V.E. a cui mi riferisco, ossia il telegramma n. 113 del 14 aprile 1945 intendevano che io dovevo fare la nostra proposta di riprendere le relazioni dirette colla Jugoslavia, spiegando lo scopo che noi ci proponevamo, a questo ambasciatore di Jugoslavia e non al maresciallo Tito. È esatto che il telegramma mi è giunto con considerevole ritardo ma era partito all'inizio della visita di Tito a Mosca. lo però ho creduto utile di sostenere sempre la tesi che nelle istruzioni di V.E., la comunicazione doveva essere diretta al maresciallo, e questa tesi ho sostenuta anche nelle mie conversazioni in proposito con questo governo). Data l'importanza della cosa feci immediatamente la comunicazione al signor Nikolaevic chiedendogli di portarla a conoscenza del suo governo: mi promise di farlo ma non ebbi mai alcuna risposta. Dato il silenzio di Belgrado, l'opinione espressa dal signor Subasic ed altri fattori (ho accennato al telegramma augurale di V.E. al signor Subasic rimasto senza risposta alcuna) il governo italiano era venuto nella conclusione che il governo jugoslavo non era favorevole al ristabilimento delle relazioni coll'Italia e a collaborare con noi per questo graduale miglioramento dell'atmosfera. E doveva riconoscermi che questa impressione poteva non essere del tutto ingiustificata. In queste condizioni non mi sembrava fosse il caso di meravigliarsi se il governo italiano continuava a restare sulle generali. Il governo jugoslavo doveva anche tener presente che il governo italiano aveva una situazione sua interna da tener conto: il governo italiano era pronto a fare dei sacrifici, anche considerevoli, se con questi sacrifici esso poteva ritenere di arrivare allo scopo che si proponeva, mettere cioè le relazioni fra l'Italia e la Jugoslavia su di una base solida e duratura di amicizia e di comprensione. Sicuro di questo risultato esso non solo avrebbe accettato i sacrifici, ma avrebbe potuto esercitare la massima opera di persuasione per convincere l'opinione pubblica italiana della loro necessità e della loro utilità. Ma non ritenevo potesse mettersi sulla via di dichiarazioni più precise e impegnative prima che fosse stato sicuro della reazione jugoslava. Io restavo dell'opinione che la procedura suggerita dal governo italiano, prima uno schiarimento dell'atmosfera ed eliminazione di tutte le questioni minori e affrontare poi, in un'atmosfera nuova, le questioni maggiori, era la migliore e che ad essa bisognava attenerci se si voleva arrivare ad un risultato concreto. Dichiarazioni pubbliche da una parte e dall'altra, fino a che non si fosse trovato un terreno concreto di intesa, non servivano a gran che.

Il generale Popovic ha ascoltato la mia lunga esposizione senza interrompere e senza fare osservazioni. Chiestomi se avevo finito mi ha detto che, a suo avviso personale, la procedura da me suggerita gli sembrava buona, meritevole almeno di serio studio. Quanto gli avevo detto sui miei approcci a Mosca gli riusciva in gran parte nuovo. Solo il giorno precedente il signor Nikolaevic lo aveva messo al corrente della mia conversazione, dopo la visita del maresciallo Tito e quanto gli aveva detto corrispondeva esattamente colla mia esposizione. A Belgrado però non gli era stato fatto nessun accenno sull'argomento.

«Ma il signor Nikolaevic -ho chiesto -ha telegrafato a Belgrado le proposte del governo italiano?»

«Si, ma non so se il telegramma sia giunto a Belgrado-ha detto Popovic -, in quel momento le comunicazioni fra Mosca e Belgrado erano molto irregolari e non tutti i telegrammi arrivavano a destinazione.»

Qui ho precis_ato all'ambasciatore jugoslavo che delle due mie conversazioni con Simic e con Nikolaevic avevo informato dettagliatamente il governo sovietico e che lo avevamo richiesto di interporre i suoi buoni uffici a Belgrado.

Il generale Popovic ha poi continuato dicendo che il punto di vista jugoslavo sulla questione di Trieste e della Venezia Giulia era troppo noto perché fosse necessario di ripetermelo. Egli riteneva, onestamente, che i motivi addotti dalla Jugoslavia fossero fondati non solo nel diritto, ma anche nella ragione e nel buon senso, e che quindi avrebbero finito coll'essere accolti. Era stato molto contento di rilevare come, dopo l'esposizione jugoslava e sopratutto dopo le assicurazioni date sullo statuto che avrebbe avuto Trieste nell'ambito della federazione jugoslava, anche l'Inghilterra e l'America cominciavano a dubitare della ragionevolezza di lasciare Trieste all'Italia: era convinto che questo punto di vista avrebbe continuato a farsi strada. Teneva soltanto a dirmi che il popolo jugoslavo era unanime nell'appoggiare il punto di vista del governo e che, forte di questo appoggio, se il trattato di pace coll'Italia non aveva assegnato Trieste alla Jugoslavo, il governo jugoslavo si sarebbe rifiutato di firmarlo.

Gli ho risposto che il punto di vista italiano era egualmente noto ed era quindi inutile ripeterlo. Che uguale unanimità esisteva in Italia circa l'appartenenza di Trieste all'Italia: anche i partiti comunista e socialista, che certo non potevano essere sospetti di eredità fasciste, anche i suoi compagni italiani della guerra di Spagna (ha avuto parte attiva nella legione internazionale nella guerra civile di Spagna) erano tutti d'accordo dietro il ministro degli esteri italiano, anche se ci potessero essere delle differenze nella presentazione del problema: che non ero affatto sicuro che si sarebbe potuto trovare un Parlamento italiano che ratificasse un trattato di pace che cedesse Trieste alla Jugoslavia. Quanto alle esitazioni americane ed inglesi sulla questione di Trieste, francamente non me ne ero accorto: c'erano state anzi, dopo la Conferenza di Londra, delle dichiarazioni molto precise a questo riguardo. La mia opinione personale era, anzi, che dopo la Conferenza di Londra si poteva ormai vedere chiaramente che non c'era possibilità né per l'Italia, né per la Jugoslavia di vedere accolte le proprie tesi massime: la questione del confine itala-jugoslavo sarebbe stata risolta in via di compromesso. Ritenevo, sempre a titolo personale, molto preferibile che a questo compromesso si arrivasse direttamente fra Italia e Jugoslavia, piuttosto che metterei in condizione di dover accettare il compromesso sotto la forma di un'imposizione, che avrebbe lasciato strascichi di malcontento dalle due parti, che avrebbero gravato sulle relazioni fra i due Paesi. Senza fare adesso un esame delle responsabilità reciproche per la politica di ostilità seguita per venti anni dai due Paesi, di cui però indubbiamente una certa parte di colpa risaliva anche alla Jugoslavia (qui il mio interlocutore ha annuito), non c'era dubbio che questa politica aveva condotto i due Paesi alla catastrofe, e mi pareva fosse giunto il momento che, dalle due parti, lo si riconoscesse e si facesse il possibile per evitare di rimettersi su questa strada.

Il generale Popovic non mi ha risposto ed ha continuato: «La seconda grossa questione è quella delle riparazioni». Qui mi ha ripetuto in dettaglio la tesi delle responsabilità indirette italiane per l'azione del governo di Pavelic e la nostra responsabilità diretta per l'azione delle truppe italiane che avevano bruciato villaggi, uccise le popolazioni, requlSlto, portato via. C'era della roba portata via dagli italiani dalla Jugoslavia e che si trovava notoriamente in Italia: nessuna azione concreta era stata intrapresa da noi per la punizione degli italiani responsabili di atrocità di guerra in Jugoslavia -ha ripetutamente accennato al caso Roatta -il che stava a dimostrare che il governo italiano si rifiutava di riconoscere, almeno in questo, la necessità di dissociare la propria responsabilità da quella· del governo fascista. Nessun riconoscimento del male fatto alla Jugoslavia e della conseguente necessità morale di riparare era venuto da parte italiana. Questa posizione del governo italiano era quello che maggiormente aveva offeso il popolo jugoslavo. La difesa italiana di Trieste e della Venezia Giulia il popolo jugoslavo poteva comprenderla, anche se le posizioni dei due Paesi erano antitetiche, il nostro rifiuto di riconoscere il principio morale delle riparazioni no: se ne veniva alla conseguenza, secondo lui logica, che il governo italiano o alcuni suoi elementi, in fondo simpatizzavano con la politica fascista verso la Jugoslavia.

Gli ho osservato che questa conclusione non mi sembrava affatto logica. La punizione dei responsabili di crimini di guerra era per noi inseparabile dalla questione più generale dell'epurazione. Tutto questo era collegato, per noi, con grosse difficoltà non solo interne, ma anche esterne: se avesse potuto leggere la stampa italiana avrebbe visto che non c'è nessuno in Italia che sia contento di come si svolge l'epurazione: noi non potevamo scindere il problema specifico delle responsabilità in Jugoslavia da quello più generale e, ammesso anche che ci fosse del vero in quanto egli mi osservava, sarebbe stato un grave e ingiustificato errore da parte jugoslava voler attribuire a tutto questo un significato politico nei riguardi della Jugoslavia. Per quanto riguarda la questione delle riparazioni, mi sembrava che non fosse del tutto esatto il dire che da parte italiana non si fosse espresso il rincrescimento per quanto era stato fatto ed il conseguente desiderio di riparare. Prima di tutto, a titolo personale, non mi sembrava fosse giustificato il concetto delle responsabilità indirette. Potevo ammettere che Pavelic e qualcuno dei suoi avevano effettivamente avuto l'appoggio dell'Italia, ma infine il cosiddetto movimento ustascia, in certi momenti, aveva avuto centinaia di migliaia di seguaci e non mi sembrava si potesse farne ricadere le responsabilità sull'Italia: era più giusto il riconoscere che il movimento ustascia trovava le sue radici nei difetti del vecchio regime jugoslavo. Quanto alla questione delle riparazioni in genere, per quel che mi risultava, la posizione del governo italiano era tutt'altra; se non specificatamente nei riguardi della Jugoslavia, mi sembrava che il governo italiano aveva in genere espresso il suo rincrescimento per il male fatto e il suo desiderio di riparare. Il governo italiano sosteneva però la tesi che se si volevano addossare alla nuova Italia ed al popolo italiano le responsabilità del danno fatto dall'Italia fascista, l'Italia aveva il diritto che si mettesse nel calcolo anche il contributo da essa dato nella lotta contro i tedeschi, le somme, in realtà astronomiche, che erano state portate via al popolo italiano a titolo spese di occupazione, emissioni di am-lire, requisizioni ed altro, dalle truppe di occupazione. A questo si aggiungevano le requisizioni, distruzioni, asportazioni di ogni genere fatte dai tedeschi in Italia e che, comunque si calcolassero, assurgevano a cifre ben più grosse che le cifre jugoslave. Anche tenendo conto solamente di quest'ultimo punto la posizione del governo italiano era logica: se volete ammettere il principio che l'Italia deve riparare il danno fatto dalle truppe fasciste, bisogna che ammettiate il diritto dell'Italia alle riparazioni tedesche. Anche qui si trattava di un problema generale e non di una questione a due fra l'Italia e la Jugoslavia. D'altra parte dovevo aggiungere francamente che la Jugoslavia portando l'ammontare delle riparazioni richieste a noi a cifre così astronomiche, aveva prodotto un pessimo effetto anche su quegli italiani che erano più convinti del diritto della Jugoslavia ad avere riparazioni.

Con qualche esitazione il generale Popovic mi ha ammesso che la somma era forte: ha aggiunto poi che dovevamo renderei conto che anche per la Jugoslavia la questione delle riparazioni aveva delle ripercussioni internazionali e non era solamente un problema con l'Italia. Mi ha detto che in Jugoslavia si teneva conto di tutti gli elementi che gli avevo menzionato e che si sarebbe certamente stati pronti a discutere. Anzi lui, personalmente, avrebbe preferito che si parlasse non di riparazioni, ma di restituzione e che riteneva sarebbe stato più utile per i rapporti futuri dei due Paesi se invece di dare a questa restituzione un carattere di imposizione, in base ad un trattato di pace, quindi punitivo, si fosse invece data la forma di un dono volontario del popolo italiano al popolo jugoslavo.

Mi sono limitato a rispondere che ponendo la questione su termini differenti, come faceva lui, e partendo dal punto di vista della necessità di tener conto della reale situazione di fatto, in un'atmosfera amichevole non mi sembrava impossibile di trovare una soluzione accettabile alle due parti.

Il generale Popovic si è affrettato a dirmi, con insistenza, che quanto mi aveva detto era puramente un'opinione sua personale. Ha proseguito dicendo che c'era poi una questione che lasciava il governo ed il popolo jugoslavo più che perplessi sul valore da dare alla profferta di amicizia dell'Italia e questa era la presenza in Italia degli emigrati politici. Dopo avermi descritto, a lungo, tutte le malefatte di Mihailovic, di Nedic, di Pavelic e compagni, l'indignazione del popolo jugoslavo e la sua ferma volontà di dare a tutti questi nemici della patria una punizione esemplare, mi ha detto che purtroppo la sete di giustizia del popolo jugoslavo non poteva essere soddisfatta perché la maggior parte dei colpevoli aveva trovato asilo in Italia. Che noi in Italia proteggiamo dalla vendetta popolare questi traditori della patria era già di per se stesso un fatto grave: ma essi in Italia non si contentavano di essersi messi in salvo; ordivano intrighi, organizzavano bande armate, si davano ad una attività minacciosa contro il governo jugoslavo. Dati tutti i precedenti, dovevo riconoscere che se il governo e il popolo jugoslavo soprattutto, di fronte a questo stato di cose, si poneva e seriamente la questione se il governo italiano non pensasse di continuare la politica fascista di suscitare difficoltà interne alla Jugoslavia, non era del tutto ingiustificato.

Gli ho risposto che di quanto egli mi diceva non conoscevo altro che quelle allusioni generiche che aveva pubblicato la stampa sovietica. Se anche però le cose stavano come egli mi diceva, mi sembrava che il governo jugoslavo non teneva conto di un elemento importante. Che tutta questa gente era venuta in Italia non portataci da noi e che la loro attività, se c'era, sfuggiva al nostro controllo: non bisognava dimenticare che noi non eravamo padroni in casa nostra e, date le circostanze, era ingiusto attribuire al governo italiano le responsabilità di uno stato di cose in cui noi non c'entravamo per niente. Avevamo in casa già troppi elementi di disordine nostri per andarne a cercare di stranieri.

Il generale Popovic mi ha detto che riconosceva l'esattezza sostanziale di quanto gli dicevo. L'impressione del governo jugoslavo era però che ci fosse anche una certa responsabilità del governo italiano: per esempio eravamo noi che davamo alloggio a tutta questa gente: aveva anche l'impressione che c'erano degli elementi italiani, anche importanti, che collaboravano a tutta questa attività. Ad ogni modo il governo jugoslavo riteneva che il governo italiano avrebbe potuto, con un suo atteggiamento energico presso gli Alleati, ottenere qualche riduzione di queste attività: avrebbe poi certamente potuto o con una dichiarazione ufficiale o, magari, a mezzo della stampa più responsabile, stigmatizzare queste attività e staccare nettamente ogni sua responsabilità.

Gli ho risposto che la questione era indubbiamente complessa e mancando completamente di informazioni in proposito non ero in grado di discuterne con lui. Riferendomi poi alle mie precedenti istruzioni e tenendo presente che il governo italiano, col ristabilire rapporti diretti con la Jugoslavia aveva appunto in animo di sgombrare il terreno delle questioni minori per creare una migliore atmosfera nei rapporti tra i due Paesi, il caso degli emigrati jugoslavi in Italia mi sembrava un caso tipico per metterei concretamente su questa via. Dato, e questo tenevo a dirglielo nella maniera più formale, che escludevo categoricamente che ci potesse essere la più lontana intenzione, da parte del governo italiano, di volersi immischiare negli affari interni jugoslavi, ritenevo opportuno che si procedesse ad una presa di contatto diretto tra i due governi per trattare e risolvere questa questione. Data la nostra indiscussa buona fede su questo argomento, ero sicuro che sarebbe riuscito facilmente al governo italiano di convincere il governo jugoslavo che i suoi timori erano infondati e di dargli tutte quelle assicurazioni e quelle garanzie che era in suo potere di dare. Risolto, a mezzo di contatto diretto, questo affare e qualche altra questione -ho accennato a titolo di esempio alla questione degli italiani liberati in Jugoslavia -e eliminato quindi qualche grosso equivoco si sarebbe potuto provare a studiare insieme la questione delle restituzioni dove le sue idee si erano mostrate concilianti (Popovic si è affrettato a ripetermi che aveva parlato a titolo puramente personale); se fossimo riusciti a trovare una soluzione soddisfacente anche per questo affare avremmo potuto infine provare di affrontare la questione più grave, quella della frontiera. Da questi contatti diretti non poteva seguire alcun male, forse potevano anche fare del bene: delle spiegazioni franche non erano mai inutili.

Il generale Popovic dopo avere riflettuto per qualche tempo, mi ha risposto: «Trovo la sua proposta pratica e realisti ca: anche se non si arrivasse che a risolvere la questione degli emigrati, sarebbe già un considerevole passo innanzi: e poi può essere anche, come lei dice, il primo passo verso la soluzione di questioni più importanti. Sono pronto a trasmetterla al mio governo raccomandandola se lei è pronto a fare altrettanto».

«Vuole proporre soltanto di trattare la questione degli emigrati o anche sottoporre l'eventualità di trattare le altre questioni?» ho detto. «Accetto la sua proposta integralmente come lei l'ha fatta; le ripeto mi sembra ragionevole e buona; è pronto lei a fare altrettanto?».

«In un certo senso ritengo sia superfluo poiché facendogliela ho agito nei limiti delle mie istruzioni che non mi sono mai state revocate. Comunque, come proposta comune dei due ambasciatori essa ha un maggior valore e ne informerò senz'altro il mio governo».

«Lo farò anch'io riferendo in dettaglio tutta la nostra conversazione che mi sembra importante. Dopo tutto è il primo contatto diretto fra i due governi. Penso che queste conversazioni si potrebbero utilmente continuare a Mosca, visto che siamo stati noi due a cominciare».

«Non ho nulla in contrario. Però, per il caso degli emigrati, dubito che Mosca sia la sede più adatta. Dopo tutto la questione centrale è quella di persuadere il governo jugoslavo che se questa attività c'è, non c'è responsabilità del governo italiano: per questo potrà essere necessario che noi facciamo vedere certe cose de visu al rappresentante jugoslavo. Riterrei quindi che la persona più adatta sia o il rappresentante jugoslavo alla Commissione consultiva per l'Italia o qualcuno inviato direttamente da Belgrado. Noi due possiamo continuare utilmente a tenerci in contatto e aiutare se necessario le trattative con un'azione parallela».

«Ha ragione; preferisco allora lasciare la decisione al mio governo».

Ci siamo lasciati esprimendo il desiderio di continuare a vederci e di discutere le nostre questioni.

La conversazione, che è durata circa tre ore, è stata, come V.E. vede, molto franca, ma in tono sempre pacato. Il mio interlocutore si è solo animato un po' di più quando mi ha parlato della questione degli emigrati jugoslavi in Italia. Non so fino a che punto il generale Popovic sia stato sincero nell'accennarmi a possibili" tentennamenti anglo-americani nella questione di Trieste o se non abbia voluto solo «impressionarmi». Perché, invece, negli altri ambienti slavi amici si ha l'impressione che la questione di Trieste, in quanto città di Trieste, debba ormai essere considerata come risolta in nostro favore. Credo invece che vale la pena di rilevare quanto egli mi ha detto circa la decisione del governo jugoslavo di non firmare il trattato di pace coll'Italia qualora esso non attribuisca Trieste alla Jugoslavia, poiché questo ritengo corrisponda alla realtà. Confesso che io non ci vedo chiaro nelle note dichiarazioni di Molotov che quello che è italiano deve andare all'Italia e quello che è jugoslavo alla Jugoslavia; una definizione della vertenza in linee strettamente etniche, per rigorosamente applicata che sia, significherebbe una ulteriore ritirata delle truppe di Tito al di là della linea Morgan già riconosciuta come non soddisfacente. È vero che la Russia non ha mai apertamente dichiarato che appoggia le tesi massime jugoslave ma ... comunque non ci crederò che quando l'avrò visto. Non mi sorprenderei affatto, che all'atto pratico, e a meno che avvenga un reale e onesto compromesso generale tra i russi e gli anglo-americani, l'interpretazione Kardelj, che cioè con questo la Russia intendeva parlare delle masse compatte, non dei nuclei distaccati, si trovasse ad essere la vera. In ogni modo questo atteggiamento jugoslavo -anche se non necessariamente suggerito dalla Russia poiché non credo che a Belgrado, in questo campo hanno bisogno di incoraggiamenti russi -può essere per la Russia un'utile via di uscita. Ammettiamo che la Russia, al tavolo della Conferenza, accetti, fra i quattro, una soluzione di compromesso abbastanza favorevole a noi e la Jugoslavia rifiuti. Cosa accade? È evidente che la Jugoslavia di fronte ad una energica démarche di tutti e tre non potrebbe che cedere: ma accetterà la Russia di unirsi agli altri due per un passo energico? Ne dubito assai: bisognerebbe essa fosse molto convinta della necessità di un passo amichevole verso l'Italia e che fosse molto malcontenta di Tito; non so se siamo a questo punto. Mi è stato accennato da fonte in grado d'essere bene informata, che nel partito comunista jugoslavo, nelle immediate vicinanze di Tito ci sono molti elementi a marcata tendenza trotskista. È un punto che converrebbe indagare seriamente, perché se c'è qualche cosa di vero sarebbe, per Mosca, peggio che se si trattasse di nazisti dichiarati e potrebbe avere degli sviluppi per noi imprevedibili. In ogni modo anche se c'è qualche cosa di vero, è ancora un filo troppo tenue perché ci si possano costruire sopra delle speranze. È però plausibile, rebus sic stantibus, supporre che nell'eventualità da me prospettata, a Mosca si sosterrebbe la tesi che i Paesi amici della Russia sono assolutamente indipendenti, che si tratta di una questione che riguarda puramente la Jugoslavia. Al massimo potrebbe unirsi solo formalmente al passo. E allora Jugoslavia e anglo-americani e noi resteremmo con le armi al piede sulla linea Morgan e bisognerebbe ricominciare daccapo. È in fondo la tattica che abbiamo adottato noi all'altra pace e che ci ha dato dei risultati non indifferenti: gli jugoslavi potrebbero essere tentati a fare lo stesso gioco. Segnalo comunque quanto precede a V.E. perché sarebbe bene attirare l'attenzione degli anglo-americani su questa eventualità e vedere cosa, in realtà e non a parole, sono disposti a fare qualora essa si verificasse. L'unica cosa pratica che si potrebbe suggerire è che -dato che comunque gli Alleati dovranno fare qualche concessione alla Russia per indurla ad accettare il loro punto di vista, quale che esso sia, sulle nostre frontiere orientali -essi mettano bene in chiaro che questa concessione X è subordinata al fatto che la Russia riesca ad ottenere l'adesione jugoslava alla nuova frontiera. Mi rendo perfettamente conto che è molto difficile ottenere dagli anglo-americani qualche impegno preciso in questo senso: lontano dal tavolo della conferenza, essi ritorneranno alloro tono abituale di «chi oserà opporsi». Vale però la pena di tentare, secondo me, perché altrimenti tutto il lavoro fatto può ridursi al nulla. Non per la linea Morgan, perché lì, intanto, ci sono gli inglesi. Ma per quel tanto al di là che ci possa ancora venire concesso. E anche per la linea Morgan, di fronte ad un atteggiamento jugoslavo intransigente, Dio sa dove si può andare a finire.

Per quanto concerne il fondo della questione oggetto del mio rapporto, vorrei premettere che, francamente, non ho molta speranza che questi contatti diretti possano, per ora, condurre ad una soluzione ragionevole e concordata delle nostre questioni con la Jugoslavia. O, per essere più esatti, su quella delle riparazioni, forse, su quella della frontiera certo no. Il generale Popovic è stato per me interessante anche come «tipo», questo nuovo tipo cioè di giovane intellettuale jugoslavo, comunista e partigiano e che, a giudicare ad occhio e croce, deve essere abbastanza rappresentativo dei principali luogotenenti di Tito. Simic e Nikolaevic erano tutt'altro genere: due diplomatici serbi della vecchia scuola che, più o meno per convinzione, hanno aderito al nuovo regime. È un tipo intelligente, e~ergico, anche simpatico. Ma sotto la calma volontà si sente la passione di un fanatico, fanatizzato da questa nuova concezione del nazional-comunismo panslavista, che, nei paesi slavi, si sta definendo come conseguenza della vittoria. Sono tipi difficili a trattare. Si potrà probabilmente trattare con essi il giorno in cui si siano persuasi che anche Mosca non può tutto di fronte agli anglo-americani: oggi sono troppo convinti che Mosca è tutto e Londra e Washington poco più che niente. Si aggiunga poi che, se sono vere anche solo in parte le notizie che giungono circa la difficile situazione interna in Jugoslavia, Tito ed i suoi, cercheranno al massimo possibile di giocare la carta nazionalista, che trova una eco indubbia in tutti gli jugoslavi; e di converso, una maggiore arrendevolezza di Tito sulla questione del nostro confine potrebbe seriamente compromettere la sua situazione interna. Poiché non c'è dubbio che, in Jugoslavia, gli oppositori diranno -e non del tutto a torto -«non otteniamo quello

che desideriamo perché gli anglo-americani ci sono contro ed essi ci sono contro perché Tito è troppo legato a Mosca». Ed è soprattutto per questo che esito a credere che Mosca si deciderà mai a prendere un atteggiamento veramente energico verso la Jugoslavia. Noi diciamo a Londra ed a Washington: «fate attenzione, una pace dura, sopratutto sulle questioni territoriali, mette in serio pericolo la democrazia in Italia». Ma anche Tito dice a Mosca, certamente, «fate attenzione, se io non ho le soddisfazioni territoriali che domando, si mette in serio pericolo la mia democrazia in Jugoslavia». E la reazione di Mosca a questo pericolo può essere più forte di quella di Londra e di Washington. Oltre a ciò io esiterei ad affermare che Mosca realmente tiene a che le relazioni italo-jugoslave vengano messe su di un piede di solida e confidente amicizia. Ammettiamo che ci si riesca: Jugoslavia e Italia sono due paesi economicamente in grande misura complementari: i rapporti culturali possono trovare specie in Dalmazia, Croazia, Slovenia radici antiche e profondissime: la vicinanza geografica faciliterebbe i rapporti di ogni genere. Uno dei più gravi errori del governo fascista, e prima di lui dei nostri nazionalisti, è stato quello di non avere capito che, rinunciando a tante nostre aspirazioni di dubbia utilità per noi e con una politica intelligente, avremmo potuto facilmente trasformare tutta la Jugoslavia nella stessa funzione che ebbe a suo tempo la Dalmazia per Venezia. Quello che era vero ieri è vero anche oggi, anche se non più di altrettanto facile realizzazione. Ma se questo riuscisse, Italia e Jugoslavia insieme possono realmente costituire quel ponte fra Oriente ed Occidente di cui, ed a ragione, tanto parlano la stampa e il governo italiani. Lo desidera questo la Russia? Francamente debbo dubitarne. La politica della Russia, al di fuori degli scopi immediati della sua zona d'influenza, è ancora incerta, contraddittoria, in via di definizione, anche all'interno è difficile che tutto resti come era prima: la sua politica estera può trasformarsi ancora e può appunto trasformarsi in questo senso, lo spero. Ma oggi non è su questa linea che avanza: essa oggi mira ad un'influenza, in ogni campo, assoluta, gelosa, senza rivali, senza interferenze di qualsiasi genere. Se l'Italia fosse nella sua zona d'influenza, la politica russa potrebbe essere differente: ma l'Italia è nella sfera d'influenza degli anglo-sassoni e, comunque, l'Italia appartiene al mondo occidentale: e attraverso l'Italia potrebbe penetrare in Jugoslavia e attraverso la Jugoslavia estendersi più ad oriente, quella influenza occidentale che la Russia tende ad escludere dalla sua zona. Uno stato di tensione, anche acuta, fra Italia e Jugoslavia potrebbe meglio convenire alla Russia per chiudere le porte all'Occidente senza necessità di un suo intervento diretto, almeno fino al momento in cui, la sua influenza essendosi stabilita nella zona su basi più salde di quello che essa non sia oggi, lo si possa fare senza pericolo. Questo evidentemente, non mi sarà mai detto, anzi mi sarà detto il contrario. Ma questo è logico, e l'esperienza mi convince ogni giorno più che la politica russa vuoi essere logica e non empirica: di qui anzi tanti dei suoi errori. Io temo quindi che la Russia non sia affatto interessata a che i nostri rapporti colla Jugoslavia siano buoni.

Ciò premesso io ritengo che tuttavia bisogna tentare e tentare sinceramente. La posta è troppo importante per noi perché non facciamo ogni sforzo per riuscire. Può essere anche che io mi sbagli, me lo auguro anzi sinceramente. Inoltre ritengo sia necessario per noi, per ragioni tattiche, mostrare che siamo sempre pronti e subito ad entrare in trattative dirette colla Jugoslavia, anche se limitate ad una sola questione, quella degli emigrati, e lasciare alla Jugoslavia eventualmente la responsabilità di un rifiuto. Mi sembra che, nel complesso, il fatto di poter dire -e provare concretamente -che abbiamo fatto tutto il nostro possibile per ristabilire i rapporti diretti, e trattare direttamente colla Jugoslavia e che è la Jugoslavia che si è rifiutata, non ci abbia nociuto di fronte all'opinione pubblica internazionale. Credo che ci convenga più che mai di continuare. Poi, questo affare dell'attività degli emigrati jugoslavi in Italia è, secondo me, una cosa grossa. Può essere -è anzi probabile -che io ne esageri l'importanza. Confesso che ci ho davanti agli occhi lo spettro dell'Ungheria nell'affare dell'assassinio di Re Alessandro. Le responsabilità sono purtroppo note, ma siccome a quell'epoca l'Italia, anche se fascista, era, per la sua posizione, fra quelle Potenze che non si trascinano facilmente nel banco degli accusati, così, nell'Olimpo dell'epoca si è deciso, più o meno tacitamente, di far fare all'Ungheria la funzione di capro espiatorio. L'Italia è oggi nella situazione dell'Ungheria di allora. Certi organi inglesi sono maestri nell'arte di tutti quei giuochi che potrebbero essere dietro questo armeggio di emigrati in Italia, jugoslavi od altri: e sono sopratutto maestri nell'arte di crearsi dei paraventi. Nelle circostanze attuali è forse difficile trovare qualche italiano che, ritenendo in buona fede di lavorare per il bene del suo paese, si presti al giuoco? Che succeda domani un incidente qualsiasi, e che in questo incidente sia implicato anche solo un italiano con una certa posizione: la colpa è tutta dell'Italia e noi siamo nel banco degli accusati. Che questo incidente accada alla vigilia di una nuova conferenza per il trattato di pace con l'Italia-e qualcuno potrebbe essere interessato a farlo capitare proprio allora -e tutto il lavoro faticosamente fatto per migliorare, per quel poco che era possibile, la nostra situazione internazionale se ne va all'aria. Per queste ragioni penso che ci convenga di tenere gli occhi non aperti, ma spalancatissimi, e di fare quanto è umanamente possibile per convincere gli jugoslavi che noi non ci siamo per niente in tutto questo affare, per staccare nettamente, come possiamo, le nostre responsabilità e dare agli jugoslavi tutte le garanzie che è in nostro potere di dare. Se riusciremo a persuadere gli jugoslavi che il governo italiano e l'Italia responsabile ha le mani nette, ne avremo persuaso anche la Russia, e questo può influire favorevolmente sull'atteggiamento russo nei nostri riguardi. I russi guardano a tutto questo movimento di fuoriusciti, non soltanto in Italia, con attenzione, con grande sospetto, con una indubbia preoccupazione: se gli jugoslavi ci sospettano è certo che anche i russi non ci sospettano di meno. È uno dei pochi casi in cui possiamo fare qualche cosa di concreto per dissipare prevenzioni russe nei nostri riguardi: non bisogna mancarlo. Non mi attendo che con questo potremo ottenere che l'atteggiamento russo nei nostri confronti cambi gran che, ma se anche esso potesse solo servire a diminuire un poco quel tanto di acredine che i russi hanno verso di noi, non sarebbe fatica perduta. Anzi, per l'eventualità che gli jugoslavi rifiutino ancora una volta le conversazioni dirette con noi, pregherei V.E. di volermi autorizzare, non solo ad informare questo Commissariato di questa mia conversazione con l'ambasciatore di Jugoslavia, ma anche a

proporre che all'ambasciatore russo a Roma sia dato espresso incarico di elucidare la questione con noi e di procedere con lui come avremmo proceduto con un rappresentante jugoslavo. Tutto questo necessiterà una franca, e non facile, spiegazione con gli inglesi. Il nostro atteggiamento provocherà certamente qualche risentimento negli organi interessati. Tuttavia anche questo, alla lunga, credo non ci sarà inutile: se mostreremo agli inglesi, nettamente, di non essere disposti a prestarci a simili giuochi, anche in casi che possono interessarci, ci potrà servire per convincerli che abbiamo realmente cambiato di sistema.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. SEGRETO 191 n3. Varsavia, 22 ottobre 1945 (per. il 30 novembre).

Telespresso di questa ambasciata n. 177/61 del 22 corrente 1 e mio telegramma del 21 corrente2•

Il 18 corrente ho fatto visita al maresciallo Rola Zymierski, ministro della Difesa Nazionale, Al colloquio era presente il colonnello Alef, capo dell'ufficio Esteri al ministero della Difesa.

Il maresciallo di Polonia mi ha ricevuto con grande cordialità ed ha subito rievocato un suo viaggio in Italia nel 1924, allorché, sottosegretario alla Guerra, venne nel nostro paese a visitare la Fiat, l' Ansaldo e la Breda. Egli si è informato dello stato delle nostre industrie metallurgiche e meccaniche e si è molto meravigliato nell'apprendere che esse sono in buona parte salve. Un attaché militare, di cui non mi ha detto, naturalmente, la nazionalità, gli aveva assicurato che esse erano state completamente distrutte.

Il maresciallo Rola Zymierski è passato quindi a parlare, su mia domanda, della visita da lui fatta ad Eisenhower nei giorni precedenti. Il comandante in capo delle truppe americane in Europa (che era stato a Varsavia circa tre settimane fa) ha avuto col maresciallo una lunga conversazione politica nel corso della quale si è dichiarato perfettamente d'accordo col governo polacco sulla questione del rimpatrio delle truppe polacche all'estero. Secondo Eisenhower gli inglesi finiranno col cedere e coll'accettare, sia pure a malincuore, il punto di vista del governo di Varsavia. Egli sarebbe già intervenuto in tal senso a Londra e si proporrebbe di tornare sull'argomento nei prossimi giorni per affrettare una decisione conforme alle giuste richieste del governo polacco. Sempre a proposito del rimpatrio dei soldati e dei civili polacchi all'estero (vedi mio telespresso n. 177/61 del 22 corr.), il generale Eisenhower ha assicurato il maresciallo Rola Zymierski che avrebbe facilitato in ogni modo la partenza di coloro che si trovano nella zona di occupazione americana, nonché il passaggio attraverso tale zona dei treni riportanti in patria i cittadini polacchi. Il maresciallo Zymierski ha sottolineato la cordialità dell'accoglienza di Eisenhower (che ha voluto, tra l'altro, consegnargli personalmente la gran croce al merito militare concessagli dal presidente Truman) e l'ha posta a raffronto con l'attuale freddezza dei rapporti anglo-polacchi. «Con l'Inghilterra -ha affermato con forza il maresciallo -non potremo andare veramente d'accordo se essa non modifica la sua politica verso di noi e non si decide a mutare radicalmente il suo atteggiamento nei riguardi dell'esercito di Anders. Noi abbiamo chiesto che Anders

I Non pubblicato. 2 T. s.n.d. 10690/24 del 21 ottobre, non pubblicato.

889 e gli altri generali reazionari siano allontanati e sostituiti con generali democratici fedeli al governo legittimo della Polonia. La nostra missione militare che si è recata a Londra si renderà interprete, una volta ancora, di questa nostra giusta rivendicazione. L'Inghilterra non potrà continuare a lungo a riconoscere da una parte il nostro governo ed incoraggiare dall'altra le mene dei reazionari e dei nemici del popolo polacco, rifiutandosi di ammettere l'esercizio dell'autorità del governo di Varsavia sulle forze armate polacche in Occidente. Noi sappiamo che nelle ultime settimane alcune centinaia di ufficiali ostili al governo sono arrivati in Italia da Londra per far propaganda tra le truppe contro il ritorno in Polonia: e sappiamo d'altra parte che molti polacchi affiuiscono all'esercito di Anders dai territori occupati dagli Alleati dove vengono reclutati da agenti inglesi e da traditori polacchi. A tutto ciò dovrà esser messo fine senz'altro nell'interesse della pace, della giustizia e dei buoni rapporti tra Inghilterra e Polonia».

Il maresciallo Rola Zymierski ha voluto essere quindi informato sugli episodi di violenza commessi dalle truppe di Anders ai danni di pacifici cittadini italiani nonché delle sedi di partiti e di associazioni: ha chiesto quali passi il nostro governo abbia fatto presso la Commissione Alleata per ottenere l'allontanamento dall'Italia delle truppe polacche, e ha espresso infine il desiderio (vedi mio telegramma del 21 corr.) che io presentassi al ministero degli Esteri di Varsavia una nota di protesta per gli incidenti provocati in Italia da elementi reazionari dell'armata di Anders e per la non avvenuta partenza dell'armata di Anders che avrebbe dovuto lasciar l'Italia subito dopo la fine della guerra. Di questa mia nota di protesta egli conterebbe servirsi per un nuovo passo da fare a Londra. Ho assicurato il maresciallo che avrei interpellato subito il mio governo in proposito e gli avrei fatto sapere una risposta non appena possibile.

Su mia richiesta il maresciallo Rola Zymierski mi ha detto che l'esercito polacco conta attualmente più di 600 mila uomini, molti dei quali sono adibiti a lavori di demolizione, di sgombero di macerie, di costruzione di ponti e strade, ecc. Alcune classi sono state già smobilitate e altre lo saranno nei prossimi mesi, ma non è prevedibile che gli effettivi dell'esercito possano discendere per il momento al di sotto dei 400 mila uomini.

Sempre su mie domande, il maresciallo Rola Zymierski mi ha assicurato che i rapporti tra truppe sovietiche e truppe polacche sono dei più cordiali e che le truppe sovietiche in Polonia vanno diminuendo ogni giorno. Le notizie secondo le quali nuove divisioni sovietiche avrebbero preso stanza a Danzica e a Stettino sono destituite di ogni fondamento e sono messe in giro dalla propaganda reazionaria.

Il colloquio con il maresciallo ha avuto termine con una mia breve esposizione delle misure prese in Italia per la democratizzazione dell'esercito e con la rinnovata scambievole assicurazione che tra le nostre due nazioni risorte a nuova vita i rapporti saranno certamente dei più cordiali ed amichevoli.

Allego alcuni cenni biografici del maresciallo Zymierski 1•

I Non pubblicati.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10751/523. Mosca, 23 ottobre 1945, ore 21,22 (per. ore 8 del 25).

Questo incaricato affari Gran Bretagna mi ha informato di avere per incarico suo governo interessato governo sovietico per un passo comune a Belgrado in favore ristabilimento relazioni diplomatiche fra Italia e Jugoslavia. È prima azione intrapresa da governo britannico in base a comunicazione di V.E. di cui al telespresso 17192/208 del 25 agosto u.s. 1• Governo americano finora non ha fatto niente. A sua richiesta gli ho ricapitolato storia tentativi fatti per mio tramite sia presso questa ambasciata jugoslava che presso governo sovietico.

Ho anche ritenuto opportuno metterlo in linea generale al corrente mia conversazione recente con ambasciatore Jugoslavia di cui al mio telegramma 513 2•

Mi ha promesso tenermi al corrente sviluppi questione. Si è però mostrato assai pessimista circa possibilità ottenere nelle presenti condizioni concorso sincero effettivo governo sovietico per superamento questioni itala-jugoslave mediante conversazioni dirette Roma Belgrado.

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. PERSONALE. Varsavia, 23 ottobre 1945.

Grazie anzitutto per le parole d'incoraggiamento che hai voluto mandarmi. Continuerò a fare del mio meglio, come già al ministero, e spero che il mio lavoro possa avere sempre la tua approvazione. Essa varrà il miglior premio per le mie fatiche.

Non sono ancora in grado, come avrei voluto, di mandarti un rapporto sulla situazione politica interna della Polonia. Potrei commettere degli errori di apprezzamento e vorrei evitarli. Sto vedendo molte persone, ho già fatto visita a quasi tutti i ministri, parlo il più possibile con tutti quelli che vedo e raccolgo così molti elementi di giudizio. La situazione è abbastanza complessa ed è in via di evoluzione. Uno degli avvenimenti più importanti delle ultime settimane è stato ad esempio la ricostituzione del vecchio partito cristiano operaio che fa capo all'ex ministro del governo di Londra Popiel e che sembra particolarmente forte nelle province ex tedesche. Questo partito e il partito contadino creato recentemente da Witos e Mikolajczyk (o meglio, ricostituito da essi poi che si tratta del vecchio partito

l Vedi D. 462. 2 Vedi D. 632, nota l p. 878.

popolare polacco al quale hanno ridato vita staccandosi dal partito popolare della coalizione governativa) costituiscono due elementi nuovi della situazione sui quali è forse prematuro dare un giudizio ma che sono senza dubbio molto importanti. Di ciò riferirò tra qualche settimana con maggiori dettagli insieme a tutti gli altri elementi che possono permettere un giudizio di assieme sulla situazione.

Quello che posso affermare sin d'ora senza paura di sbagliarmi è che il governo, come è oggi costituito, è molto forte e poggia su solide basi. Se su alcuni punti i partiti che lo compongono non sono del tutto· d'accordo e se qualcuno dei partiti (quello di Witos) si ritiene così forte da poter vincere le elezioni e da poter pensare di costituire domani il governo da solo -per il momento sono tutti d'accordo su un programma comune di cui hanno iniziato la realizzazione: la riforma agraria, la nazionalizzazione dell'industria e delle banche, la riforma fiscale, la riforma della scuola. Anche nel campo della politica estera essi sono tutti d'accordo e l'amicizia più stretta con l'Unione Sovietica è nel programma di tutti i partiti. L'esperienza ha mostrato ai polacchi che il nemico è il tedesco, non il russo. Col loro potente vicino d'Oriente (al quale debbono oltre tutto, la loro liberazione) essi vogliono vivere in pace: e se molti di essi deplorano gli sporadici abusi dell'esercito russo (qualche cavallo rubato o qualche pranzo consumato a sbafo), se si augurano che le truppe sovietiche lascino presto il paese, se desiderano una politica che sia veramente indipendente anche verso la Russia, nessuno pensa alla possibilità di una rottura o anche solo alla partecipazione della Polonia a un blocco politico diretto contro l'Unione Sovietica. Anche la perdita dei territori passati alla Russia Sovietica è considerata come definitiva e compensata ad usura dalla acquisizione dei territori più ricchi ed industrialmente più importanti tolti alla Germania.

Una cosa su cui non voglio tardare ad intrattenerti è la grande popolarità che gode qui la nostra Italia, la grande simpatia che tutti hanno per il nostro paese. La nostra partecipazione alla guerra accanto alla Germania nazista è completamente dimenticata, si direbbe che essa è stata un episodio di nessuna importanza. Nessuno ne parla, nessuno vi accenna. Ma tutti parlano con entusiasmo del contributo italiano alla lotta finale contro la Germania, dell'epopea partigiana, della lotta ventennale degli antifascisti italiani per la liberazione del loro paese. Tutti aspirano a venire in Italia e quelli che vi sono già stati a ritornarvi. Balbettare qualche parola in italiano è, per i polacchi anche di media cultura, un segno di distinzione di cui vanno orgogliosi. Tra qualche settimana daremo vita ad un'associazione culturale itala-polacca e riapriremo le sezioni della Dante. Sto studiando inoltre con gli organi competenti la stipulazione di un accordo culturale di cui spero di mandare a Roma il testo tra un mese al più tardi. Un paese veramente amico, insomma. (Dimenticavo dirti ma l'ho riferito a parte, che hanno trattato i nostri prigionieri ed internati con ogni cura. Ospitali e buoni con tutti, essi lo sono stati particolarmente con gli italiani che hanno accolto nelle loro povere case devastate dalla guerra, hanno curati, hanno nutriti. Migliaia di italiani si sono sposati con ragazze polacche e aspirano ora a portare le loro mogli in Italia). Una nazione amica, ti dicevo, e nel senso più completo della parola. Una delle poche, credo, se non la sola, in cui non ci si s::nte inferiori, non si avverte il peso della sconfitta, si è trattati da pari a pari.

E veniamo ora ad una questione abbastanza spinosa, sulla quale riferirò a parte non appena sarò in possesso di tutti gli elementi, ma alla quale voglio accennare sin da adesso: la questione dei nostri beni e delle nostre attività in Polonia. Pur non essendoci ancora una legge (al ministero degli Esteri dicono che è in preparazione), di fatto le proprietà straniere sono state sequestrate, gli immobili sono stati occupati, le industrie sono state affidate ad elementi polacchi che le gestiscono per conto del governo. Inglesi, francesi e belgi sono su tutte le furie poiché hanno in Polonia notevoli interessi (gli inglesi hanno, tra l'altro, una delle più grandi fabbriche di prodotti tessili di Lodz). Quanto a noi, due stabili delle Assicurazioni Generali e dell'Adriatica di Sicurtà che erano stati solo danneggiati sono stati riparati a cura del governo ed adibiti ad uffici. Nelle province è avvenuto lo stesso e varie fabbriche di italiani sono state tolte ai proprietari e affidate in gestione a polacchi. Sto studiando bene la questione e farò poi un passo di protesta. Si decidano, se proprio lo vogliono, a fare una legge ed indennizzino convenientemente i proprietari.

Come ho riferito a parte, sono riuscito a strappare un cambio molto più favorevole di quello che ci aveva proposto Quaroni. Cambieremo uno sloto contro una lira e non contro otto lire. Americani ed inglesi non hanno potuto ancora raggiungere alcun accordo per i loro cambi. Spero che il Tesoro sarà contento. La vita è, comunque, molto cara e quasi tutto costa più caro che a Roma. Sono pure riuscito (e la vittoria mi pare importante) a fissare anche per i 40 milioni della Croce Rossa questo cambio «diplomatico». Contro 40 milioni di lire, dunque, che noi verseremo a Roma ai polacchi, la Croce Rossa disporrà qui a Varsavia di 40 milioni di sloti.

Non abbiamo potuto ancora stabilire quanti ex prigionieri ed internati italiani sono ancora in Polonia. Siamo in collegamento con 5 o 6 campi ma pare che ve ne siano altri, e che, sopratutto, ve ne siano molti isolati. Il Comando sovietico non ci ha ancora autorizzati a visitare i campi. Il delegato della C.R.I. che è venuto con noi svolge una grande attività ed è una gran brava persona.

Come Prunas ti avrà detto, vorrei andare a Mosca ai primi di novembre, sopratutto per parlare con Quaroni che manca dall'Italia da nove anni. Quaroni stesso, in una lettera che ho ricevuto ieri, sollecita un nostro incontro. Ci sono alcune cose sulla Polonia e sull'attuale situazione polacca che solo Quaroni può dirmi.

L'ambasciatore sovietico a Varsavia mi ha promesso stamane che farà di tutto perché il governo ceco ci faccia passare il carbone. Egli mi ha consigliato di recarmi a Praga poi che è là che dovrà essere presa una decisione. Ho telegrafato oggi a Roma in tal senso 1 .

Il corriere funziona malissimo. Da quando siamo qui, non lo abbiamo ricevuto che una sola volta. Penso che dovremo deciderci ad organizzarne uno nostro.

Ed ora permettimi un accenno di politica interna. Non vi staccate da noi, procedete con noi per il cammino difficile della ricostruzione. Io sono convinto che le elezioni per la Costituente, daranno, su per giù, gli stessi risultati che in Francia. E allora? I tre partiti di massa dovranno fare un governo insieme! Tutti uniti impediremo alla reazione di trionfare.

Addio, caro De Gasperi, e buon lavoro. Teneteci un po' informati delle trattative per la pace. L'ambasciatore inglese mi ha detto che a Londra erano rimasti molto impressionati del tuo atteggiamento fiero e dignitoso. Speriamo bene!

1 T. 10958/25 del 22 ottobre, non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A RIO DE JANEIRO, MARTINI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT 1

TELESPR. SEGR. POL. 974/c. Roma, 24 ottobre 1945.

-

(Per Washington) Telegrammi di questo ministero n. 453 e 563 2•

(Per Mosca e Parigi) Telegramma di questo ministero n. 68193 .

(Per Londra) Telegramma di codesta ambasciata n. 624 del 22 settembre e telegramma di questo ministero n. 4904 .

(Per Rio de Janeiro) Telespresso di questo ministero n. 965/c. del 22 ottobre5 .

Come noto, nel corso del colloquio avuto a Londra col segretario di Stato Byrnes, accennando alla questione delle colonie italiane, ebbi ad osservare che, mentre per la questione della frontiera orientale al governo italiano era stata riconosciuta la facoltà di esprimere il proprio punto di vista, nulla di consimile era stato previsto per quanto si riferiva al problema delle colonie italiane prefasciste che la Conferenza dei Cinque ministri degli Affari Esteri si proponeva di esaminare.

Il ministro Byrnes rispose che avremmo potuto esporre il nostro punto di vista in argomento per iscritto. In conseguenza, gli esperti italiani a Londra hanno redatto il «memorandum», di cui si allega copia 6 , che l'ambasciatore Carandini è stato autorizzato a consegnare alla segreteria della Conferenza.

Il «memorandum» di cui trattasi espone in maniera schematica e sopratutto sulla scorta di elementi di carattere tecnico, il nostro punto di vista sui vari aspetti della questione e la nostra aspirazione a veder conservate, in un modo o nell'altro, all'Italia le colonie prefasciste che furono a suo tempo legittimamente acquisite in base ad accordi internazionali liberamente negoziati, e che il popolo italiano ha valorizzato e trasformato col suo pacifico ed apprezzato lavoro.

La S.V. vorrà consegnare copia del «memorandum» anche a codesto governo, illustrandone il contenuto eventualmente anche con gli elementi di dettaglio esposti nelle documentazioni già inviatele, ed esprimendo la fiducia che le argomentazioni in esso svolte troveranno attenta considerazione e comprensivo apprezzamento presso codesto governo e che esso vorrà tenerne conto quando il problema verrà nuovamente preso in esame dalla Conferenza di Londra.

1 Ed. in parte in Rossi, L'Africa italiana verso l'indipendenza, cit., pp. 157-158.

2 Vedi D. 563, nota l. Il T. 8047/563 del 20 ottobre non è pubblicato.

3 Del 25 settembre: ritrasmissione del D. 563.

4 T. s.n.d. 8797/624 del 22 settembre con cui De Gasperi dava da Londra istruzioni a Prunas di inviare il telegramma di cui al D. 563, nota l; T. 7743/490 del 16 ottobre, non pubblicato. 5 Non pubblicato. 6 Per il testo definitivo del memorandum, dopo le modifiche apportate in base ai suggerimenti

americani di cui al D. 638, vedi serie decima, vol. III, Appendice.

Tali argomentazioni, come si è già accennato, hanno carattere prevalentemente tecnico e mirano a porre in luce sopratutto la storia delle nostre colonie come tali, le loro caratteristiche etniche ed economiche, il lavoro da noi compiuto, le difficoltà di una amministrazione collettiva, il miglior indirizzo da seguire, secondo noi, per il loro ulteriore sviluppo. Vi sono però altri aspetti della questione, la trattazione dei quali non ha potuto trovare posto nel «memorandum», dati i limiti e la natura di esso, e che tuttavia la S.V. vorrà tenere presenti.

In primo luogo la funzione delle colonie italiane, nell'equilibrio politico del Mediterraneo e del Mar Rosso.

L'equilibrio del Mediterraneo, che sta particolarmente a cuore a tutti i paesi aventi interessi in questo mare, e naturalmente anche all'Italia che vi è racchiusa, è stato faticosamente raggiunto nel periodo compreso tra la fine del secolo scorso e il principio di questo secolo, attraverso una serie di accordi diplomatici a carattere bilaterale e plurimo che, contemperando e conciliando diversi e talora convergenti interessi, avevano finito per trovare una formula di intesa generale da cui era scaturita l'attuale sistemazione, venuta via via consolidandosi attraverso un trentennio e più di esperienza. L'attuale assetto politico del nord Africa è tale da assicurare una pacifica collaborazione fra tutte le Nazioni mediterranee e specialmente interessate nel Mediterraneo.

Il voler mutare tale statu quo -e quanto è avvenuto a Londra nella prima fase della Conferenza sembra confermare tale timore -solleva problemi e aspre incognite che nello stesso interesse della pace sembra convenga a tutti di evitare.

Analoghe considerazioni posson~ farsi per quanto si riferisce al mar Rosso e all'Africa Orientale, dove, sin dagli inizi la costituzione di quelle due colonie italiane, del resto modeste, venne concepita e favorita dalle Potenze come un elemento di stabilità e di equilibrio, nell'assetto di quel delicato settore.

Le responsabilità dell'Italia nel campo coloniale creano inoltre fra di essa e le altre Potenze che hanno in Africa analoghi compiti e responsabilità, specie con la Gran Bretagna e la Francia, una concomitanza di situazioni che non può non risolversi in una garanzia di solidarietà e collaborazione nella tutela dei comuni interessi e nel consolidamento della pace.

Sia in Mediterraneo che in mar Rosso la presenza dell'Italia adempie quindi -e tanto più può adempiere nelle presenti nostre condizioni -ad una funzione di equilibrio e di stabilità tali da evitare il sorgere di nuovi contrasti di cui sono già apparsi palesi i sintomi non appena affiorano i primi progetti di mutamenti dell'attuale statu quo.

In secondo luogo il nostro problema demografico. La questione dell'emigrazione è, come ben noto, uno dei maggiori problemi nostri, la cui soluzione si imporrà tosto o tardi all'attenzione, non solo del governo italiano, che sin da ora lo ha presente in tutti i suoi diversi aspetti, ma anche alla stessa attenzione internazionale.

Molti Paesi, specialmente sudamericani, ci hanno già fatto conoscere il loro desiderio di accogliere emigranti italiani, ma è evidente che tale possibilità, subordinata come è alla stipulazione di convenienti accordi, alle effettive condizioni di ricezione e impiego da parte dei vari Paesi e, sopratutto, ai mezzi di trasporto transoceanici, non può considerarsi di facile né di rapida attuazione. E d'altra parte, tali aperture hanno sino ad ora avuto semplicemente carattere generico e vago, mentre la politica immigratoria adottata da vari decenni dagli Stati verso i quali si avviavano a preferenza i nostri emigranti, ci induce a non nutrire, per ora almeno, soverchie illusioni al riguardo. Sta per contro il fatto che migliaia di italiani vengono espulsi, o minacciati di espulsione da vari paesi come la Grecia, la Tunisia, l'Etiopia e altre migliaia, in conseguenza delle misure fiscali adottate nei loro confronti, saranno forse costretti ad abbandonare i paesi nei quali si erano stabiliti.

In tale situazione, le nostre colonie, come è già accennato nel «memorandum», rappresentano pur sempre un campo di assorbimento nel quale, sia pure a prezzo di duro lavoro, molti italiani potranno ricostruire la loro vita. È interessante a tale proposito rilevare come indagini recentemente compiute abbiano dimostrato che successivamente all'acquisizione della Libia (1911) l'emigrazione italiana, prima diretta negli altri Paesi mediterranei, è stata quasi esclusivamente assorbita dalla Tripolitania e dalla Cirenaica a tal punto che la collettività italiana della Libia, la quale nel 1911 era numericamente la più esigua fra le collettività italiane nel Nord Africa e nel Medio Oriente, è ora la più numerosa (anche se paragonata a quelle pure notevoli d'Egitto e di Tunisia) mentre tutte le altre comunità italiane negli stessi Paesi sono rimaste, da quell'epoca, pressoché stazionarie.

V'è infine un aspetto più propriamente d'ordine morale che pur conviene non trascurare. L'esperimento di una amministrazione internazionale collettiva non è stato ancora mai tentato e verrebbe per la prima e forse unica volta adottato per le nostre colonie le quali, oltre ad essere per la loro povertà le meno adatte ad esperienze del genere, sono state sino ad ora bene amministrate dall'Italia e valorizzate dal lavoro italiano in condizioni che hanno in più di una occasione suscitato riconoscimenti ed elogi da parte di competenti di ogni Paese. Si aggiunga che, a parte una relativamente rada popolazione indigena, le nostre colonie sono abitate da migliaia di italiani e che toccherebbe in realtà a questi ultimi di sottostare ad una amministrazione straniera o internazionale; si aggiunga anche che nessun provvedimento del genere è previsto per territori coloniali dove simili esperimenti potrebbero avere --per le particolari condizioni locali -risultati assai più probanti, né per altri territori nei quali, pure in migliori condizioni di ambiente, nulla è stato fatto, o assai poco, dai paesi che li hanno sinora amministrati e che continueranno ad amministrarli, né infine in paesi che, assai più progrediti delle nostre colonie, da tempo reclamano e attendono l'indipendenza. In tali condizioni una qualunque soluzione che sottraesse definitivamente all'Italia e agli italiani le loro vecchie colonie, sarebbe risentita dalla Nazione come un atto non ispirato a criteri di giustizia e di equità e apparirebbe piuttosto dettato da criteri punitivi o vendicativi ai quali concordemente gli Alleati hanno a più riprese dichiarato di non volersi attenere nei nostri confronti.

Confidiamo pertanto che, nelle more delle decisioni avvenire, i governi interessati vorranno considerare la questione con spirito di favorevole comprensione verso il nostro Paese e consentirgli di continuare in Africa quell'opera di civilizzazione che nel futuro ancor più che nel passato dovrebbe unire in una politica di solidale ed effettiva collaborazione i popoli colonizzatori.

637

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

L. PERSONALE 3/1877. Roma, 24 ottobre 1945.

Rispondo alla sua lettera del 19 corrente 1• Leggo con estremo interesse quanto lei ci comunica. Stia certo che gli elementi e le valutazioni che ella a mano a mano ci fornisce molto concorrono alla formazione del nostro giudizio complessivo.

Ci rendiamo perfettamente conto della stasi che ella ci segnala e delle ragioni che la provocano: come è giustamente detto nella sua lettera «i tre Grandi saggiano da posizioni inconciliabili la reciproca capacità di resistenza».

Questione del nostro armistizio. Le invio a parte una intervista del ministro De Gasperi pubblicata dal Giornale del Mattino di oggF, ove si tocca anche questo argomento ed altri che potranno orientarla.

Rinviata a tempo indeterminato la pace definitiva; sbarrata la porta per una pace provvisoria, resta la revisione del regime armistiziale. Lei sa che il governo italiano non solo non fa obiezione alla pubblicazione dell'armistizio ma l'ha, anzi, richiesta e sollecitata. Codesta pubblicazione non può tuttavia che rafforzare l'esigenza e l'urgenza di uscirne. Occorre in conseguenza connettere strettamente le due cose: pubblicazione e revisione, che dovrebbero dunque procedere su strade parallele e contemporanee. Codesta revisione dovrebbe essere sostanzi.ale e investire la natura stessa dell'armistizio. Perché non orientarci verso un documento che potrebbe essere qualificato come «modus vivendi postarmistiziale?» Ciò implicherebbe in certo senso la fine dell'armistiziò, ma non ancora la pace, neanche in forma provvisoria. Comunque i giuristi, che sono fecondi di formule, potrebbero, se questo non va, trovare qualche cosa di analogo e di più accettabile senza troppe difficoltà.

Resta la questione del modo in cui dovrebbe, a nostro giudizio, essere orientata codesta revisione. Mi sembrerebbero, a questo proposito, essenzialissimi i seguenti punti:

l) Dovrebbero essere finalmente cancellate tutte le clausole che prevedono aggravi economici e finanziari a nostro carico. È possibile che, dopo due anni di cobelligeranza e dopo mesi dalla fine della guerra, ancora il popolo italiano sia gravato da 70 miliardi di amlire, dalle spese di occupazione, dalle requisizioni ecc.? Lei sa in quali stremate condizioni sia la nostra economia. È certo che sino a quando codesti gravami ci saranno imposti, non riusciremo mai a risollevarla e a risanarla.

2) Dovrebbe esserci ridata l'autonomia e la libertà dei nostri traffici coi Paesi esteri.

3) Dovrebbe essere allentato ulteriormente il controllo della Commissione Alleata sull'amministrazione dello Stato italiano, sia trasformando la Commissione stessa, sia riducendone i compiti o orientandoli verso forme collaborative e consultive.

I Vedi D. 629, indirizzata a Prunas il quale, come risulta dal P.S., doveva firmare questa lettera. 2 Non pubblicata.

Non sono, com'ella vede, cose trascendentali, ma pratiche, di cui sono esclusivamente arbitri gli anglo-americani, trattandosi di misure dirette a loro solo vantaggio. Non vedrei cioè come Mosca potrebbe, se volesse, opporvisi.

Badi che sono queste soltanto idee e orientamenti generali, che hanno cioè bisogno di essere esaminati da vicino e concretati con precisione. Potrebbero peraltro servirle come generica norma di linguaggio e per tentare di incanalare le discussioni verso binari di questo genere. Comunque, com'ella scrive giustamente, è questo un chiodo su cui bisogna battere.

P.S. Caro ambasciatore, questa lettera avrebbe dovuto avere la mia firma ed era stata scritta in conseguenza. Il ministro l'ha firmata per disattenzione in mia vece. Da ciò il lei ecc. ecc. Comunque con la firma del ministro acquista naturalmente maggior peso. Sicché gliela spedisco immutata.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. URGENTE 10863/669-670-671-672. Washington, 25 ottobre 1945, ore 1,30 (per. ore 19,20). Mio telegramma 6231.

In conversazione avvenuta al Dipartimento Stato questa ambasciata ha posto in rilievo considerevoli dichiarazioni fatte da V.E. alla stampa circa pace provvisoria, [revisione armistizio], colonie di cui al telegramma ministeriale 7973 2•

Circa colonie mi è stato chiesto se fossero già pronte nostre osservazioni scritte su progetti coloniali sottoposti alla Conferenza di Londra, secondo anche colloquio tra V.E. e Byrnes, dimostrando speciale interesse di averne conoscenza preventiva. Si è risposto genericamente che nostri esperti già .da varie settimane erano al lavoro e che, data grande importanza questione coloniale per l'Italia, si desiderava da parte nostra farne un strong case come del resto era stato a suo tempo consigliato a questa ambasciata dal Dipartimento di Stato.

Interlocutore americano ha spontaneamente esposto nel modo più franco ed amichevole seguenti personali suggerimenti:

l) Governo italiano farebbe cosa opportuna a sottolineare, in sue osservazioni, che non sarebbe conforme criteri equità, cui pace dovrebbe ispirarsi, voler sottoporre a speciale regime soltanto colonie italiane prefasciste quando le altre Potenze coloniali africane conservano le proprie; ciò tanto più quando si può

I T. s.n.d. 10463/623 del 18 ottobre, non pubblicato.

2 Del 20 ottobre: dichiarazioni di De Gasperi alla stampa dopo il consiglio dei ministri del 18 ottobre.

dimostrare che amministrazione coloniale e metodi colonizzazione italiana reggono brillantemente il confronto con quelli di altre Potenze europee.

2) Governo italiano, ove lo creda necessario, chieda pertanto che colonie rimangano sotto sovranità italiana, subordinatamente, qualora lo reputi preferibile, si dichiari disposto a porre esso stesso sue colonie sotto trusteeship a condizione che amministrazione rimanga Italia.

3) Circa trusteeship plurimo, governo italiano potrebbe, ove lo creda opportuno, porre in rilievo sua disposizione ad aderirvi quando si potesse a suo tempo realizzare un pool generale di tutte le colonie in Africa sotto amministrazione internazionale, beninteso con pari diritti.

Sia richieste informazioni sia suggerimenti, che vengono qui riferiti, sono stati fatti da interlocutore di sua spontanea iniziativa mentre sull'argomento iniziativa era stata di questa ambasciata. Interlocutore, per sua carica al Dipartimento, segue molto da vicino questioni italiane ed è sempre stato animato da migliori disposizioni nei nostri confronti. È possibile che Dipartimento in attuali circostanze possa vedere con favore un'irrigidita posizione italiana su questioni coloniali motivata da carattere generale (richiamo al riguardo ad ogni buon fine anche mio telegramma 488 1 , avendo in successiva conversazione con stessa persona confermato nota opinione).

Sottopongo quanto precede alla considerazione di V.E., pur rendendomi conto nostre necessità tener presente anche punto di vista altre grandi Potenze interessate. Qualora possibile, potrebbe essere peraltro opportuno far conoscere preventivamente al Dipartimento di Stato a titolo amichevole e confidenziale osservazioni che dovranno essere fatte presenti in materia coloniale al Comitato dei supplenti a Londra. E ciò sia quale segno nostra considerazione per U.S.A., sia per tentare impegnare Dipartimento ad appoggiare nostro punto di vista, inviando al caso istruzioni a delegazione americana a Londra data autonomia di quest'ultima.

639

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10945/673-674-675. Washington, 25 ottobre 1945, ore 8,29 (per. ore 16 del 26).

Miei telegrammi 651-654 2 .

Questa ambasciata ha dato comunicazione a Dipartimento di Stato delle dichiarazioni fatte da V.E. alla stampa circa pace provvisoria e revisione armistizio mercé nuovo patto (di cui suo telegramma 7973) 3 .

l T. s.n.d. 8576/488 del 19 settembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 630. 3 Vedi D. 638, nota 2.

Nella conversazione seguitane si è appreso che contatti fra Washington e Londra per questione nostro armistizio vanno intensificandosi benché sino ad ora sarebbero sempre in prima fase. Segretario di Stato segue personalmente di giorno in giorno andamento trattative. Dipartimento ha tenuto nuovamente porre in rilievo come iniziativa scandagliare subito argomento sia stata dell'America.

Si ritiene che nel prossimo mese (probabilmente più nella seconda metà novembre che nella prima) verranno formulate proposte concrete circa le quali-ci è stata data amichevole assicurazione -verrebbero date informazioni a questa ambasciata appena possibile «a titolo confidenziale». Si è da parte nostra-nuovamente insistito su assoluta opportunità che dette proposte concrete vengano discusse con intervento italiano evitandosi sistema fatti compiuti che ormai dovrebbero essere definitivamente abbandonati dati anche rapporti amicizia fra Washington e Roma. Per norma azione e linguaggio di questa ambasciata permettomi attirare l'attenzione di V.E. su mio telegramma 622 1 .

Da fonte britannica si è avuta conferma che trattative in corso fra Washington e Londra in questione nostro armistizio procederebbero soddisfacentemente. Ci è stato accennato a difficoltà da parte dell'U.R.S.S. e a seguito contatto fra Carandini e Foreign Office. Ci è stata data sensazione ottimismo su possibile definizione piuttosto prossima.

[A] nostra domanda è stato risposto ritenersi essere appunto intenzione britannica presentare al governo italiano proposte concrete anglo-americane subito dopo loro messa a punto.

640

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 10897/1109-1110. Madrid, 25 ottobre 1945, ore 15,45 (per. ore 9 del 26).

Con telegrammi n. 484 e 5019 2 codesto ministero mi ha fatto conoscere atteggiamento R. governo nei riguardi Spagna e decisione conformarci linea di condotta che governi Stati Uniti e Inghilterra adotteranno in proposito. A tale riguardo ritengo opportuno segnalare che dopo fallimento conferenza ministri Esteri Londra, presa posizione Russia circa Mediterraneo, pressioni su Spagna per rapido mutamento regime da parte Stati Uniti e Inghilterra si sono alquanto allentate e posizione di Franco si è in conseguenza momentaneamente rafforzata. È assai significativo che, mentre sino a pochissimo tempo fa ambasciatore Armour riteneva che Inghilterra non avesse intenzione accettare nuovo ambasciatore di Spagna in sostituzione del duca d'Alba, gradimento nomina signor Barcenas a Londra sia stato concesso immediatamente e senza alcuna difficoltà. Ambasciatore degli Stati Uniti

l Vedi D. 624. 2 Vedi DD. 380 e 393.

mi ha del resto chiaramente lasciato comprendere come rapporti fra Alleati e Spagna si siano per il momento stabilizzati sulle posizioni fissate a Potsdam e che è presumibile che essi rimangano invariati fino a che auspicato cambiamento regime non consenta ammissione questo paese nella organizzazione Nazioni Unite.

Appare sempre più chiaro che lo stesso governo laburista non desidera moti violenti in Spagna di cui Russia profitterebbe sicuramente con danno posizione inglese. Elementi suaccennati costituiscono indubbiamente principali cause che hanno determinato irrigidimento Franco di cui si riscontra chiara espressione in dichiarazioni governo 12 corrente radiodiffuse dopo riunione del Consiglio ministri spagnolo. Trattative con don Juan hanno in conseguenza subito anche esse battuta arresto ma sospensione può anche porsi in relazione col timore del pretendente che i negoziati con Franco ormai troppo palesi e discussi possano compromettere propria posizione futura.

641

IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DI STUDIO PER LE CONFERENZE INTERNAZIONALI, VISCONTI VENOSTA, ALLA COMMISSIONE ESTERI DELLA CONSULTA

RELAZIONE. Roma, 25 ottobre 1945.

Quando -appena liberata Roma e costituito il ministero Bonomi -io raggiunsi a Salerno la sede del ministero degli Affari Esteri, reputai dover mio studiare accuratamente gli incartamenti di politica estera riguardanti il periodo di tempo trascorso tra la stipulazione dell'armistizio e la liberazione di Roma; pochi mesi dopo mi dimisi dalle funzioni di sottosegretario di Stato, ma la fraterna amicizia di Alcide De Gasperi non mi volle totalmente estraneo al lavoro che sotto la sua direzione andava svolgendosi a palazzo Chigi e mi chiamò alla presidenza della commissione per le conferenze internazionali; vengo pertanto a trovarmi fra coloro che più intimamente conoscono l'azione svolta nel campo internazionale dai successivi governi del periodo post-armistiziale. Ritengo non del tutto inutile, nel momento in cui la nostra Commissione inizia i suoi lavori, rievocare dinanzi a voi le recenti memorie di questi mesi aspri e difficili. Sarà la mia un'esposizione per quanto è possibile breve ed assolutamente obbiettiva: nessuno potrà trovarvi né la conferma delle proprie simpatie né quella delle proprie avversioni. Non nominerò anzi persona alcuna, certo che anche coloro che potrebbero aver diritto di essere ricordati non se ne dorranno.

In un'ora decisiva per il popolo nostro, quando il destino risaliva spietato le vie della patria, gli uomini che lungo le strade semidistrutte cercavano di rabberciare i ponti interrotti e le massicciate sconvolte hanno inteso appieno la modestia ed i limiti del loro lavoro ed hanno trovato unicamente in un senso di totale ed anonima dedizione la forza e l'incitamento per perseverare ostinati nella dura fatica.

Forse mai la politica estera di un grande popolo è stata, alla fine di un periodo storico ed all'inizio di un altro, interrotta da più profondo solco. Venti anni di burbanzosa ignoranza coronata dalla follia di molteplici dichiarazioni di guerra aggressiva ci avevano straniati da tutte quelle nazioni a cui ci congiungevano naturali affinità. L'armistizio rompeva tutti i ponti con la Germania e con gli sventurati che ancora a lei erano asserviti.

Non rimaneva più nulla, non un trattato in atto, non un rapporto regolare nell'ordine internazionale, non un ministero, non un personale organizzato, non mezzi di comunicazione telegrafica o postale, non cifrari, non un archivio: ossia l'archivio si componeva di due soli documenti, il piccolo ed il lungo armistizio, due documenti inutilmente avvolti nel mistero ed il cui significato può essere così riassunto: davano la misura di tutta la profondità della nostra sventura, ma non compromettevano in nessuna guisa l'avvenire della patria.

Pochi giovani funzionari degli Esteri pronti alla voce del dovere, camminando di giorno e di notte per i tratturi d'Abruzzo, avevano raggiunto a Brindisi la sede provvisoria del governo e formavano l'embrione di un dicastero degli Esteri che presto si integrava con l'arrivo in patria di altri funzionari.

V'era un edificio tutto da ricostruire: mancavano le fondamenta. Primo urgente problema: quale sarebbe stata l'attitudine dei neutri? Avrebbero riconosciuto la continuità del governo o ammesso l'esistenza del governo di Salò? È da ricordare con compiacimento che tutti, persino quei governi che non potevano simpatizzare con la evoluzione della nostra politica, riconobbero come solo valido il governo di Brindisi.

E ciò aveva un alto e profondo significato: parecchi governi asserviti all'Asse, piegandosi all'imposizione tedesca e riconoscendo il governo di Mussolini, ma non celando una istintiva ripugnanza verso il rappresentante di Mussolini ed usando personali cortesie a quei nostri funzionari che, disprezzando ogni rischio, avevano compiuto integralmente il loro dovere, lasciavano trapelare quale fosse nell'intimo il segreto sentimento dell'animo loro: la nostra tragica sventura sembrava loro sorte quasi meno amara del prolungarsi di fatue illusioni nella via che conduceva all'abisso.

E intanto, dichiarata la guerra alla Germania e stabilita la cobelligeranza, si iniziava il nostro sforzo tenace per riuscire a partecipare validamente alla guerra: sforzo continuo prolungatosi per mesi e mesi, ossia sino al crollo tedesco, sforzo che ha conosciuto penose ripulse e lenti e limitati progressi ma che pur ha concesso una nostra essenziale partecipazione, a cui lo spontaneo ed imponente contributo partigiano ha conferito un più ampio e libero respiro, in un clima di volontariato e di sacrificio così particolarmente conforme alle nostre migliori tradizioni.

Chi studierà accuratamente la storia della nostra volontà di contributo alla guerra e degli inciampi ad essa frapposti giungerà a questa singolare conclusione: che mentre il limite del nostro contributo, non dipendendo dalla nostra volontà, non potrà per certo esserci imputato, il vantaggio di una nostra maggiore partecipazione sarebbe riuscito particolarmente importante proprio a coloro che vi si opponevano. Basta rievocare il ricordo della offensiva del settembre '44 che non conseguì la meta prefissa, ossia lo sfondamento della linea gotica, per essere indotti a riconoscere che la presenza di una maggior massa di manovra, quale sarebbe stata assicurata da una larga partecipazione italiana, avrebbe permesso di raggiungere la meta prestabilita. La liberazione con sei mesi di anticipo dell'Italia del nord avrebbe totalmente alterato il ritmo dei successivi avvenimenti sia nell'Europa centrale che nella penisola balcanica, non solo nel campo strategico ma altresì nel campo politico: la situazione attuale si sarebbe per certo manifestata in maniera singolarmente diversa.

Contemporaneamente si andava svolgendo un tenace lavoro per conseguire la restituzione al governo italiano delle responsabilità amministrative nelle nostre provincie: iniziatasi col passaggio della Sicilia e della Sardegna nel marzo 1944, questa graduale normalizzazione della vita italiana si avvicina solo oggi a venir quasi completata.

Ma l'avvenimento principale di quel periodo fu certo l'accordo italo-sovietico del marzo '44 che sanzionava la ripresa delle relazioni fra i due popoli. In quella oscura ed angosciosa ora della nostra storia, quell'atto, che era atto di autonomia ed indipendenza, ebbe una profonda portata ed una vivace ripercussione. Quando la radio ne recò notizia a coloro che in terra invasa ed asservita angosciati attendevano, essa fu da noi tutti accolta con emozione e quasi con sorpresa: non sapevamo più che una notizia lieta potesse ancora raggiungerei. Questo gesto d'amicizia e -di comprensione è e rimarrà presente alla memoria degli italiani: esso proietta sui rapporti italo-sovietici una luce di cordialità che ci aiuterà a superare le fatali e contingenti disparità di punti di vista, mantenendole nei loro giusti limiti, ed eviterà che esse alterino, quando saranno risolte, la cordialità delle relazioni tra i due popoli.

A chiarire la linea d'azione prescelta dal governo, una serie di dichiarazioni adottate all'unanimità dal Consiglio dei ministri testimoniava, ripudiando la politica fascista verso la Francia, la Jugoslavia e la Grecia, che fra la politica estera fascista e la politica estera della democrazia italiana non vi era mai stata e non vi poteva mai essere identità alcuna 1•

La liberazione di Roma pose tutti i problemi della nostra politica internazionale su di un più vasto e più complesso piano. Bisognava d'urgenza eliminare un penoso malinteso che rendeva così difficile l'iniziarsi dell'opera del nuovo governo, bisognava affrettare il ritorno del governo alla capitale, allentare i vincoli armistiziali pur rafforzando nel contempo la intimità dei nostri rapporti con gli Alleati; bisognava stabilire che col ritorno a Roma il governo italiano si riponeva su di un piano politico più conforme ad un crescente, imperioso bisogno di dignitosa autonomia.

Furono tempi di intenso e duro lavoro. Posso accertare che le personalità incaricate dagli Alleati di presiedere a questo lavoro ebbero una ansiosa cura di attenuare con tatto e con delicatezza non mai smentiti quel che vi era di penoso nelle trattative: la loro comprensione della vicenda italica, l'emozione che trapelava talvolta dalle loro parole, erano, per chi ebbe infinite occasioni di accertarlo, aiuto prezioso. Ma l'amarezza stava nei fatti e nulla poteva attenuare certe crude ed immediate realtà. Forse lo si sentiva meno, non si poteva concedersi il lusso di sentirlo, sin che duravano i colloqui e le discussioni napoletane: si era troppo presi dalla necessità di concludere, guidati dal dovere di non abbandonarsi alle proprie emozioni, dominati da quell'orgoglio che ricorda ai popoli come, per quanto grande sia la pena e la rovina, c'è sempre un brandello di dignità da salvare. Ma quando,

1 Vedi serie decima, vol. I, DD. 204, 231, 244, 263 e 293.

al termine del lavoro, le piccole automobili sgangherate ci riportavano verso Salerno, le spalle si piegavano sotto il peso di tanta sciagura e lo sforzo era grande per trovare l'energia che permette di perseverare.

Tornati a Roma, la probabilità di una offensiva autunnale, oggetto di grandi e presto deluse speranze, imponeva al governo di rivolgere il pensiero verso le vicende che avrebbero potuto insanguinare le terre della Venezia Giulia alla vigilia della liberazione. Ed il 15 agosto 1944 il governo, con una lettera indirizzata al capo della Commissione Alleata 1 , esponeva nel modo più netto la nostra ansia ed i nostri presentimenti. Si apriva così una trattativa che determinava un mese dopo per parte alleata una categorica risposta : è attualmente nell'intenzione dell'Alto Comando Alleato occupare totalmente e mantenere l'ordine nel territorio di tutte le provincie italiane entro i confini esistenti prima dello scoppio del conflitto, ciò tuttavia senza pregiudicare quanto avrebbe potuto stabilire il trattato di pace 2•

Poco tempo dopo, la visita a Roma del primo ministro inglese 3 , seguita da quella del ministro degli Esteri, riponeva i nostri storici rapporti con la Gran Bretagna su di un piano politico di schietta sincerità. Il geniale intuito di Winston Churchill gli permetteva di apprezzare e penetrare in breve volger di ore i molteplici aspetti della nostra complessa situazione. Ne seguì lo stabilirsi di quasi normali rapporti diplomatici e lo scambio di rappresentanze, ne seguì la dichiarazione Roosevelt-Churchill pubblicata dopo il convegno di Hyde Park. Questa dichiarazione fu interpretata dagli italiani come foriera di importanti trasformazioni nel nostro stato internazionale. Dette trasformazioni non si realizzarono o, realizzate parzialmente, persero il loro effetto perchè l'annuncio ne fu troppo procrastinato : ma la speranza non realizzata non era fuori della realtà ed era anzi nelle intenzioni iniziali dei due illustri statisti che apposero la loro firma alla dichiarazione di Hyde Park. Come e perché ciò non si sia avverato è vicenda ancora in parte non chiarita, né gioverebbe per ora approfondire l'indagine ricercandone la responsabilità internazionale.

Il Columbus Day '44 vedeva intanto con solennità di unanime e cordiale consenso proclamata la ripresa e la normalizzazione dei nostri rapporti cogli Stati Uniti d'America e con tutte le Nazioni del continente americano 4 . C'era in questo atto e nella maniera in cui veniva compiuto, come del resto in tutte le manifestazioni che ci sono giunte da oltre Oceano, un senso di profonda, umana soiidarietà verso l'Italia, era un atto di fede inalterata nell'avvenire del nostro popolo. Per noi voleva altresì dire che tanti milioni di lavoratori di sangue italiano non erano più avulsi e straniati da noi, che per innumerevoli famiglie italiane attraverso lo spazio l'unità spirituale era finalmente ricostituita.

Si imponeva ormai, improrogabile ed urgente, la normalizzazione dei nostri rapporti con la Francia, ed appariva evidente che non era possibile conseguirla se non veniva raggiunto un accordo che sistemasse la situazione degli italiani di Tunisia. Questo accordo era per noi, sentimentalmente, un penoso sacrificio. Non pochi, e confesso che ero fra quelli, avrebbero ardentemente desiderato che avesse potuto

1 Vedi serie decima, vol. I, D. 344. 2 Ibid., D. 399. 3 Jbid., D. 365. 4 Jbid., D. 490.

inquadrarsi in una totale sistemazione dei nostri rapporti con la Francia: così liquidato il passato, sarebbe stata libera la via a quella intima collaborazione itala-francese che è innanzi tutto e sopratutto elemento indispensabile per la riorganizzazione di una pace e di una solidarietà europea. Ma devo in tutta sincerità aggiungere che i mesi trascorsi mi permettono un'affermazione: il governo fece atto di lungimirante accortezza quando, poiché l'ora non era ancora giunta per un accordo generale, superando il rammarico, decise di addivenire all'accordo per gli italiani di Tunisi 1• Questa deliberazione ci ha permesso in successive trattative -come ci permetterà in trattative avvenire -di parlare con aperta e ferma schiettezza: nessuno in Francia potrà porre in dubbio la nostra deliberata volontà di concordia.

Poche settimane dopo, la dichiarazione Macmillan 2 , eco ritardato ed attutito dell'incontro di Hyde Park, svincolava il nostro governo da interferenze che ci erano apparse particolarmente penose. L'ora della liberazione totale del territorio nazionale era ormai giunta.

Ma le vicende in corso nella Venezia Giulia ne amareggiavano la gioia: esse purtroppo giustificavano l'ansia delle nostre previsioni. Intenso fu in quelle settimane lo sforzo del governo onde ottenere che gli accordi del precedente ~utunno potessero realizzarsi. Se ciò non avvenne, si poté almeno evitare ben più gravi eventualità che talvolta parvero minacciarci. Della linea prestabilita può almeno dirsi che l'assurdità del suo tracciato ne deve accertare la provvisorietà e che ovvie ragioni di senso comune dovrebbero assicurarci ch'essa non può essere presa in esame come frontiera definitiva.

Nel giudicare spassionatamente la trattativa ed i suoi risultati, bisogna pur intendere che avvicinandosi alle frontiere i problemi della nostra politica estera venivano a congiungersi e saldarsi con gli inestricabili enigmi del riassetto europeo, complicandosi con gravissime considerazioni di rapporto di forze e di equilibrio. D'ora in poi questa connessione inscindibile tra problemi italiani e problemi europei, se da un lato ci attesta l'importanza della funzione europea del nostro Paese, dall'altro è inevitabilmente destinata ad essere per noi causa di rinnovate e più ardue difficoltà.

Così ci siamo avvicinati alle trattative di Lancaster House. Il ministro degli Esteri ve ne ha parlato coll'autorità a lui conferita non solo dall'alta carica, ma ancor più dal generale e fiducioso consenso che lo ha accompagnato nel suo viaggio a Londra.

Posso solo riassumere le mie impressioni londinesi in poche parole. Per arrivare alla pace lungo è ancora il cammino, ed è cammino aspro e difficile. Dovremo combattere duramente perché ci siano assicurati confini che non offendano l'unità della patria e non spalanchino le vie dell'invasione; dovremo combattere perché il lavoro italiano riprenda in terra d'Africa, dove ha dato ovunque così feconde prove, dovremo combattere perché stolti patti finanziari non rendano quasi impraticabile la nostra ricostruzione economica. Solo se sapremo guardare in faccia le difficoltà dell'ora potremo sperare di poterle superare.

Ancor lungo è altresì il cammino per conseguire quel nostro ingresso tra le Nazioni Unite che ci permetterà di iniziare veramente la nostra politica estera

I Vedi D. 73. 2 Vedi D. 68.

avvenire. Non è infatti riattaccandosi ad antichi concetti, ma collaborando con ardore e con fede al nuovo esperimento di organizzazione mondiale che l'Italia può riacquistare nel mondo il posto che giustamente le compete.

Non ho inteso essere né l'esaltatore né il difensore di una determinata politica: il tempo ci dimostrerà quali errori siano stati commessi, quali propizie occasioni perdute; ma chiarirà altresì quali pericoli siano stati tempestivamente sventati.

Una cosa sola mi sembra si possa fin d'ora accertare: nel campo della politica estera, come in molti altri campi, la democrazia italiana, oggetto di tante critiche e di tante denigrazioni, ha assunto con coraggio il terribile compito che le incombeva ed ha cercato di assolverlo ponendo la sua difficile azione sul limpido piano della più onesta lealtà.

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IL CAPO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, COPPINI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO SEGRETO. Roma, 26 ottobre 1945.

In previsione dei prossimi contatti con l'ambasciatore Exindaris, nell'intento di addivenire ad una possibile ripresa dei rapporti fra l'Italia e la Grecia, la direzione generale Affari Politici ritiene opportuno attirare l'attenzione della segreteria generale sui seguenti problemi che potrebbero formare oggetto di esame e di discussione e che -se convenientemente prospettati e risolti ~potrebbero condurre ad una sistemazione dei reciproci rapporti, ad un chiarimento delle reciproche situazioni ed a facilitare il riallacciamento delle normali relazioni diplomatico-consolari.

A) Collettività italiana. La situazione dei nostri connazionali in Grecia, dopo le recenti misure adottate dal governo ellenico, può così riassumersi:

l) Espulsione dei connazionali giunti in Grecia dopo il 1938. Tale provvedimento corrisponde in sostanza all'attenuazione delle originarie intenzioni del governo ellenico di espellere tutti gli italiani della Grecia, misura contro la quale questo ministero si pronunciò per tramite delle Autorità Alleate. Considerato da questo punto di vista, il provvedimento va inteso come un gesto di comprensione da parte dei greci.

2) La situazione dei nostri connazionali, risiedenti in Grecia da data anteriore al 1938, permane tuttora insoddisfacente. È vero che -secondo notizie recentissime -essi hanno potuto parzialmente riprendere le loro attività economiche (sono stati riaperti i negozi e agli operai non si nega il lavoro), che sono state loro restituite le carte annonarie, ma rimangono tuttora misure restrittive quali l'obbligo della presentazione per i controlli agli organi di polizia, la mancata estensione agli italiani delle disposizioni riguardanti il blocco sugli affitti e l'impossibilità di disporre dei propri beni in seguito al sequestro delle proprietà immobiliari e delle disponibilità liquide.

3) La situazione della collettività italiana in Grecia (benché le notizie surriferite meritino conferma, soprattutto per quanto concerne l'applicazione dei vari provvedimenti nei riguardi dei singoli) potrebbe essere ricondotta gradualmente alla normalità.

Da parte greca -come risulta dal colloquio Exindaris-De Santo 1 -si è mostrata una certa suscettibilità dinanzi ai nostri rilievi. Lo stesso ambasciatore, pur convinto dell'opportunità di sistemare questo problema, ha fatto presente che anche la collettività greca in Italia è tuttora soggetta ad una serie di misure restrittive che intralciano la ripresa delle attività individuali.

Si tratterebbe delle seguenti misure così illustrate dall'ambasciatore Exindaris:

«a) Durante il periodo dell'internamento di vari cittadini greci in Italia, questi ricevevano, per il loro mantenimento qualche somma di denaro dalla Grecia. Anche queste somme sono state poste sotto sequestro. Queste somme non presentano le caratteristiche di beni posseduti in Italia al momento dell'applicazione della legge sul sequestro dei beni dei sudditi degli Stati nemici. Erano somme che dovevano servire per il mantenimento di disgraziati internati politici.

b) In qualche città dell'Italia non si sono limitati al sequestro conservativo dei beni dei sudditi greci in attesa delle decisioni relative del trattato di pace (come del resto avviene in Grecia, dove i beni dei sudditi italiani si trovano tuttora semplicemente sotto sequestro conservativo)».

L'ambasciatore ha proposto, per quanto concerne il n. a), di procedere alla liberazione delle somme e, per il n. b) di evitare ogni atto eccedente il sequestro e possibilmente di riportare le cose allo stato normale.

La direzione generale Affari Politici riterrebbe opportuno accedere senz'altro alle richieste suddette e di dichiararci disposti a provvedere al totale dissequestro appena possibile (come noto non sono ancora stati dissequestrati nemmeno i beni francesi).

La direzione generale Affari Economici potrà essere interessata per una sollecita sistemazione di queste due pratiche, d'accordo con altri dicasteri.

Da parte nostra, senza fame oggetto di compensazione, ma prospettandola come necessaria per l'auspicata ripresa dei rapporti, potrebbe essere avanzata la richiesta che venga attribuita alla collettività italiana in Grecia la stessa libertà d'azione.

B) Stampa. A questo proposito la direzione generale Affari Politici suggerisce di approfittare della prossima data del 28 ottobre 1945, quinto anniversario dell'entrata in guerra contro la Grecia, perché sia pubblicato qualche articolo che dia soddisfazione all'opinione pubblica greca. Meglio ancora se vi fosse qualche dichiarazione ufficiale per esempio a mezzo di una intervista.

Potrebbe intanto essere fatto presente all'ambasciatore Exindaris che:

a) esiste in Italia una generale volontà di iniziare rispetto alla Grecia una politica d'amicizia, riparando ai mali portati dal fascismo e secondando le sue aspirazioni;

1 Del 5 ottobre; non si pubblica il riassunto redatto da De Santo.

b) la Grecia ha gravi motivi di risentimento contro l'Italia, tuttavia si può argomentare da vari indizi che non esiste una decisa avversione contro il nostro Paese;

c) se tutte queste buone disposizioni non trovano ancora espressione pubblica molto estesa, ciò deriva, oltreché da fatti contingenti di ordine tecnico (limitazione di spazio nei giornali) dall'impossibilità in cui si trovano ancora le persone particolarmente versate nelle questioni inerenti alle relazioni culturali fra i due Paesi di svolgere una proficua attività.

C) Relazioni culturali. Mentre si prospetta l'opportunità di addivenire alla sistemazione delle due collettività con l'abrogazione delle misure restrittive e la reintegrazione delle possibilità di lavoro e delle disponibilità dei beni, la direzione generale Affari Politici riterrebbe che indizio altamente significativo della reciproca buona volontà di giungere alla normalizzazione dei rapporti politici potrebbe essere costituito dal concretamente dei provvedimenti necessari al ristabilimento delle relazioni culturali.

Da parte nostra abbiamo già facilitato la ripresa degli studi presso le nostre università di studenti greci che vi si erano iscritti prima della guerra e che hanno chiesto di farvi ritorno.

Questo ministero ha più volte chiesto al governo greco che gli venisse consentito di svolgere un'opera di tutela delle istituzioni culturali in Grecia, inviando colà persona competente, ma il governo greco non ha creduto finora di dare tale consenso.

La direzione generale Affari Politici ritiene che convenga ripetere la richiesta, in quanto l'accoglimento da parte del governo greco significherebbe il primo passo per la ripresa delle relazioni normali.

643

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 11069/690. Washington, 27 ottobre 1945, ore 20 (per. ore 16 del 28).

Miei telegrammi 673 e 674 1 e telegramma di V.E. n. 8081 2 .

Come riferito in telegrammi stampa e varie segnalazioni per corriere insistenti richieste giornalisti a Truman e Byrnes circa testo armistizio hanno nuovamente riportato primo piano questione sua pubblicazione. In odierna conversazione al

I Vedi D. 639.

2 Del 24 ottobre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del T. s.n.d. 10700n!7 del 22 ottobre da Londra su un colloquio Carandini-Cadogan circa la sostituzione dell'armistizio.

Dipartimento di Stato è stato confermato a questa ambasciata che governo americano si è rivolto a quello britannico per ottenere consenso per pubblicazione testo armistizio e alcuni successivi documenti più importanti (lettera Eisenhower a Badoglio comunicazione Macmillan ecc.) 1 relativi alleggerimenti già apportati a clausole armistiziali. Non appena ottenuto tale consenso verrebbe richiesto ufficialmente assenso governo italiano per detta immediata pubblicazione.

A quanto è stato detto al Dipartimento di Stato pubblicazione armistizio è considerata quale primo passo per sua revisione circa la quale tra W ashington e Londra continua ad essere in prima fase esame generale e preliminare. A quanto ci è stato confidenzialmente aggiunto non si prevederebbe finora cessazione funzioni Commissione Alleata le quali potrebbero aver fine solo con stipulazione pace. Riterrei tuttavia che qui si attenda prossimo ritorno Dunn da Londra (pubblicamente annunziato da segretario di Stato) per rendersi esatto conto intendimento britannico in argomento.

Da parte di quest'ambasciata nel ricordare recente dichiarazione di V.E. alla stampa (suo telegramma n. 7973)2 che conferma nota favorevole disposizione per pubblicazione armistizio, si è tuttavia fatto rilevare come sarebbe stato più opportuno fare coincidere pubblicazione testo con annunzio della revisione o sostituzione. Dipartimento ha peraltro ribadito tesi su accennata 3 .

644

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1918. Roma, 27 ottobre 1945.

Following my letter of October 25th, n. 3/1881 4 , I again referto your letter n. 591/156/Ec, dated October 12th inst 5 concerning the Yugoslav activities in the Venezia Giulia.

I shall endeavour to reply, in the same order as set forth in your letter, to the various points you made:

a) I agree that the term «plebiscite» is not strictly correct. That is, however, how it is being described by its promoters, and it is a fact that there is a very active organized canvassing in progress in order to obtain signatures and other forms of consent, more or less voluntary and more or less sincere, with a view to

1 Vedi serie nona. vol. X. D. 757; serie decima. vol. I, DD. 20 e 21; qui D. 68.

2 Vedi D. 638, nota 2.

3 Con T. s.n.d. 11092/691, personale per il ministro, del 28 ottobre, Tarchiani sollecitò una iniziativa italiana per la pubblicazione dell'armistizio.

4 Non pubblicata.

5 Vedi D. 618.

presenting a presumptive «plebiscite» in favour of the annexation of those territories to Yugoslavia. Technicaliy, I admit, it is not the same thing, but the objective is obviously the same, namely to build up an argument intended to influence artificialiy a decision regarding the future disposal of the region in question.

The problem of furnishing direct evidence that such canvassing is organized by the «Yugoslav Authorities» turns on the question of what is intended by direct evidence. As we Italians know only too weli from recent personal experience, it is very difficult indeed, if at ali possible, in any totalitarian regime -as undoubtedly the one existing now in Yugoslavia -to trace a line between government or government inspired, and purely individuai initiative.

It is a fact, moreover, that this initiative is being carried on along the same lines and with the same methods, both in the territories under Yugoslav and those under Aliied contro!, being therefore obviously the part of a generai and weli organized scheme. And it is very difficult to believe that such scheme could be carried out in the Yugoslav controlled sector, did it not enjoy considerably more that the tolerance of the Yugoslav authorities.

b) What I have just said, already partialiy covers the point you made under letter (b). As pointed out in my letter of October 25th, it is a practical impossibility to coliect full and detailed documentary evidence of events taking piace in territories where there is absolutely no possibility of exercising direct contro! or taking any immediate action. As you are aware, the Italian Government have already repeatedly suggested that an independent and impartial Aliied or even neutra! body should investigate the situation created to Italian nationals in the Yugoslav controlled section of the Venezia Giulia. Today again I wish to set forth this suggestion, and I shali be grateful if you will see your way to forwarding it to the proper quarters. Apart from this, I feel that the unexpected delay in the shaping of the final settlement, ali the more warrants the necessity that the Allied Governments should be represented, at least in the form of observers, in the administration of the contested territories which, indeed, as you will recall, the Allies had undertaken to maintain under their direct contro! until their final disposition.

c) and d) It is obvious, as you remark under letter (c), that there is no reason why under a democratic regime, anyone may not, peacefuliy and without violence or duress, circuiate any petition he pleases.

Incidentaliy, I may remark that it is at least doubtful that a similar public solicitation in favour of Italy would be aliowed to take piace in the Yugoslav controlied area -but, on the other hand, I have no doubt at ali that, in the case of the canvassing carried out by the Slavs, both violence and duress do in fact take piace. Here too, I wish to emphasize that exhaustive documentary evidence is very difficult to coliect, particularly for the Italian Authorities who localiy exercise no contro!. I notice that you refer to the lack of initiative on the part of the local population in denouncing similar occurrences. The main explanation is obvious: the people live in the daily fear of that very violence which they dare not denounce, and of the consequences they may bring upon themselves in the uncertain future settlement of those territories, should they come too openly to the fore. I feel sure that many of these drawbacks might be overcome, if the Allied Authorities should see their way to consenting to the suggestion already submitted, namely that the sending of some responsible Italian observer be autliorized, who might considerably help in keeping in touch with the local population and inform the local AMG officers of many circumstances which otherwise would escape their attention. I shall be grateful indeed if you will be so good as to forward this suggestion to the proper authorities.

Let me conclude, dear Admiral Stone, that it is far from the mind of the Italian Govemment to enbitter the local situation and throw new fuel on the very serious contrasts brought about by the Yugoslav occupation of the region. It is our duty, however, to defend, besides Italy's supreme interest, also the interests of that part of the population -and they are a majority -which still look upon Italy as their country, and only ask to be given the opportunity of expressing such feeling freely and without fear.

P. S. I would like to add that the purpose of the canvassing for signa tures o n the part of Yugoslav agents in the Venezia Giulia, as well as, indirectly, the Authorities by which said activity is assisted and favoured, are also evidenced by two passages of the declaration made by Mr. Edward Kardelj on September 12th, 1945, before the Council of Foreign Ministers. Namely:

«The Yugoslav Govemment continually receive petitions from all parts of the Julian March signed both by Yugoslavs and Italians requesting that the Julian March become part ofYugoslavia. On the petitions up to now sent to the Yugoslav Govemment -and the Delegation has these petitions with them -are 346,486 signatures which represent 53% of the adult population of the Julian March».

Nor is it necessary to add that, even from the most simple statistica! calculation, the figures cited by the Yugoslav Deputy Prime Minister appear as being simply unbelievable.

645

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGR. POL. l 000. Roma, 27 ottobre 1945.

Col telespresso n. 974/c.' ti è stata trasmessa copia del «memorandum» presentato dal conte Carandini alla segreteria del Consiglio dei ministri degli Affari Esteri a Londra sulla questione coloniale. Esso è stato redatto tenendo presente quanto contenuto nella mia lettera a Bymes del 22 agosto u.s. 2•

l Vedi D. 636. 2 Vedi D. 446.

Secondo le più recenti notizie fornite dai nostri esperti coloniali a Londra e che hanno avuto contatti ufficiosi colà, sembra potersi sperare qualche miglioramento nell'atteggiamento inglese, almeno per quanto riguarda la Somalia e la Tripolitania. Sarebbero invece tuttora forti le obbiezioni ad un ritorno dell'amministrazione italiana in Eritrea, sia pure sotto forma fiduciaria, e risulterebbe pure intransigente l'atteggiamento inglese per quanto riguarda la Cirenaica. Si tratta, come sai, delle due colonie che offrono le maggiori possibilità per la nostra emigrazione e colonizzazione. Le ragioni dell'opposizione inglese sono facilmente intuibili e sono anche state accennate dalla stampa britannica di cui ti è stato inviato un estratto, in argomento, col telespresso n. 976/c. del 24 ottobre 1•

Sono ragioni essenzialmente militari. Esse riflettono preoccupazioni che al tempo della bomba atomica dovrebbero ritenersi superate. Comunque, con un poco di buona volontà, si potrebbero trovare soluzioni che contemperino le esigenze dell'ammiragliato con le nostre necessità di colonizzazione: già abbiamo proposto di separare la Marmarica (col porto di Tobruk e le oasi senussite) dalla Cirenaica. Se tale zona venisse considerata troppo ristretta, ai fini militari cui dovrebbe servire come area strategica, si potrebbe anche studiare una linea di confine che tenga conto di eventuali osservazioni di tale natura. Si potrebbe anche studiare una soluzione che lasci a noi l'uso della terra coltivabile e agli inglesi, o alle Nazioni Unite, l'uso di basi strategiche .

L'Eritrea è l'unico territorio europeizzato ai confini dell'Etiopia. Se non erro, da parte americana si dimostra un certo interesse allo sviluppo economico dell'Abissinia: l'Eritrea con il porto di Massaua e il centro di Asmara possono divenire una base e un emporio per tale sviluppo e saremmo lieti di poter dare nuovo impulso alla vita di quella nostra antica colonia attraverso una amichevole collaborazione con gli ambienti finanziari ed industriali americani: forse si potrebbero esplorare tali ambienti prospettando loro delle possibilità economiche interessanti per essi e che al tempo stesso ci assicurino contro la perdita di quella colonia cui gli italiani sono uniti da tanti vincoli di sangue e di lavoro. Anche per il Mar Rosso si potrebbero trovare delle soluzioni che tranquillizzino Londra dal punto di vista strategico.

Come vedrai dal «memorandum», non ci esprimiamo a priori in senso contrario al principio dell'amministrazione fiduciaria, ma insistiamo perché, se amministrazione fiduciaria deve esserci, essa venga affidata all'Italia che ha sempre bene amministrato i suoi territori coloniali, come ne fa fede il progresso da questi compiuto.

Il momento di respiro che ci è consentito dagli avvenimenti può ancora darci qualche possibilità d'azione di cui conviene trarre ogni profitto. Inutile dire che saremmo ben lieti di poter avere conversazioni sull'argomento e chiarire i nostri punti di vista con gli esperti americani, sia costì, sia a Roma o a Londra.

I Non pubblicato.

646

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 4631/3307. Londra, 27 ottobre 1945 (per. il 30).

Faccio seguito al mio telegramma n. 725 1 .

Ho avuto oggi un colloquio riassuntivo con Dunn il quale, come ho già riferito2 , partirà il 4 novembre per Washington. Gli ho chiesto se la sua partenza era da interpretarsi come un atto di sfiducia nella possibilità di una non lontana riassunzione dei lavori della Conferenza di Londra. Egli mi ha dichiarato che non dispera i lavori possano essere ripresi entro uno o due mesi in seguito ad un nuovo accordo di procedura e di principio fra i «Tre Grandi». Si allontana perché la sua presenza è necessaria allo State Department. Lascia qui come suo delegato ad interim l'ambasciatore Winant e conta ritornare sicuramente a Londra per la eventuale ripresa delle conversazioni. Da parte americana, come del resto da parte inglese, si dimostra di non aver premura. Non si vogliono esercitare pressioni né affrettare i tempi giudicando che solo un cauto temporeggiare potrà favorire una più pacata riflessione ed un riavvicinamento che non urti le reciproche suscettibilità esacerbate nel disgraziato corso della Conferenza dei Cinque.

Ho nuovamente insistito perché non si sottovalutassero le conseguenze gravissime che derivano per l'Italia da un simile stato di cose, sostenendo ancora una volta ogni argomento atto a dimostrare la improrogabile necessità di addivenire almeno alla cancellazione dell'armistizio. Ho fatto rilevare come l'Italia, pur soffrendo di una inferiorità che richiederebbe ben altro provvedimento, non intende in questa delicata contingenza mettere in imbarazzo gli Alleati e si limita a invocare una misura ragionevolmente ottenibile e immediatamente necessaria ad un minimo di normalizzazione della sua vita. Dunn mi ha ripetuto che condivide perfettamente il nostro punto di vista e che si reca a Washington col deliberato proposito di dare il suo personale contributo al progresso delle conversazioni in corso fra Foreign Office e State Department su questo argomento. Ha soggiunto che egli si augura la questione possa essere risolta secondo la normale procedura (in altre parole in accordo fra i «Tre Grandi») ma che se difficoltà dovessero incontrarsi, l'America e l'Inghilterra dovranno risolvere la cosa su un piano diverso. In che cosa abbia praticamente a risolversi questa seconda ipotesi egli non mi ha detto e probabilmente non sa esattamente. La cosa mi potrà essere meglio chiarita da Cadogan che mi ha invitato a conferire per lunedì mattina. Nel nostro ultimo colloquio Cadogan, che è nettamente favorevole alla cancellazione dell'armistizio, mi aveva esposto il timore che avendo gli angloamericani firmato quel documento per conto delle Nazioni Unite, vi potesse essere una seria difficoltà ad un loro atto unilaterale di cancellazione o modifica. Egli mi ha detto che stava studiando questo punto e che si riservava di chiarirmelo.

t T. s.n.d. 10985n25 del 26 ottobre, non pubblicato. 2 T. s.n.d. 10703nl8 del 23 ottobre, non pubblicato.

Comunque, di fronte a questa chiara determinazione angloamericana a compiere un sollecito atto di normalizzazione nelle relazioni con l'Italia, mi pare oggi superfluo l'insistere per rafforzare questo loro intendimento, mentre considero essenziale ogni intervento inteso a ottenere l'appoggio o la non opposizione della Russia. È questo un mio vecchio argomento sul quale mi permetto di insistere e che lascio alla S.V. valutare per le conseguenze che intenderà trame. Resto del parere che noi stiamo scontando e corriamo rischio di scontare ulteriormente un peccato di disattenzione nei riguardi della Russia che è mantenuta e rafforzata in un sentimento di grave sospetto verso di noi. La verità è che noi non possiamo oggi seguire altra politica verso i due blocchi in potenziale opposizione, che non sia quella di una cautamente bilanciata neutralità. Le grandi democrazie non possono, per ora almeno, darci l'appoggio che vorrebbero e noi, in questo stato di cose, non possiamo compromettere o relegare in secondo piano le nostre relazioni con la Russia senza esporci a pericoli privi di proporzionato compenso. So di non rivelare nulla di nuovo con questo suggerimento che è fondato nella realtà dei fatti evidenti più che in una mia particolare visione. Ma fino a che esisterà una possibilità di veder ristabilito un relativo accordo fra i «Tre», fino a che cioè una deprecabile eventuale scissione non abbia a porci al doloroso bivio di un orientamento politico più accentuato ed impegnativo, non posso esimermi dall'insistervi.

Non prendo naturalmente alcuna iniziativa, ma mi tengo a disposizione della

S.V. qualora ritenesse opportuno che io affiancassi la sua azione diretta con un conveniente approccio a questo ambasciatore russo.

Ho chiesto ancora a Dunn che cosa pensasse circa la possibilità di una revisione della proposta americana per le nostre colonie, nel senso di realizzare o avvicinarsi al possibile ad una soluzione in cui l'Italia avesse la massima somma di responsabilità amministrative sotto la supervision delle Nazioni Unite. Gli ho rinnovato le note argomentazioni, ma l'ho trovato su questo punto meno ottimista di quanto non fosse stato nel nostro precedente colloquio (mio rapporto del 5 corr.) 1• Mi ha detto in sostanza che la cosa non era da escludersi a priori, ma che la più probabile soluzione restava quella di una trusteeship collettiva con partecipazione dell'Italia. Non so da quali nuovi elementi possa dipendere questo suo più cauto atteggiamento. L'ambasciatore Tarchiani avvicinandolo a Washington, quando avrà preso nuovamente contatto con lo State Department, potrà giungere ad un più preciso accertamento. Quasi a correggere l'impressione risultante da questo suo prudenziale ripiegamento, Dunn ha soggiunto: «No i vogliamo giungere ad una pace che ferisca l'Italia il meno possibile. Sono convinto con voi che senza la partecipazione di un'Italia sana e vitale non vi è possibilità di ricostruzione di una equilibrata vita europea. Potete assicurare il vostro governo che rientro a Washington animato dal fermo desiderio di giovarvi».

Mi è parso evidente il sottinteso: «ma non chiedeteci l'impossibile». Tanto riferisco a puro titolo informativo nella speranza di poter inviare, dopo il prossimo colloquio con Cadogan, un più sostanziale rapporto.

l Vedi D. 604.

P.S. Rilevo che la stampa italiana del 13 ottobre riporta in breve una intervista che avrei accordata all' International News Service circa la questione dell'armistizio. Comunico che non ho mai concesso simile intervista e che l'informazione è stata evidentemente attinta da una mia privata conversazione con un giornalista dell'I.N.S.

647

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. SEGRETO 4155/1096. Parigi, 29 ottobre 1945 1•

Ho avuto oggi, 29 ottobre, un lungo colloquio col ministro Bidault, da cui ho tratto la più confortante impressione per lo sviluppo dei buoni rapporti tra la Francia e l'Italia. Il signor Bidault, che mi ha accolto con la consueta squisita cordialità, ha manifestato la sua gioia per il successo personale riportato dal nostro ministro De Gasperi a Londra. «È stato un vero successo-mi ha detto-tant'è che lo stesso Molotov ha dovuto riconoscer! o. "Se la delegazione jugoslava -ha dichiarato Molotov ai delegati delle Cinque Nazioni Unite -fosse stata di metà meno numerosa e avesse parlato la metà, forse vi avrebbe convinto"». Ne ho approfittato per ringraziare calorosamente il ministro dell'appoggio dato dalla delegazione francese alla giusta causa italiana. È stata per il grosso pubblico italiano una gradita sorpresa constatare come la Francia, grazie alla chiaroveggenza dei suoi capi, abbia preso a Londra nei nostri confronti una posizione così generosamente costruttiva.

A questo punto Bidault mi fa un'esposizione rapida ma precisa della situazione. «Voi salverete la linea Wilson e forse anche, secondo i desideri degli americani, le miniere dell'Arsa. In ogni caso -aggiunge Bidault con forza -mai la Francia metterà la sua firma ad un trattato di pace che dovesse sacrificare la sovranità dell'Italia su Trieste».

Profondamente commosso da questa inattesa e gradita dichiarazione ringrazio Bidault a nome del mio governo e del mio paese.

«Per l'Alto Adige-prosegue Bidault-nulla è stato detto a Londra. Non si sa ancora che cosa è l'Austria e se l'Austria esiste. È assurdo, in queste condizioni, sacrificare una parte del territorio italiano a vantaggio di uno staterello che domani potrebbe ripetere la manovra dell' Anschluss e che oggi si presenta come un satellite della Russia. Però gli americani su questa faccenda non sono ancora giunti a conclusioni definitive».

Approfitto dell'argomento per comunicare a Bidault le liberali disposizioni prese dal nostro governo in materia linguistica a favore delle popolazione allogene 2• Mi accorgo che Bidault è già al corrente di ogni cosa.

l Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi DD. 627 e 631.

A proposito delle rivendicazioni della Francia sul Fezzan, il ministro si esprime in questi termini: «I militari mi hanno fatto vedere sulla carta la zona rivendicata. Si tratta di regioni desertiche, ma ciò che colpisce il grosso pubblico è lo spostamento eccessivo dei confini. È assurdo che la Francia si presenti nello stesso tempo come tutelatrice degli interessi italiani di fronte a terzi e come rivendicatrice a proprio vantaggio e a danno dell'Italia. Con questa politica si perde dalle due parti. Questo ho detto ai militari e sono riuscito così a ridurre le rettifiche del confine tripolino a minima·cosa».

Ringrazio il ministro per questa dichiarazione e pongo senza reticenze la questione di Tenda e di Briga. «Noi-gli dico-siamo disposti a fare un gesto verso la Francia, e pensiamo che la cessione dei terreni di caccia dovrebbe costituire il pegno solenne della rinnovata amicizia tra i nostri due paesi».

«Voi sapete -risponde Bidault -qual'è la mia posizione. Personalmente sono contrario a qualsiasi rettifica di frontiera. Anche se le popolazioni di certe regioni vogliono l'annessione alla Francia, ciò si deve a ragioni contingenti di cui soffrono i paesi vinti. Approfittarne sarebbe ingiusto. Però debbo tener conto dell'opinione di de Gaulle. Non posso mettermi in urto con lui per Tenda e Briga. La cosa migliore per ora è non parlarne. Tra qualche giorno avremo in Francia un governo regolare. Avrete certo letto il meraviglioso articolo di Blum sulla responsabilità e solidarietà ministeriale. (L'articolo in questione, di cui trasmetto copia a parte1 , è realmente di una importanza capitale per l'organizzazione del prossimo governo provvisorio. In esso si ribadisce il principio della solidarietà ministeriale e per conseguenza che «le gouvernement doit avoir effectivement connu, débattu, délibéré, décidé toutes !es affaires qui mettront en jeu sa responsabilité solidaire, c'est à dire que le gouvernement doit étre un véritable gouvernement»).

«Ho visto Blum-dice Bidault-pochi istanti fa (io avevo infatti incontrato Blum nell'anticamera e avevo frettolosamente scambiato con lui poche parole di saluto e qualche idea sulla conferenza per la cooperazione intellettuale). È veramente il più grande francese vivente. Gli ho chiesto di formare lui il governo. Mi ha risposto che le sue condizioni di salute non glielo permettono. Può darsi che sia così. In ogni caso avremo un governo con un capo che dovrà discutere e decidere in accordo con i propri ministri intorno a tutti i problemi. Credete a me, può darsi che a un certo punto le circostanze conducano a una soluzione per la questione di Tenda e Briga che non vi sia favorevole, ma può anche darsi il contrario. Non parliamone. Troveremo a suo tempo la via dell'accordo. Dite ai vostri amici in Italia che siano molto riservati su questa questione».

Attraverso le volute reticenze di Bidault l'allusione contro la politica personale di de Gaulle balza evidentissima, come non meno elequente la decisione di porvi fine anche a costo di cambiare il capo del governo. Ho avuto la nettissima impressione che Bidault legava addirittura a questa eventualità la soluzione a noi favorevole della questione di Tenda e Briga. E in ogni caso, questa dichiarazione, dopo quella relativa all'intenzione della Francia di non firmare un trattato di pace che sacrificasse la sovranità italiana su Trieste, è la seconda importante affermazione del colloquio. La terza, e la più importante di tutte, viene in seguito.

l Non si pubblica.

Dopo aver ringraziato il ministro, pongo la questione che forma l'oggetto principale della mia visita: la sostituzione dell'armistizio con un accordo provvisorio. È la Francia disposta ad appoggiarci in questa legittima richiesta?

«La Francia -mi risponde Bidault -non è stata interpellata e ignora l'armistizio. Anche Truman, del resto, lo ignora. Quindi noi non intendiamo assumere responsabilità retrospettive per un atto che non ci riguarda. Ma la Francia è a fondo con voi per la sua liquidazione. Noi vogliamo addirittura andare più in là. Purtroppo non è possibile fare una pace. ufficiale separata per non urtare le suscettibilità degli altri alleati. Ma sto pensando a qualcosa che nella sostanza sia l'equivalente esatto della pace per cui tra i nostri due paesi, indipendentemente da quello che faranno gli altri, tutto sia definitivamente regolato. Questo potrebbe avvenire fra un paio di mesi. Sarà un accordo bilaterale definitivo al quale non mancherà per il perfezionamento formale che la conclusione della pace ufficiale con tutte le Nazioni Unite». Questa solenne dichiarazione chiude la parte sostanziale del colloquio.

Il ministro Bidault mi ha fatto confidenzialmente cenno del suo vivo desiderio di veder regolato lo statuto della Città del Vaticano anziché da un accordo puramente bilaterale con lo Stato italiano (Trattato del Laterano ), con un accordo internazionale. «Si tratta di un progetto-ha detto il ministro-e ignoro cosa ne penseranno le nostre sinistre, ma considero che la cosa dovrebbe essere accolta con favore da tutti gli Stati e in particolare dal vostro» Mi sono limitato a rispondergli che avrei riferito al mio governo.

A proposito del progetto di trattato di lavoro ho prospettato al ministro le note obiezioni e ho ribadito il nostro punto di vista circa l'opportunità di avvicinarsi quanto più è possibile a un tipo di accordo simile a quello stipulato nel '19. Il ministro, poco al corrente della cosa, ha promesso di occuparsene nel senso da me accennato.

Riferendomi al sequestro dei beni degli italiani da parte dei Domaines gli ho rimesso una nota verbale che il ministro lesse in mia presenza e di cui prese atto con evidente favore.

Ho infine chiesto il suo appoggio per l'ammissione dell'Italia alla Conferenza dell'Organizzazione internazionale di cooperazione intellettuale, accennando al nostro impegno di appoggiare la richiesta francese circa la sede dell'istituzione a Parigi.

Il ministro, come del resto lo stesso Léon Blum, che avevo incontrato pochi istanti prima, pensavano che avessimo già designato gli osservatori. In ogni caso, Bidault si è impegnato di dare precise istruzioni alla delegazione francese per appoggiare la nostra più sollecita ammissione.

Il colloquio, che è durato oltre un'ora, si è chiuso con un largo esame della situazione interna francese che, secondo l'opinione di Bidault, è imperniata sulla leale cooperazione dei socialisti e dei democristiani, senza esclusione det comunisti.

A mia volta ho accennato alla situazione interna italiana esprimendomi, beninteso, a mio nome personale e trovando nelle prospettive da me delineate di una laboriosa ma sicura rinascita del nostro Paese, la fervida adesione del mio illustre interlocutore.

L'importanza di questo colloquio, la cui cordialità è stata sottolineata da un invito a colazione al Quai d'Orsay per sabato prossimo, non sfuggirà certo quando si ponga mente al fatto che Bidault è oggi con de Gaulle e Blum uno dei tre uomini a cui sono commessi, per la durata dei lavori della Costituente, i destini della Francia.

648

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 8385/604 1• Roma, 30 ottobre 1945, ore 20.

Questa ambasciata Stati Uniti ha chiesto se nulla ostasse da parte nostra alla pubblicazione della lettera diretta nello scorso settembre dal segretario di Stato Byrnes al ministro De Gasperi2. Gli è stato risposto che nulla ostava alla progettata pubblicazione. Predetta ambasciata ha posto stessa domanda anche per eventualità che codesto governo decidesse pubblicazione lettere dirette da Parri a Truman e da ministro De Gasperi a Byrnes, di cui ella fu latore3 . Anche per questi documenti è stata data autorizzazione, previa cancellazione nella lettera diretta a Byrnes, della frase relativa alla Francia che si inizia con le parole «but the claim to Tenda and Briga» e termina con le parole «unwarranted».

Aggiungo per sua norma che stessa ambasciata ha manife'stato suo disappunto per pubblicazione sulla stampa italiana disposta qualche giorno fa da parte presidenza Consiglio della risposta diretta da Truman a Parri 4 senza previa autorizzazione nordamericana.

Pubblicazione anzidetti documenti si ricollega quasi certamente a pubblicazione armistizio ed altri testi di cui al suo telegramma n. 690 5 . Tutto sommato riterrei che pubblicazione nostro punto di vista possa giovarci.

649

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 8386/6056 . Roma, 30 ottobre 1945, ore 19,30.

Telespresso di V.S. n. 1346 del 29 settembre7 e telespresso di questo ministero

n. 240098 del 24 ottobre8 .

l Inviato per conoscenza a Carandini col n. 8385/530.

2 Vedi D. 492.

3 Vedi DD. 445 e 446.

4 Vedi D. 554.

5 Vedi D. 643.

6 Copia di questo telegramma fu inviata da Prunas a Gallarati Scotti con L. riservata personale 3/1930 dello stesso 30 ottobre, non pubblicata.

7 Vedi D. 587.

8 Non pubblicato.

Governo britannico ci informa 1 che passo analogo a quello effettuato per tramite suo fu effettuato direttamente anche a Londra presso segretario Stato Affari Esteri da un rappresentante del «governo» repubblicano spagnolo. Governo britannico non (dico non) risponderà a predetta comunicazione. Atteggiamento Londra, analogo in sostanza a quello Washington quale descrittole da Matthews, conferma opportunità attendere che tempi e circostanze maturino. Sinché duri nostro stato armistiziale abbiamo del resto ragionevole e tutt'altro che infondata giustificazione nostro atteggiamento, di cui trattative tuttora in corso Madrid per sistemazione nostri cospicui crediti spagnoli confermano opportunità. Tenga altresì presente che -secondo segnalazione Gallarati ScottF -dopo fallimento della Conferenza di Londra e presa di posizione sovietica nel Mediterraneo si sono alquanto allentate da parte Stati Uniti e Inghilterra pressioni su Spagna per un rapido mutamento del regime.

Tutto ciò non esclude ed anzi sottolinea convenienza che nei suoi rapporti con «governo» repubblicano ella riaffermi con calore che interessi e sentimenti nuova Italia non possono che essere decisamente orientati verso Spagna rinnovata e conseguente salda intesa democratica tra i latini d'Europa e d'America, che è uno dei fini fondamentali nostra politica.

650

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 11220n07. Washington, 30 ottobre 1945, ore 21,06 (per. ore 18,30 del 31).

Mio telegramma n. 6903•

Oggi al Dipartimento di Stato si è appreso che è qui pervenuta la risposta affermativa inglese a proposta americana per sollecita pubblicazione nostro armistizio. Dipartimento di Stato si propone adesso di prevenire al riguardo Commissione Consultiva per l'Italia e di avvicinare nostro governo ciò che sarà praticamente fatto tra alcuni giorni. A quanto ci è stato detto confidenzialmente, Dipartimento avrebbe dapprima preferito pubblicare armistizio in occasione sua revisione. Dato peraltro maggior tempo che si prevede ora richiederebbero intese al riguardo con Londra (si è accennato oggi a fine dicembre) segretario di Stato avrebbe deciso di accelerare pubblicazione sia per principi politica generale attuale amministrazione contrari alla segretezza atti internazionali sia per continua pressione stampa.

1 Con promemoria 579/9/45 del 24 ottobre, non pubblicato. 2 Vedi D. 640. 3 Vedi D. 643.

651

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1795n86. Ankara, 31 ottobre 1945 (per. il 15 novembre).

Mi sono recato giorni fa a congratularmi col nuovo segretario generale di questo ministero degli Esteri ambasciatore Erkin (mio telespresso in data 19 ottobre

n. 1709n38)1 .

Lo conoscevo da quando egli era vice segretario generale e per quanto egli abbia fama di non nutrire simpatie per noi, e sia notoriamente ambizioso e arrivista, i miei pochi rapporti con lui si erano subito improntati a cordialità. Egli è uomo intelligente, lavoratore e di tenace volontà: e credo essere riuscito a persuader! o della mia sincerità.

L'altro giorno gli dissi che lo pregavo di vedere in me più che l'ambasciatore dell'Italia del 1945 il rappresentante di un paese che nel 1946, o 1947, o 1948, o ben poco dopo riprenderà il suo posto nel mondo e uno grande nel Mediterraneo. Ammisi esplicitamente l'odierno nostro avvilimento; la gravità della nostra odierna situazione; le difficoltà di ogni ordine che ci attendono nei prossimi mesi, accresciute dalla assurda posizione internazionale nella quale, per colpa non nostra, ci si mantiene. Dopo di che io spero di essere riuscito a convincerlo (citando anche esempi concreti forniti dai nostri più recenti giornali della nostra progressiva ripresa, in alcuni campi più che incoraggiante) che un popolo che ha le energie, le tradizionali risorse, la volontà di sopravvivere del popolo italiano saprà «doppiare il capo». Gli dissi infine che, attraverso la gazzarra di tanti nostri faziosi politicanti inaspriti per giunta da venti anni di compressione -già si sono affermati, e ancora si affermeranno, veri uomini di Stato.

L'attenzione dei quali uomini di Stato è e sarà necessariamente occupata in primo luogo dalla situazione nel Mediterraneo: mare nostro non nel senso deprecato della parola, ma nel senso che esso lambisce tutte le nostre coste, e che noi vi siamo il Paese di gran lunga più popoloso. Mi è stato facile proseguire, e sottolineare la necessità od almeno la grande desiderabilità che Italia e Turchia cooperino onestamente perché il mare nostro non diventi mare altrui, e per dirgli l'interessamento con cui anche noi seguiamo gli sviluppi della questione degli Stretti.

Il signor Erkin mi ha seguito con simpatia e credo con comprensione. Sulle circostanze attuali del problema degli Stretti mi ha detto cose che riferisco a parte 2• Ma quello che qui mi importa segnalare è la domanda che egli mi ha francamente posta: «Ha l'Italia già fatto sapere agli Alleati che essa desidera partecipare alla Conferenza destinata a rivedere la Convenzione di Montreux?» Il tono in cui egli si è espresso, ed il momento (io avevo appunto finito di ricordargli la nostra comunanza di interessi mediterranei) mi hanno chiaramente indicato che la partecipazione dell'Italia alla Conferenza è auspicata dalla Turchia: ciò che si spiega sia

l Non pubblicato. 2 Telespr. 1827/805, pari data, non pubblicato.

920 per la posizione che essa ha fin dal primo momento assunta nell'insistere perché il problema sia risolto attraverso una Conferenza che si rifaccia a quella di Montreux; sia per la sua persuasione che l'Italia non potrà assumere un atteggiamento contrastante con quello anglosassone, e che la sua presenza, quindi, è, nell'interesse della Turchia, desiderabile. La mia risposta è stata, purtroppo, facile. Ho detto al signor Erkin che non lo sapevo, e che avrei chiesto a Roma. Ho dovuto tuttavia ricordargli la nostra triste posizione di paese «senza pace». Ho manifestato però la speranza che di qui alla convocazione della Conferenza la nostra situazione internazionale sia chiarita: nel quale caso non è dubbio che noi non potremmo disinteressarci alla soluzione di un problema di tanta importanza per il Mediterraneo.

Lascio a codesto ministero di esaminare se ed in qual forma sia opportuno far comprendere all'Inghilterra che la nostra partecipazione all'eventuale futura Conferenza sarebbe nel suo stesso interesse: sia perché, praticamente, essa darebbe un voto di più alla tesi britannica; sia perché allargherebbe il carattere internazionale della questione degli Stretti. Mi rendo conto che nella nostra presente situazione giuridica non è pensa bile che noi possiamo de jure essere ammessi alla Conferenza. Ma -se gli inglesi dessero peso alla nostra partecipazione -potrebbe essere questo un argomento di più, se anche secondario, per affrettare il nostro ritorno alla normale vita internazionale. Sarò comunque grato a codesto ministero se vorrà darmi appena possibile una risposta in argomento.

652

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1006/462. Mosca, 31 ottobre 1945 (per. il 13 novembre).

Mi riferisco al mio telegramma sullo stesso argomento 1•

Prendendo lo spunto dal discorso del presidente del Consiglio e dalla intervista di V.S. trasmessimi con telegrammi stampa n. 8318/c. e 7704/c. del 28 e del 14 ottobre u.s. 2 ho parlato di nuovo con Dekanozov esponendogli tutte le difficoltà materiali che il perdurare all'infinito di questo stato di armistizio crea per il governo e per il popolo italiano. Il governo italiano era, a causa delle strettoie dell'armistizio, che cambiavano di nome ma non di fatto, impotente a fare qualsiasi cosa per provvedere seriamente ai problemi più urgenti, ma era obbligato a portarne le responsabilità e sottoposto quindi ad una crescente perdita di credito. Avendomi egli accennato ironicamente al «fronte dell'uomo qualunque» gli ho detto che pur non avendo elementi diretti di giudizio, la qualifica di neo-fascismo che gli aveva

1 T. s.n.d. 11205/535 dello stesso 31 ottobre, non pubblicato.

2 T. 7704/c. del 14 ottobre, non pubblicato: conferenza stampa di Parri dell'Il ottobre: T. 8318/c. del 28 ottobre, non pubblicato: intervista concessa da De Gasperi al Giornale del Mattino, apparsa sul numero del 23 ottobre.

dato la rivista «Tempi Nuovi» mi sembrava esagerata, ma che era certamente una manifestazione di questo crescente distacco delle masse dal governo e che, su questa base, un vero neo-fascismo poteva saltar fuori da un momento all'altro. Dekanozov ha fatto naturalmente le solite allusioni al corso dell'epurazione in Italia. Gli ho risposto che mi sembrava che da parte sovietica si esagerasse nelle critiche contro il corso dell'epurazione in Italia, ma che comunque epurare non bastava, bisognava andare alle radici ed impedire che si creasse da noi quell'atmosfera di sfiducia generale nel governo che, dopo l'altra guerra, aveva facilitato l'avvento del fascismo. Gli dovevo dire francamente che se si fosse voluto fare apposta per creare in Italia un'atmosfera favorevole al fascismo non si poteva immaginare di meglio che la politica seguita dagli Alleati in Italia, dall'8 settembre 1943 a questa parte.

-Ma cosa vuole insomma il governo italiano? -mi ha chiesto -non ho letto il discorso e l'intervista di cui lei mi parla.

-Nulla che il governo sovietico non sappia già, ho risposto. Ho continuato dicendogli che le decisioni di Potsdam confermate dalle dichiarazioni successive fatte dai tre governi incluso quello sovietico, ai rappresentanti italiani avevano dato la speranza, la certezza quasi, che la pace con l'Italia sarebbe stata conclusa al più presto: con la pace sarebbe cessato l'armistizio e con questo tutte le restrizioni alla nostra sovranità sia all'estero, sia all'interno. A Londra le tre grandi Potenze non erano riuscite a mettersi d'accordo per questioni che in realtà non avevano niente a che fare con il trattato di pace con l'Italia: sono questioni gravi, complesse; ci vuole del tempo e della pazienza per poterle risolvere. L'Italia, almeno quanto tutto il resto dell'umanità, è interessata a che le grandi Potenze vivano fra di loro in pace e buona armonia; se per arrivare a questo bisogna procedere con calma, l'Italia è pronta a capirlo e non vuole affrettare il processo. Ma ritiene di aver diritto a che si tenga conto di una situazione che ora dura da più di due anni e che minaccia di prolungarsi per parecchio tempo ancora: chiede quindi che, in mancanza di una pace definitiva, le si conceda di concludere una pace provvisoria che le consenta di uscire da una situazione di minorazione internazionale o per lo meno una modificazione dell'armistizio che abolisca le clausole più giugulatorie e sopprima tutta quella folla di commissioni e di sottocommissioni che cambiano di nome, ma che continuano a non permettere al governo italiano qualsiasi movimento .

-La Russia fa parte solo della Commissione consultiva per gli affari italiani e non so che questa Commissione intervenga tanto negli affari italiani, ha detto Dekanozov.

-Non so quale sia la competenza della Commissione consultiva, ma credo anch'io che sia la meno noiosa, ho risposto.

-Noi non ci teniamo a restare in Italia, siamo pronti ad andarcene anche domani. Il signor Parri ha chiesto la pubblicazione dell'armistizio. Chi è che non lo vuole pubblicare, gli italiani o gli Alleati?

-Non lo so: dal momento che il presidente del Consiglio ne chiede la pubblicazione, dovrei dedurre che non è in nostro potere di farlo, almeno da soli.

Ritornando all'argomento centrale ho chiesto a Dekanozov di volermi dire chiaramente se era vero che il governo sovietico era contrario alla conclusione di una pace provvisoria coll'Italia.

Il mio interlocutore ha cominciato col dirmi che l'U.R.S.S. fin da prima della Conferenza di Potsdam, consultata dai suoi alleati, si era dichiarata pronta, senza alcuna obiezione, a dare alla conclusione del trattato di pace con l'Italia la precedenza su tutti gli altri. Il trattato italiano era al numero uno dell'ordine del giorno della Conferenza di Londra. In questo trattato bisognava distinguere due parti: una le questioni specificatamente italiane: prima la questione della frontiera italo-jugoslava e per questo era stato deciso di attendere il referto di esperti inviati sul posto.

-Ma quale è la funzione di questi esperti, ho chiesto, vanno essi sul posto con piena libertà di azione di vedere, riferire e fare delle proposte o debbono essi verificare se una determinata proposta corrisponde o meno alla linea etnica?

-Si capisce che una proposta c'è, altrimenti il lavoro degli esperti potrebbe durare degli anni, ha risposto. -Ma c'è già più materiale sulla frontiera italo-jugoslava che su qualsiasi altra zona di frontiera al mondo.

-Non tutti considerano questo materiale come sufficientemente probatorio.

-Lei mi dice che c'è già una proposta: sono tutti d'accordo su questa proposta?

-Questo non sono autorizzato a dirglielo: lei capisce da sé, però, che se tutti fossero d'accordo non ci sarebbe bisogno di inviare degli esperti sul posto: però si è sufficientemente d'accordo perché il lavoro degli esperti abbia dei limiti.

Continuando la sua esposizione, Dekanozov mi ha detto che la seconda questione era quella delle colonie; si trattava prima di decidere se le colonie dovessero essere lasciate all'Italia, nel caso contrario cosa se ne fa: anche questo era stato rinviato all'esame dei delegati. Ma oltre a queste questioni particolari, il trattato di pace deve contenere anche un certo numero di questioni per le quali, il trattato con l'Italia essendo il primo, bisogna stabilire un minimo di accordo sulle linee generali che debbono essere applicate a tutti i paesi ex-nemici. È per questo che il trattato di pace con l'Italia non può essere considerato del tutto indipendentemente dagli altri: su questo punto tutti e tre gli Alleati si sono trovati subito d'accordo. Ecco perché non si può andare avanti col trattato di pace con l'Italia fino a che non si è raggiunto un certo accordo su alcuni principi che debbono essere applicati anche agli altri.

-Tutto questo lo capisco perfettamente, ho risposto, quello che non arrivo a capire è per quali ragioni il trattato di pace con l'Italia debba essere connesso con la questione del riconoscimento dei governi rumeno e bulgaro.

-È semplicissimo, ha detto Dekanozov. Alla conferenza di Crimea i «Tre» si sono impegnati ad introdurre nei paesi liberati ex-nemici dei governi democratici: si tratta ora di stabilire in base a quali criteri un governo deve essere riconosciuto come democratico.

-Ma cosa c'entra il governo italiano? Se il governo sovietico lo ha riconosciuto dal marzo 1944: da allora in poi il governo italiano non è certo divenuto un governo meno democratico.

-Se noi non lo considerassimo democratico gli avremmo tolto il nostro riconoscimento, ma noi riconosciamo come democratici anche i governi rumeno e bulgaro: gli anglo-americani no e si rifiutano, per questo, di concludere la pace con loro. Quando li abbiamo richiesti perché non li considerino come democratici e ci hanno dato le loro ragioni, abbiamo osservato che in base a questo criterio, nemmeno il governo italiano può essere considerato come democratico.

-La pregherei allora di dirmi chiaramente: la questione della pace con noi è per il governo sovietico collegata con· il riconoscimento anglo-americano dei governi bulgaro e rumeno?

-Si, in quanto non si può andare avanti con la conclusione del trattato fino a che non si è trovata una formula, accettata da tutti e tre, per definire quando è che un governo è definito democratico.

-Ossia non si farà il trattato di pace con l'Italia fino a che gli anglo-americani non avranno riconosciuto i governi bulgaro e rumeno. -Lei mette la cosa sotto un'altra formula che io non posso accettare: le ho già detto quale è il pensiero del governo sovietico, mi pare che sia abbastanza chiaro. -La prego allora di dirmi chiaramente un'altra cosa; il governo sovietico accetterebbe di procedere alla conclusione di una pace provvisoria con l'Italia?

-Non ci è stata fatta una proposta simile dagli anglo-americani.

-E se fosse fatta?

Dekanozov mi ha allora detto che il governo sovietico era perfettamente al corrente delle difficoltà della situazione italiana: esso ne è informato periodicamente e coscienziosamente dal signor Kostylev. Esso comprende, quindi, perfettamente il desiderio e la domanda del governo italiano. Però noi dobbiamo renderei conto che ad eguali difficoltà vanno incontro gli altri Stati ex-nemici, i quali continuamente domandano al governo sovietico di aiutarli ad uscire dalla loro attuale situazione. Anzi la loro posizione è, sotto certi aspetti, più grave perché mentre il governo sovietico non boicotta il governo italiano, l'Inghilterra e l'America boicottano degli altri Stati ex-nemici.

Gli ho risposto che doveva ben capire che se il governo sovietico poteva guardare le cose ·sotto un punto di vista d'insieme, noi dovevamo guardarle dal solo punto di vista italiano. Noi ritenevamo che avessimo diritto a non essere trattati come tutti gli altri. Il signor Vishynsky mi aveva detto esplicitamente che una grande Nazione come l'Italia aveva diritto a particolari riguardi: io non volevo mettermi su questo piano: l'Italia però si era rivoltata contro i tedeschi ed il fascismo in ben altra situazione che i bulgari e i rumeni: questo suo anticipo lo aveva pagato caro. Se l'Italia avesse aspettato il crollo completo dei tedeschi, almeno sul suo settore del fronte, oggi si troverebbe a fronteggiare una parte minima delle distruzioni e delle devastazioni a cui è andata incontro. Questo solo ci sembrava un argomento di cui valeva la pena di tenere conto.

Dekanozov si è limitato a ripetere che le difficoltà a cui vanno incontro gli altri Stati per la mancata conclusione della pace non sono minori delle nostre. -Ne devo allora concludere, ho detto, che l'U.R.S.S. si oppone alla conclusione di una pace provvisoria con l'Italia?

-No. L'U.R.S.S. si oppone ad una pace provvisoria solo con l'Italia. Se il governo italiano riesce a persuadere i governi inglese ed americano ad accettare il principio di una pace provvisoria pure con gli altri, siamo pronti a fare una pace provvisoria con l'Italia anche subito. Intanto io vi consiglierei di chiedere agli anglo-americani la modificazione dell'armistizio: ciò è quello che importa; una volta fatto questo non avete difficoltà ad aspettare. Perché il governo italiano ci tiene tanto alla pace provvisoria?

-Lei deve comprendere che è una questione soprattutto morale. La pace provvisoria ci restituirebbe la nostra personalità internazionale, ci permetterebbe di entrare nelle Nazioni Unite, finirebbe questo stato antipatico in cui noi siamo amici

o nemici secondo che fa comodo.

-Ancora le Nazioni Unite. Il governo italiano si occupa troppo di questioni di puro prestigio e troppo poco di questioni concrete; ripeto il mio consiglio: cercate di ottenere la modifica dell'armistizio.

-Posso dedurre che l'U.R.S.S. è favorevole ad una modifica anche sostanziale dell'armistizio? -Perché le hanno detto anche qui che non possono far niente poiché la Russia si oppone? -Non mi hanno detto niente: chiedo soltanto se il governo sovietico è o no favorevole ad una modifica dell'armistizio? -Gli anglo-americani hanno portato tante modifiche all'armistizio italiano senza nemmeno informarcene: possono benissimo continuare a farlo.

-Lei continua a non volermi rispondere.

-L'U.R.S.S. ha riconosciuto, per quanto concerne l'Italia, la preponderanza degli interessi anglo-americani in quanto connessi colla loro zona di operazioni. L'armistizio è un fatto militare, è giusto che chi ha il comando e la preminenza militare in una determinata zona, abbia anche una voce preminente per tutto quello che concerne l'armistizio. Quanto alla sua domanda mi trovo in difficoltà a darle una risposta perché non so quali modifiche precise il governo italiano desidera.

-Non lo so nemmeno io anche se posso immaginarmelo. Se vuole posso chiederlo e farglielo sapere al più presto.

-Grazie. Ma non è questa la cosa più importante. Come le ho detto, la questione italiana essendo preminentemente cosa anglo-americana, non spetta a noi avanzare delle proposte. Le potrò rispondere solo se noi saremo consultati in proposito dai nostri alleati. Lei sa quali sono le loro intenzioni?

-So soltanto che la questione è allo studio.

-Fino ad ora non ci è stata fatta nessuna proposta; se verrà, vedremo.

-Ma se verranno delle proposte concrete, in linea generale, quale sarà l'at

teggiamento del governo sovietico?

-Se la modifica dell'attuale strumento di armistizio non deve costituire un pretesto per coprire una pace provvisoria, credo di poterle dire che da parte sovietica non si faranno difficoltà. Creda pure, se l'armistizio italiano non sarà modificato, non sarà certo per colpa nostra.

Come V.S. può rilevare, nel corso della presente conversazione Dekanozov ha mantenuto il punto che per la questione della nostra frontiera colla Jugoslavia, gli esperti dovrebbero esaminare in quanto certe proposte corrispondano o meno al criterio etnico. Ha solo modificato le sue precedenti affermazioni in quanto ha ammesso che non tutti erano d'accordo: questo tutti può significare sia la Jugoslavia che la Russia e può anche significare che ci siano state varie proposte di soluzione.

Dekanozov ha anche ammesso, ciò che fin qui i russi si erano sempre rifiutati di fare, e non solo con me, la connessione fra la conclusione della pace con noi e il riconoscimento dei governi bulgaro e rumeno. In forma egualmente non equivoca mi ha confermato la netta opposizione sovietica alla conclusione di una pace provvisoria con noi a meno che non si faccia lo stesso con tutti gli altri. Tutte cose; queste, assai poco consolanti per noi, anche se niente affatto nuove.

Ritengo invece Dekanozov sincero quando mi ha detto che la Russia non intende opporsi ad eventuali proposte anglo-americane tendenti a modificare· l'attuale strumento di armistizio. Sostenendo che l'armistizio italiano è sopratutto una questione anglo-americana, la Russia sostiene con ciò stesso che tutti gli altri armistizi orientali sono mÌa questione russa; egualmente sostenendo la tesi che essa, finché non si tocca la questione della pace provvisoria, non ha ragione di opporsi a proposte, anche radicali, di modifica dell'armistizio italiano essa sostiene il suo diritto a portare, eventualmente, agli armistizi orientali le modifiche che essa ritiene opportune senza che gli anglo-americani abbiano niente da dire; ossia nell'un caso come nell'altro, essa sostiene un interesse suo. Credo pure esatto che, nel passato, gli anglo-americani abbiano apportato qualche modifica all'armistizio italiano senza consultare la Russia. All'epoca delle note dichiarazioni Macmillan 1 , ho avuto occasione, parlando con varia gente, da Molotov in giù, di segnalare che queste modificazioni erano svalutate da una serie di se e di ma, non pubblicati. La sorpresa sovietica e la curiosità di conoscere la portata vera delle modifiche Macmillan mi sono sembrate genuine. Del resto, anche in questo caso, la Russia, chiudendo un occhio sulla libertà che gli anglo-americani si permettevano in Italia, si riservava il diritto di esigere che essi facessero altrettanto nella sua zona. Per cui mentre, ripeto, in materia di pace, sia provvisoria che definitiva, gli anglo-americani non possono realmente far nulla senza il consenso della Russia, consenso che possono ottenere solo a certe determinate condizioni che esulano dagli affari nostri, in tema di modifiche all'armistizio, essi possono, più o meno, fare quello che vogliono.

653

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1007/463. Mosca, 31 ottobre 1945 (per. il 14 novembre).

Mi riferisco al mio telegramma sullo stesso argomento 2 .

Ritengo opportuno segnalare a V.S., per esteso, una conversazione a tre, fra l'ambasciatore jugoslavo, Vyshinsky e me, che ha avuto luogo nel corso di un ricevimento all'ambasciata di Cecoslovacchia.

L'ambasciatore di Jugoslavia mi è venuto incontro, molto cordialmente, chiedendomi se avevo avuto risposta dal mio governo circa le nostre proposte di cui al mio rapporto n. 954/429 del 20 ottobre 19453 . Gli ho risposto che purtroppo non avevo ancora risposta, ma che questo non mi meravigliava. La questione non era di piccola importanza e probabilmente V.S. aveva dovuto consultare in proposito i suoi colleghi di Gabinetto. Gli ho chiesto poi se lui avesse avuto risposta da Belgrado e la sua risposta è stata un capolavoro: «Non ho avuto nessuna risposta, ma so che se il governo italiano accetta, anche il governo jugoslavo accetterà».

Mentre stavamo parlando si è avvicinato Vyshinsky il quale mettendoci la mano sulle spalle ha detto: «Vedo con piacere che ci sono a Mosca due amici di più».

l Vedi D. 68. 2 T. s.n.d. 11206/536, pari data, non pubblicato. 3 Vedi D. 632.

Popovic: «L'ambasciatore d'Italia ed io siamo infatti diventati ottimi amici». Io: «Abbiamo avuta una lunga conversazione, ci siamo parlati amichevolmente, ma francamente ed abbiamo fatto ai nostri governi delle proposte per un primo contatto diretto che spero porterà qualche frutto».

Vyshinsky: «Lo so. L'ambasciatore jugoslavo ha messo al corrente il commissario della loro conversazione e me ne sono molto rallegrato. L'U.R.S.S. non ama essere chiamata a risolvere di autorità questioni territoriali tra due Stati amici "che desidera siano amici"; preferisce molto che tali questioni siano risolte a mezzo di intese dirette fra gli interessati. Nulla ci sarebbe più gradito che di vedere l'Italia e la Jugoslavia trovare direttamente una soluzione della controversia di frontiera».

Io: «Da parte italiana la buona volontà non è mancata: ho fatto due volte dei tentativi in questo senso e lei lo sa benissimo».

Popovic: «Non capisco come sia che le sue conversazioni con Simic e con Nikolaevic non siano pervenute a Belgrado».

Vyshinsky: «Siamo ancora in tempo; (rivolto a me e ridendo) decidetevi una buona volta a lasciare Trieste alla Jugoslavia e la vostra amicizia sarà basata su fondamenta incrollabili».

Io: «Può essere vero per la Jugoslavia, ma non credo che sarebbe così per l'Italia; per conto mio preferisco tenermi alla soluzione Molotov: lasciare all'Italia. quello che è italiano ed alla Yugoslavia quello che è slavo».

Popovic: «Ho inteso che alla commissione degli Affari Esteri è stato discusso il problema di Trieste ed è stato detto che bisogna riconoscere che gli italiani di Trieste preferiscono l'unione federativa con la Jugoslavia».

lo: «Che commissione degli Affari Esteri?».

Popovic: «Della riunione, come si chiama?». Io: «Ho capito, la Consulta. Non lo so, non ho inteso: può essere che qualcuno abbia parlato in questo senso, ma certo molti altri hanno parlato in senso contrario. C'è molta gente, in molte parti del mondo, che asserisce di esprimere l'opinione del popolo: la difficoltà è quella di sapere quello che il popolo vuole realmente».

Vyshinsky: «Questo è vero, ma come si fa a sapere la vera opinione del popolo?». Io: «Sono forse retrogrado, ma io ho confidenza in mezzi antichi e provati: per me non c'è mezzo migliore che un plebiscito fatto sul serio».

Vyshynsky: «Lei vorrebbe risolvere la questione italo-jugoslava con un plebiscito?». Io: «Personalmente io desidero che la questione delle nostre frontiere sia risolta in maniera da lasciare il meno possibile di recriminazioni da una parte e dall'altra: secondo me non ci sono che due mezzi, o un'intesa diretta tra i due Paesi, su basi tali che gli elementi ragionevoli da una parte e dall'altra, e che iri Italia almeno sono la maggioranza, riconoscano che si è proceduto secondo una ragionevole equità, o un plebiscito fatto con tutte le necessarie garanzie. La cessione di Nizza alla Francia ha avuto come oppositore Garibaldi; pure nemmeno al governo fascista è mai riuscito a fomentare un irredentismo verso la Francia perché l'opinione pubblica italiana si rendeva conto che c'era stato un plebiscito libero ed inequivocabile».

Popovic: «È così difficile tenere un plebiscito che possa dare dei risultati sicuri».

Io: «Ci sono stati dopo l'altra guerra dei plebisciti che sono stati tenuti con tutte le possibili garanzie».

Popovic: «Il plebiscito della Carinzia meridionale è stato falsato».

Io: «Se si comincia a dire che ogni plebiscito che non dà i risultati che s1 sperano è falsato non si va più avanti».

Vyshinsky: «È impossibile fare un plebiscito in maniera che ci siano garanzie sufficienti che assicurino che non si abbiano delle pressioni indebite. Io preferisco il sistema delle trattative dirette: continuate per la strada in cui voi due vi siete messi e insistete, insistete presso i vostri governi perché accettino».

Popovic: «lo sono sicuro che il mio governo accetterà».

Io: «Anch'io. Del resto il governo italiano ha mostrato di non desiderare altro. Però per arrivare ad una soluzione soddisfacente bisogna che tutte e due le parti siano pronte a riconoscere il punto di vista dell'altra e a fare i necessari compromessi. Se una parte, quella del mio amico, continua a volere tutto non si arriva a nulla».

Vyshinsky: «lo ripeto che la Russia non desidera altro che di poter dire al tavolo della Conferenza: "Italia e Jugoslavia si sono messe d'accordo direttamente, bisogna rispettare le loro decisioni"».

Io: «Non bisogna aver fretta, come non ne avete voi fra grandi Alleati. Io credo che la prima proposta del governo italiano sia stata ragionevole. Bisogna prima creare fra i due Paesi, eleminando le questioni più piccole e più facili a risolvere, chiarendo malintesi, un'atmosfera di fiducia, di amicizia e di comprensione. Se si arriva a questo risultato non ci sono questioni impossibili a risolvere. Guardi le nostre questioni con la Francia: sembravano chissà cosa; si è creata l'atmosfera necessaria e le questioni si sono ridotte a niente».

Vyshinsky: «Credo che lei abbia ragione».

Popovic: «Anch'io, ma ci vorrà del tempo».

Io: «Lo so, ma per me, se ci mettiamo per questa via credo che ci potrebbe convenire anche arrivare alla pace rimandando la soluzione della frontiera a un periodo ulteriore».

Vyshinsky: «Se tutti e due siete d'accordo, non sarà certo l'U.R.S.S. ad opporsi a questo rinvio. Aspetto ora che mi veniate a dire che le conversazioni dirette fra i due Paesi hanno cominciato. L'importante è rompere il ghiaccio: abbiamo tante questioni tra Alleati che se ce ne levate di mezzo una ve ne saremo grati».

Avevo già avuto l'impressione che all'inattesa avance dell'ambasciatore jugoslavo non fosse stato estraneo l'intervento sovietico; questa conversazione me l'ha confermato. I russi, come ho già detto, debbono aver pensato che, rifiutandosi gli jugoslavi di rispondere ai nostri approcci ed i russi di esercitare un'amichevole pressione nel senso da noi richiesto, si erano messi dalla parte del torto. Vyshinsky, da parte sua, con questo suo casuale intervento in una conversazione di salotto, si è messo in grado di dire, se mai, a noi, o anche agli altri Alleati, che l'U.R.S.S. ha consigliato all'Italia ed alla Jugoslavia di mettersi d'accordo direttamente: il che è in un certo senso più che consigliare la ripresa delle relazioni diplomatiche. Così i russi sono, si dice, a posto 1•

Attiro l'attenzione di V.S. su quello che, secondo l'ambasciatore di Jugoslavia, sarebbe stato detto alla commissione degli Affari Esteri della Consulta, che cioè gli italiani di Trieste vogliono l'unione federativa alla Jugoslavia. Vero o no poco importa. V.S. sa, e mi scusi se ci ritorno ancora, che l'affermazione di Molotov, che quello che è italiano deve restare all'Italia, non mi persuade. Qualche trucco ci deve essere, e non vedo chiaro dove. Mi viene fatto di domandarmi, quindi, se il trucco non sta proprio qui. Cosa succederebbe se l'esperto, o gli esperti russi, tornassero indietro dicendo: «è esattissimo, la popolazione di una certa parte dell'Istria è italiana, ma essa desidera di unirsi alla Jugoslavia federale, come unità federale e dei desideri dei popoli si deve tenere conto, altrimenti dove va a finire la Carta Atlantica?» Tutta la questione, anche quella di Trieste, potrebbe in questa maniera venire riaperta e trasportata su di una base dove chi ci si raccapezza è bravo. Già dal punto di vista etnico la Venezia Giulia è un bel pasticcio, ma almeno lì si sa dove si sta: se ci si mischia dentro il desiderio dei popoli, tutto diventa ancora più ingarbugliato. Per questo ho ritenuto necessario attirare la particolare attenzione di V.S. su questo punto, poiché sarebbe bene vedere, anche con gli anglo-americani se possibile, cosa si può fare per controbattere questa manovra, se essa dovesse aver luogo.

Per conto mio ho cercato di rispondere subito lancianto l'idea del plebiscito. Sapevo bene con ciò di non interpretare il suo pensiero, ma prima di tutto ho parlato a titolo personale; poi, le circostanze speciali della conversazione tolgono ad essa ogni più lontano carattere impegnativo. Facendo questo ho voluto avere una riprova -e l'ho avuta -che Russia e Jugoslavia, come supponevo, non vogliono sentir parlare di plebiscito: inoltre ho voluto, e spero di esserci riuscito, far nascere il sospetto che noi potremmo rispondere ad un eventuale tentativo russo-jugoslavo di sollevare la questione della volontà della popolazione, avanzando la non gradita proposta del plebiscito.

In realtà, pur rendendomi conto delle giuste ragioni che V.S. obietta contro il plebiscito, per i suoi riflessi sulla questione alto-atesina, qualora, realmente, i russi sollevassero la questione della volontà delle popolazioni, non vedo altra maniera di controbatteria che ripiegando sull'idea del plebiscito, tanto meglio se saranno gli stessi anglo-americani a farlo. Delle due l'una: o di fronte a questa alternativa, che non piace, la Russia cambia le basi di discussione e allora dobbiamo ritornare sul terreno etnico; o la Russia insiste e allora non riesco a vedere altra soluzione che quella di metterla alla prova. Mi rendo conto che, a parte le ragioni suesposte, noi possiamo avere delle ragioni di pensare che effettivamente, per ragioni di politica interna, ci possano essere alcuni settori della popolazione italiana realmente favorevoli all'unione con la Jugoslavia. Dato che abbiamo del tempo, mi sembra sarebbe il caso di studiare seriamente, sul posto, quale e quanta possa essere questa sezione della popolazione italiana e, di converso, studiare anche, seriamente, se quali e quanti degli elementi slavi, sempre per ragioni di politica interna, possano, in caso di plebiscito, preferire di restare sotto l'Italia.

1 Per le istruzioni di De Gasperi vedi D. 697.

654

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, REALE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 251/88. Varsavia, 31 ottobre 1945 (per. il 14 novembre).

Il 25 scorso sono stato ricevuto dal presidente del Consiglio Osobka-Morawski che non ero riuscito ancora a vedere a causa dei suoi molti impegni e soprattutto dei suoi frequenti viaggi.

Il colloquio è stato molto cordiale e la conversazione si è aggirata sui più diversi argomenti. Ho esposto al presidente le condizioni attuali dell'Italia, la nostra situazione politica ed economica, i problemi della pace e della ricostruzione, le direttive della nostra politica estera. Su domanda del mio interlocutore ho illustrato al presidente i programmi dei sei partiti che partecipano al governo, la legislazione per la punizione dei delitti del fascismo, l'origine e il funzionamento dei comitati di liberazione.

Dopo aver ascoltata una mia breve esposizione delle prospettive di collaborazione economica fra i due Paesi e dello stato attuale delle trattative commerciali, Osobka-Morawski mi ha parlato della lotta di liberazione del popolo polacco, dell'organizzazione clandestina delle forze della resistenza, della formazione del comitato di Lublino e del governo provvisorio.

A proposito della politica estera della Polonia, il presidente mi ha detto che essa ha come fondamento la più stretta amicizia con l'Unione Sovietica. Il popolo polacco non dimenticherà mai che deve la sua liberazione all'armata rossa, che milioni di russi sono morti per la libertà del mondo, che è stata l'U.R.S.S. a battersi a fondo a Potsdam per far riconoscere il governo polacco dalle altre Potenze e per assicurare alla Polonia le attuali frontiere occidentali. L'amicizia verso l'Unione Sovietica non esclude, anzi comporta, una stretta e cordiale amicizia con le due grandi alleate della Russia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America, la cui collaborazione è più che mai necessaria alla pace nel mondo. Con la Francia e con l'Italia la Polonia ha vecchie e tenaci tradizioni di amicizia, mentre al mondo slavo la uniscono ragioni sentimentali e comunità d'interessi. Il presidente ha condannato poi la proposta di un «blocco occidentale» propugnata da Blum, blocco che non potrebbe non acquistare un netto significato antirusso. La Polonia non vuole blocchi né occidentali né orientali, ma una politica di collaborazione tra tutte le nazioni per il mantenimento della pace e per il trionfo della giustizia. Il presidente mi ha esposto in ultimo la politica interna del suo governo che è fondata sulla lotta contro il fascismo e la reazione, sul miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, sull'attribuzione della terra a chi la lavora, sulla nazionalizzazione delle banche, dei trasporti e della grande industria. «Anche se questo programma non piacerà a qualche nazione -ha concluso il presidente -noi continueremo lo stesso per la nostra strada e lo applicheremo ugualmente. In casa nostra non vogliamo padroni, vogliamo comandar noi, vogliamo fare la politica che ci piace».

Nell'ultima parte della nostra conversazione (la quale è durata dalle 13 alle 14,45) abbiamo parlato della ricostituzione dell'Internazionale e dell'atteggiamento del partito socialista polacco su tale questione. Il P.P.S. (che ha tenuto il suo congresso nazionale nei primi giorni di settembre e che ne avrà un altro in aprile per l'approvazione del nuovo statuto) si è già pronunciato per la costituzione di una sola Internazionale dei lavoratori ed aspira ad essere il partito -sono le sue parole -«che farà da ponte fra i partiti d'oriente e quelli di occidente».

Nel congedarmi ho assicurato Osobka-Morawski che il popolo italiano, anch'esso duramente provato dal fascimo e dalla guerra, segue con vivo interesse gli sforzi della Polonia per la sua ricostruzione e per il consolidamento del regime democratico che essa si è data. Dal canto suo il presidente del Consiglio mi ha espresso tutta la sua simpatia per il nostro paese e la riconoscenza del suo governo per la rapidità con la quale l'Italia riconobbe, fra le primissime nazioni, il governo di Varsavia. «Italia e Polonia -egli ha concluso -hanno di fronte a loro grandi compiti ai quali esse sapranno assolvere nel loro interesse ed in quello più generale del mantenimento della pace nel mondo».

Accludo alcuni cenni biografici di Osobka-Morawski 1 .

655

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 4706/3338. Londra, ] 0 novembre 1945 (per. 1'8).

Mio telegramma n. 730 del 29 ottobre u.s. 2•

Ho l'onore di rimettere qui accluso in copia l'appunto in data 28 ottobre scorso, rimessomi da sir Alexander Cadogan durante il colloquio del giorno seguente.

Come V.E. rileverà esso tratta tre delle più importanti questioni sulle quali avevo precedentemente avuto l'occasione d'intrattenerlo.

l) Viene prospettato il punto di vista britannico di fronte alla possibilità di una modifica dei termini armistiziali:

a) si fanno presenti le difficoltà da superare per conseguirla, come quelle che si oppongono, nel momento presente, alla stipulazione di un trattato di pace provv1sona;

b) si prospetta l'opportunità di addivenire alla pubblicazione dei termini di armistizio accompagnati da una nota esplicativa.

2) Alla nostra richiesta per un sollecito ritiro della Commissione Alleata, di cui per motivi tecnici verrebbe rinviato l'integrale accoglimento, verrebbe corrisposto in misura considerevole attraverso la riduzione delle proporzioni e della competenza della Commissione stessa.

I Non si pubblicano. 2 T. s.n.d. 1113ln30, non pubblicato.

3) Malgrado esso contempli riconoscimento e soddisfazione, sia pure in misura limitata, del nostro debito di guerra, il nuovo accordo commerciale con la Svizzera incontrerebbe in definitiva il consenso britannico.

Ad iniziativa del governo britannico è stata intanto disposta la rimozione delle restrizioni in materia di corrispondenza commerciale ed è stata aperta per gli uomini d'affari dei due paesi la frontiera italo-svizzera.

Come noto a V.E. avevo fatto più volte presente a Cadogan che, mentre il Dipartimento di Stato era sempre stato largo d'informazioni al nostro ambasciatore a Washington, poco o nulla ero riuscito a sapere dal Foreign Office sulle intenzioni del governo britannico nei nostri confronti. Non avevo mancato di fargli più di una volta presente come questa eccessiva riservatezza da parte britannica avrebbe inevitabilmente contribuito a dar credito alla supposizione che ogni favorevole iniziativa partisse dagli Stati Uniti, mentre gli inglesi si sarebbero tutt'al più fatti rimorchiare da Washington, quando non ne avessero addirittura osteggiato le proposte.

Ad onta delle esitazioni ed inevitabili riserve che contiene, con quest'appunto, che mi è stato consegnato a titolo personale e non rappresenta quindi un documento ufficiale, il sottosegretario permanente sembra abbandonare la linea seguita sin qui e rivela tra l'altro comprensione e simpatia di cui avevamo avuto prove soltanto indirette e circondate comunque da cautele di ogni sorta. È ad esempio sintomatica la rivelazione che era stato il governo britannico a suggerire sin dal gennaio 1945 agli Stati Uniti la convenienza di addivenire alla pronta stipulazione della pace con l'Italia non appena fossero cessate le ostilità con la Germania. Voce, purtroppo non confermata, di queste intenzioni britanniche era pervenuta a suo tempo a questa rappresentanza ed era stata segnalata all'E.V. con telegramma n. 16 del 17 gennaio scorso 1•

Con notevole franchezza si allude anche allo stato dei rapporti fra i «Tre Grandi» -e conseguenti difficoltà -allorquando vien fatto osservare:

a) che la stipulazione di un trattato con l'Italia da parte anglo-americana potrebbe indurre il governo sovietico a procedere analogamente nei confronti della Romania e degli Stati ex satelliti della Germania;

b) che la conclusione di accordi separati con l'Italia potrebbe essere interpretata come rottura definitiva della collaborazione fra i «Tre Grandi».

Mi sembra quindi in definitiva che l'accluso documento rappresenti un primo atto concreto di collaborazione diplomatica con l'Italia da parte del Foreign Office, il quale, mentre conferma le sue buone disposizioni nei nostri confronti, sembra fare appello alla nostra comprensione se ci potrà soltanto essere offerta soddisfazione parziale delle nostre fondate pretese.

È un vecchio principio, che occorre saper aspettare quando si tratta con gli inglesi, i quali -è altrettanto noto -sono lenti a riflettere e molto restii a prendere delle decisioni se non vi sono costretti dagli avvenimenti. A noi toccherà probabil

l T. 324/16, non pubblicato.

mente pazientare ancora; ma intanto, sia per la forza degli argomenti prospettati da Roma ed illustrati anche da qui, sia perché gli eventi ne sospingono, sia, forse più ancora, perché, a quanto si dice da ogni parte, stiamo dando prove non dubbie di rinnovamento e di ripresa, qualche cosa sembra stare per accadere che ci dovrebbe far guardare alla futura posizione dell'Italia con una prospettiva più ottimistica che nel passato.

Sono convinto che le amichevoli disposizioni di Bevin, di cui si direbbe che sentiamo i primi effetti, influiranno notevolmente ad appianarci la via; e l'ambiente stesso del Foreign Office, come in genere l'opinione pubblica britannica non tarderanno a considerarci con minore diffidenza. Perché si possa progredire in questa direzione occorre naturalmente che non abbiano a sopraggiungere complicazioni di carattere più vasto e che facciano nuovamente passare in seconda linea la questione italiana.

Vengo ora informato da fonte sicura che l'assistente segretario di Stato signor Dunn è stato messo al corrente del mio colloquio con Cadogan e che dal Foreign Office gli è stata pure rimessa copia del memorandum di cui si tratta. Vedrò _oggi Dunn e cercherò di sapere che ne pensa, per quanto la cosa debba verosimilmente essere ancora discussa a Washington. Mi pare comunque da sottolineare una volta di più come i due governi mostrino di voler procedere di pari passo nei nostri confronti, ciò che fa pensare alla possibilità che siano aperti a benefiche influenze reciproche.

ALLEGATO

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA, CADOGAN, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

MEMORANDUM RISERVATO. Londra, 28 ottobre 1945.

His Majesty's Government understand that Signor Parri has expressed a desire to see the armistice regime in Italy terminated and replaced by agreements between the Italian Government on the one hand and His Majesty's Government and the United States Government on the other. This agreement would supposedly lighten the burdens imposed upon Italy while guaranteeing the rights of the Allied forces in ltaly. Signor Parri's request appears to be based on the assumption that the conclusion of a peace treaty between ltaly and the Allies will be considerably qelayed.

His Majesty's Government well understand Italy's desire to regularise her international position. They would be glad for their part to see an end put to the state of war and to terminate a situation in which Italy's sovereignty is subject to certain limitations. Indeed as early as January 1945 they proposed to the United States Government that steps should be taken in concert with the other Allied Governments to conclude a treaty of peace with Italy as soon as possible after the end of the hostilities with Germany. Similarly His Majesty's Government have been in dose touch with the United States Government with a view to finding some means of giving satisfaction to Italy's legitimate aspirations pending the conclusion of a fina) peace treaty which, however, they continue to regard as the natural and proper solution of the problem.

Signor Parri's request therefore finds His Majesty's Government neither unprepared nor unsympathetic. Discussions with the United States Government on the lines suggested by Signor Parri have already begun. It would be wrong, however, to conceal the fact that Signor Parri's request presents certain difficulties in the field of international cooperation, which His Majesty's Government accordingly desire to piace frankly before the Italian Government.

l) The United Nations Declaration of January 1st, 1942, binds the Governments of the United Nations not to make a separate armistice or peace with the enemy.

2) As the Powers immediately responsible for the action of the Supreme Allied Commander, Mediterranean and the Allied Commission, His Majesty's Government and the United States Government have a duty to safeguard the interests of the other United Nations in Italy unti! the fina! peace treaty is signed.

3) If His Majesty's Government and the United States Government were to terminate the armistice and conclude a treaty with Italy, the Soviet Government might take similar action in regard to Roumania and the other ex-satellites of Germany.

4) T o conclude separate treaties with Italy might be regarded as a counsel of despair and tantamount to admitting the fina! break-down of cooperation between the Big Three.

Serious as these difficulties are, His Majesty's Government are seeking and will continue to seek a way to overcome them. At the same time it must be clearly understood that though they attach hig importance to the problem of Italy, the importance which they attach to the ideai of international cooperation is unquestionably of a stili higher arder. His Majesty's Government would not wish the Italian Government to be under any illusion on this score. It would of course be necessary in any temporary agreements wbich might be concluded to reserve for a fina! settlement a number of important questions relating inter alia to Italy's frontiers, the Colonies and the Italian fleet.

In tbe opinion of His Majesty's Government tbe harshness of the armistice regime tends to be exagerated in Italy, no doubt owing to ignorance as to the precise contents of the conditìons of the armistice, and that if this ignorance were to be dispelled it would perhaps bave a salutary effect. They are, therefore, considering, in conjuction with the United States, the suggestion that the armistice terms should be publisbed together with an explanatory statement showing that to a great extent they bave become obsolete tbrough the passage of time or bave been modified by Mr. Macmillan's memorandum to Signor Bonomi of the 24th February, 1945 1 , and subsequent communications. His Majesty's Government would not of course regard this expedient as finally disposing of the problem, but they consider that to explain the true facts would at least clarify the situation and to this extent would perhaps prove beneficiai.

Count Carandini has asked that the Allied Commission should be brought to an end at the earliest opportunity. This request presents the difficulties already referred to under (2) and (3) above. Meanwhile His Majesty's Government have proposed that a combined directive sball be sent to tbe Supreme Allied Commander instructing him to reduce the size of tbe Allied Commission and to curtail its activities. His Majesty's Government, however, deprecate any tendency to exaggerate the burden which the Allied Commission imposes on Italy eitber by its presence or by its activities. They believe that the assistance rendered by tbe Allied Commission in regard to tbe rehabilitation of Italy is fully appreciated by tbe Italian Government.

His Majesty's Government would like the Italian Government to know that they are generally in favour of Italy concluding commerciai and economie agreements with other countries on as advantageous terms as possible. In the particular case of tbe ltalian-Swiss agreement, to which Count Carandini has referred, an objection of principle arises since one provision of the agreement provides for the satisfaction of Italy's wartime debts to Switzerland. As the Italian Government are aware, it was the wartime policy of the Allied Governments to restrict neutra! trading with enemy States and they cannot, therefore, agree forthwith to approve measures which run counter to this policy. His Majesty's Government, however, trust that it will be possible to overcome the difficulty which has thus arisen. It will of course be understood that the attitude of His Majesty's Government in this respect has nothing whatever to do with their position as one of the Governments immediately responsible for the action ·or the Allied Commission. On the rest of the agreement His Majesty's Government have no comment to make.

1 Vedi D. 68.

In this connection it may be pointed out that at the instance of His Majesty's Government the Allied Commission has been instructed to remove ali restrictions on business correspondence including transactional correspondence between Italy and Allied and neutra) States and that His Majesty's Government are pressing for the opening of the Italian-Swiss frontier to business men of both countries.

656

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 11318n18. Washington, 2 novembre 1945, ore 8,25 (per. ore 9 del 3).

Suo 604 1 .

Dipartimento di Stato renderà pubbliche domani pomeriggio note quattro lettere V.E. indipendentemente da pubblicazione testo armistizio, che dovrebbe aver luogo sera martedì prossimo.

Ci è stato confermato che da lettera V.E. a Byrnes 2 è stata tolta nota frase relativa Tenda e Briga.

Pubblicazione lettere, mentre risponde principio generale attuale amministrazione americana contrario «diplomazia segreta» tende anche a dimostrare cordialità rapporti tra l'Italia e U.S.A. malgrado armistizio. Secondo pensiero Dipartimento, moderatezza punti di vista espressi in lettere presidente Parri e V.E. nonché fiducia manifestata verso U.S.A. non potrebbero che destare eco favorevole in opinione pubblica americana, la quale, d'altra parte, potrà stabilire nesso tra varie delle proposte delegazione U.S.A. alla Conferenza di Londra per pace con l'Italia e predetti riferiti punti di vista.

657

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. URGENTE 11422-11341/719-720. Washington, 2 novembre 1945, ore 9,08 (per. ore 9,20 del 4).

Mio telegramma 707 3 .

Al Dipartimento di Stato si è avuto oggi conferma che si conta fare pubblicazione testi armistiziali in serata sei corrente conformemente dichiarazioni

l Vedi D. 648. 2 Vedi D. 446. 3 Vedi D. 650.

fatte mercoledì scorso da Byrnes in conferenza stampa e trasmesse subito a Roma da agenzia.

Testi da pubblicare comprendono oltre armistizio lettera Eisenhower a Badoglio ed accordo circa utilizzazione nostra marina Cunningham-de Courten, comprese dichiarazioni di quest'ultimo 1• Verrà fatto pubblicare contemporaneamente «un commento» circa disposizioni armistizio che Alleati non hanno applicato o hanno rinunziato applicare, ecc. Stati Uniti ed Inghilterra informano Alleati rappresentati in Commissione consultiva per l'Italia del loro proposito pubblicare detti testi. È questa -si è appreso al Dipartimento di Stato -unica comunicazione che viene sino ad ora fatta alla Russia sul nostro armistizio, non essendosi ritenuto utile entrare in negoziati con Mosca sulla questione dato noto. punto di vista sovietico sulla necessità di analoghe concessioni a Stati balcanici.

In proposito sono state dichiarate senza fondamento notizie in contrario provenienti ieri da Londra e pubblicate anche da questi giornali circa negoziati con Russia in relazione ad una pace provvisoria con l'Italia. Dal Dipartimento si è aggiunto che è stata presentata al governo inglese da parte americana proposta di fare intervenire governo italiano, ove lo desideri, nella pubblicazione dei testi armistiziali e relativi nostri «commenti» che potrebbero essere così resi pubblici contemporaneamente a Washington, Londra e Roma. In tal modo Stati Uniti desidererebbero evidentemente marcare carattere consensuale pubblicazione. In attesa risposta inglese, sono state già inviate istruzioni a Kirk affinché esegua relativi passi presso il nostro governo non appena Charles abbia ricevuto istruzioni analoghe da Londra. Governo italiano verrà in ogni caso informato dai due ambasciatori della decisione presa di pubblicare armistizio 2•

658

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 4735/3362. Londra, 3 novembre 1945 (per. il 7).

Faccio seguito al mio telegramma n. 7423 .

Ieri pomeriggio sono stato ricevuto da Bevin e successivamente da Cadogan che ho intrattenuto su alcuni argomenti che non era il caso di introdurre nella conversazione con il ministro.

Il colloquio con Bevin si è svolto in un'atmosfera di singolare confidenza e interessamento.

Elezioni. Egli ha accolto con la sua rude simpatia i miei rallegramenti per la nuova vittoria laburista che si delinea nelle elezioni amministrative. L'ho informato

1 Vedi serie nona, vol. X, D. 757, serie decima, vol. I, DD. 15, 20, 21, 69, 73. 2 Vedi DD. 660 e 661. 3 T. s.n.d. 11334n42, pari data, non pubblicato.

dei concreti progressi che si sono fatti dal canto nostro nel campo della preparazione elettorale comunicandogli le date-limite che sono state fissate per la convocazione dei comizi amministrativi e politici. Gli ho fatto notare come questa concorde decisione del governo italiano ponesse fine allo stato di incertezza da lui lamentato e rappresentasse un passo decisivo verso la nostra normalizzazione democratica. Alla mia richiesta se egli considerasse ciò come una soddisfacente promessa e garanzia, mi ha risposto: «l am quite satisfied». Il tono, più che la concisa espressione, mi ha rivelato quale fosse il suo sollievo e quale la sincerità delle preoccupazioni che egli nutriva sotto questo particolare aspetto.

Carbone. Appena ricevuto il telegramma del presidente del Consiglio Parri relativo alla decurtazione delle forniture di carbone dall'America 1 , avevo scritto a Bevin una lettera segnalandogli i pericoli della situazione e pregandolo di voler considerare, prima del nostro prossimo incontro, il modo di avviarvi. Gli ho detto ancora che l'appello del presidente era diretto personalmente a lui quale uomo di lavoro particolarmente competente e sensibile a questo or,dine di concreti vitali problemi. Gli ho ricordato come le informazioni portategli da Brain circa la sorprendente ripresa dell'attività industriale nell'Alta Italia e le migliori prospettive sociali che con essa si aprivano, perdessero ogni significato di fronte a questa minacciata paralisi della energia motrice. Bevin mi ha confermato l'ottima impressione che avevano lasciato in lui le informazioni recate da Brain ed ha convenuto sull'estrema gravità del pericolo in questa fase particolarmente delicata e fragile della nostra ripresa. Mi ha assicurato che aveva preso a cuore la cosa la quale rientra nel quadro delle difficoltà in cui l'Europa è stata messa dalla cessazione del /end lease e dagli scioperi americani: difficoltà di finanziamento, di trasporti, di disponibilità di materie prime. Egli sta studiando coi suoi uffici ogni possibilità di risolvere il nostro caso con tutti gli altri casi connessi alla responsabilità inglese. Purtroppo la produzione mineraria britannica è ancora in piena crisi (tale da non soddisfare le esigenze interne) mentre la produzione della Ruhr va riprendendo con estrema lentezza sì che non c'è da farvi immediato né prossimo conto. Egli sta trattando col Sud Africa per vedere cosa se ne può trarre al massimo per noi. Prega però di non intervenire direttamente in questa trattativa per non pregiudicarne l'esito. Ci invita intanto a prendere immediato contatto col governo turco perché la Turchia è in condizioni di fornirci subito 25 mila tonnellate di carbone. È un quantitativo limitato ma è qualche cosa. Nel presentare la richiesta al governo turco sarà bene far notare che l'iniziativa è presa sotto gli auspici di Bevin ed in seguito ad assicurazioni che egli ha ricevuto.

Armistizio. Alla mia rinnovata esposizione delle nostre improrogabili necessità, ha risposto nel modo più esplicito assicurandomi che le conversazioni con Washington procedono e promettono di avviarsi ad una qualche sollecita conclusione. Alla mia osservazione che una semplice pubblicazione dell'armistizio avrebbe avuto un valore nettamente negativo se non accompagnata da un parallelo atto di cancellazione, egli mi ha dichiarato che il suo intendimento, nella impossibilità attuale di concludere la pace, era quello di giungere alla cessazione dello stato di guerra, perché si rendeva con me perfettamente conto che alla radice di tutte le nostre

T. urgentissimo 83211526 del 29 ottobre, non pubblicato.

difficoltà stava il fatto assurdo della nostra perdurante condizione di nemici. Non si nascondeva le difficoltà segnalatemi nel memorandum di Cadogan (di cui ho riferito telegraficamente e che accludo in copia integrale al presente corriere) l, ma mi è parso veramente deciso a trovare una via d'uscita. Il suo intendimento sarebbe di accompagnare la pubblicazione dell'armistizio con una dichiarazione che ne constatasse la pratica e ormai consumata decadenza, il che di fatto, se non giuridicamente, corrisponderebbe a sanzionare la cessazione dello stato di guerra. Quale esito avrà in pratica questa sua determinazione non oso affermare. Certo è che Bevin comprende come ognuno di noi le nostre esigenze e farà tutto quello che starà in lui per assicurarci la massima soddisfazione consentita dal complesso ordine di difficoltà in cui il nostro caso è coinvolto. Sotto questo aspetto considero ogni ulteriore pressione su di lui assolutamente superflua. Non resta che attendere, seguendolo attentamente, lo sviluppo di eventi al cui favorevole risolversi è stata ormai posta dal canto nostro ogni positiva premessa.

Ripresa Conferenza ministri Esteri. Alla mia ansiosa richiesta di informazioni circa le prospettive di una sollecita ripresa dei lavori della Conferenza di Londra, Bevin ha risposto che nulla di veramente nuovo è intervenuto su questo terreno nei rapporti fra russi e angloamericani. Ha soggiunto: «Aspettiamo le dichiarazioni che Stalin farà il 7 novembre». Gli ho accennato al nuovo ottimismo che Dunn mi aveva manifestato nel mio recente incontro 2 . Egli ha scosso la testa: «l am not so optimistic». Da alcune considerazioni che egli ha aggiunto debbo ritenere che il suo pessimismo non sia tanto rivolto alla possibilità di una ripresa dei lavori, quanto al tempo che occorrerà per indurre la Russia ad un più confidente atteggiamento. Egli dimostra di avere una estrema sicurezza nella bontà e solidità delle ragioni angloamericane. Per questo confida nel tempo come colui che sa dove vuole e può arrivare.

È indubbio che qualche segno premonitore di una distensione fra i «Tre Grandi» sta invece affiorando più che nei fatti, nella sensazione intuitiva del più morbido approccio russo alla questione del controllo in Estremo Oriente che pare conseguire al passo di Harriman presso Stalin. In conclusione mi pare poter dedurre, da quanto Bevin mi ha detto, che l'atteggiamento inglese continui ad essere molto fermo, fondato cioè sulla convinzione nel finale successo di una resistenza lungamente sostenuta. Ciò che non esclude il parallelo tentativo americano di una più elastica manovra.

Bevin mi ha confermato, con sincero compiacimento, che alla Conferenza di Londra l'Italia ha comunque segnato un punto. Mi ha detto che il tono, la misura, il contenuto delle dichiarazioni italiane a Lancaster House hanno lasciato in lui e nell'ambiente della Conferenza la più favorevole impressione. Dato l'avverso volgere ed il complicarsi di una più vasta competizione, il dilemma che si presentava per l'Italia era di avere subito una pace cattiva o una pace buona a distanza di tempo. Per quanto questa dilazione possa immediatamente creare per noi dei gravi problemi, è indubbio che, nel nuovo stato di cose determinatosi, il forzato rinvio finirà per giovarci. Ha concluso: «Avrete una pace migliore».

I Vedi D. 655, Allegato. 2 Vedi D. 646.

Bevin si è poi soffermato con particolare insistenza sul palese miglioramento nelle relazioni franco-italiane. Il consolidarsi di questo riavvicinamento è oggi visto con particolare favore dall'Inghilterra. Mi ha detto che all'inizio della Conferenza egli aveva parlato apertamente con Bidault raccomandandogli un atteggiamento conciliante: «Non litigate fra di voi per piccole questioni perché, uniti, dovrete difendere un interesse comune su più grandi questioni». Si è compiaciuto del favorevole risultato dell'incontro fra la S.V. ed il generale de Gaulle a Parigi 1 , assicurandomi che vedeva col massimo favore questo felice avvicinamento italo-francese.

Sono alieno dal costruire su dei puri sintomi illazioni che, in tanta incertezza e pericolosità di eventi, hanno ogni probabilità di rivelarsi arbitrarie, ma non posso nascondermi che tutto il più recente comportamento del Foreign Office, di Bevin e Cadogan in particolare, nei nostri riguardi è ispirato ad una nuova comprensione e ad un più intimo contatto col problema italiano. Nella alchimia delle influenze e sotto la pressione delle necessità, non so quale effetto questo nuovo orientamento inglese potrà avere. Un effetto positivo, per quanto relativo, certo avrà. Avendo io detto a Bevin quale lungo sforzo di pazienza e di fede costasse a me l'adoprarmi invano, da un anno, per una causa osteggiata da un costante prevalere di necessità avverse, egli mi ha dimostrato di simpatizzare con questo atteggiamento di perseveranza che è mio quanto di tutto il Paese e mi ha incoraggiato ad aver fiducia concludendo calorosamente: «State tranquillo, verrà tutto in una volta».

Prigionieri di guerra. Gli ho comunicato che sarei partito domani per le isole Orcadi ove i nostri prigionieri sono soggetti ad una vita particolarmente disagiata in ragione del clima e deprimente in ragione dell'isolamento e della desolazione dei luoghi. Era al corrente della situazione. Gli ho chiesto che desideravo sapere che cosa potevo dire a nome suo visitando i campi. Risposta: «Dite che garantisco l'inizio degli imbarchi entro dicembre. Non so quanti potranno partire data la scarsità dei trasporti, ma un primo contingente lascerà l'Inghilterra prima della fine dell'anno. Darò la precedenza ai cooperatori superando le resistenze del ministro dell'Agricoltura che vede con dispiacere l'allontanamento degli ottimi lavoratori agricoli italiani». Ho colto l'occasione per riprendere l'argomento della permanenza in Inghilterra dei prigionieri volontari come liberi lavoratori. L'ho informato della risposta negativa datami da Cadogan giorni fa. Contrastando questa decisione sfavorevole coi suoi primi affidamenti, desideravo ritornare su una questione che mi pareva troppo rispondente all'immediato reciproco interesse per poter essere scartata. Mi ha risposto che la difficoltà era di carattere giuridico e che sarebbe stata superata con la caduta in prescrizione dell'armistizio. Ha concluso: «Confido di potervi riparlare prima della fine dell'anno di questo argomento». Dal canto mio ritorno ora alla carica col ministro del Lavoro e col ministro dell'Agricoltura il quale è particolarmente interessato a trattenere qui quanti più lavoratori agricoli possibile. I contadini locali apprezzano il nostro lavoro, si sono affezionati ai nostri prigionieri e non vogliono sentir parlare di vederli sostituiti con prigionieri tedeschi. Anche nelle industrie il lavoro italiano è apprezzato. Sì che non ho perso ogni speranza di poter giungere ad una soluzione che sarebbe per noi di estremo interesse.

l Vedi D. 570.

Alto Adige. Gli ho illustrato i provvedimenti predisposti dal governo in materia di bilinguità 1• Egli si è molto interessato approvando e riservandosi di esaminare attentamente il pro-memoria che gli ho lasciato 2•

Questo colloquio è stato per me moralmente confortante. Le mie relazioni con Bevin e Cadogan sono passate recentemente su un piano più facile e più intimo. Non so cosa potrò praticamente trame. È comunque una novità per me stimolante. In quanto ai risultati, stiamo a vedere. Vanno conquistati giorno per giorno, argomento per argomento.

Ho successivamente visitato Cadogan per informarlo sul colloquio avuto col ministro e per illustrargli maggiormente alcuni aspetti in previsione dello scambio di idee che essi avranno in materia secondo l'abitudine della loro stretta collaborazione. Per quanto riguarda l'armistizio, Cadogan mi ha espresso i suoi dubbi circa il valore giuridico di una dichiarazione unilaterale accompagnante la pubblicazione delle vecchie clausole. È però del parere che, nel fatto, la dichiarazione stessa potrà essere ampiamente e generosamente interpretata. Egli mi ha espresso la speranza che ad una soluzione del genere si possa finalmente giungere a brevissima scadenza. Egli è comunque fermamente convinto, e non solo da oggi, che occorra addivenire ad una normalizzazione della posizione dell'Italia. Da molto tempo Cadogan mi manifesta questa sua intenzione. Per la prima volta ho avuto la netta sensazione che egli sia determinato a giungere in qualunque modo a tradurla in atto.

L'ho intrattenuto sulla questione della minacciata asportazione di impianti industriali bellici in conto riparazioni, segnalandogli come non esista in Italia una industria bellica e come i nostri ultramodesti armamenti siano stati ottenuti in questa guerra dalla conversione di fortuna di alcune industrie nate e destinate a produzioni civili. Cadogan aveva l'aria più che persuasa ed ha sintetizzato il suo pensiero dicendomi: «State tranquillo che, in definitiva, nulla vi verrà tolto». Capisco che questa asserzione ha un valore relativo perché la cosa non dipende solo dagli inglesi, comunque essa specifica quale sia in materia il realistico orientamento britannico. Gli ho lasciato su questo argomento un pro-memoria.

Altro pro-memoria gli ho lasciato circa la nostra richiesta di riparazioni dalla Germania. Egli ha ammesso la fondatezza del nostro punto di vista e del nostro diritto promettendo di tener presente la cosa. Anche qui la decadenza dell'armistizio potrà portare ad una automatica soluzione.

Gli ho fatto presente la urgente necessità che sia consentito il ritorno alle nostre colonie dei nostri deportati civili i quali sono in gran parte separati dalle loro famiglie, dal loro lavoro e dalle responsabilità che hanno di fronte all'avvenire economico delle colonie stesse. Anche qui mi ha promesso di interessarsi prontamente perché sia presa una misura generale confacente a giustizia ed a pratica necessità. Gli ho lasciato pro-memoria illustrativo.

In via amichevole e riservata ho chiesto il suo consiglio circa la possibilità teorica e la pratica procedura adatta a consentirci di intervenire anche attivamente nella questione dei criminali di guerra in modo che la nostra posizione abbia a

l Vedi DD. 627 e 631. 2 I promemoria cui si fa cenno non sono allegati al rapporto.

risultare nettamente differenziata da quella della Germania e da quella dei suoi passivi satelliti. Gli ho detto che la domanda, per quanto proveniente da un criminale di guerra quale io evidentemente sono, non doveva apparirgli priva di giuridica fondatezza e morale consistenza. Egli ha dimostrato di condividere il nostro punto di vista, si è riservato di studiare la questione e di darmi opportuno suggerimento.

Richiamandomi a nostre precedenti conversazioni ho sollecitato vivamente una risposta sul modo di vedere britannico circa una nostra eventuale fornitura di navi alla Russia. Gli ho fatto presente la situazione estremamente imbarazzante in cui ci metteva il tenere in sospeso ulteriormente una decisione. Cadogan, che ha apprezzato l'atto di correttezza da noi compiuto informando preventivamente il governo inglese, si è impegnato a manifestarmi al più presto l'amichevole opinione del Foreign Office.

659

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO SEGRETO. Roma, 5 novembre 1945.

È giunto in questi giorni a Roma il signor Nahon delegato della Jewish Agency per l'immigrazione in Palestina.

Il signor Nahon è venuto in Italia per trattare le questioni inerenti al trasferimento in Palestina di ebrei italiani, ma non è escluso si occupi riservatamente anche del problema generale del trasferimento in Palestina di israeliti di ogni nazionalità.

Il signor Nahon ha espresso il desiderio di incontrare il ministro De Gasperi. Data la personalità del Nahon e l'atteggiamento tenuto anche recentemente dai dirigenti del movimento ebraico nei riguardi dell'Italia si esprime in linea di massima parere favorevole alla concessione di una udienza.

Nell'eventualità che il ministro De Gasperi concordi con tale parere e che nel corso della conversazione il signor Nahon accenni anche al problema generale dell'immigrazione ebraica in Palestina, si ricorda che l'Italia ha sempre tenuto ufficialmente un atteggiamento neutrale in tale delicato problema e che non sembra opportuno, sempre in linea ufficiale, modificare tale atteggiamento nell'attuale momento.

D'altra parte per riservata informazione del ministro De Gasperi si fa presente che in linea di fatto a mezzo di motopescherecci italiani, numerosi ebrei di ogni nazionalità, rifugiati in Italia nel corso di questi ultimi anni, sono partiti clandestinamente per la Palestina. Le nostre autorità ignorano ufficialmente tali partenze che, a quanto risulta, sono segretamente favorite da elementi ebraici deli'Intelligence Service che non è chiaro se agiscano come ebrei o come funzionari deli'I.S. stesso. Di ciò il signor Nahon è certamente al corrente e non può non essercene riconoscente.

660

L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI 1

L. CONFIDENZIALE. Roma, 5 novembre 1945 (per. il 7).

I have the honor to inform you that the Government of the United States of America proposes to release for publication on November 6, l p.m., Eastern Standard Time, the armistice terms with Italy, in view of the generai agreement that there no longer exist objections to their publication, together with the amending Protocol and Generai Eisenhower's letter of September 29, 1943, to Marshal Badoglio. Simultaneously there will be published the «Cunningham-De Courten Agreement» and amendment togetber wibt Admiral De Courten's statement of November 17, 19432 , and a commentary demonstrating bow, in practice, the armistice restrictions have been modified, and giving the substance of tbe financial and political directives whicb bave been received from time to time by the Supreme Allied Commander permitting modification in tbe application of the armistice terms.

In advising you of tbe foregoing, I bave tbe bonor to state tbat my Government would appreciate tbe concurrence of your Government in the agreed commentary and tbat, in that event, it would be glad to bave the ltalian Government join in simultaneous release of the above mentioned documents. In view of public pressure in the United States for publication of the armistice terms, my Government could not accept post-ponement of their publication and has expressed the hope that the Italian Government will not raise the question of further consultations.

661

IL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. 172/56/45. Roma, 5 novembre 1945 (per. il 7).

In view of the fact that all objections to their publication have ceased to exist, I have the honour to inform you that His Majesty's Government propose to publish on the 6th November at 18,00 hours Greenwich Mean Time, the «short» and the «long» terms of the armistice with Italy, together with the protocol, Generai Eisenhower's letter of the 29th September, 1943, to Marshal Badoglio, the «Cunningham-De Courten» agreement, together with the protocol thereto and Admiral

1 Ed. in Foreign Relations of the United States. 1945, vol. IV, cit., pp. 1080-1081. 2 Vedi D. 657, nota l p. 936.

De Courten's statement 1 , Mr. Macmillan's aide-mémoire of the 24th February, 19452 , and a commentary by the Supreme Allied Commander showing how the terms of the armistice bave been applied.

Ali these documents will be published simultaneously in Washington. The text of the proposed commentary by the Supreme Allied Commander will be communicated to the Italian Government by the Chief Commissioner of the Allied Commission, with an invitation to the Italian Government to concur in its terms and to publish ali the above-mentioned documents themselves simultaneously. It is hoped that the Italian Government will feel able to do so.

662

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1958. Roma, 6 novembre 1945.

Come lei sa il ministero degli Affari Esteri si è rivolto più volte alla Commissione Alleata e alle ambasciate degli Stati Uniti e di Gran Bretagna per interessarle ai casi di arresti, deportazioni, internamenti e simili verificatisi in Jugoslavia e nei territori occupati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia ai danni di militari e civili italiani.

Si tratta di migliaia di cittadini italiani per i quali pervengono continuamente richieste di interessamento da parte di numerosi enti e dalle rispettive famiglie le quali da circa sei mesi attendono invano il ritorno dei loro cari.

Come ella avrà notato anche la stampa italiana si è fatta eco di questo grave stato di cose e, non conoscendosi le difficoltà che si frappongono alla soluzione della questione, ne deriva nell'opinione pubblica uno stato di malcontento verso le autorità italiane ritenute responsabili. Ogni possibilità di intervento diretto è in realtà preclusa al governo italiano dalla mancanza di relazioni diplomatiche fra Roma e Belgrado e dall'atteggiamento del governo jugoslavo che ostenta di trovarsi tuttora in stato di guerra con l'Italia. La stessa delegazione jugoslava presso la Commissione di Controllo si è sino ad ora rifiutata di entrare in rapporti, sia pur ufficiosi, col governo italiano.

Per quanto si riferisce ai deportati dalla Venezia Giulia sono state già consegnate alla Commissione Alleata liste comprendenti circa 2.500 nominativi per le sole zone di Trieste, Gorizia, e Pala. Tale cifra è !ungi, come ella sa, dal rappresentare la totalità delle persone deportate dalla zona sottoposta all'amministrazione alleata. A queste devono aggiungersi poi le deportazioni effettuate ad oriente della linea stessa, dalle isole e dalla provincia di Zara, per le quali il governo italiano

l Vedi D. 657, nota l p. 936. 2 Vedi D. 68.

943 non è purtroppo in grado di dare precise indicazioni, ma il cui numero, sopratutto per le città di Fiume e Zara, è senza dubbio rilevante.

Vi sono poi ancora migliaia di militari italiani, in gran numero già internati dai tedeschi, i quali sono stati messi in campi di concentramento e costretti ai più duri lavori e sottoposti a un trattamento inumano.

Da una relazione in data 24 settembre u.s. inviata dalla missione dell'U.N.R.R.A. a Belgrado, si è appreso che le autorità jugoslave hanno deciso di trattenere gli italiani sia deportati che internati in Jugoslavia ad eccezione di un piccolo gruppo in attesa che il governo italiano decida di rimpatriare i cittadini jugoslavi attualmente residenti in Italia.

Tale atteggiamento jugoslavo è molto grave anche perché, come è facile comprendere, i cittadini jugoslavi attualmente in Italia, a parte il fatto che non desiderano rientrare in Jugoslavia, non sono sotto il controllo e la responsabilità del governo italiano, ma delle autorità alleate. Ciò che esclude la possibilità di compensazione proposta dal governo jugoslavo.

Sono perciò costretto, caro ammiraglio, a ricorrere nuovamente a lei perché venga attirata sui fatti ricordati l'attenzione delle autorità alleate competenti. È necessario che nello svolgersi l'azione accennata nella sua lettera 221/96 del 18 settembre 1945 1 gli Alleati abbiano presente la gravità di tale questione ed i suoi riflessi nell'opinione pubblica italiana e nei rapporti itala-jugoslavi.

663

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE 3/1959. Roma, 6 novembre 1945.

You know how I always refrain from news that may appear sensational. However I wish to submit to you the information contained in the enclosure, concerning the engineering of a further Yougoslav coup de main in the Venezia Giulia, should the decisions of the Council of Foreign Ministers fail to satisfy completely the ambitions of Belgrade. Such information is reaching me from sources so numerous and so highly reliable, that I feel it to be my duty to call the earnest attention of the Allied Authorities thereto.

Y ou will remember how similar informati an about Y ougoslav designs and schemes was reported by us, before it was unfortunately fully confirmed by the occurrences of May last. It would indeed be distressing if that sad experience should be repeated, creating new obstacles to the attainment of a solution which, even in the present circumstances, appears so arduous.

l Non pubblicata.

ALLEGATO

INFORMATIONS RECEIVED FROM YUGOSLA V SOURCE

l. The «Yugoslav Centre» for the Venezia Giulia has recently brought up to date and perfected its plans of action, in cooperation with the Yugoslav Military Command of Laibach, the representatives of the Belgrade Government and certain Italian elements.

2. -It has been decided to hasten the process of Slavisation and of elimination of Italians in zone «B» (i.e. east of the Morgan line), and to intensify the program of Slav infiltration and of separatist propaganda -the latter carried out on alleged social and internationalist lines -in zone «A» (i.e. west of the Morgan line). 3. -Ali the Carsic territory, down to Trieste's suburbs, has been organized on military lines. In every village, in every hamlet, there has been formed a «celi» to which are practically subject ali inhabitants -men and women. Every unit has a certain autonomy and disposes of its own deposits of arms, ammunition and food-supplies, besides of its own transport means. The military organisation is carried out by partisans under a certain Col. Ekmar. 4. -An advanced Generai Command is already established in Trieste, with a fully worked out pian of mobilisation. Besides Ekmar and Stoka, the Command includes a number of senior officers of the Yugoslav army and of partisan chiefs. The secret stock of arms and ammunitions in the town itself, are continuously increasing. 5. -Should the Allied Peace Conference not award the whole of the Venezia Giulia, Trieste included, to Yugoslavia, it is planned to effect a new coup de main. As an opening, a social uprising will be staged, promptly followed by a generai insurrection of all the partisans. If circumstances will allow i t, this will be followed up by a direct intervention of the Yugoslav regular army. Great hope is placed on the surprise factor and on the swiftness of the following-up action: but also on the peace loving attitude of the Western Allies, and the fact that they may probably be induced to accept the new situation rather than face an armed conflict in which Russia itself might be involved. Once the Allies should withdraw to the Isonzo, the fait accompli would be created; the regio n would rapidly be «epurated» of ali «troublesome» Italians, and the violent conquest would finally be «legalized» through a controlled plebiscite.
664

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES, E ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK 1

L. 3/1965 (Charles) 1966 (Kirk). Roma, 6 novembre 1945.

In risposta alla sua cortese lettera del 5 novembre corrente 2 mi affretto ad informarla che il governo italiano, in conformità al desiderio più volte espresso da parte sua, non ha difficoltà a provvedere alla pubblicazione dei noti documenti armistiziali domani 7 corrente, contemporaneamente cioè alla pubblicazione che avrà luogo a Washington e a Londra.

l Ed. in inglese in Foreign Relations of the United States. 1945, vol. IV, cit., pp. 1081-1082. 2 Vedi DD. 660 e 661.

Mi permetto di aggiungere che se il governo italiano fosse stato tempestivamente consultato al riguardo avrebbe certamente richiesto che, oltre quelli indicati nella sua lettera, fossero contemporaneamente pubblicati alcuni altri documenti che avrebbero consentito all'opinione pubblica italiana e internazionale una più esatta valutazione dei fatti e una più aderente interpretazione delle circostanze che hanno accompagnato e seguito gli armistizi.

Intendo sopratutto alludere al «promemoria aggiuntivo alle condizioni d'armistizio», noto come «documento di Quebec» 1 , che è infatti strettamente connesso sia nel tempo che, sopratutto, nello spirito, all' «armistizio breve» del 3 settembre 19432 ed è in conseguenza necessario sia portato al più presto a conoscenza del popolo italiano, e, credo, dell'opinione pubblica internazionale. Ottima cosa sarebbe altresì la pubblicazione della lettera diretta in data del 20 novembre 19433 dal maresciallo Badoglio al presidente Roosevelt e al primo ministro Churchill, che compendia, infatti, a nostro giudizio, efficacemente la prima fase dei rapporti tra Italia e Alleati ed illumina le effettive condizioni di tempo, di ambiente e di spirito nelle quali il popolo italiano ha dato inizio a quella completa e leale collaborazione con le Nazioni Unite che doveva più tardi condurre a risultati ben maggiori e promettenti.

Anche nel commento alleato all'armistizio lungo si sarebbero forse potute introdurre maggiori e più ampie precisazioni, a dimostrazione, sia della volontà alleata di applicarlo in termini progressivamente più liberali e generosi, sia del fatto che si tratta ormai di un documento perento, che non ha più a distanza di quasi due anni e mezzo dalla sua firma alcuna giustificazione storica o politica.

Io la prego molto, signor ambasciatore, di voler portare a conoscenza del suo governo il nostro vivo desiderio di veder pubblicati il più sollecitamente possibile anche i due documenti anzidetti, e, sopratutto, il documento di Quebec che, ripeto, sembra a noi essenziale alla comprensione e valutazione di avvenimenti che hanno pesato così a lungo e così duramente sul popolo italiano 4 .

665

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, KIRK

L. 3/1968. Roma, 6 novembre 1945.

Riassumo rapidamente per iscritto alcune idee così come mi vengono sulla penna, di cui le sarei molto grato ella si facesse interprete presso il suo governo in occasione del suo imminente viaggio a Washington.

1 Vedi serie nona, vol. X, D. 681, Allegato.

2 Vedi serie nona, vol. X, D. 757.

3 Vedi serie decima, vol. I, D. 76.

4 L'8 novembre Parri inviò a Stone copia di questa lettera pregandolo di appoggiare la pubblicazione dei documenti indicati.

La pubblicazione dell'armistizio segna indubbiamente la conclusione di una fase della vita italiana e dei rapporti fra Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Occorre ora entrare con energia e con sollecitudine in una seconda fase più costruttiva.

Le dico subito che ci rendiamo perfettamente conto delle ragioni che hanno allontanato e ritardato non solo la pace definitiva, ma anche la pace provvisoria. Comprendiamo cioè perfettamente quali e quante sono le vostre difficoltà e non intendiamo insistere per ottenere ciò che Stati Uniti e Gran Bretagna non sono, in sostanza, in grado oggi di darci.

Ma esiste certamente, per chi voglia e sappia utilizzarlo, un larghissimo campo pratico in cui sopratutto gli Stati Uniti, la cui amicizia ci è essenziale, possono agire senza timori di interferenze o complicazioni altrui: ed è questo il campo di una revisione sostanziale dell'armistizio in tutte quelle parti che riguardano, sopratutto, il settore economico-finanziario.

Io mi domando e le domando, ad esempio, se è giusto che, a distanza di quasi due anni e mezzo dalla firma dell'armistizio, restino ancora attive e operanti tutte le condizioni relative alle spese di occupazione, di requisizione, am-lire, prestazione e forniture varie, ecc. E se non sia giusto invece sostituirle con accordi liberamente negoziati, che regolino tutta questa complessa materia in termini non più autoritari ma concordati e in modo che l'economia italiana, che ella sa quanto stremata, ne abbia finalmente sollievo e conseguente possibilità di recupero.

Io credo che è questo un punto concreto su cui dovremo, in attesa di soluzioni più ampie, cercare di cristallizzare la nostra attenzione per giungere a soluzioni il più possibile sollecite ed energiche. Ed è bene ella sappia a questo proposito che da parte sovietica ci è stato esplicitamente assicurato che a revisioni di questo genere non sarebbe sollevata obiezione di sorta.

Vorrei insistere su un altro punto e precisamente sulla questione della nostra frontiera del Brennero. Che non è stata sollevata da alcuno e che dovremmo per conseguenza ritenere acquisita, ma che da qualche parte ci si assicura sia dibattuta, non so esattamente in quali termini e da chi, a Washington. Ora sarebbe strano che quella sola frontiera sinora non discussa, la settentrionale, lo fosse proprio dagli Stati Uniti e cioè dal governo che ci è più cordialmente amico ed al quale siamo legati da sentimenti di così fervida riconoscenza. Naturalmente, io non credo a questo pericolo, ma desidero segnalarlo a lei ed alla sua sempre vigilante e sempre benevola comprensione. Lei sa che la conservazione dell'attuale frontiera settentrionale è per noi questione assolutamente essenziale, su cui anche i comunisti sono decisamente intransigenti.

Le abbiamo trasmesso in questi giorni una nota sulle riparazioni ed una sul pagamento delle civilian supplies che segnalo alla sua attenzione 1 . Ogni appoggio ch'ella potesse darci a Washington in favore della nostra tesi, sarebbe da noi particolarmente apprezzato.

La sua partenza e la necessità di farle giungere questa lettera tempestivamente mi impediscono di sviluppare ulteriormente questi ed altri argomenti, come avrei voluto in altre condizioni.

I Non pubblicate.

5

16/25910/66 del1'8 novembre u.s. .

3) L'allontanamento dei cittadini germanici è stato chiesto all'ammiraglio Stone con lettera n. 985 del 25 ottobre u.s.5

4) Le relazioni de Strobél sono sempre state trasmesse all'ambasciata a Parigi. L'attenzione di quest'ultima sull'atteggiamento dei militari francesi a Innsbruck è stata attirata a più riprese e da ultimo in data 2 novembre con telespresso n. 16/25062/454 con istruzioni di compiere opportuni passi al Quai d'Orsay 6 .

l Autografo.

2 Il console de Strobel, segretario dell'ufficio V della direzione generale Affari Politici, in missione in Alto Adige dal giugno 1945, aveva inviato fino a quel momento 13 relazioni sulla situazione nella regione.

3 Zoppi rispose con l'appunto che si pubblica in allegato.

4 Le relazioni di de Strobel venivano in effetti comunicate alla presidenza del Consiglio, al ministero dell'Interno, allo Stato Maggiore Generale e alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington.

5 Non pubblicata.

6 Non pubblicato. Saragat rispose con R. 5022/1250 del 26 novembre di aver parlato della questione con il direttore generale degli Affari Politici d'Europa, Coulet, il quale gli aveva assicurato che la politica francese circa l'Alto Adige non era mutata e che il generale Béthouard era stato invitato a moderare il suo zelo.

5) Circa il mantenimento in Alto Adige di truppe italiane è stato scritto all'ammiraglio Stone con lettera n. 16/25392/64 del 6 novembre 1; tale lettera è stata portata a conoscenza della presidenza del Consiglio e del ministero della Guerra.

6) Si provvede a scrivere alla presidenza del Consiglio, come da istruzioni di V.E., circa la posizione del prefetto De Angelis 2 .

Si prospetta l'opportunità:

l) che si provveda a concretare il provvedimento relativo all'autonomia della regione alto-atesina o tridentina al più presto possibile 3 . Una apposita commissione dovrebbe venire costituita come già fatto per la Val d'Aosta.

2) che si richiami l'attenzione degli Alleati sul fatto che il ritardo nella conclusione della pace consente ad agitatori tirolesi di trar profitto dalla presente situazione di incertezza in merito alla frontiera settentrionale per fomentare e mantenere in Alto Adige uno stato d'animo di irrequietudine. Una dichiarazione da parte alleata, da cui potesse anche implicitamente dedursi che la questione non verrà posta sul tappeto, avrebbe come conseguenza di togliere agli agitatori l'unica loro arma di propaganda, come già accadde in Val d'Aosta e in Sicilia, e di ricondurre la calma.

667

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 16/25392/64. Roma, 7 novembre 1945.

lt is reported that units of British troops have been transferred to Alto Adige from other regions of Northern Italy. Such movements are probably connected with the recent departure from Alto Adige of some American formations. However, in certain quarters of that region the strengthening of British garrisons is being interpreted and explained as preliminaries to the removal of ltalian troops now stationed there. The aims of such interpretation are obvious, just as it is obvious that it contributes to render stili more acute the deplorable state of anxiety and restlessness, which I had the occasion to point out to you.

The Ministry for Foreign Affairs is acquainted with the contents of a note the President of the Council of Ministers addressed to you on July 20th, 19454 , to represent the advisability of replacing units of the «Folgore» division with other Italian troops. Since then, the «Folgore» regiment «San Marco» was replaced with another Italian formation. Such substitution did not alter, but rather stressed the principles already established by the Allied Authorities, right after the liberation, that ltalian troops share in the various tasks entrusted to Allied units in Alto Adige.

' Vedi D. 667. 2 L. 3/2002 dell'Il novembre, non pubblicata. 3 Vedi D. 676. 4 Non pubblicata.

While on the subject of these rumors which are spread by propaganda hostile to Italy, I take the opportunity to draw your attention to the importance that the Italian Government -mainly for reasons of a moral character -attach to the presence of formations of Italian troops in Alto Adige. I shall also appreciate it greatly if you will see fitto take up the matter with the Allied Forces Head Quarter, so that, should movements of Italian units now stationed in Alto Adige be planned, the same be replaced by other Italian formations.

I shall be very grateful if you will let me know whatever information may be in your possession on the subject and the decisions the Allied Military Authorities will take in the matter 1 . ,

668

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. PER CORRIERE 8777. Roma, 8 novembre 1945, ore 20.

Siamo perfettamente d'accordo su necessità, cui le ha accennato Cadogan2 , di procedere nei confronti sovietici, da parte nostra, in modo e con mezzi adeguati alla reale influenza che la Russia ha per la soluzione delle questioni che ci interessano.

Da qui, appunto, l'importanza che annettiamo, fra l'altro, alla ripresa dei rapporti economici fra l'U.R.S.S. e noi. Ma se inglesi ed americani continuano ad ostacolare codesta ripresa, ella vede che entriamo in un circolo vizioso da cui difficilmente usciremo.

Ci occorre dunque maggiore libertà d'azione soprattutto in questo settore che è la naturale piattaforma per una realistica politica di ricostruzione. Si esprima, esplicitamente, in questi termini.

1 Cfr. il seguente appunto di Theodoli per De Gasperi del 9 novembre 1945: «Mi ha telefonato stamane il colonnello Fiske per dirmi che, come il generale Morgan ha assicurato V.E. nel colloquio del 6 corrente, la decisione di richiamare la divisione Folgore dall'Alto Adige è stata annullata; e che comunque, anche se in prosieguo di tempo tale divisione dovesse essere trasferita, essa verrebbe sostituita con altra unità italiana. Di tale assicurazione non verrà però fatta menzione nella risposta dell'ammiraglio Stone, che si limiterà ad accusar ricevuta della lettera di V.E.». La risposta di Fiske (8277/Ec del 13 novembre) è la seguente: «In reply to your letter 16!25392/64 of 7 November 1945, the Chief Commissioner has asked me to say that he has been informed that certain British troop units are presently being transferred to the Alto Adige to replace American formations which have been in that area since the German surrender. The Commission is not aware as yet that any change has been made in the deployment of Italian troops presently in that area, but should some relief take piace it is most probable that it shall be by other Italian formation. I appreciate the importance that the Italian Govemment attaches to the maintenance of IÙ1lian formations in the Alto Adige at this time and assure you that is is no t the intention of the Allied authorities to take any action which would prejudice the existing situatiom>. Il 17 novembre con lettera 8277/134 EC il Chief Staff Officer tenente colonnello McCleary comunicò a Prunas che il 15 novembre la divisione Folgore era stata allontanata dall'Alto Adige e aggiunse: «It was, however, never intended that ali Italian Forces should be withdrawn from the Bolzano area and guard battalions are being maintained in the Bolzano-Trento and Bressanone areas. In addition to these guard battalions, there will be also one combat battalion». Prunas ringraziò Stone delle assicurazioni ricevute con lettera 16t28145n4 del 28 novembre.

2 T. s.N.D. 11132n3I del 29 ottobre, non pubblicato.

669

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1977. Roma. 8 novembre 1945.

I am informed that Order n. 14, issued on September 10th by the Allied Military Govemment of Trieste instituting special «identity cards» for persons living in «Zone A», has entered a stage of practical application.

I am in possession of the Italian text of said order, only as printed in the newspapers of Trieste (see enclosure).

Allow me, dear Admiral Stone, to briefly outline some impressions and some preoccupations conceming said Order as they have reached me from various sources affected thereby.

Order n. 14 is undoubtedly an important measure, because of the consequence that may derive therefrom; namely it commits the future, its true purpose being of establishing who pertains to the Venezia Giulia of the persons now present there and who does not.

As to its character, it is specified in the Order itself that it is issued at the result of an agreement between the Allied and the Yugoslav Armed Forces. However said Order Ioses its character of Military Police measure, to assume a specific and true politica! nature, just because of the matter it deals with and on account of its scope. The politica! nature of the Order is further-more emphasized by the fact in the area subject to Yugoslav occupation, Tito's authorities behave as though the occupied zone were a territory already annexed to Yugoslavia. This happens with methods, the unscrupulousness of which has been amply and sorrowfully experienced by those tormented populations.

As far a «Zone A» is concemed, the Allied Military Authorities are exercising there a true and complete governmental function, without the assistance of any organ of the Italian State.

In view of such situation, you wili realize, dear Admiral Stone, how deeply concemed are the Italians about the application of the Order in question and how pressing are the appeals reaching me.

In particular, I am anxious to cali your attention to the foliowing observations:

May first, 1945 is taken as a date on which discrimination becomes effective.

After May first, 1945 tens upon tens of thousands of Slavs have been caused to flock to the Venezia Giulia, and specialiy to Trieste, and are stili flowing there from the old Yugoslav provinces. Thousands of Yugoslav politica! refugees have moreover lately arrived in the Zone.

But even at the time of Tito's occupation the ethnic structure of Trieste had undergone substantial alterations on account of the Italian mobilization, of the vicissitudes of the partisan fight, and the policies carried out by Gauleiter Rainer during the Nazi period, policies aiming at balancing the Italians with the Slavs and at excluding from the district any interference by the so-called fascist social republic.

With the occupation on the part of Tito, thousands upon thousands of Italian pertaining to Venezia Giulia have been deported, other thousands have taken refuge beyond the Isonzo river.

It would consequently have been fairer to choose an earlier date. Should this no longer be possible, it would at least be necessary that the applications for identity cards of the type «domiciled in the Venezia Giulia» be accurately scrutinized, in such a manner as to avoid that the authentic inhabitants of Trieste be on the same footing as the Slavs who have forlocked to the town from the surrounding country districts or even from the interior of Yugoslavia.

Not even the ration cards (l have been told that their number is now of 400. 000, whereas the normal population of Trieste is of 230.000) can reflect the normal situation of the town inasmuch as -apart from the fact that many Slavs who have immigrated only recently are back-dating the records where registering on the rolls of Vital Statistics, by taking advantage of the right to produce an «Affidavit». To obtain such Affidavit it is sufficient to have the testimony of four witnesses: a perfectly legai procedure but a very dangerous one because of the present circumstances of time and piace. In fact there is no need to stress how easily such procedure lends itself to be exploited by unscrupulous persons.

A discrepancy between comma (a) and comma (b) of Article 3 is also worth noting.

In fact comma (a) deals with residence (according to Italian law this term defines the habitual abode of a person) whereas comma (b) deals with domicile (always according to Italian law this term means the main center of somebody's interests and activities).

Moreover the Order in question completely disregards the people of the Venezia Giulia who have abandoned the region for politica} or other grounds. What measures have been contemplated to safeguard their right to be considered true «citizens» of the territory and of inhabiting the region!

Lastly I should be very grateful to you, dear Admiral Stone, if you would kindly let me know what, on this subject, has been enacted or contemplated in !stria, by the Yugoslavs.

I have been informed that -beside substantial ethnic alterations caused by the Yugoslav occupation-even ali Vita! statistics records have been destroyed in several places, as it happened, for instance, at Pisino.

Accepting a suggestion coming from a high authority I beg to point out how advisable as well as desirable it would be that the Allied should give their consent to the suggestion that an inspector of the Italian Centrai Institute of Statistics be allowed to proceed to Trieste and assist the organs entrusted with the issuance of the above mentioned documents. In fact, should the measure in question -which may have such an importance for the future of the region be applied without any participation of the organs of the Italian State, the Italian Government would be compelled to formulate the most ampie reserves and to disown, at the time when the exceptional status of the Venezia Giulia will have ceased to exist, any commitment deriving from the issuance of the documents under Order n. 14.

670

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/1989. Roma, 8 novembre 1945.

Please find herewith enclosed a copy of the «comments» 1 to the «long armistice»2. Such copy has been sent to the Ministry of Foreign Affairs by the Allied Commission and I shall appreciate it if you will return it in due time.

You will see that the English text of «comment» to artide 22, contained the passage «and the cooperation and loyalty of the Italian people to the Allied cause». Such sentence no t being included in· the Italian translation, also supplied by the Allied Commission, and thinking that the omission was caused by an oversight in typing the copy, we requested that it be added to the Italian text.

It was answered that the passage had been deleted also from the English text.

It is only natura! we should ask ourselves whether he who deleted said sentence -at first included in the text in English -really believed that cooperation and loyalty to the Allied cause on the part of the Italian people never existed, or, anyway, that it was unappropriate to mention them. I wish to tell you that whoever such person may be and whatever motive may have inspired him, he evidently made a serious mistake of fact which may be worth while rectifying.

You know better than anybody else, my dear Admiral Stone, that after two years of cobelligerency and of sacrifices, one can indeed speak with a clear conscience of ~a t least -the loyal cooperation of the Italian people t o the Allied cause 3 .

671

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

PROMEMORIA. Roma, 9 novembre 1945.

Il primo segretario di questa ambasciata degli Stati Uniti Jones, mentre mi ha informato che il suo governo confermava quanto precedentemente fattoci sapere circa l'inopportunità della nomina di un nostro ambasciatore a Buenos Aires e apprezzava quindi l'intenzione del governo italiano di non procedere per ora a tale nomina, ha aggiunto che non vi erano invece obiezioni alla nomina di un incaricato d'affari di grado più elevato dell'attuale, secondo quanto da noi prospettatogli.

I Non pubblicato. 2 Vedi serie decima, vol. I, D. 20. 3 Vedi D. 672.

Ha aggiunto che, anzi, il governo americano raccomandava di scegliere per tale incarico un funzionario che fosse bene al corrente della situazione politica ialiana -interna ed estera -e in grado di prendere in mano e di indirizzare la numerosa e attualmente un po' sbandata collettività italiana in Argentina nello stesso senso in cui è orientato il nostro Paese.

Ha infine comunicato che nessuna obiezione aveva il Dipartimento di Stato alla concessione, da parte nostra, del gradimento alla nomina del nuovo ambasciatore di Argentina 1•

672

IL CAPO DELL'UFFICIO DI COLLEGAMENTO, DEL BALZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO RISERVATO 6/4447. Roma, 9 novembre 1945.

È stata presentata all'ammiraglio Stone la lettera del ministro De Gasperi n. 3/1989, in data 8 novembre 2 concernente la soppressione di parte dell'articolo 22 dell'«armistizio lungo».

Il capo della Commissione Alleata si è dichiarato molto dolente di quanto è accad11to ed ha affermato che la frase, che era stata originariamente inclusa nel testo proprio dalle autorità alleate, non avrebbe mai dovuto essere omessa.

Ha pregato di esprimere questi suoi sentimenti al ministro degli Affari Esteri e si è riservato di confermarglieli in una risposta scritta.

Ha confidenzialmente aggiunto che la correzione è stata apportata senza che egli fosse stato interpellato e ne ha attribuita la responsabilità ad un suo collaboratore britannico.

673

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI

L. 3/1998. Roma, IO novembre 1945.

Faccio seguito alla mia lettera n. 3/1930 del 30 ottobre3• Le trascrivo una comunicazione fattami ieri l'altro da questa ambasciata degli Stati Uniti:

1 Annotazione a margine di Prunas: «Visto dal ministro che ne parlerà a Guarnaschelli». 2 Vedi D. 670. 3 Vedi D. 649, nota 6.

«La complessità dei problemi politici, sociali, religiosi, economici e le intense passioni che così facilmente essi suscitano in Spagna, rendono probabile colà la possibilità di una ripresa di guerra civile. Il governo nordamericano desidera evitare ogni azione da parte sua che possa comunque servire a promuovere o incoraggiare tale possibilità. A parte gli aspetti umanitari della questione, il governo nordamericano è consapevole che un eventuale caos economico e sociale in Spagna nelle circostanze attuali, non potrebbe che avere una avversa influenza sul resto d'Europa in un momento cioè in cui la struttura economica e sociale della stessa Europa è in condizioni così fragili. Nel pensiero del governo nordamericano ogni possibile influenza dovrebbe essere orientata per incoraggiare la pacifica evoluzione verso metodi democratici. Se l'incoraggiamento da parte di un governo particolare di. quel gruppo di esiliati repubblicani spagnoli che trovasi nel Messico possa contribuire a tale soluzione, è questione che deve essere decisa appunto da quel particolare governo.

In assenza di un violento intervento straniero (che la più parte degli spagnoli stessi dentro e fuori della Spagna insiste nell'affermare che non desiderano, e al quale il governo nordamericano è contrario) è difficile vedere come il gruppo del Messico possa installarsi al potere, a meno che esso non sia invitato a rientrare in Spagna dal popolo spagnolo, che dovrebbe determinare da sè l'esatta forma che dovrebbero assumere eventuali cambiamenti nel paese.

E poichè non vi sono ancora fino ad oggi mezzi pratici per determinare in modo soddisfacente se, sia individualmente che come governo, il gruppo messicano potrebbe ora, dopo un considerevole lasso di tempo riuscire accettabile al popolo spagnolo, la politica attuale del governo nordamericano è quella di non incoraggiarne nè scoraggiarne l'attività».

Come vede, è piuttosto involuto e salomonico. Ma il pensiero mi pare chiaro: attesa.

674

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 11889/549. Mosca, 11 novembre 1945, ore 18 (per. ore 11,30 del 12).

Mio telegramma 523 1 .

Questo ambasciatore Inghilterra mi informa che governo sovietico ha risposto a suo passo dicendo che vedrebbe con piacere ristabilimento relazioni fra Italia e Jugoslavia ma che nelle presenti circostanze ritiene sia preferibile lasciare questione iniziativa diretta due governi.

Ambasciatore inglese è d'avviso che con questa risposta governo sovietico intende in certo modo presa contatto che questo ambasciatore jugosl~vo ha avuto

I Vedi D. 634.

con me e pure condividendo miei dubbi circa possibilità arrivare accordo diretto per soluzione maggiori questioni telegrafa a Londra consigliando suggerire governo italiano accettare proposta di cui al mio telegramma. Pregherei in ogni modo V.E. farmi conoscere suo pensiero in merito telegramma 513 1 .

675

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 11899/550. Mosca, 11 novembre 1945, ore 18 (per: ore 9 del 12).

Anglo-americani hanno comunicato governo sovietico loro decisione pubblicare armistizio italiano solo poche ore prima effettiva pubblicazione provocando qualche risentimento sovietico. Essendomi stato accennato da questa ambasciata britannica a possibilità opposizione a modifiche sostanziali armistizio Italia ho creduto opportuno informarla di quanto mi aveva detto Dekanozov in proposito 2 spiegando molto francamente ragioni per cui se lo volevano realmente non avevano da temere né da preoccuparsi di obiezioni sovietiche. Nulla è stato obiettato a mia argomentazione. Nel corso della conversazione mi è risultato chiaramente che fino ad oggi governi inglese ed americano non hanno ancora preso contatto con Mosca in merito modifiche in questione.

676

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, PARRI

L. 3/2001 3 . Roma, Il novembre 1945.

Con lettera n. 3/1378 del 20 agosto4 , il ministro Prunas ti trasmise per mio incarico un appunto relativo all'oppo~tunità affacciata anche da parte alleata 5 di annunciare e concretare il più sollecitamente possibile provvedimenti diretti ad assicurare l'autonomia dell'Alto Adige.

l Vedi D. 632, nota l p. 878.

2 Vedi D. 652.

3 Si conserva la minuta di questa lettera con numerose correzioni di De Gasperi al penultimo capoverso.

4 Non pubblicata: proposta del comunicato di cui al D. 465.

5 Vedi D. 421.

Dopo l'annuncio, dato col comunicato ufficiale del 24 agosto, nel senso che il governo, analogamente a quanto già deciso per la Valle d'Aosta si proponeva di elaborare provvedimenti per l'autonomia dell'Alto Adige consultando all'uopo esponenti di quella regione; nulla più mi sembra essersi fatto in merito.

Ancora recentemente da parte britannica sono state fatte vive premure perché la decisione da noi presa ed annunciata entrasse al più presto in fase di pratica realizzazione.

Ora io credo che una decisione in merito non possa più oltre essere differita, sia per dare agli Alleati una prova palese della serietà delle nostre intenzioni, sia per assicurarci un solidissimo argomento atto a combattere le manovre separatiste in quella regione. Mi par dunque urgente che la questione venga sottoposta ad esame. Forse, in uno stadio preliminare sarebbe opportuno affidare lo studio ad una ristretta commissione di tecnici dei ministeri degli Esteri e dell'Interno, presieduta ad esempio da Massimo Pilotti, he presenterebbero poi a te le conclusioni raggiunte. La Commissione potrebbe valersi anche dei progetti già elaborati a Trento da apposita commissione bilingue e chiamare altri esperti locali più rappresentativi.

Ti sarei grato se volessi comunicarmi con cortese sollecitudine il tuo punto di vista in merito. Qualora tu concordassi, si dovrebbe provvedere senz'altro alla convocazione della Commissione in parola.

677

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 11993n68. Washington, 12 novembre 1945, ore 8 (per. ore 19,15 del 13). Mio telegramma 764 1 .

Questo delegato apostolico mi ha informato confidenzialmente aver ricevuto telegraficamente istruzioni di intervenire ufficialmente presso Dipartimento di Stato onde richiamare l'attenzione su necessità dell'Italia ed in particolare su opportunità che attività UNRRA non abbia soluzione di continuità. Delegato apostolico ha inviato subito in merito a Byrnes una sua nota ufficiale.

Così pure monsignor Cicognani mi ha assicurato che manifestazione episcopato americano conterrà esplicito accenno a situazione dell'Italia e necessità aiuti Stati Uniti d'America. Risulta peraltro che rileverebbe contemporaneamente condizioni altri Stati cattolici (Austria Polonia Stati Baltici ecc.) e criticherebbe politica sovietica.

1 T. s.n.d. urgente 11883n64 del l O novembre, non pubblicato.

678

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, JACINI

L. PERSONALE SEGRETA 3/2007. Roma, 12 novembre 1945.

Il ministro Prunas, che ha avuto per mio incarico un colloquio con te, mi ha riferito in proposito. Riassumo rapidamente il mio pensiero.

l. Ci risulta che è attualmente in corso di discussione fra Londra e Washington, per iniziativa britannica, un progetto concreto per la limitazione degli armamenti italiani. Il maresciallo Alexander d'altra parte, che evidentemente sapeva quel che diceva, ha, come è noto, parlato di un esercito piccolo, bene addestrato, e, aggiungerei, politicamente sicuro e possibilmente di mestiere (un esercito a coscrizione potrebbe essere politicamente più dubbio): qualche cosa di simile, insomma, alle Reichswehren della Repubblica di Weimar. Gli americani sembrano, per quel che li concerne, voler dare alla limitazione dei nostri armamenti, il carattere di una necessità finanziaria (che ci converrebbe evidentemente sottolineare anche da parte nostra), piuttosto che carattere punitivo.

In tutti i casi, è cosa, credo, certa che dobbiamo prepararci, sia per ragioni esterne che interne, a una limitazione drastica anche dei nostri armamenti terrestri.

2. -Ciò premesso, ed è un quesito che pongo a me stesso, io mi domando se convenga a noi attendere passivamente le riduzioni che ci saranno imposte o cercare di inserirei nella discussione per esporre il nostro punto di vista, e le nostre esigenze e cercare di giungere ad una soluzione possibilmente consensuale e concordata. 3. -La questione va altresì esaminata da un altro aspetto e sotto una luce diversa. Rientrando noi nella zona di influenza anglo-americana e data la nostra posizione di paese vinto, Londra e Washington hanno il mezzo di servirsi del trattato di pace per dare alle loro possibilità di intervento nella politica interna italiana una base giuridica permanente. Potrebbe in conseguenza essere opportuno arrivare alla conferenza della pace avendo preso noi stessi, preventivamente, alcune misure sostanziali, corrispondenti più o meno, sia a ciò che gli anglo-americani intendono imporci, sia a quelle che riteniamo essere in materia le nostre esigenze, in maniera di limitare al minimo le imposizioni del trattato stesso. Quanto più cioè avremo fatto da noi, di nostra iniziativa, tanto più si potrà sperare di evitare impegni e controlli contrattuali, che, per avere una base giuridica permanente potrebbero avere sviluppi imprevedibilmente pericolosi. Naturalmente io non so se la cosa sia possibile ed effettuabile e mi rendo perfettamente conto delle difficoltà prospettate dal generale Cadorna. Ma credo sia necessario tentarlo, per questo come per tutti gli altri problemi della pace, per i quali noi sosteniamo infatti il principio generale di sostituire alle soluzioni imperative e ai diktat, soluzioni consensuali e concordate, riducendo così al minimo le possibilità di intervento e controllo permanente straniero sulle cose nostre.

Concludo: se la linea di azione suggerita è giusta, occorrerebbe esaminare con sollecitudine se sia da parte nostra possibile avviare sin da ora alcune misure sostanziali di riduzione e quasi procedere ad un abbozzo concreto di quello che riteniamo debba e possa essere il nostro esercito futuro e tentare insieme di discuterne le linee fondamentali con gli anglo-americani sia per riaffermare le nostre esigenze, sia per fare in modo che queste ed altre limitazioni della nostra indipendenza assumano il carattere di un obbligo contrattuale e non di impegni permanenti derivanti da uno strumento internazionale.

Ti sarò grato, caro Jacini, se vorrai esaminare la questione, che è delicata e complessa e che investe direttive generali di governo, che occorrerebbe forse ad un certo momento sollecitare.

679

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. RISERVATA 3/2009 1 . Roma, 12 novembre 1945.

Ritengo utile segnalarti l'unito appunto relativo ad alcuni scambi di vedute intervenuti a Londra lo scorso settembre tra i nostri esperti ed il Research Department del Foreign Office, sulla questione del futuro nuovo confine italo-jugoslavo.

Premetto che il suddetto Research Department, pur essendo associato al Ministero degli Esteri britannico non elabora, e tanto meno provoca, direttive politiche, ma si limita a preparare il materiale tecnico e documentario che interessa gli uffici politici veri e propri. Esso tuttavia in certo modo e almeno in parte riflette le direttive lungo le quali si va orientando il pensiero degli organi responsabili, e per ciò stesso il suo punto di vista è certamente indicativo.

Come rileverai, da parte degli esperti inglesi -per quel che vale la loro opinione -si è molto lontani dal pensare ad una soluzione sulla base della linea Wilson. E ciò non tanto, forse, perché gli inglesi siano contrari in principio ad una soluzione a noi più favorevole, ma perché è sempre attivo e presente nel loro animo l'acceso timore delle complicazioni che potrebbero sorgere se non si trova il mezzo di contentare in qualche modo gli jugoslavi sì da indurii ad accettare senza troppe grandi difficoltà quel qualsiasi compromesso che i «cinque» (o «quattro» che siano) riusciranno ad elaborare. Tenendo anche presente l'atteggiamento sovietico, essi tendono dunque, in sostanza, ad interpretare la risoluzione del 19 settembre in senso restrittivo.

In queste circostanze l'unica cosa che, anche dalle conversazioni con gli esperti inglesi, sembrerebbe potersi considerare ormai acquisita, è il mantenimento della nostra sovranità su Trieste. Per il rimanente, la formula da essi adottata, è la

l Copia di questa lettera fu inviata in pari data a Saragat, Carandini e Quaroni.

seguente: la nuova linea di frontiera non dovrà lasciare in territorio italiano un numero di slavi maggiore di quello degli italiani lasciato in territorio jugoslavo. Né, è stato osservato cortesemente ma significativamente, l'Italia, che ha aggredito gli slavi ed ha perso la guerra, potrebbe pretendere di più e di meglio.

A prescindere da altre considerazioni, la linea di frontiera che deriverebbe da una stretta applicazione di questo principio, è decisamente incongrua e comunque molto lontana dalle nostre esigenze. In quale misura ed in quale direzione potrà essere modificata?

Sempre secondo gli esperti inglesi, sarebbe illusione da parte nostra contare ancora sull'atteggiamento originariamente sostenuto dagli americani (a favore cioè di una linea Wilson migliorata a nostro vantaggio verso l'Arsa), dato che essi stessi, accettando la risoluzione del 19 settembre, hanno implicitamente rinunciato almeno a molta parte di quelle considerazioni geografiche, economiche, storiche, culturali (e forse anche strategiche) che al di sopra di quelle puramente etniche, giustificavano la linea Wilson.

Mi rendo conto che questo argomento non è senza un parziale fondamento, ma ritengo che sia legittimo interpretare i termini della risoluzione stessa, a differenza di quanto fanno gli inglesi, come criterio prevalente e comunque non esclusivo, e sopra tutto non matematico: un criterio, cioè, che va pure contemperato con quelle altre esigenze, cui testè ho fatto cenno e che evidentemente gli americani hanno avuto presenti, e che stento a credere essi abbiano completamente e definitivamente scartato.

Su questo punto sarebbe comunque utile che tu sondassi e accertassi il pensiero dello State Department. Naturalmente con discrezione e senza compromettere quello che è stato, e rimane, il nostro punto di vista quale fu precisato nella mia lettera a Byrnes del 22 agosto 1 , nelle mie dichiarazioni a Londra e nel nostro memorandum. Ma se anche dovessimo indurci a modificarlo in qualche particolare, o, meglio, se le circostanze dovessero costringerci a qualche parziale modificazione in via di compromesso, è superfluo io ti dica quanto e come ci sarebbe utile sapere con precisione sino a che punto possiamo contare sull'appoggio efficace di codesto governo.

Tu sai quale è il mio pensiero. Noi siamo pronti, ed anzi vivamente desiderosi di raggiungere, anche attraverso dolorosi sacrifici, una soluzione duratura del nostro problema orientale. Ma potrebbe essere duratura una soluzione che lasci uno strascico inestricabile di complicazioni, oltre che psicologiche, di ogni possibile natura? Una frontiera, anche in una auspicata era di pace universale e permanente deve seguire un qualche criterio logicamente giustificabile. Quella puramente ed esclusivamente etnica, nel caso in esame, non lo sarebbe di certo.

Di proposito, nella presentazione del nostro punto di vista, si è evitato di sottolineare le considerazioni di carattere militare ed in questo mi rendo conto di essermi assunto, nei riguardi dei competenti, e del giudizio dell'opinione pubblica avvenire, una ingrata responsabilità. Ma un tracciato che ci privasse del bastione della Bainsizza e dell'alta Valle Isontina, ci priverebbe letteralmente del portone di casa, e sarebbe crudele ed illogico condizionarcene la conservazione al sacrificio

I Vedi D. 446.

delle nostre italianissime città istriane. Qui non si tratta di «strategia», nel senso militaristico e aggressivo della parola, ma di vera e propria legittima difesa. Osservo d'altra parte che, mentre a noi non sembra concesso in questo momento invocare sia pur l'ombra di simili considerazioni (che non hanno purtroppo un semplice valore contingente) esse sono invece onnipresenti in tutta la politica che gli Alleati vanno svolgendo, ed anzi dagli stessi sono esplicitamente invocate contro di noi a Tripoli, per la Cirenaica, il Dodecaneso, il Mar Rosso.

E come pretendere poi in nome della democrazia, che popolazioni italianissime di un'Italia nuovamente e decisamente democratica, debbano passare sotto un regime che gli inglesi e gli americani per i primi stentano a riconoscere come, sia pure approssimativamente, rappresentativo e democratico?

So che da parte americana era stato riconosciuto appieno il valore delle nostre argomentazioni per la conservazione del bacino dell'Arsa. Può essere non senza utilità far presente come la sicura rovina cui sarebbero destinate quelle riserve minerarie nel quadro dell'economia jugoslava, è già palese nel loro attuale stato di totale abbandono.

Da parte di autorevoli organi britannici è stato messo in non cale, anzi rilevato con incomprensibile meraviglia, il riferimento contenuto nel nostro memorandum alla necessità che il problema giuliano venga inquadrato nel problema generale della futura sistemazione adriatica. Perché? Mi occorre appena ricordare come lo stesso Wilson riconobbe per primo la connessione chiara e stretta dei due problemi.

Nella mia già citata lettera a Byrnes, e successivamente a Londra, ho tenuto a sottolineare come, abbandonando la tradizionale tattica di creare delle basi massime dalle quali arretrare poi su altre basi possibili, il governo italiano preferiva senz'altro riconoscere francamente i sacrifici che riteneva di dover fare. Ora questa onesta innovazione sugli abusati sistemi di mercanteggio levantino, dovrebbe esser apprezzata in tutto il suo giusto valore morale sopratutto da un popolo come quello americano. A Londra, del resto, ho anche precisato al riguardo come, nel prendere l'iniziativa di porre apertamente le carte in tavola, intendevo implicitamente far risultare quali sono «le soluzioni che nessun governo democratico in Italia potrebbe far proprie». È bene che tu sappia che questa precisazione fu voluta dallo stesso presidente Parri, ed io la riconfermo pienamente oggi. Merita rilevare in proposito che mentre da un lato si sono moltiplicate negli ultimi tempi le critiche abbastanza vivaci a quello che in molti settori dell'opinione pubblica italiana è stato considerato un affrettato e pericoloso rinunciatarismo nei confronti della frontiera di Rapallo, dall'altro lato lo stesso vice presidente Nenni, parlando a Bari nella sua qualità di segretario di uno dei nostri maggiori partiti di massa, ha insistito nel concetto della linea Wilson 1• La linea Wilson rimane infatti, nell'opinione ponderata del governo italiano, l'unica base equa e razionale per una soluzione del problema delle nostre frontiere orientali.

Sono queste soltanto alcune delle considerazioni più importanti che ti prego di lumeggiare, come meglio riterrai opportuno, nei tuoi contatti costà. Il problema

I Il brano del discorso tenuto da Nenni a Bari il 5 novembre, cui qui si fa riferimento, era stato comunicato da Prunas a Carandini, Tarchiani, Quaroni e Saragat con L. 3/1979/c. dell'S novembre, non pubblicata.

itala-jugoslavo, come io stesso ho potuto personalmente constatare a Londra, per essere appena uno dei tantissimi che gli Alleati debbono affrontare in questo momento, e per di più connesso a molti più vasti problemi di convivenza tende a essere posto in seconda linea, nella categoria di quelli per i quali, pur di raggiungere una soluzione, ogni soluzione è buona. Ora è da parte nostra necessario reagire con ogni mezzo contro questa tendenza richiamando in pari tempo l'attenzione di coloro che si dichiarano, e che noi riteniamo, sinceramente amici, sulla situazione veramente tragica in cui versano quelle nostre popolazioni completamente abbandonate all'arbitrio e alle violenze di Tito.

Confido nella tua azione, e ti sarò grato se vorrai raccogliere e comunicarmi tutti i possibili elementi di giudizio sull'atteggiamento ed i concreti intendimenti americani e ogni utile suggerimento circa la linea di azione che potrebbe essere più proficuamente seguita da parte nostra per tentare di assicurarci ogni possibile appoggio di codesto governo.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Londra, settembre 1945.

Nel corso di uno degli' scambi non ufficiali di idee intervenuti presso il Research Department del Foreign Office, il signor Toynbee 1 , capo del Dipartimento stesso, ha avuto occasione di esporre agli esperti italiani il suo punto di vista circa il possibile tracciato di una nuova linea di frontiera tra Italia e Jugoslavia, basata sui criteri formulati nella risoluzione adottata il 19 settembre dal Consiglio dei Cinque. («Il Consiglio ha stabilito che i delegati supplenti debbano studiare il problema della frontiera italo-jugoslava e di Trieste e riferire: a) sulla linea che, costituendo di massima la linea di demarcazione etnica, lasci un minimo di ciascuna delle due nazionalità sotto dominazione straniera»).

La linea stessa corrisponde all'incirca a quella riprodotta nell'acclusa cartina (linea rossa). Costeggiando il limite meridionale della Conca di Tarvisio, segue la frontiera italo-austriaca del 1866 sino a nord di Cormons, per quindi dirigersi verso sud-est ed allacciarsi alla linea Morgan nei pressi di S. Daniele, non senza prima aver descritto un angolo acuto che consentirebbe di lasciare Gorizia in territorio italiano. Distaccandosi nuovamente dalla linea Morgan nei pressi di Muggia, il tracciato proposto, dopo aver descritto un doppio rientrante che includerebbe la zona di Maresego in territorio jugoslavo e quella di Portole in territorio italiano, prosegue in direzione nord-sud sino a raggiungere il mare vicino a Capo Promontore: lasciando all'Italia tutta la striscia costiera dell'Istria occidentale, compresa la rotabile N. 15 ed una fascia di territorio ad oriente di questa.

Concetto fondamentale del tracciato da lui proposto -ha spiegato il Toynbee-era quello di farlo coincidere per quanto possibile con la cosidetta linea etnica, in conformità appunto con i criteri fissati dal Consiglio dei Cinque. L'arretramento verso occidente nei confronti della linea Morgan in buona parte del tratto settentrionale, oltre essere suggerito da tale considerazione, era giustificato dal fatto che esso corrisponde in gran parte ad una antica divisione amministrativa e politica: inoltre era proprio in questo settore che i partigiani

1 Arnold Toynbee, il noto storico, allora responsabile del Royal Institute of International Affairs di Londra.

sloveni hanno svolto un'attività particolarmente intensa dimostrando perc10 uno spiccato sentimento nazionale ed anti-italiano. Pur lasciando all'Italia la città di Gorizia, e a sud-est di questa sufficiente tratto di territorio (popolato in gran maggioranza da slavi) per assicurare la contiguità tra Trieste ed il resto d'Italia, la linea consentirebbe di lasciare alla Jugoslavia tutto il tracciato della ferrovia Aidussina-Gorizia (stazione) -Santa Lucia-Piedicolle, in modo da permettere comunicazioni ferroviarie dirette con l'Alto Isonzo (che rimarrebbe pure alla Jugoslavia).

Tralasciando i partÌ'colari delle considerazioni svolte dal Toynbee, si rilevano gli elementi più interessanti emersi nel corso della conversazione.

Da parte degli esperti italiani è stato fatto rilevare al signor Toynbee che, a parte ogni altra considerazione, una linea siffatta comprometterebbe definitivamente la possibilità di costruire -secondo un progetto da tempo allo studio -l'unica linea ferroviaria che, lungo la valle dell'Isonzo ed attraverso il passo del Predil avrebbe permesso un raccordo diretto tra Trieste e l'Austria. Inolte essa avrebbe privato l'Italia delle uniche centrali elettriche della regione e che alimentano tra l'altro Trieste e tutto il locale sistema ferroviario. Toynbee ha risposto ribadendo che egli si era ispirato esclusivamente ai termini della risoluzione del Consiglio dei Cinque, che prescindeva da ogni concetto geografico ed economico limitandosi prettamente a considerare quello etnico. Ha aggiunto (argomento che doveva ripetere più tardi parlando dell'Istria meridionale) che se l'Italia voleva ottenere altrove delle rettifiche a suo favore nei confronti della attuale linea Morgan, doveva prepararsi a cedere terreno laddove vi era, come nel caso in questione, una pressochè totale maggioranza slava.

Interrogato circa Cherso e Lussino, di cui non aveva specificatamente parlato, il signor Toynbee ha risposto di ritenere che esse sarebbero dovute andare alla Jugoslavia. Gli è stato fatto allora rilevare che, secondo le stesse statistiche austriache, la popolazione delle due isole era mista, con una netta prevalenza italiana per Lussino; e non vi era dubbio che durante l'ultimo venticinquennio, a prescindere della esattezza o meno delle cifre riportate dalle statistiche italiane, questa situazione si era ulteriormente modificata a favore dell'elemento italiano. L'argomento parve colpirlo ed indurlo ad ammettere che per lo meno si sarebbe potuto scindere il problema di Cherso da quello di Lussino: non vedeva tuttavia come si potesse indurre la Jugoslavia a lasciare all'Italia, sopratutto nel caso che quest'ultima conservasse Pola, un gruppo di isole che dominava completamente gli accessi a quello che sarebbe stato in avvenire il principale porto jugoslavo -cioè Fiume. È stato osservato da parte degli esperti italiani che Pola, una volta perso il confine del Monte Nevoso, non offriva più alcun valore come base militare, ed anzi !asciarne il possesso all'Italia rappresentava in simili condizioni la migliore garanzia per la effettiva neutralizzazione per gli uni e per gli altri, di tale base; né, in questa circostanza si vedeva quale valore strategico ammesso poi che di problemi strategici si volesse parlare -poteva conservare ad esempio l'isola di Lussino. Anche questo argomento parve interessare il sigor Toynbee il quale a questo punto lasciò capire, tuttavia, cha a suo avviso avrebbe potuto essere estremamente difficile indurre i jugoslavi a rinunciare alla stessa Pola e, con essa, al possesso di tutta l'Istria meridionale. Era per questo motivo, anzi, che egli riteneva necessari i sacrifici da lui indicati nei confronti della linea Morgan a nord di Trieste, e che avrebbero potuto servire di contropartita per assicurare all'Italia il mantenimento di altre zone, come quella di Pola, forse per essa di maggiore interesse.

È stato ancora chiesto a Toynbee cosa pensasse della zona dell'Arsa, ricordando gli che, a prescindere dalla enorme importanza economica che rappresenta per l'Italia quel bacino minerario e dagli ingenti lavori che essa vi ha effettuati per la sua valorizzazione, era quello un settore nel quale più sensibilmente si era modificata a favore dell'Italia la composizione etnica della popolazione. Toynbee, pur annuendo a queste considerazioni, ha mostrato tuttavia di escludere che tale zona potesse essere conservata all'Italia dato che -egli ha affermato -qualsiasi linea di frontiera che la includesse in territorio italiano avrebbe anche condotto al mantenimento all'Italia di una cifra troppo alta di slavi, per i quali non ci sarebbe stata contropartita in corrispondenti cessioni di italiani alla Jugoslavia.

È stato chiesto allora al Toynbee come, a suo avviso, la risoluzione del Consiglio dei Cinque avrebbe giocato nel caso di Fiume. Ha risposto non esservi dubbio che essa avrebbe

dovuto essere attribuita alla Jugoslavia: quanto alla popolazione italiana in quella città, essa avrebbe contribuito a controbilanciare le popolazioni slave destinate a rimanere altrove in territorio italiano. E cosa pensare della possibilità di ricostruire almeno l'antico Stato libero? Toynbee ha dichiarato che riteneva di doverla escludere. Ma allora in «Corpus separatum»? Neppure quello: i jugoslavi-riteneva Toynbee-non consentirebbero a simili restrizioni.

Sin qui per il tracciato materiale della nuova linea proposta. Allo stesso tempo Toynbee, riconoscendo pienamente gli inconvenienti topografici ed economici di una delimitazione politica del genere, ha insistito particolarmente sulla necessità che essa venisse accompagnata da speciali accordi tali da consentire il libero movimento delle popolazioni ed il libero svolgimento dei traffici locali tra i centri urbani (italiani) e le campagne (jugoslave). Egli pensava anzi che tali accordi, se sufficientemente lati, avrebbero potuto consentire anche una soddisfacente soluzione di altri problemi come quelli dell'ulteriore sfruttamento dei giacimenti di bauxite e delle miniere dell'Arsa da parte dell'Italia, dei rifornimenti idrici per l'acquedotto istriano, della utilizzazione della ferrovia Pola-Trieste, e così di seguito. Egli suggeriva al riguardo di esaminare ad. esempio la possibilità di addivenire ad un arretramento delle rispettive linee militari e doganali italiane e jugoslave, con conseguente creazione di una zona intermedia abbastanza estesa, politicamente divisa tra Italia e Jugoslavia, ma a carattere militarmente neutralizzato e con uno speciale regime doganale.

Queste, molto in succinto, le idee esposte da Toynbee e, in parte, ampliate dai suoi collaboratori.

Come già rilevato, il concetto fondamentale cui si ispirava Toynbee era quello di aderire, per quanto possibile, alla lettera della risoluzione del Consiglio dei Cinque. Alle frequenti interruzioni da parte degli esperti italiani per segnalare i molteplici e sovente gravissimi inconvenienti dalla linea da lui indicata, Toynbee ha costantemente ripetuto che se anche poteva condividere molte delle loro opinioni non poteva tuttavia allontanarsi dai precisi «terms of reference» stabiliti alla Conferenza.

Non meno sintomatica poi la preoccupazione -più volte affiorata nel corso della conversazione -di tener conto del fattore materiale rappresentato dalla presenza delle forze di Tito in gran parte del territorio in contestazione e della difficoltà di ottenere una eventuale evacuazione con mezzi pacifici.

«Vi è-egli ebbe a dire a questo proposito-un aspetto tattico (sic) della situazione, di cui è necessario tener conto. Nella difesa dei vostri interessi nella Venezia Giulia dovreste quindi stabilire un ordine di preferenza, in base al quale regolare la vostra resistenza su di una serie di linee successive. Ed, a mio avviso, tenendo conto della situazione di fatto e dell'atteggiamento jugoslavo, queste linee dovrebbero essere, in ordine inverso d'importanza, le seguenti: Isole, Alto Isonzo, !stria meridionale (Pola, Dignano, Rovigno), !stria nord occidentale (Parenzo, Cittanova, Pirano, Capo d'Istria), Gorizia e Carso, e infine, evidentemente come difesa estrema, Trieste».

Come si vede, non certo un consiglio ispirato alla determinazione di sostenere una particolare tesi, bensì (ed è questo in fondo l'atteggiamento britannico in questo momento) di ricercare ad ogni costo una formula di compromesso che eviti troppo gravi e seriamente paventate complicazioni in quel settore.

Su istruzioni del ministro De Gasperi -che si trovava tuttora a Londra -è stata da parte italiana colta l'occasione di una nuova successiva riunione intervenuta al Research Department per ritornare sull'argomento, e fare una opportuna messa a punto.

Nell'assenza del signor Toynbee è stato pertanto fatto presente al suo sostituto (ed esperto di questioni jugoslave) signor Laffan, che il ministro De Gasperi era stato messo al corrente della precedente conversazione. Egli aveva al riguardo precisato di aver già manifestato al Consiglio dei Cinque il punto di vista del governo italiano su quella che avrebbe potuto essere una equa e ragionevole soluzione del problema dei confini italo-jugoslavi, basata cioè sui principi della così detta linea Wilson. Non si sentiva quindi autorizzato ad esprimere un parere sugli aspetti di un nuovo tracciato, che sotto molti aspetti così profondamente divergeva da quello da lui proposto, senza prima consultarsi col proprio governo: ciò tanto più che da indiscrezioni pervenutegli, e del resto pubblicate nella stampa inter

nazionale, era risultato che la stessa tesi della linea Wilson, con miglioramenti a favore dell'Italia nella zona dell'Arsa, corrispondeva perfettamente alla tesi ufficialmente avanzata dal governo americano in seno al Consiglio dei Cinque, e che aveva trovato il favore anche di altre delegazioni.

Il signor Laffan ha mostrato rendersi perfettamente conto dei motivi di questa riserva. In via amichevole ha tuttavia soggiunto che -a suo avviso -la stessa tesi americana, quale essa fosse stata in origine, e similmente del resto alle tesi sostenute dalle altre delegazioni, difficilmente poteva non considerarsi modificata dalla risoluzione adottata in ultima analisi dai cinque ministri degli Esteri: tale risoluzione, d'altronde, aveva fissato su basi alquanto diverse i compiti affidati ai delegati supplenti per l'esame del problema della frontiera italo-jugoslava.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DI NOLA, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, A RIO DE JANEIRO, MARTINI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

TELESPR. 25/26306/c. Roma, 12 novembre 1945.

Codesta ambasciata è al corrente della posizione da noi assunta sia in materia di riparazioni sia in materia di forniture sin qui fatteci dagli Alleati e dell'ingente mole di controprestazioni italiane che dovrebbero compensarle.

Si trasmette accluso un appunto compilato da questa direzione generale degli Affari Economici che chiarisce e illumina le nostre tesi. Su di esso attiro la particolare attenzione dell'E.V.

Ella vedrà che una delle esigenze fondamentali nostre in questa fase di transizione, che si inquadra d'altra parte perfettamente con quella sostanziale modificazione degli armistizi che abbiamo richiesto e chiediamo da cosi lungo tempo, è quella di cercare di ottenere con ogni possibile insistenza la sospensione di quel sistema di gratuità delle controprestazioni italiane ormai in atto da ventisei mesi e l'utilizzazione delle controprestazioni passate, non a titolo di riparazioni (che non abbiamo mezzi per pagare e sono compensate dai danni subiti) ma come mezzo di pagamento delle «civilian supplies».

Si pregano gli ambasciatori a Londra e a Washington di far, tra l'altro, notare ai governi interessati che il solo modo di controbattere efficacemente la nota tesi sovietica in materia, è in sostanza quello di cessare subito di estorcere a un Paese già stremato controprestazioni gratuite e di utilizzare quelle passate quale mezzo di pagamento delle forniture fatteci.

Tesi sovietica e tesi anglo-americana in materia altrimenti si equivarrebbero perfettamente e sarebbero in definitiva ambedue intese alla progressiva, rapida spoliazione del popolo italiano. Ciò che contrasterebbe stranamente con quel generoso proposito di assistenza che fa indubbiamente parte della politica nordamericana nei nostri confronti.

ALLEGATO

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, DI NOLA, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO. Roma, 6 novembre 1945.

l) Nella polemica, improvvisamente sorta tra la Russia da un lato e gli U.S.A. e l'Inghilterra dall'altro circa il problema delle riparazioni da imporre all'Italia, si tende -e pour cause-a confondere il problema delle riparazioni con quello delle prestazioni derivanti dalla Convenzione di armistizio. La Russia chiede, a titolo di riparazioni, 300 milioni di dollari, di cui ... 1 per sé e il resto per la Jugoslavia, la Grecia e l'Albania, e vanta la propria moderazione, non avendo essa ricevuta alcuna prestazione di merci o servizi in base alla Convenzione di armistizio. Inoltre la sua richiesta è subordinata alla condizione che gli Alleati occidentali (con questa espressione si indicano evidentemente l'Inghilterra e gli U.S.A.) rinuncino a qualsiasi richiesta, dovendo essi esser paghi dei 200 miliardi di lire di prestazioni avute in base alla convenzione di armistizio, e, se questa condizione non si verificasse, la Russia fa intendere che recederebbe dal suo atteggiamento di moderazione. Gli U.S.A. e l'Inghilterra, dal canto loro, chiedono che l'Italia sia obbligata a soddisfare le richieste di riparazioni di ciascuna delle Nazioni Unite nei limiti dei beni mobili ed immobili, da essa posseduti nei territori di ciascuna delle Nazioni Unite medesime, e vantano la propria moderazione, sia facendo intendere (ma ciò è incerto, o vale, forse, soltanto per gli U.S.A.) che essi rinunzierebbero per conto loro anche a tale forma di riparazioni, sia facendo osservare che, in tal guisa, l'Italia sarebbe esonerata dall'obbligo di consegnare qualsiasi bene esistente nel territorio metropolitano o da qualsiasi prestazione di merci o servizi trasferibili a favore delle Potenze vincitrici. Esse insorgono poi contro l'affermazione della Russia, di aver già ricevuto prestazioni per 200 miliardi di lire, affermando che tutte le merci esportate dall'Italia negli U.S.A. e in Inghilterra hanno dato luogo ad un equivalente accreditamento in dollari a favore dell'Italia, e che quella cifra, certamente esagerata, rappresenta probabilmente il complesso delle spese di occupazione, per le quali gli Alleati non hanno ricevuto alcun pagamento.

2) Come si vede, dunque, la Russia vanta la propria moderazione per non aver avuto dall'Italia alcuna prestazione in base alla convenzione di armistizio, e perché si crede autorizzata a chiedere, per sé e per i suoi protetti (Jugoslavia, Albania e -per l'occasione Grecia) 300 milioni di dollari. Gli U.S.A. e l'Inghilterra, dal canto loro, vantano la propria moderazione, perché limiterebbero la richiesta di riparazioni ai beni, che l'Italia possiede all'estero, nei limiti in cui la loro acquisizione sia necessaria per risarcire i danni subiti, e fanno cadere sotto la tavola le ingenti prestazioni, ottenute dall'Italia in base alla convenzione d'armistizio, affermando che, per esse, non ottennero alcun pagamento, come se le merci e i servizi, dati dall'Italia per somme ingentissime, non rappresentassero ricchezza o sostanza economica italiana, passata agli Alleati, senza corrispettivo.

3) Se si vuoi vedere chiaro in queste questioni, è necessario tener distinti i due problemi: riparazioni, prestazioni armistiziali. Il problema delle riparazioni è connesso col trattato di pace; il problema delle prestazioni armistiziali colla convenzione di armistizio.

4) Se si fa il confronto tra il progetto russo e quello americano, relativi alle riparazioni, si può osservare quanto segue. La richiesta di 300 milioni di dollari, fatta dalla Russia, non esaurirebbe le riparazioni a carico dell'Italia, perché il veto a chiedere altre riparazioni all'Italia sembra esser posto solo contro l'Inghilterra e gli U.S.A. L'Italia, dunque, dopo aver tacita t o con 300 milioni di dollari la Russia, la Jugoslavia, la Grecia e l'Albania, si troverebbe esposta alla richiesta di riparazioni da parte delle altre Nazioni Unite, fatta eccezione dell'Inghilterra e degli U.S.A. Siccome poi l'Italia si troverebbe nella assoluta impossibilità di poter trasferire una così ingente somma, è probabile che essa sarebbe

I La cifra manca nell'originale.

costretta a cedere, per sdebitarsi, i propri averi all'estero; nel qual caso il progetto russo equivarrebbe al progetto americano, con in più l'inconveniente di risolvere la questione solo parzialmente, e di prescindere dal concetto della compensazione dei danni eventualmente arrecati dall'Italia coi vantaggi apportati da essa a taluni Paesi; concetto, che condurrebbe, ad esempio, ad escludere qualsiasi pagamento a titolo di riparazione a favore dell'Albania. Quanto alla pretesa generosità, mostrata dalla Russia durante il lungo periodo armistiziale, basterà osservare che, non essendo essa Potenza occupante, è ben naturale che non abbia fruito di nessuna di quelle prestazioni, che l'Italia ha dato all'Inghilterra e all'America nella loro qualità di Potenze occupanti, e che, quanto alle altre prestazioni, fatte dall'Italia per agevolare la condotta della guerra che gli Alleati, con il nostro concorso, combattevano sul nostro suolo, esse devono intendersi fatte alla Russia, non meno che all'Inghilterra e agli U.S.A. Circa il progetto di riparazioni americane e gli immensi danni, ch'esso sarebbe destinato ad arrecare all'economia italiana, tutto è stato detto nel precedente pro-memoria, redatto in data... 1•

Occorre soltanto qui aggiungere che l'affermazione che gli Alleati durante l'armistizio e a causa di esso, non hanno ricevuto alcun pagamento dall'Italia, è palesemente infondata. L'Italia ha dato in merci e servizi una parte considerevole della propria sostanza economica, ricavando in corrispettivo soltanto l'accreditamento in dollari delle troop's pay, ossia un corrispettivo di gran lunga inferiore al valore delle proprie prestazioni. L'Italia ha bensì ricevuto inoltre dagli U.S.A., dall'Inghilterra e dal Canadà le civilian supplies per un ammontare ingentissimo. Essa ha chiesto che le civilian supplies siano calcolate come contropartita di quanto dovutole per le prestazioni armistiziali, ma finora la sua richiesta non è stata accolta. L'atteggiamento americano al riguardo non è ben chiaro, perché, mentre gli

U.S.A. si sono associati all'Inghilterra e al Canadà nel richiedere il pagamento delle civilian supplies senza fare alcun accenno ad una possibile compensazione di esse con le nostre prestazioni economiche armistiziali, con una recentissima nota del 29 ottobre u.s. dichiarano che la materia del rimborso delle am-lire e delle requisizioni a favore delle forze armate americane in Italia è intimamente connesso con il settlement finanziario, che sarà fatto con riguardo da un lato ai reclami sorgenti dalla guerra e dall'altro all'obbligo del governo italiano di pagare le civilian supplies fomite all'Italia. Se gli U.S.A. e l'Inghilterra, di cui non è noto il pensiero, accetteranno di compensare le civilian supplies con le prestazioni armistiziali, la critica russa cadrà. In caso contrario, essa sarebbe tanto più giustificata, in quanto prestazioni così onerose e per un così prolungato periodo di tempo, messe a carico dell'Italia cobelligerante, costituiscono già di per se stesse delle riparazioni, e, si può aggiungere, delle molto pesanti riparazioni.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1045/480. Mosca, 12 novembre 1945 (per. il 4 dicembre).

Mio telespresso n. 979/444 del 26 ottobre u.s. 2•

A tutt'oggi da parte sovietica non è stato fatto nessun nuovo passo né per intavolare conversazioni con il governo turco circa la revisione della Convenzione di Montreux, come previsto dal comunicato Tass del 15 ottobre u.s. né per il rinnovo del trattato russo-turco che è ormai scaduto.

I La data manca. Si tratta di un promemoria del l0 novembre, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

Tale silenzio russo non mi ha sorpreso e ciò per due ragioni. Della questione degli Stretti si è parlato a Potsdam in termini molto generici e, a quanto mi è stato riferito, non se ne è parlato a Londra. Però gli anglo-americani sanno benissimo quello che la Russia vuole, ossia difesa militare degli Stretti in comune colla Turchia, e retrocessione delle tre provincie orientali; la Russia sa che essi lo sanno e che vi si oppongono: è quindi tutto un gioco di silenzi e di sottintesi che in realtà non ingannano nessuno. Ma la situazione fra gli alleati, dopo la Conferenza di Londra, è molto complessa e difficile: i russi per conto loro non vogliono la rottura, anzi; se avessero aperta la questione degli Stretti con delle idee diametralmente opposte a quelle americane e inglesi, il risultato sarabbe stato di aggiungere un'altra grossa questione a quelle già esistenti. Il fatto, quindi, che essi abbiano preferito lasciar dormire la questione, era per me una riprova del fatto che essi vogliono arrivare ad un accomodamento.

Oltre a questo i russi si rendevano benissimo conto che l'attuale impasse, doveva finire con un compromesso generale in cui per avere quello su cui non sono disposti a cedere sarebbero costretti a mollare molto, se non tutto, in altri settori. Siccome per questi ultimi, quello che sta loro più a cuore era proprio la questione degli Stretti, poteva convenire ai russi di lasciar dormire la questione nella speranza che gli anglo-americani facessero altrettanto, in modo da non essere obbligati a trattarla in condizioni di inferiorità, quando cioè per loro è in gioco un'altra questione che essi considerano essenziale, la mano libera nella loro zona.

Se non che sembra che gli americani si siano resi conto di questa possibile manovra russa, e, a quanto mi viene riferito, in data 4 novembre essi hanno sottoposto al governo turco il loro piano per una nuova sistemazione del regime degli Stretti, piano di cui, in pari tempo, sono stati informati i governi inglese e russo. Questo ambasciatore di Turchia, a cui ho chiesto in che cosa consistesse il piano americano, mi ha detto di non saperlo ancora, ma di ritenere che quanto è stato a suo tempo pubblicato in proposito dalla stampa sia più o meno esatto: (io non so esattamente che cosa abbia pubblicato la stampa, perché la stampa russa si è ben guardata dal farne menzione e sarò grato se quanto è stato pubblicato mi verrà a suo tempo comunicato) da quanto ho capito, gli americani vorrebbero un regime di larga internazionalizzazione degli Stretti, con libero passaggio per le navi sia da guerra che di commercio, sotto la garanzia delle principali Potenze, in cui l'America, in pratica, si sostituirebbe al Giappone.

Questa iniziativa americana non è stata gradita qui. Per ragioni tattiche, perché, con questo, gli Stati Uniti dimostrano di non essere disposti a lasciar dormire la questione. Per ragioni sostanziali poi, perché i russi, fino a poco tempo fa almeno, mostravano di sperare che gli Stati Uniti si interessassero poco alla questione degli Stretti e lasciassero agire l'Inghilterra, contro la quale, da sola, i sovietici pensavano di potercela spuntare: inoltre l'internazionalizzazione degli Stretti è esattamente il contrario, come ho già spiegato altre volte, di quello che vorrebbero i russi.

Il risultato massimo a cui vorrebbero arrivare i russi è un accordo a due, con i turchi, che chiudesse gli Stretti a tutti meno che alla Russia, con la difesa degli Stretti assunta in comune dai russi e dai turchi. Questo risultando impossibile, avrebbero preferito fare entrare nel regime degli Stretti la sola Inghilterra, escludendone tutte le altre Potenze mediterranee, noi compresi. Una maggiore internazionalizzazione della questione degli Stretti non è di loro gradimento, perché se è vero che essi potrebbero in questo caso farvi ammettere i loro Stati vassalli rivieraschi del Mar Nero e anche qualcuna delle loro repubbliche federate, è da supporre che l'Inghilterra avrebbe voluto trascinarsi dietro tutto lo stuolo delle altre Potenze mediterranee maggiori e minori, che in definitiva avrebbero sempre votato con lei, e la Russia avrebbe finito per trovarsi in minoranza. Meno di tutti poi essi desideravano l'intervento degli Stati Uniti. Per queste stesse ragioni la Turchia, a quanto posso giudicare di qui, è invece particolarmente interessata ad estendere al massimo possibile il numero delle Potenze compartecipi o garanti e soprattutto a farci entrare gli Stati Uniti. E si direbbe che ci è riuscita.

Gli americani di qui tengono a dare l'impressione che l'America non solo si interessa attivamente alla questione degli Stretti come punto essenziale della sua politica mediterranea, ma è fermamente decisa a che la Russia non abbia, dalla nuova situazione, vantaggi maggiori di quelli che le concedeva la Convenzione di Montreux (limitazioni circa l'ingresso e la permanenza nel Mar Nero di flotte di Stati non rivieraschi). Si aggiunge, però, questo meno chiaramente per la verità, che, siccome bisogna pure dare qualche soddisfazione all'amor proprio russo, potrebbe essere opportuno, se la Russia consente ad accettare il punto di vista americano circa il regime degli Stretti, darle soddisfazione per la questione della retrocessione delle tre provincie orientali.

Non so se e fino a che punto questa opinione degli americani di qui possa essere considerata come corrispondente al pensiero del governo americano; non va dimenticato che a capo di questa ambasciata c'è uno dei più attivi fautori dell'accordo ad ogni costo. In ogni modo è probabile che, da parte russa, se c'è una possibilità in questo senso, non si mancherà di approfittarne. I turchi di qui tendono a dare l'impressione che la Turchia è pronta, se necessario, anche alla guerra, ma non a cedere nemmeno un pollice di territorio; ma si sa cosa valgono questi atteggiamenti quando vengono da un paese che non ha forze proprie sufficienti ad opporsi: per me sarei molto sorpreso se la Turchia dovesse riuscire a rimanere l'unico dei paesi confinanti della Russia, che, nella nuova sistemazione mondiale, non ci rimetta qualche penna.

Non credo sia da prevedere che, l'America avendo aperto la nuova fase della questione degli Stretti, l'U.R.S.S. continuerà a restarsene silenziosa. Qualche cosa penso 'che farà, nel quadro delle trattative dirette con la Turchia, ed è anche possibile che venga fuori con delle proposte molto vicine alla sua proposta massima. Ma ai fini del risultato finale di questo battibecco fra Alleati non ha tanta importanza il sapere quali saranno le proposte iniziali della Russia, quanto il vedere se, e fino a che punto, la futura presa di posizione russa sarà resa di pubblica ragione.

Sin qui, di fronte alla sua opinione pubblica, sulle due questioni concernenti la Turchia il governo sovietico è stato molto prudente. Ufficialmente il cittadino sovietico sa soltanto che il governo sovietico chiede la revisione della Convenzione di Montreux; quanto alla questione delle tre provincie orientali la stampa sovietica ne ha parlato, ma chi la agita non è il governo sovietico, ma gli armeni di America. La stampa sovietica, in quanto tale, non ha precisato, né ha preso posizione né nell'uno né nell'altro caso; e questo è segno non indubbio che il governo sovietico non vuole impegnarsi a fondo e tiene a lasciarsi aperta· una via di ritirata senza perdere la faccia di fronte alla sua opinione pubblica. Se la stampa sovietica mantiene il suo riserbo, per avanzate che siano le richieste russe si può essere sicuri che essi sono disposti a cedere molto. Se la stampa sovietica dovesse invece prendere posizione, e nella misura in cui la prenderà, allora sarebbe tutt'altro affare.

Per quanto ci concerne, questa aperta presa di posizione americana nella questione degli Stretti significa una sempre maggiore precisazione dell'interesse americano a tutto quello che riguarda il Mediterraneo. Ciò vuoi dire, da una parte, maggiore interessamento, e quindi maggiore intervento americano, nelle questioni interne italiane, assai minore probabilità che noi riusciamo ad evitare di dovere concedere agli americani basi aeree o navali sul nostro territorio. Dall'altro esso può significare maggior interessamento americano alle questioni italiane (Trieste e nostre colonie) in quanto esse coinvolgono le possibili posizioni russe nel Mediterraneo.

Per quanto concerne l'ipotesi avanzata nel telespresso ministeriale 20657 le. del 26 settembre1 , che la Russia abbia cioè in animo di richiedere uno sbocco all'Egeo per la Bulgaria, a spese della Turchia e della Grecia, la cosa mi sembra poco probabile. Che i bulgari ci pensino non ne dubito, ma che i russi siano disposti, adesso, ad appoggiarli ed anche solo a sollevare la questione ci credo poco. Sarà una delle tante questioni che resterà in riserva per l'avvenire, come quella delle aspirazioni della Macedonia su Salonicco. A mia impressione la Russia si concentrerà, in questo settore, ad ottenere il massimo che può dalla Turchia, ed a cercare di ottenere che il Dodecaneso non sia dato alla Grecia, ma affidato ad un trusteeship internazionale di cui essa faccia parte.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1047/482. Mosca, 13 novembre 19452.

Mentre attendo di ricevere la copia delle note ministeriali rimesse alle ambasciate interessate e preannunciatemi col telegramma di V.S. sullo stesso oggetto\ ritengo mio dovere esporre alla S.V. alcune mie impressioni sulla questione delle riparazioni.

Premetto che, come V.S. sa, io non conosco se e quali conversazioni ed accordi precisi, sull'argomento, siano intercorsi, specialmente con Washington. Le mie osservazioni si basano sui soli elementi che sono in mio possesso: quanto ha detto in proposito Byrnes nel suo discorso dopo il fallimento della Conferenza di Londra, sulla intervista concessa da Longo all'Unità4 e sulle precisazioni dell'Agenzia «Tass» (mio telegramma n. 3 del 31 ottobre u.s.) 5 .

l Non pubblicato.

2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo

3 T. 8716/c. dell'8 novembre, non pubblicato.

4 L'Unità del 28 ottobre aveva pubblicato alcune dichiarazioni di Longo sulla questione delle riparazioni.

5 T. 11205/535 (1-2-3), non pubblicato.

Poiché qualora l'impostazione della questione delle riparazioni, tale quale essa è stata fatta recentemente dal governo italiano, sia il risultato di accordi e di consigli del governo americano, e qualora noi possiamo essere sicuri che gli Stati Uniti sosterranno, nella inevitabile conferenza internazionale, fino all'ultimo, il nostro punto di vista, allora la maggior parte delle mie osservazioni verrebbe a cadere.

L'intervista Longo seguita immediatamente da una precisazione dell'Agenzia «Tass», non mi sembra casuale. Le richieste russo-jugoslave di riparazioni hanno evidentemente prodotto una reazione non indifferente in certi strati dell'opinione pubblica italiana. Si è ritenuto quindi necessario a Mosca, di procedere ad una messa a punto e, per non entrare in una polemica diretta con gli anglo-americani, si è scelta questa via. Longo dice in sostanza: se la Russia ci chiede seicento milioni di dollari per riparazioni, gli anglo-americani, sotto vari titoli ci hanno portato via già due miliardi di dollari. Incidentalmente osservo che, per mia norma di linguaggio con questo governo, mi sarebbe molto utile di sapere, con quanto maggiore dettaglio possibile, se e fino a che punto questa ultima cifra corrisponde alla realtà. A questa intervista Mosca risponde precisamente: la Russia, se gli anglo-americani consentono, per quanto li riguarda, a non richiedere riparazioni all'Italia, è disposta a ridurre le riparazioni italiane a 300 milioni di dollari, ma dovrebbe comprendere le riparazioni russe, jugoslave, albanesi e greche. In altri termini la Russia dice: io sono pronta ad ammettere che quanto dicono gli anglo-americani, circa l'incapacità dell'Italia a pagare sia esatto, a condizione che questo sia riconosciuto come valido nei riguardi di tutti. Quello che non sono disposta ad accettare è che mentre i paesi ricchi e che hanno sofferto relativamente poco o nulla dall'aggressione italiana, come gli Stati Uniti e l'Inghilterra, si servono largamente delle riparazioni italiane, quando si tratta di paesi poveri e rovinati, come l'U.R.S.S., la Jugoslavia, l'Albania e la Grecia, si sostenga il principio che l'Italia non può pagare. In realtà, in fondo, l'U.R.S.S. viene a fare intendere che l'incapacità dell'Italia a pagare è mantenuta solo di fronte all'U.R.S.S. ed ai paesi il cui regime non è gradito a Washington e a Londra, la Grecia è stata messa lì per daré un po' di polvere negli occhi.

La precisazione della «Tass» è molto importante: essa costituisce una presa di posizione precisa del governo sovietico; essa ha naturalmente un valore polemico; vuoi dire al popolo italiano: i vostri «amici», gli anglo-americani, vi hanno già portato via due miliardi di dollari: l'«ostile» U.R.S.S. non richiede per sé che 100 milioni. Ma essa è anche suscettibile di un'altra interessante interpretazione. Come soluzione della questione delle riparazioni Longo propone che da parte nostra si richieda che venga fissata una somma globale di riparazioni che gli Alleati dovrebbero poi ripartirsi fra loro, nella quale somma globale dovrebbe essere versato tutto quello che già, sotto un titolo od un altro, è stato dato agli Alleati. La «Tass», anche se non del tutto chiaramente, ha l'aria di dire, questo è stato proprio quello che ha proposto la Russia: una somma globale di 300 milioni di dollari poiché dal momento che questa proposta russa è condizionata alla rinunzia dei governi anglo-americani a richiedere riparazioni all'Italia, la proposta sovietica non lascerebbe fuori altro che la Francia.

Già di per sé questa proposta sovietica costituisce un bel passo innanzi, poiché fissando a 300 milioni complessivi le nostre riparazioni con questo, implicitamente, la Russia si impegna a persuadere la Jugoslavia a ridurre le sue richieste dai mille e seicento milioni a qualche cosa di vicino ai 150-200 milioni di dollari. È vero che la Russia non ha la possibilità di esercitare la stessa pressione sulla Grecia, ma in questo caso l'odium delle. richieste greche, ricadrebbe in un certo senso sul suo patrono, l'Inghilterra. Ma in realtà, la precisazione «Tass» tende ad andare molto più in là. La stampa sovietica, come V.S. sa, ha tutto un sistema di valori assai precisi. Quando si riporta l'opinione di un determinato personaggio straniero e la si fa seguire da un commento «Tass» che non sia una smentita, ciò vuoi dire che il governo sovietico sostanzialmente approva l'opinione espressa. Nel caso in questione, quindi, l'U.R.S.S. trova ragionevole:

l) che l'Italia faccia difficoltà e riserve alla consegna di materiale bellico e di impianti industriali a titolo riparazioni;

2) che l'Italia si opponga alla confisca delle proprietà italiane all'estero;

3) che l'Italia richieda che quello che essa ha già dato agli Alleati a vari titoli venga calcolato nella somma globale che l'Italia deve pagare.

Quest'ultimo punto si presterebbe poi a delle estensioni interessanti. Infatti interpretando alla lettera i due documenti (intervista Longo e precisazione «Tass») ne verrebbe fuori che gli anglo-americani dovrebbero restituirei l. 700 milioni di dollari. A parte il fatto se e fino a che punto le cifre Longo sono esatte, gli anglo-americani possono naturalmente contestare che da parte loro hanno dato all'Italia, sotto vari titoli, per parecchie centinaia di milioni di dollari. Su questo punto evidentemente i due documenti hanno un valore polemico; si vuole svalutare, di fronte all'opinione pubblica italiana, il significato degli aiuti americani, dicendo, vi aiutano si, ma vi aiutano con soldi che vi hanno portato via. Resta però il fatto che la tesi sovietica potrebbe prestarsi ad essere interpretata almeno in senso che noi non dobbiamo pagare più niente a titolo riparazioni, poiché gli anglo-americani dovrebbero pagare loro i 300 milioni di dollari richiesti, quello che hanno portato via all'Italia. Ritengo opportuno qui precisare: mentre l'osservazione «Tass» costituisce un impegno preciso del governo sovietico, a cui ci possiamo sempre riferire, le idee di Longo non costituiscono un impegno sovietico. Ai fini pratici, quanto ho detto sopra va inteso nel senso che si tratta di idee che la Russia trova ragionevoli e sulla base delle quali si potrebbe sembre trattare con lei.

Se noi fossimo liberi, nel campo della politica estera, io non esiterei a dire che noi dovremmo accettare senz'altro le proposte sovietiche ed anzi affidare, in questo campo, la difesa dei nostri interessi alla Russia. A quanto io posso giudicare da Mosca, con tutto l'appoggio che l'America ci potrà dare, mi sembra molto poco probabile che noi riusciamo a non pagare niente a titolo riparazioni: i nostri ragionamenti, le tesi che noi sosteniamo, sarebbero inattaccabili se noi vivessimo in un mondo differente da quello che è. Le cose stando come esse sono, tutto quello su cui possiamo contare è di riuscire a ridurre le riparazioni al minimo possibile, scalandole nel maggior tempo possibile, nella speranza che se e quando la ragione ed il buon senso torneranno ad avere un certo peso nel mondo, si possano ottenere delle ulteriori riduzioni, anche senza arrivare alla dichiarazione di fallimento, come ha dovuto fare l'Austria, a suo tempo, per ottenere la cancellazione delle sue riparazioni. Lasciamo da parte, come troppo bella, l'ipotesi che la proposta russa possa essere interpretata nel senso che noi abbiamo già pagato tutte le nostre riparazioni. Anche !asciandola quale essa è, una liquidazione di tutte le riparazioni sulla base di 300 milioni di dollari, la proposta russa, indipendentemente dal fatto se sia giusto o no che la Russia, od altri paesi, ci chiedano delle riparazioni, mi sembra, se non proprio il massimo che possiamo sperare di ottenere, almeno molto vicino. 300 milioni di dollari sono, al cambio anteguerra circa 6 miliardi di lire. La somma potrebbe essere alquanto ridotta a mezzo della cessione alla Russia o al suo gruppo, delle nostre attività nella sua zona d'influenzq. Anche se la cosa non ci venisse espressamente richiesta dalla Russia (il che è invece molto probabile per le ragioni da me esposte in vari rapporti) potrebbe essere, da parte nostra, buona politica il proporlo: in ogni modo starebbe a noi di decidere se preferiamo pagare le riparazioni, in parte, in questo modo o direttamente. Potremmo richiedere, e anche questo sarebbe ragionevole, che per due o tre anni, il periodo più critico della ricostruzione, le nostre riparazioni fossero ridotte ad un token payment. Le nostre riparazioni dovrebbero essere pagate in natura -e qui non bisogna dimenticare come la Germania si sia abilmente servita, dopo l'altra guerra, delle sue riparazioni per aprirsi dei mercati -scalate mettiamo in 10, 12 anni, (anche qui con i russi si potrebbe trattare: per la Finlandia hanno già consentito a che il pagamento delle riparazioni avvenga in 8 anni invece che in 6) ne verrebbe fuori, salvo ulteriori riduzioni, un onere, in lire anteguerra, di mezzo miliardo all'anno. Le riparazioni, in se stesse sono sempre un onere noioso, antipatico e repulsivo. Ma dal momento che purtroppo è una pitlola che dovremo mandare giù, l'importanza è che esse non costituiscano un onere che schiacci.

La difficoltà maggiore viene per noi dal fatto che noi non siamo -e non siamo destinati ad essere per lungo tempo -liberi nella nostra politica estera. Per questo, e per non compromettere tutto un insieme di rapporti, che non mi sono noti che assai frammentariamente, io mi sono astenuto anche solo dal domandare precisazioni ai russi sulla portata e sulla interpretazione da darsi alla precisazione «Tass», per timore di mettere V.S. in qualche pasticcio. Tuttavia la proposta russa non mi sembra sia di quelle che vadano lasciate cadere senz'altro. V.S. sa che io sono sempre stato e continuo ad essere scettico sul valore reale della benevolenza americana ed inglese, e lo resto sempre più sulla loro capacità effettiva di resistere efficacemente di fronte ai russi. Sotto questo punto di vista la situazione è da considerarsi almeno come peggiorata. Sin qui l'atteggiamento sovietico era rimasto nel vago, l'opinione pubblica, anzi, ufficialmente ignorava che da parte sovietica si reclamassero riparazioni dall'Italia; oggi il governo sovietico si è pronunziato: le cifre date nel comunicato «Tass» debbono essere quindi considerate come un «minimum » oltre il quale il governo sovietico non è disposto ad andare, quale che sia l'opposizione americana. Le alternative quindi che si presentano per noi sono:

l) il minimo richiesto dalla Russia, per sé e per i Paesi balcanici verrà coperto da quello che gli anglo-americani hanno già preso dall'Italia, essi rinunziando in questo modo, non solo a richiederci ulteriori riparazioni, ma in parte a quello che essi hanno già preso;

2) gli anglo-americani rinunziano a chiederci ulteriori riparazioni ma si tengono quello che hanno già preso, nel quale caso dovremmo pagare ancora 300 milioni di dollari;

3) gli anglo-americani non rinunciano ad ulteriori riparazioni dall'Italia ed allora la Russia eleverà in misura corrispondente le pretese sue e dei suoi favoriti: nel qual caso dovremo pagare a tutti.

Questo è comunque certo: ai suoi 300 milioni la Russia non rinuncerà, quali che siano le obiezioni anglo-americane, ci potrà rinunciare, nei nostri riguardi, se gli anglo-americani consentiranno a darglieli, loro, su quello che hanno già preso. E ancora, se gli anglo-americani insisteranno per avere altre riparazioni dall'Italia, sotto qualsiasi forma, anche solo sotto quella di sequestro di assets italiani negli Stati Uniti e nell'Impero britannico, la Russia insisterà perché la sua quota di riparazioni italiane sia aumentata in maniera corrispondente. E non ci saranno opposizioni americane che riusciranno, temo, a far démordre i russi.

Se noi fossimo liberi in materia di politica estera, ripeto, per quello che concerne la questione delle riparazioni, la miglior cosa sarebbe per noi andare dai russi e dire loro: «Il governo italiano riconosce i danni fatti alla Russia, alla Jugoslavia, ecc. ringrazia il governo russo per la sua generosità nel ridurre ad una somma così piccola le sue richieste ed accetta la proposta russa. Ma l'Italia è stata già bled white da quanto hanno portato via gli anglo-americani: ci mettiamo nelle vostre mani, cercate di ottenere che essi consentano di restituirei, in una forma o nell'altra, quello che è necessario per pagare voi». Appoggiati diplomaticamente dal governo sovietico ci sono delle chances che potremmo arrivare alla soluzione prima, certamente potremmo arrivare alla soluzione seconda. Ma, ripeto pure, non so, anzi dubito se possiamo farlo: rischiamo di perdere l'appoggio americano nelle altre questioni che ci interessano. V.S. è meglio di me in grado di giudicare quello che esso vale e non potrei escludere che, da parte russa, per appoggiarci a fondo, specie per la soluzione l), ci si chieda una maggiore condiscendenza al punto di vista russo in altre questioni. Tutto ciò potrebbe costituire poi un primo passo sulla via di impegni politici di . altro genere, via che, anche se lo volessimo, ci è preclusa per le ragioni che varie volte ho esposte alla S.V.

Quello che però il governo non può fare, lo potrebbe fare la Consulta, la stampa, l'opinione pubblica. In questa precisazione del punto di vista russo, che, se sommiamo insieme pretese originali della Russia e degli altri è comunque una bella discesa, io vedo un altro elemento di una certa importanza. Alla Russia dovrà pure essere arrivata qualche impressione sulla ripercussione che sull'opinione pubblica italiana hanno avuto tutta questa serie di colpi da parte russa: Trieste, colonie, riparazioni. La Russia, ha dovuto in un certo senso, correre ai ripari, precisando e riducendo. Il che significa, per me, che la Russia, entro certi limiti almeno, si preoccupa dell'opinione pubblica italiana. Mi si potrà obiettare che la Russia sia soprattutto preoccupata delle ripercussioni che il suo atteggiamento può avere sulla situazione del partito comunista italiano. Non mi sento di negare del tutto questa obiezione, ma, a mio avviso, non è essa che è decisiva: per me si sono preoccupati dell'opinione pubblica italiana puramente e semplicemente.

Diamo pure se vogliamo -visto che non si tratta di governo la precisione non ha tanta importanza -all'intervista Longo ed alla precisazione «Tass» l'interpretazione l). Io credo sarebbe assai utile che la Consulta, la stampa italiana raccogliessero questa proposta russa, come la proposta che risolve la situazione e che l'opinione pubblica italiana accetta e subito. E marchiamo la nostra gratitudine alla Russia per essere stata lei a proporla. Da parte mia, senza compromettere il governo, potrei far rilevare qui questa reazione dell'opinione pubblica italiana. Quanto più questa presa di posizione dell'opinione pubblica italiana sarà aperta e generale, tanto meglio. Se i russi si preoccupano dell'opinione pubblica italiana, è lecito supporre che anche gli anglo-americani non vi siano del tutto indifferenti, soprattutto quando l'opinione pubblica italiana marchi un entusiasmo verso l'U.R.S.S..Trasportando, in quanto è possibile, questa disputa fra Alleati per la divisione delle nostre spoglie sul terreno dell'opinione pubblica italiana, possiamo sperare di far modificare agli anglo-americani il loro atteggiamento, se ci è sfavorevole o confermarlo maggiormente se ci è realmente favorevole. Comunque, sia che si tratti di governo, sia che ~ tratti di opinione pubblica, non credo sia nel nostro interesse di lasciare passare questa presa di posizione russa senza una nostra reazione: se Io. facessimo non si farebbe che confermare quell'opinione, che già esiste in certa misura, che coll'Italia non c'è niente da fare.

Pregherei quindi V.S. di volermi far conoscere telegraficamente il suo pensiero su questo mio rapporto poiché, come ella ben comprende, adesso, non conoscendo tante cose, io non mi azzardo a parlare dell'argomento con questo governo 1•

683

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 4893/3439. Londra, 14 novembre 1945 (per. il 21).

Telespresso ministeriale n. 41/19706/427 del 18 settembre. Mio telespresso n. 3536/2702 del 17 agosto u.s. 2

Risultandomi che una diretta presa di contatto con quest'ambasciata d'Egitto non avrebbe ora provocato sfavorevoli reazioni di questo Foreign Office, ho incaricato un funzionario del mio uffico di avvicinare Said bey, consigliere della rappresentanza stessa, per intrattenerlo sul contenuto del telespresso surriferito.

Il colloquio si è svolto in un'atmosfera estremamente cordiale dalla quale si poteva arguire che il lungo periodo di interruzione dei contatti diretti tra il nostro paese e l'Egitto non deve avere irreparabilmente intaccato la buona amicizia di un tempo. Non era evidentemente il caso, durante questo primo incontro, di spingere le cose troppo innanzi: è stato ciònondimeno fatto presente il desiderio del governo italiano di vedere ristabilite, non appena possibile, le normali relazioni diplomatiche. Avrebbe intanto influito favorevolmente se si fossero potuti iniziare degli scambi commerciali, in attesa che, svanita ogni eventuale prevenzione e sospetto, si potesse fondare su nuove basi, aliene da ogni intrigo e secondo fine, la riimovata amicizia italo-egiziana. Ciò poteva servire i reciproci interessi come quelli della Gran Bretagna, alla quale ambedue i paesi si sentono legati da vincoli più stretti e sinceri che nel passato.

Said bey, interpolando il suo discorso con frasi cortesi, ha risposto che, se anche non era in grado di affermare se il suo governo considerasse o meno spianata

1 Per la risposta vedi serie decima, vol. III, D. 5. 2 Non pubblicati.

la via per il ritorno alla normalità, sapeva certamente che l'Italia democratica contava tuttora in Egitto delle vive simpatie. Gli risultava che l'atmosfera che era stata di ostacolo si era in questi ultimi tempi notevolmente schiarita. Avrebbe ad ogni modo trasmesso al Cairo il contenuto del nostro suggerimento che pregava ripetergli in una comunicazione scritta di carattere personale; la qual cosa è stata fatta senz'altro.

Poco posso aggiungere nella materia sulla quale del resto non mancherà di riferire il ministro De Astis. Quanto sia suscettibile il governo britannico su tutto quello che concerne l'Egitto e più particolarmente quanto lo avesse adombrato l'atteggiamento del passato governo nei confronti del mondo arabo è cosa troppo nota per essere ripetuta e per non dover essere tenuta oggi in debito conto. Sarà forse difficile smobilitare certi stati d'animo finché non sia stata decisa la sorte della Cirenaica e più precisamente non siano state delimitate le nuove frontiere sud-occidentali dell'Egitto. D'altronde qualche ricorrente complicazione d'ordine interno, di cui recenti disordini di una certa importanza sono stati riportati dalla stampa, manter sempre in sospetto queste autorità. Ciò rende tanto più utile da parte nostra giocare colle carte sul tavolo, secondo la frase di ben più larga applicazione di Bevin. È quello del resto che lo stesso Said bey ha avuto occasione di ripetere al nostro funzionario.

684

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. 12134/593. Parigi, 15 novembre 1945, ore 18,45 (per. ore 9,10 del 16).

In conformità istruzioni di cui al telegramma 374 1 di V.S. ho presentato ed illustrato a questo segretario generale Quai d'Orsay energica nota di protesta per espulsione italiani Tunisia esprimendo contempo fiducia che autorità francesi vorranno secondo tempo riprendere in esame provvedimento nel quadro normalizzazione rapporti franco-italiani.

Colto occasione per aggiungere che problema emigrazione italiana in Francia, il quale dovrà trovare suo regolamento in trattato lavoro di prossima discussione, non può non essere connesso, in vista ogni proficuo sviluppo, con piena normalizzazione rapporti tra due paesi e soluzione tutte questioni pendenti in spirito di fiducia e reciproca volontà collaborazione.

Mio interlocutore nel prendere atto protesta espressosi con insolita cordialità essere favorevole sopraccennato mio punto di vista ed accennatomi informarne oggi stesso Bidault. Non appena sarà formato nuovo governo riservomi riprendere ed approfondire conversazioni con ministro Esteri che ritiensi sarà stesso Bidault. Segue rapporto per corriere2•

1 T. 8584/374 del 4 novembre, non pubblicato. 2 Non pubblicato.

685

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 12149n81-782. Washington, 15 novembre 1945, ore 23,30 (per. ore 18,45 del 16).

Dipartimento di Stato, a seguito di varie precedenti conversazioni con questa ambasciata sulla questione, mi informa stasera, a titolo strettamente confidenziale, che è stata convenuta con governo britannico la sollecita restituzione all'amministrazione italiana di tutte le provincie del nord, ad eccezione di quella di Udine ed ovviamente della Venezia Giulia. Per la provincia di Udine, mantenimento dell'AMO è considerato per ora indispensabile, date necessità militari transito per Austria ed occupazione Venezia Giulia. Istruzioni circa consegna provincie suddette a governo italiano verranno inviate con sollecitudine al Quartiere Generale di Caserta. Pur essendosi suggerita data 1° dicembre per consegna, si ritiene difficile che questa possa aver luogo prima di metà dicembre dovendosi tener conto tempo necessario preparativi militari.

Come accennato in relazione dichiarazione del presidente Parri e di V.S. sulla questione, questa ambasciata non aveva mancato mantenere continuamente viva presso Dipartimento di Stato necessità sollecita restituzione provincie nord e ciò anche in connessione con ritardo revisione armistizio e prossime elezioni. Dipartimento di Stato da varie settimane aveva ripreso a discutere la questione con Foreign Office. In questi ultimi giorni tali conversazioni si erano intensificate, grazie presenza qui di Kirk. Mi risulta anche questa ambasciata d'Inghilterra ha dimostrato vivo interessamento. Si è così giunti ad odierna soddisfacente soluzione.

Per la provincia Bolzano vi sono stati alti e bassi. Una corrente del Dipartimento di Stato avrebbe preferito che per considerazioni di principio fosse mantenuta amministrazione alleata e ciò benché sia ormai da considerarsi in massima acquisito intendimento del governo statunitense che essa rimanga all'Italia salvo eventuali piccole rettifiche. Ha finito per prevalere altra corrente a noi favorevole mentre anche da parte inglese si è espresso avviso per restituzione provincia Bolzano all'amministrazione italiana peraltro sotto riserva decisione finale Conferenza internazionale della pace. Dunn, in conversazione avuta a Londra con dirigente politiCa inglese, ha sostenuto necessità che Alto Adige rimanga all'Italia a manifesta fiducia in favorevole soluzione definitiva.

686

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12127n83. Londra, 15 novembre 1945, ore 23,50 (per. ore 9 del 16).

Ho intrattenuto ieri Harvey circa irrilevante e deludente effetto pubblicazione armistizio non integrata da adeguato commento e sostanziale revisione.

Mi ha dichiarato che quanto si è fatto, oltre rappresentare per il momento massimo consentito alla iniziativa unilaterale anglo-americana, costituisce nell'intenzione inglese il primo avviamento ad una normalizzazione che dovrà rapidamente svilupparsi nell'immediato avvenire.

È intenzione Foreign Office che con inizio nuovo anno interferenze Commissione Alleata debbano essere praticamente eliminate per far luogo ad un semplice organo di consultazione, specialmente in materia finanziaria, composto da tecnici facenti parte delle normali rappresentanze diplomatiche alleate e da nostri tecnici. Dietro mio richiamo alle difficoltà concrete in cui nonostante queste buone intenzioni continuiamo a dibatterci mi ha assicurato che l'alleggerimento dei nostri schiaccianti gravami finanziari è sotto considerazione compatibilmente con le esigenze non meno critiche situazione finanziaria inglese. Gli ho chiesto se riteneva probabile che i casi italiani rientrassero nelle eventuali discussioni Washington. Secondo lui ciò sarebbe da escludere in base previsto programma convegno limitato bomba atomica e sistemazione rapporti anglo-americani.

È evidente che problema atomico involge più vasto argomento relazioni fra Tre Grandi ma è improbabile che da questo arduo piano generale si scenda a problemi particolari che non presentino immediata pericolosità e necessità intervento.

In complesso Foreign Office mi pare però sufficientemente impressionato da possibili degenerazioni della situazione politica italiana e sinceramente deliberato ad accordarci ogni sollievo consentito dalla limitata libertà di manovra anglo-americana. È ormai estremamente improbabile che si possa giungere nei nostri riguardi ad un nuovo modus vivendi internazionalmente riconosciuto prima della ripresa della conferenza dei Cinque sulla cui sollecita riconvocazione il Foreign Office non si azzarda a fare che un conto molto ipotetico. Non resta che batterci per ottenere caso per caso quelle concessioni che ci sarà dato strappare sul terreno pratico.

687

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE

L. 3/2046. Roma, 15 novembre 1945.

The Reuter correspondence published after the happenings at Capodistria and the Italian Government's protest regarding said occurrences, have been given by ltaly the greatest consideration.

Sai d correspondence -the text of which is enclosed 1 as i t was printed in the Roman newspapers -reports that «irrespective of what the British attidude towards the Yugoslav methods may bee, observers in London are of the opinion that any interference by either side is barred by the June 9th agreement concerning the Yugoslav occupation zone».

l Non pubblicato.

978 I cannot refrain from representing to you, dear Admiral Stone, that such point

of view could in no case whatever be acceptable to the ltalian Govemment and to

Italian public opinion.

Because of the responsibilities towards my Country, resting directly upon myself

in my official capacity, and particularly towards the Italian citizens who, although

àt present under foreign rule, bave not ceased juridically to be Italian citizens, I

must once more stress the ltalian viewpoint, as already repeatedly expressed, I am

summarizing it again hereunder:

a) In as much as the Armistice covers «the whole ltalian territory», the

Yugoslav military occupation of that part of the Venezia Giulia-as delimited by

the June 9th, 1945, agreement between the Allies and Marshal Tito -is to be

considered as authorized by and under the responsibility of the United Nations,

according to articles 18 and 38 of the additional Armistice clauses;

b) lt derives therefrom that the Italian Govemment has th~ right to bring directly before the Allied Govemments ali complaints in matters conceming systems used by Yugoslav Military Authorities in excercising occupational powers in the zone assigned to Yugoslavia;

c) The duties resting upon Yugoslav Military Authorities in «Zone B» cannot consist only in the «obligations specifically assumed by the Yugoslav Go-vemment according the June 9th agreement» (as stated by Reuter in connection with the obligation entered into by Yugoslavia to repatriate deportees and to make restitution of confiscated property), but they consist in ali obligations the occupying Power has to observe, paramount among them, that of ensuring public order and of protecting lives and properties of the citizens of the occupied territory.

I wish to recall, dear Admiral Stone, that Col. Bowman has recently made a statement to the effect that Great Britain and the United States are occupying «Zone A» «as trustees». Such a definition appears to me to be the correct one as it clearly expresses the responsibilities which are incumbent upon each one of the United Nations towards the others, and jointly on the United Nations towards Italy.

I am anxious to reiterate to-day these viewpoints, now that the Armistice clauses bave become of public knowledge.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO CONFIDENZIALE 1 . Roma, 15 novembre 1945.

Un diplomatico jugoslavo (Smodlaka il vecchio) esprime il proprio desiderio personale di accostamento a Togliatti, il quale dice: «Mi pare condizione preliminare debba essere ritorno profughi nella Venezia Giulia». L'interlocutore: «Che cosa mi

I Autografo.

date in cambio))? Accenno a dichiarazione generica di ripudio aggressione Lubiana e alcune altre cose (tra cui rilievo che molti cetnici sono in Italia). Togliatti dichiara di non aver precisato nulla in merito. Tutto ciò dovrebbe portare a ripresa relazioni.

Poi si dovrebbe cercare soluzione. Togliatti ha l'impressione che si accontenterebbero di una specie di protettorato su uno Staterello cuscinetto della «Marca Giulia)) e che slavi sono preoccupati soprattutto dell'integrazione economica e del loro influsso su porto e ferrovie. Perciò non amano intemazionalizzazione porto Trieste. Togliatti pensa personalmente che si potrebbe elaborare per Trieste uno statuto valido in tutte e due le eventualità e poi rimettere all'arbitrato dei Tre, a chi tocca.

Gli faccio difficoltà sentimentali. I due però non si sono molto addentrati in tale materia. Togliatti attende ch'io ne parli con Parri e poi gli dia una risposta preliminare da fare all'interlocutore.

Pensarci e farmi proposta 1 .

689

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 9142/6502 . Roma, 16 novembre 1945, ore 9.

Telegramma V.S. 768 3•

Monsignor Tardini mi ha fatto sapere che telegraferà a codesta delegazione apostolica per opportuno intervento presso l'imminente conferenza dei vescovi, ma che tuttavia egli dubita che tale conferenza trovi il modo di dire qualche cosa per l'Italia.

690

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.o. 12319n92. Washington, 17 novembre 1945, ore 18,05 (per. ore 12,20 del 18). Mio telegramma 7824 .

Ho consegnato al sottosegretario di Stato una nota nella quale gli do comunicazione dei provvedimenti emanati per bilinguità in scuole Alto Adige (di cui sua lettera in data 19 ottobre u.s. n. 3/1833 pervenutami solo ieri) 5 . Nell'occasione ho

I Il contenuto di questo appunto fu comunicato a Quaroni con T. s.n.d. 9274/564 del 17 novembre, non pubblicato.

2 Minuta autografa.

3 Vedi D. 677.

4 Vedi D. 685.

5 Vedi D. 627, nota l.

980 accennato a corrispondenza New York Times da Vienna (telegramma odierno stampa 85) 1 circa rivendicazioni presentate da governo austriaco a Poli t Bureau alleato. Gli ho chiesto di nuovo formalmente se possiamo contare in modo sicuro su nota decisione presa a Londra per Alto Adige da delegazione Stati Uniti America (mio telegramma n. 523)2• Acheson ha risposto che punto di vista espresso circa nostra frontiera con l'Austria in piano americano pace sarà fermamente sostenuto e non vi è ragione di credere che non prevalga poiché Inghilterra non si opporrebbe e l'U.R.S.S. non ha interessi fondamentali e legittimi in quella regione da far valere.

691

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. s.N.D. 12303n93. Washington, 17 novembre 1945, ore 13 (per. ore IO del 18).

Mio telegramma 7843•

Nel lungo e cordiale colloquio odierno ho nuovamente esposto al sottosegretario di Stato necessità assoluta revisione armistizio e di modificare modus vivendi con l'Italia in attesa che possa concludersi pace equa e costruttiva. Al riguardo sono tornato ad avvalermi dei favorevoli elementi delle conversazioni di Carandini con Bevin e Cadogan e di Quaroni con Dekanozov insistendo per pronta iniziativa americana facilitata ormai da non opposizione russa.

Acheson ha riconosciuto che questo atteggiamento sovietico spiana finalmente la via per una temporanea soluzione che egli vivamente si augura possa essere soddisfacente. Mi ha detto: «posso assicurarvi che condivido pienamente vostra opinione e che mi adopererò affinché Stati Uniti d'America propongano sollecitamente a Londra ed a Mosca una soluzione provvisoria».

692

L'AMBASCIATORE A MADRID, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12315/1198-1199. Madrid, 17 novembre 1945, ore 23 (per. ore 12,20 del 18)

Riferimento lettera 3/1930 ottobre 304 .

Ho avuto in questi giorni nuovi colloqui con ambasciatori U.S.A. e Inghilterra. A entrambi ho riconfermato linea di condotta politica italiana in Spagna coerente

I T. stampa 12181/85 del 16 novembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 574. 3 T. s.n.d. 12148n84 del 16 novembre, non pubblicato. 4 Vedi D. 649, nota 6.

981 con le decisioni Postdam e desiderio uniformarsi azione comune Alleati circa rapporti con governo provvisorio repubblicano spagnolo del Messico.

Entrambi mi espressero cordiale gradimento per nuovo segno della nostra collaborazione in questo settore. Loro punto di vista coincide però perfettamente con mia valutazione della situazione e giudizio sulla eventuale possibilità avvento governo repubblicano Girai. Ambasciatori pur affermando simpatia che i nostri governi democratici devono a esuli che hanno combattuto e sofferto per causa libertà, non ritengono tuttavia che il governo provvisorio Girai abbia alcuna solida base in Spagna né goda di alcuna seria considerazione da parte delle stesse correnti repubblicane filocomuniste o anarchiche che lavorano segretamente all'interno del paese per preparazione rivolgimento contro Franco. Ciò coincide anche con mie riservate informazioni provenienti dal mondo operaio di Bilbao.

Pur desiderando soluzione repubblicana grande maggioranza elementi sinistra non la vorrebbero mai imposta dallo straniero con un governo formato da uomini ormai lontani dalle simpatie popolari e che tranne Prieto, che verrebbe comunque ben accolto, non godono che di scarsa considerazione.

In questo momento poi ho trovato i due ambasciatori estremamente sensibili ai pericoli che correrebbero le loro posizioni nel Mediterraneo e nella penisola Iberica, specialmente Gibilterra (mio telegramma del 24 ottobre) 1 se si realizzassero le prospettive segnalate da Del Rios.

Da tutto ciò credo poter concludere che il riconoscimento anglo-americano del governo Girai è sempre più improbabile e in ogni modo per ora lontano e che linea di condotta adottata da V.E. di seguire anche in questo il governo laburista ed il governo degli Stati Uniti sia la più opportuna dal punto di vista nostro interesse e la più rispondente alla realtà che si riassume in queste parole di uno dei due ambasciatori una «imposizione della repubblica di Girai allo stato delle cose significherebbe la guerra civile in Spagna».

693

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 17 novembre 1945.

Nel colloquio dell'ambasciatore Quaroni coll'ambasciatore jugoslavo a Mosca 2 hanno formato oggetto di una prima formale discussione i seguenti argomenti:

l) Questione delle frontiere. I due interlocutori sono rimasti sulle proprie posizioni. Il signor Popovic tendeva ad insinuare che anche da parte americana ed inglese si cominciasse ad accettare la tesi jugoslava.

I Vedi D. 640. 2 Vedi D. 632.

2) Questione delle riparazioni. Da parte jugoslava si è manifestato il rincrescimento che l'Italia non solo non avesse deplorato quanto era stato fatto durante l'occupazione militare, ma che rifiutasse di compensare il distrutto e di restituire il mal tolto. Quaroni ha controbattuto dicendo che da parte italiana si era manifestato più volte il rincrescimento di quanto si era verificato verso la Jugoslavia ma che dovendo discutere delle riparazioni sarebbe stato necessario anche calcolare quello che l'Italia ~veva dato per la causa contro il nemico comune.

3) Questione degli emigrati jugoslavi. Alle affermazioni del signor Popovic che l'Italia darebbe asilo ai peggiori nemici dell'attuale governo jugoslavo ed ai colpevoli dei precedenti regimi, Quaroni ha dichiarato che l'Italia non era in grado di disporre in casa propria e che l'attività di questi elementi sfuggiva al controllo del governo italiano. All'insinuazione che vi fossero elementi italiani che collaborassero in queste attività e che pertanto il governo italiano avrebbe potuto con un atteggiamento energico presso gli Alleati o con dichiarazione ufficiale distaccare la propria responsabilità, Quaroni ha confermato che intenzione del governo italiano era quella di mantenersi assolutamente estraneo alla politica interna jugoslava e che con questo desiderava appunto creare una migliore atmosfera per un ristabilimento dei rapporti fra i due paesi.

L'ambasciatore Quaroni ha proposto di risolvere qualcuna di queste questioni -come quella degli emigrati ed eventualmente quella delle riparazioni (restituzioni) -per arrivare ad un chiarimento dei rapporti tra i due paesi. La proposta è stata accettata e l'ambasciatore jugoslavo l'ha sottoposta al suo governo che avrebbe poi dovuto decidere se queste trattative avrebbero dovuto avere luogo a Mosca o a Roma.

Questi contatti dell'ambasciatore Quaroni si sono verificati dopo le istruzioni inviate da questo ministero alle ambasciate a Mosca, Londra, e Washington perché fosse prospettato ai tre governi il desiderio di quello italiano di ristabilire i normali rapporti con la Yugoslavia 1•

In questo tentativo di approccio l'ambasciatore Quaroni, ha, in un certo senso, invertito le tappe della nostra intenzione sicché sono stati posti sul tappeto problemi di vasta portata. Le intenzioni del governo italiano erano: l) di arrivare ad una ripresa di rapporti o quanto meno ad una ripresa di contatti ufficiosi che ci avrebbe offerto il modo di risolvere molte questioni di ordinaria amministrazione, che inveleniscono ed appesantiscono l'atmosfera fra i due paesi e che possono essere risolte direttamente e facilmente; 2) di creare così quei presupposti d'intesa e di collaborazione indispensabili per affrontare in seguito altre e più grosse questioni.

L'ordine delle discussioni suggerite dall'ambasciatore a Mosca presenta per l'Italia difficoltà notevoli, tanto che lo stesso Quaroni non ha molte speranze sui risultati di questi contatti diretti. Comunque la situazione è la seguente:

l) L'ambasciatore jugoslavo attende la risposta da Roma per esprimere il consenso del governo jugoslavo.

l Vedi DD. 461 e 462.

2) Il governo sovietico---.:-vedi dichiarazione Vyshinsky 1 -appoggia pienamente, sollecita anzi questi contatti diretti al duplice scopo: a) di eliminare, in caso di riuscita, problemi spinosi che sussistono fra i russi e gli alleati; b) di scagionare ogni responsabilità od accusa di malvolere, in caso di mancata intesa.

3) Il governo inglese, che aveva richiesto l'appoggio del governo sovietico per una eventuale pressione a Belgrado per la ripresa dei rapporti italo-jugoslavi, ha accolto la proposta di Mosca di lasciar proseguire i contatti diretti fra Quaroni e Popovic.

In questa situazione l'iniziativa di una risposta spetta a noi. Un rifiuto ad accettare la discussione darebbe fondamento alle accuse jugoslave di malvolere, offrirebbe materia alle insinuazioni sovietiche e toglierebbe ogni effetto al tentativo avviato per nostra iniziativa di ristabilire -per quanto è in nostro potere -una situazione di normalità fra i due paesi. È certo d'altra parte che intavolando le discussioni con la Jugoslavia sui temi sopra proposti, a prescindere anche dalla questione territoriale che non appare comunque possibile affrontare pel momento, noi ci vediamo costretti ad abbordare quella assai complessa e delicata degli emigrati jugoslavi in Italia. È chiaro che il governo jugoslavo e quello sovietico sarebbero felici di una presa di posizione italiana sul tema degli emigrati che, distaccando la nostra responsabilità da quella degli Alleati, gettasse piena luce sulla politica alleata nei confronti di Tito. D'altra parte, dato l'atteggiamento jugoslavo sulla questione degli emigrati, noi non possiamo esimerci dal metterla sul tappeto poiché essa è ormai connessa con il rimpatrio degli italiani dalla Jugoslavia, problema che non possiamo rinviare più a lungo.

In tali condizioni sembra convenga, sia pure con le dovute cautele, accettare la discussione. Nei confronti alleati si potrebbe intanto:

l) Attirare la loro attenzione sulle gravi conseguenze a cui essi espongono il governo italiano, al quale si imputa di prestare mano ad un movimento ostile alla Jugoslavia ed indirettamente all'Unione Sovietica 2• Molti di questi jugoslavi approfittano poi della loro particolare situazione e della protezione alleata per compiere reati e per esercitare il mercato nero. In qualche parte d'Italia si sono avuti conflitti con la popolazione per il contegno di questi elementi. È diritto del governo italiano di chiedere che gli stranieri, profughi ed emigrati, siano chiusi in campi di concentramento, e se militari inquadrati siano sottoposti a particolare disciplina e allontanati dal territorio controllato dal governo italiano. Se poi si tratta di civili noi possiamo esigere che si astengano da un'attività politica troppo palese e dal creare centri direttivi, con invio da e per l'estero di emissari e di agenti.

2) Gli Alleati hanno portato in Italia -e molti di essi girano liberamente pel paese -elementi ustascia che hanno combattuto fino all'ultimo momento a fianco della Germania e che sono colpevoli di atrocità e di malgoverno. Essi sono

l Vedi D. 653.

2 Annotazione a margine di Prunas: «Giustissimo; ed è quello che dobbiamo fare a documentazione della nostra totale buona fede)).

invisi agli jugoslavi di Tito ed anche a noi per l'atteggiamento assunto verso l'Italia dopo 1'8 settembre. La loro presenza è già stata segnalata alla C.A. Potremmo chiedere agli Alleati di trasferirli altrove. Se gli Alleati aderiscono alle nostre richieste, gli jugoslavi potrebbero considerare questa misura come una nostra prova di buona volontà e del desiderio nostro di togliere dall'Italia un gruppo di elementi a loro ostili 1•

694

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 12748/0163. Washington, 18 novembre 1945 (per: il 24).

L'ambasciatore Couve de Murville, direttore generale degli Affari Politici al Quai d'Orsay -il quale, come è noto, trovasi a Washington per la questione renana -è venuto a trovarmi oggi.

Abbiamo avutg un colloquio di una quarantina di minuti che riassumo nei punti seguenti:

l) Relazioni italo-frqncesi. Constatato il grande miglioramento nelle relazioni franco-italiane, Couve mi ha detto che a Parigi si tende sempre più verso intima intesa tra i due popoli, che, dalla già iniziata cooperazione del lavoro italiano all'opera di ricostruzione in Francia, deve svilupparsi verso una comunione di interessi, di propositi e di fini. Gli ho naturalmente risposto che è ferma intenzione del governo di Roma agire per una unità di sforzi italo-francesi che valga a ridare ai due Paesi la posizione che loro spetta in Europa e nel mondo, in questo periodo storico in cui solo i grandissimi Stati hanno una influenza decisiva sugli eventi e sulle soluzioni dei problemi internazionali. Ho aggiunto che l'America vede di buon occhio l'amicizia franco-italiana. Couve crede che, data l'evidente buona volontà delle due parti, lo sviluppo dell'auspicata collaborazione dipenderà dalla somiglianza dell'ordine costituzionale e sociale che i due paesi si daranno. Crede che in Francia il generale de Gaulle dominerà la situazione: non ritiene che si possa costituire un governo esclusivamente comunista-socialista, che i circoli politici americani temono ed avversano.

2) Alto Adige. Couve ha accennato alle difficoltà che, a suo parere, ancora esisterebbero per la soluzione del problema dell'Alto Adige; ha la persuasione che a Londra non sia stato affrontato e che possa riservare delle sorprese, come del resto anche altri nostri problemi in discussione. Ammette, in ogni modo, che l'argomento dell'energia idro-elettrica per i bisogni della Valle Padana, è essenziale e validissimo per la tesi favorevole all'Italia, (ammissione interessante anche per i riflessi che può avere sulla questione di Tenda e Briga). Couve era portato ad attribuire una certa importanza agli ultimi passi del governo austriaco. Ha però

1 Per le istruzioni a Quaroni vedi D. 697.

riconosciuto che gli Stati Uniti sono oramai impegnati dalle proposte presentate alla Conferenza di Londra per lo sta tu quo nell'Alto Adige, salvò eventuali minor rectifications. Non mi ha parlato specificatamente dell'atteggiamento inglese, né di quello russo, né di quello francese, a giustificazione delle sue perplessità. È probabile che egli non fosse stato a conoscenza della recentissima decisione anglo-americana di restituire la provincia di Bolzano all'amministrazione italiana 1•

3) Questione nostre colonie. Trova che il trusteeship multiplo non è una buona soluzione; in Libia sarà necessario un importante, efficiente e costoso servizio di polizia, poiché gli arabi sono ostilissimi a qualsiasi specie di mandato. Chi lo organizzerà? Chi lo eserciterà? Chi lo pagherà? Naturalmente la Francia non è favorevole all'enunciazione del principio dell'emancipazione prossima degli arabi, tuttora impreparati a funzioni politiche ed amministrative. Secondo Couve , in realtà l'Inghilterra non avrebbe seriamente sperato di ottenere per sé la Cirenaica. Nell'insieme pensa che difficilmente si potrà arrivare alla soluzione del trusteeship multiplo di cui al noto progetto americano, e sarà anche arduo ricondurre la Libia alla situazione d'ordine dell'anteguerra senza operazioni militari, che i trustees avrebbero certamente poca voglia di intraprendere. Pur senza dirlo esplicitamente ha lasciato intendere che, secondo lui, la migliore soluzione, per assicurare una situazione di ordine, di giustizia e di sviluppo, sarebbe il mantenimento della nostra amministrazione diretta.

"

4) Questione renana. Pur evitando di entrare nei dettagli, Couve mi ha detto che le sue conversazioni con i dirigenti della politica estera americana procedevano favorevolmente e che egli confidava in risultati positivi entro pochissimi giorni. Secondo questa stampa, Couve sarebbe qui venuto per proporre la costituzione di una «Commissione degli Stati Occidentali d'Europa» col compito di sovraintendere e coordinare la produzione e la distribuzione del carbone della Ruhr. Questa sarebbe una soluzione interinale e «non politica» nell'attesa di una decisione sulla sorte definitiva della zona.

Couve mi ha infine detto che tra quattro o cinque giorni contava ripartire da Washington.

695

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

TELESPR. 1078/498. Mosca, 18 novembre 1945 2 .

Telespresso ministeriale n. 16/22065/c. dell'8 ottobre 1945 3 . A proposito dei nostri sforzi per partecipare alla convenzione di arm1sttzw con la Germania, ho avuto qui qualche informazione sui tentativi fatti e le difficoltà

t Vedi D. 685. 2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo. 3 Non pubblicato.

incontrate da alcuni Paesi -come Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia -per far valere i propri interessi nella cerchia della situazione armistiziale della Germania.

A quanto mi è stato detto, il Consiglio di Controllo di Berlino -organo, come è noto, strettamente militare -si considera il vero governo della Germania, è molto geloso dei suoi poteri e non accetta in genere nella trattazione degli affari interferenze di altre autorità politiche e civili. Gli anglo-americani si scusano con gli amici belgi, olandesi, ecc. e, protestando la loro innocenza per tale situazione che praticamente toglie ai governi interessati ogni possibilità di farsi sentire, gettano -more solito il fardello della colpa sulle spalle della Russia; è convinzione generale però che questo sia certo molto comodo da parte soprattutto inglese per far tacere i protestatori, ma che i quattro partecipanti al Consiglio di Berlino siano perfettamente d'accordo sul sistema instaurato, gli inglesi in particolare non meno dei russi.

Il Belgio e l'Olanda hanno cercato di girare la difficoltà nominando presso il Consiglio di Controllo delegazioni militari; speravano di assicurarsi un collegamento di qualche efficacia, ma non hanno avuto molta fortuna; in pratica le delegazioni militari oziano in funzioni esclusivamente formali.

696

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12404/803. Washington, 19 novembre 1945, ore 1,20 (per. ore 10,25 del 20).

Mio telegramma 787 1 .

Con telegramma stampa odierno n. 872 ho trasmesso riassùnto diffuso passi relativi Italia -e necessità sostanziali aiuti da Grandi -del manifesto emanato oggi in nome 130 arcivescovi e vescovi a chiusura conferenza annuale episcopato cattolico. Documento è destinato aver larga ripercussione non solo tra 25 milioni cattolici U.S.A. ma anche in tutta opinione pubblica e circoli governativi. Tuttavia intonazione generale del manifesto è di severa critica all'U.R.S.S. ed è probabile che a tale riguardo possa suscitare polemiche. È comunque per noi di grande importanza rilievo dato alla questione italiana, poiché manifesto stabilisce direttive ufficiali per azione clero e masse cattoliche in questo paese e quindi per ovvie ragioni due grandi partiti in tal caso debbono tener conto di esse. Invio testo integrale per corriere.

l T. s.n.d. 1227 ns7 del 16 novembre, non pubblicato.

2 T. stampa 12371/87 del 18 novembre: «Dichiarazione deplora tragica indifferenza democrazie triste situazione popolo italiano che ha spezzato catene fascismo e combattuto a fianco Alleati con ardente lealtà. Dichiarazione rileva che durante due anni forze democratiche italiane sono state costrette inazione mentre da parte alleata ci si trastullava con problemi vitali soccorso e ricestruzione e si rimandava adempimento solenni promesse. Interessi americani sono in gioco Italia insieme con causa pace mondiale e futuro cultura cristiana. Dichiarazione afferma che popolo italiano posto avanzato civiltà occidentale resisterà richiamo ideologie straniere e sovversive purché sottratto disperazione mediante aiuto americano».

697

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. 9284/565. Roma, 19 novembre 1945, ore 14,30.

Suoi rapporti 429 e 463 1•

Ero e sono convinto che mezzo migliore per riprendere contatti è quello di ristabilire il normale rapporto diplomatico, almeno sotto la forma minore della rappresentanza sul tipo in atto con la Gran Bretagna.

È questo il mezzo più agevole per avviare un discorso: la presenza fisica, cioè, a Roma e a Belgrado, di un dirimpettaio qualificato. La Russia, che è maestra di realismo, si è messa con noi, e subito, su questa strada.

Comunque, ciò che è essenziale -e lo abbiamo detto e ridetto da parte nostra -è chiarire l'atmosfera fra i due Paesi, o, almeno, esplorarne a fondo e con reciproca comprensione la possibilità. Né vogliamo insistere su questioni di forma, purché si sia d'accordo su questo punto e su un qualunque mezzo per attuarlo.

Riprendiamo dunque il contatto diretto, se proprio quello diplomatico normale sembri a Belgrado prematuro, qui a Roma, sia attraverso il membro jugoslavo presso il Comitato Consultivo, sia per il tramite di persona qualificata inviata allo scopo direttamente da Belgrado.

Sono d'avviso che codesto primo contatto debba vertere sulla questione dei deportati ed internati italiani in Jugoslavia e nello stesso tempo su quella dei rifugiati jugoslavi in Italia, benché evidentemente l'aspetto politico morale dei due problemi sia fondamentalmente diverso. Sono entrambe però questioni la cui soluzione verrà certamente a sgombrare una prima zona di ostacoli. Nulla vieta che siano toccate insieme altre questioni minori di interesse reciproco.

Credo che la conclusione -naturalmente se favorevole -di codesta prima fase e il conseguente intervenuto chiarimento di atmosfera fra i due Paesi dovrebbe essere sottolineata in modo concreto attraverso una ripresa dei rapporti diplomatici fra Roma e Belgrado.

Le questioni maggiori, e, soprattutto, quelle territoriali potranno essere affrontate appunto in questa seconda fase, se l'atmosfera e le circostanze e il risultato dei primi contatti lo consiglieranno.

Informi subito di quanto precede anche il commissariato degli Esteri e net termini suddetti. Ne informo da parte mia Kostylev e gli anglo-americani. Attendo conoscere se e cosa abbia risposto Belgrado 2•

I Vedi DD. 632 e 653. 2 Per la risposta di Quaroni vedi D. 707.

698

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 9297/5591. Roma, 19 novembre 1945.

A titolo per ora strettamente confidenziale ci è stata comunicata decisione restituzione all'amministrazione italiana tutte le provincie nord, salvo Udine e Venezia Giulia, ed inclusa Bolzano. Restituzione dovrebbe aver luogo entro 15 dicembre prossimo. Ci è stato assicurato che da parte inglese è stata svolta efficace azione, sia per sollecitare trapasso amministrazione, sia per includervi provincia Bolzano.

Notizia ha-ripeto -per ora carattere segreto. La consideri in conseguenza come tale. Ella voglia comunque rendersi interprete sin d'ora presso il Foreign Office del nostro vivo compiacimento per una misura che non può che incidere favorevolmente sulla situazione interna italiana 2•

Il trapasso alla nostra amministrazione anche della provincia di Bolzano è particolarmente apprezzato. Per raggiungere tutti gli effetti che ne attendiamo, dovrebbe peraltro essere affrettato al massimo. Veda, se le è possibile, adoperarsi in questo senso.

699

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 12410/807-808. Washington, 19 novembre 1945, ore 20 (per. ore 11,15 del 20).

Miei telegrammi 784 e 793 3 .

Dipartimento di Stato mi conferma che a seguito ultime nostre conversazioni ha inviato telegraficamente istruzioni a codesto incaricato d'affari americano di comunicare a V.S. che il governo degli Stati Uniti accogliendo richiesta governo italiano è favorevole per parte sua revisione del «regime» di armistizio italiano e che si rivolge pertanto ai governi inglese e sovietico per conoscere loro vedute in merito 4 .

Contemporaneamente sabato scorso sono stati inviati telegrammi alle ambasciate americane a Londra ed a Mosca affinché informino i due governi della comunicazione a noi fatta e chiedano loro punto di vista.

l Il telegramma venne comunicato, per conoscenza, a Tarchiani col n. 9297/661.

2 Con T. s.n.d. 9298/662, pari data, De Gasperi incaricò Tarchiani di analogo ringraziamento al Dipartimento di Stato.

3 Vedi D. 691 e nota 3 allo stesso.

4 Vedi D. 702.

Dipartimento di Stato ha tenuto a rilevare che iniziativa americana tenderebbe revisione del «regime» e non solo delle «clausole» dell'armistizio.

Si è chiesto confidenzialmente al Dipartimento di Stato se da parte americana si fosse preparati ad esporre subito un proprio piano per nuovo «regime» con l'Italia qualora Inghilterra e Russia rivolgessero a Stati Uniti di America tale richiesta. Ci è stato risposto che Dipartimento di Stato non desiderava precisare proprio piano prima conoscere vedute dei due alleati.

Come ebbi già a riferire si è ripetutamente insistito da parte nostra in conversazioni precedenti su favorevoli affidamenti dati a Carandini da Bevin e Cadogan e su risposta data a Quaroni da Dekanozov, sottosegretario di Stato relativa alla posizione Russia (suo 8551) 1• Esito favorevole e per quanto è possibile sollecito procedura adottata da Dipartimento di Stato dipenderebbe quindi in buona parte da favorevoli risposte inglese e russa.

Riterrei pertanto assai opportuno che due ambasciatori americani fossero subito avvicinati da nostro ambasciatore onde essere posti bene al corrente della questione ed interessati ai nostri casi. Cosi pure sarebbe importante che Quaroni si assicurasse presso commissariato Affari Esteri che permangono intenzioni comunicateci. Kirk assente in questi giorni da Washington dovrebbe far ritorno qui a fine settimana. Egli al suo arrivo mi mise al corrente conversazioni avute con V.E. Mi sarebbe comunque molto utile ricevere istruzioni tempestivamente ed eventuali suggerimenti circa nuovo «regime» (richiamo al riguardo anche mio telegramma 622)2 .

Beninteso mi rendo conto che pur essendosi riusciti finalmente a varare iniziativa americana procedura scelta rischia incontrare l'intoppo data acutezza nei rapporti tra i Tre Grandi.

700

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12409/559. Mosca, 19 novembre 1945, ore 20,20 (per. ore 9 del 20)3.

Telegramma di V.E. 9193 4 .

Condivido assolutamente opinione Carandini che prima ripresa lavori conferenza Cinque non vi è alcuna possibilità arrivare a nuovo modus vivendi ossia pace provvisoria e che non ci resta altro da fare che cercare di ottenere sul terreno pratico revisione singole clausole armistizio quelle concessioni che anglo-americani potranno essere portati a farci. Ripeto ancora una volta che su questo terreno non ci sarà opposizione

I Del 3 novembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington del telegramma di cui al D. 653, nota 2.

2 Vedi D. 624.

3 Il telegramma giunse indecifrabile; ne fu chiesta ripetizione che pervenne con T. s.n.d. 12555/563 del 21 novembre giunto il 22.

4 Del 17 novembre: ~itrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 686.

da parte russa e se da Londra e Washington ci sarà detto che non possono farci questa o quella concessione per opposizione russa ciò vuoi dire semplicemente che sono loro che non vogliono farcela e si coprono dietro presunte resisten.Ze russe.

Comunque se V.E. riterrà opportuno informarmi punti concreti revisione armistizio che noi intendiamo chiedere anglo-americani potrei parlarne qui e cercare di ottenere dai russi almeno dichiarazione disinteressamento che potrebbe essere utile per V.E. per mettere anglo-americani chiaramente di fronte loro responsabilità. Per quanto concerne convocazione conferenza Cinque sebbene conversazioni evidentemente continuino, non mi sembra possibile prevederla come prossima. A meno che intervenga colpo scena sempre possibile impressione che si può avere di qui è che in realtà rapporti fra Alleati stiano peggiorando piuttosto che migliorando soprattutto per sopravvenire nuove questioni e nuove difficoltà.

701

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12418/560. Mosca, 19 novembre 1945, ore 23,59 (per. ore 13,15 del 20).

Telegramma di V.E. n. 564 1•

Salvo istruzioni in contrario di V.E. mi riservo allora di dire a questo ambasciatore Jugoslavia, alla prima occasione che si presenterà, che rappresentante jugoslavo Commissione Consultiva per l'Italia ha già preso contatto con elementi politici italiani e che quindi come del resto da me suggeritogli contatti fra i due governi continueranno per questo tramite. Date circostanze di cui al mio rapporto n. l 007/463 del 31 ottobre scorso 2 sarebbe poi opportuno che di questa presa di contatto informassi anche questo governo. Prima di farlo attendo però istruzioni di V.E. 3 .

702

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. 9396/566-567. Roma, 20 novembre 1945, ore 23,30.

Questa ambasciata d'America mi ha fatto oggi pervenire la seguente comunicazione ufficiale:

1 Vedi D. 688, nota l p. 980.

2 Vedi D. 653.

3 De Gasperi rispose con T. s.n.d. 9732/575 del 28 novembre: «Approvo procedura da lei suggerita».

«La richiesta del governo italiano per una revisione del regime armistiziale è stata esaminata con comprensiva e attenta considerazione dal governo degli Stati Uniti, che è disposto ad accedervi, qualora possa essere ottenuto il concorso degli altri governi firmatari dell'armistizio. Questi ultimi sono in conseguenza informati della posizione assunta dal governo nordamericano, che ha richiesto di conoscere il loro atteggiamento al riguardo».

Iniziativa americana si inquadra perfettamente nelle assicurazioni datele recentemente sia da Bevin che da Cadogan 1• Ella è d'altra parte al corrente di quanto Dekanozov ha detto a Quaroni in materia di pace provvisoria e di revisione dell'armistizio. Mentre lega la prima ad un'analoga iniziativa balcanica, l'U.R.S.S. lascia perfettamente liberi gli anglo-americani nella seconda ipotesi di fare, in sostanza, quello che credono. Naturalmente telegrafo a Quaroni perché agisca a Mosca in conseguenza 2 . Ella può fare altrettanto presso codesto ambasciatore di Russia, se ritiene utile una sua azione di fiancheggiamento. È comunque certo che revisione dell'armistizio è un passo necessario. Ma occorre che essa sia sostanziale e non prudentissima e cautissima, a simiglianza del memoriale Macmillan3 . Da parte nostra è sopratutto essenziale insistere, in questa fase, sulle cose concrete e precisamente: sull'autonomia del governo italiano e conseguente trasformazione della Commissione Alleata, sulle linee suggeritele da Harvey (suo 783)4 ; sulla abolizione dei gravami economici e finanziari imposti dall'armistizio in materia di spese di occupazione, requisizioni, forniture, controprestazioni italiane ecc.; assegnazione di almeno una parte della nostra flotta mercantile per i nostri bisogni; effettiva libertà di negoziati e traffico con l'esterno, ecc.

Comunque, richiesta nordamericana è o sarà fra brevissimo sottoposta a codesto governo. Non dubito che vi troverà quella benevola accoglienza di cui Bevin le ha dato assicurazione. È questo il momento perché la Gran Bretagna inizi nei nostri confronti una politica veramente costruttiva 5 .

703

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 9397/568-569. Roma, 20 novembre 1945, ore 23,45.

Questa ambasciata d'America mi ha fatto oggi pervenire la seguente comunicazione ufficiale:

«La richiesta del governo italiano per una revisione del regime armistiziale è stata esaminata con comprensiva e attenta considerazione dal governo degli Stati

1 Vedi D. 658.

2 Vedi D. 703.

3 Vedi D. 68.

4 Vedi D. 686.

5 Carandini rispose con T. s.n.d. 12672/809, del 23 novembre, che Harvey gli aveva dichiarato che il governo inglese era senz'altro favorevole ad una revisione dell'armistizio.

Uniti, che è disposto ad accedervi, qualora possa essere ottenuto il concorso degli altri governi firmatari dell'armistizio. Questi ultimi sono in conseguenza informati della posizione assunta dal governo nordamericano, che ha richiesto di conoscere il loro atteggiamento al riguardo».

Governo nordamericano prenderà dunque contatti in questi giorni con codesto governo, cui porrà esplicitamente la questione di una revisione sostanziale del nostro armistizio. Non dubitiamo che, in conformità alle assicurazioni datele da Dekanozov (suo 462) 1 , risposta sovietica sarà favorevole. Badi anzi che sono state almeno in parte probabilmente codeste assicurazioni, da noi portate a conoscenza di Washington e di Londra, a rimuovere ultimi ostacoli e dubbi nordamericani. Abbiamo cioè verso i Soviet una concreta ragione di riconoscenza. Faccia di questo argomento l'uso che le parrà più opportuno. Certo che revisione è un passo nella giusta direzione, a condizione che sia sostanziale. Non, per intenderei, un secondo memoriale Macmillan. In questa fase insistiamo da parte nostra sopratutto su problemi concreti quali: autonomia del governo italiano e conseguente trasformazione della Commissione Alleata in organismi tecnici di consultazione e collaborazione da inserirsi nelle ordinarie rappresentanze diplomatiche; sopratutto, abolizione di tutti i gravami economici e finanziari imposti dall'armistizio in materia di spese di occupazione, requisizione, forniture, controprestazioni italiane; effettiva libertà di negoziare e trafficare con l'esterno; assegnazione di almeno parte della nostra flotta mercantile ecc.

È superfluo la preghi di seguire la questione da vicino, con ogni possibile cura. È questa certamente una svolta importante della nostra esistenza nazionale ed internazionale 2•

704

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 9400/672-673. Roma, 20 novembre 1945, ore 21.

Suoi 784 e 793 3 .

In conformità ad aperture fattele da Dipartimento di Stato, questa ambasciata d'America mi fa pervenire oggi la seguente comunicazione ufficiale:

«La richiesta del governo italiano per una revisione del regime armistiziale è stata esaminata con comprensiva e attenta considerazione dal governo degli Stati Uniti, che è disposto ad accedervi, qualora possa essere ottenuto il concorso degli altri governi firmatari dell'armistizio. Questi ultimi sono in conseguenza informati

I Vedi D. 652. 2 Per la risposta vedi D. 710. 3 Vedi D. 691 e nota 3 allo stesso.

della posizione assunta dal governo nordamericano, che ha richiesto di conoscere il loro atteggiamento al riguardo» 1 .

È superfluo le dica che revisione armistizio è un passo nella direzione giusta, a condizione che essa sia veramente sostanziale. Occorre evitare cioè, per intendersi, qualche cosa di analogo ad un secondo memoriale Macmillan che, nonostante le buone intenzioni, ha lasciato le cose presso a poco come stavano. Spero di poterle dare nei prossimi giorni indicazioni concrete sul come potrebbe, a nostro avviso, orientarsi codesta revisione. Essa dovrebbe comunque sopra tutto svolgersi secondo due direttive principali : maggiore autonomia del governo italiano e trasformazione conseguente della Commissione Alleata in organismi tecnici di consultazione e di collaborazione appoggiati sopra tutto alle ordinarie rappresentanze diplomatiche; abolizione di tutti i gravami economico-finanziari imposti dall'armistizio che premono sempre più pesantemente sulla stremata economia del paese. Utili indicazioni ella potrà trovare a quest'ultimo proposito nella mia comunicazione dello scorso dicembre che le fu inviata in copia con nota del 5 gennaio 2 .

Occorre, insomma, in questa fase di revisione, insistere sopra tutto sulle cose concrete, quali, oltre quelle già dette, la effettiva libertà di negoziare con gli Stati esteri; l'assegnazione almeno di una parte della nostra flotta mercantile, ecc.

È superfluo aggiungere che siamo particolarmente lieti che anche presente iniziativa sia nordamericana e come siamo di ciò riconoscenti 3 .

705

IL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. PERSONALE 12497/798. Londra, 21 novembre 1945, ore l (per. ore 11,50).

Segnalo pessima impressione creata in questi ambienti responsabili da minaccia rottura coalizione sei partiti. Pericolo di un eventuale pronunciarsi di una reazione di destra, qui giudicata senz'altro di carattere fascista, desta le più gravi preoccupazioni e deprecazioni. È mia impressione che un ulteriore sviluppo di manifestazioni politiche e di atti violenti in tale direzione non solo ci alienerebbe ogni simpatia e solidarietà inglese ma potrebbe in definitiva generare situazione di estrema gravità. Negli ambienti laburisti non ufficiali non si esita a dichiarare che una reazione sospetta di fascismo non sarebbe tollerata perché giudicata tendente ad eludere i risultati essenziali della vittoria alleata.

1 La nota verbale reca la data del 19. Il ministero degli Esteri italiano rispose in data 30 novembre con nota verbale non pubblicata.

2 Non pubblicata.

3 La nota di Tarchiani al Dipartimento di Stato redatta in base a queste istruzioni è edita in Foreign Relations of the United States, /945, vol. IV, cit., pp. 1088-1089.

Salvo contrordini V.S. conterei partire per Roma 27 corrente dopo aver possibilmente visto Bevin per accertare sue reazioni personali.

Ricevuto telegramma 567 1 e ringrazio. Suo contenuto conferma assoluta necessità procedere con estrema cautela onde non compromettere sviluppo progressi faticosamente preparati 2 .

706

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL MINISTRO IN MISSIONE AL CAIRO, DE ASTIS

T. IN CHIARO 9487/2. Roma, 22 novembre 1945, ore 143 .

Mi riferisco al punto 6 del suo telegramma n. 44 .

Nostro vivo desiderio è poter normalizzare anche formalmente nostri rapporti con Egitto mediante regolare ripresa relazioni diplomatiche. Poiché tali relazioni sono già da tempo in atto con maggior parte paesi coi quali siamo stati in guerra, non vediamo difficoltà a che vi si addivenga anche con codesto paese col quale, come noto, relazioni diplomatiche furono a suo tempo semplicemente interrotte. Ove a ciò si frappongano tuttora difficoltà siamo naturalmente disposti aderire progettata apertura di un ufficio egiziano a Roma e di ufficio italiano al Cairo come primo passo verso ristabilimento rispettive missioni diplomatiche.

707

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12642/564. Mosca, 22 novembre 1945, ore 22,34 (per. ore 11,10 del 23).

Ho comunicato a questo ambasciatore Jugoslavia contenuto telegramma V.E.

n. 5655 . Mi ha detto che avrebbe immediatamente informato suo governo.

Parlando a titolo personale mi ha detto ritenere difficile ristabilimento dei rapporti diplomatici fino a che da parte italiana non sia intervenuto qualche atto concreto. Per esempio nostra risposta sarebbe stata più soddisfacente se gli avessi dichiarato formalmente che intendiamo consegnare Jugoslavia emigrati po-

l Vedi D. 702. 2 Per la risposta vedi D. 709. 3 Inviato tramite la rappresentanza britannica a Roma. 4 Non pubblicato. 5 Vedi D. 697.

litici attualmente in Italia. Gli ho fatto rilevare che ammettendo fosse necessario fare precedere ripresa rapporti diplomatici da fatti concreti nostra risposta prevedeva appunto contatti preliminari da cui se d'accordo avrebbero potuto scaturire atti concreti.

Ha anche obiettato che non gli sembra opportuno stabilire correlazione questioni emigrati politici jugoslavi e nostri deportati. Ho risposto che partendo punto di vista che prima cosa da fare era liberare terreno da questioni che turbavano opinione pubblica due paesi come Jugoslavia aveva menzionato questione emigrati politici da parte nostra allo stesso fine si doveva menzionare questione numerosi italiani che a vario titolo si trovano Jugoslavia e su cui sorte circolavano notizie allarmanti.

Tono generale conversazione più sostenuto che precedente. A mia impressione Jugoslavia dopo elezioni e reazione favorevole alcuni settori opinione pubblica anglosassone ritiene sua situazione più sicura 1•

708

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1112/513. Mosca, 22 novembre 1945. 2

Mi è stato detto che fra non molto giungerà a Mosca in missione speciale il signor Alphand, già ambasciatore di Francia in Russia. Ufficialmente a questa ambasciata di Francia si dice che scopo della sua missione è quello di esporre al governo sovietico il punto di vista francese sulla questione delle frontiere occidentali della Germania e della Ruhr: a mia impressione egli è incaricato di cercare di chiarire tutto il problema del «Patto Occidentale» e di vedere se non sia possibile di fare uscire i rapporti franco-russi dalla crisi in cui, apparentemente, il patto li ha messi.

L'alleanza franco-russa quale è risultata dalla visita di de Gaulle a Mosca era basata, sia da parte francese, sia da parte russa, su di un equivoco che presto o tardi doveva scappar fuori. Concludendo un trattato con la Russia, la Francia mirava a garantirsi contro un ritorno offensivo della Germania ed ottenere l'appoggio russo ad una sistemazione della frontiera orientale della Francia consono alle sue aspirazioni secolari. La posizione geografica della Francia la mette nella zona di influenza anglo-americana: l'alleanza con la Russia era, per de Gaulle, anche un gesto di indipendenza, attraverso il quale egli voleva asserire il diritto della Francia ad avere una politica estera autonoma. Sperava ne sarebbe sorta per la Francia la p~ssibilità di assumere una posizione di intermediaria fra Oriente e Occidente e con questo una posizione di prestigio assai superiore alle sue reali possibilità. I russi da parte loro si sono resi ben conto che la possibilità per gli

I Per la risposta vedi D. 721. 2 Sulla copia conservata in archivio manca l'indicazione della data di arrivo

anglo-americani di organizzare la loro zona d'influenza dipendeva, in ultima analisi, dalla possibilità di inquadrare la Francia nel loro sistema, ed hanno pensato che se riuscivano a legare saldamente la Francia alla loro politica, il sistema atlantico degli americani sarebbe rimasto poco più di un puro desiderio. Per arrivare a questo scopo erano disposti, allora, ad appoggiare le rivendicazioni francesi a spese della Germania e ad aiutare, con tutto il loro peso, la Francia a riprendere il suo status giuridico di grande Potenza. Incapaci, come sono, però, di capire la psicologia dei paesi grandi e piccoli che sono al di fuori del loro territorio, hanno creduto che, in cambio di questo appoggio che la Russia avrebbe dato esclusivamente nella forma e misura che corrispondeva ai suoi interessi, la Francia avrebbe accettato di seguire e di appoggiare, in tutto e per tutto, la politica sovietica. Nei Consigli dei Cinque, l'America può praticamente sempre contare sul voto dell'Inghilterra e della Cina: i russi speravano di creare una situazione per cui potessero contare sempre sul voto della Francia. In altre parole, i francesi alleandosi colla Russia hanno creduto di poter assicurare, nel quadro dell'alleanza, se non le posizioni che aveva la Francia di fronte alla Russia prima del 1914, almeno quella che avrebbe avuto se il trattato del 1935 si fosse dimostrato vitale. La Russia invece vedeva i rapporti di alleanza franco-russi nella stessa linea che i suoi rapporti d'alleanza colla Polonia o colla Cecoslovacchia: per noi che vediamo le cose dal basso c'è fra la Francia e la Cecoslovacchia una grossa differenza; per la Russia che vede le cose molto dall'alto, non ce n'è praticamente nessuna.

Vari elementi hanno in seguito contribuito a complicare la situazione:

lo L'evoluzione della situazione interna francese. I russi si immaginavano che la scena politica francese sarebbe stata dominata da due soli partiti: il partito

M.R.P. che essi, a torto od a ragione, considerano come un partito conservatore, e il partito comunista e che il solo governo possibile della Francia sarebbe stato una coalizione fra i cattolici ed i comunisti. Ora, per strano che possa sembrare, la coalizione governativa che i russi considerano come la migliore e la più corrispondente agli interessi russi, nell'Europa occidentale è una coalizione conservatori-comunisti. Come ho detto varie volte la politica interna dei paesi dell'Europa occidentale è per i russi totalmente indifferente: si occupano solamente della politica estera. Ora essi pensano che i conservatori (e per loro i cattolici, quale che sia in realtà il loro programma di politica interna, sono dei reazionari, ossia dei conservatori) essendo anche dei nazionalisti, debbono essere o diventare insofferenti delle ingerenze anglo-americane, debbono aspirare all'indipendenza e, come tali, debbono essere in fin dei conti portati a ribellarsi contro gli anglo-americani e quindi ad orientarsi verso il solo paese che può aiutarli in questa lotta: la Russia. I comunisti, da parte loro sono, anche per altre ragioni, orientati verso la Russia. In queste condizioni i comunisti dovrebbero avere l'incarico di sorvegliare che i conservatori non facciano scherzi in politica estera: in cambio essi assicurano ai conservatori una certa pace interna a prezzo di un minimo di riforme ragionevoli. L'affermarsi del partito socialista che per i russi è il nemico più odiato, e più temuto, e molti aspetti della politica personale di de Gaulle hanno finito per dare alla politica interna francese una tournure per i russi inaspettata e sconcertante.

2° Le incertezze della politica russa nei riguardi della Germania, di cui parlerò più appresso.

3° Era stato inteso a Mosca che il trattato franco-russo sarebbe stato integrato con una serie di trattati con tutti gli altri Stati amici della Russia, in molti casi, solo una ripresa dei trattati esistenti prima della guerra. Se non che, a mia impressione, nei primi passi su questa via i francesi hanno mostrato di non intenderli come l'inquadramento della Francia in una serie di trattati facenti tutti capo a Mosca, ma come un revival della Piccola Intesa, in senso vasto, facente capo a due poli equivalenti: Parigi e Mosca. E qui credo che Herriot, nella sua sancta simplicitas, durante la sua permanenza a Mosca, abbia parlato molto e non nel gusto di Mosca.

Ma tutti questi disaccordi, ed altri minori, sarebbero forse superabili: quello che non è superabile, a mio avviso, è l'equivoco sostanziale nell'impostazione dei rapporti fra Francia e Russia. La Francia intende l'alleanza franco-russa come un rapporto fra pari in cui ciascuna delle due parti contraenti deve in pari misura tener conto degli interessi dell'altra: la Russia l'intende come rapporto di subordinazione in cui il partner grosso, la Russia, tiene conto degli interessi del piccolo, la Francia, solo in tanto ed in quanto questo quadra nella sua politica generale. La Francia intende delimitare e precisare, in un campo determinato, gli obblighi che le derivano dal trattato di alleanza, per il resto essa vorrebbe avere una politica sua indipendente, sia all'interno che all'estero, sia dagli anglo-americani che dalla Russia. La Russia non conosce sfumature: i suoi alleati o si adattano a seguire, al cento per cento la politica russa o non sono più degli alleati, ma dei nemici. Il generale Catroux si rende perfettamente conto di questo equivoco sostanziale. Ammette che, un anno fa, quando fu concluso il trattato, questo equivoco non era apparente, ma adesso che la situazione è chiara bisogna trame le conseguenze. La sua opinione è che la Francia deve, naturalmente, ménager la Russia, evitare di prendere posizione contro di essa là dove i suoi interessi non sono in gioco, ma che il trattato franco-russo non può dare alla Francia quello che il governo francese si aspettava firmandolo. Però più volte mi ha accennato al fatto di non essere riuscito a persuadere il suo governo del suo punto di vista: mi aggiungeva filosoficamente: «Io ho fatto tutto il mio possibile per far capire la situazione a Parigi; non ci sono riuscito che in parte: il resto lo dovranno fare i russi».

Fatta questa necessaria premessa sui rapporti franco-russi, necessaria per comprendere alcuni aspetti del Patto occidentale, passiamo all'esame della politica russa nei riguardi della Germania. Ho avuto occasione varie volte di ripetere a V.S. come per l'assetto futuro dell'Europa la questione centrale per i russi è quella della Germania. Dato che il regime di occupazione e di governo militare potrà durare anche a lungo, ma non per sempre, e che un giorno una Germania, in qualche forma e maniera, dovrà pur tornare ad esistere, il problema, per i russi, si pone in questi termini: cosa fare perché la Germania risorga non in funzione antirussa, ma, se mai, in funzione anti-occidente. Ma se le idee dei russi per quanto concerne la loro zona d'influenza sono molto chiare, e, quindi, molto logica, anche se non sempre abile, la loro messa in esecuzione, non mi sembra che per quanto concerne la Germania le loro idee siano altrettanto chiare. A mio avviso, dal punto di vista russo, l'impostazione iniziale del problema tedesco manifestatasi nel proclama del Comitato Libera Germania era geniale. Ciò è accaduto nell'estate del 1943, in un momento in cui noi avevamo ben altre gatte da pelare; è quindi possibile che questo proclama sia sfuggito all'attenzione del ministero: ritengo quindi utile di rammentarlo. Il Comitato Libera Germania era piuttosto buffo. Ne era presidente Weinert -comunista-, vice presidente e vero factotum, il generale von Seydlitz: a lui seguivano il conte di Alvensleben, il conte di Michelfels, un Bismark ed una fila dei più bei nomi dell'aristocrazia prussiana.

Il proclama si inizia col dire che l'errore fatale di Hitler era stato quello di dichiarare la guerra all'U.R.S.S. (si noti non diceva che fosse stato uguale errore dichiarare la guerra alla Francia ed all'Inghilterra). Seguiva poi dicendo: «il popolo tedesco deve rovesciare Hitler e il governo nazional-socialista e sostituirlo con un governo democratico. Il nuovo governo democratico tedesco darà ordine alle truppe germaniche di ritirarsi nei confini della Germania del 1938: compiuta la ritirata esso offrirà alle Potenze Alleate la pace alle seguenti condizioni:

l) La Germania rinuncia a tutte le conquiste e le annessioni compiute dal governo di Hitler;

2) la questione austriaca sarà risolta a mezzo di un plebiscito libero da tenersi sotto controllo internazionale;

3) la Germania s'impegna a riparare nei limiti delle sue possibilità i danni da essa arrecati ai paesi occupati;

4) la Germania non accetta obblighi unilaterali di disarmo: è pronta però ad accettare qualsiasi misura anche radicale di disarmo, purché applicata a tutti;

5) la Germania conserva piena ed intera la sua sovranità, sia nel campo politico che nel campo economico: è pronta però a dare il suo appoggio incondizionato a qualsiasi forma di collaborazione internazionale sulle basi della Carta Atlantica.

Qualora le proposte di pace della Germania vengano rifiutate dai governi alleati, il governo democratico tedesco dichiara che la guerra non è più una guerra offensiva, ma una guerra difensiva, proclama la guerra popolare e il popolo tedesco si difende e combatte fino all'ultimo uomo».

Questo proclama è stato redatto a Mosca, diffuso da Mosca, non c'è dubbio quindi che esso aveva la piena approvazione del governo sovietico. Si giri la cosa come si vuole, ma, allora, esso equivaleva a dire che, a quelle condizioni la Russia era disposta a concludere la pace colla Germania. Ho detto che, da parte russa, questo piano era geniale. Che cosa avrebbe potuto accadere se fosse stato realizzato? La Germania aveva già avuto dalla Russia una severa batosta e una dura lezione: era lecito supporre che per 50 anni almeno, non ci sarebbe stato un ufficiale tedesco che avrebbe, nemmeno lontanamente, pensato a far la guerra alla Russia. Dalla parte anglo-americana si era in pieno vansittartismo: i piani relativi al futuro della Germania si succedevano uno più feroce dell'altro. Ed ecco scappar fuori la Russia con un piano che permette alla Germania di conservare intatte le sue frontiere del 1938, il suo apparato militare ed economico: è la Russia che salva la Germania: riconoscenza più paura sono una buona base politica ed ecco restare nel cuor dell'Europa una Germania forte solidamente legata alla Russia, avente all'interno il governo ideale, la coalizione dei comunisti e dei conservatori. Tutti gli Stati d'Europa, grandi e piccoli, esposti al pericolo di essere, a qualsiasi momento, travolti dalla Germania, solo che essa potesse contare sul benestare della Russia: quindi, tutti gli Stati di Europa, grandi e piccoli, obbligati senza necessità di nessun trattato, a guardare continuamente dalla parte di Mosca, come verso l'unica Potenza capace di difenderli da una nuova aggressione tedesca. È stato obiettato che Stalin non ha mai veramente avuto simili intenzioni, che ha montato tutta questa macchina solo allo scopo di spaventare gli anglo-americani. È esatto che nelle due Conferenze di Mosca e di Teheran, gli anglo-americani hanno commesso tante irreparabili sciocchezze perchè erano sotto lo spavento della possibilità di questa politica del Comitato Libera Germania. È anche esatto che la corrente contrastante che ha trionfato poi, la corrente che chiamerei panslavista, esisteva già allora. Tuttavia, per quanto sia difficile esprimere un giudizio sugli avvenimenti che si sono svolti a tanta distanza di tempo, confesso che esito a credere, che si sia trattato da parte dei russi, solo di un «bellissimo inganno». È vero che dopo la Conferenza di Teheran il Comitato Libera Germania ha continuato a lavorare si, ma in sordina; è vero anche che i primi segni della politica panslavista -la creazione del Comitato Nazionale polacco -hanno cominciato ad affiorare poco dopo, ma, a mia impressione, sulla via contraria i russi ci si sono messi decisamente, solo dopo il fallimento dell'attentato contro Hitler, attentato che, si noti, era l'opera degli equivalenti di von Seydlitz e compagni all'interno della Germania. Come è l'abitudine qui, una volta rovesciata la politica verso la Germania, ci si è buttati su questa via senza ritegno. Si offriva a chi la voleva un pezzo di Germania: il Belgio veniva invitato a annettersi Aquisgrana, patria del belga Carlo Magno; alla Danimarca si ricordava che Altona era stata una città danese e si faceva anche intendere che non si avrebbe avuto difficoltà a considerare Amburgo come una accessione di Altona: ebbi a scrivere a V.S. in quell'epoca, che il vero ostacolo ad una nostra collaborazione fattiva colla Russia era il fatto che noi non avessimo la possibilità di reclamare una fetta di Germania: e non ritengo di essermi allora sbagliato. In questa atmosfera antitedesca de Gaulle è arrivato a Mosca.

A quell'epoca i francesi di qui furono molto espliciti nell'assicurare che la Russia aveva dato il suo pieno consenso alla richiesta francese di portare la sua frontiera al Reno, e anche, in qualche punto al di là, consentendo anche, se la Francia lo desiderava, alla estromissione della popolazione tedesca. In seguito, da tutte le parti, si è cercato di dare agli impegni russi un valore assai meno impegnativo. È vero che i russi si erano impegnati «per quanto li concerneva» e che di questa riserva fanno largo uso di fronte alle proteste inglesi ed americane: senza dubbio l'impegno russo mancava di precisione, diciamo così, giuridica. Recentemente mi è stato detto che i russi sarebbero stati disposti a mettere, anche per iscritto, il loro impegno, se de Gaulle avesse consentito ad arrivare fino al riconoscimento completo dell'allora governo polacco di Lublino ed a riconoscere, ufficialmente, la frontiera polacca all'Oder. Questo credo esatto: però non toglie che alla fine del 1944, secondo me, i russi non solo erano disposti a non opporsi, ma avrebbero visto con piacere la Francia portare i suoi confini orientali al Reno. Perchè allora i russi pensavano che avrebbero avuto tutte le opportunità di sistemare a modo loro la Germania. Questa illusione è durata fino a qualche tempo dopo Yalta, ed è per questo che i russi vi hanno consentito ad accettare una spartizione della Germania in varie zone di occupazione, più o meno corrispondente alla spartizione attuale. Quale era allora la situazione militare? Due offensive russe travolgenti avevano portato la Russia da Minsk alla Vistola e dalla Vistola all'Oder. Gli Alleati occidentali avevano, è vero occupato, in tempo brevissimo, quasi tutta la Francia, ma arrivati davanti alla nuova linea tedesca non solo non avevano avuto nessun successo, ma si erano essi stessi trovati in gran difficoltà per contenere la controffensiva di Rundstedt: gli Alleati avevano ancora da superare la linea Sigfrido il cui prestigio, nonostante tutto, persisteva. Al momento della Conferenza di Yalta, i russi erano quindi persuasi che, alla nuova offensiva combinata, gli anglo-americani avrebbero più o meno piétiné sur piace mentre i russi avrebbero con uno dei loro balzi abituali travolto tutta la Germania. Gli ambienti militari russi, a quell'epoca, non facevano nessun mistero delle loro previsioni. Se questo fosse realmente avvenuto, è probabile che i russi avrebbero trovato più di un pretesto per non evacuare la Germania, e se anche, col tempo avessero consentito a lasciare agli Alleati occidentali un certo margine di occupazione, lo avrebbero negoziato alla russa, ed avrebbero comunque avuto tutto il tempo di sistemare la Germania secondo il loro punto di vista: si può essere sicuri che se questa eventualità si fosse verificata, la distruzione e l'evacuazione dell'industria tedesca di guerra, intesa in senso lato, la denazificazione, non sarebbero più, oggi, delle questioni di discussione. E quello che sta accadendo nella zona russa mostra a sufficienza che, dopo il passaggio dei russi, quello che sarebbe rimasto per gli altri, a titolo riparazioni, non sarebbe certo stato molto. I russi avrebbero poi provveduto a mettere su nella Germania un loro governo di tipo standard che, volens nolens, tutti gli altri sarebbero stati obbligati ad accettare: nella migliore delle ipotesi avremmo oggi una questione tedesca nella stessa forma e maniera in cui abbiamo una questione bulgara e rumena. Questo piano, che era preparato anche nei suoi dettagli, è" stato frustrato dalla maniera imprevista in cui si è svolta l'ultima fase della guerra in Germania. Che sia vero, come dicono i russi, che i tedeschi hanno deciso di aprire le porte agli anglo-americani concentrando tutte le loro ultime risorse contro i russi: che sia vero invece quello che vorrebbero sostenere gli americani, che i tedeschi sono stati travolti dal materiale americano e dal suo modo d'impiego, poco importa. Resta il fatto che, al momento della resa della Germania, la maggior parte del territorio tedesco era occupato dagli Alleati occidentali ed i russi, anzichè negoziare una eventuale ritirata nei limiti loro assegnati, hanno dovuto fare esattamente il contrario. Qui occorre una precisazione: gli anglo-americani dicono che la zona di occupazione russa comprende la maggior parte della Germania: ciò è letteralmente esatto se si prende la Germania quale essa esisteva prima della guerra: ma se si tien conto della grossa fetta di Germania che è stata ceduta alla Polonia e da cui la popolazione tedesca è in corso avanzato di estromissione, ne risulta che la zona russa è inferiore alla zona degli Alleati occidentali come estensione territoriale: lo è ancora di più se si tien conto di altri elementi quale potenziale industriale e popolazione. Già al mese di aprile di quest'anno, questa nuova situazione si veniva delineando chiaramente: i russi avevano già avuto sufficienti contatti colla popolazione tedesca per rendersi conto dell'odio che animava i tedeschi contro i russi, avevano cominciato ad intravedere la possibilità per gli anglo-americani di sfruttare quest'odio, facendo risorgere una Germania in funzione antirussa: ad un certo momento (si era nella fase più acuta della crisi post-Crimea) si è accennato qui anche alla possibilità che gli anglo-americani potessero servirsi dell'esercito dei loro prigionieri tedeschi, riforniti abbondantemente di materiale americano, per un'azione militare, immediata, contro la Russia.

Ed ecco un nuovo voltafaccia della politica russa: Ilja Erhenburg che nei suoi articoli diceva molto meno di quanto dicessero, in conversazioni pubbliche e private, uomini politici e responsabili dell'U.R.S.S., viene ufficialmente sconfessato: i tedeschi vengono divisi in buoni e cattivi; si dichiara che l'esercito rosso, che ha già portato la libertà a tanti popoli, intende portarla anche al popolo tedesco; si tratta, bene inteso, della vera libertà. E mentre nel campo degli Alleati occidentali, sia pure con differente chiarezza, si continua a parlare di spartizione della Germania, più o meno sulle basi delle divisioni prebismarkiane, la Russia si fa sostenitrice della integrità della Germania, difende l'idea di un governo centrale tedesco. Ed assistiamo allo spettacolo inatteso dei russi che mandano in Germania viveri per la popolazione tedesca, che sono i primi a rimettere in funzione le amministrazioni municipali e provinciali, a permettere il funzionamento dei partiti politici, dei sindacati. Lo scopo di questo mutamento di fronte appariva di per sé evidente: i russi hanno una certa tendenza a ripetersi: così come essi hanno cercato di far digerire ai polacchi il sacrificio delle provincie orientali appoggiando le loro pretese più estreme ad occidente, così essi hanno sperato di far digerire ai tedeschi le amputazioni ad oriente facendosi i sostenitori dell'indivisibilità della Germania, della sua rapida risurrezione come entità statale, e sostenendo, altrove, l'integrità del territorio tedesco. Così, ad esempio, in questa mutata atmosfera i cecoslovacchi non hanno trovato più molte simpatie per le loro aspirazioni al distretto di Kotbus. Allo stesso tempo, con una propaganda ben diretta, e facendo uso, a seconda dei casi, degli ultramangiatedeschi e dei filosovietici all'interno dei paesi anglo-americani, essi hanno cercato di rappresentare come filofasciste tutte le misure che gli anglo-americani prendevano per assicurare il funzionamento della vita nella zona loro assegnata. Essi speravano in questa maniera -non so se e fino a che punto essi ci siano riusciti-di mettere in imbarazzo l'amministrazione anglo-americana dei territori occupati, renderle difficile il funzionamento e creare, nell'opinione pubblica tedesca, l'impressione che, dopo tutto, si stava meglio nella zona russa che in quella degli Alleati occidentali. Da parte sua la delegazione russa alla Commissione interalleata di controllo, faceva tutto il suo possibile per contribuire

a non facilitare il compito.

Quello che succede, in Germania, nella zona di occupazione russa è un mistero: si sa soltanto, da una parte, che i russi cercano di realizzarvi la loro politica standard: resurrezione dei partiti politici, esclusione di tutti gli uomini politici precedenti, di qualche influenza, accusati, in blocco, di aver fatto una politica prefascista: è in corso di esecuzione la solita riforma agraria destinata ad eliminare la classe dei grandi proprietari terrieri. Di nazionalizzazione delle industrie si sente parlare poco: probabilmente queste industrie situate nella zona di occupazione russa e che erano sfuggite ai bombardamenti americani sono in grandissima parte trasportate in Russia, il che è una forma sui generis di nazionalizzazione. D'altra parte la Germania è letteralmente spogliata di tutto quello che può servire, mobili, abiti, oggetti d'uso, automobili, animali, parte a titolo di riparazione, parte a titolo di appropriazione individuale. Il governo sovietico non ama parlare di quello che accade nella sua zona: generalmente si limita ad estasiarsi sulla volontà di ricostruzione dei tedeschi, sulla loro capacità di lavoro. Si accenna a operai e specialisti tedeschi che vengono a lavorare in Russia, ma si aggiunge -e lo credo esatto -che si tratta di numero assai limitato. Per le riparazioni tedesche in lavoro, bastano i prigionieri di guerra, il cui numero i russi asseriscono essere sugli 8 milioni e che effettivamente si vedono ormai al

1002 lavoro un po' dappertutto, anche nella stessa Mosca, sotto un regime di sorveglianza che non sembra eccessivamente stretto. Mi consta che si procede attivamente alla loro rieducazione politica, non so se con risultati migliori di quelli generalmente raggiunti con prigionieri di altre nazionalità. Mi consta, da buona fonte, che vengono incoraggiati i loro matrimoni con donne russe; il matrimonio migliora la loro situazione e dà la possibilità di stabilirsi in Russia: il che mi confermerebbe in quella che è sempre stata un po' la mia impressione che i russi tendono a mantenerli in Russia, disperdendoli ed assorbendoli, in maniera da ottenere il duplice scopo di colmare un po', con i tedeschi, gli enormi vuoti che la guerra ha aperti nella popolazione maschile russa e, allo stesso tempo, aumentare il già considerevole salasso della popolazione tedesca. Comunque, nessuno dubita qui, che volontariamente o no, passeranno molti e molti anni prima che questi prigionieri tedeschi possano anche lontanamente pensare a rientrare in patria. Quanto alla situazione effettiva nella zona russa in Germania, da qualche conversazione che ho potuto avere con ufficiali russi reduci dalla Germania, dovrei dedurre che la sicurezza pubblica lascia molto a desiderare, gli assassinii di ufficiali e di funzionari russi sono all'ordine del giorno tanto che, adesso, nonostante le condizioni di favore che vengono loro fatte, c'è scarsissimo entusiasmo per andare

o restare in Germania. Mi è stato possibile anche rilevare una certa sorpresa nel constatare come il partito comunista tedesco non abbia che scarsissima influenza e faccia ben poca strada. Avrei anche l'impressione che mentre i russi danno seriamente la caccia ai colpevoli di atrocità di guerra, la caccia ai nazisti venga fatta con molto discernimento e non in grande stile: i reduci dalla Germania dicono ad una voce che tutti i nazisti sono fuggiti nella zona anglo-americana: quanto a quelli che sono rimasti nella zona russa si avrebbe l'impressione che essi tendono piuttosto a }asciarli in pace, purché stiano tranquilli.

Come i russi pensino di ottenere dei risultati con questa politica, diciamo così di benevolenza verso la Germania, mentre portano via le fabbriche che dovrebbero dare alle masse possibilità di lavoro e, se non tutto, almento molto di quello che la popolazione tedesca possiede, non è facile a dirlo. Probabilmente, anche qui ci troviamo di fronte ad una delle tante manifestazioni di incomprensione: non c'è dubbio per esempio che i russi ci tengano, e come, a fare una politica di amicizia verso la Polonia e verso la Romania: ciò non toglie però che la loro condotta di ogni giorno, e specie quella delle truppe sovietiche sul posto sia tale da alienare alla Russia le simpatie più sincere. Del resto in materia di bestialità in questo campo bisogna riconoscere che gli anglo-americani hanno poco da imparare dai russi, noi ne sappiamo qualche cosa. Mi sembra comunque dubbio, che assestandosi un poco le cose in Germania, questo tentativo russo di acquistarsi la simpatia tedesca mediante un atteggiamento «benevolo», col sostenere l'unità e l'integrità della Germania, la sua rinascita come unità statale, non sia di quelli di cui si possa facilmente garantire il successo. A parte le contraddizioni della condotta dei russi, è da domandarsi se i tedeschi riusciranno facilmente a dimenticarsi che è alla Russia che devono la generosa amputazione che hanno subito ad oriente: se i molti milioni di tedeschi che a causa, sia pure indiretta, dei russi hanno dovuto abbandonare le loro terre e le loro case, potranno tanto facilmente diventare dei sinceri amici dei russi. Non potrei dire se e fino a che punto i russi si rendono conto della difficoltà del compito che essi si sono assunti, e delle contraddizioni della politica che essi stanno seguendo nei riguardi della Germania. Mi sembra però che si rendono benissimo conto della possibilità che esiste per gli Alleati occidentali e soprattutto per gli americani, di organizzare economicamente e politicamente la loro zona tedesca in modo da potersi un giorno servire della Germania come di un alleato, di peso non indifferente, per una politica ostile alla Russia. E si rendono pure conto della possibilità che, per quanto essi possano fare nella loro zona per darle una sistemazione politica rispondente alle loro idee, il giorno che la Germania sia di nuovo riunita, la zona degli Alleati occidentali prenderà il sopravvento sulla zona russa e sarà essa a dare la sua impronta alla futura politica tedesca. Di tutto questo i russi si rendono sufficientemente conto, non sanno bene cosa fare: sono inquieti e nervosi: per cui dubito che la attuale politica russa nei riguardi della Germania sia definitiva: nel corso dei prossimi anni vedremo evoluzioni e voltafaccia bruschi. Mi vien fatto di domandarmi se, in vista di tutto questo, non esiste la possibilità che l'attuale linea di demarcazione tra le due zone sia destinata a diventare, in ultima analisi, una spartizione definitiva della Germania. Se cioè i russi di fronte alla impossibilità di foggiare secondo il loro desiderio il volto futuro della Germania, piuttosto che correre il rischio di vedere una Germania unita, anche se ridotta, pur sempre la Potenza più forte del continente, orientata politicamente e sentimentalmente contro la Russia, non preferiscono, come un male minore continuare ad avere due Germanie, di cui una, anche solo in apparenza, ligia agli ordini di Mosca. Ma queste sono speculazioni di avvenire: ho voluto soltanto accennarvi poiché, anche per noi, in quanto Stato europeo, il problema di quello che sarà la Germania domani, di quello che uscirà fuori dall'attuale caos, in cui, in realtà nessuna delle Potenze che si sono incaricate dell'amministrazione della Germania, ha la minima idea realistica di quello che si possa e che si debba fare, non può esserci indifferente.

Oggi, comunque, siamo nello stadio in cui la preoccupazione prima della Russia è quella di evitare che agli americani riesca di rimettere in piedi una Germania in funzione antirussa. E, a mio avviso, tutto il chiasso che si sta facendo oggi, da parte russa, intorno al Patto occidentale è appunto in funzione del problema tedesco. È un fatto ormai noto, da quando la Russia è rientrata nel campo della politica, che essa vede di mal'occhio ogni accordo, ogni blocco, anche se realizzato in zone lontanissime, di cui essa non sia. parte e parte dirigente. E per principio, qualsiasi blocco di cui la Russia non faccia parte è un blocco diretto contro l'Unione Sovietica: e in realtà ci credono, non è solo polemica da parte loro: bisogna ammettere a loro scusante che molti e molti anni di politica di cordoni sanitari hanno lasciato dei risentimenti che sono ben lontani dall'essere superati. I russi dovevano dunque, per principio essere contrari ad un blocco occidentale. Non mi sembra però che né queste ragioni né la necessità di rispondere alle polemiche anglo-sassoni circa il blocco orientale russo, siano sufficienti a giustificare il particolare accanimento, che governo, stampa, opinione pubblica mettono a denunciare ed a combattere il blocco occidentale.

In un certo senso il blocco occidentale esiste già, in quanto tutti i paesi che dovrebbero entrare a farne parte sono già nella zona di influenza anglo-americana, zona che i russi in realtà riconoscono e rispettano, almeno tanto quanto gli altri, sia pure di malavoglia, riconoscono e rispettano la zona d'influenza russa. Che ne farebbero volentieri a meno è inutile negarlo. Ma anche gli anglo-americani farebbero volentieri a meno del blocco orientale. Hanno cercato di renderlo impossibile con il trattato con la Francia, ma i russi sono troppo realisti per non avere almeno avuto dei dubbi sulla possibilità effettiva della Francia di avere una politica estera indipendente. I russi hanno detto, in maniera inequivocabile, ai francesi ed agli inglesi, che non hanno niente contro un'alleanza franco-inglese: a noi, e ai francesi, hanno sempre mostrato di vedere con molto piacere un riavvicinamento franco-italiano: stampa ed uomini politici russi parlano continuamente della necessità di un rivolgimento democratico in Spagna, fra l'altro, come una premessa necessaria allo stabilimento di relazioni veramente amichevoli con una Francia parimenti democratica. Ora tutto questo se non è il Patto occidentale è qualche cosa di molto vicino. Quando è quindi che il Patto occidentale cessa di essere uno strumento di pace, per essere un primo passo per una politica di blocchi ostile all'U.R.S.S.? Per me la risposta non può essere che una: quando il Patto occidentale comincia a mostrare la tendenza ad estendersi alla Germania. Del Patto occidentale se ne è sempre parlato qui, ma come si parla di tante altre cose. La questione è diventata acuta solo dopo la nota intervista di de Gaulle al Times. Che cosa ha detto di tanto grave de Gaulle al Times? Ha parlato della Germania in termini che qui sono sembrati per un francese del suo stampo, estremamente moderati, ed ha parlato della necessità di integrare la Ruhr -e dicendo la Ruhr intendeva il complesso industriale chiave della Germania occidentale -nell'economia dell'Europa occidentale.

Ma questo non è il solo elemento nuovo. In Inghilterra i conservatori sono stati spazzati via dai laburisti, e con i conservatori è stato spazzato tutto un piano di organizzazione dell'Europa occidentale. A torto o a ragione i russi attribuivano a Churchill l'intenzione di riorganizzare l'Europa occidentale a base di monarchie

o di repubbliche fortemente conservatrici, che, secondo loro, non avrebbero potuto tenersi all'interno, che in collaborazione con i comunisti i quali, a loro volta sarebbero stati garanti della politica estera dei singoli paesi. Ai laburisti, a torto o a ragione, essi attribuiscono invece l'intenzione di volere organizzare l'Europa occidentale in forma centro-sinistra, che riconoscono più solida e che essi ritengono in grado di esercitare sulla Germania una considerevole forza di attrazione. Essi pensano cioè che la Germania occidentale soprattutto per un complesso di ragioni sia assai più cattolica e socialdemocratica che non conservatrice e comunista: ritengono quindi che un'Europa occidentale centro-sinistra abbia infinitamente più possibilità di intendersi con la Germania occidentale e forse con tutta la Germania, che una Europa occidentale conservatrice. Quando de Gaulle è venuto a Mosca egli ha parlato, e senza incontrare opposizioni, di quella che sarebbe stata la politica francese nei riguardi dei suoi vicini. Ma allora egli voleva per la Francia la frontiera del Reno -il che avrebbe creato tra Francia e Germania un abisso difficilmente colmabile -e non era tenero né per gli inglesi né per gli americani. Adesso in Francia è sorto un astro nuovo, il partito socialista con Léon Blum alla testa -la vera bestia nera dei russi -si ritiene orientato verso gli anglo-sassoni: sotto la sua influenza de Gaulle, volens nolens, ha dovuto fare una considerevole evoluzione verso gli anglo-sassoni: e parla della Germania in termini che qui sono stati interpretati come di collaborazione. Inoltre l'America sembra non vedere di cattivo occhio il Patto occidentale. Ritorniamo quindi sempre allo stesso punto di partenza.

I circoli della grande finanza americana, d'accordo con i loro confratelli europei e i loro complici, i partiti socialisti europei -mi aspetto da un momento all'altro di vedere riapparire la tradizionale definizione di socialtraditori -lavorano per creare un blocco dell'Europa occidentale più la Germania, per la guerra all'Unione Sovietica. E di nuovo anche qui il punto cruciale è la Germania: qui come è noto si ragiona esclusivamente in termini di produzione industriale e di cannoni. È inutile nasconderselo: il prestigio militare di tutti i paesi dell'Europa occidentale, Francia compresa, è qui nullo: la loro produzione industriale bellica è considerata poca cosa per le necessità di una guerra moderna. Ma dei tedeschi, come soldati, si ha ancora qui un salutare rispetto: e non minore rispetto si ha della possibilità e della capacità produttiva dell'industria tedesca: tutto questo avrebbe poi dietro alle spalle il potenziale industriale americano. Visto così il blocco occidentale è qualche cosa che deve essere preso in seria considerazione.

Mi si può obiettare che, oggi, per tutto quello che concerne la Germania, c'è maggior disaccordo fra i Tre, nel loro insieme, e la Francia che non fra i russi e gli anglo-sassoni. La frontiera orientale della Germania è stata riconosciuta come la volevano i russi; per le frontiere occidentali, gli anglo-americani non si sono finora pronunciati, come non si sono pronunciati per la richiesta francese che il complesso della Ruhr venga economicamente ed amministrativamente staccato dal resto della Germania: e nulla fino ad ora lascia supporre che essi siano più vicini al punto di vista francese che a quello russo. Gli anglo-americani non sono del tutto contrari alla risurrezione di un governo centrale tedesco: hanno solo insistito perché, allo stadio attuale, esso sia limitato a dei segretari generali, per ogni singolo dicastero, ma questo è pure un considerevole passo avanti: e sono i francesi a sabotare il progetto, riservandosi di approvarlo solo dopo che sia stato definito, secondo i loro desideri, il problema della frontiera franco-tedesca e quello della Ruhr. Tutto questo è vero: però i russi sono abituati a far manovrare i paesi della loro zona d'influenza come una tastiera: il loro gioco non è sempre tanto abile da non far capire chi è il direttore di orchestra: ma di questo essi non si rendono conto. Ora i russi sono persuasi che gli americani fanno lo stesso, e che la mossa francese è una mossa combinata. Da Mosca non è possibile giudicare se e fino a che punto ci sia realmente questo piano americano, e se e fino a che punto, esso trovi consenzienti inglesi e francesi. Quello che è certo è che i russi ci credono: e, volendo essere onesti, non si potrebbe negare che c'è tutto un insieme di fatti, che messi insieme, non permettono di relegare queste idee russe al cento per cento nel regno delle favole. Ma partendo dal punto di vista che i russi ci credono, anche e soprattutto perché esso è nella linea della logica dialettica, allora si spiega l'accanimento russo contro il Patto occidentale, e gli isterismi russi ogni volta che gli americani, o qualche altro esitano a scrap una fabbrica tedesca o a mettere sotto giudizio un alto funzionario nazista od un magnate dell'industria tedesca. E sono tanto più nervosi e sospettosi in quanto si rendono benissimo conto che, ammesso che questa politica ci sia, i russi poco possono fare per impedirla. Alla possibilità di rovesciare la situazione a mezzo di una rivoluzione che portasse i comunisti al potere nei singoli paesi, può essere che in Europa qualcuno ci creda, certo Stalin no. Dopo il fallimento della III Internazionale nel corso di questa guerra credo che sarà ben difficile tornare a convincere Stalin delle possibilità dei partiti comunisti europei. Dell'esistenza in tutti i paesi europei

1006 di un largo spmto pacifista, di larghi strati dell'opinione pubblica, dei partiti politici, su cui la Russia, con una politica differente potrebbe appoggiarsi per rendere di difficile attuazione questo piano americano, ammesso che esso esista, qui non ci si vuoi rendere conto. Può essere che ciò accada domani, oggi non se ne vede il minimo segno.

Data la situazione come la vedono i russi, è superfluo che dica a V.S. che se la Francia ritiene di poter chiarire la situazione inviando qui in missione il signor Alphand si fa delle grosse illusioni. È un errore di prospettiva. Perché ciò fosse possibile bisognerebbe che la Francia fosse realmente il centro motore del blocco occidentale come lo vedono i russi, e che essa fosse in grado di persuadere i russi che essa può avere una politica indipendente. Se il blocco occidentale riuscirà realmente a farsi, e se una volta fatto, in quanto blocco di nazioni europee, esso mostrerà di essere economicamente e politicamente vitale, di essere in grado di fare, come complesso politico, una politica indipendente e neutrale, solo allora l'atteggiamento della Russia a suo riguardo potrà cambiare. Oggi, i sospetti russi a questo riguardo è solo l'America che potrebbe riuscire a dissiparli. E potrebbe riuscirei solo rinunciando a qualsiasi idea di blocco occidentale, o per lo meno a qualsiasi forma di connessione americana con esso e di esso con la Germania. E per quanto concerne la Germania, bisognerebbe che essa rinunciasse ad avere in Germania una politica propria e si adattasse a fare nel campo economico, militare, politico tutto quello e soltanto quello che la Russia domanda. Ma è d'altra parte inevitabile che, domandando questo, la Russia difficilmente potrebbe evitare di destare negli americani il sospetto che essa lo vuole ai fini di una incontrastata egemonia sua sul continente europeo. È una specie di circolo vizioso, fatto di ambizioni, di sospetti e di paure da cui non vedo come si possa uscire, anche ammesso che ambedue le parti fossero -e forse lo sono -sincere nel desiderio di volerne uscire.

709

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AL RAPPRESENTANTE A LONDRA, CARANDINI

T. S.N.D. PERSONALE 9492/573 1 . Roma, 23 novembre 1945, ore IO.

Suo 798 2•

Faremo ogni sforzo perché deprecata crisi non degeneri verso rottura coalizione. Opposizione liberali non mette in causa antifascismo ma funzionalità governo. Comunque ogni tentativo di risurrezione fascista sarà decisamente combattuto.

Ben lieto conferire teco dopo 27.

1 Minuta autografa. 2 Vedi D. 705.

710

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12671-13004/567. Mosca, 23 novembre 1945, ore 21,28 (per. ore 9 del 24).

Telegramma di V.S. 568 1•

Questa ambasciata d'America ha già interessato governo sovietico circa modifica armistizio. Proposta è stata avanzata in forma generica senza specificare di quali modifiche si tratta.

A quanto mi è stato riferito passo analogo è stato fatto dagli americani a Londra. A questa ambasciata d'Inghilterra mi è stato detto che da parte inglese non si era favorevoli chiedere in precedenza avviso di Mosca, ma di concordare invece con americani modifiche da apportare ad armistizio italiano e poi informarne a cose fatte governo sovietico come è stato fatto altre volte e come russi hanno fatto nel caso Romania e Bulgaria. Da parte americana si è invece insistito per questa procedura intendendo con questo stabilire precedente che dia diritto a Stati Uniti intervenire per questioni armistizio Balcani.

Mi riservo telegrafare V.S. quanto mi sarà detto in proposito a questo commissariato Esteri. Ripeto che non sono da attendersi da parte russa obiezioni a modifiche armistizio nel senso da noi richiesto a meno che da parte americana si sia fatta connessione con questioni balcaniche in forma più concreta di quanto mi è stato detto il che allora creerebbe nuove complicazioni estranee nostri affari.

711

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. PER CORRIERE 9496/c. Roma, 23 novembre 1945.

Codesta ambasciata è al corrente sia dei tentativi compiuti a varie riprese da parte nostra per migliorare le relazioni fra Italia e Jugoslavia, sia delle dichiarazioni fatte in diverse occasioni dal Consiglio dei ministri, dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri nello stesso senso ed allo stesso scopo. Codesta ambasciata è altresì al corrente che il governo italiano ebbe già a richiedere in proposito i buoni uffici prima dell'U.R.S.S. isolatamente, poi anche della Gran Bretagna e degli Stati Uniti 2•

I Vedi D. 703. 2 Vedi DD. 122, 146, 174, 461 e 462.

Per un'esposizione particolareggiata dei fatti e delle circostanze si rimanda ai promemoria a tempo debito trasmessi costì da parte di questo ministero (vedi lettera del 19 maggio e telespresso 3/1387 del 22 agosto scorso) 1 .

Qualche settimana fa, a seguito di una conversazione avvenuta fra il R. ambasciatore Quaroni (che agiva naturalmente dietro mie istruzioni) e l'ambasciatore di Jugoslavia a Mosca, conversazione a parte della quale ha assistito anche il vice commissario agli Esteri Vyshinsky 2 , i due rappresentanti italiano e jugoslavo hanno concordato di sottoporre ai rispettivi governi la proposta di stabilire un contatto ufficioso allo scopo di tentare di risolvere direttamente fra i due interessati le questioni minori, in vista di giungere a un chiarimento dell'atmosfera fra i due Paesi, lasciando ad un secondo tempo ed a seconda dei risultati raggiunti, di valutare se e come fosse possibile sondare la possibilità di affrontare direttamente anche le questioni maggiori.

Per quanto ci concerne abbiamo fatto sapere al governo di Belgrado 3 che, pur restando convinti che il mezzo migliore per riprendere contatto e dare l'avvio a una discussione restava pur sempre la ripresa dei rapporti diplomatici, non avevamo peraltro difficoltà ad accettare che codesta prima fase delle conversazioni avesse luogo sia per il tramite del membro jugoslavo presso il Comitato Consultivo per l'Italia sia di persona convenientemente qualificata, inviata a questo scopo da Belgrado. Per il resto, e cioè per quanto riguarda le materie da discutere in un primo tempo, abbiamo proposto che siano trattate: la questione dei rifugiati jugoslavi in Italia (che sta estremamente a cuore a Belgrado e a Mosca) e la questione (pur essendo questa fondamentalmente diversa sia dal punto di vista politico che morale), dei deportati italiani dalla Venezia Giulia.

Così concepito, entro gli anzidetti termini e forma, è questo dunque in sostanza un ulteriore tentativo compiuto da parte italiana per dare attuazione concreta all'onesto e leale proposito di esplorare a fondo anche la possibilità di accordi diretti con la Jugoslavia, nonostante l'atteggiamento accesamente intransigente adottato dal suo governo; il rifiuto da esso opposto a tutti i nostri precedenti approcci e sondaggi; e, quel che più conta, gli eccessi che hanno acompagnato e seguito l'occupazione jugoslava di parte della Venezia Giulia che hanno, come è noto, culminato nella deportazione di migliaia di italiani, di cui a tutto oggi ignoriamo le sorti.

Le cose stanno per ora a questo punto. Ho di quanto precede informato gli ambasciatori sovietico, britannico, nord-americano e questo incaricato d'affari di Francia.

Prego gli ambasciatori a Londra e a Washington di voler anche dal canto loro e richiamandosi ai precedenti passi già fatti in proposito per richiedere i buoni uffici dei rispettivi governi 4 , di voler informare i governi britannico e nord-americano di quanto precede, nell'intento sia di tenerli al corrente, e nei termini esatti, dello sviluppo degli avvenimenti, sia di documentare ancora una volta presso di essi la nostra paziente ed onesta buona volontà in materia di rapporti con la Jugoslavia. L'ambasciatore a Parigi vorrà informare di quanto precede il Quai

I Non pubblicati, trasmettevano sommari cronologici sui rapporti itala-jugoslavi. 2 Vedi D. 653. 3 Vedi D. 697. 4 Vedi D. 461.

1009 d'Orsay, anche in relazione alle preoccupazioni di cui si è fatto interprete con telegramma n. 595 del 15 novembre corrente 1 , relativo alle correnti dell'estrema sinistra francese non favorevoli alla nostra tesi in materia di frontiere orientali.

Tuttora ignoro se il governo di Belgrado accetterà la proposta· di discutere insieme le due questioni in alto indicate. Non sfuggirà comunque all'E.V. l'importanza nazionale che il problema dei deportati dalla Venezia Giulia presenta per noi e la conseguente necessità ed anzi il conseguente dovere in cui ci troviamo di porlo senza altro come primo argomento in discussione.

Non sfuggirà altresì agli ambasciatori a Londra e a Washington la delicatezza della questione relativa ai rifugiati jugoslavi in Italia i quali trovansi sul nostro territorio, come è noto, per circostanze che non ci concernono e vi sono mantenuti non per fatto o motivo italiani.

712

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12805/837. Washington, 24 novembre 1945, ore 21,15 (per. ore l 5,45 del 25).

Ambasciatore Kirk venuto oggi salutarmi alla vigilia sua partenza per Roma mi ha pregato rendermi interprete preoccupazioni sue e Dipartimento di Stato per ripercussioni crisi ministeriale su opinione pubblica americana e specialmente su Congresso per discussioni in corso nuovi stanziamenti U.N.R.R.A.

Effettivamente oggi al Dipartimento di Stato si era molto perplessi e si auspicava vivamente pronta risoluzione crisi onde evitare nocivi riflessi incerti su nostre vitali questioni. Sarei grato voler possibilmente tenermi al corrente per telegrafo onde mettermi in grado illustrare qui opportunamente situazione.

713

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, AGLI AMBASCIATORI A MOSCA, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AI RAPPRESENTANTI A LONDRA, CARANDINI, E A PARIGI, SARAGAT

T. 9590/c. 2• Roma, 24 novembre 1945, ore 22,30.

Avverto che questa sera in una riunione di giornalisti stranieri ed italiani, nella mia qualità di capo democrazia cristiana e ministro Esteri, ho pregato gior

l T. s.n.d. 12219/595, non pubblicato. 2 Minuta autografa.

nalisti esteri di smentire decisamente notizia che il mio partito e in genere la coalizione pensi a colpi di stato o a lasciar libero accesso a qualsiasi ritorno fascista

o reazionario assicurando che soluzione crisi mirerà a rafforzare e stabilire le istituzioni democratiche e a garantire al popolo italiano regime di ordine e libertà.

Se codesta stampa dovesse dare un'interpretazione diversa, la prego di dare a codesto governo immediate assicurazioni in questo senso.

714

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 12832/569. Mosca, 25 settembre 1945 (per. ore 8 del 26).

Telegramma di V.E. 568 1 .

Azione americana per revisione nostro armistizio non mi riesce chiara. Specie negli ultimi tempi né russi né americani sono stati eccessivamente scrupolosi tenere al corrente altra parte di quello che fanno. Non riesco a capire perché da parte americana si metta adesso tanto scrupolo consultare russi per qualche modifica pratica da apportare armistizio italiano mentre in precedenza ne sono state fatte altre egualmente importanti anche se solo sulla carta senza nemmeno informarne i russi. Trasformazione Commissione Controllo in organo principalmente consultivo è soprattutto questione di modificare procedura lavori Commissione che poteva benissimo essere fatto in pratica con procedimento interno.

Riduzione oneri finanziari imposti Italia è questione cui russi non partecipano di cui non profittano e quindi non costituisce loro interesse. Da parte americana prima si è accennato in forma generica opposizione russa: dopo che ho esposto

V.S. punto di vista russo 2 basato più che su conversazione Dekanozov su logica circostanze che era altrettanto nota a me quanto ad ambasciatore americano Mosca americani non potendo più coprirsi dietro difficoltà russe hanno effettivamente preso iniziativa ma la hanno presa nella forma che meglio era indicata per provocare possibili opposizioni russe. Hanno sollevato cioè questione modifica regime armistizio sottolineandolo il che significa sollevare di nuovo questione pace provvisoria cui è arcinoto russi sono contrari.

Proposta americana è stata inviata come noto senza essere accompagnata nemmeno da parola commento appoggio. Né inglesi né americani hanno nemmeno lontanamente parlato questione armistizio italiano con russi: hanno invece insistito perché ne parlassi io chiedendomi di essere messi al corrente mie conversazioni il che ho fatto -mostrando con ciò chiaramente che essi non hanno per loro conto intenzione occuparsene impegnarsi seriamente. Conoscendo mentalità minu-

I Vedi D. 703. 2 Vedi D. 652.

1011 ziosa russa doveva essere evidente che proposta generica non può avere altra risposta che richiesta precisare punto di vista americano il che significa perdere ancora molto tempo.

Tutto questo strano modo di procedere permette a mio avviso solo due spiegazwm:

l) americani non vogliono sinceramente sostanziale modifica armistizio in questo momento preferendo servirsene come arma pressione per forzare evoluzione situazione interna italiana in certe direzioni da essi desiderate;

2) oppure impegnatisi come sono in via senza uscita pasticcio balcanico cui attribuiscono maggiore importanza che non questioni italiane desiderosi avere successo se non sostanziale almeno che permetta salvare la faccia vogliono servirsi modifica armistizio per riaprire in altra forma e direzione problemi balcanici. Due ipotesi del resto non si elidono necessariamente.

715

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1945.

Hopkinson (che ho visto ieri) aveva letto il recentissimo rapporto di De Angelis1 , che quest'ultimo gli aveva fatto direttamente pervenire. Ha detto di averlo trovato molto interessante. Mi ha chiesto cosa ne pensassi.

Gli ho risposto che personalmente trovavo buona la proposta di incaricare una persona dello studiQ concreto di tutti i problemi riguardanti l'Alto Adige. Essa del resto corrispondeva alle idee da tempo sostenute dal mio ministero. Quanto ad una presa di contatto col governo di Renner, ritenevo che fosse pienamente nei desideri e propositi del governo italiano di raggiungere appena possibile una normalizzazione dei rapporti itala-austriaci: ma era questo un compito da assolvere per le normali vie diplomatiche e non certo da affidare al «delegato» proposto da De Angelis. Inoltre mi pareva assolutamente da escludere che l'Italia dovesse anche solo ammettere il principio di sottoporre a trattativa con l'Austria la questione alto-atesina, che noi consideriamo infatti una questione di esclusivo carattere interno.

Hopkinson ha annuito. Egli credeva probabile, d'altra parte, che l'Austria stessa, magari tramite il governo britannico, avrebbe preso l'iniziativa di proporre una discussione con noi del problema atesino. Ciò che ci avrebbe forse posto in una situazione imbarazzante, dato che un rifiuto troppo netto avrebbe facilmente potuto essere sfruttato a nostro danno dalla propaganda austriaca.

l Non pubblicato.

In linea generale Hopkinson ha poi insistito sui suoi noti argomenti, e cioè che il governo italiano deve assolutamente decidersi ad affrontare in pieno il problema alto-atesino. In primo luogo la questione della autonomia regionale, a proposito della quale Hopkinson ha ribadito la sua vecchia tesi che si deve trattare di autonomia circoscritta alla sola provincia di Bolzano (ritengo che in questo Hopkinson subisca le argomentazioni di De Angelis, contro il quale l'ho messo in guardia facendogli presente come probabilmente non esulassero dai suoi ragionamenti le considerazioni di partito; essendo infatti noto che il principio dell'autonomia unica tridentina fosse in particolar modo osteggiato dai socialisti e comunisti i quali vi ravvisavano la certezza di una stragrande maggioranza democristiana).

Ad ogni modo a giudizio di Hopkinson il governo italiano ha già perso troppo tempo e troppe occasioni, mentre non è dubbio che il riconoscimento del governo Renner ha considerevolmente facilitato le possibilità di azione e di manovra dell' Austria.

716

IL SEGRETARIO COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

APPUNTO. Roma, 26 novembre 1945.

Il governo austriaco ha recentemente informato quello britannico che nel corso di un recente colloquio intervenuto tra l'ex presidente della Repubblica austriaca Schuschnigg ed il presidente del Consiglio Parri, quest'ultimo avrebbe dichiarato che l'Italia era pronta a venire ai più ampi accordi con la rinnovellata repubblica austriaca, basati nel campo economico. Da parte austriaca queste affermazioni del presidente Parri venivano interpretate come una possibile accettazione della tesi recentemente avanzata dal governo di Vienna per cui l'Italia rinuncerebbe all'Alto Adige dietro assicurazione che verrebbero tutelati i suoi interessi economici nella regione, in particolare quelli negli impianti idroelettrici da essa costruiti.

Nel riferirmi quanto precede, Hopkinson ha soggiunto che l'ambasciata britannica a Roma era stata incaricata di accertare presso il governo italiano il fondamento delle anzidette informazioni austriache nonché il punto di vista italiano sulla questione 1•

l In seguito a quest'appunto Prunas scrisse ad Hopkinson il 28 novembre la seguente L. urgente 3/2135: «Casardi mi ha accennato all'interpretazione data dagli ambienti austriaci alle parole che sarebbero state pronunciate dal presidente Parri al presidente Schuschnigg in un colloquio recente. Basterà io le dica che il colloquio non è mai avvenuto. Il signor Parri non ha cioè mai incontrato Schuschnigg. La possibile accettazione da parte nostra della tesi avanzata dal governo di Vienna circa una presunta rinuncia all'Alto Adige, è dunque assolutamente chimerica. Vuole farlo cortesemente sapere al suo governo?».

717

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 1126/520. Mosca, 26 novembre 1945 (per. il 12 dicembre).

Ritengo opportuno riferire alla S.V., come ho sempre fatto, per esteso, la conversazione che ho avuto con Dekanozov e di cui ho informato V.S. per filo 1•

Dekanozov ha cominciato col confermarmi che questa ambasciata americana aveva chiesto il parere del governo sovietico circa la revisione del regime di armistizio per l'Italia. Mi ha aggiunto che la proposta americana si trovava attualmente all'esame del governo sovietico.

A mia richiesta di conoscere il punto di vista del governo sovietico, mi ha ripetuto che, la questione essendo allo studio, per il momento non poteva dirmi niente.

Dietro mie insistenze e premettendo che parlava a titolo strettamente personale mi ha detto che, a sua impressione, l'espressione usata dagli americani «modificazione del regime di armistizio», non era chiara; si trattava di sapere se per modificazione del regime di armistizio il governo americano intendeva sollevare in altra forma la questione della conclusione di una pace provvisoria-l'espressione da lui adoperata è stata quella di pace preliminare -coll'Italia oppure soltanto della modifica di alcune clausole dell'armistizio.

Ritengo qui necessario fare una precisazione. Il signor Dekanozov sia in questa, che nella precedente conversazione sull'argomento (mio rapporto n. 1006/462 del 31 ottobre u.s-)2 mi ha sempre premesso che parlava a titolo strettamente personale. Bisogna intendersi sul valore di questa espressione: in tutti i paesi del mondo quando un funzionario responsabile parla a titolo personale, questo significa che egli esprime quella che, data la sua conoscenza della situazione, ritiene probabile sarà l'opinione del suo governo. Qui, dove i funzionari non hanno la abitudine e non sono incoraggiati ad avere opinioni personali, l'opinione personale, ha un valore molto più reale: però non è impegnativa. Quando Dekanozov o chiunque altro ci comunica qualche cosa a nome del governo sovietico, si tratta di un impegno specifico al quale possiamo sempre riferirei. Ma non sarebbe possibile reclamarsi ad una opinione espressa a titolo personale. Essa significa quindi che in quel determinato momento il governo sovietico la pensa così, ma può cambiare e comunque non si tratta di un impegno.

Ho risposto a Dekanozov che effettivamente, in vista di tutto un complesso di circostanze che gli ho ripetute, la pace provvisoria era precisamente quello che l'Italia voleva. Io avevo riferito al mio governo le ragioni per cui il governo russo era contrario ad una pace provvisoria, solo con l'Italia, e quindi il governo italiano, per non creare inutili difficoltà agli Alleati nei rapporti fra di loro, si era rassegnato a chiedere quello che era possibile ossia una certa revisione dell'armistizio.

1 T. s.n.d. 128311568 del 25 novembre, non pubblicato. 2 Vedi D. 652.

-Il governo sovietico è pronto a concludere non solo la pace provvisoria, ma anche la pace definitiva con l'Italia: se non è stato possibile farlo è perché sono nate delle complicazioni concernenti i trattati di pace con altre potenze e non era possibile separare i due gruppi di questioni: questo era noto al signor De Gasperi, che ha preso parte alla Conferenza di Londra; senza che fosse necessario che io lo dicessi a lei.

-Il ministro degli Esteri italiano non ha preso parte alla Conferenza di Londra: è stato solo ammesso ad esporre il punto di vista italiano su di una determinata questione. Per il resto il governo italiano ne sa quanto ne possono sapere quelli che dalla Conferenza sono rimasti fuori.

-Comunque la questione della pace provvisoria non è stata sollevata, quindi il governo sovietico non ha potuto pronunciarsi in proposito. -Vuoi dire con questo che se la questione fosse sollevata il governo sovietico non vi sarebbe contrario?

-Non ho detto questo: ho detto soltanto che la questione non essendo stata sollevata non esiste in proposito una opinione del governo sovietico e nessuno ha il diritto di dire che il governo sovietico vi è favorevole o contrario. Quello che io le ho detto era semplicemente la mia opinione personale e non quella del governo sovietico.

Continuando a parlare della proposta americana, Dekanozov ha aggiunto che essa aveva a suo avviso un altro difetto, quello di non essere sufficientemente precisa: sarebbe stato molto più facile per il governo sovietico prendere una decisione se gli Stati Uniti avessero fatto delle proposte concrete di modifiche da apportare all'armistizio italiano. Alla sua domanda se noi sapessimo quali modifiche il governo americano aveva in animo di apportare alla convenzione di armistizio, ho risposto negativamente. Gli ho detto che ero però in grado di dirgli, adesso, quali erano le revisioni che il governo italiano avrebbe desiderato. Gli ho esposto illustrandolo opportunamente il nostro punto di vista: la Commissione di controllo dovrebbe cessare di essere una Commissione di controllo, ma diventare un organo consultivo, possibilmente funzionante a mezzo di esperti addetti alle rispettive ambasciate: gli oneri finanziari imposti al governo italiano a titolo spese di occupazione, requisizioni, prestazioni ed altre costituiscono nelle circostanze attuali un peso che il popolo italiano non è più in grado di sopportare e quindi dovrebbero essere eliminati.

Dekanozov mi ha detto che avrebbe portato quanto precede a conoscenza del «governo sovietico»; richiesto del suo parere personale mi ha detto che occorreva distinguere i due gruppi di questioni. Gli oneri finanziari sono una cosa che riguarda esclusivamente i governi inglese ed americano; il governo sovietico non vi partecipa né direttamente né indirettamente: il decidere se e fino a che misura queste clausole dell'armistizio possono essere annullate in vista della situazione italiana, è cosa esclusivamente loro.

Differente invece è la questione del controllo, perché si tratta del principio che i paesi ex alleati della Germania, dopo la loro capitolazione, debbono essere sottoposti ad un certo regime di controllo. È una misura che è stata adottata per tutti, e non so se si potrebbe eliminare il controllo per l'Italia senza prendere delle misure corrispondenti per gli altri paesi che si trovano parimenti in istato di armistizio. In ogni modo questa è una questione in cui anche la Russia è interessata perché essa partecipa a questo controllo.

-La Russia fa parte del Comitato consultivo per gli affari italiani -ho detto-: a quanto mi risulta questo Comitato non dà particolarmente fastidio, né mi risulta che il governo italiano ne domandi l'abolizione.

-Lei non è bene informato: la Russia partecipa anche alla Commissione di controllo: può essere che gli italiani non lo sappiano perché non è tanto in vista come i suoi colleghi, ma vi partecipa.

-L'U.R.S.S. è dunque sfavorevole a sostituire il controllo colla consultazione? -Lei corre troppo con le sue conclusioni: le ripeto quella che è la mia opinione : il controllo è una questione di principio e non una cosa che riguarda soltanto l'Italia: non so se si possa abolire o limitare il controllo per la sola Italia. -Il governo italiano, in sostanza non domanda che venga abolito il controllo: la consultazione, nelle circostanze attuali, è qualche cosa di molto simile al controllo. Il governo italiano, se ho compreso bene le sue intenzioni, domanda sopratutto che il controllo sia limitato a qualche questione veramente importante e che esso cessi di essere quella cosa burocratica, lenta, pesante, paralizzante che esso è. Del resto la dichiarazione Macmillan, se non fosse stata annullata dai ma, tranne che per le questioni militari, se non erro, tendeva a trasformare la Commissione in organo prevalentemente consultivo. -In questo caso la trasformazione potrebbe avvenire per disposizione interna della commissione e gli anglo-americani non avevano maggiore necessità di consultare il governo sovietico di quanto non lo abbiano fatto per la dichiarazione Macmillan.

Dekanozov ha continuato a spiegarmi la differenza fra i due gruppi di questioni. La Russia aveva, di recente, concesso alcuni sostanziali alleggerimenti, specie alla Romania e alla Bulgaria, delle obbligazioni finanziarie che gravavano su questi paesi in seguito al regime di armistizio: si trattava di obbligazioni bilaterali, tra la Russia e questi paesi, ma non aveva intaccato il principio del controllo. I russi intendevano, stando a quello che io gli dicevo sulla situazione italiana, il controllo in maniera differente: si trattava ora di sapere se si trattava di modificare il sistema di controllo, il che era allora piuttosto una questione di amministrazione interna, o di modificare il principio di controllo e allora era un'altra cosa poiché non riguardava più l'Italia soltanto.

~ È curiosa questa differenza-ha continuato -gli altri paesi domandano di concludere la pace, l'Italia invece preferisce restare nella situazione di armistizio, domanda soltanto di modificare il regime di armistizio.

-Non è vero affatto-ho risposto -l'Italia domanda la pace e la domanda da un pezzo: ma visto che non si vede la speranza che alla pace si possa arrivare fra breve tempo e che tutto sembra far credere che il regime di armistizio debba continuare ancora a lungo, l'Italia fa presente che nelle condizioni attuali non si può continuare a vivere e domanda che si faccia una revisione dell'armistizio.

-Come fa il governo italiano a sapere che non è possibile arrivare alla pace tra breve tempo?

-Per arrivare alla pace bisogna che i «Tre» si mettano d'accordo su di una serie di questioni che non concernono l'Italia e non ci sono per ora segni che questo accordo sia vicino.

-Come fa il governo italiano a saperlo? -Il governo italiano sa soltanto quello che si pubblica sulla stampa dei vari paesi, il cui tono non è certamente ottimista: ma forse lei è in grado di darmi in proposito delle notizie più incoraggianti. -Non sono in grado di dirle nulla: mi interessava solo di sapere da dove il governo italiano aveva delle notizie più precise. -Il governo italiano sarebbe felicissimo di avere da lei delle notizie più ottimistiche. -Le ripeto che non ho nulla da dire: osservo solo che gli altri paesi, che si trovano nelle stesse condizioni dell'Italia, desiderano che venga conclusa con loro la pace, aspettano la pace e non si danno a previsioni né pessimiste né ottimiste. Essi stanno tranquilli e non domandano niente: è l'Italia che sempre domanda qualche cosa, prima voleva essere ammessa alla Conferenza di San Francisco, poi a quella di Londra, adesso vuole ridiscutere l'armistizio. Volevo solo farle notare la differenza. -Prima di tutto l'Italia si trova in stato di armistizio da quasi un anno di più che questi paesi: poi, come lei sa meglio di me, mentre gli armistizi orientali sono molto chiari, in quanto in base ad essi i paesi interessati sanno esattamente quello che debbono pagare, quali saranno le loro frontiere, l'armistizio italiano lascia tutto questo nel vago. -L'armistizio italiano è stato ora pubblicato; credo che il popolo italiano lo consideri anche troppo chiaro. Intanto non capisco che cosa vuole il governo italiano dal governo sovietico con questo suo passo. -Il governo americano si è rivolto ai governi inglese e sovietico con una proposta di rivedere l'armistizio italiano: il che significa evidentemente che è ben disposto per una revisione: gli ambasciatori d'ltàlia a Londra e a Mosca sono stati

incaricati di chiarire il punto di vista dei due rispettivi governi in proposito. -Perché il governo sovietico naturalmente non è ben disposto. -N o n ho detto questo: ho detto semplicemente che il governo italiano, in

seguito al passo americano, sa che esso è ben disposto, spera che anche gli altri due lo siano, ma non lo sa.

-Il governo italiano ha ragione, il governo sovietico non è ben disposto. L'Italia ha fatto la guerra all'Unione Sovietica: le truppe italiane sono state sul territorio sovietico, lo hanno amministrato, vi hanno causato del danno morale e materiale non indifferente. La Russia non partecipa all'Amgot, non ha partecipato alla emissione dei 70 miliardi di am-lire, non ha portato via del macchinario, non requisisce, non chiede prestazioni, e quindi non è ben disposta. Gli Stati Uniti partecipano all' Amgot, hanno emesso am-lire, partecipano alle spese di occupazione ma siccome inviano una piccola nota in cui, senza specificare niente, domandano una revisione del regime di armistizio, per questo sono ben disposti; è sempre la solita maniera di ragionare del governo italiano.

-Le ripeto che il governo italiano non dice affatto che il governo sovietico sia mal disposto: il governo italiano conosce e non dimentica tutti i fatti che lei ha menzionati ed altri ancora. Il governo italiano sa dalle sue parole che il governo sovietico è ben disposto: solo dal momento che la questione è stata posta dal governo americano, ufficialmente, esso perora la sua causa presso il governo sovietico e spera di averne una risposta favorevole.

-Tanto, come sempre, se l'Italia non ottiene tutto quello che lei vuole, è sempre colpa del governo sovietico.

-Secondo me c'è un mezzo molto semplice per evitare che ci siano degli equivoci a questo riguardo: è quello di dirci chiaramente che la Russia è favorevole alla revisione dell'armistizio.

Posso chiederle di essere informato della risposta che il governo sovietico invierà al governo americano?

-Si tratta di una questione che deve essere discussa col governo americano: il governo sovietico non è tenuto ad informarne il governo italiano. Del resto come il governo americano ha informato il governo italiano che ha fatto il passo, così informerà il governo italiano della risposta sfavorevole dell'Unione Sovietica.

-Le ripeto, come le ho detto altra volta: se il governo sovietico non desidera che al governo italiano vengano presentate le risposte dell'Unione Sovietica, su questioni italiane, sotto una luce sfavorevole, non avrebbe che ad informare direttamente il governo italiano di quello che è il suo punto di vista: così non ci sarebbero equivoci.

-La questione non è stata sollevata .dal governo italiano: è stata sollevata da quello americano: è solo al governo americano che noi dobbiamo una risposta.

-Ma anche il governo italiano ha presentato al governo sovietico delle domande per mio tramite: posso almeno chiedere di avere su queste una risposta.

-N o n le posso dire cosa deciderà il governo sovietico su questo punto: le domande italiane concernono una questione che deve essere discussa con gli americani: il governo sovietico quindi non è tenuto a rispondere al governo italiano.

-Nel qual caso il governo sovietico non ha più il diritto di lagnarsi del governo italiano se esso deve basarsi su informazioni, possibilmente non complete, che esso riceve da un'altra parte.

-Si tratta di questioni molto complesse: per questo le ho additato come esempio la condotta di altri Stati che si trovano nella stessa situazione dell'Italia e forse in condizioni anche più difficili, e pure aspettano pazientemente che le loro questioni vengano risolte senza domandare troppo. Del resto cosa le ho detto l'ultima volta che abbiamo parlato di questo argomento?

-Mi ha detto che se alla revisione dell'armistizio italiano non si arriverà questo non sarà per colpa della Russia. -Bene, questo glielo ripeto e per ora dovrebbe bastare: può essere che in seguito sia autorizzato dal governo sovietico a dirle qualcosa di più.

718

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI E ALLA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 3/2128 (S. U) 2129 (G.B.). Roma, 27 novembre 1945.

A seguito dei recenti, analoghi provvedimenti adottati da parte delle Potenze Alleate, il ministero degli Affari Esteri ha l'onore di comunicare all'ambasciata degli Stati Uniti d'America (di S.M. Britannica) che il governo italiano non ha difficoltà e sarebbe anzi lieto di riprendere le relazioni diplomatiche e consolari col governo provvisorio austriaco.

Il ministero degli Affari Esteri sarebbe particolarmente grato a quello americano (britannico) se volesse cortesemente portare la predetta comunicazione a conoscenza del governo di Vienna entro i pochi giorni che ci separano da quello fissato per il deciso trapasso delle provincie del nord all'amministrazione italiana.

Come codesta ambasciata sa, in data recentissima, il presidente del Quadripartite Trade Committee della Allied Commission for Austria ha proposto che una riunione di autorità italiane ed austriache abbia luogo a Vienna, allo scopo di esaminare la possibilità di riprendere relazioni commerciali fra Italia e Austria. Il governo italiano ha accettato tale proposta e ritiene che essa debba anzi essere integrata da un atto più chiaro e formale, quale appunto la proposta ripresa delle relazioni diplomatiche e consolari.

Nell'atto stesso in cui il governo italiano, dimentico che truppe ed unità austriache hanno preso parte, insieme alle tedesche, all'occupazione del territorio nazionale, manifesta il suo proposito di riprendere le relazioni col governo provvisorio austriaco, esso tiene contemporaneamente a confermare, e nel modo più esplicito e formale, che non esistono, a suo giudizio, fra Italia ed Austria questioni di carattere territoriale.

Il ministero degli Affari Esteri ha l'onore di ringraziare l'ambasciata degli Stati Uniti d'America (di S. M. Britannica) per la cortese risposta ch'essa vorrà fargli a suo tempo pervenire al riguardo 1•

719

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

L. RISERVATA 28308/286. Roma, 27 novembre 1945.

Mi riferisco al tuo telegramma n. 551 dell'Il corr. 2 col quale ci hai informato di aver fatto a codesto ambasciatore di Cina le comunicazioni di cui alla lettera del

1 Il 29 novembre il contenuto di questo documento fu comunicato a Quaroni, Tarchiani, Carandini e Saragat con T. 9762/c. e a Reale e Guidotti con lettere. 2 T. 11897/551, con il quale Quaroni informava che il D. 586 gli era pervenuto con grande ritardo e che pertanto aveva potuto fare solo l'Il novembre all'ambasciatore di Cina la comunicazione prescrittagli.

ministro n. 21 /027/232 del 29 settembre1• Mentre restiamo in attesa di conoscere la risposta del governo di Chung King credo opportuno esporre alcune considerazioni aggiuntive a proposito della sistemazione definitiva dei rapporti italo-cinesi in materia di concessioni e diritti italiani in Cina.

Come avrai rilevato dal contenuto della lettera anzidetta, è nostro desiderio di addivenire ad una definizione di questa complessa situazione. E ciò non soltanto perché, dopo le concessioni e gli accordi fatti dal governo fascista con quello di Nanchino, il governo democratico italiano desidera dare al governo nazionale cinese conferma definitiva della volontà del popolo italiano di liquidare un passato ormai superato, ma anche perché, in ragione appunto di questo suo desiderio, il governo italiano vuole evitare il rischio di dover subire come un'imposizione ciò che è stato già sostanzialmente concesso e a cui manca ora soltanto una sistemazione formale. Mi riferisco in particolare al pericolo che giungendo noi al trattato di pace senza avere già definito consensualmente tale questione, essa possa formare oggetto di disposizioni incluse nel trattato stesso ed assumere quindi un carattere coercitivo che sarebbe in assoluto contrasto con le decisioni già adottate dall'Italia.

In sede esecutiva, la materia da regolare è certamente complessa e non potrebbe prescindere-io credo -da un'accurata valutazione che la nostra nuova rappresentanza in Cina dovrà condurre sul posto, valendosi anche del confronto con gli analoghi accordi intervenuti tra il governo cinese e le altre Potenze. Ma sembrerebbe per contro opportuno addivenire sin da adesso ad una intesa con il governo cinese nel senso che da parte italiana si confermerebbe la rinuncia ai diritti e la retrocessione delle concessioni che hanno formato oggetto dei precedenti accordi tra il governo fascista e il governo di Nanchino, mentre, conformemente alla dichiarazione del Consiglio dei ministri del 18 gennaio 19452 , la trattazione e il regolamento delle varie questioni interessanti i due Paesi verrebbero affidati al nuovo ambasciatore italiano in Cina.

Un'intesa di tale genere potrebbe formare oggetto di uno scambio di note verbali e poiché non comporterebbe, in sostanza, alcuna innovazione nei confronti della situazione preesistente, non dovrebbe incorrere nelle riserve espresse da codesto ambasciatore di Cina circa la nostra possibilità di conchiudere accordi separati. Tieni comunque presente, al riguardo, che un importante accordo già concluso dal governo italiano è quello intervenuto col governo francese in materia di privilegi italiani in Tunisia (scambio di lettere del 28 febbraio 1945)3 .

È superfluo attirare la tua attenzione sullo spirito di piena amicizia verso la Cina con la quale il governo italiano si propone di regolare i suoi rapporti con il governo di Chung King e ci auguriamo che analoghi sentimenti ispirino l'atteggiamento cinese in proposito.

Rimaniamo comunque in attesa di tue notizie 4 .

l Vedi D. 586. 2 Vedi D. 62. 3 Vedi D. 73. 4 Vedi D. 739.

720

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BUCAREST, GERBORE

T. PER CORRIERE 9721. Roma, 28 novembre 1945.

Suo telegramma per corriere 077 1•

Esprima a codesto delegato ungherese nostri ringraziamenti per suo interessamento e lo assicuri che anche governo italiano desidera poter riprendere al più presto rapporti diplomatici col suo Paese. Interessiamo in tal senso Alleati e suggeriamo che analoghi passi vengano intrapresi da parte governo Ungheria. Nell'attesa confidiamo che governo ungherese vorrà provvedere a tutela nostri interessi come del resto si provvede in Italia alla protezione interessi ungheresi. Le segnaleremo questioni specifiche sulle quali attirerà attenzione signor Nekam. Sarebbe intanto opportuno che governo ungherese facilitasse viaggio codesto addetto commerciale per riferire su questioni nostri interessi economici in Ungheria.

721

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

T. S.N.D. 9733/576. Roma, 28 novembre 1945, ore 17.

·Suo 5642 .

Nelle condizioni in cui siamo ci è evidentemente impossibile dare preventive assicurazioni in materia di emigrati politici jugoslavi, quali quelle richiestele da codesto ambasciatore di Jugoslavia. Nessuno di costoro, dico nessuno, è stato non solo autorizzato da parte nostra a risiedere sul nostro territorio, ma neanche agevolato. Mi si dice si tratti di un complesso di 60, 70 mila persone. non so se le cifre siano esatte. Comunque essi sono molti. Ed ella può con tranquilla coscienza asserire che saremmo lietissimi di vederli partire in blocco. Essi, salvo naturalmente eccezioni, trasportano qui le loro risse politiche, premono sul mercato dei viveri, alimentano i commerci più loschi, ecc. Nostro principio è dunque che meno stranieri, tanto meglio, e, sopra tutto, meno stranieri turbolenti. E su questa base intendiamo appunto discutere con lealtà.

Ella ha ben risposto in materia di deportati italiani, che è diventata infatti questione nazionale.

1 Con il T. per corriere 12650/077 del 12 novembre, Gerbore aveva comunicato che Nekam, capo di una delegazione ungherese giunta a Bucarest per trattare il rimpatrio dei magiari fuggiti dalla Transilvania, gli aveva manifestato il desiderio del suo governo di ristabilire le relazioni diplomatiche con l'Italia.

2 Vedi D. 707.

722

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL CAPO DELLA MISSIONE IN ALBANIA, TURCATO

TELESPR. URGENTE SEGRETO 71/1773/1420. Roma, 28 novembre 1945.

Rapporti di V.S. n. 685/410 dell'Il novembre 1945 e n. 793/431 del 15 novembre 1945 1•

Questo ministero concorda nella necessità che l'eventuale riconoscimento italiano del governo Hoxha abbia luogo contemporaneamente a quello britannico e americano, e comunque con anticipo su altri Paesi.

La R. ambasciata a Londra è già stata incaricata di far presente al Foreign Office il nostro punto di vista esprimendo il desiderio di essere tempestivamente informati del momento in cui il riconoscimento britannico divenisse operante.

Poiché tuttavia non è da escludere che le informazioni che al riguardo dovesse inviarci l'ambasciata a Londra le giungano con ritardo, data la difficoltà di rapide comunicazioni con codesta missione, si autorizza fin d'ora la S.V. a notificare il riconoscimento italiano non appena le risulterà che le missioni americana e britannica di Tirana hanno proceduto in via definitiva a tale riconoscimento.

A questo scopo, V.S. vorrà tenersi in stretto contatto con la predetta missione, informandola, ove lo creda del caso, della richiesta fatta al Foreign Office per il tramite della R. ambasciata a Londra, e della nostra intenzione, nei confronti dell'Albania, di procedere di conserva con gli Alleati.

723

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13111/857. Washington, 30 novembre 1945, ore 11,17 (per. ore 8 del l o dicembre).

Mio telegramma n. 837 e suo telegramma 9590 2 .

Stasera, in un colloquio confidenziale al Dipartimento di Stato, ci è stato chiesto se avessimo notizie circa soluzione crisi ministeriale. È stato poi aggiunto che si era qui molto preoccupati per situazione interna italiana e per possibilità che attuale situazione possa prolungarsi come quella precedente. Questa ambasciata è stata pregata prima occasione presentare amichevole consiglio Dipartimento di Stato che sia affrettata per quanto è possibile la costituzione del nuovo governo, onde evitare riflessi molto dannosi nel campo internazionale su nostre vitali questioni attualmente sul tappeto.

I Non pubblicati. 2 Vedi DD. 712 e 713.

724

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI

TELESPR. 28711/c. 1 . Roma, 30 novembre 1945.

Si trasmette qui acclusa copia del telegramma per corriere n. 0772 dell'incaricato d'affari a Bucarest circa una sua conversazione col capo della delegazione ungherese a Budapest in merito ad una possibile ripresa di rapporti fra i due Paesi, e copia del telegramma di risposta di questo ministero 3 .

È noto a V.E. che in seguito all'occupazione dell'Ungheria funzionari ed impiegati della legazione italiana già internati dai tedeschi furono rimpatriati. Tentativi per ottenere che un incaricato italiano si recasse a Budapest in missione temporanea e solamente ufficiosa per tutela dei nostri connazionali ed interessi, rimasero senza seguito, nella supposizione che il governo sovietico non avrebbe accettato la nostra richiesta.

Attualmente provvede alla tutela degli italiani, col tacito appoggio del governo ungherese e delle autorità d'occupazione, il Comitato Italia Libera presieduto dal connazionale Giovanni Rossi, mentre sono in corso passi per ottenere dal governo sovietico che un delegato della Croce Rossa Italiana possa recarsi a Budapest per l'assistenza degli italiani (telespr. 26206/c. del 10 corr.)4 .

Le dichiarazioni del delegato ungherese all'incaricato d'affari a Bucarest confermano che in seguito alle elezioni e alla formazione del nuovo governo, la situazione in Ungheria può, dal punto di vista interno, considerarsi normalizzata. Da parte nostra, non abbiamo obbiezioni e saremmo anzi lieti di riprendere relazioni diplomatiche con il governo ungherese, mediante lo scambio di rappresentanti sia regolarmente accreditati, sia, eventualmente, con un incarico de facto.

Preghiamo pertanto il governo sovietico di volersi fare tramite ufficiale di una nostra comunicazione in tal senso presso il governo di Budapest. V.E. è autorizzata -ove non veda sostanziali obbiezioni -a dar corso a tale richiesta.

725

IL MINISTRO CONSIGLIERE DELLA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA, HOPKINSON, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. Roma, 30 novembre 1945.

I enclose an aide-memoire giving the substance of the two telegrams from the Foreign Office which I read through yesterday.

I Inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra e Washington. 2 Vedi D. 720, nota l. 3 Vedi D. 720. 4 Non pubblicato.

ALLEGATO

LA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 30 novembre 1945.

l. The Austrian Under-Secretary. of State for Foreign Affairs told the British Politica! Representative, on the 10th November, that he had received a message from Doctor von Schuschnigg through an intermediary whom he knew to be reliable, reporting an alleged conversation which Schuschnigg had had with the Italian Prime Minister on the subject of the South Tyrol. According to this message, Signor Parri told Schuschnigg that it would be easier for him to meet Austrian wishes over a South Tyrol if the following compensation were given to Italy:

(a) -Austria would guarantee the supply of electric current from South Tyrol to Italy for 25 years. (b) -Austria would give ltaly free harbour on the Danube in Vienna with preferential rail facilities for the export of Italian fruit and vegetables to the Northern countries.

(c) A comprehensive trade agreement would be concluded between Austria and Italy.

The Austrian Under-Secretary of State for Foreign Affairs remarked that it was significant that the Italian Prime Minister went so far as to discuss a basis of an arrangement for the return of South Tyrol to Austria.

2.The Foreign Office in commenting on this report stated that the views attributed to Signor Parri accorded closely with those which Mr. Bevin himself had formed in a preliminary and tentative manner.

In Mr. Bevin's view it is impossible to regard the South Tyrol solely form the ethnic standpoint. The economie aspect is at least as irnportant. Mr. Bevin therefore welcomed and would wish to encourage any attempt by the Austrians and Italians to settle the matter arnicably between themselves on lines which would take the economie aspect into full consideration.

The Foreign Office expressed the view that it might be possible to establish some joint Austrian-Italian trust in South Tyrol which would guarantee a regular supply of electric power to both countries at nondiscriminatory rates. Mr. Bevin hoped that if something on these lines were accepted on both sides there would be less difficulty on reaching agreement on the actual frontier.

3. The British Representative in Vienna was instructed to speak to the Austrian Provisional Government on the above lines and the British Embassy in Rome was instructed to speak on similar lines to the Italian Government.

726

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS

L. RISERVATA 1156. Mosca, ] 0 dicembre 1945.

Ti ringrazio delle comunicazioni da te fattemi colla tua lettera n. 3/2010 del 12 novembre 1• Tu sai che, per un complesso di ragioni, io sono molto staccato da voi

I Vedi D. 679, nota l.

e quindi tutto quello che tu mi puoi inviare, per mio orientamento generale, mi è di grandissima utilità, per le mie conversazioni qui, quale che possa essere la loro utilità effettiva.

La lettera del ministro non è diretta a me: mi permetto tuttavia di fare in proposito alcune osservazioni che ti prego, se lo credi utile ed opportuno, di far vedere anche al ministro.

lo Per la questione dei nostri confini orientali, e non solo per quella, noi faremmo bene a dare un valore molto e molto relativo all'appoggio americano. Da Mosca non sono certamente in grado di dire se e fino a che punto le dichiarazioni generali di benevolenza siano da considerarsi come fatti o come semplici parole. Ma quando dal terreno delle parole scendiamo ai fatti concreti, e soprattutto quando è questione della capacità e della volontà americana di mantenere il loro punto di vista di fronte ad una opposizione russa, l'appoggio americano, quali che siano le promesse che ci vengano fatte e le assicurazioni che ci vengano date, quando parliamo con loro en téte à téte, non vale un fico secco. È ormai un anno e mezzo che, da Mosca, sto osservando il corso dei negoziati russo-americani. Fin che sono lontani dalla conferenza, allora, a sentirli parlare, sono dei leoni: quando ci si riunisce poi intorno al tavolo, la fine dei negoziati è che mollano tutto. Così hanno fatto fino ad ora, e così continueranno a fare per un pezzo. Mollano in grande là dove ci sono pure degli interessi loro considerevoli in giuoco: figuriamoci in una questione a cui essi non attribuiscono nessuna importanza e che, come il ministro scrive giustamente, di fronte alle molte gravissime questioni che stanno sorgendo in tutte le parti del mondo, tende, sempre più, a diventare una di quelle questioni che si debbono risolvere, non importa il come. Il mio parere è quindi che non c'è da fidarsi e da mettere nessuna speranza sulle promesse e sugli affidamenti americani, siano essi antichi o recenti, quando per mantenere queste promesse gli americani dovrebbero tener duro di fronte ad una opposizione russa. Purtroppo, nella situazione di oggi, per quanto concerne le nostre frontiere orientali, ci troviamo di fronte ad un fatto compiuto, russo-jugoslavo: un fatto compiuto, come ce ne sono -e ce ne saranno ancora -tanti, in varie parti del mondo. E tutti questi fatti compiuti, presto o tardi, di buona o di cattiva voglia, gli americani finiranno per mandarli giù: l'altra alternativa sarebbe la guerra, che verrà fatalmente, ma non certo per ora. Quindi, a meno di un miracolo, la linea attuale di rispettive occupazioni, inglese e jugoslava, è destinata ad essere la linea definitiva. All'epoca degli accordi Tito-Alexander, con un poco di maggior fermezza, gli anglo-americani avrebbero potuto ottenere una linea di demarcazione migliore: ora è troppo tardi. Ci terrei a che tu facessi conoscere questa mia ragionata opinione pessimistica -purtroppo Messeri ti può dire che ero pessimista su questo argomento fin dal settembre del 1944. Il ministro ne terrà quel conto che lui crede: ritengo, però, mio dovere di dirlo, e di dirlo francamente, tenendo conto non solo di lui quale ministro degli Esteri e quale patriota italiano, ma anche della sua qualità di capo di un grande partito, perché ne faccia le sue deduzioni. Data la posizione dell'Italia oggi, ridotta come è, nessuno domani gli potrà rimproverare di non essere riuscito a salvare di più di quello che era

materialmente possibile di salvare, ma gli si potrebbe rimproverare invece di avere create delle illusioni al popolo italiano dando a delle promesse americane un valore che esse non potevano avere: abbiamo già avuta qualche dolorosa esperienza in proposito, non ti pare?

2° Si può fare qualche cosa per migliorare la situazione? Premesso che noi non possiamo fare niente perché, in un momento in cui le nazioni contano in base ai cannoni che hanno, noi che cannoni non ne abbiamo non contiamo nulla, tutte le nostre speranze non possono essere che in qualche colpo di scena che cambi la situazione a nostro vantaggio: in un miracolo. Abbiamo già avuto il miracolo della liberazione del nord praticamente intatto, ne possiamo avere un secondo. Come e quando possa accadere il miracolo adesso non lo vedo: bisognerebbe quindi che facessimo il possibile per tirare le cose in lungo, per evitare la soluzione definitiva. Secondo me il ministro ha fatto benissimo a dire che ci sono delle condizioni che nessun governo democratico italiano potrebbe accettare. Su questa via bisogna mantenersi: Tito dice, e molto chiaramente, che la Jugoslavia non firmerà un trattato di pace che non le dia Trieste: diciamo anche noi che a certe condizioni non firmeremo il trattato di pace, o, per lo meno, che non si troverà un Parlamento italiano per ratificarlo. Potremmo in fondo dire benissimo che, date le mutilazioni territoriali che il trattato impone all'Italia, il governo italiano non può prendersi la responsabilità di firmarlo fino a che non ci sia un Parlamento italiano in grado di esprimere chiaramente l'opinione del popolo. Questo ci permetterebbe di rinviare le cose fino alla Costituente, o anche fino a che, finita la Costituente, non si abbia un Parlamento italiano liberamente eletto. Mi potrai obbiettare che noi abbiamo bisogno del trattato di pace per vivere: hai ragione forse. Ma se è così allora bisognerebbe dire francamente all'Italia che bisogna scegliere: o pagare la fine dell'armistizio con grossi sacrifici territoriali, o, nella speranza di qualche miglioramento, sopportare più a lungo l'armistizio. Fino a che, da una parte, avremo Tito, disposto a qualsiasi colpo di testa, (o che è riuscito a farsi credere deciso) per cui bisogna trovare un compromesso che lui accetta, e dall'altra un paese che non è in grado di fare niente, la nostra situazione di inferiorità è tale da non avere bisogno di commenti.

3° Fra i vari argomenti che sono stati sottoposti agli inglesi non ne ho visto uno che io ho adoperato qui, e che mi sembra avere fatto un certo effetto. La Russia, io penso, ci tiene tanto a Trieste ed all'Istria in mano jugoslave, fra l'altro perché in quelle regioni esiste una lunga tradizione marinara, una tradizione di costruzioni navali, maestranze, tecnici e impianti non indifferenti. Se la regione andrà a finire nelle mani degli jugoslavi, la Russia avrà la possibilità di costruire, nei cantieri jugoslavi, una grossa flotta russa del Mediterraneo, facendola passare come flotta jugoslava. Non che non potrebbero farlo anche altrimenti, ma è certo che avendo a loro disposizione cantieri, maestranze ed equipaggi lo possono fare più facilmente e bene. Questo argomento potrebbe avere qualche effetto sugli inglesi: bisognerebbe però presentarlo corredato da tutte le necessarie statistiche, cosa che non dovrebbe essere troppo difficile.

4° lo pot ntorno sul mio chiodo del plebiscito, naturalmente con tutte le garanzie necessarie. Io non posso giudicare della connessione fra le nostre frontiere orientali e le nostre frontiere coll'Austria. Però visto che, allo stato attuale delle cose, ci troviamo ormai a potere solo sperare di salvare Trieste, continuo a pensare che, in ultima analisi, ci potrebbe convenire di giuocare questa ulti!lla carta. Il rifiuto del plebiscito potrebbe dare un maggior peso ad un rifiuto di ratifica da parte del parlamento italiano: d'altra parte se il plebiscito ci va male, la responsabilità dei dirigenti italiani che hanno accettate le nuove frontiere viene a trovarsi ben altrimenti coperta.

so Gli esperti italiani, parlando con il signor Toynbee, hanno giustamente osservate le infinite complicazioni di ogni genere che sorgerebbero dall'adozione di una frontiera strettamente etnica. Tutto quello che essi hanno detto è giustissimo: io mi domando però: per differenti ragioni i Tre Grandi non desiderano essi creare uno stato di cose che renda impossibili le buone relazioni fra Italia e Jugoslavia? Per quanto riguarda i russi, ne sono sicuro: una Jugoslavia in buone relazioni con noi, che non abbia nè difficoltà di frontiera nè irredentismi suoi da soddisfare ancora, nè irredentismi italiani da temere, è una Jugoslavia relativamente libera, e quindi relativamente libera di uscire dalla sottomissione russa e di fare dei giri di valtzer coll'Italia e attraverso l'Italia, con il mondo occidentale: cosa che la Russia non vuole e, a questo riguardo, si fida probabilmente di Tito e dei comunisti jugoslavi più di quanto si fiderebbe di qualsiasi altro partito jugoslavo, ma nemmeno di loro si fida al 100%. Gli inglesi e gli americani guardano con molta diffidenza alle possibilità che noi -od altri paesi dell'Europa occidentale possiamo avere di intenderei colla Russia. Ciò si esplica, più o meno apertamente, con interventi nella nostra politica interna: ma è da escludere che essi possano essere indotti a ritenere che una Italia animata da una passione irredentista che abbia rivendicazioni contro la Jugoslavia, e ne debba temere, sia più sicuramente nelle loro mani, per quanto concerne eventuali giri di valtzer colla Russia, di quanto lo sia una Italia tranquilla, sicura alla sue frontiere orientali? Non voglio dire che gente come Bevin o Byrnes siano proprio loro ad avere in testa dei piani machiavellici di questo genere. Ma tu conosci troppo bene l'Inghilterra per non sapere quante altre forze vi sono ed agiscono, ed influiscono sulla politica ufficiale inglese: e queste forze sono perfettamente capaci di inventare dei piani di questo genere.

Purtroppo, caro Prunas, di noi e della nostra politica nessuno si fida. Forse riusciremo un giorno a farci un nome migliore nel mondo, ma ci vorranno anni di lungo e di paziente lavoro. Gli anglo-americani si ricordano della funzione avuta dall'irredentismo nella nostra politica estera, prima dell'altra guerra: si ricordàno che, con la molla dell'irredentismo dietro le spalle, si poteva guardare con indifferenza a tutte le nostre alleanze coll'Austria e colla Germania. E siccome oggi quello che essi non vogliono è una nostra politica filorussa e filoslava, non è forse troppo azzardato il pensare che essi ritengano il miglio:t: mezzo sia quello di lasciare una piaga aperta nel nostro fianco orientale, su cui si possa sempre giuocare.

Scusami la lunga lettera: si tratta di cose che ti ho sempre dette, in fondo, tuttavia, ho ritenuto non del tutto inutile il ricapitolarle.

727

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. PER CORRIERE 14281/0173. Washington, 2 dicembre 1945 (per. il 24).

La dichiarazione dei vescovi cattolici di cui al mio telespresso n. 83 bis del 20 novembre u.s. 1 , rappresenta un fattore di notevole portata nel gioco delle forze e dei motivi suscettibili di influire sulle direttive politiche dell'America. E nei riguardi dell'Italia essa ha già esercitato una favorevole influenza contribuendo ad incoraggiare il Dipartimento di Stato a prendere l'iniziativa di proporre a Londra e a Mosca la revisione del nostro armistizio.

I cattolici, infatti, costituiscono oggi in questo paese una forza politica di grande importanza. Oltre tutto la religione cattolica è in America la confessione di gran lunga più numerosa e più compatta, e quindi il valore dei cattolici, anche dal solo punto di vista elettorale, non può essere trascurato da nessuno. Tanto meno esso può essere ignorato dal Segretario di Stato che, per i noti precedenti, dovrebbe essere portato a dimostrarsi particolarmente sollecito ad assicurarsi le simpatie

o quanto meno la non ostilità -delle masse cattoliche.

Inoltre la loro influenza risulta accresciuta dall'innegabile prestigio che la Santa Sede si è conquistato in questi ambienti politici, in special modo con l'abile e coraggioso atteggiamento seguito dall'attuale Papa nei riguardi della guerra, delle sue vittime e dei perseguitati politici e razziali, e che fra l'altro si concreta da qualche anno nella autorevole missione straordinaria inviata dal presidente degli Stati Uniti presso il Vaticano.

A quanto è stato confidenzialmente detto da questo delegato apostolico, il manifesto dei vescovi avrebbe destato vivo interesse ed avuto una notevole ripercussione anche in vari Stati europei cattolici e specialmente in Francia. Ciò, oltre che per la presa di posizione nei riguardi del comunismo, anche in considerazione dell'influenza che è giustamente attribuita ai cattolici americani nel settore specifico, oggi internazionalmente così importante, dell'assistenza data dagli Stati Uniti alle popolazioni colpite dalla guerra.

728

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/2152. Roma, 2 dicembre 1945.

In merito alla sua cortese segnalazione di ieri ed all'arbitraria richiesta francese di occupare Tenda, all'atto del ritiro in corso delle truppe alleate, le confermo che il governo italiano è esplicitamente d'avviso che anche quella zona debba essere

1 Non pubblicato, ma vedi D. 696.

occupata da truppe italiane. Le confermo altresì che il governo italiano è pronto a prendere formale impegno -se ciò sarà necessario -che nessuna rappresaglia sarà da parte nostra adottata contro le persone che si siano in qualche modo compromesse con la Francia. ,

Il ministro De Gasperi mi incarica di ringraziarla vivamente sia per la sua cortese segnalazione, sia per la sua offerta di insistere presso il Comando Alleato perché la zona continui ad essere occupata da truppe britanniche.

Il governo italiano è peraltro d'avviso che una continua occupazione britannica della regione potrebbe creare la presunzione trattarsi di zona contestata, presunzione che dovrebbe essere in ogni modo evitata.

Le sarei grato se vorrà appena possibile darmi ulteriori notizie in proposito 1•

729

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13266/575. Mosca, 4 dicembre 1945, ore 1,45 (per. ore 9,30).

Stampa sovietica segue con molta attenzione crisi governativa italiana. Si tende sottolineare che candidatura presidenza del Consiglio De Gasperi è appoggiata da partiti di sinistra. Da parte governo sovietico mi è stato parlato con simpatia questa candidatura ancorché non mi è stato nascosto che si guarda con molta preoccupazione mene «neofascismo». Ho insistito sul fatto che questi elementi non avrebbero nessuna importanza se non fossero favoriti da generale incertezza situazione internazionale Italia.

730

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. URGENTE 13315/883-884. Washington, 4 dicembre 1945, ore 14,16 (per. ore 9 d el 5 ). Suo telegramma n. 6622 .

Dipartimento di Stato ci ha oggi dato notizia di un telegramma ricevuto da codesta ambasciata americana circa comunicazione fattale in merito ripresa relazioni diplomatiche con l'Austria 3 .

1 Con Telespr. segreto urgente 3/2153/c, pari data, i ministeri della Guerra e dell'Interno vennero informati del contenuto di questa lettera affinché adottassero le disposizioni necessarie in attesa della decisione definitiva dei Comandi alleati.

2 Vedi D. 698, nota 2.

3 Vedi D. 718.

Poiché non risultavano chiari al Dipartimento di Stato circostanza e momento detta ripresa di relazioni, che appariva potesse aver luogo anche prima della restituzione provincie nord e senza alcun specifico accenno a Bolzano, si è ritenuto opportuno dare notizia delle istruzioni impartite al riguardo con telegramma surriferito. Ciò anche in relazione alla comunicazione fatta dal sottosegretario di Stato Austria ad autorità alleate a Vienna di cui al mio telegramma 874 1•

Dipartimento di Stato ha assicurato che questione veniva esaminata vari uffici politici competenti e che si sarebbe data risposta a Roma con ogni possibile sollecitudine. Ha peraltro rilevato, in via amichevole, che sino ad ora soltanto U.R.S.S. aveva ripreso relazioni diplomatiche con governo austriaco, mentre gli Stati Uniti e Inghilterra si erano limitati a riconoscimento di fatto.

Tale osservazione potrebbe anche lasciar comprendere che qui li possa giudicare nostra ripresa di relazioni diplomatiche con Austria piuttosto prematura. Data importanza che per noi riveste restituzione provincia Bolzano e necessità quindi non urtare suscettibilità americana ed inglese, potrebbe quindi convenire agire con prudenza in questione ripresa relazioni diplomatiche con Austria.

Si continuerà seguire qui questione 2 .

731

IL VICE PRESIDENTE DELL'A.C., STONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

L. cc. 225-8. Roma, 4 dicembre 1945.

I have been instructed by Generai Sir William Morgan, Supreme Allied Commander, Mediterranean Theater, that any new ltalian Governement would be requested to confirm adherence to the obligations under the Armistice and the Additional Conditions of Armistice, subject to the reservations made in the Macmillan Aide-Memoire of 24 February 1945. This obligation is attached hereto in the form of enclosure «A».

I am also instructed by the Supreme Allied Commander that any new Italian Government will be required to give the same undertaking regarding the institutional question as was given by former ltalian Governments. A copy is attached as enclosure «B».

I am further instructed by the Supreme Allied Commander that appointments to the positions of Minister of War, Minister of Marine, and Minister of Air and to certain other positions 3 having military significance, a list of which is attached hereto as Enclosure «C», will require the approvai of the Supreme Allied Commander as set forth in Appendix «A» to the Macmillan Aide-Memoire of 24 Febru~ry 19454 .

1 T. s.n.d. urgente 132701874-875-876 del 3 dicembre, relativo alle pretese dichiarazioni di Parri a Schuschnigg di cui ai DD. 716 e 725.

2 Per la risposta vedi D. 743.

3 Nota del documento: «Should be submitted to me in advance of public release».

4 Per gli allegati vedi D. 438, Allegato, D. 256, Allegato B e D. 68, Appendice A. Essi furono rinviati firmati il IO dicembre.

732

LA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 663/16/45. Roma, 4 dicembre 1945 (per. il 7).

The British Foreign Secretary 'has expressed to me his satisfaction that direct conversations are to begin between the ltalian and Yugoslav Governments.

Having been informed by the ltalian Secretary-General of the Ministry of Foreign Affairs that one of the subjects for discussion is to be the exchange of Yugoslav refugees in ltaly for Italian deportees in Yugoslavia, I am to say that my Government could not in any circumstances contemplate the forced repatriation of Yugoslav refugees from Italy and to suggest that the Italian Government should make it clear in its conversations with the Yugoslav Government that it is not in a position to act in this sense without the concurrence of the Allied Governments.

As against this, the ltalian Government may consider it reasonable that any Yugoslavs in Italy and subject to Italian contro! should be discouraged and restrained from any possible activities directed against Marshal Tito or the established Government of Yugoslavia 1•

733

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13430/895-896. Washington, 5 dicembre 1945, ore 7,55 (per. or~ 19 del 6).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 672 e 673 2•

In nota di ringraziamento per iniziativa americana, indirizzata a segretario di Stato il 26 novembre u.s., ho ad ogni buon fine sottolineato necessità che revisione «regime» armistizio registri finale cessazione anacronistico formale stato di guerra.

In frequenti conversazioni avute in questi giorni al Dipartimento di Stato mentre si è continuamente ribadita tale tesi di massima, si è insistito su direttive indicate telegrammi su riferiti. Tali nostri desiderata, che già Kirk mi aveva genericamente detto di condividere e che aveva qui caldeggiato, mi risultano favorevolmente accolti da parte Dipartimento di Stato. Al riguardo va rilevato che sabato scorso portavoce del Dipartimento di Stato ha detto al corrispondente « United Press», che lo ha telegrafato costà, che il governo degli Stati Uniti era per parte sua favorevole sia nostra libertà commercio con gli Stati esteri (provvedimenti per

l Per la risposta vedi D. 748. 2 Vedi D. 704.

quanto concerne ripresa traffici privati con gli Stati Uniti sono di imminente attuazione), sia ricostituzione nostra flotta mercantile.

Progetto Dipartimento per nuovo «regime» Italia (di cui al mio telegramma 859) 1 è sempre in via di lenta definizione. Ci si è lasciato comprendere che esso contemplerebbe appunto possibilità trasformazione Commissione Alleata in organismo consultazione e collaborazione a tre, che esso terrebbe conto altri desiderata italiani. U.S.A., a differenza Inghilterra (mi riferisco al telegramma di V.E. 9193) 2 , non hanno speciale motivo a mantenere gravàmi economico-finanziari armistizio, che d'altronde ci vengono già da essi in gran parte ripagati. Comunque progetto è tuttora aperto a possibili mutamenti in meno, od in meglio, ed è quindi necessariamente generico in relazione anche a possibili reazioni russe ed a suggerimenti britannici. È stata ricevuta con effettivo interesse notizia data al Dipartimento di eventuali indicazioni concrete su nostro punto di vista preannunziatemi da V.E. con telegramma 672. Al riguardo, nel richiamare considerazioni esposte nel mio telegramma n. 622 3 , sarebbe utile prospettare da parte nostra al governo americano una formula che, senza giungere pace provvisoria, giunga, in attesa che si possa fare la pace, cessazione stato di guerra (del resto accennata da Bevin a Carandini e a cui si riferisce suo 8610) 4 oppure possa essere così interpretata da quella o quelle Potenze più benevolmente disposte nei nostri riguardi.

In ultima conversazione al Dipartimento di Stato, ci si è detto che il governo americano, presa ormai ufficialmente iniziativa della revisione del «regime» di armistizio, che del resto [già a] Potsdam, Byrnes aveva cercato di abolire e che era stato ripetutamente dichiarato obsolete, aveva tutto l'interesse a portarla felicemente a termine ed evitare un potente scacco.

Dopo risposta affermativa sollecitamente data dall'Inghilterra, il Dipartimento non ha intenzione di esercitare una «speciale pressione» su Cremlino per una pronta risposta. Ciò appunto perché Russia avendo già in passato l'impressione che favorevole trattamento Italia fosse precipuo interesse dell'America, non potesse trarre motivo da attuale iniziativa per chiedere contropartita in altri settori che qui attualmentt;. non si intende dare. Dipartimento ha però assicurato che avrebbe fatto sollecitare risposta Cremlino tra una diecina di giorni. È stato ripetuto che, pur desiderandosi qui molto partecipazione Francia future discussioni concrete tra Grandi Alleati per nuovo regime Italia, non se ne farebbe una condizione sine qua non. Confermo quindi ultima parte mio telegramma n. 860.

Dipartimento di Stato non nasconde difficoltà che occorrerà superare per raggiungere desiderato esito positivo. Esso intende appunto per questa ragione tenere al corrente periodicamente opinione pubblica americana ed internazionale (e aggiungo quella italiana in particolare) dell'andamento della questione. Si è già cominciato sabato scorso primo dicembre a rendere pubblica iniziativa americana in conferenza stampa tenuta da special assistant del segretario di Stato (mio telegramma stampa 90) 5 . A quanto è stato detto al Dipartimento di Stato verrà del pari reso pubblico a

1 T. s.n.d. urgente 13128/858-859-860-861 del 30 novembre, non pubblicato.

2 Del 17 novembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del D. 686.

3 Vedi D. 624.

4 Del 5 novembre: ritrasmissione alle rappresentanze a Mosca, Parigi e Washington del telegramma di cui al D. 658, nota 3.

5 T. stampa 13165/90 del 30 novembre, non pubblicato.

suo tempo sollecito che si dovesse rivolgere per richiedere risposta. E così di seguito. Si è, ad ogni buon fine, chiesto in un colloquio confidenzialissimo, cosa si penserebbe di fare al Dipartimento qualora negoziato con Londra e soprattutto con Mosca si trascinasse molto alle lunghe senza esito concreto, o peggio, si trovasse di fronte ad un diniego sovietico. È stato risposto che una tendenza al Dipartimento propugnava come unica soluzione logica che in tal caso il governo americano dovrebbe dichiarare all'Italia che, per quanto concerne U.S.A., armistizio è da considerarsi non più in vigore; di conseguenza America dovrebbe condurre sue relazioni con noi senza tener conto di un documento che segretario di Stato da tempo va dichiarando superato. Trattasi di una [concessione] notevole.

Certo, in attuale momento, relazioni tra U.S.A. e U.R.S.S. attraversano fase molto difficile a seguito situazione nei Balcani ed Estremo Oriente e nuove azioni russe in Medio Oriente. Qui non si intenderebbe, almeno per il momento [fare] passi a Mosca per una ripresa della Conferenza pace né intraprendere iniziative di chiarificazione che implicherebbe necessariamente concessione americana alla Russia mentre non si nutre molta fiducia che eventuali contro-partite sovietiche possano essere adeguate e soprattutto effettive. Ci si rende tuttavia ben conto situazione italiana necessità venirci incontro. Qualora risposta sovietica [iniziativa] americana circa regime armistizio fosse negativa in attuali circostanze, predetta tendenza Dipartimento di Stato avrebbe possibilità affermarsi. Naturalmente, trascinandosi a lungo negoziati presenti tra [Potenze] nostra situazione potrebbe anche mutare in meglio edare diverse possibilità di soluzione al problema italiano. Comunque, in questo momento, mi sembra che ci convenga fare quanto possiamo per impegnare sempre maggiormente governo americano in sua iniziativa a nostro favore.

Mentre questa ambasciata agisce in tal senso su base linea suindicata (necessità che revisione regime armistizio ponga fine stato di guerra; prestigio americano riceverebbe grave colpo nell'opinione italiana da insuccesso, ecc.), mi sembra indubbiamente molto utile che codesto ministero con vari suoi mezzi (dichiarazione

o discorsi alla Consulta, stampa, ecc.) [metta in risalto] iniziativa americana manifestando nostra fiducia in un suo successo.

Si tratta in sostanza di «montare» l'azione americana in corso per rendere più difficili i colpi di arresto e di approfittare della nuova fase in cui è, bene o male, entrata la questione per tentare di inserirvi formula per noi più soddisfacente.

734

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 10094n21. Roma, 5 dicembre 1945 ore 19.

Suoi 875-876 1 .

Può smentire in modo categorico. Parri non (dico non) ha mai visto Schuschnigg. Si tratta evidentemente di una manovra, che mi è stata già segnalata dal

1 Vedi D. 730, nota l p. 1030.

Foreign Office 1 e che ho già provveduto a smentire a Londra, altrettanto categoricamente2. Ripeto che nessun partito italiano ha mai espresso dubbi sulla necessità nazionale della frontiera al Brennero. Tutti -e i comunisti con tutti gli altri -si sono espressi in modo nettissimo per la sua conservazione integrale.

Ho fatto sapere a Londra e la prego di confermare anche a Washington in modo molto fermo che nessun governo italiano potrebbe reggere se fosse posta in discussione anche codesta terza frontiera con uno Stato i cui reggimenti occuparono sino all'ultimo il territorio nazionale e parteciparono coi tedeschi a tutte le distruzioni e violenze che vi furono commesse e con lo stesso animo. Mi riservo di documentarlo. Ripeto non (dico non) esistono a nostro giudizio, fra noi e l'Austria questioni di carattere territoriale 3 .

735

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT

T. S.N.D. l0095/c.4. Roma, 5 dicembre 1945, ore 19.

Tarchiani è stato confidenzialmente informato 5 che governo nordamericano ha fatto chiedere ai governi britannico e sovietico se avessero nulla in contrario che anche Francia partecipasse a revisione regime nostro armistizio e ciò perché essa è considerata, sia pure nei limiti accordi Potsdam come «firmataria originale» dell'armistizio stesso.

Mentre Mosca non ha dato ancora nessuna risposta, Londra ha comunicato subito sua adesione.

Si prega il R. ambasciatore a Parigi di comunicare al Quai d'Orsay che governo italiano, fedele sua politica di amicizia, ha fatto sapere a Washington che è perfettamente favorevole ad iniziativa nordamericana.

Si prega il R. ambasciatore a Washington di voler agire in conseguenza.

Lo stesso Tarchiani non si nasconde che intervento Francia in revisione regime armistiziale possa creare nuovo intralcio e perplessità a Mosca, date note discussioni che provocarono fallimento Conferenza Londra. Aggiunge peraltro che qualora governo sovietico rispondesse a principali richieste americane in modo anche genericamente positivo, tale risposta potrebbe essere sufficiente perché il meccanismo si metta intanto in moto. Concreto progetto nordamericano è tuttora in elaborazione.

l Vedi D. 716.

2 Vedi D. 716, nota l.

3 Con T. s.n.d. 10131 del 6 dicembre De Gasperi invitò Quarémi e Saragat a smentire anche presso i governi russo e francese la notizia delle dichiarazioni di Parri a Schuschnigg.

4 Il telegramma fu inviato, per conoscenza, alle rappresentanze a Londra e Mosca.

5 Vedi D. 733, nota l p. 1032.

736

Il SEGRETARIO DELL'UFFICIO QUARTO DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, DE SANTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 5 dicembre 1945.

Ieri nel pomeriggio l'ambasciatore Exindaris mi ha pregato di recarmi da lui per continuare la conversazione iniziata il lo corrente, di cui al mio appunto di pari data 1•

Il signor Exindaris mi disse che aveva già inviato una lettera al ministro degli Esteri signor Sofianopulos per rappresentargli di nuovo la grande opportunità che, a suo avviso, avrebbe l'invio in Italia di una piccola commissione di economisti, industriali e commercianti. Tale commissione avrebbe così modo di rendersi precisamente conto della reale situazione del mercato italiano e delle possibilità che esso offrirebbe per la soddisfazione di urgenti bisogni della Grecia. Si stabilirebbe in tal modo, fin da ora, una base e un programma per i futuri scambi commerciali italo-greci. Inoltre la prospettiva di buoni affari commerciali con l'Italia stimolerà, com'è naturale, l'interesse di molti e importanti commercianti e industriali greci, i quali non mancheranno di esercitare pressione negli ambienti ufficiali di Atene in senso favorevole per una prossima ripresa di rapporti fra i due Paesi.

Il signor Exindaris ha aggiunto: «Come vi ho detto l'altro giorno, io sono molto ottimista per una ripresa prossima di tali rapporti. Sono contento di essere ritornato a Roma per continuare la mia azione in tale senso. Avrei dovuto recarmi per una speciale missione anche a Londra, ma ho fatto presente al mio governo che era preferibile rinviare tale missione ad un secondo tempo, dato che la mia missione in Italia rappresenterebbe -a mio avviso -un maggiore interesse. Spero che i miei suggerimenti saranno secondati da Atene».

A questo punto gli ho detto che il suo governo dovrebbe essere molto soddisfatto dei risultati della sua azione in Italia. Infatti i provvedimenti che, dietro sue preghiere, il governo italiano ha adottato per lo sblocco dei depositi greci presso le banche italiane e per il dissequestro dei beni greci in Italia costituiscono la migliore prova della buona volontà da parte italiana nei riguardi della Grecia. Ho aggiunto che ciò che per ora non appare, è una prova di comprensione e di buona volontà anche da parte greca. Gli ho accennato alla pubblicazione fatta dal giornale di Patrasso Eco dei redattori circa la sorte dei beni degli italiani espulsi da quella città (vedi mio appunto del 28 novembre u.s.) 1 nella quale viene preannunziata la vendita all'asta pubblica di tali beni. Gli ho pure riferito sulle notizie raccolte da italiani testè espulsi dalla Grecia che confermano la situazione del tutto precaria degli italiani rimasti in Grecia, i quali continuano a rimanervi senza permessi di lavoro e senza mezzi di sussistenza. Gli ho pure chiesto se si fosse ricordato di interessarsi ad Atene a fare applicare a favore dei proprietari

t Non pubblicato.

italiani bisognosi rimasti in Grecia l'art. 5 della legge n. 2636/1940 «sul sequestro conservativo dei beni dei sudditi nemici» che autorizza, in via di eccezione, la messa a disposizione di essi di una somma del reddito delle loro proprietà, necessaria al loro mantenimento.

Il signor Exindaris ha risposto: «Certamente me ne sono interessato e ritornerò anche da qui alla carica, per quanto io sia del parere che tutti questi sono dettagli che saranno automaticamente regolati con la ripresa dei rapporti fra i nostri paesi. Per quanto concerne la sorte dei beni italiani in Grecia che si trovano sotto sequestro conservativo, potete essere tranquilli, giacché tale situazione continuerà a rimanere immutata fino alla firma del trattato di pace che regolerà definitivamente questa materia. Pertanto non dovete prestare fede a quanto viene riferito dai privati e anche dalla stampa la quale, nell'attuale situazione, cerca di sfruttare ogni argomento sensazionale per assicurarsi una maggiore diffusione. Del resto dovete tenere presente che lo stato attuale dei beni italiani in Grecia è stato regolato da un'apposita legge (quella n. 2636 del 1940) e che per modificare tale stato di cose occorre la promulgazione di una nuova legge. Ciò che non è stato fatto. Può darsi che qualche funzionario delle varie Intendenze di finanza abbia preso qualche iniziativa contraria allo spirito della predetta legge, ma ciò è un dettaglio da esaminare a suo tempo e non può pregiudicare l'insieme della questione. Per quanto concerne la questione dei permessi di lavoro da rilasciare agli italiani rimasti in Grecia, io sono favorevole e mi adopererò in tal senso. A tale riguardo mi è stato testè obiettato in Atene che esiste ore in Grecia una grande disoccupazione e che non sarebbe giusto favorire degli stranieri quando i propri connazionali non possono trovare lavoro.

Ho risposto -e su ciò insisterò nuovamente -che il governo deve accordare agli italiani, ammessi a soggiornare in Grecia, i permessi di lavoro, ossia dare loro la potenzialità di esercitare la propria professione ed il loro mestiere, se, poi, alcuni di essi, per l'attuale grande disoccupazione, non potranno trovare lavoro, ciò non potrà essere imputato a cattiva volontà del governo ellenico.

Su tale ordine di idee io sono andato ancora oltre; ho sostenuto, cioè, anche l'ammissione degli indigenti, fra gli italiani predetti, alle cure ospedaliere e ho trovato terreno favorevole presso la Croce Rossa ellenica. Nei primi giorni della prossima settimana chiederò un appuntamento al ministro Prunas e gliene parlerò ampiamente».

Il signor Exindaris ha così concluso: «A mio avviso, noi dobbiamo oggi mirare principalmente alla distensione dell'attuale situazione per poter facilitare la ripresa dei rapporti fra i nostri paesi.

Le prove di buona volontà sono evidentemente necessarie tanto dall'una che dall'altra parte. Se, però, da parte greca, ciò tarda a verificarsi, tale circostanza non dovrebbe influire sul governo italiano, nel senso di fermarlo nella via che ha cominciato a seguire. Bisogna sempre tener presente che l'Italia è stata la causa dello scompiglio e della rovina della Grecia. Bisogna umanamente pensare a quella popolazione che, per effetto dell'aggressione italiana, continua a soffrire, ancora oggi, ogni sorta di sofferenze e di privazioni. Se ricevete dalla Grecia notizie di qualche manifestazione ostile all'Italia, non abbiate a risentirvi, anzi dovete giudicarle con spirito di umanità e di comprensione. E sono sicuro che così sarà da parte vostra perché siete una Nazione molto evoluta e civile.

Vi sono nel mio paese persone, appartenenti anche alla classe dirigente che ritengono essere condizione sine qua non per la ripresa dei rapporti italo-greci, il versamento di riparazioni da parte dell'Italia alla Grecia. Io, però, sostengo -e sono contento di non essere nel mio Paese il solo a pensare così -che il vero interesse della Grecia dipende non dalla maggiore o minore indennità che potrebbe ricevere dall'Italia. È invece interesse nostro (e credo anche vostro) che la Grecia possa stringere con l'Italia una cordiale, sincera e duratura amicizia non solo per ragioni sentimentali e di tradizioni tante volte ripetute, ma anche, e principalmente, in vista di una futura leale collaborazione contro i comuni nemici. Se non si potrà raggiungere tale risultato, la Grecia, ammesso pure che riesca ad avere dall'Italia tutto l'ammontare, e magari il doppio di quanto è stato richiesto a titolo di riparazioni, non avrà nulla guadagnato.

E per arrivare a stringere e a consolidare una tale amicizia è indispensabile che la Grecia sia assolutamente sicura che la sua integrità territoriale non correrà in avvenire alcun pericolo da parte dell'Italia».

737

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13483/897. Washington, 6 dicembre 1945, ore 7,06 (per. ore 17,30 del 7).

Suoi telegrammi 9490, 9655, 9695, 9761 1•

Con telegramma precedente 2 ho riferito circa attuale situazione iniziativa revisione armistizio e propositi [U.S.A.]. Di fronte interessante punto di vista espresso con telegramma surriferito mi sembrano opportune seguenti considerazioni:

l) Iniziativa americana è maturata lentamente e prudentemente come è del resto consuetudine Dipartimento di Stato. Come ella sa, nostri sforzi per provocarla risalgono alla fine settembre scorso e sin da prime conversazioni si ritenne opportuno da parte questa ambasciata non dimostrare entusiasmo per revisione armistizio e insistere per sua sostituzione con nuovo documento che ci desse una specie di pre-peace status (miei telegrammi 621 e 654) 3 . Nel novembre u.s., pubblicati i noti testi armistiziali, continue insistenze, interventi, movimenti accaniti opinione pubblica italo-americana e cattolica (manifestazione quei vescovi di cui al mio telegramma 803) 4 hanno contribuito varo iniziativa.

I Ritrasmissioni alle rappresentanze a Londra, Parigi e Washington dei DD. 700, 710, 714 e 717, nota l.

2 Vedi D. 733.

3 Vedi DD. 624 e 630.

4 Vedi D. 696.

2) Questa non è stata provocata né influenzata da segnalazioni dell'ambasciata americana a Mosca che, a quanto ci è stato detto al Dipartimento, sarebbero quasi nulle su questione italiana. Naturalmente questa ambasciata si era anche avvalsa opportunamente delle precedenti segnalazioni degli ambasciatori a Londra e Mosca per spingere quanto più possibile.

3) È mia impressione che iniziativa americana, almeno in partenza ed attualmente, sia una cosa seria. Spetta a noi valorizzarla quanto meglio ci è dato per impegnare sempre più Dipartimento di Stato a non mollare.

4) Comunicazione è stata fatta al governo sovietico appunto perché, nell'intenzione americana, non si tratta ora, come in casi precedenti, di semplice revisione

o modificazione di clausole, ma di sostanziale modifica di regime. A quanto si è appreso al Dipartimento di Stato, in occasione redazione Long armistice, concluso anche a nome U.R.S.S., fu chiesto da Stati Uniti ed Inghilterra punto di vista Russia. Sovietici suggerirono alcune minori varianti in clausole carattere politico che vennero in buona parte accolte in testo firmato. Successive modifiche di dettagli introdotte in armistizio furono sempre comunicate preventivamente a governo russo, che non venne consultato perché trattavano materiale di competenza dei comandi.

5) Iniziativa è americana, e ciò può spiegare giudizio dato da ambasciata inglese a Mosca, di cui suo 9655 nonché atteggiamento inglese di cui 976114.

6) Quanto alla forma concisa comunicazione del Dipartimento di Stato, sarebbe dovuta alla speranza americana di poter così mantenere questione italiana separata da questioni balcaniche ed altri settori e di ottenere intanto risposta limitata a pura e semplice [adesione]. Questo modo di ragionare pecca di semplicismo e crea indesiderate complicazioni con mentalità russa. Tuttavia l'essenziale è che si sia riusciti a mettere in moto iniziativa americana che il Dipartimento di Stato deve desiderare abbia successo, anche allo scopo evitare critiche opinione pubblica irritata da situazione creata alla Conferenza Londra.

7) Infine interesse dimostrato da Washington per l'Italia dovrebbe anche giovare a valorizzarci alquanto pure agli occhi di Mosca per nostro [futuro].

738

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13541/678. Parigi, 6 dicembre 1945, ore 20,50 (per. ore 8,45 del 9).

Mio dovere segnalarti peggioramento relazioni franccr-italiane compromettendo sia pure lievi ma utili risultati consolidati durante ultimo mese.

Individuo causa tale peggioramento seguenti fattori:

l) persistente rifiuto codesto ministero prendere in considerazione qualsiasi proposta di questo governo suscita questi ambienti impressione nostra riluttanza affrontare direttamente problemi concernenti nostri due paesi;

2) sistematica diffidenza partito comunista francese riavvicinamento Francia Potenze occidentali considerato principio costituzione blocco anti-russo. Tale diffidenza determina questo partito comunista svolga politica di freno accordi tanto con Inghilterra quanto con altre Potenze occidentali compresa Italia. Considero che questi due fattori hanno giuoco elementi militari unicamente preoccupati rivendicazioni strategiche.

Politica efficace per neutralizzare pericoli impliciti tale situazione penso debba essere svolta linea seguente:

l) accedere a quelle richieste francesi che non impegnandoci sul fondo dei problemi aprono la possibilità a discussioni su piano di assoluta parità come per esempio richiesta invio delegazione esame problemi del lavoro;

2) evitare di porre il problema dei rapporti franco-italiani in quadro troppo generale suscettibile alimentare diffidenze comuniste.

A tale fine è necessario localizzare i problemi escludendo formulazioni tipo alleanze latine e simili. Problema franco-italiano deve essere prospettato puramente quadro interessi dei nostri due paesi su posizioni che non possano sollevare diffidenze presso nessun settore queste correnti politiche.

A questo proposito considero problema lavoro come suscettibile di riunire tutte queste condizioni favorevoli. Prego pertanto affinché detto problema sia riesaminato nel senso di queste e delle mie precedenti sollecitazioni.

Prego ti inviarmi istruzioni 1 .

739

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 1186/561. Mosca, 6 dicembre 1945 (per. il 19).

Ho fatto a questo ambasciatore di Cina la comunicazione prescrittami con dispaccio di V.S. n ... 2 .

In data odierna, questo ambasciatore di Cina mi ha comunicato la risposta del suo governo.

l) Per quanto concerne tutti i nostri diritti in Cina, anteriori alla dichiarazione di guerra, il governo cinese ritiene che, essendoci noi trovati in guerra colla Cina per questo fatto stesso tutti i trattati preesistenti, ed i diritti che ce ne derivano, sono attualmente decaduti, automaticamente. Il governo cinese non ritiene quindi che ci sia necessità di speciali accordi per constatare la decadenza di questi diritti. Circa l'opportunità o meno di includere nel trattato di pace una clausola speciale

' Vedi serie decima, vol. III, D. 12. 2 Il numero manca, ma si tratta del D. 586.

che riaffermi la decadenza di questi diritti italiani, il governo cinese si riserva di .parlarne con l'ambasciatore italiano quando questi avrà raggiunto la sua sede.

2) Per quello che concerne i reclami cinesi contro di noi, a titolo riparazioni, il governo cinese non ha nulla in contrario ad aver in proposito conversazioni preliminari con il governo italiano. Ritiene che anche di questo affare si possa utilmente occupare il nostro ambasciatore in Cina, quando sarà giunto in sede.

Da tutta la risposta cinese appare evidente -e la cosa mi è stata del resto confermata, in forma molto cortese, dal signor Foo Ping-Sheung -che il governo cinese è offeso per il fatto che il nostro ambasciatore in Cina non ha ancora raggiunto la sua sede. Questo del resto ce lo dovevamo aspettare. La Cina, in realtà, potrà essere scassata quanto si vuole ma, protocollarmente, è una delle cinque Grandi Potenze: e appunto perché lo è solo dal punto di vista formale, è attaccata alle questioni di forma: e sarebbe stato anche nostro interesse di tenerne conto. Invece i mesi passano e l'ambasciatore designato in Cina continua tranquillamente a restare a Roma.

Probabilmente colpa di questo ritardo sarà la solita questione del finanziamento: in proposito avevo fatto a V.S., col mio rapporto n. 509/221 del 14 luglio 1945 1 delle proposte che saranno state poco ortodosse dal punto di vista del regolamento, ma che avevano il vantaggio di presentare una maniera rapida ed economica di risolvere il problema. Fin tanto che i nostri uffici amministrativi, siano essi del ministero degli Esteri, siano essi del Tesoro, continueranno ad interessarsi a voler fronteggiare una situazione anormale, come è quella di oggi, sulla base degli articoli di un regolamento che era già asssurdo in tempi normali, non usciremo mai dai pasticci. Comunque, sebbene io abbia fatto presente varie volte ai cinesi le difficoltà del finanziamento, V.S. comprenderà come non sia facile far capire ai cinesi, come noi troviamo il modo di coprire l'ambasciata del Perù e non quella di Cina: è inevitabile che essi lo considerino da parte nostra come una mancanza di riguardo verso la Cina. Noi avremmo ragionato esattamente nella stessa maniera al loro posto.

Il risultato di questa atarassia amministrativa è che mentre il nostro ambasciatore a Chung King se fosse arrivato in sede qualche mese addietro, vi avrebbe trovato un'atmosfera favorevole, ora dovrà faticare quattro camicie per ricostituirsela. Intanto, noi ci troviamo privi di un nostro osservatore in Cina -che avremmo invece potuto avere in un momento in cui tutti i pasticci di Estremo Oriente stanno venendo fuori, e sono parte tanto importante del complesso problema dei rapporti tra i Grandi. Nella nostra situazione, e per la soluzione di tanti nostri problemi, è assolutamente necessario essere in grado di poter avere una valutazione quanto più possibile esatta della situazione. Essendo noi materialmente assenti da un settore dei più importanti, questa nostra valutazione non può non essere assai imperfetta 2 . ·

I Vedi D. 339.

2 Annotazione a margine di Prunas «Guarnaschelli: fare il massimo sforzo per sollecitare apertura».

740

Il SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, BYRNES, ALL'AMBASCIATORE A WASfiiNGTON, TARCHIANI 1

L. Washington, 6 dicembre 1945.

I have the honor to make the following statement of my understanding of the agreement reached in recent conversations which have taken piace between representatives of the Government of the United States of America and the Government of Italy with regard to the resumption of n ormai commerciai relations between our two countries.

These conversations have disclosed a desire on the part of the two Governments to promote reciprocally advantageous economie relations between them and the improvement of world-wide economie relations. To that end the Governments of the United States of America and of Italy propose to cooperate in formulating a program of agreed action, open to participation by ali other countries of like mind, directed to the expansion, by appropriate international and domestic measures, of production, employment, and the exchange and consumption of goods, which are the material foundations of the liberty and welfare of ali peoples; to the elimination of ali forms of discriminatory treatment in international commerce, and to the reduction of tariffs and other trade barriers; and, in generai, to the attainment of ali the economie objectives set forth in the Joint Declaration made on August 14, 1941, by the President of the United States of America and the Prime Minister of the United Kingdom.

At the earliest practicable date conversations shall be begun between our two Governments with a view to determining, in the light of governing economie conditions, the best means of attaining the above-stated objectives2 .

741

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13549/906. Washington, 7 dicembre 1945, ore 9 (per. ore 18 dell'B).

Ho intrattenuto segretario di Stato sulla questione revisione regime armistiziale, che deve essere veramente sostanziale, attirando specialmente anzitutto attenzione sull'aspettativa del popolo italiano per azione intrapresa dagli U.S.A. Mi ha detto

I Ed. in United States and Italy, cit., pp. 192-193. 2 Analoga lettera venne inviata da Tarchiani a Byrnes in pari data (ibid., p. 193).

di ben valutare l'importanza di «sostenere il morale della nazione italiana, il che ha per gli U.S.A. graRde valore politico». Mi ha ripetuto che segue da vicino negoziati intrapresi, che farà il possibile per spingerli innanzi. «L'Italia, mi ha detto, deve aver fiducia nell'attiva simpatia degli U.S.A.».

742

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13548/907. Washington, 7 dicembre 1945, ore 9 (per. ore 18 del/'8).

Da ieri corrono voci di un imminente convegno a Mosca dei tre o dei cinque ministri Esteri. Tali voci che trovavano sino ieri sera scarso credito in questi ambienti ufficiali mi sono state invece oggi confermate da fonte sicura.

Byrnes partirebbe primi settimana prossima per Mosca. Parrebbe che contrariamente pratica usuale lo accompagnerebbe soltanto [Ben Co]hen ciò che farebbe desumere, fino a questo momento, che convegno avrebbe scopo ripresa contatto diretto a fini esplorativi reciproche intenzioni tre paesi e sopratutto favorevole spianare via ripresa collaborazione internazionale i.

743

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 10191/726. Roma, 7 dicembre 1945, ore 17.

Suoi 883-8842.

Nostra iniziativa è stata motivata:

l) dal proposito far coincidere restituzione della provincia di Bolzano all'amministrazione italiana con un gesto concreto di amicizia verso l'Austria, quasi a sottolineare che, definitivamente scartata con tale restituzione ogni possibilità di controversia territoriale tra noi e Vienna, la strada poteva ormai considerarsi aperta a una pacificazione fra i due Paesi.

2) Da previa proposta alleata invio delegazione commerciale italiana a Vienna. 3) Naturalmente non è nostra intenzione bruciare le tappe. Se (ciò che non ci risultava avendo anzi stampa internazionale annunziato la nomina a brevissima

l Vedi serie decima, vol. III, D. 18. 2 Vedi D. 730.

scadenza di rappresentanti diplomatici anglo-franco-americani a Vienna) Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia intendono per ora limitarsi a riconoscimento de facto, ripresa relazioni potrà anche per quel che ci concerne essere concretata più tardi e noi procedere intanto ad un semplice riconoscimento analogo a quello alleato. Ciò tanto più in quanto recentissima manovra austriaca circa inesistente colloquio Parri-Schuschnigg 1 non è certamente atta ad agevolare attuazione immediata nostra iniziativa, bensì a scoraggiarla.

Ponga dunque bene in chiaro codeste motivazioni che saranno poi quelle che esporrò anche a questa ambasciata d'America, insistendo sopra tutto su circostanza che una definitiva chiarificazione sulla inesistenza di questioni territoriali tra noi e l'Austria, come quella che può implicitamente dedursi dalla restituzione da parte alleata della provincia di Bolzano, è la sola politica da perseguirsi per giungere ad una effettiva pacificazione in questo settore europeo e consentire una più sollecita stabilizzazione italiana.

Ogni altra motivazione è completamente estranea ai nostri propositi.

744

L'AMBASCIATORE A MOSCA, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

T. S.N.D. 13536/582. Mosca, 7 dicembre 1945, ore 23,59 (per. ore 12 dell'B).

Dekanozov mi ha detto che governo sovietico non si è ancora pronunciato circa proposta americana. A mia insistenza circa difficoltà nostra situazione e ripercussioni opinione pubblica italiana qualora ritardo difficoltà dovessero essere attribuiti governo sovietico, si è limitato rispondermi che revisione armistizio non poteva essere del tutto separata da restanti questioni. In realtà come confermato anche da telegramma 10025/c. 2 americani cercano approfittare revisione nostro armistizio per trovare maniera sondare se e sino a che punto russi sono disposti recedere posizioni assunte Londra. Loro politica è tentare risolvere questioni secondarie e stabilire piccoli precedenti da sfruttare il giorno in cui si debbano affrontare questioni maggiori. Russi invece continuano rifiutarsi risolvere questioni minori fino a che non sia stato accettato loro punto di vista su questioni principali. Manovra americana del resto è troppo evidente perché russi possano non accorgersene. Per risolvere praticamente rapidamente questione occorrerebbe ridurla proposte concrete e considerare determinate clausole armistizio o loro modo di applicazione come superate da cessazione stato di guerra. Nel qual caso prima di tutto anglo-americani non avrebbero strettamente bisogno consenso russo in ogni modo

1 Vedi DD. 716, 725 e 734. ••

2 Del 4 dicembre: ntrasmissione alle rappresentanze a Londra, Mosca e Parigi del telegramma di cui al D. 733, nota l p. 1032.

stesso consenso puramente formale non sarebbe difficile ottenere. Da conversazioni avute con elementi americani Mosca mi sembra però che da parte americana non ci sia nessuna intenzione mettersi per questa strada e che si voglia invece continuare servirsi revisione armistizio come pretesto per cercare riaprite conversazioni interrotte Londra: russi da parte loro non hanno nessuna voglia riaprire discussione non avendo impressione che ci sia mutamento apprezzabile punto di vista americano su questioni balcaniche. Temo bisognerà aspettare americani si siano convinti fallimento loro ingenua manovra per tentare convincerli mettersi su via che solo, purché essi lo vogliano realmente, può condurre risultati pratici per noi.

745

IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE CONFINI, CASARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO. Roma, 7 dicembre 1945.

Trovandomi iersera da Hopkinson, ho colto l'occasione per dirgli che avevano provocato dolorosa sorpresa le notizie testé apparse nella stampa nel senso che la prossima restituzione della provincia di Bolzano alla amministrazione italiana sarebbe accompagnata da una esplicita riserva circa la destinazione avvenire della regione. Tale riserva, infatti, oltre che stabilire il principio -per noi inaccettabile -che I'Austria avesse il diritto di avanzare pretese su quei territori e contro di noi, avrebbe anche avuto l'inevitabile conseguenza di prolungare ed anzi infocare la campagna dei separatisti, ostacolando la stessa auspicata realizzazione della autonomia e delle misure decise a favore degli allogeni.

Hopkinson ha annuito, affermando che tale riserva era voluta non dal governo britannico, ma da quello americano. Quest'ultimo anzi era stato sino all'ultimo nettamente contrario alla stessa restituzione della provincia; e lo si doveva in gran parte all'azione personale svolta nelle settimane scorse a Washington dall'ambasciatore Kirk se il Dipartimento di Stato si era indotto a dare il suo consenso.

Era per questo motivo che egli -Hopkinson -ci aveva incoraggiato a fare il progettate passo a Londra e Washington per motivare e chiedere una dichiarazione da parte alleata che riconoscesse il diritto all'Italia a mantenere il confine del Brennero. Stentava a comprendere perché, dopo tutto, non ci eravamo decisi a farlo. Riteneva comunque che si fosse ancora in tempo a fare un utile tentativo, e che meritasse compierlo: non risultando gli infatti che fosse stato ancora definito il testo ufficiale del comunicato che avrebbe accompagnato la restituzione delle provincie 1• Se non l'auspicata dichiarazione positiva, avremmo per lo meno potuto forse ottenere l'omissione della esplicita riserva.

1 Vedi serie decima, vol. III, D. 7.

746

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. RISERVATO 5280/1320. Parigi, 7 dicembre 1945 (per. il 10).

Ho avuto un lungo colloquio con Couve de Murville che ho trovato, come al solito, cortesissimo quasi cerimonioso ma psicologicamente distante e impenetrabile.

Non sono le sue opinioni che egli espone, ma quelle del suo governo, quasi che le opinioni del suo governo non fossero, per quel che si riferisce all'Italia, largamente ispirate alle concezioni dell'ex ospite di palazzo Farnese. Couve mi espone il punto di vista del suo governo nei termini seguenti. (Premetto che quanto Couve mi dice va messo in rapporto con lo scambio di idee che Carandini ed io abbiamo avuto a Londra con Massigli e sul quale Carandini avrà certo riferito a codesto ministero). Arrivare alla pace oggi è impossibile per le ragioni a tutti note. È necessario tuttavia giungere ad una sistemazione provvisoria che, pur senza regolare alcuna questione essenziale, come il tracciato della frontiera orientale e lo statuto delle colonie, restituisca all'Italia la sua effettiva sovranità e la metta in grado di riprendere le relazioni diplomatiche con la Francia -e l'Inghilterra -su un piano di assoluta normalità. Si tratta quindi di sopprimere puramente e semplicemente l'armistizio e sostituire quello strumento di guerra con un modus vivendi che:

l) restituisca all'Italia la sua sovranità;

2) limiti questa sovranità per quel tanto che è strettamente necessario alle esigenze militari degli anglo-americani in ragione della situazione internazionale. Questa limitazione sarebbe, secondo Couve, giustificata dal fatto che chi è investito di certe responsabilità di carattere militare, ha il diritto di essere posto in grado di assolvere i propri impegni;

3) contempli un sia pur limitato, ma efficace droit de regard dell'America su certi settori dell'economia italiana. Anche questo droit de regard sarebbe, secondo Couve, conforme ai nostri interessi in ragione degli aiuti che l'America può fornirci.

«La Francia -dice Couve -desidera vivamente appoggiarci perché questa nuova sistemazione sia realizzata al più presto. Tuttavia la Francia pensa che sarebbe opportuno giungere a tale sistemazione avendo regolato tutte le questioni delicate che permangono ancora in sospeso tra i nostri due paesi. C'è un problema, dice Couve, che evidentemente turba ancora i nostri rapporti ed è di ostacolo ad una sollecita soluziqne di tutte le altre questioni: il problema della frontiera. Se risolviamo questo problema, -ed in quindici giorni la cosa può essere liquidata -tutto il resto verrà da sé».

A questo punto Couve formula una richiesta precisa: «Cosa ne pensereste -dice -dell'invio di una delegazione per esaminare con noi le rettifiche di confine?». Couve naturalmente si fa premura di affermare che la sua opmwne personale intorno al problema della frontiera non è dissimile dalla nostra, ma che il suo governo deve dare certe soddisfazioni all'opinione pubblica, ecc. Rispondo subito a Couve per dirgli che personalmente non considero con sgomento l'idea di discutere a fondo i problemi anche più delicati. Penso anzi che la chiarezza può sempre giovare a condizione tuttavia che prima di affrontare un problema arduo si sappia esattamente in che cosa quel problema consiste. «In ogni caso -gli dico -riferirò al mio governo, ma prima di dare ad esso il mio parere motivato sulla vostra richiesta, mi riservo di attendere l'esito del colloquio che avrò con ministro Bidault» 1 . Passo quindi ad esporre il punto di vista del mio governo sul problema della frontiera rifacendomi al testo del comunicato dell'agenzia «France-Presse» relativo al permanere dell'occupazione alleata nelle zone di Susa e di Tenda. «Noi abbiamo fatto di tutto per differenziare il problema italo-francese da quello italo-jugoslavo. Voi, col vostro gesto, lo ponete invece di fronte all'opinione pubblica italiana sullo stesso piano». Faccio presente ad ogni buon fine che il governo italiano, desideroso di avere la diretta responsabilità dell'occupazione del territorio, è disposto a prendere formale impegno che nessuna rappresaglia sarà da parte nostra adottata nei confronti dei cittadini che hanno manifestato sentimenti non conformi agli interessi nazionali italiani.

Couve mi fa osservare che il comunicato non ha carattere ufficiale e che, in ogni caso, Susa è fuori discussione. Gli rispondo che non lo ignoro, ma che capisco benissimo cosa c'è tanto dietro al comunicato quanto dietro Susa: ci sono i colli del Moncenisio e del Monginevro. Manifesto quindi la mia sorpresa che si possano sollevare questioni che nel modo più esplicito erano state dichiarate a me inesistenti dal ministro Bidault per il quale le richieste francesi si limitavano al settore di Tenda2 . «Delle due una: o voi vi attenete al principio a cui vi siete attenuti fino a poco tempo fa, vale a dire quello della linea di cresta, e allora una discussione è possibile. È un criterio che ha una certa equità e se anche implica qualche sacrificio da parte nostra lo affronteremo con coraggio». Più concretamente, e con la carta sotto gli occhi, gli faccio vedere che si tratta delle terre di caccia. «Se invece voi sollevate un problema di richieste strategiche, allora la situazione muta. Allora vi dirò che quando si cercano illusorie garanzie di carattere strategico, bisogna chiedersi se esse non situino il problema su un piano irreale, o peggio, su un piano che, diminuendo il prestigio della democrazia italiana, distruggerebbe l'unica garanzia veramente solida su cui si può e si deve fondare l'amicizia fra i nostri due paesi.

Passiamo quindi all'esame degli altri problemi su cui riferisco a parte 3 .

In attesa del colloquio che avrò col ministro Bidault -il quale colloquio è stato rinviato da lunedì a mercoledì prossimo -mi permetto di fissare alcuni punti che emergono dalle dichiarazioni di Couve.

La Francia ricerca sinceramente l'accordo con l'Italia. Si tratta per la Francia di fissare definitivamente la posizione del nostro paese in una politica sottratta alle

l Vedi serie decima, vol. III, D. 8. 2 Vedi D. 227. 3 Vedi D. 750.

1046 oscillazioni degli scorsi decenni. Si tratta per la Francia di avere sulla frontiera delle Alpi un vicino su cui possa contare come su di un amico sicuro. Questo, ripeto, la Francia -consapevole della sua insufficienza in tutti i settori, e sostanzialmente guarita da quel complesso di superiorità da cui era afflitta -vuole sinceramente. I più . orgogliosi presentano questa tendenza francese come dettata da generosità nei nostri confronti; i più schietti, come un tornaconto; tutti, come qualcosa che è imposto dal destino, che si sente ogni giorno più comune, dei due popoli.

Orbene, se i militari inseriscono in questa ricerca di una amicizia con l'Italia un elemento supplementare di garanzie strategiche, si può argomentare che si tratta di una deformazione professionale che non esprime alcuna tendenza reale dell'opinione pubblica, assolutamente aliena da preoccupazioni di questo genere. Tutti i francesi non privi di senso critico -e sono la maggioranza -intendono come nessuna illusoria garanzia strategica li compenserebbe della perdita dell'amicizia italiana.

Ma de Gaulle si è impegnato pubblicamente sulla faccenda di Tenda, ed i militari del suo entourage non brillano per eccessivo acume politico.

D'altro canto sorge ora un fattore di cui è opportuno tener conto. Il partito comunista, che è sostanzialmente favorevole ad un accordo con l'Italia e che ha forse nel passato più che alcun altro contribuito a combattere le tendenze xenofobe di una parte di queste popolazioni, favorendo così un riavvicinamento tra i due popoli, oggi, turbato dallo spettro del blocco occidentale, si orienta verso posizioni che possono costituire un freno a tutti gli accordi che la Francia intende realizzare con gli Stati vicini (e potrebbe quindi anche, in tale timore, sabotare l'intesa con l'Italia sostenendo esagerate pretese francesi).

Ho già ripetutamente accennato agli accorgimenti che questa situazione deve suggerire, e cioè localizzazione del problema dei rapporti franco-italiani e, se possibile, sua soluzione, partendo da dati che per la loro natura non sono suscettibili di sollevare la benché minima diffidenza nel diffidentissimo settore comunista.

È per questo che avevo fatto presente l'opportunità che l'esame avesse inizio partendo dalle questioni dell'emigrazione su cui si sarebbero via via articolati gli altri problemi sino a giungere a quello più delicato di tutti, in un'atmosfera però che avrebbe reso difficile per la Francia il permanere su posizioni di intransigenza. Era questa del resto anche l'opinione di Bidault. Oggi mi pare che questa impostazione non sia più possibile.

Forse anche le difficoltà pratiche incontrate per dare un concreto inizio alle trattative sul problema dell'emigrazione possono essersi aggiunte agli altri fattori della situazione interna e internazionale, inducendo il Quai d'Orsay a ritenere che bisognasse rovesciare la procedura e cominciare dal punto più delicato. Mentre Bidault due mesi or sono mi diceva: «Un trattato di lavoro comporta un esame di parecchi mesi; iniziamolo subito. La questione delle frontiere la risolveremo poi in pochi minuti»; oggi Couve dice: «Non si va avanti: c'è un ostacolo: il problema delle frontiere; risolviamo prima quello; ce la caveremo con un paio di settimane di lavoro; poi regoleremo il resto».

Le cose sono a questo punto; ed a questo punto ecco cosa mi propongo di dire a Bidault mercoledì prossimo: «Se intendete che l'esame della questione delle frontiere debba essere preposto a quello degli altri punti m sospeso, sia; ma badate che nessun italiano accetterà di compromettere un'intesa che ci sta tanto a cuore con delle concessioni che, umiliando la nascente democrazia, distruggerebbero l'unica vera forza su cui può essere fondata l'amicizia tra i due popoli».

Penso che il rinvio da lunedì a mercoledì prossimo comunicatomi per il colloquio con Bidault sia motivato dall'esame a cui la questione deve essere sottoposta in Consiglio dei ministri. In ogni caso prenderò nel frattempo tutti i contatti suscettibili di chiarire presso gli elementi responsabili la vera portata del problema 1•

747

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, PRUNAS, AL RAPPRESENTANTE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, CHARLES

L. 3/2206. Roma, 8 dicembre 1945.

Il ministro De Gasperi, tuttora degente, le sarebbe vivamente grato se ella potesse cortesemente comunicargli se e quale decisione sia stata adottata dal Comando Alleato, in merito alla zona di Tenda di cui alla mia lettera del 2 dicembre

n. 3/21522 .

Come ella avrà forse notato, i giornali hanno pubblicato notizie contrastanti in proposito: il Dai(v Telegraph ha, ad esempio, informato che il governo britannico avrebbe accolto la richiesta francese di rinviare il ritiro delle truppe d'occupazione nella zona di Susa e Briga. La «Reuter» ha invece parlato di un presunto impegno del governo italiano di non mantenere le sue truppe, dopo il ritiro di quelle alleate, entro un'area da convenirsi.

È superfluo le dica che il ministro De Gasperi resta dell'opinione che la miglior soluzione, e la sola equa, sarebbe quella di consentire l'occupazione italiana su tutto il territorio di frontiera senza eccezione, salvo l'impegno da parte nostra, come già le scrissi, a non procedere all'adozione di alcuna misura repressiva contro chicchessia.

Una diversa soluzione sottolineerebbe che la zona di cui trattasi è ufficialmente in contestazione e come tale è trattata in modo particolare: ciò che non gioverebbe, io credo, ad alcun fine utile ed incoraggerebbe anzi tutte quelle irrequietezze ed inquietudini che sono, soprattutto in regioni di frontiera, cosi evidentemente pregiudizievoli e pericolose.

1 Saragat comunicò i punti principali di questo colloquio con Couve de Murville con T. s.n.d. 13572/689 dell'8 dicembre, non pubblicato.

2 Vedi D. 728. Charles aveva risposto con L. 273/182/45 del 7 dicembre, pervenuta il 12, assicurando di aver portato a conoscenza del Foreign Office le assicurazioni contenute nel primo paragrafo della L. 3/2152 e aggiungendo: «You probably know by now that the withdrawal of Allied troops began o n the l st December an d l understand that i t has been arranged that no Italian troops, other than Carabinieri, shall be stationed within fifteen miles of the frontier for the present».

748

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA RAPPRESENTANZA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

PROMEMORIA 1146. Roma, 8 dicembre 1945.

Il ministero degli Affari Esteri ringrazia l'ambasciata di Sua Maestà Britannica per il cortese promemoria del 4 dicembre corrente n. 663/16/451 .

Il ministero degli Affari Esteri tiene a chiarire che le discussioni dirette che dovrebbero aver luogo fra Italia e Jugoslavia -e per dare inizio alle quali si attende tuttora la risposta di Belgrado -non riguardano, nel pensiero del R. governo, lo scambio di rifugiati jugoslavi in Italia contro i deportati italiani in Jugoslavia, bensi l'esame dei due problemi (cosi dissimili peraltro sia dal punto di vista politico che morale), in vista di avviare ogni possibile chiarimento fra i due Paesi.

Se e quando -come il governo italiano vivamente si augura -tali discussioni dirette potranno aver luogo, il ministero degli Affari Esteri non mancherà di porne al corrente l'ambasciata di Sua Maestà Britannica, tenendo presente quanto essa comunica nel promemoria cui si risponde.

749

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 8 dicembre 1945.

Ho ricevuto il signor Peter W. B. Zuliany2 . Mi ha ripetuto che è stato incaricato dal governo austriaco di compiere in via riservata un sondaggio presso il governo italiano circa la possibilità di una ripresa di rapporti diplomatici diretti italo-austriaci. Ove l'esito di tale sondaggio fosse favorevole il governo austriaco avanzerebbe richiesta ufficiale.

Gli ho detto che per parte nostra siamo favorevolmente disposti, che tuttavia non possiamo, per evidenti ragioni, precedere gli Alleati nel formale stabilimento di relazioni diplomatiche con Vienna. Lo Zuliany mi ha risposto che il governo austriaco se ne rende conto; sinora quello che da parte alleata è stato fatto in proposito è consistito nel nominare «rappresentanti tecnici» presso il governo austriaco quegli stessi funzionari diplomatici che prima erano accreditati presso i rispettivi comandi militari come consulenti politici. Ha aggiunto che tuttavia col 21

l Vedi D. 732.

2 Il 7 dicembre Zuliany aveva incontrato Giustiniani, come risulta da un appunto di quest'ultimo, non pubblicato.

p.v., giorno dell'apertura del Parlamento, sembra si avrà il riconoscimento ufficiale e la nomina di vere e proprie rappresentanze diplomatiche.

Per parte nostra, gli ho detto, nell'attesa di una ripresa normale di relazioni diplomatiche, non avremmo difficoltà ad inviare a Vienna un funzionario con l'incarico di mantenere tecnicamente contatti col ministero degli Affari Esteri austriaco e di occuparsi, d'accordo con le autorità locali delle questioni concernenti le nostre attività da tempo abbandonate a se stesse. L'invio a Vienna della missione commerciale potrebbe anche favorire questa possibilità dato il carattere temporaneo di questa missione e l'opportunità per i due governi di rimanere in relazioni dirette per l'applicazione degli accordi commerciali che dovessero essere conclusi.

Lo Zuliany riferirà nel senso sopra esposto l'esito del suo «sondaggio».

750

IL RAPPRESENTANTE A PARIGI, SARAGAT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, DE GASPERI

R. 5293/1328. Parigi, 8 dicembre 1945 (per. il 12).

Nel colloquio avuto il 6 corrente, con Couve, oltre ai problemi della soppressione dell'armistizio e delle frontiere occidentali (mio rapporto n. 5280/1320 del 7 corrente) 1 sono stati toccati i seguenti argomenti: l) questione dell'Alto Adige e riconoscimento del governo austriaco; 2) propaganda francese in territorio austriaco occupato dai francesi per l'annessione all'Austria dell'Alto Adige; 3) nostri rapporti con la Jugoslavia; 4) questione della Valle d'Aosta; 5) prigionieri; 6) internati civili; 7) Tunisia.

Sul primo punto ho informato Couve che l'Italia ha fatto conoscere al governo provvisorio di Vienna che il governo italiano è lieto di riprendere le relazioni diplomatiche e consolari con l'Austria. In relazione alle istruzioni impartitemi, ho chiarito a Couve che, nell'atto stesso in cui il nostro governo con tali intenzioni dimostra di voler dimenticare che truppe di unità austriache hanno, insieme ai tedeschi, preso parte all'occupazione del nostro territorio nazionale usando gli stessi metodi inumani e le stesse violenze, esso conferma nel modo più formale che, a nostro giudizio, non esistono fra Austria e Italia questioni territoriali.

Sulla questione della propaganda francese per l'annessione all'Austria dell'Alto Adige, ho fatto presente a Couve il nostro legittimo stupore di fronte alla attività delle autorità militari francesi in Austria intesa ad incoraggiare la propaganda locale per l'annessione. Propaganda in tal senso, gli ho detto, è stata fatta anche da Radio Paris nella trasmissione per l'Austria. Anche la stampa francese ha fatto qualche accenno in tal senso. Fatto ancor più grave, un opuscolo pubblicato dal ministero dell'Informazione, sostiene sostanzialmente la tesi austriaca. Couve risponde met-

I Vedi D. 746.

tendo tutto sul conto dei militari (i militari in Francia sono l'alibi permanente del Quai d'Orsay). «La Francia-dice Couve-ignora un problema dell'Alto Adige. A Londra del resto si è parlato di rettificazioni minori, ed è questa la nostra posizione. D'altro canto i nostri militari, per accattivarsi le simpatie delle popolazioni in Austria, fanno della demagogia assecondando quel che pu6 far piacere agli occupati. Ma non è questa la posizione nostra. Del resto -continua Couve -io non credo affatto alla riunione dell'Austria con la Baviera. È roba da diciassettesimo secolo». Prendo atto, sperando in cuor mio che anche nei confronti dell'Italia Couve pratichi una politica non stile diciassettesimo secolo.

Informo quindi Couve del passo fatto da Quaroni a Mosca presso il governo sovietico perché voglia appoggiare il nostro desiderio di intesa con la Jugoslavia, particolarmente per la questione dei deportati italiani della Venezia Giuli~1 . Couve prende atto.

A proposito della Valle d'Aosta, dichiaro a Couve che il governo italiano apprezza la chiara posizione presa al riguardo dal governo francese. Faccio tuttavia presente come da alcune sfere sembra volersi mantenere viva la questione sia incoraggiando atteggiamenti di alcuni elementi della locale colonia valdostana, sia esagerando informazioni pervenute dalla Valle d'Aosta circa provvedimenti che sarebbero stati presi nei confronti di alcuni elementi cosiddetti separatisti. Couve ribadisce che si tratta di una faccenda chiusa, e per il resto si trincera dietro la libertà che in Francia la gente ha di fare quello che vuole.

Faccio quindi un accenno alla questione dei prigionieri sollecitando una maggiore rapidità per il loro rimpatrio, e degli internati civili praticamente risolta per quel che riguarda la Francia metropolitana e sempre aperta nei territori francesi di oltre mare. Mi soffermo sul fatto delle espulsioni che paiono ispirate dal desiderio non di colpire fascisti colpevoli di mene antifrancesi, ma di privare le collettività italiane di elementi notevoli al fine di assorbirle più facilmente. Tale è il caso delle espulsioni dalla Tunisia e di quelle che si vorrebbero decidere nei confronti degli italiani in Marocco. Faccio presente le conseguenze gravi che tali misure hanno già avuto sull'opinione pubblica italiana e quelle peggiori che avrebbero in seguito se non intervenissero tempestivamente misure di saggia giustizia riparatrice. Couve trova che la cosa è effettivamente dolorosa e delicata; dichiara di non ignorare che sono stati espulsi anche dei comunisti; e infine, su mia precisa richiesta, afferma che la Francia non vedrebbe nessun inconveniente all'apertura di un consolato generale italiano a Tunisi.

Il colloquio con Couve, che è durato circa due ore, mi conferma quanto qui si diceva in questi ambienti circa l'autorità di cui gode il giovane diplomatico. Tutto il Quai d'Orsay pare ormai animato da uno spirito più vivace, più pronto e, diciamo pure, più produttivo. L'avvenire ci dirà se sarà anche uno spirito nuovo.

l Vedi D. 711.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(12 dicembre 1944-9 dicembre 1945)

MINISTRO

DE GASPERI Alcide.

SOTTOSEGRETARI DI STATO

REALE Eugenio, fino al 10 agosto 1945; NEGARVILLE Celeste Carlo, dal 10 agosto 1945; MoRELLI Renato, per gli italiani all'estero.

Segretario particolare: DE MICHELIS Paolo, console di terza classe 1 , dal 19 gennaio 1945.

GABINETTO DEL MINISTRO

Capo del Gabinetto: MARCHETTI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 9 gennaio 1945; DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, dal 10 gennaio 1945.

Capo della segreteria: CANALI Paolo.

Segretari: PLETTI Mario, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 15 gennaio 1945; BENAZZO Agostino, console di terza classe, dal 23 luglio 1945; PIERANTONI Aldo, console di terza classe, fino al 26 aprile 1945; MoRozzo DELLA RoccA Antonino, vice console di prima classe, fino al 31 marzo 1945; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, vice console di prima classe, dal 14 aprile 1945; CAREGA Giorgio, allievo interprete, dall'l l luglio 1945.

1 Si indicano le qualifiche dei funzionari alla data del 1° giugno 1945, giorno in cui avvenne una massiccia promozione.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: PRUNAS Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe.

Segretari: THEODOLI Livio, console di seconda classe; GAJA Roberto, console di terza classe; SMOQUINA Giorgio, vice console di prima classe, dal 15 novembre 1945; GuAZZARONI Cesidio, vice console di seconda classe.

Segretario particolare del segretario generale: FRANZÌ Mario, vice console di seconda classe, fino al l o febbraio 1945.

UFFICIO COORDINAMENTO

Capo ufficio: FoRNARI Giovanni, consigliere di legazione, fino al 10 novembre 1945; GrusTINIANI Raimondo, primo segretario di legazione di prima classe, dal 19 novembre 1945.

Segretario: PLAJA Eugenio, console di terza classe.

COMMISSIONE CONFINI

CASARDI Alberico, primo segretario di legazione di seconda classe; LANZA Michele, console di seconda classe, dal 16 luglio 1945; SioTTo PINTOR Aureliano, vice console di prima classe, dal 23 marzo 1945.

UFFICIO RECUPERI

PRoFILI Mario, vice console di seconda classe, dal giugno 1945.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Capo ufficio: DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 10 gennaio 1945; CITTADINI Pier Adolfo, consigliere di legazione, (reggente), dal marzo 1945.

Segretari: SALLIER DE LA TouR Paolo, primo segretario di legazione di prima classe; MALASPINA Folchetto, primo segretario di legazione di prima classe, dal 10 gennaio 1945; ScHININÀ Emanuele, console di seconda classe, dal l O settembre 1945; GUASTONE BELCREDI Enciro, console di seconda classe; RUFFO DI CALABRIA Francesco, console di seconda classe, dal l o febbraio 1945; CLEMENTI Raffaele,

console di seconda classe, dal 13 settembre 1945; DE FERRARI Giovanni Paolo, console di terza classe; BoRROMEO Giovanni Lodovico, vice console di prima classe, fino al 9 febbraio 1945; PROFILI Mario, vice console di seconda classe, fino al giugno 1945.

CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all'Università di Roma.

Consulenti: PENNETTA Antonio, consigliere della Corte Suprema di Cassazione; CuciNOTTA Ernesto, consigliere della Corte Suprema di Cassazione; BENEDETTI Dante, procuratore generale della Corte d'Appello.

Segretari: MARESCA Adolfo, console di terza classe; DE Rossi Michele.

UFFICIO DI COLLEGAMENTO CON LE AUTORITÀ ALLEATE

Capo ufficio: DEL BALZO Giulio, primo segretario di legazione di prima classe, fino al 22 novembre 1945; ALESSANDRINI Adolfo, consigliere di legazione, dal 22 novembre 1945.

Segretari: LEPRI Stanislao, console di seconda classe; BoMBASSE! FRASCANI DE VETTOR Giorgio, console di seconda classe, dal l o luglio 1945; WINSPEARE GuiCCIARDI Vittorio, console di terza classe, fino al 3 maggio 1945; PAscucci RIGHI Giulio, console di terza classe; SARVOGNAN Alessandro, console di terza classe, dal 3 agosto 1945; SEBASTIANI Lucio, console di terza classe, dal 19 novembre 1945; MANZINI Raimondo, vice console di seconda classe, fino al l O gennaio 1945; MoLAJONI Paolo, vice console di seconda classe.

UFFICIO STAMPA

Capo ufficio: CAVALLETTI Francesco, console di seconda classe.

Segretari: GAETANI Massimo, console di seconda classe; BouNous Franco, console di seconda classe; Ducci Roberto, console di terza classe, fino al 26 agosto 1945; BAsso AMOLAT Maurizio, console di terza classe, fino al 3 dicembre 1945; MANSI Stefano, console di terza classe, fino al febbraio 1945; GHENZI Giovanni, console di terza classe, dal 15 gennaio 1945; DE REGE THESAURO Giuseppe, vice console di prima classe, dal 10 luglio al 29 ottobre 1945; JEZZI Alberto, vice console di seconda classe, fino al 9 aprile 1945; AILLAUD Enrico, vice console di seconda classe, fino al 15 febbraio 1945.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DEGLI AFFARI GENERALI 1

Direttore generale: VmAu Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe; GuARNASCHELLI Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, dal 18 settembre 1945.

Vice direttore generale: ScAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 17 febbraio 1945; LANZARA Giuseppe, console generale di prima classe, dal 17 febbraio 1945.

Segretari: TERRUZZI Giulio, vice console di prima classe, dal 16 luglio 1945; RrccARDI Roberto, vice console di seconda classe.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal ministero degli Affari Esteri

Capo ufficio: ScAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, fino al 17 febbraio 1945; LANZARA Giuseppe, console generale di prima classe, dal 17 febbraio 1945.

Segretari: FERRETTI Raffaele, primo segretario di legazione di prima classe, dal 23 marzo 1945; CoNTI Mario, primo segretario di legazione di seconda classe; PRATO Eugenio, primo segretario di legazione di seconda classe, fino al 4 settembre 1945; PINNA CABONI Mario, console di seconda classe; PÀVERI FONTANA Alberto, console di seconda classe, dal l 0 ottobre 1945; CoNTARINI Giuseppe, console di terza classe, dal 29 ottobre 1945; MESSERI Girolamo, console di terza classe, dal 14 novembre 1945; FrGAROLO DI GROPELLO Adalberto, console di terza classe; CAPECE MINUTOLO Alessandro, console di terza classe; GASPARINI Carlo, console di terza classe; DE REGE THESAURO Giuseppe, vice console di prima classe, dal 30 ottobre 1945; CATALANO Felice, vice console di prima classe, fino al 16 settembre 1945; STAMPA Guidobaldo, vice console di seconda classe, fino al 20 luglio 1945; ToNCI Francesco, vice console di seconda classe; VALDETTARO Luigi, vice console di seconda classe; CroTTr Luigi, segretario per i Servizi Tecnici.

Sezione viaggi

MALFATTI DI MoNTE TRETTO Carlo, console di prima classe, dal 19 novembre 1945.

1 La suddivisione degli uffici delle direzioni generali del Personale e degli Affari Politici e le loro

competenze qui riportate sono quelle attuate dall'ordine di servizio n. IO del4 aprile 1945 in applicazione

del D.M. del 7 marzo 1945.

Tipografia riservata

Direttore tecnico: BERNI Fedele.

UFFICIO II Personale dei gruppi B e C e personale subalterno e salariato delle carriere dipendenti dal ministero degli Affari Esteri escluso il personale delle scuole italiane all'estero

Capo ufficio: BoLLATI Attilio, console generale di seconda classe, fino al 4 aprile 1945; ARCHI Pio Antonio, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 4 aprile 1945.

Segretari: ALVERÀ Pierluigi, console di terza classe, dal 1° giugno 1945.

UFFICIO III

Edifici Demaniali

Capo ufficio: AsSETTATI Augusto, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 1° marzo al 15 novembre 1945; 0TTAVIANI Luigi, consigliere di legazione, dal 15 novembre 1945.

Segretari: SPALAZZI Giorgio, primo segretario di legazione di prima classe, dal l o dicembre 1945; FERRINI Guglielmo, ispettore capo per i Servizi Tecnici; FosSATI Mario, vice ispettore per i Servizi Tecnici.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi-Cassa

Capo ufficio: DALLA RosA PRATI Rolando, primo segretario di legazione di seconda classe.

Segretari: Busr Gino, console di prima classe, dal 20 agosto 1945; SANFELICE Dr MONTEFORTE Ignazio, vice console di prima classe; CERACCHI Giuseppe, commissario consolare di prima classe; PAOLINI Ennio, commissario consolare di prima classe; BLANDI Silvio, ispettore capo per i Servizi Tecnici; PALAZZI CATTANEO Ernesto, segretario per i Servizi Tecnici, fino al novembre 1945.

UFFICIO V

Corrispondenza e Corrieri

Capo ufficio: TOMMASINI Mario, ispettore superiore per i Servizi Tecnici, fino al 29 luglio 1945; Nuccro Alfredo, console di prima classe, dal 30 luglio 1945.

Segretari: BAsso AMOLAT Maurizio, console di terza classe, dal 4 dicembre 1945; RoTA Armando, vice ispettore per i Servizi Tecnici, fino al 27 novembre 1945; MIGNECO Marco Tullio, segretario per i Servizi Tecnici, fino al 9 agosto 1945.

UFFICIO VI

Cifra e Crittografico

Capo ufficio: CANINO Mario, console di prima classe, dal 24 luglio 1945.

Segretari: RoMIZI Gino, console di seconda classe, dall' 11 agosto 1945; TERRUZZI Giulio, vice console di prima classe, dal 16 luglio 1945; MIGNECO Marco Tullio, segretario per i Servizi Tecnici, dal 9 agosto 1945; V ALLE Antonio, vice segretario per i Servizi Tecnici, dal 20 ottobre 1945.

Consulenza giuridica

CuciNOTTA Ernesto, consigliere della Corte Suprema di Cassazione.

SERVIZIO AFFARI GENERALI

Capo servizio: PERSICO Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe, fino al 14 novembre I 945; FRACASSI Cristoforo, consigliere di legazione, dal 15 novembre 1945.

UFFICIO I

Istituti Internazionali

Capo ufficio: GÀBRICI Tristano, console di seconda classe, fino al l o agosto 1945; GrusTJNIANI Raimondo, primo segretario di legazione di prima classe, dal Io agosto al 18 novembre 1945; CAPOMAZZA Benedetto, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 23 novembre 1945.

Segretari: NAVARRINI Guido, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 22 febbraio 1945; MIZZAN Ezio, console di seconda classe; MANFREDI Vittoriano, console di terza classe, dal 29 gennaio 1945; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, vice console di prima classe, fino al 13 aprile 1945; MANCA Enrico, vice console di prima classe, dal 1° ottobre 1945.

UFFICIO II

Trattati

Capo ufficio: Russo Augusto, console di terza classe, fino al 24 marzo 1945.

Segretari: GENTILE Benedetto, console di terza classe, dal 5 novembre 1945; RuBINO Eugenio, vice console di prima classe.

UFFICIO III

Studi Documentazioni e Atti

Capo ufficio: MACCOTTA Giuseppe W alter, console di terza classe, fino al 17 settembre 1945; CoRRIAS Angelino, primo segretario di legazione di prima classe, dal 17 novembre 1945.

Segretari: RaccHI Giovanni Stefano, vice console di prima classe; LuciOLLI Giovanni, vice console di prima classe, fino al 29 settembre 1945.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI

Direttore generale: ZOPPI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe.

Segretari: TALLARIGO Paolo, console di terza classe; PROFILI Giacomo, console di terza classe, dal 16 settembre 1945; MESCHINELLI Giuseppe, viçe console di prima classe, dal 6 agosto 1945.

UFFICIO I

Impero britannico e Paesi arabi del Medio Oriente

Capo ufficio: ANZILOTTI Enrico, primo segretario di legazione di prima classe, fino al 16 agosto 1945; CATTANI Attilio, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 20 novembre 1945.

Segretari: BETTELONI Giovanni Lorenzo, console di terza classe, dal 3 settembre 1945; Nun Giampiero, vice console di seconda classe, fino al 2 ottobre 1945; CALENDA Carlo, vice console di seconda classe, fino al 5 giugno 1945.

UFFICIO II

Francia e colonie francesi

Capo ufficio: SILVESTRELLI Luigi, primo segretario di legazione di prima classe (reggente), fino al 16 febbraio 1945; DE PAOLIS Pietro, consigliere di legazione, dal 17 febbraio 1945.

Segretari: DE MICHELIS Paolo, console di terza classe, fino al 18 gennaio 1945; DE GIOVANNI Luigi, console di terza classe, fino al 5 novembre 1945; MARIENI Alessandro, console di terza classe, dal l o agosto 1945; REGARD Cesare, console di terza classe, dal 20 gennaio 1945; SABETTA Luigi, console di terza classe, dal 20 luglio 1945; P ANSA Paolo, vice console di seconda classe, fino al 15 febbraio 1945.

UFFICIO III 1

Penisola Iberica, colonie spagnole e portoghesi, Andorra

Capo ufficio: MARCHIORI Carlo, console di terza classe (reggente), fino al 3 agosto 1945; AssETTATI Augusto, primo segretario di legazione di seconda classe, dal l o settembre 1945.

Segretari: ScADUTO MENDOLA Antonio, console di seconda classe, dal 12 maggio 1945; MONDELLO Mario, vice console di prima classe, fino al 2 febbraio 1945; PASQUINELLI Cesare, vice console di prima classe, dal 15 dicembre 1944; CoNTI Luciano, vice console di seconda classe, dal 6 luglio 1945.

UFFICIO IV

U.R.S.S.. Europa danubiana e balcanica, Turchia

Capo ufficio: BoR'bA Guido, primo segretario di legazione di prima classe, fino al 17 dicembre 1944; CoPPINI Maurilio, consigliere di legazione, dal 18 dicembre 1944.

Segretari: FRANCO Fabrizio, primo segretario di legazione di seconda classe, fino al 23 ottobre 1945; CERULLI IRELLI Giuseppe, console di seconda classe, fino al 22 febbraio 1945; CIRAOLO Giorgio, console di seconda classe, dal l o agosto 1945; PERRONE CAPANO Carlo, vice console di prima classe; RAMONDINO Ferruccio, commissario tecnico per l'Oriente di terza classe.

UFFICIO V

Germania, Paesi Bassi, Belgio, Svizzera, Paesi Scandinavi, San Marino, Islanda

Capo ufficio: FECIA DI CossATO Carlo, consigliere di legazione, fino al 6 luglio 1945; CASTRONUOVO Manlio, primo segretario di legazione di seconda classe, dall'S agosto 1945.

Segretari: COTTAFAVI Antonio, primo segretario di legazione di prima classe; FRAGNITO Giorgio, console di terza classe; DE STROBEL Maurizio, console di terza classe, dal l o settembre 1945; V ARALDA Maurilio, vice console di seconda classe, fino al 20 febbraio 1945.

1 Dal l" settembre 1945 gli uffici II e III vengono fusi in un unico ufficio (ufficio II). L'ufficio X prende la denominazione di III.

UFFICIO VI

America del Nord ed Estremo Oriente

Capo ufficio: DI STEFANO Mario, consigliere di legazione, fino al 9 febbraio 1945; AssETTATI Augusto, primo segretario di legazione di seconda classe, dal l o marzo al l o settembre 1945; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, primo segretario di legazione di seconda classe, dall'Il ottobre 1945.

Segretari: DE FRANCHIS Carlo, console di seconda classe; DELLA CHIESA n'IsASCA Renato, console di seconda classe; GuADAGNINI Piero, console di seconda classe; FABIANI Oberto, console di terza classe; CAREGA Giorgio, allievo interprete, fino al l O luglio 1945.

UFFICIO VII

Santa Sede

Capo ufficio: MACCHI DI CELLERE Francesco, primo segretario di legazione di seconda classe (reggente).

Segretari: MASSIMO LANCELLOTTI Paolo Enrico, vice console di seconda classe.

UFFICIO VIII

Stra/cio Albania

Capo ufficio: SoLARI Pietro, primo segretario di legazione di seconda classe, fino al 10 aprile 1945; CASTELLANI Augusto, console di seconda classe, dal28 aprile 1945.

Segretari: CIRAOLO Giorgio, console di seconda classe, dal 2 aprile al 31 luglio 1945; PuRI PuRINI Giuseppe, console di terza classe; NARDI Mario, vice console di prima classe, dal 10 novembre 1945; DE BENEDICTIS Vincenzo, addetto consolare, dal 2 novembre 1945; VoLPE Arrigo, vice console di seconda classe.

UFFICIO IX

Prigionieri di guerra, internati civili, protezione degli interessi italiani nei Paesi nemici ed ex nemici

Capo ufficio: ZAPPI Filippo, console di prima classe.

Segretari: CHIAVARI Gian Gerolamo, console di prima classe, dal 26 novembre 1945; Lo SAVIO Pio, console di seconda classe, fino al 30 ottobre 1945; FARACE Alessandro, console di seconda classe; MARTINA Gian Luigi, console di terza classe, dal 30 luglio 1945; VITELLI Girolamo, console di terza classe; STADERINI Ettore, console di terza classe, fino al 5 giugno 1945.

UFFICIO X

America del Sud

Capo ufficio: DE FERRARIIS SALZANO Carlo, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 30 maggio al l o settembre 1945.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: Dr NoLA Angelo, consigliere di Stato.

Vice direttore generale: GRAZZI Umberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe.

UFFICIO I

Comunicazioni, Affari Generali e Paesi transoceanici

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di prima classe.

Segretario: CosTA SAN SEVERINO Edoardo, vice console di prima classe, dall'Il agosto 1945.

UFFICIO II

>

Europa centrale e occidentale

Capo ufficio: VENTURINI Antonio, primo segretario di legazione di seconda classe, dal 16 aprile 1945.

Segretari: LoNr Aldo, console di terza classe; MACCAFERRI Franco, console di terza classe, dal 3 dicembre 1945; ToscANI MILLO Antonio, console di terza classe; TRABALZA Folco, vice console di seconda classe, dall'Il ottobre 1945; OuvrERI Giovanni Battista, addetto commerciale di seconda classe, dall'Il luglio 1945; EGIDI Marcello, assistente addetto commerciale di seconda classe; Zrouou Aldo, assistente addetto commerciale di seconda classe, dal 17 giugno 1945.

UFFICIO III

Europa orientale e Balcani

Capo ufficio: MoscATO Niccolò, console di seconda classe.

Segretari: CANCELLARlO n'ALENA Franco, vice console di seconda classe, dall'Il giugno 1945.

UFFICIO IV

Applicazione armistizio e conferenza pace

Capo ufficio: ORTONA Egidio, primo segretario di legazione di seconda classe, fino al 16 settembre 1945; LuCIOLLI Mario, console di seconda classe, dal 20 novembre 1945.

Segretari: Ducci Roberto, console di terza classe, dal 27 agosto 1945; ToPPANI Domenico, assistente addetto commerciale, dal 24 settembre al 15 novembre 1945.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTER0 1 Direttore generale: N. N. Vice direttore generale: MOMBELLI Giulio, console generale di seconda classe, dal 3

settembre 1945. Segretario: CIMINO Carlo, console di terza classe, dal 5 luglio 1945.

UFFICIO I

Collettività italiane all'estero

Capo ufficio: MOMBELLI Giulio, console generale di seconda classe, dal 3 settembre 1945.

Segretari: MATACOTTA Dante, vice console di prima classe, dal 27 dicembre 1944; STAMPA Guidobaldo, vice console di seconda classe, dal 21 luglio 1945.

UFFICIO II

Scuole all'estero e Istituti di cultura

Capo ufficio: N. N. Segretario: BELLIA Franco, console di seconda classe, dal 9 luglio 1945.

UFFICIO III

Lavoro italiano all'estero

Capo ufficio: MASI Corrado, ispettore generale per i Servizi Tecnici.

l La direzione generale degli Italiani all'Estero e il servizio Affari Privati furono ricostituiti con

D.M. del 6 aprile 1945.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

Capo servizio: PERVAN Edoardo, console generale di prima classe, dal 20 ottobre 1945.

Segretari: NoBILI VITELLESCHI Pietro, console generale di seconda classe, dal 30 aprile 1945; MAURO Sestino, console di prima classe, dall'8 gennaio 1945; ToFFOLO Giovanni Battista, console di seconda classe, dal 25 ottobre 1945; BIONDI MoRRA Goffredo, vice console di prima classe, dal 30 novembre 1945; BIONDI Vincenzo, console giudice, dal 24 novembre 1945; GRANDINETTI Eugenio, ispettore superiore.

ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA Capo ufficio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe. Archivio Storico: MosCATI Ruggero, direttore (reggente).

FUNZIONARI DISTACCATI Presidenza del Consiglio: MoNTANARI Franco, console di seconda classe. Alli ed Area Rome Command: BRUNIERA Giordano Bruno, assistente addetto com

merciale di terza classe, dal 31 ottobre 1945. Croce Rossa presso la Presidenza del Consiglio: MoscA Bernardo, consigliere di legazione, dal 20 febbraio 1945.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(12 dicembre 1944-9 dicembre 1945)

AFGHANISTAN

Kabul-UNGARO Mario, addetto commerciale, incaricato d'affari dal febbraio 1945.

ARGENTINA

Buenos Aires -SENSI Federico, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; CoRNAGGIA MEDICI CASTIGLIONI Gherardo, secondo segretario; PRATI Riccardo, maggiore, addetto militare; RoMEo Antonio, tenente colonnello, addetto navale; VALENTINI Giuseppe, addetto stampa.

BELGIO

Bruxelles -SCAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato d'affari ad interim, dal 24 marzo 1945; AILLAUD Enrico, secondo segretario, dal 24 marzo 1945.

BRASILE

Rio de Janeiro-MARTINI Mario Augusto, ambasciatore, dal 17 settembre 1945; CARACCIOLO DI S. VITo Roberto, primo segretario, dal 17 settembre 1945; MACCOTTA Giuseppe Walter, secondo segretario, dal 17 settembre 1945.

BULGARIA

Sofia -MAMELI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 settembre 1945; VINCI Piero, primo segretario, incaricato d'affari ad interim dal 21 settembre 1945; CAMPANELLA Francesco Paolo, secondo segretario, fino al 1° agosto 1945; CoRDERO DI MoNTEZEMOLO Cesare, colonnello, addetto militare; ScARAMUCCI Mario, assistente addetto commerciale.

CECOSLOVACCHIA

(Londra) Praga-GumoTTI Gastone, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal 3 aprile 1945; FRANco Fabrizio, primo segretario, dal 24 ottobre 1945.

COLOMBIA

Bogotà -CASSINIS Angiolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 agosto 1945.

COSTARICA

Costarica -SILENZI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1945 (residente a Guatemala).

EL SALVADOR

San Salvador -SILENZI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1945 (residente a Guatemala).

FRANCIA

Parigi-SARAGAT Giuseppe, rappresentante politico, dal 21 aprile 1945; BENZONI Giorgio, consigliere, dal 17 maggio 1945; SOLARI Pietro, primo segretario, dal 21 aprile 1945; PIERANTONI Aldo, secondo segretario, dal 26 aprile 1945; STADERINI Ettore, terzo segretario, dal 6 giugno 1945; lEZZI Alberto, quarto segretario, dal 23 giugno 1945.

GRAN BRETAGNA

Londra-CARANDINI Niccolò, rappresentante poiitico; MIGONE Bartolomeo, consigliere; RoBERTI Guerino, primo segretario; FERRERO Andrea, secondo segretario, dal 17 gennaio 1945; WINSPEARE GuiCCIARDI Vittorio, terzo segretario, dal 2 agosto 1945; MANASSEI Alessandro, quarto segretario, dal 7 gennaio 1945; MANZINI Raimondo, quarto segretario, dal IO gennaio 1945; MALFATTI DI MoNTE TRETTO Francesco, addetto del lavoro.

GUATEMALA

Guatemala -SILENZI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1945; GuADAGNINI Piero, primo segretario, dal 3 dicembre 1945.

HONDURAS

Tegucigalpa -SILENZI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1945 (residente a Guatemala).

IRLANDA

Dublino -CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, primo segretario, incaricato d'affari ad interim.

NICARAGUA

Managua -SILENZI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 dicembre 1945 (residente a Guatemala).

NORVEGIA

(Londra) -GumoTTI Gastone, consigliere, incaricato d'affari ad interim, fino al 30 luglio 1945.

P AN AMA

Panama -Rossi LONGHI Gastone, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal 14 novembre 1945.

POLONIA

Varsavia -REALE Eugenio, ambasciatore, dal 22 settembre 1945; SoARDI DI SANT'ANTONIO Carlo Andrea, consigliere, dal 22 settembre 1945; MARCHIORI Carlo, primo segretario, dal 22 settembre 1945.

PORTOGALLO

Lisbona -RosSI LoNGHI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AssETTATI Augusto, primo segretario, fino al febbraio 1945; SILJ Francesco, primo segretario, fino al maggio 1945; MAZIO Aldo Maria, primo segretario; FARACE Ruggero, secondo segretario; CuGIA DI SANT'ORSOLA Umberto, capitano di vascello, addetto navale; LAZZARO Tommaso, addetto commerciale, fino al 16 agosto 1945; BERTUZZI Carlo, capitano, addetto aeronautico.

ROMANIA

Bucarest-BovA ScaPPA Renato, invif.to straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 marzo 1945; GERBORE Pietro, primo segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 21 marzo 1945; DE LuiGI Pier Giuliano, secondo segretario; RELLI Guido, commissario per l'Oriente, fino al 26 novembre 1945; BoDINI, colonnello, addetto militare; BoNIVER Clemente, consigliere commerciale, dal 2 gennaio 1945; LENZI Alfredo, assistente dell'addetto commerciale; BAVAJ Amor, addetto stampa, fino al 24 agosto 1945.

SANTA SEDE

Roma -BABUSCIO Rizzo Francesco, consigliere, incaricato d'affari ad interim; BALDONI Corrado, consigliere; FERRETTI Raffaele, primo segretario, fino al 22 marzo 1945; ANTINORI Orazio, primo segretario, dal 1° aprile 1945; SoRO Giovanni Vincenzo, secondo segretario, fino al lo aprile 1945; MoRozzo DELLA RoccA Antonino, secondo segretario, dal l o aprile 1945; CERULLI IRELLI Giuseppe, terzo segretario, dal 22 marzo 1945.

SPAGNA

Madrid-GALLARATI ScoTTI Tommaso, ambasciatore, dal 15 febbraio 1945; MASCIA Luciano, consigliere, incaricato d'affari ad interim fino al 14 febbraio 1945; V ANNI D'ARcHIRAFI Paolo, primo segretario; MILESI FERRETTI Gian Luigi, secondo segretario; SIOTTO PlNTOR Aureliano, terzo segretario, fino al 22 marzo 1945; FABBRICOTTI Fabrizio, terzo segretario; CARNEVALE Ottavio, colonnello di fanteria, addetto militare, fino al giugno 1945; MEMMO Giorgio, colonnello di cavalleria, addetto militare, dal giugno 1945; Tucci Carlo, capitano di fregata, addetto navale, fino al 17 marzo 1945; BIGI Luciano, addetto navale, dal 1° febbraio 1945; BERTUZZI Carlo, capitano, addetto aeronautico; V ERRANDO Italo, addetto commerciale.

STATI UNITI

Washington -TARCHIANI Alberto, ambasciatore, dal 23 febbraio 1945; DI STEFANO Mario, consigliere, dal 23 febbraio 1945; ScARETTI Enrico, consigliere finanziario con rango personale di ministro, dal 23 febbraio 1945; ORTONA Egidio, primo segretario, dal 17 settembre 1945; SILVESTRELLI Luigi, primo segretario, dal 17 settembre 1945; GABRICI Tristano, secondo segretario, dal 17 settembre 1945; MONDELLO Mario, terzo segretario, dal 23 febbraio 1945; CATALANO DI MELILLI Felice, terzo segretario, dal 17 novembre 1945; VARALDA Maurilio Guglielmo, terzo segretario, dal 6 luglio 1945; ORLANDI CaNTUCCI Corrado, terzo segretario, dal 23 febbraio 1945; VooLIOLO Vincenzo, addetto commerciale, dal 23 febbraio 1945.

SVEZIA

Stoccolma -GUARNASCHELLI Giovanni Battista, inviato straordinario e mmtstro plenipotenziario, fino al 18 agosto 1945; BELLARDI RICCI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 3 settembre 1945; MAJOLI Mario, primo segretario, incaricato d'affari dal 18 agosto al 2 settembre 1945; GuiDOTTI Gastone, segretario, fino al 23 marzo 1945; CoLONNA DI PALIANO Guido, secondo segretario, fino al 9 luglio 1945; CoNTI Luciano, terzo segretario, fino al 27 dicembre 1944; RoERO DI CoRTANZE Giuseppe, colonnello, addetto militare; KLINGER Luigi, colonnello, addetto aeronautico, fino al 13 febbraio 1945; BASILE Vittorio, addetto commerciale; MALGERI Enzo, assistente addetto commerciale, fino al 22 gennaio 1945; SIBILIA Renato, addetto stampa.

SVIZZERA

Berna -BERlO Alberto, incaricato d'affari ad interim, dal 1° giugno 1945 inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGA Guido, consigliere, dal 24 dicembre 1944; TASSONI EsTENSE DI CASTELVECCHIO Alessandro, primo segretario; CARUSO Casto, primo segretario; BOMBASSEI FRASCANI DE VETTOR Giorgio, secondo segretario, fino al 6 aprile 1945; PRoFILI Giacomo, secondo segretario, fino al 30 giugno 1945; GIGLIOLI Carlo Enrico, secondo segretario, dal 19 gennaio 1945; BocCHINI Marcello, terzo segretario; PAZZAGLIA Gino, consigliere per l'emigrazione, fino all'aprile 1945; ToMMASINI Mario, consigliere per l'emigrazione, dal 31 luglio 1945; BIANCHI Tancredi, generale, addetto militare; GHIGLIA Elbano, maggiore, addetto aeronautico; FERRARI Carlo, maggiore, addetto navale; OuviERI Giovanni Battista, addetto commerciale, fino all'Il luglio 1945; NICITA Francesco, addetto commerciale, fino al 15 giugno 1945; LA FRANCESCA Francesco, addetto commerciale, dal 7 aprile 1945; CoRRADO Arturo, addetto commerciale aggiunto; DERMIDOFF Umberto, addetto commerciale aggiunto.

TURCHIA

Ankara -MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, ambasciatore, dal 3 luglio 1945; GUGLIELMINETTI Giuseppe, consigliere, incaricato d'affari ad interim fino al 2 luglio 1945; RossET DESANDRÉ Antonio, primo segretario, dal 13 febbraio 1945; DE NoVELLIS Gennaro, secondo segretario, dal 3 luglio 1945; DONATI Ludovico, colonnello, addetto militare; VASSALLO Giambattista, maggiore, addetto aeronautico; BESTAGNO Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale; APOLLONJ GHETTI Fabrizio Maria, addetto stampa; ALTOMARE Giuseppe, addetto commerciale.

U.R.S.S.

Mosca -QUARONI Pietro, ambasciatore; PRATO Eugenio, primo segretario, dal 5 settembre 1945; MESSERI Girolamo, primo segretario, fino al 13 novembre 1945; LuciOLLI Giovanni, secondo segretario, dal 30 settembre 1945.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(l2 dicembre 1944-9 dicembre 1945)

Afghanistan: Abdul SAMAD, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Mohammed ALì, primo segretario.

Argentina: Oscar ONETO AsTENGO, consigliere, incaricato d'affari ad interim; Rogelio R. TRISTANY, secondo segretario; Alberto SAUBIDET, terzo segretario; Guido CoMOLLI, consigliere commerciale; Alfredo PALADINO, commodoro, addetto aeronautico; Carlos Miguel PIZZORNO, addetto, dal 1° gennaio 1945.

Belgio: CARLIER, console generale, fino al 25 aprile 1945; Geoffroy D'AsPREMONT-LYNDEN, incaricato d'affari ad interim, dal 26 aprile 1945; Charles PIGAULT DE BEAUPRÉ, segretario, dal 12 settembre 1945; Edgard Lux, addetto, dal l o agosto 1945.

Brasile: Vasco Tristao Leitac DA CUNHA, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari ad interim, fino al 20 maggio 1945; Pedro DE MoRAES BARROS, ambasciatore, dal 21 maggio 1945; Jorge LATOUR, primo segretario, dal 10 ottobre 1945; Octavio DE SA' NEVES DA RocHA, secondo segretario; Mozart GURGEL VALENTE, terzo segretario; Victorino VIANNA DE CARVALHO, terzo segretario, dall'll luglio 1945; Antonio XAVIER DA RocHA, consigliere commerciale, dall'Il luglio 1945; Floriano DE LIMA BRAYNER, colonnello, addetto militare aggiunto, dal 4 novembre 1945.

Bulgaria: Ivan IVANOV, segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 22 settembre 1945.

Cecoslovacchia: Vladimir V ANEK, console generale, dall' 11 aprile 1945 inviato straor,dinario e ministro plenipotenziario; Albert DuTKA, consigliere, dal 7 febbraio 1945; Karel HOYER, primo segretario, dal 15 luglio 1945; Jan ZHANEL, secondo segretario, dal 16 novembre 1945; Jan BERNAT, addetto, dal 16 novembre 1945; Jana WASSERVOGLOVÀ, addetto.

Cile: Miguel RIOSECO EsPINOZA, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal 3 febbraio 1945; Mario PRIETO, primo segretario, dal 20 novembre 1945.

Cina: Kwang-Tsien SIH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 15 ottobre 1945; Chia-Yung CHANG, secondo segretario, dal 19 novembre 1945; Yin TcHOU, consigliere giuridico, dal 19 novembre 1945.

Colombia: Abraham FERNANDEZ DE SoTo, primo segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 10 settembre 1945.

Cuba: Florencio GUERRA, segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 15 agosto 1945; Celia VELAZCO, addetto, dal 15 agosto 1945.

Df~~J,imarca: Tage BuLL, consigliere, incaricato d'affari ad interim.

Dominicana (Repubblica): Porfirio RUBIROSA, segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 5 ottobre 1945.

Francia: Maurice CouVE DE MURVILLE, rappresentante, dal 28 febbraio al 6 settembre 1945; Georges BALAY, consigliere, incaricato d'affari dal 7 settembre 1945; Paul FoucHET, primo segretario, dal 28 febbraio 1945; Jacques DE BEAUMARCHAIS, secondo segretario, dal 28 febbraio 1945; Louis GABRIEL, consigliere commerciale, dal 28 febbraio 1945; Alphonse SICARD, addetto commerciale, dal 28 febbraio 1945; Jacques HEURGON, addetto culturale, dal 28 febbraio 1945; Jacques GACHET, addetto stampa, dal 28 febbraio 1945.

Gran Bretagna: sir Noel CHARLES, rappresentante; Henry D'AUBIGNY HOPKINSON, ministro consigliere; Richard-Lysle NoswoRTHY, ministro consigliere commerciale; A.C.E. MALCOLM, primo segretario; D. CAMERON, primo segretario e console; A.S. HALFORD, secondo segretario; K.C. BENTON, secondo segretario;

B.P. PAVITT, secondo segretario; W. WILSON, terzo segretario; H.A. NuTTING, terzo segretario; S. SIMMONDS, primo segretario commerciale; M. STEWART, addetto stampa; W.H. BRAINE, addetto sociale; J. MALLET, segretario privato del rappresentante; R. FLEMING, maggiore, ufficiale di collegamento militare.

Irlanda: Michael MAc WHITE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Messico: Mario GARZA RAMOS, secondo segretario, incaricato d'affari ad interim.

Norvegia: Jeus STEENBERG BuLL, rappresentante, dal 5 gennaio al 9 ottobre 1945; Sigurd BENTZON, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal IO ottobre 1945.

Paesi Bassi: F.W. CRANDIJK, console generale, fino al 25 novembre 1945; W.J.G. GEVERS, primo segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 26 novembre 1945.

Perù: Pedro YRIGOYEN, ambasciatore, dal 3 aprile 1945; Luis F. LANATA CoUDY, ministro consigliere, dal 9 maggio 1945; José PAREJA Y PAZ SOLDÀN, primo segretario, dal l o ottobre 1945.

Polonia: Maciey LORET, incaricato d'affari ad interim, fino al 28 gennaio 1945; Stanislaw JANIKOWSKI, incaricato d'affari ad interim, dal 28 gennaio al 6 luglio 1945; Stanislaw KoT, ambasciatore, dal 18 ottobre 1945; Witold WYSZYNSKI, consigliere, dal 18 ottobre 1945; Przemyslaw 0GRODZINSKI, consigliere, dal 15 novembre 1945; Boleslaw BARSZCZ, primo segretario, dal 24 settembre 1945; lgnacy BURKACKI, secondo segretario, dal 24 settembre 1945; Anna R. MAJCHROWICZ, addetto, dal 24 settembre 1945; Tadeusz MARTYNOWICZ, addetto, dal 24 settembre 1945; Stefan SuwA, addetto, dal 24 settembre 1945; Andrzej TEODOROWICZ-NOWICKI, addetto, dal 24 settembre 1945.

Portogallo: José LoBo o'AVILA LIMA, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 29 maggio 1945; Jorge RooRIGUEZ oos SANTOS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 maggio 1945; Luiz Jorge DA CosTA, primo segretario, dal 25 marzo 1945; José PEoRoso DE LIMA, segretario.

Romania: Teodoro ScoRZESCU, incaricato d'affari ad interim, dal 22 dicembre 1944 al 14 agosto 1945; Mihai CAMARACESCU, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal 15 agosto 1945; Mircea MoscHUNA-SION, primo segretario, dal 15 dicembre 1944.

Santa Sede: Francesco BoRGOGNINI DucA, monsignore, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; Giuseppe PAUPINI, monsignore, segretario.

Sezione Assistenza: Antonio RIBERI, monsignore, arcivescovo titolare di Dara.

Spagna: José Antonio DE SANGRONIZ Y CASTRO, ambasciatore, dal 23 maggio 1945; Eduardo GARCIA CoMIN, ministro consigliere, incaricato d'affari fino al 23 maggio 1945; Juan Felipe DE RANERO Y RoDRIGUEZ, ministro consigliere, dal lo ottobre 1945; Rafael FORNS, primo segretario; Pedro LOPEZ GARCIA, primo segretario; José Felipe ALCOVER Y SUREDA, primo segretario, dal 6 ottobre 1945; Javier BERMEJILLO Y ScHMIDTLEIN, primo segretario, dal 5 giugno 1945; Ramon SAENZ DE HEREDIA Y DE MANZANOS, primo segretario; César Daniel DE ALARCON, primo segretario, dal 15 settembre 1945; Mario PoNCE DE LEON, secondo segretario, incaricato degli affari consolari; José Carlos GoNzALES-CAMPO, secondo segretario, dal 15 giugno 1945; Angel ScANDELLA, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto; Mario URENA, maggiore di aviazione, addetto aeronautico aggiunto; Luis GARCIA DE LLERA Y RoDRIGUEZ, addetto commerciale; Manuel CARRASCO, addetto culturale; Luis GoNzALES ALONSO, addetto stampa, dal 15 settembre 1945; TRoNcoso, addetto, dal 6 febbraio 1945.

Stati Uniti: Alexander KIRK, ambasciatore; Walter DowLING, consigliere fino al giugno 1945; David MCKENDREE KEY, consigliere, dal giugno 1945; Charles A. IVENGOOD, consigliere· per gli affari economici; John F. HuooLESTON, primo segretario; J. WESLEY JoNEs, primo segretario, dal 5 luglio 1945; John L. GosHIE, secondo segretario; H. GARDNER AINSWORTH, terzo segretario; Byron B. SNYDER, terzo segretario; Robert H. McBRIDE, terzo segretario; Francis M. BRADY, addetto militare ed aeronautico, dal 31 luglio 1945; Charles R. MOREY, addetto culturale, dal 1° luglio 1945; Orville C. ANDERSON, maggiore, addetto stampa, dal 28 agosto 1945; Russe! Stanley KIFER, addetto per l'agricoltura, dal 21 marzo al 18 settembre 1945; Charles W. SMITH, addetto per l'agricoltura, dal19 settembre 1945; John Clark ADAMS, addetto per il lavoro, dal27 febbraio 1945; Clarence A. BOTSFORD, addetto minerario, dal 5 agosto 1945; George A. GREEN, addetto particolare con rango di ministro onorario, dal 6 luglio 1945;

G. Stewart BRoWN, addetto particolare, dal 19 luglio 1945; Edward C. BoRREGO, addetto, incaricato per i combustibili liquidi, dal 29 ottobre 1945; Biagio DI VENUTI, addetto; James PARKER WILSON, addetto, dal 1° marzo 1945; Emile R.

BAGNOLI, addetto; Bernard BERNARDONI, addetto, dal 21 marzo 1945; John I. KRoss, addetto, dal 2 febbraio 1945; Vincent LA VISTA, addetto, dal 14 luglio 1945; Edelen FoGARTY, addetta, dal 9 gennaio 1945; Albert W. HoRN, segretario dell'ambasciatore; George O. MoRGAN, maggiore, ufficiale di collegamento, dal 15 giugno 1945.

Svezia: Torsten HAMMARSTROMM, consigliere, incaricato d'affari ad interim, fino al 29 maggio 1945; Adolf DE CRONEBORG, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal29 maggio 1945; Gustaf BJURSTROM, addetto, dal 18 febbraio 1945; Gunnar FAGRAEUS, addetto, dal 22 ottobre 1945; Cari Fredrik DE PETERSENS, addetto, dal 22 ottobre 1945.

Svizzera: Pierre DE SAus, consigliere, incaricato d'affari ad interim; Bernard MALLET, consigliere; André PARODI, primo segretario facente funzioni di addetto commerciale, dal 27 novembre 1945; Oscar RossETTI, addetto; Robert SuLZER, addetto.

Sezione Interessi Stranieri: Carlo SOMMARUGA, consigliere giuridico; Guido RIVA, addetto; Leonardo TRIPPI, capitano, capo del servizio per le visite ai prigionieri di guerra ed internati civili.

Turchia: Gema! HùsND TARAY, ambasciatore, dal 18 gennaio 1945; Fehmi NuzA, primo segretario, dal 9 marzo 1945; Kamil TuBA, secondo segretario, dal 15 febbraio 1945; Cahit S. HAYTA, secondo segretario, dal 17 aprile 1945; Enver OzALP, terzo segretario, dal 18 aprile 1945.

U.R.S.S.: Mikhail KosTYLEV, ambasciatore; Ivan MARTINOV, consigliere; Nikolaj GoRCHAKOV, primo segretario; Petr PRIVALOV, secondo segretario, dal 15 gennaio 1945; Enver MAMEDOV, terzo segretario; Souren MKHITARIAN, terzo segretario, dall'8 agosto 1945; lvan ANOUROV, addetto; Flegont KoLTCHANOV, addetto, dall'Il maggio 1945; Mikhail ROGOv, addetto dall'Il maggio 1945; Victor CHOUNIN, addetto, dal 9 ottobre 1945; Giorgij BoGUEMSKI, addetto, dal 4 dicembre 1945.